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Strozzi Planet A.S. 2008/2009 MAGGIO 2009 Anno III Numero Speciale INTERCULTURA E DINTORNI

Strozzi Planet 2009- Intercultura e dintorni

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Giornalino della secondaria di I grado Bernardo Strozzi per il progetto Giornale in classe del Secolo XIX con Fondazione Carige

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Strozzi Planet

A.S. 2008/2

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MAGGIO 2009

Anno III Numero Speciale

INTERCULTURA E DINTORNI

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Sono state previste dalla Camera le “classi d'inserimento”, cioè classi separate per gli studenti stranieri che non supereranno non ben precisati test linguistici . Questi alunni potranno frequentare le classi normali solo dopo aver seguito con profitto corsi di ap-prendimento dell'italiano. L'obiettivo di tutto ciò sarebbe quello di realizzare una vera inte-grazione. Sinceramente non penso proprio che le classi d'inserimento siano un passo avanti verso u-na reale integrazione - quest’ultima è tutt'al-tra cosa - casomai le ritengo un passo indie-tro rispetto alla situazione di adesso. Non ve-do insomma l'utilità di queste classi speciali, Non si integrano gli stranieri con una classe a parte, seppur temporanea, casomai si ottie-ne questo risultato permettendo loro di stare insieme ai coetanei italiani. Lo stare assieme è un antidoto contro il razzismo. Ci si avvici-na all’Altro , accogliendolo, condividendo e-mozioni e racconti, insomma conoscendolo .

”Ti conosco, dunque non ti evito”. Le clas-si d'inserimento mi sembrano proprio il contrario. L'integrazione presuppone poi la valorizzazione delle differenze e non solo l’ adeguarsi del ragazzo straniero ai valori culturali del paese ospitante. Occorre, insomma, educare all'incontro con l'altro, all’intercultura, e la scuola può fare moltissimo, anche con progetti come que-sto che coinvolge Il Secolo XIX e Fonda-zione Carige. Nell’incontro, nella frequentazione scola-stica ci si ritrova piacevolmente uguali e sorprendentemente diversi. Ecco, fare le stesse cose in modo diverso, trasformando le differenze in una fonte d'apprendimento: questa può essere la ricchezza di una clas-se. A proposito di classi, nella nostra terza ci sono quattro ragazzi stranieri e siamo un gruppo unito, I nostri compagni stranieri hanno fatto buoni progressi dall’inizio del-le medie, una di loro , in Italia da soli due anni, è diventata una tra le più brave della classe in grammatica italiana! Se non fosse stata da subito inserita in una classe norma-le avrebbe ottenuto gi stessi risultati? Pen-so proprio di no Ayla Schiappacasse III B

CLASSI D’INSERIMENTO: NO GRAZIE!

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Sopra una slide degli ipertesti su Gandhi e Luther King della III B La II H ha realizzato un bellissimo ipertesto sull’intercultura.

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TORNA IL GIORNALE IN CLASSE

Ecco tornato Strozzi Planet, il giornalino uscito per la prima volta nel 2006, da quando cioè la Strozzi partecipa al be l l i s s imo proge t to :” Il giornale in classe del Secolo XIX. La novità di quest’anno è che alle classi della Sede se ne sono aggiunte alcune del plesso di Via Vecchi. L’iniziativa rientra tra le atti-vità del progetto “Giornale a scuola, ideato e coordinato dal prof. Maurizio Braggion, che sarà coadiuvato quest’anno, dalle insegnanti Cristina Delo-renzi, Gabriella Demicheli Laura Galliadi, Alfredina Ga-sparini, Cristina Gentile, An-gela Vernizzi. All’iniziativa del Secolo XIX è legato, come è noto , l’abbinamento con uno sponsor. Due anni fa il nostro “partner” era stato Telecom Progetto Italia(progetto su

Manzoni ), lo scorso anno la Bi-blioteca Berio(Dante Alighieri tra realtà e fantasia). Quest’anno lo sponsor + un altro nome prestigioso della nostra città: Fondazione Carige. Una scelta non casuale, che con-sentirà agli allievi di occuparsi con testi, ipertesti e video- alcuni dei quali pubblicati sul web- del tema dell’integrazione e della intercul-tura, scelto con Carige, A proposito, il 3 novembre è inter-venuto a scuola a parlare proprio di queste tematiche Pieluigi Vinai(nella foto) vicepresidente della Fondazione . Hanno preso parte all’incontro quasi tutte le classi aderenti al progetto. Nel giornalino, cartaceo e on line è stato dato spazio oltre che ovvia-mente all'integrazione e all’intercultura, ai racconti, alle biografie e alle interviste reali e immaginarie a Colombo, Garibal-di, Luther King , Gandhi , Ken-nedy. Fanno parte del progetto gli iperte-sti interculturali della III B e della II H. ,

Alcune immagini di bambini Saharawi inserite nel video realizzato al computer da Ayla Schiappacasse, Francesca de Ga-etano, Francesca Parodi della III B

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Giuseppe Garibaldi ,detto l’ Eroe dei due mondi per le sue imprese militari in Sud America e in Europa, nacque a Nrzza, in quai Lunel, di fronte al porto, il 4 luglio del 1807 . Nizza a quei tempi era sotto la sovranità francese, ma sette anni dopo tornò pie-montese. Giuseppe era il secondogenito di un im-migrato chiavarese, Domenico, capitano navale e poi proprietario di una nave, la Santa Reparata, e di Rosa Raimondi, originaria di Loano. I Garibaldi si erano sposati a Genova nel 1802 e . Giuseppe, chiamato Peppino, fera il secondogenito; prima di lui era nato Angelo. I Garibaldi ebbero altri due maschi, Michele e Felice, e due bambine, morte in tenera età. Fin da bambino, Giuseppe fu un ribelle: amava il divertimento e la vita di mare ed era poco interessa-to allo studio .A dodici anni, si imbarcò con tre coe-tanei su una barca da pesca per raggiungere Geno-va. I tre furono fermati all'altezza di Monaco e ri-condotti a casa. I suoi volevano che studiasse per diventare un gior-no avvocato, medico o prete, ma Giuseppe aveva altre idee . Il .padre, infine, si rassegnò, permet-tendogli di sospendere gli studi per dedicarsi alla vita di mare.Nel 1821 si imbarcò come mozzo sul brigantino “Costanza” per Odessa, mentre nel 1827 salpò da Nizza per Costantinopoli . La nave fu attac-cata dai corsari turchi. Sbarcato a Costantinopoli, dovette rimanervi sino al 1832, a causa della guerra turco-russa. Nel 1833 conobbe a Marsiglia Emile Barrault, uomo di teatro, che lo colpì dicendo che l'eroe è colui che adotta per patria l'umanità e offre la spada e il san-gue a favore di ogni popolo che lotta contro la tiran-nia, Garibaldi, venuto a conoscenza sempre in quel periodo delle idee di Giuseppe Mazzini, aderì alla "Giovine Italia" di Mazzini e si arruolò nella marina piemontese. Avrebbe dovuto organizzare un'insurre-zione a Genova, Essa non vi fu, a causa del falli-mento di una sollevazione in Piemonte. Garibaldi fuggì a Nizza, presso una zia. Condannato alla pena di morte, raggiunse prima Marsiglia, poi, nel 1835,Rio de Janeiro. In Brasile, egli si unì ai ribelli del Rio Grande del Sud che combattevano l'impero brasiliano e fu ferito alla gola. A Morro della Barra conobbe Ana Maria de Jesus Ribeiro, detta Anita. La sposò ed ebbe da lei un figlio. In seguito, Gari-baldi raggiunse l’Uruguay . Lì combatté con gli in-

dipendentisti uruguaiani contro la flotta argentina, diventando infine comandante delle forze armate. Tornato in Italia nel 1848, partecipò alla Prima guerra di Indipendenza. Nel 1849 combatté per la Repubblica Romana i Francesi assieme a Mazzini, Pisacane, Mameli. Dopo la fine della Repubblica, il 2 luglio del 1849 fuggì da Roma, con l‘idea di rag-giungere Venezia. Inseguito dagli Austriaci, perse la moglie Anita che morì nelle paludi di Comacchio. Raggiunta avventurosamente la Liguria, si imbarcò per la Tunisia, quindi raggiunse Tangeri, in Maroc-co. Nel 1850 si trasferì a New York, dove lavorò in una fabbrica di candele. Si recò in seguito in Perù e in Cina.. Tornato in Italia nel 1854 , con un'eredi-tà di 35 mila lire, comprò metà dell’isola di Caprera. Viveva in una fattoria, circondata da un oliveto, con circa 100 alberi d'ulivo, e da un vigneto. Gari-baldi allevava bovini, polli, capre, maiali e asini. Nel 1859, scoppiata la Seconda guerra d'Indipen-denza, guidò i Cacciatori delle Alpi , un corpo di volontari, ottenendo splendide vittorie. L’anno do-po, come è noto, diventò l’ eroe del Risorgimento italiano con l’impresa dei Mille, che determinò la cacciata dei Borboni dal Sud e la riconquista del Regno delle due Sicilie; Garibaldi con mille volon-tari si imbarcò a Genova Quarto. I Mille, sbarcati a Calatafimi, il 15 maggio, con l’aiuto degli insorti siciliani, sconfissero le truppe borboniche ed entra-rono a Palermo. Dopo la vittoria di Milazzo attra-versarono lo stretto di Messina e sbarcarono in Ca-labria, entrando trionfalmente a Napoli. Dopo la vit-toria sul Volturno, Garibaldi lasciò a Vittorio Ema-nuele i territori conquistati. Il 29 agosto del 1862 fu fermato sull’Aspromonte dalle truppe regolari del Regno d'Italia. Ferito, fu tenuto per qualche settima-na prigioniero in una fortezza militare.. Partecipò in seguito alla Terza guerra di indipenden-za, sconfiggendo gli austriaci a Monte Suello e a Bezzecca, Fermato dal generale Lamarmora, prima di lasciare il Trentino pronunciò il famoso "Obbedisco".. Nel 1871 Garibaldi prese parte alla guerra franco-prussiana, schierandosi con i france-si .Fu eletto deputato nel dipartimento della Senna, ma decise di ritirarsi a Caprera,dove morì nel 1882 III B.

GARIBALDI EROE DEI DUE MONDI

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Trascriviamo i punti più significativi del discorso pronunciato da Martin Luther King, a Washington,il 28 a-gosto 1963 Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Pro-clama sull’Emancipazione(…) venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano s t a t i b r u c i a t i s u l f u o c o dell’ingiustizia. (…).Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata (dalla) segregazione e dalle catene della di-scriminazione(…) cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.(…) Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il mo-mento di levarsi dall’oscura e desola-ta valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratel-lanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Di-o. (…)Il 1963 non è una fine, ma un inizio.(…) Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. (…) I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno lu-minoso della giustizia. Ma c’è qual-cosa che debbo dire alla mia gente (…)Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. (…) Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. (…) molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capi-re che il loro destino è legato col no-stro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è… legata alla no-stra libertà. (…)Non possiamo cam-

minare da soli.(…)Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia. (…) finché i no-stri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno tro-vare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città(…) finché i nostri figli saranno privati della loro di-gnità da cartelli che dico-no:"Riservato ai bianchi". (…)non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giusti-zia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume pos-sente.(…)Ritornate nel Missis-sippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qual-che modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione. E per-ciò, amici miei, vi dico che(…) io ho sempre davanti a me un sogno. … che un giorno sulle rosse colline della Geor-gia i figli di coloro che un tem-po furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedet-tero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratel-lanza.Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza d e l l ’ i n g i u s t i z i a , co l m o d e l l ’ a r r o g a n z a dell’oppressione, si trasforme-rà in un’oasi di libertà e giusti-zia.Io ho davanti a me un so-gno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qua-lità del loro carattere. Ho da-vanti a me un sogno, oggi!..

I HAVE A DREAM

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15 maggio Era sera, ormai, e il profumo delle zagare impregna-va l’aria tiepida. Il mare, pigramente, ripetitivamen-te, lambiva le coste di Calatafimi, quando mi trova-vo a passeggiare sulla battigia, assorto, inquieto e nel contempo eccitato, stropicciando tra le mani il mio blocchetto di appunti. Avevo saputo da amici genovesi che alcune navi ca-riche di ardimentosi erano partite alla volta della Si-cilia, e il direttore del mio giornale mi inviò qui per saperne di più. Li guidava un biondo giovine, di nome Giuseppe. Giovane, certo, ma già rotto ad ogni esperienza guerresca ed uomo di mondo. Ero assorto in questi pensieri quando molti navigli apparvero sulla linea dell’orizzonte avvicinandosi velocemente alla riva. La gente accorreva incuriosi-ta ed ammirata dalla moltitudine di giovini che or-mai affollavano la spiaggia in una confusione di gri-da e comandi, canti e camice rosse. Fra tutti svetta-va un giovine, dalla figura autorevole . Mi avvici-nai titubante a colui che appariva senza alcun dub-bio essere il capo riconosciuto. Da vicino sembrava ancora più attraente, con denti bianchi e perfetti ed un sapore medio-orientale che affascinava. Mi rivolsi timidamente a lui “il Signor Garibaldi, presumo” gli dissi, rammaricandomi nel contempo per la banalità del mio approccio. Lui mi guardò e affabilmente rispose “al vostro servizio!”. Mi sembrò di conoscerlo da sempre e l’intervista fu un’ esperienza estremamente piacevole <Signor Garibaldi perché lei è venuto qui in Sicilia con tutta questa gente?> <Perché abbiamo bisogno di supporto militare per un incursione a Napoli > <E perché a Napoli?> <Per conquistare l’Italia è necessario scacciare i Borboni dal sud.> >Ma che cosa è l’Italia?> >Non lo so precisamente ancora, ma mi sembra una bella cosa. A Torino, i Savoia, mi hanno detto di fa-re l’Italia e io sono partito> <Perché proprio mille?> <Perché non ne ho trovati altri! Spero che bastino> <Dove è nato?> <Sono nato a Nizza. Ma sono sem-pre stato un ribelle. Pensi che ho tentato più volte di imbarcarmi su varie navi. Volevo vedere il Mondo.

