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3 CASABELLA 875—876 SOMMARIO 1996–2016 INDICI NUOVA EDIZIONE INDICES 632–869 NEW EDITION IN CONSULTAZIONE ESCLUSIVA SU: AVAILABLE FOR REFERENCE ONLY AT: CASABELLAWEB.EU 3—25 LA CASA COLLETTIVA: STRATEGIE, MODELLI E SPERIMENTAZIONI 1/3 4 IL PIANO INA-CASA, 1949–1963 Paola Di Biagi 9 PIER PAOLO PASOLINI E LE PERIFERIE DI ROMA 10 FRANCO ALBINI, FRANCA HELG, ENEA MANFREDINI QUARTIERE INA-CASA ROSTA NUOVA, REGGIO EMILIA, 1956–1961 11 UN QUARTIERE “NOSTRANO EMILIANO E NON SVEDESE”… Marco Mulazzani 19 GUIDO GUIDI ALLA ROSTA NUOVA fotografie di Guido Guidi e Mariano Andreani 26—47 QUARTIERI E TIPOLOGIE RESIDENZIALI 26 IL CARATTERE URBANO DELLA RESIDENZA Camillo Magni 28 MEILI & PETER ARCHITEKTEN AG FREILAGER ZÜRICH, MARKTGASSE, ZURIGO, SVIZZERA 29 195 X 56. CASE PRENDONO IL POSTO DELLE PATATE Federico Tranfa 36 ALISON BROOKS ARCHITECTS ELY COURT, SOUTH KILBURN, LONDRA, REGNO UNITO 37 AL SERVIZIO DELLA CITTÀ Camillo Magni 40 RIGENERAZIONE URBANA A KILBURN Camillo Magni 48—93 DE INVENTIONE : LA RETORICA DEGLI SPAZI PER LA CULTURA 49 FLORES & PRATS ARQUITECTOS SALA BECKETT, BARCELLONA, SPAGNA 50 RESIDUA . OBBLIGO E INVENZIONE: UN’OPERA RECENTE DI FLORES & PRATS Juan José Lahuerta 66 ELTON LÉNIZ ARQUITECTOS CENTRO CULTURALE ARAUCO, ARAUCO, CILE 67 CILE, LA RICOSTRUZIONE DOPO LO TSUNAMI DEL 2010: UN CENTRO PER UNA COMUNITÀ Marco Biagi 74 GUILLERMO VÁZQUEZ CONSUEGRA CAIXAFORUM, ISLA DE LA CARTUJA, SIVIGLIA, SPAGNA a cura di Giovanna Crespi 75 EL CANGREJO Y LA MARIPOSA Alberto Altini 86 GEHRY PARTNERS, LLP FRANK GEHRY + DANIEL BARENBOIM PIERRE BOULEZ SAAL, BARENBOIM- SAID AKADEMIE, BERLINO, GERMANIA 87 INSIEME GRAZIE ALLA MUSICA Francesco Dal Co 94—97 BIBLIOTECA 94 RECENSIONI 96 «NON CI VUOLE UN NUOVO MODO DI COSTRUIRE. CI VUOLE UN NUOVO MODO DI VIVERE». BERNARD RUDOFSKY Maria Bonaiti 98—101 ENGLISH TEXTS 98 ENGLISH TEXTS CASABELLA 875—876 LUGLIO-AGOSTO 2017 1 3 La casa collettiva: strategie, modelli e sperimentazioni Nel 1949 il Parlamento Italiano promulgò la legge nota come Provvedi- menti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori . I fondi a disposizione furono affidati all’Istituto Na- zionale delle Assicurazioni che li impiegò attraverso una apposita orga- nizzazione, la Gestione Ina-Casa. Tra il 1949 e il 1963 vennero così costru- iti circa 502.000 alloggi, sulla base di direttive progettuali efficaci e lun- gimiranti elaborate centralmente e che coinvolsero migliaia di architetti e diedero un impiego a più di 40.000 lavoratori. Abbiamo ritenuto opportuno, date le contingenze storiche in cui vi- viamo e i continui richiami alla necessità di riformare gli assetti delle pe- riferie delle città (non soltanto italiane), richiamare l’attenzione su questo episodio tra i più illuminanti e istruttivi della storia più prossima dell’urba- nistica italiana. Per sottolineare l’importanza del contributo offerto dalla cultura architettonica a questa vicenda, in questo e nei prossimi numeri di «Casabella» ricostruiremo le storie di tre insediamenti, a iniziare dal quartiere Rosta Nuova di Reggio Emilia, che vennero alla luce anche gra- zie all’opera di uno dei migliori architetti italiani del Novecento, Franco Al- bini (1905-77). Anche per suggerire come l’Ina-Casa sia un modello che varrebbe la pena riconsiderare e ripensare, queste ricostruzioni stori- che saranno accompagnate dalle presentazioni di realizzazioni europee contemporanee che in varie maniere hanno affrontato il tema dell’“abi- tazione collettiva”.

casabellaweb.eu strategie, modelli e sperimentazioni · 2020. 4. 14. · sOMM aRIO casabella 875—876 3 1996–2016 ndI IcI nuOva edIzIOne IndIces 632–869 new edItIOn In cOnsultazIOne

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3casabella 875—876sOMMaRIO

1996–2016 IndIcI nuOva edIzIOneIndIces 632–869 new edItIOn

In cOnsultazIOne esclusIva su :avaIlable fOR RefeRence Only at:casabellaweb.eu

3—25la casa cOllettIva: stRategIe, MOdellI e speRIMentazIOnI1/3

4Il pIanO Ina-casa, 1949–1963paola di biagi

9pIeR paOlO pasOlInI e le peRIfeRIe dI ROMa

10fRancO albInI, fRanca Helg, enea ManfRedInIQuaRtIeRe Ina-casa ROsta nuOva, ReggIO eMIlIa, 1956–1961

11un QuaRtIeRe “nOstRanO eMIlIanO e nOn svedese”… Marco Mulazzani

19guIdO guIdI alla ROsta nuOvafotografie di guido guidi e Mariano andreani

26—47QuaRtIeRI e tIpOlOgIe ResIdenzIalI

26Il caRatteRe uRbanO della ResIdenzacamillo Magni

28MeIlI & peteR aRcHItekten agfReIlageR züRIcH, MaRktgasse, zuRIgO, svIzzeRa

29195 x 56. case pRendOnO Il pOstO delle patatefederico tranfa

36alIsOn bROOks aRcHItectsely cOuRt, sOutH kIlbuRn, lOndRa, RegnO unItO

37al seRvIzIO della cIttà camillo Magni

40RIgeneRazIOne uRbana a kIlbuRncamillo Magni

48—93De inventione : la RetORIca deglI spazI peR la cultuRa

49flORes & pRats aRQuItectOssala beckett, baRcellOna, spagna

50ResiDua . ObblIgO e InvenzIOne: un’OpeRa Recente dI flORes & pRatsJuan José lahuerta

66eltOn lénIz aRQuItectOs centRO cultuRale aRaucO, aRaucO, cIle

67cIle, la RIcOstRuzIOne dOpO lO tsunaMI del 2010 : un centRO peR una cOMunItàMarco biagi

