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Società Storica Chivassese

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Studi Chivassesi

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a cura della Società Storica Chivassese

Autori dei testi della presente volumeFr. Luca Pier Carlo IsellaFabrizio SpegisDavide BossoClaudio Bracco

Grafica e ImpaginazionePhoenixlab Professional - Chivasso

StampaA4 - Servizi Grafici - Chivasso

Proprietà letteraria riservata

Volume 1 - Prima edizione 2010

In copertina: A.RESTA, Pianta di Chivasso, 1572-1575

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SALUTO DEL SINDACO

Sono particolarmente lieto di poter partecipare alla presentazione di questoprimo volume di scritti storici sulla nostra Città.

Un lavoro svolto con particolare passione, perizia e professionalità dai mem-bri della Società Storica Chivassese che, con questa prima pubblicazione, ci of-frono un saggio delle potenzialità del lavoro di ricerca presso il nostro ArchivioStorico, prezioso contenitore di documenti, vita e storia della nostra gente e dellanostra città.

Quando si costituì, nel 2005, con un apposito atto formale della Giunta Mu-nicipale, l’associazione si era posta, tra i suoi obiettivi, quello di promuovere, va-lorizzare e conservare il patrimonio archivistico locale; oggi abbiamo tra le maniil risultato concreto di quei propositi, il primo frutto della collaborazione tral’Amministrazione Comunale e la Società Storica Chivassese che fa riemergere,dalla polvere deposita sugli scaffali degli archivi, quattro preziosi e curiosi fram-menti della vita passata della nostra città.

Un’occasione importante per guardarci alle spalle e consegnare ai nostri figlidel materiale vivo e pulsante, assolutamente utile per costruire le basi del nostrofuturo.

Un ringraziamento sincero, quindi, ai componenti della Società Storica Chi-vassese e a tutti coloro che con il loro impegno e con il loro intervento ci rega-lano questa nuova pubblicazione.

Un particolare plauso agli autori di questi testi: Davide Bosso, frate LucaIsella, il prof.Fabrizio Spegis, membri dell’associazione e il prof. Claudio Bracco,prezioso collaboratore.

Con la speranza che queste pagine trovino un posto adeguato nelle case deichivassesi, vi auguro buona lettura.

Il SindacoBruno Matola

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ANNOTAZIONI

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SALUTO DEL PRESIDENTE

Nata per espressa volontà dell’Amministrazione comunale il 13 dicembre2005, la Società storica chivassese in questi suoi primi quatto anni di vita ha giàfatto parlare di sé in occasione di importanti eventi culturali:-nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poinel mese di settembre, il convegno tenutosi a Chivasso con il patrocinio del Co-mune, sui marchesi Paleologi a settecento anni dal loro insediamento;-nel 2007, la pubblicazione del Consocio P. Luca Isella di un’interessante storiadel santuario di Nostra Signora di Loreto di Chivasso, alla luce di nuovi docu-menti;-nel 2008, l’allestimento di una mostra storica sul contingente di soldati polacchistanziato alla frazione Mandria di Chivasso dal dicembre 1918 al luglio 1919, inoccasione del festival internazionale di letteratura “I luoghi delle parole” svoltosia Chivasso dal 3 al 12 ottobre 2008 che in quell’anno ha proposto la Polonia inqualità di Paese ospite.

Ora, nel 2010, esce anche il primo numero del suo bollettino, con quat-tro articoli di altrettanti Consoci che sviluppano argomenti vari di storia chivas-sese.

Scopo della Società storica è quello di aggiornare continuamente la sto-ria di Chivasso e del Chivassese, sia approfondendo tematiche vagliate dagli sto-rici del passato, sia, soprattutto, introducendo elementi del tutto nuovi cheforniscano la possibilità di ampliare gli orizzonti della nostra storia locale.

Il bollettino non è retaggio esclusivo di un ristretto numero di autori:chiunque avrà da proporre argomenti legati a Chivasso e al Chivassese sarà sem-pre il benvenuto e troverà ospitalità nella pubblicazione associativa.

In qualità di presidente, non posso che rallegrarmi, con gli altri Consoci,dell’uscita di questo primo numero: l’auspicio più sincero è che la rivista esca acadenza regolare e che, con i contributi apportati dai collaboratori, ampli le co-noscenze sul passato del nostro territorio e stimoli nuove ricerche

Fabrizio Spegis

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RINGRAZIAMENTI

Gli autori ringraziano per la fattiva collaborazione e il sostegno organiz-zativo l’assessore alla cultura del Comune di Chivasso, Alessandro Germani, ladottoressa Marcella Verga, lo staff del Sindaco e tutta l’amministrazione comu-nale.

Si ringrazia inoltre l’agenzia di arti grafiche Phoenixlab Professional diChivasso che ha curato il progetto grafico e l’impaginazione del volume.

Per le ricerche d’archivio i nostri ringraziamenti vanno all’archivista Mo-nica Bertolino, responsabile dell’Archivio Storico della Città di Chivasso e ai variarchivi ed enti pubblici e privati che hanno permesso le ricerche che sono allabase degli studi pubblicati.

Infine un grazie sincero a tutti coloro che, leggendo questo nostro primolavoro, saranno stimolati a prendere parte al nostro progetto associativo e con-tribuire, con il proprio lavoro di studio e ricerca, alle prossime pubblicazioni.

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Gli autori di questo numero:

Luca Pier Giorgio Isella: religioso, padre Guardiano presso il convento deifrati Cappuccini di Chivasso, è studioso di storia religiosa e civile ed autore di nu-merosi saggi, tra i quali spiccano quelli nati dal suo lungo lavoro di ricerca alMonte dei Cappuccini di Torino. È membro della Società Storica Chivassese dallasua fondazione.

Fabrizio Spegis: docente di Italiano, Latino e Storia presso il Liceo Lingui-stico “Europa Unita” di Chivasso, è storico e scrittore da tempo impegnato nellostudio della storia locale. Autore di numerosi saggi, collabora a diverse pubblica-zioni, tra le quali i Quaderni Verolenghesi , di cui è curatore dalla loro creazione.È presidente della Società Storica Chivassese.

Davide Bosso: libero professionista e appassionato di storia militare, ha cu-rato per alcuni anni la rubrica di storia locale sul settimanale “La Periferia” e hascritto il libro “Cronache di un assedio” edito dalla Pro Loco Chivasso L’Agri-cola. È uno dei soci fondatori della Società Storica Chivassese.

Claudio Bracco: ricercatore di Glottologia e Linguistica presso la Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università di Torino, ha pubblicato studi riguardanti, pre-valentemente, argomenti di linguistica italiana. È alla sua prima collaborazionecon la Società Storica Chivassese.

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ArchivioStoricodellaCittàdiChivasso-RegistroRefformazioni1574.1575.1576.1577,anno1575,

f.5r

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4(dettaglio;fotodell’autore)

INDICE

Fr. Luca Pier Giorgio IsellaRISCOPERTA DEL PADRE AGOSTINIANO GIUSEPPE AGO-STINO BORLA, storico chivassese (1728-1797).....................................................................

Fabrizio SpegisLA GENESI DELLA FERROVIA CHIVASSO-IVREA E LA SCELTADELNODODI CHIVASSO.....................................................................................................................

Davide Bosso“...AB IMPETUMELVETIORUM...” - 19 agosto 1515, il sacco svizzerodi Chivasso........................................................................................................................................................................

Claudio BraccoCHIVASSINI E CHIVASSESI................................................................................................................

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imbattuto. L’impiego dell’aggettivo geografico (sostantivato) per indicare unaspecialità locale è frequentissimo e non necessita di commenti; la terminazione-ino può essere stata indotta dall’accostamento a nocciolini.

Vorrei infine riferire, senza uscire dall’ambito gastronomico, della denomina-zione di un tomino prodotto vicino a Chivasso: il tomino di Saronsella o chivassotto 43.Ignoro quanto e in quali ambiti la denominazione sia effettivamente usata, ma,in ogni caso, siamo dinanzi a un altro derivato di Chivasso, formato questa voltacon il suffisso -otto 44. Derivato che, come chivassino, corrisponde ad una forma dia-lettale. La solita ricerca in rete ha portato alla scoperta che fra i piatti offerti daun ristorante di Ivrea ci sono «i civasot con mele caramellate» 45.