Ma mio padre mi ha sempre scovato. Quante puni-zioni! > <Poi c’è riuscito ? ><mio padre, alla fine, s’e arreso e mi ha imbarcato su una nave come moz-zo.> <Quando ha iniziato la sua carriera militare? >ho aderito da subito alla “Giovane Italia” mi piace-vano i discorsi di giustizia e libertà del mio amico Mazzini. Ho combattuto durante i moti di Genova. Che batosta!! Meno male che Nizza è vicina a Ge-nova! Sono dovuto scappare in America, perché gli austriaci mi volevano morto Comunque mi sono tro-vato bene in mezzo al casino, sono rimasto e ho fat-to carriera. Ho combattuto in mezzo mondo: Argen-tina, in Brasile e in Uruguay. Un bel filotto di vitto-rie. Ho preso una palla in corpo ma ne è valsa la pe-na. > <Lo so. Lo so. E l’amore. Ha mai avuto una relazio-ne?> <Certo con Anita, una ragazza argentina. Carina, abbiamo avuto anche un figlio. Purtroppo è morta di malaria, 10 anni fa.mentre scappavo da Roma.una bella batosta anche lì. > <Lei è ricco? Cosa pensa di fare da vecchio? > <Non ricco ma benestante. E poi trovo sempre per-sone felici di ospitarmi. Ho girato mezza italia così. (non c’è posto in Italia dove Garibaldi non sia stato in effetti ) Ho un allevamento con tanti animali. Da vecchio sogno di ritirarmi a Caprera, ad allevare be-stiame. Ma adesso mi scusi. devo combattere> Già i primi colpi di moschetto risuonavano tra le ca-se del paese. <Grazie, Giuseppe. E che i venti ti sia-no propizi!” Mi allontanai lasciando quella moltitudine di giovi-ni per recarmi al giornale.Il mio articolo fu un suc-cesso fra i siciliani e la vittoria a Napoli fece ancora più scalpore tra il popolo che festeggiò la vittoria ottenuta e soprannominò Garibaldi eroe dei due mondi. Marco Mazzella III B

INCONTRO CON GARIBALDI A CALATAFIMI

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Martin Luther King nacque nella città di Atlanta, nello Stato della Georgia, il 15 gennaio 1929. Suo padre era un pastore della Chiesa battista e la madre una maestra. Nella primissima infanzia il piccolo Martin era solito giocare con i bambini bianchi del quartiere ma, con l'inizio delle scuole elementari fu escluso, i coetanei vicini di casa non potevano neppure parlargli, per decisione dei loro genitori. La cosa era per lui giustamente incomprensibile. Chiese spiegazioni alla madre che gli disse cosa significava essere di colore e vivere in uno Stato del Sud e gli parlò delle lontane origini africane e della lunga e terribile schiavitù sopportata dalla sua gente. Martin cominciò a chiedersi che cosa avessero di diverso i neri dai bianchi e perché dovessero vivere in condizioni subalterne ed essere disprezzati. Durante l'adolescenza, mentre frequentava il "Morehouse College" , un collegio di Atlanta per i neri, Martin capì, grazie soprattutto alle parole di un insegnante, l'importanza rivoluzionaria della religione e del pensiero religioso. Dopo il liceo, s'iscrisse al Seminario di Chester e conseguì il dottorato in filosofia all'Università di Boston. Nel 1947 fu ordinato pastore della chiesa battista. All’università conobbe Coretta Scott Young, una giovane che sognava come lui di fare qualcosa per la propria gente. I due giovani, sposatisi nel 1953 , andarono a vivere a Montgomery, in Alabama, dove, come in tutti gli Stati del Sud era diffusa l’intolleranza razziale. A partire da quegli anni Martin cominciò ad impegnarsi per i suoi fratelli di colore e per porre fine alle umiliazioni che essi, lui per primo, subivano. Basti pensare che un giorno King dovette entrare in un negozio dal lato posteriore, perché l’ingresso principale era riservato alla "razza bianca". Grazie anche alle sue prediche , che erano seguitissime, in breve tempo la fama di King si diffuse e aumentarono i suoi proseliti. Il mo-dello di lotta che lo ispirava era quello non violento di Gandhi. Nel dicembre del 1855 accadde

l’episodio che segnò una svolta nella lotta di King e scatenò la rivoluzione nera. Rosa Parks, una giovane sartina di Montgomery , impiegata in un grande magazzino salì su un autobus per tornare a casa: aveva lavorato tutto il giorno ed essendo molto stanca, cercava un posto per sedersi. Essendo occupati tutti i posti riservati ai neri, si sedette su uno , tra i molti rimasti liberi, riservato, per la legge segregazionista, ai bianchi. Poco dopo salirono sul mezzo sei passeggeri bianchi, perciò le fu imposto dall’autista di liberare il posto e di portarsi nella parte posteriore. Lei rifiutò. Il conducente, allora, fermò l’autobus e chiamò la polizia . Rosa fu arrestata per essersi seduta in un posto "per i bianchi". King, venuto a conoscenza del fatto, si mise in contatto con i capi della comunità nera, che gli affidarono l’incarico di organizzare la protesta. Egli lanciò l'idea di boicottare tutti i mezzi pubblici: nessun nero sarebbe salito sugli autobus fintanto che non fosse stata eliminata la divisione dei sedili tra bianchi e neri. L''iniziativa ebbe un enorme successo:nei giorni seguenti le vetture pubbliche erano quasi vuote, non solo i neri, ma anche parecchi bianchi aderirono alla "Lotta non violenta" promossa da King. Martin , che aveva subito in precedenza un attentato razzista, fu denunciato per "aver danneggiato l'azienda dei trasporti pubblici" . Mentre stava per iniziare il processo, arrivò però la notizia che la Suprema Corte degli Stati Uniti d'America aveva dichiarato "illegale" la segregazione praticata sugli autobus.Coretta abbracciò il marito, avevano vinto!Nel 1957 Martin fondò la SCLC, un movimento non violento, che aveva come unica arma la resistenza passiva e che si batteva per i diritti di tutte le minoranza. In quell’occasione, davanti a 250 mila cittadini, pronunciò un discorso famoso che iniziava con le parole "I have a dream…" In questo discorso egli esaltò la non violenza e gli ideali cristiani."Io ho davanti a me un sogno-disse King-

che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere assieme al tavolo della fratellanza." Nel 1964, a Oslo, fu consegnato a Martin il premio Nobel per la pace. Lo stesso anno, il papa Paolo VI lo ricevette in Vaticano.Nel 1966 King, dichiaratosi contrario alla guerra nel Vietnam, si trasferì a Chicago. Intanto, le discriminazioni nei confronti dei neri continuavano. In un’omelia King disse" Ho visto troppo odio per non desiderare a volte di odiare: ho visto odio in troppi sceriffi, in troppe autorità bianche, in troppi membri del Ku-Klux-Klan nel Sud, per non avere la tentazione di odiare. Ogni volta che vedo odio, io mi dico che è un peso troppo grande da sopportare. Non so come faremo, ma dovremo riuscire a rizzarci di fronte ai nostri nemici più accaniti e dovremo saper dire: …La vostra forza fisica cozzerà contro la nostra forza morale. Fateci ciò che volete, noi continueremo ad amarvi...". Molti neri, esasperati, finirono col rifiutare la non-violenza di King e si rivolsero ad organizzazioni estremiste e violente, Malcom X, Black Power e Black Panthers. Nel mese di aprile dell'anno 1968 King si recò a Memphis per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città che erano in sciopero. Mentre si trovava con la moglie alcuni collaboratori sulla veranda del motel Lorraine, fu colpito da alcuni colpi di fucile sparati dalla casa di fronte. Il presunto killer fu arrestato a Londra circa due mesi più tardi, si chiamava James Earl Ray. Al processo fu condannato a novantanove anni di reclusione. Evaso e nuovamente catturato, rivelò di non essere stato lui a uccidre King e di conoscere il nome del colpevole. Quel nome non lo poté però mai rivelare, in quanto la notte seguente fu ucciso nella sua cella. Ai funerali di King parteciparono migliaia di persone.

LA BIOGRAFIA DI MARTIN LUTHER KING

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Cristoforo Colombo, nacque a Genova , vicino a Porta S. Andre-a, nel 1451, probabilmente tra a-gosto e ottobre . Fu il primo figlio di Domenico, lanaiolo, e di Susan-na Fontanarossa. Il padre di Co-lombo, verso il 1470 si trasferì con tutta la famiglia a Savona. Dopo aver esercitato sino ai vent’anni il mestiere del padre , egli cominciò a navigare per alcune compagnie commerciali, compiendo tra il 1474 e il 1476, i primi viaggi in mare aperto, nei porti allora geno-vesi di Scio e Chio, nell’Egeo. Forse partecipò ad un’impresa corsara a Tunisi. Il 13 Agosto del 1476, rientrò fortunosamente in Portogallo, do-po un naufragio, e si stabilì a Li-sbona, capitale delle avventure per mare. Da lì compì viaggi verso l’Inghilterra, l’Irlanda, l’Islanda, gli arcipelaghi atlantici e le coste della Guinea. Nel 1479 sposò Feli-pa Moniz Perestrello; morta sei anni dopo, dalla quale ebbe un fi-glio, Diego. . Nell’agosto del 1488 nacque, invece , da Beatriz Enriquez de Harana, il figlio Fer-dinando. Colombo, convintosi , sulla base degli studi di molti geografi, che la Terra fosse rotonda e non piatta come si sosteneva da millenni, co-minciò a pensare di poter rag-giungere le Indie, navigando verso Occidente. “Buscar el Levante por el Poniente” Egli, forse confon-dendo le miglia marine con quelle terrestri, riteneva che le Indie di-stassero dall’Europa solo 4000 chilometri. Per tentare l’avventura , aveva bi-sogno di denaro e che gli armas-sero qualche nave i. Si rivolse per-ciò a Giovanni II, il nuovo re del

Portogallo, ma ricevette un ri-fiuto. Altrettanto avvenne con il re d’Inghilterra. Colombo, che, nel 1485, si tra-sferì in Spagna, nella zona di Palos, venne ricevuto all’inizio dell’anno successivo, dai Re Cattolici, ai quali espose il suo progetto Finalmente, nel 1492, i sovrani di Spagna, Ferdinando e Isabella, credendo nei calcoli di Colom-bo , decisero di finanziare il vi-aggio. Il 3 agosto di quell’anno Colom-bo salpò dal porto di Palos con tre caravelle (le famosissime Ni-na, Pinta e Santa Maria) . L’equipaggio , spagnolo, era composto da 88 uomini. Colom-bo e i suoi uomini avrebbero cercato di mantenere la rotta con il solo aiuto della bussola e delle stelle. Dopo aver fatto una sosta tecnica alle isole Canarie, dal 12 agosto al 6 settembre, essi ripartirono verso occidente, iniziando la tra-versata oceanica . Dopo una lunga e faticosa navi-gazione, durata 33 giorni, quan-do la ciurma, decisa a tornare in-dietro, stava per ribellarsi, il 12 ottobre 1492 la vedetta, urlò “Terra! ” Era stata infatti avvi-stata nell’arcipelago delle Baha-mas, l’isola di Guanahani. Co-lombo, dopo averne preso pos-sesso in nome dei reali di Spa-gna, la battezzò San Salvador. Egli pensava di aver raggiunto un’isola dell’arcipelago giappo-nese. Si trattava invece , anche se Colombo non se ne rendeva conto, della scoperta delle Ame-riche, data che segna l'inizio dell'Età Moderna.

Successivamente Colombo e i suoi scoprirono Santa Maria de la Concepción, Fernandina, Isabela, le Islas de Arena, Cuba, e Hispa-niola. Dopo il naufragio della Santa Ma-ria, il giorno di Natale del 1492, le due caravelle rimaste iniziarono il viaggio di ritorno. Il 4 marzo 1493, La Niña, capitanata da Cri-stoforo Colombo, giunse a Lisbo-na . Il 15 marzo, dopo 32 settima-ne di navigazione , l’imbarcazione rientrò nel porto di Palos, conclu-dendo così il primo viaggio. La seconda spedizione, iniziò il 25 settembre 1493. Essa aveva molti obiettivi, tra cui quelli di converti-re gli indigeni, di colonizzare le terre per la corona spagnola e di portare l’ oro in Spagna. Colombo scoprì tra l’altro Santiago (oggi Jamaica) ed esplorò la costa meri-dionale di Cuba Nel corso della terza spedizione egli giunse nell'Isola di Trinidad. . Rientrato ad Hispaniola, nel 1500, fu fatto arrestare da Francisco De Bobadilla, inviato dal re per am-ministrare la giustizia. Era accusa-to di non avere accettato la sua autorità. Colombo, incatenato, giunse in Spagna alla fine di otto-bre di quell’anno, dove fu subito liberato. Il suo ultimo viaggio fu funestato da un uragano, che gli fece perdere tre delle quattro navi. Colombo, che tornò da quell’impresa stanco e malato, morì il 20 maggio 1506, a Valla-dolid.