74guIlleRMO vázQuez cOnsuegRacaIxafORuM, Isla de la caRtuJa, sIvIglIa, spagnaa cura di giovanna crespi

75el cangReJO y la MaRIpOsa alberto alt ini

86geHRy paRtneRs, llpfRank geHRy + danIel baRenbOIM pIeRRe bOulez saal, baRenbOIM-saId akadeMIe, beRlInO, geRManIa

87InsIeMe gRazIe alla MusIcafrancesco dal co

94—97bIblIOteca

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96«nOn cI vuOle un nuOvO MOdO dI cOstRuIRe. cI vuOle un nuOvO MOdO dI vIveRe». beRnaRd RudOfskyMaria bonait i

98—101englIsH texts

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casabella 875—876

luglIO-agOstO 2017

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La casa collettiva: strategie, modelli e

sperimentazioni

Nel 1949 il Parlamento Italiano promulgò la legge nota come Provvedi-menti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori. I fondi a disposizione furono affidati all’Istituto Na-zionale delle Assicurazioni che li impiegò attraverso una apposita orga-nizzazione, la Gestione Ina-Casa. Tra il 1949 e il 1963 vennero così costru-iti circa 502.000 alloggi, sulla base di direttive progettuali efficaci e lun-gimiranti elaborate centralmente e che coinvolsero migliaia di architetti e diedero un impiego a più di 40.000 lavoratori.

Abbiamo ritenuto opportuno, date le contingenze storiche in cui vi-viamo e i continui richiami alla necessità di riformare gli assetti delle pe-riferie delle città (non soltanto italiane), richiamare l’attenzione su questo episodio tra i più illuminanti e istruttivi della storia più prossima dell’urba-nistica italiana. Per sottolineare l’importanza del contributo offerto dalla cultura architettonica a questa vicenda, in questo e nei prossimi numeri di «Casabella» ricostruiremo le storie di tre insediamenti, a iniziare dal quartiere Rosta Nuova di Reggio Emilia, che vennero alla luce anche gra-zie all’opera di uno dei migliori architetti italiani del Novecento, Franco Al-bini (1905-77). Anche per suggerire come l’Ina-Casa sia un modello che varrebbe la pena riconsiderare e ripensare, queste ricostruzioni stori-che saranno accompagnate dalle presentazioni di realizzazioni europee contemporanee che in varie maniere hanno affrontato il tema dell’“abi-tazione collettiva”.

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5casabella 875—876LA CAsA CoLLETTIvA 1/3

significativa testimonianza dell’architettura italiana del No-vecento, i quartieri costruiti nel corso degli anni Cinquanta con il Piano Ina-Casa1 ancora emergono dai paesaggi urbani contemporanei come parti dotate di una precisa identità.

Progettati e realizzati tra il 1949 e i primi anni sessanta, esito concreto di uno dei più rilevanti piani di ricostruzione economica e fisica di un “lungo dopoguerra”, quei quartieri hanno offerto, dopo il secondo conflitto mondiale, alloggi, giardini, piazze, asili, scuole, chiese, ambulatori… a molte fa-miglie che abitavano in condizioni di disagio. Eredità di una “modernità italiana”, oggi i quartieri dell’Ina-Casa rappresen-tano un rilevante patrimonio da valorizzare.

Case e lavoro

È del 24 febbraio 1949 l’approvazione del progetto di legge Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, age-volando la costruzione di case per lavoratori, con cui si pre-vede l’avvio di un programma per la realizzazione di alloggi economici in tutto il Paese: il piano Ina-Casa, poi più diffu-samente conosciuto come Piano Fanfani. Era stato proprio il ministro del Lavoro e della previdenza sociale Amintore Fan-fani a presentare nel luglio del 1948 la proposta al Consiglio dei ministri presieduto da Alcide De Gasperi. L’iniziativa in-tendeva principalmente affrontare il problema della disoc-cupazione tramite lo sviluppo del settore edilizio.

Ispirato a teorie keynesiane, il Piano di costruzione di case economiche, oltre a rappresentare una manovra per la

1 SulpianoIna-casasivedano:L.BerettaAnguissola(acuradi), I 14 anni del Piano Ina-Casa, Staderini,Roma,1963;P.DiBiagi(acuradi),La grande ricostruzione. Il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni cinquanta,Donzelli,Roma2001e2010;IstitutoLuigiSturzo,Fanfani e la casa. Gli anni Cinquanta e il modello italiano di welfare state. Il piano Ina-Casa,Rubettino,SoveriaMannelli2002.

rinascita dell’economia nell’Italia del dopoguerra, viene pro-posto come un dispositivo di partecipazione solidaristica –da parte di tutte le componenti sociali– ai bisogni dei più po-veri; aspetto, questo, reso evidente dallo stesso sistema di finanziamento al quale partecipano lo stato, i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti2.

A seguire la realizzazione del Piano sarà un ente centra-lizzato e snello, articolato in un Comitato di attuazione e nella Gestione Ina-Casa. Il primo, diretto dall’ingegnere torinese Filiberto Guala, svolge vigilanza generale, emana norme, di-stribuisce fondi e incarichi. Ex partigiano, Guala è un mana-ger pubblico, legato a quella sinistra cattolica che vede tra le sue figure di spicco uomini come Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e Fanfani stesso. Dal ’54 al ’56 Guala sarà direttore generale della Rai; poi, nel 1960, lascerà definitivamente la vita pubblica per entrare nell’ordine dei frati trappisti.

Nei suoi aspetti più specificamente architettonici e ur-banistici, il Piano viene però coordinato dalla Gestione Ina-Casa, diretta dall’architetto Arnaldo Foschini. Esponente di spicco nell’ambiente romano, preside della facoltà di Archi-tettura, dirigente di associazioni di professionisti, Foschini è ben conosciuto negli ambienti dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che avrà un ruolo importante nella conduzione economica di tutta l’operazione Ina-Casa.

Quella che Giuseppe samonà definirà una «grandiosa macchina per l’abitazione»3 è operativa dal 1° aprile 1949. Il 7 luglio, a Colleferro, nei pressi di Roma, si inaugura il primo

2 PerFilibertoGualailpianofa«appelloallasolidarietàdituttiilavoratori,perchél’operaiochelavoraeguadagnalasuagiornatadialapossibilità,medianteunsuocontributo,adaltrichenonlavoranodiritornarenelconsorziocivileaprodurreeaguadagnare»,Impostazione e caratteristiche funzionali del piano Fanfani,«Civitas»,n.9,1951,pp.27-35.3 Il piano Fanfani in rapporto all’attività edilizia dei liberi professionisti,«Metron»,1949,n.33-34,p.14.