43 Il sito del Parco fluviale del Po tratto torinese (parks.it/parco.po.to) ci informa che la zona di produ-zione del tomino di Saronsella (Chivassotto), è costituita da «alcuni Comuni delle colline a destra del Po,nei pressi di Chivasso (TO): S. Sebastiano da Po, Casalborgone, Rivalba, Castagneto Po», che il formag-gio «prende il nome dalla frazione Saronsella del Comune di San Sebastiano da Po, località in cui vieneprincipalmente prodotto a livello famigliare nelle cascine» e che «è classificato come “Prodotto agroali-mentare tradizionale della Regione Piemonte” ai sensi dell’art. 8 del D. lgs. 30 aprile 1998, n. 173 e del-l’Allegato alla Deliberazione alla Giunta Regionale 15 aprile 2002 n. 46-5823». Anche il sito ufficiale dellaRegione Piemonte ha una pagina (regione.pmn.it/agri/vetrina/prodottitipici/pat/caseari/saronsella.htm)dedicata al «Tomino di Saronsella o Chivassotto».44 Suffisso che è usato per formare non solo diminutivi, ma anche etnici, nell’Italia settentrionale (prin-cipalmente) e centrale: chioggiotto, rovigotto, varesotto ecc. (cfr. F. RAINER, Etnici, cit., p. 407).45 Gambero Rosso low cost. I migliori indirizzi per mangiare a 10, 20, 30 euro, Roma, Gambero Rosso G.R.H.S.p.A., 2007, p. 25; il passo è stato individuato mediante “Google libri”. Dal ristorante mi hanno corte-semente confermato che i civasot serviti con le mele caramellate sono dei tomini.

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Si riparla di Chivasso, sperduto paesello nella provinci di Torino […]Il tempo passa, l'inverno e' agli sgoccioli e la primavera alle porte, ed ai nostri chivassini viene inmente di organizzare un normale concerto, solo per stare insieme senza nessun pretesto pro-vocatorio, visto che il sole inizia a riempire le fredde giornate piemontesi.(punk4free.org, 18.2.2009)

[…] ha scritto alle 13.03 del 18 febbraio 2009da tre anni e mezzo che sono in adozione a chivasso e mi lamento perche nn lo fattoprima???????????ciao chivassini

[…] ha scritto alle 10.33 del 4 marzo 2009semmai ciao chivassesi(facebook.com)

Visto che partiamo più a nord di loro potremmo anche passare a prendere i chivassini.... tantoso già che alla fine si andrà in macchina... che quattro ruote per scendere sono più stabili di due....(freestyler.it, inserito sul forum da utente di Ivrea, 18.5.2006)39

La forma si direbbe usata per lo più da persone che non sono di Chivasso e nonsanno quale sia la forma normale, “corretta”, per ‘abitante di Chivasso’ oppurepreferiscono adoperarne una “non corretta”, di tono diverso 40.

Rilevo l’uso di Civassino (di borliana memoria), presumo in quanto formad’epoca, nei testi sulla storia dei frati Cappuccini a Chivasso scritti da Padre LucaPier Giorgio Isella e presenti sul sito cappuccinipiemonte.it.Un reperto curioso: sul sito di un consulente per l’industria dolciaria 41, nella

sezione Produzione & Tecnologie, l’elenco dei prodotti di Pasticceria industriale pre-senta, al secondo posto, dopo Amaretti e prima diMeringhe, Chivassini. Suppongosi voglia alludere ai dolci universalmente noti come nocciolini di Chivasso 42. Nonsono riuscito a trovare altre occorrenze di questo termine e ad appurare se equanto sia diffuso nell’ambiente dei pasticceri; personalmente non mi ci ero mai39 Corsivi e omissis miei.40 Occorrerà, naturalmente, appurare se questo uso odierno di chivassino abbia una qualche consistenza(o non sia costituito solo da produzioni occasionali) e indicare come possa essere caratterizzato il rap-porto tra la forma in -ese e quella in -ino nella fase attuale. In ogni modo, è chiaro che le due forme ap-partengono a piani diversi.41 nardiantonio.it.42 Denominazione citata dal DI, s.v. Chivasso: «nocciolini di Chivasso m.pl. ‘piccoli amaretti prodotti in Pie-monte’». Si trova menzione del prodotto già nella voce Chivasso dell’Enciclopedia Treccani: «Le industriesono rappresentate da concerie, stabilimenti siderurgici e meccanici, fabbriche di tessuti varî e maglierie,da fabbriche di liquori e di dolci (nocciolini di Chivasso)» (Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, vol.X, Roma, Istituto Giovanni Treccani, 1931).

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Fr. Luca Pier Giorgio Isella

RISCOPERTA DEL PADRE AGOSTINIANOGIUSEPPE AGOSTINO BORLA

storico chivassese1728 - 1797

Di lui si è detto

nche tra i chivassesi di antico ceppo non è davvero facile trovare qualcunoche ti dia informazioni un po’ più che generiche a proposito di padre Giu-

seppe Borla, eppure, proprio presso la centrale via Torino, dove esisteva l’ingressodel Convento degli Agostiniani e della bella chiesa di S. Nicola da Tolentino, al-

Borla”, non certo da oggi, credo almeno da oltre un secolo a questa parte 1. Pra-ticamente sconosciuto anche per molti dei suoi odierni concittadini, questo frateagostiniano del Settecento, è da ritenersi il primo storico della nostra Città, dellecui vicende si occupò in modo appassionato e rigoroso. Con tutte le peculiaritàe i limiti tipici degli uomini di cultura del suo tempo, a causa del tipo e modo diindagine storica compiuta dal padre Borla si deve dire che non è possibile per al-cuno addentrarsi nella storia di Chivasso se non passando per i suoi scritti e me-morie. Anzi, non è affatto possibile scrivere e far conoscere la storia della nostracittadina se non accettando la mediazione costituita dalla raccolta documentariadel nostro frate agostiniano.

Vale dunque la spesa di riscoprire tutta l’importanza di questo antico perso-naggio, lo hanno già detto e scritto voci autorevoli, come qua e la noteremo, conla convinzione anche che non è una lacuna solo chivassese, perché mancanti dicultura di storia patria, si tratta a ben vedere di un limite che segna abbondante-mente tutta la cultura contemporanea nostrana, quello di non dare peso alla sto-riografia religiosa, perché vista come parziale e secondaria, quasi sottoprodottoirrilevante della grande storia sociale, economica, politica, militare, notiziolebuone tutt’al più per un bollettino parrocchiale o un notiziario devoto. Questolimite, certamente datato e fazioso, per diversi segnali pare oggi perdere credibi-

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1 C. VITTONE, Casa Savoia il Piemonte e Chivasso, vol. 1, Vaccarino ed., Torino 1904, p. 289.

A

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meno fin dal tempo di Napoleone, ad un incrocio stradale si legge “via Giuseppe

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di clauas(s)ienses, ma anche, un «populum clauasinum» 32; nel titolo di una delledue edizioni lionesi del 1534 della Summa Angelica 33 il nome dell’autore è accom-pagnato dall’etnico Clauasinum; altri esempi ancora si potrebbero menzionare,ma mi limiterò a ricordare il titolo, De clade clavaxina, del capitoletto che Dome-nico de Bellis, detto Maccaneo 34, dedica in una sua opera storica 35 alla strage eai saccheggi compiuti a Chivasso nel 1515 dalle truppe del cardinale Schiner 36.Da segnalare sono anche attestazioni di una forma con suffissazione in -anus of-

ferteci da due libri del medico chivassese Giovanni Francesco Arma (XVI secolo),dove l’autore è così indicato: «Ioannis Francisci Armae Clauassiani» 37; (l’Armascrisse altre opere in latino di argomento medico, in esse pure si qualifica comechivassese, ma usa il consueto Clauassiensis). Non conosco ulteriori esempi di Cla-uassianus.Il tramonto di chivassino in favore di chivassese è da vedere, a mio avviso, come

un prendere le distanze da una voce che ha risonanze dialettali 38 e un adegua-mento a un modello sentito come non locale, italiano e ufficiale.