I B

VITA E IMPRESE DI CRISTOFORO COLOMBO

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Il romanzo”Il gabbiano Jonathan Livingston dell’americano Richard Bach mi è piaciuto mollto e mi ha fatto anche riflettere. In poche righe racconterò la trama: Jonathan Livingston, un gabbiano dello stormo Buonappetito, anziché pensare come gli altri gabbiani soltanto al cibo, si allena ogni giorno per raggiungere la perfezione nel volo. Per questo un giorno viene esiliato dal suo stormo dal Consiglio degli Anziani . Costretto a stare in solitudine, inganna il tempo facendo acroba-zie. Un giorno lo raggiungono due gabbiani dalle penne candide, provenienti da un altro mondo, un mondo nel quale la perfezione nel volo è fondamentale. Essi lo conducono nel lo-ro mondo, il paradiso dei gabbiani, dove gli in-segnano a migliorare le tecniche di volo. Anche Jonathan diventa bianco e splendente come i due gabbiani che l’avevano condotto lì. Moren-do , il suo maestro gli lascia un testamento spirituale, secondo il quale non è sufficiente nella vita allenarsi al volo perfetto, il vero sco-po dell’esistenza è capire il segreto della bontà e dell’amore. Jonathan, recepiti questi insegna-menti, finirà con l’allenare al volo dei suoi ex compagni di stormo, anch’essi esiliati, che, a mano a mano, si faranno avanti per imparare a volare. Un brano di questo libro mi ha particolar-

mente colpito ed è il seguente: “Ma di’ un po’, come fai ad amare una tale marmaglia di uccelli che ha tentato addirittura di ammazzarti?” “Oh Fletch, non è mica per questo che li ami!E’ chiaro che non ami la cattiveria e l’odio. Que-

sto no. Ma bisogna esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c’è in o-gnuno, e aiutarli a acquisirla da se stessi in se stessi. E’ questo che si intende per amore. E ci provi anche gusto, una volta afferrato lo spirito del gioco.” La frase che ho riportato mi fa riflettere sul fatto che si possono aiutare gli altri, amarli, , anche se essi, apparentemente, ci sono contro, si può far questo esercitandosi a vedere la bon-tà che vi è in ciascuno di essi. Sarà nostro com-pito aiutarli a scoprire ciò che di positivo han-no in sé. Personalmente condivido il concetto di amore dello scrittore. . . .. In conclusione vorrei consigliare questo libro a tutti, ai ragazzi, ma anche agli adulti che non l’avessero letto. obiettivo. Jonathan può essere ciascuno di noi, Il libro insegna inoltre che bisogna vedere sempre il lato positivo negli altri.e delle cose.

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Ayla Schiappacasse III B

DAL GABBIANO JONATHAN UNA LEZIONE DI TOLLERANZADAL GABBIANO JONATHAN UNA LEZIONE DI TOLLERANZADAL GABBIANO JONATHAN UNA LEZIONE DI TOLLERANZADAL GABBIANO JONATHAN UNA LEZIONE DI TOLLERANZA

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_ Ho deciso di scrivere le mie memorie. Sto per andare in pensione e un grande avvenimento interessa il nostro paese: gli Stati Uniti. Chi avrebbe creduto solo una ventina d'anni fa che uno di noi, un nero sarebbe diven-tato un giorno il presidente degli USA?. Dobbiamo ringraziare Martin Luther King. Ricordo quando lo conobbi. Era il 29 agosto del 1963. Il giorno prima, io, giovane giornalista di colore - scrivevo su “Black Power”, un giornale fatto chiudere dalle autorità subito dopo la manife-stazione di cui parlerò- ero in marcia con altri 250.000 uomini di tutte le fedi e le razze verso Washington. Marciavamo , cantando e pregavamo. Eravamo lì per sostenere il progetto di John Kennedy- tre mesi prima che

lo uccidessero a Dallas- contro la discriminazione razziale di noi neri. Kennedy era rimasto col-pito da quanto era successo quattro mesi prima, quando scagliarono contro noi neri mattoni e bottiglie e si servirono dei cani poliziotto solo perché manifestavano contro le gravi discrimina-zioni nei negozi, nei ristoranti e sul lavoro. Ma torniamo al 28 agosto. Nel pomeriggio ci riu-nimmo attorno al “Lincoln Memorial”. Era già sera quando parlò King. Ascoltai il suo memora-bile discorso. “I have a dream....Ho un sogno-disse- che un giorno, sulle rosse colline della Ge-orgia, i figli degli antichi schiavi e i figli degli antichi proprietari di schiavi riusciranno a sedersi insieme al tavolo della fratellanza...Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà ricolmata, e ogni monte e collina si abbasserà, i luoghi impervi diventeranno piani e i luoghi curvi si raddrizze-ranno. Allora la gloria del Signore sarà rivelata e tutti gli uomini la vedranno insieme.”. Noi, entusiasti, ci dondolavamo, ritmavamo quel discorso gridando:”Io sogno ancora”. . Il giorno dopo, come detto, ebbi la fortuna di conoscere King e intervistarlo, grazie ad amici comuni, Mi invitò in una saletta e mi fece accomodare. Parlammo per mezz'ora. Gli chiesi della manifesta-zione del giorno prima. Era felice. Gli feci poi la classica domanda su cosa lo avesse spinto a lottare per i diritti di noi neri. Egli mi parlò delle sofferenze patite sin da piccolo, che anch'io ben conoscevo”Non potevo parlare, né giocare con i bambini bianchi, non ne capivo il moti-vo....Cominciai da allora a chiedermi cosa avessero di diverso i bianchi da noi e perché fossimo disprezzati e costretti a vivere in condizioni subalterne ...siamo tutti esseri umani,” Mi disse poi che al Morehouse , un collegio di Atlanta per i neri, capì, grazie soprattutto alle parole di un insegnante, l'importanza rivoluzionaria della religione e del pensiero religioso. Gli chiesi cosa aveva provato dopo la vittoria nel caso Rosa Parks, la donna di colore arrestata perché non ave-va fatto sedere un bianco sul bus . Egli mi rispose “ Una felicità immensa e un grande ottimi-smo per un futuro di libertà.” Parlammo poi di Gandhi. “Mi sono ispirato a Gandhi -mi disse- ho sempre apprezzato la sua tenacia nel lottare per una causa giusta che stava a cuore a lui e a tanti indiani...Bisogna, come Gandhi, non trasformare il malcontento in odio e rancore. Si può lottare senza odiare, in modo non violento. Vinceremo grazie alla capacità di soffrire” Girata la pagina del mio libretto degli appunti gli domandai se, secondo lui, ci sarebbe stato un giorno un mondo capace di accettare le differenze tra le persone. Martin rispose così:”Credo che un gior-no il mondo si accorgerà di come è stato stupido a discriminare ragazze, donne, bambini per una semplice differenza di pelle. Conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi, come ho detto ieri, ma per tutti gli americani”. Gli domandai poi cosa intendesse fare in futuro, Mi rispo-se che aveva intenzione di trasferirsi a Chicago. Mi regalò infine uno scoop. “Mi hanno detto che mi candideranno al Nobel per la pace, Ne sono lusingato. Sarei felice di vincerlo, ma non per me, quel premio sarebbe un grande riconoscimento alle lotte per l’emancipazione dei neri.”

Ci salutammo. Avevo molte cose interessanti da scrivere. Purtroppo i bianchi ci fecero chiudere la redazione e il mio articolo non poté uscire che cinque anni dopo. Nel frattempo King era sta-to ucciso a Memphis. Lorenzo Gambelli e Marco Mazzella III B

INTERVISTA IMPOSSIBILE A MARTIN LUTHER KINGINTERVISTA IMPOSSIBILE A MARTIN LUTHER KINGINTERVISTA IMPOSSIBILE A MARTIN LUTHER KINGINTERVISTA IMPOSSIBILE A MARTIN LUTHER KING

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In onore dell’Anniversario della Scoperta dell’America da parte di Colombo vi parle-rò di lui. Prima vi ho detto “scoperta” anche se è un termine inesat-to: questa terra era già abitata e altri prima di lui (i Vichin-ghi) l’avevano raggiunta (senza però rendersene con-to). Possiamo però dire che lui l’ha “ritrovata”.

Colombo nacque nel 1451 a Genova, quando suo padre Do-menico era il custode di una delle porte della città. In segui-to il padre venne cacciato da quel lavoro e si trasferirono a Quinto: lui, la moglie Lavinia Fontanarossa e i loro 5 figli di cui Cristoforo era il primo. Cristoforo studiò da autodidatta e mise subito in mostra una spiccata attrazione per il mare. Iniziò presto ad accompagnare il padre nei suoi viaggi. Pro-prio durante uno di questi la loro nave venne attaccata da dei corsari francesi e spagnoli e C.Colombo fece, per sal-varsi, molti chilometri a nuoto, raggiungendo la costa del Portogallo. Da quel momento sentì una specie di legame con quel paese. Vi tornò e sposò poi Felipa Perestrello, im-portante dama portoghese. Cristoforo Colombo continuò a viaggiare per mare e si con-vinse sempre più che la terra fosse rotonda; sbagliò però i calcoli e questa gli risultò alla fine più piccola di quanto non fosse realmente. Gli venne allora l’idea di arrivare a Oriente passando da Occidente. Aveva però bisogno che qualcuno gli finanziasse il viaggio, quindi si rivolse ai so-vrani del Portogallo ma questi giudicarono irrealizzabile il suo progetto perché preferivano cercare di circumnavigare l’Africa. Più interessati apparvero i re di Spagna Ferdinan-do D’Aragona e Isabella di Castiglia che gli concessero tre caravelle a vele quadre: la Niňa, la Pinta e la Santa Maria più una novantina di uomini come equipaggio. Colombo salpò il 3 agosto 1492 dal porto di Palo, piccola cittadina spagnola, facendo rotta dapprima verso le Canarie dove si fermò per circa un mese, poi verso il mare aperto, seguendo prima gli Alisei e poi la direzione presa dagli uc-celli. Approdò il 12 ottobre 1942 dopo giorni terribili di naviga-zione alla stima e dopo aver perso la Santa Maria nella bar-riera corallina. Al posto del vasto impero mongolo trovò però delle tribù di indigeni e non vide neppure l’oro e le altre meraviglie de-scritte da Marco Polo che si aspettava di

trovare. Anche a corte, dopo le accoglienze trionfali del primo viaggio, il presti-gio di Colombo comin-ciò a diminuire; i sovra-ni non si fidavano più di lui e durante il 3° viag-gio (ne fece quattro in tutto) fu addirittura mes-so in catene. Quando morì nel 1506 era ormai

povero e dimenticato. Tuttavia la grandezza dell’impresa di Colombo fu tale che il 1492 fu la data indicata per segnare la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna. Chiudo le trasmissioni Classe II H

rrive

OGGI SI PARLA DI CRISTOFORO COLOMBOOGGI SI PARLA DI CRISTOFORO COLOMBOOGGI SI PARLA DI CRISTOFORO COLOMBOOGGI SI PARLA DI CRISTOFORO COLOMBO

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Ecco a voi in diretta da “Storie d’altri tempi” Rebecca Cambi, la vostra telecronista preferita. Sono riuscita a por-tarvi un ospite speciale, Cristoforo Colombo! Cristoforo, ti posso dare del tu - Certo Rebecca - Che effetto ti fa essere uno degli uomini più belli sulla faccia della terra?- Sicuramente una bellissima impressione- OK Cristoforo, vorrei farti delle domande. Quando sei nato - Sono nato nel 1451, in una casa molto piccola con i miei quattro fratelli: Bartolomeo, Giovanni, Giacomo e Bian-chinella - In che via vivevi? Che lavoro faceva tuo padre?- Posso solo dire che vivevo a Quinto e che mio padre era custode della porta dell’Ollivella- Non riesci a dirci di più? Gli spettatori cominciano ad in-curiosirsi-. Tutti non sanno quasi niente della mia vita, è per questo che sono diventato famoso e non intendo rivelare di più-. Va bene, allora passiamo alla prossima domanda: chi è che ti ha appassionato al mare?- E’ stato mio padre faceva anche il mercante e allora quan-do andava via per affari io lo seguivo-. Grazie, ora vorrei e vorrebbero, penso, gli spettatori sapere come si chiamava tua madre, dicevano che era una bellis-sima donna-. Sì, era molto bella e anche un’ottima madre. Il suo nome era Susanna Fontanarossa e mio padre per tagliare corto si chiamava Domenico Colombo-. Quando è che hai cominciato, con tuo padre, a girare per tutto il Mediterraneo navigando come un mercante?-. Direi nel 1460 circa-. Grazie, passiamo alla prossima domanda. Mi è stato riferi-

to che una volta sei stato attaccato da dei corsari. Raccon-tami-. Sì, stavo trasportando delle merci per delle famiglie geno-vesi importanti e ad un certo punto ci hanno attaccato dei corsari. Da come parlavano direi che fossero spagnoli e francesi. Sono morte 400-500 persone. Una vera strage, io mi sono salvato solo grazie alla fortuna-. Hai fatto 10 Km a nuoto fino in Portogallo, giusto?-. Sì esatto, arrivato in Portogallo ero stravolto-. Quindi quella terra è diventata tua salvatrice-. Esatto-. Se non sbaglio in Portogallo hai conosciuto la tua prima moglie Felipa Muñoz Perestrello- Esatto, era veramente bella- Mi dispiace che non ce l’abbia fatta- Anche a me- Comunque. Sono riuscita a scoprire che hai fatto dei cal-coli sbagliati per arrivare alle Indie- Sì e me ne vergogno- La tua amata terra, il Portogallo, non ti ha dato le navi che ti servivano per partire, perché?- Come molti altri stati non erano interessati. Ma la Spagna mi ha dato tre navi nel 1492 dopo aver sconfitto gli Arabi- Hai tenuto un diario durante il viaggio?- Sì- Quali erano i nomi delle navi?- La nave più grande, la Gallega l’ho rinominata Santa Ma-ria, mentre le altre due erano la Pinta e la Niña- Hai fatto qualche sosta durante il viaggio?- Sì, alle isole Canarie, dove ho conosciuto la moglie del governatore. Una donna bellissima- Per quanto hai navigato?- Dopo aver lasciato le Canarie 33-34 giorni, disperandomi sempre di più di non arrivare, anche se per 15-16 giorni ho visto i Sargassi, delle alghe che crescono vicino alle terre- Eri contento?- Non molto, non si vedeva terra-. Cosa hai fatto?- Un giorno mentre navigavo, ho visto degli uccelli e li ho seguiti- Quando è che hai visto terra?- Il 12 Ottobre- Cosa hai fatto quando hai scoperto che agli Spagnoli im-portava solo dell’oro?- M sono molto rattristato, ma mi rallegravo pensando che Cristoforo, tradotto in latino significa “Colui che porta Cristo” e infatti mi sentivo come un messia- Grazie Cristoforo- Prego Rebecca- Qui dallo studio è tutto. A voi la linea-. Rebecca Cambi II H

INTERVISTA IMPOSSIBILE A COLOMBOINTERVISTA IMPOSSIBILE A COLOMBOINTERVISTA IMPOSSIBILE A COLOMBOINTERVISTA IMPOSSIBILE A COLOMBO