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1—sotto il titolo sono riprodotte le immagini di alcune formelle ceramiche apposte sugli edifici dei quartieri Ina-Casa come elementi distintivi. Queste formelle vennero disegnate da artisti quali Dario Cambellotti, Alberto Burri, Piero Dorazio, tra gli altri. L'ultima qui riprodotta a destra è quella del quartiere Rosta Nuova—under the title there are images of some of the ceramic tiles that were placed on the buildings of the INA-Casa settlements as distinctive features. The tiles were designed by artists like Dario Cambellotti, Alberto Burri, Piero Dorazio, among others. The last one shown here, on the right, is that of the Rosta Nuova development

2—Mario De Renzi, saverio Muratori (capigruppo), quartiere Ina-Casa Tuscolano, Roma, 1950–60—Mario De Renzi, Saverio Muratori (group leaders), Ina-Casa Tuscolano development, Rome, 1950–60 

Il Piano Ina-Casa, 1949–1963

Paola Di Biagi

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76 casabella 875—876

3—Ludovico Quaroni, Mario Ridolfi (capigruppo), quartiere Ina-Casa Tiburtino, Roma, 1950–55—Ludovico Quaroni, Mario Ridolfi (group leaders), Ina-Casa Tiburtino development, Rome, 1950–55

4—Adalberto Libera, edificio a ballatoio dell’unità d’abitazione orizzontale, quartiere Ina-Casa Tuscolano, Roma, 1950–54—Adalberto Libera, balcony building of the horizontal housing unit, Ina-Casa Tuscolano development, Rome, 1950–54

5—Luigi Figini, Gino Pollini, Gio Ponti (capigruppo), quartiere Ina-Casa Harrar, Milano 1951–55—Luigi Figini, Gino Pollini, Gio Ponti (group leaders), Ina-Casa Harrar development, Milan 1951–55

6—Rosanna Bucchi, edifici d’abitazione Ina-Casa, Capri, 1950—Rosanna Bucchi, Ina-Casa residential buildings, Capri, 1950

cantiere; il 31 ottobre ne sono in funzione oltre 650, distribuiti in tutte le regioni. A pieno ritmo, il Piano produce settimanal-mente 2.800 vani, riuscendo a dare una casa a circa 560 fami-glie alla settimana. In 14 anni verranno realizzati circa due mi-lioni di vani. Quantità forse non rilevanti se messe a confronto col fabbisogno abitativo del dopoguerra (il conflitto bellico ne aveva distrutti due milioni e ne aveva gravemente danneggiati un altro milione), o con quanto veniva costruito in altri Paesi eu-ropei, eppure significative nella storia dell’edilizia pubblica ita-liana. Grazie agli alloggi realizzati, da nord a sud, nelle grandi città come nei piccoli centri, oltre 355.000 famiglie italiane ri-uscirono a migliorare le proprie condizioni abitative. secondo un’indagine promossa dall’ente tra gli assegnatari, ben il 40% dei nuclei, prima di trasferirsi nelle nuove case, abitava in can-tine, grotte, baracche, sottoscala, e il 17% in coabitazione con altre famiglie. Moltissimi erano gli immigrati dalle campagne, dal sud Italia, e molti i profughi dall’Istria e dalla Dalmazia.

Professioni

Il Piano produce un più generale rilancio dei mestieri e delle professioni legate all’edilizia. I 20.000 cantieri dell’Ina-Casa, diffusi in tutta Italia, offrono un posto di lavoro, ogni anno, a circa 40.000 operai edili. Ma non solo. su un totale di 17.000 architetti e ingegneri italiani attivi nel periodo, circa un terzo viene coinvolto nella progettazione di alloggi, edifici, quartieri, attrezzature comuni4. Gli incarichi che provengono dall’ente rappresentano, in quel lungo e difficile dopoguerra, una rile-vante opportunità sia per i professionisti impegnati già prima del conflitto mondiale, sia per i più giovani che trovano così occasione per avviare la propria attività grazie a incarichi pub-blici di rilievo. Ben oltre l’aspetto occupazionale, il quartiere e la casa economica divengono per architetti e ingegneri ita-liani importanti temi di lavoro e ricerca progettuale non solo di natura tecnica, ma anche “morale”. Progettare per il miglio-ramento delle condizioni abitative di famiglie bisognose di un alloggio –di una “clientela invisibile”, per utilizzare una defini-zione di Bruno Zevi5– diventa occasione per misurarsi, oltre

4 Cfr.P.Nicoloso,Gli architetti: il rilancio di una professione,inP.DiBiagi(acuradi),La grande ricostruzione. Il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni cinquanta,cit.5 “Gliarchitetti,nellanuovasocietàdemocraticacheemergevadalleimmanidistruzionibelliche,–affermaBrunoZevi–sentivanol’urgenzadinonagirepiùallaperiferiadell’industriaedilizia.[...]Eranoallaricercadiunanuovaclientela.[...]Madov’eraquestaclientela?Comesipotevaservirla?Eraevidente:questaclienteladioperai,dicontadini,diimpiegatinonavevanéculturanépossibilitàfinanziariadirivolgersialleclassiprofessionali;volevaunacasa,qualunquecasa.[...]Eranoclienti,sì,maclientiinafferrabili,anonimi,inarticolati,personaggiincercadiautore.Chipotevanoesseregliautori?[...]Gliautoridovevanoesseregliarchitetti,iliberiprofessionisti,questagranderiservadienergiaedicompetenza.[...]Lamediazionetraburocraziaeclientelanonpotevaesserefornitachedagliarchitetti.Inserirel’anelloprofessionalenellacatenadell’industriaediliziaeradunqueil

che con le proprie competenze, anche con le proprie respon-sabilità sociali; un aspetto che sembra porre in luce un ulte-riore carattere di solidarietà del Piano.

oltre alla selezione dei progettisti, attraverso concorsi nazionali e la costruzione di uno specifico albo, un ruolo im-portante nel controllo della qualità degli interventi è svolto dall’Ufficio architettura dell’Ina-Casa, diretto inizialmente da Adalberto Libera. Questo ufficio ha il compito di verificare, ra-pidamente, la bontà dei progetti elaborati localmente. Molti architetti ricorderanno poi come fosse loro capitato di arri-vare con i disegni al mattino all’ultimo piano del palazzo dell’I-stituto nazionale delle assicurazioni in via Bissolati a Roma, dove si trovavano le poche stanze dell’Ina-Casa, e di ripartire già nel pomeriggio con il progetto corretto e approvato.

Dopo aver escluso l’adozione di progetti-tipo, l’ente de-cide di “guidare” l’ideazione di alloggi, nuclei e quartieri at-traverso la pubblicazione di fascicoli che raccolgono sug-gerimenti, raccomandazioni, orientamenti, schemi-tipo, esempi, per orientare la progettazione, con l’obiettivo di dif-fondere qualità tecnologica, architettonica e urbana, evi-tando al tempo stesso l’omologazione delle realizzazioni6. Ai progettisti, in particolare col secondo fascicolo, si racco-manda di tener conto dei contesti nei quali si inseriscono i nuovi interventi, dei caratteri dei centri storici preesistenti, delle abitudini di vita degli abitanti della zona, del clima, dei materiali e dei sistemi costruttivi locali. Emerge il tentativo di raggiungere una modernizzazione dell’edilizia residenziale e dello “spazio abitabile” del Paese, senza tuttavia negare le tradizioni regionali.