Venendo all’oggi, si può notare che la forma chivassino occorre sporadicamente intesti presenti su internet, in vari forum, blog e social network: inserendo la voce in unmotore di ricerca, se ne trova, infatti, qualche esempio recente; ne riproduco alcuni:

poi ti rendi stupidamente ancella di due personaggioni che ne hanno combinate di tutti i coloricome il meneghino e il chivassino che ora si ritrovano conciati come tutti possiamo, con un mi-nimo di obiettività, constatare….(comunica2.globalfreeforum.com, 12.9.2009)stati del Duca di Savoia), a cura di L. Firpo, Archivio storico della Città di Torino, 1984, p. 183 n. 4.32 Iurium municipalium…, cit., f. 1v.33 Summa Angelica de casibus conscientalibus / per ... Angelum Clauasinum ... cu[m] additionibus [et] commodis ... Ja-cobi Ungarelli ... pristine luci ac integritati sue restituta est necnon ... Augustino Patauino ... cum industria ac solerti di-ligentia revisa …, Lione, Giunta, 1534.34 In quanto nato a Maccagno (VA).35 DOMINICI MACHANEI Mediolanensis Epitomae Historicae Novem Ducum Sabaudorum, in MonumentaHistoriae Patriae, t. III, Historiae Patriae Monumenta / edita iussu Regis Caroli Alberti / Scriptorum, t. I, Torino,1840, col. 822. Il Maccaneo morì nel 1530.36 Sull’episodio si veda il lavoro di Davide Bosso in questo volume.37 Corsivo mio. Si tratta di: a ) Quaestio. Ioannis Francisci Armae Clauassiani Serenissimi Domini Domini Ducis no-stri Medici quod Medicina sit Scientia et non Ars, Torino, 1575 (ne esiste una seconda edizione ampliata, pub-blicata nel medesimo anno; cfr. R. BÈTTICAGIOVANNINI,Giovanni Francesco Arma Medico Chivassese delCinquecento, Chivasso, Università della Terza Età di Chivasso, 1998, p. 33; il lavoro del Bèttica Giovanniniè corredato di belle riproduzioni delle copertine e di qualche pagina dei libri dell’Arma) e b) Serenissimi D.D. nostri Medici Ioan. Francisci Armae Clauassiani. Secunda pars quaestionis. quod Medicina sit Scientia , et non Arsin Dialogos deducta, cui anectuntur per plures aliae Quaestiones non futiles, Torino, eredi di Nicola Bevilacqua, 1576.38 Come detto, chivassino è adattamento della forma dialettale čivasìŋ.

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lità, infatti, nella recente ricerca storiografica regionale anche in Piemonte, si se-gnalano orientamenti ben diversi, dove l’aspetto locale, e nella fattispecie reli-gioso, viene letto come interagente, anzi parte specifica e costitutiva della storiacivile tout-court.

Trovo, a questo proposito delle annotazioni preziose nel volume recente-mente curato da Paola Bianchi per l’ISPRE (Istituto per la Storia del PiemonteRegione d’Europa) anno 2007, ed edito dal Centro Studi Piemontesi 2 , dove aproposito del separatismo storiografico tra civile e religioso, con riferimento alleproblematiche del giurisdizionalismo si afferma: “Questa attenzione a «uomini, mo-menti, problemi di uno scontro che non si svolse soltanto sul piano della rivendicazione deidiritti regi nei confronti della Santa Sede, ma sollecitò anche a interrogarsi sull’organizzazionedella Chiesa» ha caratterizzato settori diversi e significativi della storiografia subalpina più re-cente. Da alcuni decenni, ormai, si studiano a fondo le esperienze «civili e religiose» dei prota-gonisti del giurisdizionalismo, le forme e i modi del governo ecclesiastico del territorio, gli attoridi un conflitto – quello fra Chiesa e Stato – che continua ad essere interpretato da molte particome presupposto (logico e cronologico) della secolarizzazione, e quindi della modernità. Il puntofocale di questa visione della storia religiosa è il nesso fra religione e politica, fra Chiesa e potere,fra Clero ed élites. Si tratta di una visione, questa, che ha privilegiato nettamente le istituzioniecclesiastiche, la cui storia «è anche una storia più o meno diretta o riflessa delle forme di orga-nizzazione del potere, e ne illustra anzi alcuni aspetti essenziali», mentre ha lasciato in secondopiano la vita religiosa, la cui storia – è stato ribadito a proposito del XVIII secolo – è anchestoria «dei sentimenti e delle credenze religiose collettive» di cui la Chiesa cattolica si fece «in-terprete e portatrice nel suo progetto di conquista cristiana della società….. Che la storia reli-giosa debba essere intesa nelle sue molteplici dimensioni, tenendo in pari considerazione tantole prospettive politico-istituzionali quanto quelle economico-sociali, tanto gli aspetti artistico-cul-turali quanto – non ultimi – quelli spirituali e devozionali (giacché la Chiesa – è stato scrittotempo fa – è si un complesso sistema istituzionale, ma anche un «corpo mistico» in perenne equi-librio fra terra e cielo) appare oggi un’esigenza improcrastinabile. Tanto più per una realtà sto-riografica – quella rivolta al Piemonte – nella quale sta emergendo, sia pur a fatica, laconsapevolezza dell’importanza della dimensione religiosa nella storia del territorio, delle città,delle istituzioni, così come in quella dello Stato e della corte”. Entrando quindi nello specificodella vita dei cristiani consacrati nella vita religiosa si accenna: “E’ un problema di più ampiospessore: la complessiva carenza di dati sul clero nel Piemonte moderno…tale carenza diventaancora più lampante per ciò che riguarda il clero regolare.Va peraltro precisato, che «la sotto-2 P. COZZO, Storia religiosa. Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nel Piemonte di età moderna, in Il Piemonte in

rino, Centro Studi Piemontesi 2007, pp. 167-216.

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età moderna, linee storiografiche e prospettive di ricerca, a cura di P. BIANCHI, Comitato promotore ISPRE, To

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dei suffissi -ensis o -inus, i suffissi latini da cui derivano i suffissi italiani -ese e -ino.Lat. med. clavaxiensis è attestato (almeno) dal XIII sec. 28 e l’uso di forme in

-ensis continua ed è prevalente nei testi in latino delle epoche successive 29. Formein -inus sono reperibili in documenti di una certa antichità. È nota l’esistenza diuna strada chiamata Clivaxina 30; nel colophon dell’edizione stampata a Chivassonel 1486 della Summa Angelica del Beato Angelo Carletti (come anche in edizionisuccessive) si leggono alcuni versi, in uno dei quali si ricorda la patria dell’au-tore: «Clauassina […] terra» 31; nella raccolta giuridica di Bernardino Siccardi hotrovato non solo, come accennato nella nota 29, un certo numero di occorrenzeChivasso nel Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, di G. GASCA QUEI-RAZZA, C. MARCATO, G. B. PELLEGRINI, G. PETRACCO SICARDI, A. ROSSEBASTIANO, To-rino, UTET, 20063; per quelle italiane, il DI, s.v. Chivasso.28 In un documento del 1260 (una transazione fra il vescovo e i canonici di Ivrea da una parte e il prevo-sto e i canonici di Chivasso dall’altra), noto solo attraverso una trascrizione del Borla, abbiamo: «nomineClauaxiensis Ecclesie», «Ecclesiam Clauaxiensem», «bona Ecclesie Clauaxiensis» (cfr. G. BORLA,Memo-rie..., cit., vol. 3, sez. Documenti citati nella presente Opera, IV, pp. 7-13; la trascrizione del Borla si può leg-gere anche in V. DRUETTI, Le carte dell’archivio comunale di Chivasso fino al 1305, in Cartari minori, vol. 1,Pinerolo, 1908, pp. 273-310, doc. XI, pp. 284-7).29 Nella raccolta di documenti giuridici commessa dalla Credenza di Chivasso a Bernardino Siccardi, dataalle stampe nel 1533, gli abitanti di Chivasso sono chiamati generalmente, quando non designati con pe-rifrasi, clauas(s)ienses: per esempio, «declarando predia Clauassiensium transpadana tali immunitate gaudere»(Iurium municipalium incliti oppidi seu burgi Clauassii per Venerandum Patrem Fratrem Seraphinum Sicardum […]collectio, Chivasso, F. Garrone, 1533, f. 3v), «que a clauassiensibus obseruanda uidentur» (Ivi, f. 7r ), «quiautebantur Clauassienses in litigiis et solutionibus notariorum decretis marchionalibus» (Ivi, f. 7v).30 «Si tratta di una strada scomparsa, attestata dalla documentazione, che secondo Serra collegava la stradaromana Torino-Pavia con Volpiano e la valle di Lanzo; viene menzionata nel catasto [chivassese] datato1370 ma risalente alla fine del XIII secolo […] al f. XXXVIIIv: in Clivaxina » (F. SPEGIS, Antica viabilitàchivassese, in Theatrum Clavasiense. Mostra Cartografica e documentale sulla Città di Chivasso. Chivasso, Chiesa di S.Maria degli Angeli 4 – 30 ottobre 1997, a cura di B. SIGNORELLI, P. USCELLO e C. VAJ, Torino, Celid,pp. 13-22, a p. 17). Giandomenico Serra scrive di due strade conosciute come ‘via di Chivasso’: «Ancoradalla stessa Porta Humiliatorum si spiccava laVia eundo versus Montem Jovis […] che […] si riuniva alla ViaRomea già descritta, sul territorio di S. Benigno, ove il catasto locale dell’a. 1492 la ricorda ancora sottoil nome di La Clavaxina. Collo stesso nome, di La Clavaxina o Via Clavaxi (anno 1554) poi Via di Chi-vasso (a. 1692), si denominava un’antica via che collegava la strada romana sul territorio di Chivasso alluogo di Volpiano e di lì proseguiva verso i fondi e i vici già ricordati sul territorio di S. Maurizio e di Cirièsino all’imbocco della Valle di Lanzo» (G. SERRA, Contributo toponomastico alla descrizione delle vie romane eromee del Canavese, in Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia medioevale, Napoli, Liguori, 1954, p. 206).31 «Humano Angelicas quicumque audire loquelas / Ore cupis: presens perlege Lector opus, / Hic sacroscanones. Hic et ciuilia iura / Hic sancte inuenies Relligionis opes / Maxima multorum quod uix dabat antelibrorum / Sarcina: id Angelica dat tibi summa breuis. / Angelus est auctor, Sacri decus ordinis ingens /Seraphici: et tante Relligionis honos. / Auctorem atque opus impressum felicia dona / Clauassina tulit terrabeata viro. / Nec Carleta minus gens felix unde creatus / Angelus Angelicis dignus adesse choris» (AN-GELODACHIVASSO, Summa angelica de casibus conscientie, Chivasso, Iacobino Suigo, 1486, colophon). Evi-denziatura in corsivo mia. Una traduzione in italiano di questi versi si trova in Theatrum Sabaudiae (Teatro degli