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Era una giornata qualunque, quando io e la mia ami-ca decidemmo di lasciare andare la fantasia… Io e Adele avevamo deciso di concederci una vacan-za, in fondo ne avevamo diritto…mentre il nostro amico Matteo se ne stava nel suo studio a progettare un’ altra delle sue strabilianti invenzioni. Eravamo dirette ai Carabi. Era una giornata molto soleggiata, ma all’ improvviso ci fu una terribile boato sulla nave da crociera e io e lei naufragam-mo alle Bahamas o meglio sull’ isola di Guanaha-mi… Sì perché eravamo tornate indietro nel tempo. C’era un’aria di mistero che ci metteva un po’ di inquietudine. Nel vedere una caravella ci rendemmo conto di essere ancora una volta tornate indietro nel tempo. Incuriosite all’ idea di incontrare un altro personaggio storico(di sicuro ci aveva messo lo za-mino il nostro amico!)salimmo sulla caravella. Da alcuni indizi capimmo che era proprio quella di Co-lombo Ad un certo punto sentimmo un marinaio e chiama-re il capitano e allora, per non farci scoprire, ci na-scondemmo in coperta. … Verso sera, ci venne un certo languorino, così deci-demmo di recarci in cucina per uno spuntino, il cuo-co purtroppo ci sorprese a rovistare tra le provviste , riferendo tutto a Colombo. Colombo fu sorpreso di incontrare due giovani ra-gazzine nella sua nave… Noi lo supplicammo che ci facesse restare e lui ci disse:”Non so chi siete e da dove venite, ma farò un’ eccezione per voi, potrete restare nella mia caravella, ma soltanto se lavorere-te, se pulirete la nave e preparerete da mangiare.” La mia amica ed io decidemmo di accettare, in fon-do avremmo imparato a cucinare …. Passavano i giorni e Colombo divenne sempre più gentile nei nostri riguardi, tanto che una sera ci invitò nella sua

cabina incominciando a raccontarci la sua vita nar-rata nel famoso diario di bordo. – Sono nato a Ge-nova nel 1451, mio padre, all’epoca faceva il lanaio-lo ed era una persona molto umile. Nel 1470 mi tra-sfeiiì a Savona e per vent’ anni feci lo stesso lavoro di mio padre . Poi iniziai a navigare per alcune com-pagnie commerciali . Il 13 agosto del 1476 rientrai in Portogallo dopo un naufragio e mi stabilii a Li-sbona, dove tre anni dopo mi sposai con Felipa Mo-niz Perestrello.- In quell’ istante ci accorgemmo che la voce di Co-lombo si faceva più cupa e triste, allora subentrò Adele che gli domandò : - Colombo perché sei tri-ste? Cosa è successo a Felipa?- Colombo a malin-cuore ci rispose :- Mia moglie morì sei anni dopo lasciandomi un figlio, Diego .- Poi aggiunse “Nel 1488 mi risposai ed ebbi un altro figlio , Ferdinando”- Poi parlò di lui come esplora-tore- “Progettai-disse- di raggiungere l’ Asia via mare.- Ci sei riuscito ? domandò Adele.- Gli unici ad acco-gliere il mio progetto furono i sovrani di Spagna, Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia, che mi misero al comando di tre caravelle. Finalmente ce l’ho fatta a raggiungere E noi :”L’America- Lui, con un tono seccato, disse- Cos’è l’ America ? Io ho scoperto le Indie! Finalmente avevamo avuto tutte le informazioni ne-cessarie , Prima che ce ne andassimo Colombo ci donò il suo prezioso diario di bordo e …DRIN , la sveglia?! All’ improvviso mi resi conto di essere tornata nella realtà…Avevo viaggiato con la fantasia, sognato ad occhi aperti. E’ proprio vero che con l’immaginazione ogni cosa è possibile!!! Adele M. Alessia G. . Ha collaborato Matteo R-I B

NAUFRAGIO A GUANAHANINAUFRAGIO A GUANAHANINAUFRAGIO A GUANAHANINAUFRAGIO A GUANAHANI

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Abbiamo letto una bella poesia di Giorgio Caproni, “Lo spa-triato”, in cui l’autore vuol rappresentare la condizione dell’uomo d’oggi, sradicato dalle proprie origini e perso nella società metropolitana.

Lo spatriato Lo hanno portato via dal luogo della sua lingua. lo hanno scaricato male In terra straniera. Ora, non sa più dove sia la sua tribù. E’ perduto. Chiede. Brancola. Urla. Peggio che se fosse muto. (Giorgio Caproni da “Il franco cacciatore” Garzanti 1982 p.75

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Venerdì 8 maggio, la nostra classe, accompagnata dai proff. Braggion e Petrone, si è recata in visita al Laboratorio Migrazioni del Comune di Genova, che si trova nei pressi di via Ravecca. Come siamo entrati, la responsabile del laboratorio, Gregoria, ci ha fatto togliere le scarpe per farci entrare in assoluto silenzio in un bellissimo salone. Lì, ci siamo seduti in circolo, per terra, attorno a un tappeto. Al centro della sala c'era un tamburo. Con noi, oltre a Gregoria, c'era Jussif, sua amica e collaboratrice da molti

anni. Gregoria ha chiesto ad ognuno di noi il nome, le origini e quelle dei parenti, poi ci ha fatto percuotere il tamburo. Avremmo dovuto con quel suono rappresentare ciò che provavamo in quel momento. Subito dopo siamo entrati in un'altra stanza, dove vi erano alcuni strumenti musicali . Dovevamo muoverci con passo di danza al ritmo della musica, senza scontrarci. Le luci erano soffuse. E' stato davvero divertente. Terminata la musica, ci siamo seduti in cerchio sopra un tappeto ed per ascoltarer da Gregoria una bellissima storia latinoamericana , dal titolo di “La risa”, “Il riso” scritta dallo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. Essa ha come protagonisti un “murCielago”, un pipistrello, e un guerriero kayapa., che quando il pipistrello lo abbraccia e cerca di comunicare con lui per diventare suo amico, scoppia a ridere al punto da

cadere a terra svenuto. . Subito dopo,

Gregoria ci ha mostrato con un videoproiettore delle carte che si riferivano alla storia che avevamo appena ascoltato. Terminato il filmato, ciascuno di noi ha dovuto scegliere una parola della storia e interagire con uno o più compagni dicendo solo quella parola. Ne è nato un simpaticissimo spettacolino teatrale.

Subito dopo abbiamo suonato a due a due degli strumenti musicali. Terminate le esecuzioni, ci siamo riuniti in circolo, ed abbiamo gridato “hasta luego” che significa arrivederci.

Sono rimasta entusiasta di questa esperienza, che consiglio a tutti i i coetanei. .

Giulia Dioguardi I B

VISITA AL LABORATORIO MIGRAZIONI

SCUOLA 2000 Pagina 14

“Una donna coraggiosa, una storia straordinaria”, questo pensai dopo aver ascoltato la lettura in classe di alcune pagine dell'autobiografia di Rigoberta Menchù. Mi incuriosii a tal punto che decisi di affron-tare la lettura del libro, nonostante mi avessero avvisata che si trattava di un testo complesso, impegna-tivo e in alcune parti molto duro. “Mi chiamo Rigoberta Menchù” e’ l’autobiografia di Rigoberta Menchu’, una giovane contadina indi-gena appartenente all’etnia quiche’in Guatemala. Rigoberta, con l'aiuto della sociologa e antropologa Elisabeth Burgos, descrive la situazione tragica del popolo Guatemalteco, oppresso dai Conquistadores Latini. Il libro è un viaggio all’interno di una delle tante tribù amerindie, è uno scenario fatto di riti quotidiani, di credenze che ricollegano i Guatemaltechi agli antichi Maya, loro antenati. In questo libro tanti traumi sono raccontati: Morte dell’ amica Maria intossicata dalla fumigazione nella finca. Emerge un profondo odio per tutti coloro che hanno fatto la fumigazione, ritenendoli responsabili e colpevoli.

Rigoberta Menchù Tùm UNA DONNA CORAGGIOSA

Un nostro scoop. La prossima Biennale di Venezia sarà aperta dal poeta albanese Hajdari. Noto per le raccolte poetiche “Antologia della pioggia” e “Il diario del bosco” Hajdari è considerato uno tra i mi-gliori poeti viventi. Costretto a lasciare il suo paese nel 1992, vive da allora in Italia. I temi della sua poesia sono la solitudine e il viaggio sia come esule, che come essere umano.

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Le Casse di Risparmio nacquero in tutta Europa nella prima parte dell’Ottocento per abituare a risparmiare categorie che, come i contadini, i domestici, e gli artigiani, non erano solite versare soldi in banca. Le loro lontane origini risalgono al 1483 quando il Beato Angelico fondò un’istituzione finanziaria e caritatevole. La Cassa di Risparmio di Genova, città in cui nel 1404 era stata fondata la prima banca, nac-que il 4 luglio del 1846, La prima sede della Cassa di Risparmio genovese fu in Vico Gelso-mino, in un edificio di proprietà del duca Raffae-le De Ferrari. La Cassa, che era legata al Monte di Pietà, risorto nel 1810, raccoglieva il denaro dei risparmiatori al tre e mezzo per cento e ne trasferiva una parte importante al Monte, che ot-teneva dai pegni il sei per cento. Alla fine del Novecento, quando,le Casse si sono trasformate in banche, le azioni del loro patri-monio, che è patrimonio di tutti, sono state inte-state alle varie Fondazioni. E' così che a Geno-va , nel 1992, è nata la Fondazione Carige. L’obiettivo della Fondazione è quello di impe-gnarsi nel campo sociale, culturale e civile, fi-

nanziando progetti nei settori dell’istruzione, del volontariato, della ricerca scientifica, dell’arte e della sanità. La sede della Fondazione si trova in via D’Annunzio, vicina alle mura medioevali di via del Colle e si sviluppa su nove piani per un totale di oltre quattromila metri quadrati. La me-tà della superficie totale è a disposizione della città per mostre, convegni e attività culturali. La Fondazione, oggi presieduta da Flavio Repet-to, interviene per la conservazione e la valorizza-zione dei beni culturali cittadini e liguri. Grazie ai suoi contributi sono state ad esempio restau-rate e/o ripristinate le chiese del Gesù, di San Donato e dell’Annunziata del Vastato, il Ducale, Palazzo Reale, Palazzo Doria Spinola ed è stato possibile realizzare le mostre “Bernardo Stroz-zi”,” Arte della libertà” e “La città ritrovata” “Sguardi sul Novecento - Anteprima di un pro-getto per i musei di Nervi. Dal 2005 promuove la festa dei giovani” alla Fiera di Genova, una ma-nifestazione ad accesso gratuito rivolta ai bam-bini e ragazzi dai 3 ai 15 anni e basata sullo sport, sulla cultura, sulla solidarietà e sul gioco. Lo sport è stato rappresentato tra l’altro dalle arti marziali, dalla pallavolo, dal calcio, dal cicli-smo, dall’equitazione, dalla danza, dal fitness, dal basket, dallo sci, dal bob su pista sintetica , dal rugby, dall’hit ball, dalla vela, Vi sono state anche esperienze interculturali, ri-volte alla conoscenza dellt sltre culturr, ad esem-pio di quella africana con fiabe, racconti, imma-gini.

DALLA CASSA DI RISPARMIO ALLA FONDAZIONE CARIGE

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Gandhi, Mohandas Karamchand, chiamato "Mahatma" dal poeta Rabindranath Tagore, nacque a Porpandar (India) il 2 ottobre del 1869 e morì a New Delhi il 30 gennaio del 1948. Egli die-de un contributo fondamentale per il raggiungimento dell'indi-pendenza dell'India dal coloniali-smo britannico. Inoltre con la sua dottrina della "resistenza pas-siva" divenne un personaggio leggendario, a livello mondiale. Di famiglia agiata, Gan-dhi ,sposatosi tredicenne con una coetanea, dalla quale avrebbe avuto quattro figli maschi, compì gli studi giuridici, prima in India, poi a Londra. Dopo la laurea e l'ammissione all'ordine degli av-vocati britannico, esercitò la pro-fessione di avvocato, prima in India e poi, dal 1893, in Sud Afri-ca, per conto di una ditta indiana. Proprio in quel paese egli prese coscienza delle discriminazioni nei confronti delle minoranze in-diane ed iniziò a protestare contro di esse; fondando il Na-tal Indian Congress e organizzan-do la prima campagna di resi-stenza passiva contro le leggi raz-ziali. Nel novembre del 1913 Gandhi fu arrestato mentre era alla guida di una marcia di minatori. Nel 1915, dopo aver ottenuto dal governo sudafricano importanti riforme a favore dei lavoratori indiani, Gandhi ritornò in India e iniziò in patria la lotta contro i britannici, per il riconoscimento dei diritti e delle libertà civili della sua gente . Entrò a far parte del congresso Nazionale Indiano e del movimento per l'indipen-denza, riuscendo a far partecipa-re alla vita politica anche i gli appartenenti alle caste più basse, che ne erano stati da sempre e-sclusi . Gandhi , che per le sue azioni po-litiche, venne incarcerato e rila-sciato più volte, fu il propugnato-re nel 1919, dopo il massacro di Amritsar, della resistenza passi-

va, o satyagraha (forza della veri-tà ), che consisteva sulla non coope-razione con le autorità britanniche. La sua arma principale fu spesso quella del digiuno. Dal 1925 al 1930 egli sostenne un programma di rinascita nazionale, vol-to a risollevare le attività manua-li, pressoché eliminate , a causa dello sfruttamento britannico. Nel 1930 Gandhi diede vita una campagna di disobbedienza civile, la gente india-na avrebbe dovuto boicottare le merci provenienti dall'estero specie quelle inglesi(ad esempio vestendo khadi), e non pagare le tasse, in particola-re quelle sul sale, sulle quali l'Inghil-terra aveva il monopolio assoluto. Egli marciò verso il mare con migliaia di persone per quasi un mese( marcia del sale),anche con l'intento di diffondere la sua teoria non violenta. Gandhi, convinto che per il raggiungimento dell'indipendenza fosse necessario un cambiamento sia sociale che morale, decise l'eliminazione della casta degli "intoccabili": Nel 1931 visitò l'Inghil-terra e , nel 1933 fece due importanti digiuni di protesta contro il dominio britannico. Nel 1934 Gandhi lasciò il suo posto di capo del Partito del Congresso a J. Ne-hru. Allo scoppio della seconda Guerra Mondiale, egli decise che gli indiani non avrebbero più sostenuto la Gran Bretagna, qualora essa non gli avesse garantito la futura totale indipenden-za dell'India. La Gran Bretagna rifiutò e fece arrestare molti oppositori, tra cui, in seguito, lo stesso Gandhi , che finì in carcere dal 1942 al 1944, anno in cui l'Inghilterra acconsentì a conce-dere l'indipendenza all'India. . Il 15 agosto 1947 l'India ottenne l'indi-pendenza, ma, con profondo dolore di Gandhi, poiché non si riuscì a trovare un accordo tra le diverse etnie e reli-gioni, il Pakistan divenne uno stato autonomo, . La feroce rivalità tra in-duisti e musulmani causò sanguinosi tumulti e migliaia di vittime. Gandhi continuò la sua lotta per la pa-ce, finché il 30 gennaio 1948, venne assassinato da Nathuram Godsel, un nazionalista indù.