La decisione di scartare i metodi della prefabbricazione (che invece da anni si stavano utilizzando nella costruzione di edilizia economica e popolare in alcuni Paesi europei), la bassa meccanizzazione e il mantenimento del cantiere artigianale –per alcuni critici aspetti di arretratezza del Piano– sono coe-renti al prioritario obiettivo di impiegare tanta manodopera. Hanno inoltre l’effetto di garantire coerenza tra i nuovi inter-venti e le diverse competenze costruttive locali e, indiretta-mente, i caratteri di alcuni paesaggi urbani e periurbani.

problema.L’Ina-Casaloharisolto”,B.Zevi,L’architettura dell’Ina-Casa,inInu,L’Ina-Casa al IV Congresso nazionale di urbanistica, Venezia1952,Societàgraficaromana,Roma1953,p.9.6 Particolarmentesignificativesonoleguidepubblicatenelprimosettennio:PianoIncrementooccupazioneoperaia.Caseperlavoratori,1.Suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione e presentazione dei progetti,Roma1949ePianoincrementooccupazioneoperaia.Caseperlavoratori,2.Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo,Roma1950.Sivedanoancheleguidepubblicatenelsecondosettennio:Pianoincrementooccupazioneoperaiacaseperlavoratori,3. Guida per l’esame dei progetti delle costruzioni Ina-Casa da realizzare nel secondo settennio,Roma1956ePianoincrementooccupazioneoperaiacaseperlavoratori,4. Norme per le costruzioni del secondo settennio estratte da delibere del Comitato di attuazione del Piano e del Consiglio direttivo della gestione Ina-Casa, Roma1956.

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Quartieri

Agli urbanisti italiani i quartieri dell’Ina-Casa appaiono come occasione, seppure ridotta rispetto alle iniziali speranze nella ricostruzione postbellica, di incidere sullo sviluppo ur-bano –sulla forma fisica e sociale delle città– proprio at-traverso nuove parti capaci di modellare l’informe e diffusa crescita che già stava allargando e disperdendo l’urbanizza-zione su più ampi territori.

Non si tratta dunque solo di nuovi alloggi e di nuovi edi-fici, ma della loro coerente articolazione e integrazione con gli spazi aperti e comuni, con i giardini e i cortili, con gli asili, le scuole, le piazze, le chiese: «Non case ma città», come afferma il sindaco di Firenze Giorgio La Pira inaugurando il quartiere dell’Isolotto7. Certo è prioritario l’obiettivo di mi-gliorare la qualità della vita del nucleo familiare negli alloggi e negli ambiti domestici. Ma non si abitano solo le case. Agli spazi comuni, a quelli esterni, alle attrezzature viene affidato il compito di generare rapporti tra i nuovi abitanti e di aiutare il formarsi di comunità di cittadini. Il quartiere, con la sua ar-ticolazione in nuclei, sembra così dover assumere il ruolo di un dispositivo per una ricostruzione non solo materiale ma anche sociale e morale dell’Italia del dopoguerra.

Realizzati gli edifici e assegnati gli alloggi, i quartieri ini-ziano a essere abitati. Ma per le tante giovani famiglie che giungono in questi insediamenti periferici, soprattutto nelle grandi città, la vita quotidiana non è facile. I nuovi quartieri si trovano spesso alle estreme propaggini urbane, in aree ancora di campagna, dove i terreni costano meno. I servizi e le attrez-zature comuni vengono realizzati per ultimi, dopo le case.

Abitare in un alloggio nuovo, moderno, attrezzato, con cucina, bagno, la camera dei genitori, le camere dei figli, rap-presenta un grande progresso, un enorme miglioramento ri-spetto alle condizioni abitative dalle quali si proveniva. Ma anche il vivere vicini, in edifici plurifamiliari, il dover condivi-dere spazi comuni, pianerottoli, scale, atri, cortili, giardini è spesso problematico e fonte di conflitti. E l’ente ritiene «di non poter abbandonare a se stessi i suoi beneficiari»8. Così, dopo aver dato loro un alloggio, l’Ina-Casa intende aiutare i nuovi abitanti a costituirsi progressivamente in comunità. Un aiuto che si traduce concretamente con l’inserimento, fin dal 1951 e in accordo con alcune scuole di servizio sociale, di as-sistenti sociali nei nuovi quartieri. Il loro compito è di seguire gli assegnatari nella fase di ingresso negli alloggi e nell’ini-

7 G.LaPira,Discorso per l’inaugurazione della nuova città satellite dell’Isolotto,inNon case ma città. Isolotto città satellite di Firenze, UfficiostampadelComunediFirenze,Firenze1954.8 L.BerettaAnguissola(acuradi), I 14 anni del Piano Ina-Casa,cit.,p.119.

ziale vita in comune, aiutandoli anche nell’impostazione dei rapporti condominiali.

Ben presto le assistenti sociali divengono un anello fon-damentale nei rapporti tra gli abitanti e l’ente che gestisce il Piano, consentendo di conoscere le situazioni di disagio che si presentano nei vari quartieri; nel giugno del ’54, questo la-voro viene istituzionalizzato con la costituzione di un nuovo ente entro l’Ina-Casa, l’Ente gestione servizio sociale case per lavoratori.

In chiusura del primo settennio di attuazione del Piano e in vista dell’avvio della fase successiva, con l’aiuto delle as-sistenti sociali, l’Ina-Casa avvia alcune indagini presso le fa-miglie assegnatarie in merito al gradimento verso specifi-che soluzioni architettoniche, come la distribuzione interna dell’alloggio o la sistemazione di alcuni spazi comuni. Infor-mazioni che verranno utilizzate per redigere i nuovi orienta-menti progettuali per gli interventi del secondo settennio di attività, evidenziando così ulteriormente l’attenzione che quel programma ha posto ai rapporti tra spazio e società.

Epilogo

Dopo quattordici anni di attività, il 14 febbraio 1963, con l’ap-provazione della Legge n. 60, Liquidazione del patrimonio edi-lizio della Gestione Ina-Casa e istituzione di un programma de-cennale di costruzione di alloggi per lavoratori, l’esperienza dell’Ina-Casa, tra luci e ombre, si chiude definitivamente.

Altri enti (la Gescal –Gestione Case per i Lavoratori–, i Comuni), altre norme e altri strumenti prenderanno il suo po-sto nella programmazione, nel finanziamento e nella costru-zione di edilizia popolare nel nostro Paese.

Il valore dell’esperienza dell’Ina-Casa è però ancora docu-mentato dai suoi esiti materiali: i quartieri realizzati tra gli anni Cinquanta e i primi anni sessanta. Alcuni di essi compongono le pagine delle storie dell’architettura e dell’urbanistica del No-vecento italiano e si articolano tra diverse idee di città, di spa-zio, di comunità. A essere degni di interesse non sono soltanto gli interventi più noti, quelli progettati dagli architetti di fama. visitando oggi molte delle realizzazioni di allora, possiamo ri-conoscere lo sforzo compiuto per elevare e diffondere la qua-lità della progettazione dell’edilizia pubblica e della vita che ogni giorno vi si svolge, il tentativo di realizzare parti unitarie di città, dove le singole architetture prendono valore dall’insieme del quale fanno parte. Possiamo renderci conto di come quei quartieri rappresentino un consistente patrimonio moderno del nostro Paese. Un patrimonio verso il quale si dovrebbe ma-turare una più ampia attenzione, capace di coniugare tutela e riqualificazione di questi paesaggi dell’abitare quotidiano.