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valutazione degli Ordini nella storiografia sull’età moderna» è un limite che va ben oltre l’ambitopiemontese, nel quale se, da un lato, negli ultimi anni non sono certo mancate ricerche di notevolevalore su gesuiti e cappuccini (ossia gli Ordini più impegnati nell’attività di repressione del dis-senso religioso e di riconquista cattolica delle aree più esposte all’infiltrazione della riforma pro-testante), dall’altro ancora assai critico appare lo stato delle conoscenze su altri Ordini religiosi”.

Con l’attenzione all’attualità di questa riscoperta del mondo religioso, nonpiù visto come separato e/o soltanto dipendente dalla società civile-politica, ciaccingiamo alla piccola riscoperta del padre agostiniano Giuseppe AgostinoBorla, storico chivassese, principiando dalle odierne e più significative “trou-vailles” archivistiche.

Nella recente riproduzione fotografica di un vecchio manoscritto cartaceo delsecolo XVIII di 292 pagine rilegato in pergamena 3, del cui originale si è forsepersa la provenienza, si legge: “Il Padre Lettore (insegnante) Giuseppe Agostino Borladi Chivasso, nipote del P. Lettore Felice e fratello del P. Lettore Felice Adeodato, quale vestìl’abito agostiniano nel 1747 a nome del Convento di S. Maria dell’Orto di Velletri, da dovefu traslato a quello di S. Niccola di Chivasso l’anno 1761, in cui resse il Priorato dall’anno1770 fino al 1779. Trasferitosi in Roma lo stesso anno 1779 colà gli fù accollata la Procura(economato) del Convento di S. Maria del Popolo. Costretto a rimpatriare dopo tre anni acausa dell’insalubrità di quell’aria, fù l’anno 1784 destinato in Priore di S. Agostino diChieri, compito il biennio passò nel 1786 al Priorato di S. Stefano di Villafranca che ressefino al 1791. Passati alquanti mesi in patria nel gennaio seguente si portò a reggere quello diS. Agostino di Ivrea. Dovrebbe il P. Borla passare sotto silenzio il suo operato pendente spe-cialmente il tempo in cui governò il proprio Convento perché appunto: Laus in ore proprio sor-descit riconoscendosi affatto indegno di alcuna lode; pure per proseguire l’incominciato ordine eper dimostrare quel tenue profitto che ricavò dalla saggia condotta, esempi, ed istruzioni de’ dilui Predecessori, con tutta la sincerità dirà che appena compiuto il corso de’ suoi Studii fu chia-mato alla Stanza di Chivasso, ove sotto la direzione del fù P. L. Cesare Galperti attualePriore si applicò all’assistenza della Chiesa ed all’economico del Convento, come poi sempre pro-seguì senza risparmio di quasi continui e gravi incomodi. Procurò fra l’altre cose che il Conventoacquistasse la Casa sopra menzionata nella Cortasa, e quatro giornate e mezza di Campo allavia di Montanaro, superando gli impegni da più Secolari fraposti. Eletto in Priore con maggiorecalore proseguì la cultura della Campagna col fare ridurre tutti li siti gerbidi e per quanto per-mise la qualità de terreni a perfetta cultura, popolare le rippe de Campi e Prati di albere, salicie di mori, noci e specialmente quelle de prati di verse, facendo altresì formare un Bosco di dette3Notizie istorico – economiche del Convento dei Padri Agostiniani della Città di Chivasso, riproduzione fotograficarealizzata dal Centro Studi di Storia Chivassese, a cura di L. DELL’OLMO e R. SCUCCIMARRA, Chi-vasso 1989.

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di Chivasso è chivassini, ma compare un paio di volte chivassesi 19. In un libretto del1853 contenente un Carmen in latino in lode del Beato Angelo Carletti da Chi-vasso e la suaVersione italiana, leggiamo nell’intestazione il chivassese Sodalizio, con-trastante con «edizione chivassina» nella nota al testo n. 6 20. In un testo del 1864,scritto in occasione di una cerimonia svoltasi a Chivasso, l’autore usa la forma in-ino (due occorrenze: un Chivassini, sost. e un Chivassino, agg.) 21. Esaminando iltesto delle conferenze storiche che Carlo Vittone 22 tenne a Chivasso negli anni1897 e 1898 poi pubblicato nel 1904 si riscontra che l’etnico compare (solo)come Chivassesi 23, 24. Lo spoglio di articoli di cronaca riguardanti Chivasso pubbli-cati nelle annate 1919, 1921 e 1922 del periodico “La sentinella del Canavese” 25ha consentito di rilevare esclusivamente occorrenze di chivassese/-i. Si osservi chenelle denominazioni di associazioni, attività commerciali ecc. degli ultimi decennil’aggettivo usato è a mia conoscenza sempre chivassese: per es., Arti Grafiche Chi-vassesi, Associazione Dilettantistica Scacchistica Chivassese, Centro Sportivo Chivassese,Gruppo Sportivi Chivassesi, Società Storica Chivassese 26. I lessici, come si è visto, pren-dono atto nella seconda metà del Novecento dell’affermazione della forma in -ese.Nei documenti in latino (medievali e moderni) troviamo forme derivate da

Clavas(s)ium (o varianti, innanzitutto quella grafica Clavaxium)27 con l’aggiunta

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19 Cfr. G. CASALIS, Dizionario geografico storico - statistico - commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna,Vol. V, Torino, G. Maspero, 1839 [ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1972], s.v. Chivasso.20 Cfr.Nella festa secolare ad onore del Beato Angelo Carletti da Chivasso che nella Chiesa sacra alla Regina degli Angelipresso Cuneo solennemente si celebrava nei giorni 24, 25, 26 di aprile 1853 il chivassese Sodalizio che dagli angeli ha nomeessendo priore il signor Sebastiano Serra alle venerate spoglie del suo glorioso concittadino e protettore devotamente offeriva,Chivasso, Lamberti e Pietracqua, 1853, pp. 1, 16. L’autore dei testi (e, presumo, anche delle note) è, comesi ricava dalla firma sotto la dedica latina, il p. Giuseppe Giacoletti (latinamente: Joseph Jacolettius).21 Cfr. Scherzo poetico per l’inaugurazione del Teatrino Civico di Chivasso avvenuta il giorno 16 ottobre 1864, Chivasso, Pe-regalli s.d. [ristampato anastaticamente in R. BÈTTICA, Cronache della nobile Città di Chivasso, Chivasso, l’Agri-cola, 1985, pp. 321-31, come cap. 48 Scherzo poetico per l’inaugurazione del Teatro Civico di Chivasso /Versi di S. L./ (1864)]. Chivassini è in rima: «E qui fia debito / Di ricordare / Quelli che il pubblico / Tengono affare, /Dal voto unanime /Dei Chivassini / Chiamati a reggere / I lor destini» ( R. BÈTTICA,Cronache, cit., p. 325).22 Nato a Chivasso da famiglia chivassese.23 Il controllo è stato effettuato sui testi delle conferenze del primo volume della raccolta (C. VITTONE,Casa Savoia il Piemonte e Chivasso: conferenze storiche tenute nel Teatro Civico di Chivasso negli anni 1897 e 1898,vol. I, Torino, Vaccarino e C., 1904).24 Ma si confronti, nel citato articolo del Massia (1909), l’uso di chivassino: «ho inteso dire dal popolo chi-vassino» (p. 9), «risalirà a questi antichi tempi, cioè già al sec. XI l’origine della famosa tolla o sicumerachivassina?» (p. 11).25 Le tre annate più antiche conservate presso la Biblioteca Civica di Ivrea.26 Fa eccezione il nome di un esercizio commerciale, Copisteria Clavasina, in cui abbiamo un latinismo; vediinfra.27 Per le forme latine medievali del nome di Chivasso, si veda, oltre al citato lavoro del Massia, la voce