Gandhi diede all'induismo un valore nuovo, apportandogli dei cambiamenti presi in prestito anche da altre e fedi. Perfezionò il metodo del satyagraha, con quella che definì la "nuova scienza della non violenza", che consisteva in una conversione morale dell'avversario mediante "un'operazione chirurgica della sua anima". Il pensiero di Gandhi era il tentativo di applicare l'amore in tutti gli aspetti della vita, sia inteso nel suo valore positivo (la cura per gli altri), sia in quello negativo (la non violenza verso il prossimo). L'amore , per Gandhi, è l'unico modo che gli uomini, i qua-li sono tutti uguali tra loro in quanto partecipi dell'essenza divina, hanno per relazionarsi tra loro. Benché ritenesse che lo Stato era la concentrazione della violenza, ricono-sceva la sua necessità, poiché non tutti gli uomini sono in grado di agire in modo responsabile. Lo Stato avreb-be dovuto assicurare lo sviluppo equo di tutti i cittadini, in modo che nessu-na classe sociale potesse predominare sull'altra. Il Mahatma, considerato in patria un santo, divenne un simbolo importante nel resto del mondo. Curiosamente, non ricevette mai il Premio Nobel del-la Pace, malgrado le numerose candi-dature.

BIOGRAFIA DI GANDHI

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Segue da p.14 Morte del fratello Petrocinio Menchù di soli 16 anni torturato e ucciso davanti agli occhi della famiglia, i soldati volevano incutere terrore al popolo. Carcere e morte del padre: uomo che condusse per ben 22 anni una lotta eroica per difendere la comunità dai proprietari terrieri che volevano spogliarla delle sue terre. Morte della madre: donna molto coraggiosa fche ino all’ultimo aveva protetto i suoi figli nonostante le avessero tagliato le orecchie, l’avessero violentata, torturata e infine fatta mangiare dagli animali. Non c’è violenza nella comunità indigena, uccidere è considerato un gesto orribile, ecco perché L’ INDI-GNAZIONE contro la repressione che subiscono. I Ladinos sono meticci, figli di spagnoli e indigeni, parlano il castigliano e sono in minoranza, ecco per-ché la DISCRIMINAZIONE. Gli indigeni hanno sofferto L’EMARGINAZIONE,

perché viene riferito loro di essere sporchi, ma la si-tuazione che vivono li obbliga ad esserlo. Rigoberta Menchù è riuscita a imporre all’ attenzione del mondo intero, la drammatica condizione del suo popolo. Questo libro è straordinario, merita di essere letto, è la storia di un popolo fiero ma umiliato, la storia di un continente che non si arrende. Rigoberta rappresenta una speranza per tutte le tribù che popolano il Guatemala, deve lottare con tutte le sue forze, contro l’ ignoranza di molti e l’ indifferen-za di altri. Per tutto questo Rigoberta ha meritato il premio No-bel per la pace nel 1992 Roberta Amandolini II H

igoberta Menchù Tùm UNA DONNA CORAGGIOSA

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“Ancora !!! è già la quarta volta che ci viene a scoccia-re questo senor Cristobal” Sono Taino di una delle tri-bù dei Lucayos e vivo con i miei parenti su quest’isola che se ne sta in pace da tempo immemorabile. Così come noi la foresta e i fiumi

e i pesci nei fiumi stanno qui in pace da molto tempo prima di me e non pretendo di averli scoperti io solo perché il mio sguardo si è posato su di essi quando sono nato! E questo anche si capisce. Invece questo Senor Cristobal che viene e va, dice d’averla scoperta lui la nostra isola. E questo, io proprio non lo capisco. Io gli ho detto: “guanahani” “non capisco” nella mia lingua. Ma lui non ha capito. Ha pensato che Guanahani fosse il nome dell’isola. Inoltre dice che noi siamo indiani. Forse perché fa rima con Guanahani? Non capisco proprio. Oggi pomeriggio ho parlato con questo Colombo. Ecco cosa ci siamo detti:Invece che con il mio nome mi chiamerò con quello del mio popolo : Lucayo Lucayo : Salve, Senor Cristobal! CRISTOBAL – Ragazzino, ti ho già detto mille volte che mi chiamo Cristoforo. Cristoforo Colombo, genovese. Hai capito ora? T – Signor Colombo, là a Genovese tutti quanti chiudono i piedi in quelle canoe dure e strette? (indicando le scarpe) e come fanno i piedi a respirare? C – A Genova, ho detto, la città si chiama Genova. Hai ca-pito sì o no? T – Sì, ho capito. C – Queste sono scarpe e quando cala il sole tutti i genovesi se le tolgono. T – Tutti insieme? Che puzza! Che strane abitudini avete voi genovesi. Ma, signor Colombo, laggiù fa così freddo che dovete mettere sul corpo tutti questi strati di pelle finta? Non capisco. C – Fa freddo d’inverno, perché c’è la tramontana. Comun-que noi marinai abbiamo molti vestiti, si chiamano così, perché attraversiamo l’alto mare. - T – Qui sull’ isole dei Lucayos fa caldo. Perché non ti spogli, come me? C – Non sono mica un indiano io!L – Neanche io! C – Come no? Ti spiego. (apre una mappa) Io sono partito in direzione delle Indie descritte da Marco Polo, un mercan-te che laggiù fece i milioni, ma per far più presto presi la rotta breve, cioè quella dell’alto mare oltre lo stretto di Gi-bilterra. Infatti sono arrivato qui. Ho fatto tutto giusto. Quindi queste sono le Indie e voi siete gli indiani. Hai capi-to? Solo non trovo l’oro di cui tanto scrisse quel bugiardo di un veneziano. T – Oro? Ma cosa te ne fai di tanto oro?

C – Là nella mia terra costruiamo palazzi e cattedrali d’oro e facciamo monete d’oro per comprare le cose che ci piac-ciono. T – Quali cose? C – Specchi, collane, carrozze, cappelli, cavalli, navi, schia-vi, paggi, pane, parrucche e banane. T – Banane? Ma le banane le puoi prendere sul banano quando vuoi! E a cosa servono le carrozze se abbiamo i piedi? I piedi e le scarpe! Le altre cose, non le puoi scam-biare con gli altri genovesi? Se ti serve un cappello e hai un cavallo, fate scambio! C – Ma quale scambio. L’oro compra tutto! Ora ti spiego. Io compro tutte le banane della tua tribù così voi non ne avete più e per averne una me la pagate a peso d’oro. T – Ma le banane che avanzano, te le mangi tutte tu? C – No! Le conservo per venderle. E così guadagno l’oro che mi serve per comprare altre banane. Hai capito sì o no? T – No. Mi sembra molto più semplice prenderle dal bana-no quando ho fame. (mi metto a sgranocchiare una pannoc-

chia) Che terra curiosa e che strane abitudini avete voi ge-novesi. C – Cosa è quella? T – è mais. Hai fame? C – Molta fame. È più di un mese che navighiamo. T – Facciamo scambio. Tu mi dai la tua parrucca e io ti do la mia pannocchia. C – Va bene. Tieni. E dammi qua. (Colombo pelato si man-

gia la mia pannocchia, mentre io provo la sua parrucca) T – Proprio curiosi siete voi genovesi. Mi piacerebbe vede-re la tua terra, Signor Colombo. Peccato che è così lontana. C – Dipende. L – Come, dipende? C – Dai venti alisei che spingono le barche e dalla fortuna nella navigazione. Io non ne ho avuta tanta perché quando son partito ho cambiato il nome ad una delle mie caravelle. Dannazione! Quella barca a metà strada si è rotta e così ci ho messo il doppio del tempo. T – Come facevi a sapere quanto tempo ci voleva per attra-versare il mare? C – Ho fatto dei calcoli. L – Forse allora avevi sbagliato i calcoli. C – Cosa vuoi capire tu. Nessuno prima di me aveva mai attraversato l’alto mare per arrivare qui nelle Indie.. T – Sbagliato! Guarda che qui ci è già arrivata un mucchio di gente, con delle navi ancor più grandi delle tue e senza le vele per spingere le barche. A remi! Dovevi vedere i mu-scoli che avevano quei.. Vichinghi. C (molto arrabbiato) – Come? Prima di me? Vi.. chi? T – Vichinghi. Si chiamavano proprio così. E mi dispiace dirtelo, ma qui non siamo mica alle Indie. Siamo ai Caraibi. Hai sbagliato strada, signor Colombo. (Colombo se ne va

infuriato) Ma dove vai? No, non da quella parte. Torna in-dietro. Da quella parte c'è un certo.. Jack Sparrow. Ehi, ehi, signor Colombo! Attento ai pirati! Luca Vannucci 1b

I LUCAYOS E COLOMBO I LUCAYOS E COLOMBO I LUCAYOS E COLOMBO I LUCAYOS E COLOMBO

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Ecco l’articolo pubblicato sul Secolo XIX Se Garibaldi fosse vivo che direbbe della scuola? Progetto Intercultura realizzato in un laboratorio fra gli studenti di una media di Genova e quelli di Scienze della formazione 22/04/2009 GENOVA. La media Strozzi ha presentato agli studenti della cat-tedra di Educazione interculturale della facoltà di Scienze della formazione, i lavori su Giuseppe Garibaldi del progetto Intercultu-ra. In cattedra tre alunni Andrea Mazzoni,Ayla Schiappacasse e Francesca De Gaetano,con il prof. Maurizio Braggion coordinato-re del progetto,e il dottor Colla che, ha organizzato l' interessante laboratorio "Garibaldi e l'ideale di nazione nella scuola e nella società di ieri e oggi",che prevede a maggio l'intervento del regista Nicolò Bongiorno, figlio del grande Mike, che parlerà sul tema "Cinema e Risorgimento". Il professor Braggion, prima di trattare il tema "La costante attualità di Garibaldi"si è soffermato sui pro-getti realizzati con Il Secolo XIX (quest'anno assieme a Fondazio-ne Carige), che hanno portato i ragazzi a confrontarsi con grandi personaggi come Dante, Manzoni,Gandhi, King e appunto Gari-

baldi, producendo ipertesti e testi di scrittura creativa, inseriti nel giornalino Strozzi Planet, il cui prossimo numero sarà sottotitolato Intercultura e dintorni. Il docente ha detto che le interviste imma-ginarie con il lavoro preparatorio che ne è il necessario presuppo-sto(analisi delle biografie,confronto tra le informazioni,scelta di quelle ritenute più interessanti)sono un valido strumento didattico per migliorare le competenze nello studio e favorire la motivazio-ne.Quanto a Garibaldi, ha cercato di far scoprire ai ragazzi l'uomo al di là dell'eroe, grazie alla lettura di testi che potessero valoriz-zarne la componente umana: tra essi uno studio del dott. Colla, centrato sulla vita quotidiana e le abitudini alimentari. Dalla teoria alla pratica.Sono state lette le interviste di Andrea e Ayla,che han-no"incontrato" in tempi diversi Garibaldi nel "buen retiro" di Ca-prera. Ayla, nei panni di un'agente di una organizzazione che cerca di risolvere i casi del passato, è tornata indietro nel tempo per di-panare ogni dubbio sulla fine di Anita,mentre Andrea, in sogno ,ha incontrato un vecchio Garibaldi,a cavallo e con una logora camicia rossa, che lo ha invitato in una locanda::"Mi chiese da dove veni-vo, quando gli risposi che ero di Genova cominciò a esaltare la mia città e il suo cibo.Mi disse che amava in particolare il mine-strone alla genovese, il pesto e lo stoccafisso essiccato, che si face-va mandare dalla mia città....disse poi che ...i carpentieri di Geno-va l'avevano fatto diventare presidente della loro associazione".Gli universitari hanno fatto domande sul lavoro svolto su Garibal-di,sulla intercultura,sull'opportunità,condivisa, di trattare a scuola in modo meno eurocentrico i fatti storici. Parlando dei "tagli" all'i-struzione, il professorBraggion ha rilevato che la riduzione delle ore di italiano, l'eliminazione dell'ora di informatica e delle com-presenze, rischiano di rendere impossibile in futuro la realizzazio-ne di progetti come questo. Uscendo,Ayla ha osservato"E' stato emozionante,non capita tutti i giorni di sedersi dietro a una catte-dra universitaria e parlare a persone che seguono ciò che dici". Ha aggiunto Francesca: «abbiamo dato, credo, una buona impressione della nostra scuola». dal sito web del Secolo XIX

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NOI A SCIENZE DELLA FORMAZIONE

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Anno III Numero Speciale Pagina 20