Un esercito accampato nell’attesadi farsi cristiano nella cristiana città, occupa una marcita distesa

d’erba sozza nell’accesa campagna:scendere anch’egli dentro la borgheseluce spera aspettando una umana

abitazione, esso, sardo o pugliese,dentro un porcile il fangoso descoin villaggi ciechi tra lucide chiesenovecentesche e grattacieli.

sotto le sue palpebre chiuse questo assedio di milioni d’animedai crani ingenui, dall’occhio lesto

all’intesa, tra le infette maranedella borgata.

7—Mario De Renzi, saverio Muratori (capigruppo), quartiere Ina-Casa Tuscolano, Roma, 1950–60 —Mario De Renzi, Saverio Muratori (group leaders), Ina-Casa Tuscolano development, Rome, 1950–60 

8–10—Pier Paolo Pasolini in alcune immagini scattate tra le baracche che sorgevano tra via Casilina e viale Palmiro Togliatti, a poca distanza dal Quartiere XXIv Don Bosco, Roma, seconda metà degli anni sessanta (1966 e segg.) —Pier Paolo Pasolini in photographs taken amidst the shacks that stood between Via Casilina and Viale Palmiro Togliatti, near the Don Bosco area, Rome, second half of the 1960s (1966 et seq.)

Pier Paolo Pasolini e le periferie di Roma

VersitrattidaL’Appennino(1951),inP.P.Pasolini,Le ceneri di Gramsci(1957),Garzanti,Milano2015.

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Un quartiere “nostrano emiliano e non svedese”…

Marco Mulazzani

«Carissimi, qui unito vi trasmetto due copie del quartiere Ina-Casa Reggio. Ho modificato ancora il nodo rispetto gli ultimi accordi presi con Franco a Parma. Ho cercato di formare dei veri ambienti sia internamente che esternamente al quartiere, ambienti nostrani emiliani e non svedesi che distano troppi chilometri da Reggio! se condividete in linea di massima rispeditemi una copia che io la farò disegnare da Bartoli con molto garbo e cura evitando di fare così il plastico per noi troppo impegnativo in quanto presupporrebbe evidentemente anche lo studio delle altezze degli edifici, cosa che ancora io non ho digerito; e non ultimo anche una spesa che non reputo necessaria. Arrivederci, scrivete e fate presto». La lettera inviata da Enea Manfredini a Franco Albini e Franca Helg il 2 maggio 1956 è un documento di un certo interesse, al di là dell’ironica battuta con cui l’architetto prende distanza dai mitizzati modelli residenziali scandinavi. In essa –come nella successiva fitta corrispondenza intercorsa tra gli studi di Reggio Emilia e Milano– è infatti possibile riconoscere la peculiarità di un confronto attraverso il quale Albini, Helg e Manfredini impostano e sviluppano il progetto del complesso residenziale di via scandiano, un quartiere che rimane tutt’oggi ai vertici degli interventi promossi e realizzati dalla Gestione Ina-Casa nell’ambito del secondo settennio che si conclude nei primi mesi del 1963.Come è noto, il rapporto tra Manfredini e Albini (di undici anni maggiore) nasce nell’ambiente milanese di «Casabella-costruzioni» diretta da Giuseppe Pagano –dove dal 1941 vengono pubblicati i progetti del giovane architetto, da poco laureato al Politecnico– e la loro prima collaborazione risale al 1943, in occasione del concorso L’arredamento della casa per tutti bandito dalla Triennale di Milano (probabilmente realizzato nel piccolo studio che i due architetti condividono a Piacenza negli anni della guerra). Il sodalizio si rafforza, dai primi anni Cinquanta, in seguito al coinvolgimento di Manfredini nel ruolo di direttore lavori dell’edificio per uffici Ina di Albini a Parma (1950–54) e poi con i progetti elaborati congiuntamente per Reggio Emilia: il piano particolareggiato del quartiere “Mirabello” (1951), il progetto di case Incis per ufficiali e

sottufficiali (1952–53), il quartiere Ina-Casa di via scandiano (1956–61). Nel 1947–49 Albini, con Luisa Castiglioni e Giancarlo De Carlo, è impegnato nella redazione del PRG di Reggio Emilia e nel PR di massima del centro storico (riaffidatogli nel 1955) e lo studio di Manfredini è non di rado teatro di sedute di lavoro degli architetti milanesi. Del 1955, infine, è la presentazione nel numero 205 di «Casabella-continuità» di quattro opere recenti di Manfredini –l’asilo ad Aiola, la residenza per anziani a Montecchio, l’agenzia Lancia e il seminario vescovile con l’annessa chiesa a Reggio Emilia– con una precisa quanto lusinghiera presentazione di Albini.Albini, Helg e Manfredini ricevono comunicazione dell’incarico di progettazione del nuovo quartiere di “case per lavoratori” il 4 aprile 1956 dall’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Reggio Emilia, l’Ente Appaltante locale. Il successivo 13 aprile Albini invia due lettere di ringraziamento –«anche a nome degli Architetti Franca Helg ed Enea Manfredini»– alla presidenza dello IACP e alla direzione della Gestione Ina-Casa, assicurando quest’ultima che il gruppo ritiene di potere assolvere bene l’incarico «anche dal punto di vista dell’esecuzione, avendo la possibilità di mantenere stretti contatti con l’Istituto Case Popolari di Reggio». In ogni caso, come si legge nella lettera inviata dalla Gestione (a firma del presidente Arnaldo Foschini) allo IACP il 18 aprile 1956, l’approvazione definitiva dell’incarico è subordinata «alla sollecita presentazione dello schizzo di larga massima della sistemazione urbanistica».Al nuovo quartiere è destinato un appezzamento di campagna di circa 9 ettari a sud-est del centro storico, a levante della strada provinciale per scandiano. La prima ipotesi di “sistemazione urbanistica” è documentata da un disegno (non datato ma firmato da Manfredini, Helg e Albini) [1] che prefigura una soluzione affatto particolare: due cortine edilizie definiscono la strada di attraversamento dell’abitato, orientata nord-sud lungo la diagonale dell’area, e in virtù della loro accentuata articolazione danno luogo a due piazze; un secondo sistema di spazi pubblici è pensato in rapporto ai servizi e alle attrezzature collettive la cui impronta planimetrica, abbozzata nella parte est del lotto, richiama un progetto di Manfredini per un centro religioso a Reggio Emilia (1941, non realizzato). Ispirato dal principio, secondo lo stesso Manfredini, alla conformazione