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verse di giornate quatro circa in due distinti membri; aumentare quasi del doppio le viti, muniregli alteni di siepi vive. Riparare e con qualche aumento tutte le Case di Campagna; Riscavarele fossa quasi intieramente e ripiantare le viti nella Vigna di S. Sebastiano, coll’allungamentodel Tinaggio, alzamento di un Portico, e muro di cinta dell’ajrale; Ornò di copiose piante diPomi, Peri, ed altri frutti, di verse e li terreni d’essa Vigna, ed in attinenza della di lei fabbricafece rialzare la Cappella di S. Rocco, ed altre opere assai note. Si acquistarono ivi avole 60di Vigna framedianti li terreni del Convento, e quatro tavole di sito alle Margarite per il ne-cessario dilatamento di quell’ajrale. S’impiegarono le elemosine della Cappella della B.V. M.del Buon Consiglio, delle quali esso n’ebbe sempre la direzione ascendenti a LL 1000 circa avantaggio della di Lei Cappella. Si sborsarono a mani del S. Sindaco della Città di TorinoLL 5000 acciò alla prima propizia apertura s’impiegassero sopra li Monti di quella Città, enello scadere del suo Priorato si ritrovò il Convento possedere fra denari in Cassa e liquidicrediti la somma di lire tre mille circa. Procurò l’aumento de Libri al proprio Convento, collidenari concessi all’uso colla spesa fin al giorno d’oggi di LL 1500 circa. Fino dalla sua gioventùprocurò occupare il tempo che gli avanzava dalli Studii in scrivere libri Corali, come scrisse peril Convento di Brescia, di comporre alcune opere come la Storia della B.V. del Buon Consigliodata alla luce in Brescia l’anno 1756, dal Bossini ristretta e ristampata in Torino dall’Avondonel 1762. Il Metodo di formare gli Orologi solari in pratica con 130 e più figure. La manieradi imparare il Canto fermo, e fuori dell’Officiatura Agostiniana. Il Compendio della Storiadella Cultura delle Piante e fiori, del Clarici, coll’aggiunta delle virtù di molti fiori. L’Istoriadella Città di Chivasso con molte Carte Topografiche. Gli Annali del proprio Convento,disposti poi nelle presenti Istoriche notizie. L’Istoria della Chiesa Parrocchiale del Conventodi S. Stefano di Villafranca. Il Cabreo di tutti li terreni esistenti nel territorio di Chivasso ingiusta misura. Il Vocabolario Piemontese-Toscano per ridurre li termini del nostro dialettonella toscana favella. Il Compendio del Bollario Agostiniano coll’aggiunta delle posteriori Bolle,Decreti appartenenti agli Agostiniani, e pendente la dimora fatta in Roma, scrisse a vantaggide Procuratori successori La maniera di Coltivare le Vigne all’uso Romano. Seguita la mortedel P.L. Galperti occupò questo il Vicariato del S. Officio di Chivasso e dell’adeguato distretto”(pp. 90-92).

Queste parole, riemerse nel gennaio 1989, costituiscono ad evidenza la mi-gliore auto presentazione dello stesso padre agostiniano Giuseppe Borla, certa-mente il principale storico della nostra Città e del suo territorio (Chivasso, * 15giugno 1728, † Ivrea?, 20 ottobre 1797). Sono estratte appunto, come citato innota, dalla riproduzione del manoscritto intitolatoNotizie Istorico – Economiche delConvento dei Padri Agostiniani della Città di Chivasso a cura di Luciano Dell’Olmo eRino Scuccimarra, rinvenuto probabilmente dagli stessi, come credo, ma mi èdifficile oggi verificare in quale archivio o biblioteca particolare della nostra re-

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ria di Chivasso, dell’agostiniano Giuseppe Borla Memorie Istorico-Cronologiche dellaCittà di Chivasso 14, scritta verso la fine del XVIII 15 secolo, gli abitanti di Chivassosono i Civassini (forma, questa, foneticamente più vicina a quella dialettale). An-cora, nell’Archivio Storico della Città di Chivasso sono conservati svariati docu-menti redatti in italiano in cui è questione di un appezzamento di terra, in partea bosco, sito nel territorio di Foglizzo appartenente alla comunità di Chivasso edenominato la Chivassina o Civassina; la denominazione è trasparente la C(h)ivas-sina perché ‘(pezza, terra) di Chivasso’ e senz’altro non recente: i documentipiù antichi in cui compare il toponimo che mi sia riuscito di individuare con unarapida ricognizione sono della seconda metà del XVI secolo 17.Quanto alla forma chivassese 18, l’esame di testi scritti di vario genere concer-

nenti in qualche modo Chivasso ne documenta l’uso almeno dalla prima metàdell’Ottocento e mostra un suo prevalere sulla forma in -ino nel secolo successivo.

Solo qualche esempio, per non tediare troppo il lettore. Nel volume V, pub-blicato nel 1839, del Dizionario geografico storico - statistico - commerciale degli stati diS. M. il Re di Sardegna di Goffredo Casalis, l’ampia voce dedicata a Chivasso com-prende, insieme ad altro, una sezione diNotizie storiche ed una sull’argomento Fa-miglie cospicue, uomini illustri: in esse il nome prevalentemente usato per gli abitanti

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14 G. BORLA,Memorie Istorico-Cronologiche della Città di Chivasso, edizione fotostatica a cura del Rotary Clubdi Chivasso, 1980. È imminente la pubblicazione da parte della Pro Loco Chivasso “L’Agricola” della tra-scrizione dei manoscritti fatta da Flavio Rosso.15 Il Borla morì nel 1797.16 Sui possedimenti chivassesi nel territorio di Foglizzo cfr. G. BORLA,Memorie…, cit., cap. 19, § 6.2De’Terreni acquistati dal Pubblico di Chivasso per il Cavo della Roggia di Campagna, e liti per essi seguite, pp. 1204-9.17 Si tratta soprattutto di documenti contenuti nel faldone 18, fasc. 4, anni 1395-1574 (ma alcuni docu-menti sono sicuramente di anni posteriori al 1574), Oggetto: Carte relative alla Bealera di Campagna e [al]ledivergenze con la Comunità di Foglizzo, Sezione prima dell’Archivio Storico della Città di Chivasso, Classe 11(Ragioni d’acque e confini territoriali). Il solo documento originale datato (in cui compare il toponimo) cheho individuato non fa però parte di questo gruppo di carte: è il verbale della riunione della Credenza del15 maggio 1575, dove si legge che il Conservatore della Roggia di Campagna si è recato «alle possesionidella Comunità di Chyuasso sitoate nel finagio di Foglizzo luogo detto alla chyuasina» (Registro Refforma-zioni 1574. 1575. 1576. 1577, Riformazioni a. 1575, f. 54r); v. foto a fine articolo. Si trovano, nei docu-menti cinquecenteschi, le grafie chiuas(s)ina, chyuas(s)ina, e anche la forma chyauassina.18 Il DI segnala le seguenti attestazioni: «chivassese agg. […] chivassesim. pl. ‘abitanti, nativi di Chivasso’ (dal1981, DETI […]). Chivassese m. ‘territorio di Chivasso’ (1992, CorrSera 3.7, 23)». Esistono attestazionilessicografiche anteriori alla registrazione nel DETI: si è detto della doppia indicazione (chivassíno e chi-vassése) nel citato Dizionario Linguistico Moderno del Gabrielli (1961); nel Lessico universale italiano, vol. IV,Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, s.v. Chivasso si legge che gli abitanti sono «detti Chivas-sési». Chivassese nell’accezione ‘territorio di Chivasso’ si può agevolmente retrodatare; ne ho casualmenteindividuato un’occorrenza meno recente di quella riportata dal DI nel titolo di un libro di Giampiero Vi-gliano: Il Chivassese. Strutture insediative e testimonianze di civiltà, Rotary Club, Chivasso, 1969.

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gione. Per la loro natura autobiografica le riteniamo pertanto le informazioni piùautorevoli e sicure per conoscere il nostro antico personaggio, e, benché appaianoincomplete in rapporto alle nostre attuali prospettive, le consideriamo punto dipartenza di questa nostra presentazione del padre Borla, che spero possa arric-chirsi in futuro con ulteriori apporti di altri studiosi.