Io, Bartolomeo Maggiocco, stavo scappando insieme a tutti gli altri rapallini per scampare ai pirati . Le veloci imbarcazioni saracene era-no sbarcate a Rapallo all’alba e i corsari ,l’avevo saputo da alcuni amici pescatori, avevano già se-minato morte e distruzione. A un certo punto fermai la mia corsa e qualcuno che mi seguiva mi ven-ne addosso. Mi ero arrestato perché mi era venuta in mente la mia adorata fidanzata, ora moglie, la cara Giulia che si era recata dalle parti di Porta Saline, uno dei punti in cui erano sbarcati i pirati. Tornai indietro correndo al contra-rio rispetto alla folla, cercavo di non fare male a nessuno e di non farmi travolgere, qualcuno mi in-sultava , altri mi tiravano calci, per gli strattoni che davo loro. Raggiunsi Porta Saline, ma non trovai subito Giulia. La confusio-ne infatti era incredibile. Ero di-sperato. La mia disperazione non svanì neppure quando infine la tro-vai, era infatti prigioniera dei pirati saraceni. Mi trovai faccia a faccia con due manigoldi che mi minacciavano. Ora vi racconto come la liberai. Anche perché qui a Rapallo sono convinti ancora oggi che io sia riuscito a liberare Giulia con la

forza. Devo confessare che ho lasciato che lo credessero.. E’ bello sentirsi definire un eroe, solletica la propria vanità. In re-altà le cose non andarono pro-prio così. Usai l’astuzia e non la forza, come invece tutti pensa-no. Mostrando di essere indifeso, chiesi del loro capo ai due che tenevano Giulia, la quale pian-geva disperata. Erano dei rinne-gati spagnoli e io fortunatamente conoscevo un poco quella lingua per cui riuscimmo ad intenderci. Dissi che sapevo di un tesoro na-scosto in un paese vicino. Uno dei due andò a chiamare il capo, che evidentemente era lì vicino,. Mi si fece incontro, insieme al pirata spagnolo, un omaccione dall’aria sprezzante, che seppi poi essere il famoso Dragut, chiamato addirittura la spada in-sanguinata dell’Islam. Aveva la faccia di colore oliva-stro , due grossi baffi e i capelli lunghi dietro le spalle. Trovai coraggio. Dovevo salvare la vita di Giulia e far qualcosa anche per l’adorata Rapallo. Mi rivolsi a quel brutto ceffo in italiano , sperando che mi capisse. E così fu. Il motivo lo seppi tempo do-po, Dragut aveva remato prigio-niero per quattro anni sulle navi di Andrea Doria, dopo che il ni-pote Giannettino lo aveva cattu-rato. “Che cosa ci fate qui, in questo paese, proprio in questo- dissi-dove per guadagnare un pezzo di pane, dobbiamo lavorare una set-timana.?- In questo paese difeso solo da due vecchi cannoni e po-che munizioni.Qui non ci sono ricchezze. Andatevene, vi prego

e lasciate libera la giovane di cui sono innamorato e che intendo sposare” Aggiunsi poi che nella vicina San Fruttuoso, dove poi in effetti si diressero i pirati, lasciata Rapallo, c’erano importanti ric-chezze tra cui un tesoro Il pirata ascoltò attento il mio rac-conto. Poi mi chiese dove si trova-va il tesoro, io, ingannandolo, gli dissi che si trovava nella torre Do-ria, torre che in realtà non esisteva ancora, era allora solo un progetto del vecchio ammiraglio genovese, comandante della flotta spagnola, ed è stata realizzata solo oggi per volere dei suoi eredi allo scopo di difendere San Fruttuoso dai pirati barbareschi Il pirata evidentemente si fidò di me, infatti dopo aver blaterato qualcosa disse ai suoi uomini di lasciar libera la mia Giulia.. Lo ringraziai e me ne andai via ve-locemente con la mia amata, nel timore che Dragut potesse cambia-re idea. Riaccompagnai Giulia nella sua povera casa, devastata come le altre dalla furia dei pirati. Poco tempo dopo ci saremmo spo-sati, festeggiati da tutto il borgo. Io , Matteo Altamura, visti i com-menti degli alunni della classe sull’eroica azione della mia ante-nata Giulia Giudice, scoppiai a ri-dere. Nessuno sa la verità su ciò che avvenne, nessuno la saprà mai. Solo io ho in mano lo scritto dettato da Bartolomeo ad un nota-io di Rapallo, che ho fedelmente riscritto nell’italiano d’oggi. Matteo Altamura III B

IL PIRATA DRAGUT A RAPALLO TRA REALTA’ E FANTASIA

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Il professore di lettere quella mattina ci parlò della vita di Garibaldi leg-gendo alcuni testi su di lui, tra gli altri il libro “Garibaldi”, di Indro Montanelli e Marco Noz-za e lo studio “A tavola con Garibaldi” di Ema-nuele Colla. Quella notte, evidente-

mente colpito dalle letture della mattina, feci uno strano sogno. Il mio sogno ebbe inizio nella località sarda in cui stavo trascorrendo le vacanze con i genitori, da lì avevo deciso di recarmi prima alla Maddalena, poi a Caprera, per una gita. Mentre mi ero allontanato dai miei e stavo passeg-giando vicino a un villaggio turistico di Caprera, mi apparve un vecchio a cavallo, con un viso noto, era il volto visto sui libri del più famoso personag-gio che avesse mai calcato quelle terre, Garibaldi. Portava, non è il caso di dirlo, la camicia rossa, una logora camicia rossa . Un secondo dopo del villaggio turistico non c’era più traccia, al suo posto vi era un podere pieno di ulivi. “Ragazzo, cosa fate nella mia terra?” mi chiese il vecchio. . Bloccato dallo stupore, balbettai qualcosa e poi dissi”Sono in vacanza”Lui mostrò di non capire. Mi presentai. Mi disse di essere Giu-seppe Garibaldi . Aggiunse che quel giorno la stra-maledetta artrite non lo tormentava, per questo aveva deciso di sellare Masala, la sua cavalla “vecchia quasi quanto me!”disse aggrottando le ciglia. Parlammo un po’ . Dopo un po’ mi disse: “Giovanotto, credo che siano le 12 passate, quest’oggi non voglio desinare a casa,che ne dite di andare in una locanda a mettere qualcosa sotto i denti. Pago io”. Non riuscivo a credere ai miei oc-chi e tantomeno alle mie orecchie. Quel puro spiri-to, diventato persona reale, mi invitava a pranzo in un luogo e un tempo del passato. Anche i miei abiti erano cambiati, ora erano di un’epoca passata. Non seppi dire di no all’invito di Garibaldi. Il generale legò la cavalla e mi fece segno di seguirlo. Mentre camminavamo, mi disse che gli alberi da frutto che avevamo davanti a noi li aveva piantati lui. A

un certo punto scorgemmo un insetto in difficoltà, rovesciato su se stesso. Garibaldi lo rimise nella posizione naturale e mi disse” Io sono felice se posso aiutare un animale sofferente , sollevare le piante che il vento rovescia, medicare la ferita di un ramo” Dopo un po’ di cammino arrivammo da-vanti alla locanda. Entrati, Garibaldi andò a sedersi ad un tavolo ie mi invitò ad accomodarmi. Si muo-veva con sicurezza, senza chiedere nulla a nessu-no. Pareva conoscesse bene quel luogo. L’oste lo salutò con grande deferenza. Mi disse: “Ieri ho mangiato vitello arrosto e cavoli salati erano buo-nissimi.” Quando l’oste gli chiese “Generale, cosa desiderate?” Garibaldi ordinò una minestra, un piatto di legumi, un po’ di pecorino sardo e dei frutti secchi e di accompagnare il pasto con mezzo bicchiere di vino. Mi invitò a ordinare gli stessi piatti. Seppur perplesso, visto che non vado pazzo per la minestra , acconsentii, più per rispetto che per altro, chiesi però al posto del vino dell’acqua minerale.Inutile dire che l’oste mi guardò come fossi stato un pazzo e che Garibaldi scoppiò a ride-re. Durante il pranzo L’Eroe dei due mondi mi chiese da dove venivo, quando gli risposi che ero di Genova cominciò a esaltare la mia città e il suo cibo. Fui molto contento delle sue affermazioni. Mi disse che amava in particolare il minestrone alla genovese, il pesto e lo stoccafisso essiccato, che si faceva mandare dalla mia città. Sempre a proposito di Genova mi disse che tempo prima i carpentieri di Genova l’avevano fatto diventare presidente del-la loro associazione. Durante il pranzo, gli chiesi della spedizione dei Mille. Garibaldi si schernì. Mi disse che non ama-va parlare di sé e delle sue imprese, ma solo dell’Italia finalmente unita. Subito dopo iniziò a dir male di Mazzini. Terminato il pranzo, feci per rin-graziarlo, ma mi accorsi che lui non c’era più, che era scomparso. In quel momento sentii una voce che mi chiamava. Era la mamma che mi invitava ad alzarmi per andare a scuola. Era stato solo un sogno e l’incontro con Garibaldi frutto della mia fantasia. Andrea Mazzoni III B

IO E GARIBALDI A CAPRERA

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UNA MANO FEMMINILE AFFIO-RA DALLA SABBIA

Il professore di italiano ci aveva in-vitato a scrivere un’ intervista imma-ginaria a Garibaldi. Dopo aver letto alcuni testi su questo grande perso-naggio, mi venne l’idea. Mi sarei trasformata in Meredith Burke della sede italiana della Historicol Investi-gation americana, un’organizzazione che cerca di ri-

solvere i casi storici del passato, per ristabilire la verità su eventi importanti. Quel giorno Meredith si trovava a Ravenna. Finito di gu-starsi un “Crispy McBacom” al McDonald’s di via Bussa-to, salì in auto e inizià a percorrere sulla mia BMW Ca-brio, la strada statale numero 309 che dalla città dove è sepolto Dante prosegue verso Chioggia. Ecco il suo rac-conto in presa diretta. Dopo circa 10 km mi arrivò una chiamata urgentissima da Orlando, il mio capo:”Meredith-disse- ti sto vedendo sul navigatore. C’è un caso storico interessante da risolvere proprio vicino a dove ti trovi ora, precisamente dalle parti di Mandriole. Prosegui ancora qualche km, ti farò sapere quando dovrai svoltare a sinistra.” Aggiunse che averei trovato al termine di una stradina la macchina del tempo del professor Gaterid che mi avrebbe permesso di tornare nel passato. Feci come diceva e, con il suo aiuto a distanza, trovai la macchina del tempo e vi salii. Dopo pochi minuti, mi ritro-vai in un luogo simile al precedente, ma era chiaramente cambiata l’epoca. Camminai sino a un podere. A un tratto, mi si avvicinò una pastorella di circa quattordici anni pian-gente. Mi indicò, gridando, una mano che affiorava dalla sabbia. Provai inutilmente a consolare la ragazzina. Mi dis-se, in lacrime, di chiamarsi Pasqua.. Dopo un po’ arrivò gente. Erano contadini. Mi guardavano stupiti per come ero vestita. Qualcuno si avvicinòal cadavere. Fu chiamata la polizia dello Stato Pontificio. Il giorno seguente le autorità fecero un sopralluogo e or-dinarono l’autopsia. Se ne occupò un certo professor Fu-schini. Il corpo ritrovato- me lo disse uno del posto- era quello di Ana Maria de Jesus Ribeiro, moglie di Giuseppe Garibaldi. Capii in quel momento perché Orlando mi aveva spedito per l’ennesima volta nel passato! Che si trattasse di Anita lo si era saputo da una lettera a-nonima nella quale erano citati i nomi dei presunti respon-sabili del delitto.. Si era sparsa la voce in paese che Gari-baldi avesse posseduto un tesoro e che qualcuno dovesse

averlo preso. Zeffirino Socci, che si occupò delle indagini, fece arrestare tre uomini, i fratelli Ravaglia e Gaspare Baldini., ritenuti complici nell’omicidio di Anita, allo scopo di impadronirsi del tesoro di Garibaldi. Dopo alcuni giorni riuscii finalmente a contattare Orlando. Mi disse che un medico della nostra organizzazione, tornando nel passato, aveva fatto pure lui l’autopsia sul corpo di Anita, trovando dei segni sul collo della morta. Anche secondo lui Anita era stata uccisa e i libri di storia andavano corretti. Orlando mi rimise a disposizione una macchina del tempo di Gaterid per andare un poco avanti nel passato e appro-fondire la cosa. Mi invitò, prima di partire, a documentar-mi sull’Eroe dei due mondi , per questo mi aveva fatto tro-vare all’interno della macchina alcune pubblicazioni su Garibaldi. Iniziai a sfogliarle. Mi incuriosì leggere che gli piaceva mangiare in modo frugale: una minestra, un piatto di legumi, un po’ di pecorino sardo e dei frutti secchi. Ter-minate le letture, partii. A causa di un errore di program-mazione, mi ritrovai però con Garibaldi in fuga verso la Tunisia. Orlando mi disse: “Non riuscirai mai a raggiun-gerlo con quella macchina! Ti manderò avanti nel tempo con il nuovo DRIST (Dispositivo di Ricerca-Indizi Spazio-Temporale), così potrai interrogarlo”. Dieci minuti dopo mi ritrovai nel 1865 sulla splendida isola sarda di Caprera, che solo trent’anni dopo sarebbe stata collegata alla Mad-dalena. Era un luogo a me caro perché vi nacque la mia bisnonna materna. Mi avvicinai a Giuseppe, che, seduto all’esterno di una locanda, stava guardando tristemente il mare. Traendo spunto da quanto letto su una biografia, gli dissi che ero una scultrice e che avrei voluto fargli un busto. Dopo aver-mi guardata stupito, forse per il mio strano abbigliamento, mi rispose che era stufo di essere perseguitato da fotografi, pittori e scultori e che vrebbe accettato solo per galanteria. Iniziammo a parlare. Mi disse che non era stato più felice da quando era tornato dal Sudamerica. Dopo un po’ cercai di portare il discorso su Anita e ci riuscii. Segue a p. 27

INDAGINE SULLA MORTE DI ANITA RIBEIRO

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22 Novembre 1961.