della via e delle piazze della cittadina di Egna-Neumarkt, questo primo schizzo è tradotto in un disegno planimetrico a matita [2] che conserva i tratti caratteristici dell’impianto urbano, quali il movimento delle cortine edilizie e la piazza centrale, redistribuendo nel lotto parte dei volumi degli edifici e precisando l’organizzazione degli spazi pubblici. È quasi certamente questo il disegno inviato da Manfredini il 2 maggio allo studio milanese di via Panizza ed è probabilmente questa la “base” sulla quale Albini interviene, redigendo un nuovo abbozzo planimetrico [3] destinato a Manfredini. «Caro Enea», si legge infatti nella lettera «dettata da Albini a Franca» il 27 maggio 1956, «da Genova ti ho spedito lo schizzo della planimetria del quartiere INA-CAsA senza riuscire a fare una copia, come era scritto sul disegno stesso. Come eravamo, guardalo, correggilo e quando sarà in pulito ci vedremo prima di spedirlo. Questa sera parto per venezia e tornerò giovedì sera. Potremmo vederci a Milano venerdì o sabato (giorno della costituzione e quindi festa e tranquillità). Ciao e tanti saluti alla Betta». “Ciao Franco ciao Franca”, sono i saluti che chiudono la lettera, scritta a mano da Helg. Due giorni dopo, il 29, è invece Albini a scrivere da venezia: «Caro Enea, Franca mi ha detto che spedirai direttamente a Roma la planimetria del quartiere INA-CAsA. Io qui non ho la lettera d’incarico: tu hai la copia; leggila: forse occorre fare una relazione e forse occorre mandarla all’Ente Appaltante. vedi cosa occorre fare. Nella relazione occorrerà spiegare la situazione del quartiere rispetto alla città, alla zona circostante e alle previsioni del piano, sia come nella rete viaria, che come servizi. Io tornerò a Milano giovedì notte. Ciao Albini». Nello schizzo, Albini regolarizza gli allineamenti degli edifici disposti ai fianchi della via interna che taglia in diagonale il lotto e, sfalsando alcuni blocchi, definisce il disegno della piazza centrale; posiziona i servizi collettivi –chiesa e centro parrocchiale, asilo, centro sociale e cinema– e introduce nelle fasce perimetrali ovest ed est dell’area una nuova tipologia di case isolate a sei piani, distribuite nel verde. Il carattere urbano e pubblico della via e della zona centrale è sottolineato dall’assenza di alberatura e dall’indicazione di lastricare le piazze e gli slarghi. Questa soluzione, messa “in pulito” su una tavola intestata e datata 31.5.1956 [4], è consegnata insieme alla relazione esplicativa allo IACP di Reggio Emilia il successivo 5 giugno ed è poi presentata e discussa il 2 agosto a Roma da Manfredini

Franco Albini, Franca Helg, Enea ManfrediniQuartiere Ina-Casa Rosta Nuova, Reggio Emilia1956–1961

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1—prima ipotesi di organizzazione planimetrica del quartiere, s.d. (aprile 1956)—first hypothesis of planimetric organization of the development, s.d. (April 1956) 

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6—studio parziale di facciata con il porticato ad archi ribassati e l’orditura strutturale del solaio in evidenza—partial facade study with the portico of segmental arches, showing the structural framework of the slab

7—prime ipotesi di distribuzione degli alloggi e aggregazione negli edifici a schiera del nucleo centrale del quartiere, ottobre 1956 -first hypotheses for the layout of the apartments and grouping of the buildings of the central nucleus of the development, October 1956 

8—studio per un appartamento tipo con tre camere da letto in posizione di testata nord o sud, 4/12/56—study for a standard apartment with three bedrooms, at the north or south end of the building, 4/12/56

9—studio per un appartamento tipo con quattro camere da letto in posizione di testata sud, 11/3/57—study for a standard apartment with four bedrooms at the southern end of the building, 11/3/57

2 —prima ipotesi di organizzazione planimetrica del quartiere, s.d. (maggio 1956)—first hypothesis of planimetric organization of the development, s.d. (May 1956) 

3 4 —seconda ipotesi di organizzazione planimetrica del quartiere, maggio 1956—second hypothesis of planimetric organization of the development, May 1956 

5—terza ipotesi di organizzazione planimetrica del quartiere, 5.II.1957—third hypothesis of planimetric organization of the development, 5.II.1957

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10—edificio “F” a quattro piani, pianta di un appartamento tipo con due camere da letto, 26.vIII.1958—building “F” with four stories, plan of standard apartment with two bedrooms, 26.VIII.1958

11—edificio “E” a quattro piani, sezioni trasversali, 26.vIII.1958—building “E” with four stories, cross-sections, 26.VIII.1958

12—edificio “F” a quattro piani, piante del piano terreno con i negozi e del piano tipo, 26.vIII.1958—building “F” with four stories, plans of ground floor with shops and standard floor, 26.VIII.1958

13—edificio “F” a quattro piani, prospetti est e ovest, fianchi nord e sud, 26.vIII.1958—building “F” with four stories, east and west elevations, north and south sides, 26.VIII.1958

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con il comitato tecnico della Gestione Ina-Casa (tra i presenti, Mario Ridolfi e Ghino venturi). In seguito all’approvazione verbale ottenuta dal comitato «assieme ad alcuni consigli e proposte di modifica di minor conto», Albini, Helg e Manfredini proseguono nello studio della planimetria e avviano quello dei tipi edilizi; la loro previsione –si legge nella lettera inviata il 24 settembre 1956 alla presidenza dello IACP– è di consegnare il progetto all’inizio del mese di febbraio 1957. Gli “schizzini” delle case a schiera –a una, due e tre camere da letto– e le loro aggregazioni negli edifici del nucleo centrale del quartiere [7], con due alloggi per piano serviti da un vano scala, sono oggetto di ipotesi e discussioni dall’inizio del mese di ottobre 1956. Già in questa prima fase la scala appare collocata all’interno del corpo di fabbrica e non giustapposta al fronte –come in precedenti progetti di Albini quali il quartiere “Mangiagalli” a Milano (1950–52, con Ignazio Gardella), le case Incis a vialba (1950–53), o le case per impiegati a Colognola (1954–55, con Franca Helg, rielaborazione del progetto di case Incis firmato con Manfredini per Reggio); ma il disegno reca l’indicazione di coppie di cavedi in corrispondenza della parete di spina longitudinale, utili sia a illuminare la parte più interna della scala sia come fonti di luce per i vani, per lo più di servizio, degli alloggi. Alla soluzione poi realizzata, con il cavedio da terra a cielo spostato verso la facciata che consente di illuminare e aerare la scala anche attraverso le logge degli ambienti di cucina-pranzo, i progettisti giungono negli schizzi distributivi degli alloggi redatti all’inizio di dicembre 1956 [8], ma molte cose rimangono ancora da precisare. Tra queste, stando a quanto scrive Helg a Manfredini il 29 dicembre, ciò che maggiormente sembra infastidire Albini è l’avere i soggiorni delle abitazioni orientati parte a est e parte a ovest, verso la strada e verso i campi – fatto, questo, «affidato semplicemente a un gioco casuale e a una ricerca soltanto formale e paesistica». La decisione di rivolgere tutti i soggiorni verso la strada principale –«e per ragioni di rumore e per ragioni di vivacità della strada stessa»– rende necessaria una revisione dei diversi tipi di appartamenti e, soprattutto, della loro aggregazione, per evitare un'eccessiva uniformità delle facciate. E infine comporta, stanti le diverse esigenze strutturali delle case a quattro piani con portico (per le quali è prevista una struttura in cemento armato) e delle case a tre piani (in muratura portante), un

attento studio delle soluzioni dei due tipi costruttivi, affrontato prevalentemente da Manfredini. I successivi approfondimenti dell’organizzazione interna degli alloggi rivelano la perizia con cui sono governate le prescrizioni della Gestione, componendo in modo ottimale gli ambienti della cucina pranzo e del soggiorno e le relative logge, di servizio e “abitabili”; ricavando ripostigli ed eventuali armadi a muro; separando e riducendo i disimpegni delle zone giorno da quelli delle camere; introducendo una loggia per i bagni la cui schermatura “a gelosia” in mattoni diventerà, insieme a quella delle logge delle cucine, un tema caratterizzante il disegno delle facciate. Negli alloggi più grandi (4 camere da letto) l’apertura della prima stanza sull’anticamera e non sul disimpegno notte viene indicata –non senza ragione e con previsione di futuri modi d’uso– in uno schizzo del marzo 1957 [9] come «più adatta per una famiglia dove ci sia un artigiano (es.