In realtà, già nel 1986, i medesimi autori della citata riproduzione, LucianoDell’Olmo e Rino Scuccimarra, cui va il merito di aver riportato alla nostra at-tenzione il padre Giuseppe Borla, ne avevano giustamente scritto, non senza unfilo di enfasi, nella loro “Storia di Chivasso e del Chivassese” 4: “Costui fu un erudito,tipico esempio del periodo illuminista italiano, simpatizzante per l’opera di Antonio LudovicoMuratori e da questo infaticabile ricercatore della verità storica italiana, apprese l’amore perlo studio della sua terra. La sua opera parte dagli stessi principi su cui poggiano gli Annalid’Italia del Muratori, ossia da quei “principi” che Mario Fubini ha saputo sapientemente sin-tetizzare nel suo libro Dal Muratori al Baretti, così scrivendo: «Fine precipuo dell’opera mu-ratoriana resta l’appurare la verità dei fatti, il vagliare le contrastanti testimonianze, l’esporrecon precisione e copia di particolari, e senza perdere di vista l’insieme, le vicende politiche e mi-litari di un così vasto spazio di tempo, non altrimenti delimitato che per un’estrinseca ragionecronologica». L’opera di questo infaticabile scrittore chivassese, anche se fino ad oggi è rimasta,a nostra grande vergogna, manoscritta, è di un’importanza tale che non può ignorarla chi s’ac-cinge a studiare non solo le vicende della nostra terra, ma la storia di tutto il Piemonte. Perquesto il “Borla” fa testo oggi, come ha fatto testo per i grandi storici di cose romane e medioevalidell’Ottocento: Teodoro Mommsen nel 1887, pubblicando a Berlino le Inscriptiones Regionum

cita espressamente il Borla come testo ufficiale e sicuro”.L’anno successivo, 1987, sempre Dell’Olmo e Scuccimarra, nel secondo vo-

lume della loro Storia di Chivasso e del Chivassese 5 riferivano: “Il Padre GiuseppeBorla appartenne ad una delle più antiche famiglie chivassesi. Le notizie storiche che possonoriguardare questo nostro illustre concittadino, si possono trarre, allo stato attuale delle cose, dalms. Platis, dagli Atti del già citato Consegnamento, da alcuni scritti di Teodoro Mommsen edal ms. delle Memorie istorico – cronologiche della città di Chivasso, scritte dal Borla stesso.

4 L. DELL’OLMO R. SCUCCIMARRA, Storia di Chivasso e del Chivassese, vol. I, Accademia, Torino 1986,pp. 4-5. Su Mario Fubini (Torino, 1900 - 1977): critico letterario, accademico dei Lincei, direttore re-sponsabile del “Giornale storico della letteratura italiana”.5 Ibidem, vol. II, pp. 119-124.A proposito del citato cosiddetto Mss. Platis, va osservato trattarsi, sulla scorta dei recenti riferimenti for-niti da Flavio Rosso, che ringraziamo, di un’opera del medesimo padre Borla, appare come raccolta Mi-scellanea di tre manoscritti diversi, quello che ci interessa è contenuto nella prima parte e facendoriferimento al cognome Borla, riporta i cenni sulla sua famiglia.

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Italiae undecimae et nonae, parlando dell’antichità del Piemonte, e soprattutto del Chivassese,

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chivassesi m.pl. ‘abitanti, nativi di Chivasso’… 6

Analoga indicazione compare nella terza edizione (1961) del Dizionario Lingui-stico Moderno del Gabrielli: «agg. chivassíno o chivassése» 7. Come sanno coloro checon Chivasso hanno una qualche familiarità e come avverte lo stesso DI 8, laforma oggi in uso è la seconda. L’aggettivo chivassese è derivato dal toponimo Chi-vasso mediante il suffisso -ese (secondo lo schema, quindi, per cui si ha newyorcheseda New York, piemontese da Piemonte, giapponese da Giappone ecc.); è questa attual-mente la modalità realmente produttiva di derivazione di aggettivi da nomi geo-grafici in italiano 9. L’aggettivo chivassino, che corrisponde alla forma dialettalečivasìŋ, come notato dal DI 10, è formato con un altro suffisso, -ino, che comparein molti aggettivi da nomi geografici (per esempio, parigino da Parigi, trentino daTrento, marocchino daMarocco); ma che, diversamente da -ese, non è più usato (o loè solo in casi particolari) nella creazione di nuovi aggettivi da nomi geografici: se,mettiamo, fosse chiesto di indicare il nome degli abitanti del comune di Casta-gneto Po (TO) o quello degli abitanti del comune di Verolengo (TO) a qualcunoche non sappia quali forme siano in uso, è molto probabile che a questo qualcunoverrebbero in mente castagnetesi e verolenghesi 11 piuttosto che castagnetini e verolen-ghini.

La forma chivassino ‘di Chivasso’ è attestata, ci informa il DI, dal Vocabolariopatronimico italiano o sia adjettivario italiano di nazionalità del Cherubini, pubblicato(postumo) nel 1860 12, e chivassini ‘abitanti, nativi di Chivasso’ dalla seconda edi-zione (1957) delNovissimo dizionario della lingua italiana di F. Palazzi 13. Non è peròdifficile andare più indietro nel tempo rispetto a queste attestazioni lessicografi-che (vale a dire in dizionari): nell’opera, ben nota a chi si sia interessato alla sto-

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6 Cfr. Deonomasticon Italicum (DI): dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, a cura diW. SCHWEICKARD, Vol. I Derivati da nomi geografici (A-E), Tübingen, Niemeyer, 2002, s.v. Per quantoriguarda la forma italiana chivassése e quella dialettale čivasíŋ (citata nella n. 1) il DI è basato sul DETI.7 Cfr. A. GABRIELLI,Dizionario Linguistico Moderno. Guida pratica per scrivere e parlar bene, 3a ed. interamenteriveduta e ampliata, Milano, Edizioni Scolastiche Mondadori, 1961, Parte Seconda, s.v. Chivasso.8 Cfr. DI, s.v. Chivasso, n. 2.9 Cfr. F. RAINER, Etnici, in AA. VV., La formazione delle parole in italiano, a cura di M. GROSSMANN eF. RAINER, Tübingen, Niemeyer, 2004, pp. 402-8, a p. 405 e 406.10 Cfr. DI, s.v. Chivasso, n. 1.11 Che sono le forme che si trovano registrate nel DETI, s. vv. Castagnéto Pò e Veroléngo.12 Cfr. la voce Chivassino in F. CHERUBINI,Vocabolario patronimico italiano o sia adjettivario italiano di nazio-nalità, Milano, Società tipografica de’ classici italiani, 1860.13 Cfr. la voce Chivassini in F. PALAZZI, Novissimo dizionario della lingua italiana, Milano, Ceschina, 1963,nella Quarta appendice Nomi degli abitanti di alcuni paesi.

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Purtroppo sono andati dispersi o distrutti tutti i documenti d’archivio dell’Ordine agostinianochivassese ed è pure andato disperso il Registro dei Battesimi, che doveva essere conservato nel-l’Archivio parrocchiale della Chiesa di Santa Maria Assunta della nostra Città: in questo Ar-chivio parrocchiale esistono tutti i Registri di Battesimo, ben conservati, a partire dal 1507 finoai nostri giorni: ne manca solo uno, proprio quello che interessa noi che dovrebbe comprenderei nati a Chivasso tra il 1686 ed il 1750”.

Dopo aver riferito del contesto storico in cui visse il Borla, i nostri autoriconcludevano: “egli diede incremento alla storia locale – sulla scia del Muratori – comedel resto fecero per Trino Vercellese Gian Andrea Irico e per Ivrea Giovanni Benvenuti. Primadi tutto il Borla è un fedele trascrittore della tradizione orale popolare del suo tempo, anche semanca di un vero senso critico. A volte, però, sa interpretare giustamente alcuni fatti importantiper la storia della nostra Città, come quello della Regina ultramontana, che alcuni suoi con-temporanei avevano snaturato, dandole un altro significato. Fanno ridere i giudizi di alcuni cri-tici o ipercritici moderni che negano all’autore ogni attendibilità e lo giudicano scrittore di favole.Va subito detto, a questo proposito, che le Memorie del Padre Borla sono il punto di partenzaper ogni storia che si voglia scrivere sulla nostra Città: non si può ignorarlo, condannarlo. Eglisi allinea perfettamente con i criteri e le spinte ideologiche del suo tempo, per cui l’autore è unostorico autentico e genuino.Certamente alcune sue pagine, alcune sue interpretazioni, ci fanno sorridere, ma ci fanno sor-ridere perché noi oggi abbiamo la possibilità di avere a disposizione precisi strumenti di lavoroche nel Settecento mancavano: la critica storica, la storiografia non erano proprie del secolo deilumi, ma della seconda metà dell’Ottocento; la Teoria e Storia della Storiografia del Croce ebbela luce soltanto nel 1917. Agli uomini del Settecento bastava raccogliere i fatti come stavano,a quelli dell’Ottocento e del Novecento spettò l’analisi della loro valutazione. Per questo ilnostro Borla è uno storico attendibile, fedele ai principi del suo tempo.Un’altra osservazione che si muove al Borla è quella della prolissità del racconto, ma questorientra nei metodi di quel secolo: basterebbe leggere con un po’ di pazienza le numerose memorieo vite scritte durante il Settecento, ad incominciare da quella di Gian Battista Vico per finirecon quella di Pietro Giannone per farcene un’idea. La prolissità era la regola per gli scrittoridi quel secolo ed anche in questo il Muratori era maestro. Alla prolissità del Borla vanno at-tribuite tante notizie, che, forse, oggi sarebbero andate perdute.Un merito indiscusso, infine, del nostro autore è quello della sua preparazione storica e culturale:il Borla dimostra non solo di conoscere tutto sulla sua Città, ma di conoscere molte cose sul ter-ritorio che la circonda: conosce a fondo la storia di Casale, di Trino Vercellese, di Biella, di Ivrea,di Torino, di Milano, di Asti, di Alessandria, di Cuneo e persino di Roma. Riesce, nella nar-razione delle sue Memorie, a collocare esattamente e con giusto senso critico ogni fatto od episodiochivassese nel vero contesto storico”.