Sono appena atterrato a Wa-shintong D. C. Ho in mano ol-tre alle mie valigie un pacco piuttosto delicato e abbastanza voluminoso, tra poco spieghe-rò di cosa si tratta. Siamo in piena guerra fredda ed io, gior-nalista agli inizi , sono in cerca dello scoop della mia vita, in-tervistare John Kennedy alla White House. Sogno di riusci-re ad incontrarlo,anche se non ho nessun appuntamento con lui. Mi spiego. Sono di origine italiana, da parte di madre e ho saputo che una pittrice dell'a-mata Italia, la genovese Loris Ferrari, ha ritratto Jacqueline, moglie del Presidente , e che la signora Kennedy attende che il dipinto le sia consegnato dall'ambasciata italiana a New York, Saputa la cosa, mi sono offerto di portare io il dipinto. Ed eccomi davanti alla Casa Bianca. Dopo un controllo del mio passaporto e aver visto la documentazione rilasciatami dall'ambasciata italiana, gli ad-detti alla sicurezza mi lasciano entrare senza difficoltà. Anzi mi dicono che il Presidente e la moglie, avvisati del mio arrivo, desiderano conoscermi. Che emozione! Essere qui e venire ricevuto da Kennedy! Mi

conducono nello Studio Ova-le. Dopo i saluti, consegno il dipinto nelle mani di Jacqueli-ne. Sia lei che il marito ap-prezzano il ritratto dell’artista italiana: "Good" dicono. Quando chiedo a John Ken-nedy: "Presidente, le posso fare un'intervista?" egli rispon-de di sì senza esitazioni, forse riconoscente per il dono che ho appena consegnato alla consorte. Gli chiedo subito un commento sulla vittoria alle elezioni e sulla sua prima par-te di presidenza e lui, sibillino, mi risponde :" Non chiedetevi cosa il vostro Paese possa fa-re per voi:, chiedetevi cosa potete fare voi per il vostro Paese ". Non capisco bene il significato di quelle parole, ma non dubito che Kennedy stia dicendo una cosa sensa-ta. La mia intervista dura oltre un'ora , il presidente mi parla degli studi ad Harvard, dei suoi viaggi, dei diritti civili dei neri ,che vuole difendere, di Gandhi, del Papa, che desi-derava incontrare, della liber-tà e dell'amore per il suo Pae-se. Poi si sofferma sulla mi-naccia che rappresenta per il mondo intero l'Unione Sovieti-ca di Kruscev e sul proprio programma di riforme sociali. Esco contento dalla Casa Bianca . Ho tantissimo mate-riale per la mia intervista e di questo devo ringraziare "The President". Come se non ba-stasse, John Kennedy mi ha appena promesso che il mese prossimo mi concederà un' al-tra intervista, vuol far sentire"-ha detto- le parole di un presi-dente vero che non si fa sot-

tomettere da nessuno".

28 novembre 1961. L'articolo che ho scritto è fi-nito in prima pagina su Time!

23 settembre 1962 Sono tornato ancora una volta alla Casa Bianca, ci sono stato già numerose volte.Sono diventato amico del Presidente e ormai sono un giornalista famoso. Non posso fare a meno di chie-dere a John Kennedy di Marilyn Monroe "La ammi-ravo-mi dice- era una donna davvero bella e una brava attrice. Si fa "scappare" che forse è stata uccisa, ma poi, pentito, mi invita a non scri-verlo. Gli chiedo se ha pau-ra di Krusciov e Castro e lui mi dice che non ha affatto paura di loro, ma che è sempre in allerta(e con ra-gione,mi vien da pensare, visto quanto è successo il mese dopo con l'installazio-ne dei missili russi a Cuba!).

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INTERVISTA IMMAGINARIA A JOHN KENNEDY

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C’era una volta un piccolo pa-esino in a-frica di no-me Alxaca-zami. Le famiglie erano mol-te numero-se, i genito-ri molto af-fettuosi e i figli molto gentili. I bambini appena nati

erano quelli nutriti meglio, dato che le ri-sorse economiche lì erano molto scarse. Un bel giorno(o brutto giorno fate voi) il padre di una piccola, di nome Francesca, dovette lasciare il Continente nero per l’Italia allo scopo di guadagnare qualche soldo. Quando ciò fosse avvenuto, la fi-glia e la moglie l’avrebbero raggiunto in Italia . Jessica ,che viveva con il marito in una casetta semplice semplice, aveva dovuto lasciarla per problemi economici ed era andata a vivere con il suo uomo e poi con la bimba in una capanna in piena savana. Savana in cui la donna si avventurava spesso alla ricerca di un po’ di cibo(banane ad esempio), per sé e la sua bambina. I successivi due anni passarono veloce-mente e Francesca divenne amicissima di un coetaneo della sua stessa età(4 anni). Dopo qualche tempo un uomo di colore non della zona, ma provenente da un altro paese, si presentò nella capanna della

famiglia dando alla moglie una triste noti-zia:il marito, coinvolto in una sparatoria di Milano, per impedire un furto, era stato ucciso Jessica scoppio a piangere. Francesca, che aveva ormai cinque anni un giorno andò dalla madre e le disse: “Dai mam-ma, papà è morto per una buona ragio-ne ,anche se mi mancherà tanto, so che è stato un grande uomo.” La madre la guardò e le disse”:Francesca come fai a sapere tutte queste cose la mamma non ti ha mai detto nulla.” Francesca stupita dalla cosa disse:”Ma mamma, me ne hanno parlato a scuo-la!!!” Non molto tempo dopo la madre si inna-morò di André e lo sposò. Questi, uno dei pochi a vivere in condizioni agiate in pae-se, divenne il “nuovo” papà di Francesca. La bambina, anche se aveva sempre suo padre nel cuore, ora era più serena: ave-va una famiglia che le voleva molto bene ed era diventata la bambina più popolare di Alxacazami, che il suo nuovo papà a-veva fatto diventare la zona meno depres-sa di quelle lande africane. La mamma rimase di nuovo incinta e il bambino aveva un nasino a mandorla le labbra piccole e un colore del tipo “biscotto al cioccolato”. La felicità era lì e non altrove. Denise Rizzini III B

C’ERA UNA VOLTA IN AFRICA

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STROZZI NEWSSTROZZI NEWSSTROZZI NEWSSTROZZI NEWS

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Segue da p. 5

30 novembre 1962

Mi è arrivata una lettera. E' del Presidente. Mi accenna allo smantellamento dei missi-li russi a Cuba del 28 ottobre, sua grande vittoria, poi scrive "Alexis, mi sento minacciato. Mi racconta quali sono i suoi timori. Teme un attentato da parte dei sovietici. Confesso di avere paura. Rispondo im-mediatamente al Presidente, ma ho paura di quanto mi ha

detto, voglio stare lontano da quello che pare essere un brutto intrigo internazionale.

3 dicembre 1962

Sono tornato a New York ed ho scritto un articolo, dal tito-lo "America in pericolo" . Ne hanno parlato moltissimo da noi, ma anche nel resto del mondo.

22 novembre 1963

Il presidente mi ha invitato qui a Dallas. Non mi sono fatto pregare. Ho un debito di riconoscenza con John Kennedy. Poi ormai siamo amici. Mi trovo nell'auto che segue quella di John, su cui sono seduti la moglie e il governatore del Texas. Ho tra le mani la mia nuovissima macchina foto-grafica, una splendida Leika. La gente applaude , urla il suo entusiasmo nel veder passare Kennedy. Stiamo attra-versando il centro della città. E' meraviglioso. Dalla festa alla tragedia. Un rumore di spari. Uno, due, tre colpi. Il presidente si accascia. E' stato ferito a morte da una fucilata. Lo portano in ospedale. Mezz'ora dopo l'at-tentato, Kennedy è morto! E' terribile. Casualmente riesco a fotografare il suo presunto assassino, Lee Arwey O-svald ,un giovane di 24 anni, mentre i poliziotti lo stanno portando via.

Ho scritto molti articoli sul mio amico presidente , ma l'ulti-mo " Addio John" è per me il più sentito.

Alessio Pronzato III B

INTERVISTA ...A KENNEDYINTERVISTA ...A KENNEDYINTERVISTA ...A KENNEDYINTERVISTA ...A KENNEDY

Per me gli opposti contano molto. Nero, buio e male evocano nel mio animo il concetto di te-nebra . I fatti ci dimostrano come, se una per-sona lo vuole, possa pilotare gli eventi nel se-gno del male. Le guerre ad esempio; non sono volute da tutti, ma quasi sempre da uomini che amano arricchirsi ed essere sempre più poten-ti .Se ne può uscire? Sono convinto di sì! Dopo le tenebre viene la luce, come dopo la notte sorge il sole. Penso infatti che , anche chi si trova nelle situazioni più difficili, possa uscir-ne affrontandole nella più completa serenità e pace sapendo che il dolore finirà .Il bene inve-ce è senz’altro la più desiderata situazione, poi-ché è solo nelle tenebre e nella paura che, sen-za poter intervenire, si subiscono persone che pensano solo al loro tornaconto e ignorano chi prova pena e tristezza . Per esempio, cammi-nando per strada, si trova molta gente che chie-de l’elemosina e quasi nessuno offre loro una moneta . Un giorno mi trovavo in via XX Set-tembre, quando vidi un uomo sdraiato che chiedeva la carità a dei signori ben vestiti. Questi non gli diedero nemmeno un centesimo e anzi lo derisero. Così , come a Genova, an-che in altre città ci sono persone che vengono evitate come “diverse”, perché malate, invalide o sofferenti .

Per fortuna non tutti sono così cinici come quei signori ben vestiti . Io ad esempio in chiesa verso sempre qualcosa nei cesti di raccolta e, quando vedo persone generose che danno il lo-ro contributo, penso allegramente che al mon-do sia data un’altra chance .

Se penso alla luce vedo: i volontari, la polizia, i carabinieri, gli addetti del 118, i vigili del fuoco che con coraggio e sprezzo del pericolo sono sempre pronti ad affrontare le situazioni difficili.

Un segno di vera tenebra sono invece la de-pressione, il suicidio, la rabbia e l’odio. Pur-troppo molti cadono in situazioni tristi e le af-frontano drogandosi, ubriacandosi, o addirittu-ra suicidandosi , senza pensare a chi, volendo vivere, sta morendo in silenzio. Ci sono anche tenebre incarnate da talebani e terroristi che gettano fango sulla pace .

Paolo Bruzzo II E

RIFLESSIONI SUGLI OPPOSTIRIFLESSIONI SUGLI OPPOSTIRIFLESSIONI SUGLI OPPOSTIRIFLESSIONI SUGLI OPPOSTI

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Segue da p. 23

“Ah…Anita-disse- la madre dei miei figli, compagna della mia vita, nella buona e cattiva fortuna. Lo sa che la incontrai solo per caso? Desideravo avere una donna e mentre ero su una nave scorsi col cannocchiale tra le abi-tazioni della città di Laguna in Uruguay una donna alta, robusta, dal viso ovale, un po’ lentigginosa, con occhi e capelli neri. Sbarcai nel paesino e la cercai disperatamen-te ma non la trovai. Incontrai però un mio vecchio ami-co,Emanuele, che mi invitò a prendere un caffè a casa sua. Quando si aprì la porta della sua casa, vidi proprio lei, Anita. Restammo in silenzio, guardandoci e dopo un po’ le dissi:<Tu devi essere mia>. Parlavo poco il porto-ghese e queste parole gliele dissi in italiano, ma lei rima-se fulminata ugualmente. La portai con me in tutti i miei viaggi”. Mi parlò del desiderio di tranquillità di Anita : “Anita sognava una vita tranquilla, e invece, per amore mi ha dovuto seguire in tutto le mie imprese….L’unico periodo tranquillo della mia vita è stato dopo che nel 1854 com-prai metà di quest’isola con i soldi di un’eredità. Insie-me a trenta amici costruii una fattoria, con polli,capre, maiali, asini, mucche, tanti alberi d’ulivo e un vigneto. Per cinque anni fu una vita meravigliosa. ”. Mi raccontò di aver sempre avuto uno spirito ribelle: “ mio padre voleva che diventassi avvocato, medico o pre-te, ma a dodici anni scappai con tre amici in barca diretto a Genova e iniziò così la mia vita avventurosa. Mi im-barcai su varie navi che mi portarono in vari luoghi: Ate-ne, Istanbul, Odessa, le coste del Mar Nero, Costantino-poli, Rio de Janeiro, Tunisi, Tangeri, New York, Perù e Cina.” Gli chiesi dell’impresa dei Mille “Siamo partiti il 5 Maggio da Quarto”“Quarto? Ci sono stata! – dissi io,

commettendo un’imperdonabile gaffe- Ho mangiato in una pizzeria che si chiamava Cinque Maggio ”. Garibaldi per fortuna non ascoltava quanto gli stavo dicendo pre-so dai suoi ricordi. “Dopo alcuni giorni siamo sbarcati in Sicilia. Liberammo tutto il Sud dai Borboni. Conse-gnai i territori conquistati nelle mani dei Piemontesi, che non hanno mostrato sino ad ora grande riconoscenza nei miei confronti”. Finsi meraviglia al suo racconto. A quel punto una nuova gaffe mi costrinse a rivelargli la mia identità. Senza riflettere, quando tornò o a parlar-mi di Anita, gli dissi “Signor Garibaldi, ma… il marito di Anita di cui mi parlava…quello che le voleva offrire un caffè, Lo sa che uno storico molto famoso, Angelo del Boca, sostiene che lei per conquistare il cuore di Ani-ta ha dovuto uccidere il suo sposo…?”.“Mah cosa sta dicendo!? Lui era mio amico, un povero vecchio calzola-io! Ha capito che ci amavamo e ci ha lasciato spazio, permettendoci di sposarci nella Chiesa di Montevideo. Mi dica chi è questo Del Boca. Anche se sono vecchio lo voglio sfidare a duello! Ma tu …chi sei tu veramen-te?” A quel punto, Confessai ogni cosa. Gli dissi che non ero una scultrice, ma che venivo dal futuro per rista-bilire la verità storica sui fatti del passato. Più incuriosi-to, che irritato, Garibaldi dopo un po’ accettò di parlarmi della fine di Anita. “Io e altri tre patrioti di Ravenna- disse- avevamo portato Anita, incinta e molto malata, alla fattoria di Mandriole.. Alle 19.45 del 4 Agosto del 1849 la mia amata smise di vivere. Io restai per meno di un’ora accanto al suo corpo, gli Austriaci si stavano av-vicinando e dovetti scappare. I miei amici nascosero il suo corpo a 800 m dalla casa, alle Motte Della Pastora-ra. Conservate almeno le ossa, avevo detto loro”. Chiesi dei segni sul collo. E lui : “Anita portava sempre, come me, un fazzoletto rosso intorno al collo. Il sudore causato dalla forte febbre dei suoi ultimi giorni deve aver contri-buito a lasciare quei segni”. Parlammo di tante altre cose. A un certo punto, lo salu-tai e lo ringraziai. Mi aveva convinto. Poche ore dopo mi arrivò una chiamata dal nostro labo-ratorio che confermava la tesi di Garibaldi: non si era trattato di omicidio. Avrei potuto tornare nel presente. Ogni dubbio era stato sciolto. Nessuna pagina della sto-ria dell’eroe dei due mondi era da riscrivere. Il tesoro di Garibaldi non era mai esistito. Ayla Schiappacasse III B