sarto)». In seguito alla prima consegna del marzo 1957, i progettisti lavorano sino alla metà del 1958 alle soluzioni di dettaglio, apportando modifiche puntuali richieste dalla Gestione (per esempio l’ampliamento delle scale dell’edificio A) o dallo IACP. Tra queste ultime, una delle più rilevanti riguarda la struttura degli edifici con il portico, ove l’adozione di una trave centrale longitudinale in luogo del telaio trasversale ha come conseguenza la scomparsa del ricercato effetto delle teste delle travi affioranti sul cordolo di facciata, a ritmare la successione delle arcatelle [6].sebbene le ultime tavole dei diversi tipi di alloggi e delle loro aggregazioni siano datate agosto 1958, la planimetria del quartiere del 5 febbraio 1957 [5] appare praticamente definitiva, almeno per quanto riguarda l’assetto delle residenze del nucleo centrale. sei edifici a schiera, contraddistinti da reciproci e variabili sfalsamenti dei corpi di fabbrica che li compongono, definiscono con chiarezza il carattere “cittadino” del centro del quartiere, mentre gli edifici isolati, in numero di ventiquattro, sono distribuiti

lungo i margini dell’area. La realizzazione di questi ultimi sarà affidata alla Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia, nel rispetto della localizzazione prevista dal piano e a partire dal “modello” costituito dalla casa per i dipendenti della Banca Nazionale del Lavoro (la prima a destra dell’edificio C, entrando da nord nel quartiere), progettata da Albini ed Helg. Maggiori conseguenze avrà invece la decisione dell’ottobre 1957 della Gestione Ina-Casa –su richiesta della Provincia Minoritica Francescana– di spostare il complesso parrocchiale dall’interno dell’area all’ingresso nord del quartiere, stemperando fortemente il carattere degli spazi pubblici intorno alla scuola elementare. Quest’ultima verrà realizzata nel 1961 congiuntamente da Albini, Helg e Manfredini, mentre ai soli architetti milanesi (in particolare a Helg) è ascritto il progetto architettonico del centro sociale (l’attuale biblioteca), realizzato come previsto a fianco dell’edificio E, sulla piazza centrale. Costruito nel 1959-60, il quartiere è abitato dal 1961 e un ultimo non secondario intervento è effettuato dagli architetti nel mese di settembre: in seguito alle insistenze degli inquilini per avere “del verde” davanti alle case della strada principale, Albini, Helg e Manfredini propongono di evitare «zone erbose di difficile e incerta manutenzione» (oltre che inadatte al carattere cittadino della via) e di creare una fascia d’alberi che ombreggi il marciapiede («platani, tigli o ailanthus») e, dove possibile, sistemare delle panchine. «Dopo molte nuove esperienze formali e dopo molte nuove esperienze tecniche, abbiamo bisogno di creare la tradizione architettonica attuale», scriveva Franco Albini nella menzionata presentazione dei lavori di Manfredini. «Forse questa potrà assumere una propria fisionomia, se gli architetti approfondiranno il loro lavoro in alcune direzioni: innanzitutto credo occorra creare una maggiore tipizzazione degli organismi architettonici. […] Pensiamo che a ogni categoria di organismi debba corrispondere una soluzione architettonica ben riconoscibile. Entro questa tipizzazione occorre cercare una maggior caratterizzazione in rapporto alla regione geografica e in rapporto all’ambiente sociale, e ancora occorre arrivare a una riconosciuta qualificazione dei mezzi di espressione». sono, questi, i convincimenti condivisi su cui si fonda l’intervento di Reggio Emilia: una casa “per ciascuno” e, insieme, per una comunità che abita il quartiere di una città.

14 —aerofotografia di Reggio Emilia con l’indicazione del quartiere Ina-Casa—aerial photo of Reggio Emilia with indication of the Ina-Casa development 

15 17—la piazza centrale vista da sud-ovest e da sud-est prima e dopo la piantumazione degli alberi, 1961 e 1964 circa —the central plaza seen from southwest before and after the planting of trees, 1961 and 1964 circa

16—la piazza vista da est, 1970—the plaza seen from the east, 1970

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18—vista da nord-est dell’edificio “E” sulla strada di attraversamento, 1964 circa—view from northeast of building “E” on the crossing road, 1964 circa

19—la piazza centrale vista da sud-est, 1964 circa—the central plaza seen from southeast, 1964 circa

20 21—la piazza centrale vista da sud-ovest, 1964 circa—the central plaza seen from the southwest, 1964 circa

fotografie di Guido Guidi e Mariano Andreani

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edilizia torna così a essere protagonista, eludendo tuttavia ri-visitazioni storicistiche di matrice postmoderna. La casa di-venta la variabile con cui contribuire alla qualità spaziale della strada. In essa convivono la matrice pedonale e quella veico-lare, eludendo la banale ripetizione di aree pedonali ovunque e sempre come ricetta precostituita. Nella strada si stratifi-cano forme diverse di relazioni che non possono essere esple-tate dai soli aspetti formali, ma coinvolgono modi e usi dello spazio pubblico. Il valore urbano si concretizza in un’intera-zione diretta tra corpo edilizio e strada e si esprime per esem-pio in determinati schemi distributivi di accesso alla residenza, in possibili discontinuità della cortina edilizia, in un controllo reciproco in cui la strada non è mai deserta quando intorno ci vivono le persone e la casa non è mai solitaria quando da-vanti ci passeggiano le persone. Non a caso la figura dell’iso-lato è tornata a primeggiare nei progetti urbani ed è singolare scoprire che anche movimenti politici come il catalano Pode-mos hanno riconosciuto, attraverso la sperimentazione sulla supermanzana, la qualità del carattere urbano sotteso dalla re-lazione casa-strada-isolato. La città ottocentesca è tornata a modello di riferimento, mentre le evocazioni moderniste pa-gano i fallimenti che hanno stigmatizzato le periferie urbane. Anche se i problemi hanno riguardato spesso la gestione e non la progettazione di questi luoghi, oggi si considerano con estrema severità i modelli abitativi ad alta densità che inse-guivano l’utopia della città-giardino a favore delle più rassicu-ranti figure della città storica. In questo processo il piano terra diventa il punto di contatto più significativo. Mai come ora vi è una ricchezza progettuale nella definizione dell’attacco al suolo. se il manufatto edilizio si misura in metri, il piano terra è diventato un dispositivo di design la cui precisione esige la scala del centimetro. Due processi contrapposti caratteriz-zano questo tema: da una parte il piano terra è il luogo capace di attrarre le funzioni integrative all’abitare, funzioni rivolte alla città e che donano complessità al comparto. Altre volte il piano terra viene utilizzato per usi abitativi favorendo un’inedita spe-rimentazione sui modi d’abitare e rafforzando il carattere di domesticità dello spazio pubblico prospiciente. Queste due figure, apparentemente opposte, incarnano la dicotomia con la quale governare sfumature differenti di caratteri urbani di-stinti. Tuttavia entrambe evidenziano una comune e maniacale precisione nel progettare la sezione del piano terra connesso al disegno del suolo: gradini, recinzioni, vetrate, dislivelli, inter-piani, marciapiedi e davanzali sono precisi elementi per la defi-nizione della separazione, o sovrapposizione, tra la sfera pub-blica e quella privata.