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Claudio Bracco

CHIVASSINI E CHIVASSESI

n linguistica, aggettivi e nomi etnici sono «quelli che indicano l’appartenenzaa un popolo, una nazione, una città ecc.» 1. Come scrive Grazia Crocco Ga-

lèas, in italiano gli etnici «sono deonomastici [= derivati da nomi propri] aventigeneralmente tre funzioni:

a) l’etnico svolge la funzione di aggettivo di relazione rispetto al toponimoda cui deriva (napoletano = di Napoli);

b) l’etnico si presenta come sostantivo maschile o femminile indicante l’abi-tante o il nativo di un certo luogo (napoletano, -a = abitante o nativo di Napoli);

c) l’etnico può funzionare come un sostantivo maschile che designa la lingua,il dialetto, la parlata di un certo luogo (napoletano = dialetto di Napoli)» 2.Qual è l’etnico di Chivasso o, se si preferisce, come si chiamano gli abitanti

di Chivasso? Il Dizionario degli etnici e dei toponimi italiani (DETI) registra alla voceChivasso quale etnico, accanto alla forma dialettale čivasìŋ 3, già citata da PietroMassia in un suo articolo del 1909 4, il termine italiano Chivassése, -ési 5. Se si va aconsultare il Deonomasticon Italicum: dizionario storico dei derivati da nomi geografici e danomi di persona (DI), di cui sono usciti i primi tre volumi, si trova sotto la voce Chi-vasso una doppia indicazione:

1. chivassino agg. ‘di Chivasso’ …chivassini m.pl. ‘abitanti, nativi di Chivasso’ …

2. chivassése agg. ‘di Chivasso’ …

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I

1 il Sabatini Coletti Dizionario della Lingua Italiana 2004, Milano, Rizzoli Larousse, 2003, s.v. etnico.2 G. CROCCOGALÈAS,Gli etnici italiani: studio di morfologia naturale, Padova, Unipress, 1991, pp. 8-9. Ag-giungerei che spesso un etnico può avere la funzione di un sostantivo che indica il territorio circostanteuna città (il Torinese, il Chivassese).3 č e ŋ sono simboli fonetici rispettivamente per la consonante affricata palato-alveolare sorda (il suonocon cui inizia, per es., la parola cibo) e per la nasale velare (il suono con cui termina, per es., la parola in-glese sing ‘cantare)’.4 P. MASSIA, Del nome locale di Chivasso, “Rivista del Canavese e Valle d’Aosta”, 1909, 1-2, pp. 3-11, a p. 9(«Civàss dice adunque l’encorio che chiama poi se stesso Civassín»). La forma dialettale, a quanto pare at-tualmente non più usata, è presente anche in D. OLIVIERI, Dizionario di toponomastica piemontese, Brescia,Paideia, 1965, s.v. Chivasso («aggettivo patronim. Civassìn»).5 Viene segnalato inoltre l’uso in dialetto anche della perifrasi “quelli di…”. Cfr. T. CAPPELLO, C. TA-GLIAVINI, Dizionario degli etnici e dei toponimi italiani (DETI), Bologna, Pàtron, 1981, s.v.

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Va anche ricordato, tra gli estimatori del padre Borla il professor Carlo Vit-tone, che fin dalla sua prima Conferenza storica tenuta agli Studiosi delle ScuoleSecondarie di Chivasso nel 1897 ne fece pubblico elogio confessando che quantodiceva era, in massima parte ricavato dagli scritti del frate Agostiniano 6 .

Ai nostri giorni, invece, disponiamo finalmente delle Note biografiche più si-cure e dettagliate sul padre Borla grazie alla paziente trascrizione ed alla ricercastorica sui suoi scritti, opera del verolenghese Flavio Rosso, con il notevole re-gesto iconografico curato da Bruno Pasteris, contributi che confluiranno nellaormai prossima pubblicazione delle Memorie storiche di Chivasso, per le edizioniPro Loco Chivasso “L’Agricola” editrice, cui ho potuto accedere per la cortesiadei medesimi curatori, che qui ringrazio. Su questa base mi è ora possibile abboz-zare questo nuovo modesto contributo per concorrere alla riscoperta del padreGiuseppe Agostino Borla, figura di sicuro interesse e utilità per conoscere la sto-ria della nostra cittadina.

Anzitutto una breve scheda pro-memoria sul nostro personaggio: GiuseppeAgostino Borla nasce a Chivasso il 15 giugno 1728, terzogenito del notaio PietroPaolo e Cattarina Compagni. Vestì l’abito Agostiniano a Velletri, Santa Mariadell’Orto il 29 aprile 1747, quindi proseguì gli Studi nel Convento di S. Barnabaa Brescia, iscritto nella “Congregazione di Lombardia”. Membro della comunitàdi S. Nicola da Tolentino a Chivasso nel 1761, dal 1770 al 1779 ne è anche desi-gnato Priore. Per le sue qualità trasferito a Roma, S. Maria del Popolo, quale Pro-curatore dal 1779 al 1784, dove lavora all’Archivio generale agostiniano ed agliAnnali dell’Ordine. Per esigenze di salute chiede il ritorno in Piemonte, dove èPriore in S. Agostino di Chieri (1784 – 1786). Quindi Priore a S. Stefano di Vil-lafranca Piemonte dal 1786 al 1791. Dal gennaio 1792, dopo pochi mesi trascorsia Chivasso, è designato Priore in S. Agostino di Ivrea.

Necrologia di Giacinto Andrà sulla rinnovata “Frusta letteraria” del 1798, che qui6 C. VITTONE, op. cit., vol. I, p.12 : “E chi ama la sua terra natale deve grande riconoscenza al padreGiuseppe Borla, che con pazienza da cenobita raccolse tante e svariate notizie della sua Chivasso, a cuiportò intensissimo affetto, che spicca in ogni sua parola, in ogni sua frase. Afferma egli, in una prefazione,che leggesi nel volume, già appartenente al canonico Berardi, suo contemporaneo avere tratto quantoscrisse di Chivasso, oltre che dagli storici che ne fanno menzione, dalle Reformazioni (processi verbali,diciamo oggi, delle deliberazioni del Consiglio Comunale) antiche e recenti, da documenti veridici pubblicie privati, da protocolli di 30 e più notai Chivassesi, precedenti la creazione dell’Archivio dell’Insinuazionee da altri 32 posteriori, per facilitare ai pubblici amministratori il lungo e faticoso lavoro di ricerche in oc-casione di controversie e liti per cose civili, giuridiche ed economiche. Onde il suo lavoro, se ha errorinella parte storica, per le ragioni dette, parmi fedele e sicuro soprattutto ammirevole per costanza e di-ligenti ricerche nella economica e giuridica, citando egli sempre la fonte di ogni sua notizia, perché all’uopo

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Nulla sappiamo di quei difficili anni inaugurati dalla Rivoluzione, solo dalla