INDAGINE SULLA MORTE DI ANITA RIBEIRO

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Ecco l’articolo pubblicato sul Secolo XIX Eravamo in 130 in palestra,a rappresentare i due plessi della media Strozzi di Genova. Un bel colpo d’occhio! Dopo i saluti del Dirigente e le foto di rito, il prof.Maurizio Braggion ha lasciato la parola a Pierluigi Vinai vicepresi-dente di Fondazione Carige. Questi, dopo aver-ci parlato della differenza tra una fondazione, che persegue scopi di utilità sociale, e una banca, si è soffermato sulla nascita della Fondazione Ca-rige all’inizio degli anni Novanta e sui suoi fi-nanziamenti di progetti nei settori dell’istruzione,del volontariato,della ricerca, dell’arte,della sanità e dello sport. In particolare, ci ha detto che la Fondazione si sta occupando in questo momento oltre che del-le famiglie e degli anziani, di noi giovani. Il Progetto Giovani, bellissima iniziativa Basata sullo sport, sul gioco e la solidarietà, con lo scopo di favorire l’integrazione e l’interculturalità, ha coinvolto quest’anno cen-toventimila bambini e ragazzi, con evento finale a maggio, in Fiera. Subito dopo il dott. Vinai ha lasciato la parola al prof. Braggion che, dopo aver presen-tato Gli ipertesti suGandhi e Luther King e Le boz-ze del giornalino. Strozzi Planet che raccoglierà i nostri lavori,ha letto due interviste immaginarie a Gandhie Luther King, scritte rispettivamente da Marco e Loren-zo della e Rebecca della II H. Marco e Lorenzo Si sono calati nella parte di un anziano giornali-sta di colore americano, intento a scrive-re,subito dopo l’elezione Di Obama, le sue memorie. Egli ripensa in par-ticolare all’incontro con King,avvenuto il gior-no dopo la marcia su Washington, e il famoso discorso “I have a dream”.Marta, per intervistare Co-lombo, ha invece vestito i panni dell’inviata del programma tv“Storie d’altri tempi”. I testi sono piaciuti a Vinai, che ci ha fatto ri-flettere sul grave problema del razzi-smo,oggetto della prima intervista. E’ quindi cominciato un fuoco di fila di doman-

de,alle quali Vinai, felice del nostro interessa-mento agli argomenti trattati,ha risposto in mo-do preciso ed esauriente. Ci ha detto tra l’altro di essere nel Consiglio di amministrazio-ne della Fondazione dal 2001 e vicepresidente dal 2007. Ha poi risposto a domande sulle no-mine in Fondazione, sulla presentazione dei progetti,sul Monte di Pietà e sulla crisi ban-caria,che non ha interessato al momento l’Istituto genovese.Quanto al privato, ci ha det-to che è padre di quattro bambini e che è juventino.Ha parlato poi dell’importanza dell’integrazione dei ragazzi stranieri. C’è stato a riguardo un simpatico sipariet-to.Vinai, in un divertente ribaltamento dei ruoli, ha intervistato Jennifer,un’alunna dell’Ecuador, da soli due anni in Italia,che è tra le più brave in grammatica italiana. Jennifer ha detto che si trova molto bene da noi e che senza l’aiuto dei compagni e degli insegnanti non si sarebbe integrata pienamente, né tantomeno avrebbe ottenuto buoni risultati a scuola.E’ ripreso poi il botta e risposta. Rispondendo a un ragazzo, Vinai ha detto che i lavori del nostro progetto potranno essere presentatialla prossima Festa dei Giovani.Finito l’incontro, nel corso del quale è stato più volte applaudito, il nostro ospite ci ha salutato, complimentando-si con noi e con gli insegnanti per i lavori svolti. Ci ha poi consegnato una copia della rivista della Fondazione,Siamo felici di questa iniziati-va e di poter partecipare al prossimo Progetto Giovani,che promette di essere davvero diver-tente. IIIB e IB

LA VISITA DI PIERLUIGI VINAI

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Forse era meglio credere in Dio nella vita terrena. Quand’ero viva pen-savo che essere mor-ti significasse solitu-dine, immobilità e silenzio e che vi fos-se soltanto la possi-bilità di pensare.

Inoltre ritenevo che ciò che ha sempre proclamato la Chiesa e che aveva scritto Dante nella sua Divina Com-media, fosse tutto inventato, invece no, il Paradiso esi-ste. E io ora sono qui con gli occhi socchiusi. La luce è accecante. Sapete cosa vi dico? Forse avrei preferito andare all’Inferno. Chissà se qui vendono occhiali da sole? Mi sa proprio di no. Sono giusto immersa in que-ste riflessioni, quando sento una mano sulla spalla e gri-do per lo spavento. E’ davanti a me un vecchio magro-lino, quasi deperito. O meglio la sua anima!Mi pare di aver già visto quel volto sulla terra. Ah Sì , ora ricordo. Su internet, sul libro di storia e di antologia delle medie c’erano sue foto. Non ricordo però chi sia. Deve essere qualcuno di importante. Subito dopo ho un’illuminazione. L’uomo davanti a me è Gandhi, colui che liberò l’India dagli inglesi e che avrebbe meritato di vincere il Nobel per la Pace .”Lei è Gandhi?” chiesi in inglese facendomi coraggio. E lui.”Sì signorina, sono io. Ha ancora una bella memoria. C’è chi arriva qui, di-menticando ogni cosa. “ Poi aggiunge “Veramente mi chiamo Mohandas Karamchand e venivo chiamato Ma-hatma” Mi presento e poi dico “Grande anima, e per-ché?”E lui”Mi chiamò cos+ l’amico poeta Tago-re”Domando “Mahatma, possiamo sederci e parlare un po’ così mi rinfresco le idee?” E lui “va bene” .Subito dopo inizia a parlare” Tanto per cominciare-dice-sono nato il 2 ottobre 1869 a Porbandar, una città di pescato-ri nello stato del Gujarat . Ero di buona famiglia e a 13 anni mi sposai con una coetanea. Gli chiedo del matri-monio. Mi risponde che fu celebrato nel 1882. Era un matrimonio combinato, secondo la tradizione indù. Fu comunque un matrimonio felice, durato sino alla morte di lei nel 1944, quattro anni prima di lui. Mi dice che ebbe con Kasturbai cinque figli maschi, il primo dei quali morto tre giorni dopo la nascita. Santando di palo in frasca, mi parlò poi dei suoi studi universitari in giu-risprudenza prima in India, poi a Londra. Laureato fu ammesso all’ordine degli avvocati inglesi esercitando la professione in India e Sudafrica. Si parla di morale, gli chiedo cos’è per lui. Mi risponde : "la morale è veri-tà" Aggiunge di averlo capito da ragazzino, quando tra-

sgredì le regole influenzato da un coetaneo che lo spinse a mangiar carne, a fumare e persino a rubare.. Pentito, confessò tutto al padre. Parlandomi del Suda-frica, mi dice che in quel Paese regnava la più terribile segregazione razziale. Un giorno lo sbatterono fuori

dal treno perché si era seduto in una carrozza di prima classe riservata ai bianchi, invece che in terza classe. In quel momento si rese conto della situazione drammati-ca in cui vivevano gli indiani in Sudafrica e fondò il Nathal Indian Congress, organizzando la prima campa-gna di resistenza passiva contro le leggi razziali. Ora inizio a capire perché quest’uomo avrebbe meritato il Nobel. Mi dice che nel 1896 nel porto di Durban, al-cuni bianchi lo picchiarono e gli tirarono pietre. Lo aiutò a sfuggire al linciaggio una donna che teneva un ombrello aperto. . Aggiunge che nel 1915, dopo aver ottenuto importanti riforme da parte del governo suda-fricano, tornò in India dove iniziò la lotta per il ricono-scimento dei diritti e delle libertà civili della sua gente, riuscendo a far partecipare alla vita politica anche gli appartenenti alle caste più basse. In quegli anni fu più volte incarcerato per le sue azioni politiche. “Nel 1919 -- dice- dopo il massacro di Amritsar fui il sostenitore della resistenza passiva o satyagrama, che consisteva nella non collaborazione con gli inglesi. Spesso usai l’arma del digiuno” Ecco perché è così magro, penso. Gli chiedo a questo punto della campagna di disobbe-dienza civile, di cui ricordavo di aver sentito parlare a scuola. Sollecitato dalla mia domanda, Gandhi mi parla del boicottaggio delle merci inglesi “Facemmo-dice- un grande falò di tessuti britannici. “ Gli indiani avrebbero dovuto indossare solo abiti di tes-suto fatto a mano prodotto in India. E cos’ fu. Il discorso cade poi sulla “marcia del sale” . "Il 12 mar-

zo del 1930 marciammo verso la spiaggia di Dand, poi

verso le coste dell'Oceano indiano dove estrassi il sale

violando le leggi inglesi. Fu un gran momento.

Mi parla poi della sua lotta non violenta , del carcere

e dell’indipendenza indiana. . Cercavo-dice- di applica-

re l’amore in tutti gli aspetti della vita”.A questo punto

gli chiedo se è stato soddisfatto dei risultati della sua

lotta. E lui: “Direi di sì, anche se speravo che il mondo

diventasse migliore.” Facendomi coraggio, gli chiedo

come è morto: “Mi racconta che lo uccise Mathuram

Godsel, un nazionalista indù. Prima di congedarmi mi

dice “Vai e ricorda che l’amore è l’unico modo che gli

uomini hanno per relazionarsi tra loro “.Proprio in

quell’istante vengo chiamata dalla mamma. E’ ora di

alzarmi per andare a scuola. E’ stato solo un sognn e,

fortunatamente sono ancora viva!”o.

Ayla Schiappacasse III B

INTERVISTA IMMAGINARIA INTERVISTA IMMAGINARIA INTERVISTA IMMAGINARIA INTERVISTA IMMAGINARIA

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Abbiamo letto in classe un bellissimo articolo propostoci dal professore, tratta-va di Nkosi Johnson, un bambino sudafri-cano morto di Aids da cui era affetto fin dalla nascita . Il ca-so di Knosi divenne noto in tutto il paese quando la madre a-dottiva chiamò i giornalisti perché il

preside della scuola in cui il ragazzo voleva iscriver-si, non lo voleva tra i suoi alunni, perché malato. Qualche tempo dopo il ragazzo divenne famoso a livello mondiale. Fu quando Nelson Mandela, ex presidente del Sudafrica, gli fece fare da portavoce per la giornata mondiale di lotta all’Aids.In quell’occasione il ragazzo accusò il governo sudafri-cano di non dare alle madri i farmaci necessari per far sì che i loro figli non si ammalassero. .La gente presente fu sconvolta dalle parole e dal sorriso di un ragazzo che stava andando incontro alla morte. Poco tempo dopo le condizioni del ragazzo peggiorarono.

Prima di morire egli ringraziò la madre adottiva e le disse che stava per lasciarla. Il caso di questo ragazzo mi ha fatto molto riflettere su quelli che sono i veri problemi della vita. I ragaz-zi d’oggi, tra i quali mi ci metto anch’io, si lamenta-no per quelli che problemi non sono. Qualcuno di loro dice di essere sfortunato , invece non gli man-ca nulla e soprattutto è sano come un pesce. La vera sfortuna è nascere, come questo ragazzo, con una grave malattia, oppure ammalarsi e soffrire . I bam-bini malati sono ovunque, ma soprattutto nel sud del mondo. Bisogna fare qualcosa. Anche Ayla, una compagna, ha riflettuto su questa vicenda. Ecco le sue parole “Sono tante le cose che non vanno bene nel mondo: la povertà, le malattie, la sofferenza. Ep-pure chi è fortunato trascura questi problemi, li igno-ra. E’ facile dire che il mondo non va bene e poi non fare niente.L’articolo sulla vicenda di Nkosi dovreb-be “scatenare” qualcosa in noi, farci capire, “segnarci”. Ma non tutti capiscono. Non si fa altro che sperare, ma non si ha il coraggio di agire.” Parole condivisibili quelle della compagna, non si può restare indifferenti di fronte a una vicenda come questa. Angelo Musso III B

LA VICENDA DI NKOSI JOHNSONLA VICENDA DI NKOSI JOHNSONLA VICENDA DI NKOSI JOHNSONLA VICENDA DI NKOSI JOHNSON

Abbiamo letto in classe un brano sulla vicenda di Iqbal Mazih IL ragazzino ucciso dalla mafia pachista-na perché aveva denunciato lo sfruttamento suo e di tanti bambini come lui nelle fabbriche di tappeti . Iqbal era stato venduto dal padre, per un debito da saldare . La storia che abbiamo letto narra di un epi-sodio accaduto nella bottega di Hussein , il padrone. Quel giorno Iqbal , mentre gli altri lavoranti erano a riposo in attesa di riprendere il lavoro, continuò a tessere un tappeto e lo faceva con una velocità incredi-bile. Il proprietario lo vide e gli si avvicinò soddisfatto. Proprio in quel momento ,però, Iqbal strappò il tappeto su cui stava lavorando. Era un gesto il suo di piena ribellione. Come dire “adesso basta”.La puni-zione fu terribile. Iqbal fu rinchiuso nella cosiddetta “tomba”, che in realtà era una vecchia cisterna inter-rata, piena di scorpioni, all’interno della quale, anche nei giorni più caldi e afosi, passava solo un filo di luce. Tutti gli altri giovani lavoranti si chiesero perché Iqbal l’avesse fatto, ma non sapevano darsi una risposta. Mai nessuno, prima di allora, era finito lì. . Al di là dello stupore per quel gesto, i ragazzi erano comunque convinti che Iqbal avesse ragione. Matteo Altamura

L’EROISMO DI IQBQL MAZIH L’EROISMO DI IQBQL MAZIH L’EROISMO DI IQBQL MAZIH L’EROISMO DI IQBQL MAZIH

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