L’ultimo aspetto da evidenziare riguarda il rapporto tra le parti e l’insieme. Come per la città anche per gli edifici la va-

riazione è diventata una figura ricorrente. La città, diceva Aldo Rossi, si costituisce per parti e la contrapposizione tra di esse genera processi identitari. Allo stesso modo la tensione verso la variazione e l’eccezionalità che si incontra nei comparti re-sidenziali di recente costruzione rappresenta un esplicito ri-ferimento alla stratificazione della città storica e l’adesione ai valori urbani sottesi. Le modifiche di alcune parti di una resi-denza si relazionano all’insieme con la stessa schietta indiffe-renza con cui un quartiere si confronta con il resto della città. Le differenze sono il simbolo di una metropoli ordinatamente caotica. Altezze, cubature, rapporti tra pieni e vuoti, tra spazio verde e costruito esprimono il tentativo di eludere la mono-tonia dei grandi comparti residenziali. Questa posizione non è ideologica ma nasce da una constatazione veicolata dalle esperienze del recente passato: l’uniformità delle forme sim-boleggia la standardizzazione dei processi e la ripetizione del prodotto, modelli nei quali la società contemporanea non si ri-conosce più. si esplicita così la volontà di diversificare le parti al fine di costruire un insieme carico di identità. Le strategie progettuali utilizzate sono molte: l’uso di più tipologie edilizie evoca un’idea di abitare costruito su esigenze soggettive che rispondono a una generale ridefinizione dei rapporti tra indivi-duo e società. L’uso di altezze differenti è strumentale a rico-noscere parti distinte del progetto addensando, per esempio, la cubatura verso gli angoli o verso i lati più esposti dei lotti. L’uso strumentale del contesto e delle preesistenze consente di valorizzare delle eccezionalità così come il coinvolgimento di più progettisti all’interno di uno stesso masterplan favori-sce la diversificazione di modelli e tipi edilizi. Questi processi, anche se assumono a volte caratteri quasi caricaturali, espri-mono la chiara volontà di attingere a repertori formali diffe-renti al fine di restituire un’immagine complessa dell’architet-tura quale nuova espressione e metafora di urbanità.

La città è fatta in larga parte da edifici residenziali. Case e abitazioni sono il materiale urbano che in forma più perva-siva caratterizza l’immagine delle metropoli e ne definisce le gerarchie spaziali. oggi il progetto residenziale torna, come è stato in passato, a rivestire un ruolo da protagonista e ad es-sere strumento per il disegno urbano e promotore di forma ur-bis. In questo processo le forme d’abitare sono scevre da ide-ologie e da revisionismi storici. si intravedono espressioni di nuovi stili di vita che evidenziano una rinnovata attenzione alla comunità di cui la casa collettiva esprime la più alta manife-stazione. Rigenerazione urbana e nuove forme d’abitare sono binomi di un unico processo che coinvolge le città, le econo-mie e le società. È per questo che osserviamo con ottimismo e fiducia l’evolversi del progetto abitativo e delle città che lo ospitano.

Le città occidentali stanno vivendo oggi una profonda rina-scita e dopo decenni di crisi sono tornate ad attrarre capitali e popolazione. In molte parti d’Europa esiste un’inversione di tendenza: il sogno pionieristico della “casa con giardino” che nel passato ha attratto il ceto medio verso l’enorme sprawl dei contesti suburbani è oggi sostituito da un rinnovato interesse per l’abitare urbano e per i valori che questo sottende. Le città sono viste non più come luoghi del disagio, della bassa qualità, dell’esclusione sociale e della contrapposizione tra enclave iperservite riservate a pochi a discapito della maggioranza. Al contrario, oggi le città sono percepite come l’espressione più democratica della società e come occasione di convivenza collettiva. Questo processo, anche se difficile da generalizzare in un contesto eterogeneo come quello europeo, è riconosci-bile come trend economico, urbano e demografico in molti Paesi occidentali.

Alla luce di alcuni approfondimenti dedicati al tema della casa promossi in questo e nei prossimi numeri di «Casabella», diventa interessante verificare come il progetto abitativo rea-gisca al nuovo paradigma urbano. Modi e forme con cui que-sto avviene sono l’oggetto di questo breve scritto.

Il primo aspetto da evidenziare riguarda la densità. Attra-verso principi insediativi diversificati è possibile riscontrare la tendenza a valorizzare forme aggregative compatte e ad alta concentrazione. La densità è diventata un valore ecologico ol-tre che economico che coinvolge sia il consumo di suolo, l’ap-provvigionamento delle risorse e la mobilità di persone e cose, sia una diversa forma di accorpare servizi, spazialità e atmo-sfere. L’aggregazione di molti abitanti offre opportunità so-ciali che la dispersione nega ed è forse questo il principio che con maggiore evidenza esprime la rinnovata connessione tra casa e città. Avvicinare le persone significa, innanzitutto, cre-

are la base sulla quale avviare nuove convivenze sociali oltre che spaziali. È un concetto antico sul quale si è costruita la cultura della città occidentale e che vede oggi una rinnovata progettualità. Densificare significa accentrare cubature, fun-zioni e usi. La prossimità tra oggetti, persone e funzioni incen-tiva le contaminazioni e le opportunità che le cose accadano solo perché vicine tra di loro. Ciò favorisce la mixité degli edi-fici che, attraverso programmi articolati, rispondono sia alle molteplici esigenze di chi vi abita, sia alla necessità di inte-grare attività produttive commerciali e terziarie a quelle resi-denziali. La complessità delle città, esito di un intricato ecosi-stema di energie e pulsioni sociali, economiche e formali, è un modello verso il quale i progetti residenziali tendono. È chiara la spinta verso un abitare capace di riproporre al suo interno la medesima complessità che caratterizza le metropoli contem-poranee. La densità di forme e usi diventa così espressione di urbanità, simbolo e veicolo di un carattere abitativo compro-messo ai valori della città.

Un secondo aspetto riguarda il rapporto tra casa e strada e, più in generale, tra l’edificio e il suo intorno. A seguito della banalizzazione dei principi del Movimento Moderno la strada è stata a lungo considerata un semplice dispositivo distributivo autonomo dagli edifici con il conseguente abbandono della figura dell’isolato come matrice costitutiva della città. Inse-guendo il modello di città-giardino, le abitazioni si sono di-stanziate dalle strade e il parco è diventato l’elemento aggre-gativo di riferimento. Ancora oggi molti progetti di rigenera-zione urbana inseguono la retorica vernacolare del verde agre-ste incentivando nuovamente la separazione tra gli elementi urbani. Diversamente esempi più interessanti mostrano l’uso della residenza come materiale urbano per la costruzione di una relazione diretta tra edificio e spazio pubblico. La cortina

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Il carattere urbano della residenza Camillo Magni

Quartieri e tipologie residenziali

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