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AffrescodelXVIIIsecolo,dipintosuunadellelunettedelchiostrodell’exconventodiSanBernardinodiChivasso,raffigurantesecondolatra-

dizionel’incendiodellacittàadoperadeglisvizzerinel1515.Questodipinto,rimastoalungocopertosottovaristratidipitturamuraleeriportato

allaluce,insiemeaglialtriaffreschidelconvento,nelcorsodeilavoridirecuperodelcomplessonel2005,eravisibilefinoaiprimiannidel900

efuriprodottosuunacartolinadell’epocaincoppiaconl’affrescoraffigurantel’assediofrancesedel1705,dipintonellalunettaadiacenteean-

ch’essorestaurato.Lerecentianalisideivarielementideldipintotendonoasmentirechequest’operarappresentiilsaccheggioel’incendiodella

cittàdell’agosto1515,inquantol’abitatodiChivassononèraffiguratoinalcunmodoetuttiipersonaggisembranoappartenereadun’altraevento,

probabilmentecollegatoallavitadiSanBernardinoodelBeatoAngelo. (fotoarchiviodellaBeataVerginediChivasso)

possa verificarla chiunque ne abbia bisogno”.7 G. ANDRA’, Frusta letteraria, II, 1798, pp. 21-23; Biblioteca Civica Torino, Microfilm G.M. 110. Elogiodel P. Lettore Giuseppe Borla Agostiniano patrizio della Città di Civasso, Vicario del suo Convento di S.Nicola, e del S. Officio. …Possedeva la lingua Francese, e Tedesca per motivo di adoprarsi con questa,come fece soventi, in soccorso spirituale delle truppe straniere destinate alla guarnigione di sua Patria; eperitissimo com’era del carattere gotico, in quasi tutte le Città, e Conventi di sua residenza si occupò maisempre nel visitare le carte più antiche per quindi ricavarne vantaggio, e gloria per il Piemonte. Di fattiil Civico Archivio di Civasso gode di conservare un manoscritto molto prezioso, in cui oltre la descrizioneantica, e moderna di quella Città, si leggono tutti i dritti, usi, privilegii, vertenze, corpi ecclesiastici, famigliedistinte di ogni genere, e specialmente una serie Storico-Cronologica dei Marchesi di Monfer. Con un’altradelle guerre, contagj, carestie, nascite di Sovrani, e loro matrimonj, il tutto ricavato da documenti e da scrit-tori autentici…. In mezzo però a tante si diverse, e si difficili occupazioni il Borla non abbandonò mailo studio della Sacra Scrittura, che fu sempre il suo quotidiano trattenimento, l’assistenza al coro, il mi-nistero dei Sacramenti. Irreprensibile in ogni sua condotta; dotto, ma non altero, compiacente, ma noninteressato, amico, ma non adulatore, morì il 20 Ottobre 1797 compianto dagli amici, e dalla patria, e do-vrebbe esserlo dalla sua Religione, e dall’Italia”. Copia cartacea della rivista “Frusta letteraria” dell’interaannata 1798 è conservata presso la Biblioteca Ariani di Cherasco (Cn). Si veda anche il Catalogo delleopere edite ed inedite di Gio. Giacinto Andrà pubblicato dalla ditta Padre e figlio Reviglio, corredato dalgiudizio che ne diedero i più celebri letterati e giornali letterarii d’Italia. Pubblicato a Torino, TipografiaBernardino Barberis, 1828. (Inserito nella Miscellanea presso la Biblioteca “Eugenio Reffo” del CollegioArtigianelli di Torino; coll. RA B268/1-13).

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Spunti dal profilo personale di Giuseppe Borla

Giuseppe Borla fu dunque novizio agostiniano a diciannove anni nel 1747,il trasferimento a centinaia di chilometri di distanza, in quella che a molti potevaapparire allora un’altra Italia (per quanto pure si potesse intendere nel secoloXVIII con questo nome) tra le righe dei suoi scritti non pare sia stato vissuto inalcun modo da lui se non con attenta partecipazione e vivo entusiasmo. Figlio diuna cittadina angusta e burocratizzata dalla prevalenza del dominio militare, edalle sue pesanti servitù, con una popolazione cresciuta in quel secolo più sulterritorio circostante che nel centro urbano, Giuseppe Borla aveva assimilato,come si può ben cogliere nel suo ordinario argomentare, lo spirito d’ambizioneche nutriva quei primi decenni del Regno sabaudo, avendo già come consolidatadote di famiglia la consapevolezza dell’importanza delle funzioni sociali e dellesue istituzioni, figlio e nipote com’era di personaggi di primo piano della Chivassoche contava, gli era comune una discreta sensibilità culturale, di certo poi ancheil suo spirito pratico era coltivato dalla possibilità di avere abitualmente infor-

riportiamo parzialmente in nota 7, sappiamo essere morto il 20 ottobre 1797,molto probabilmente in Ivrea.

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Laterrificanteimmaginedellaguerradescrittaconvividorealismodall’incisoresvizzeroUrsGraf

(1485-1528),testimoneocularedell’orroredeicampidibattagliaaitempidellespedizionielvetichein

Italiatrail1512eil1515,allequaliluistessopreseparte

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(KunstmuseumBasel)

mazioni di prima mano sulle scelte da compiere circa i beni e gli strumenti diuna vita sociale economicamente produttiva e sana. L’ambiente cristiano in cuiera cresciuto, ricco di parentele religiose che possiamo denominare certamentequalificate, doveva essere interconnesso con un positivo senso di apertura criticae razionale, attento a cogliere i limiti e le storture di tanto comune cascame devotoquanto formale. Giuseppe Borla fu quindi frate agostiniano per cinquant’anni, uncurricolo di alacrità sollecita e di apertura della mente, nella consapevolezza delprimato del vero e del bene, e certamente, benché lui non ne parli, ciò ha radiciprofonde in queste sue origini, come si può cogliere quasi in trasparenza leg-gendo i suoi scritti.

La sua vicenda vocazionale, come s’è detto, principiò a Velletri, convento diS. Maria dell’Orto, città e chiesa dove gli orientamenti personali e le malìe giovanilitrovarono una corrispondenza. Velletri, sede vescovile e cardinalizia non difet-tava, insieme a monumenti e varie memorie, di archeologi, storici, orientalisti,luogo d’origine anche dell’allora noto Arcivescovo di Fermo, Alessandro Borgia(1682-1764), amico e ammiratore di Don Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), il noto sacerdote di Vignola e figura emergente “dell’illuminismo cattolicoitaliano”, monsignor Borgia, come storico, fu autore della “Istoria della Chiesa eCittà di Velletri” pubblicata nel 1723 in quattro libri 8. Il giovane novizio Giuseppe

8 Dizionario Biografico degli Italiani, XII,G. PIGNATELLI, s.v. Borgia Alessandro, Istituto dell’Enciclo-pedia Italiana, Roma 1970.

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Borla ebbe quindi ampiamente modo in quegli anni, leggendo gli scritti dell’Ar-civescovo Borgia, e, con ogni probabilità anche avendolo conosciuto, di accostarei nuovi criteri dell’insigne storiografo di Vignola ed appassionarsi così all’utilizzodella tecnica Annalistica. In quel momento, mentre si aprivano gli orizzonti e sirinnovava scientificamente lo studio della storia, il nostro candidato agostinianopoteva attingere ad una fonte diretta i criteri di indagine e di riorganizzazionedella documentazione archivistica. Conseguenza prima e inevitabile per il giovanenovizio chivassese, fu il rapportarsi con tutta la mole di documentazione pubblicae privata della sua cittadina di origine, patrimonio che gli era noto e di cui sentivaspesso parlare in famiglia, dati e memorie antiche da cui si sentiva attratto, coseconosciute e analizzate proprio dal suo nonno paterno Giovanni Battista, notaio

9 C. VITTONE, Casa Savoia il Piemonte e Chivasso, I, Torino 1904, p. 554, nota 1.

e Segretario della Città, e quindi da suo padre Pietro Paolo, Sindaco nel 1744 9,pure notaio, per non dire del ricco archivio di famiglia che, per “la consuetudinecon le esigenze del Pubblico” gli rendeva presente il quadro del suo ambiente diorigine.

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Il frontespizio dell’edizione del 1941 delle Chronik di Ludwig Schwinkhart. Ilpersonaggio raffigurato con la spada tra le gambe e il ricco cappello piumatotiene nella mano sinistra il gonfalone della città di Berna

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..(Universitatsbibliothek Bern)

In parallelo con la realtà civile, ulteriore conferma del clima innovatore siebbe anche nella Chiesa di Ivrea con l’episcopato di mons. Michele Vittorio DiVilla (1741-1763), uomo che “esprimeva nella sua persona l’immagine del vescovo pastore-amministratore, nella quale convergevano sia le esigenze politiche dello stato sabaudo, a partiredalle riforme amedeane, sia quelle ecclesiastiche, che avevano le loro lontane propaggini nellasvolta innocenziana. Ma quelle lontane propaggini, incentrate nella riforma del clero ad operadei vescovi, si erano inverate, durante il decennio 1740-1750, nel movimento di riforma mo-derata su base erudita-riformatrice, promosso dal Muratori e sostenuta, al centro, dal pontificatodi Benedetto XIV” 10. Il Sinodo diocesano del 1753, quindi la pubblicazione del Ca-techismo furono il percorso di un programma tendente a riportare la vita dioce-sana all’osservanza della legislazione sinodale antica, con una profondità spiritualenuova per il progetto di riforma episcopale della tradizione eporediese. Era ilclima respirato dal giovane religioso Borla, la via di una riforma della vita eccle-siale, in massima parte del clero, alla luce del quale maturò i suoi ideali. D’altraparte, proprio sotto il profilo religioso, la Chivasso conosciuta dal Borla, rispec-chiava fedelmente la severa e attenta analisi fatta dal Di Villa che, dopo la Visitapastorale cataloga Chivasso, e il suo presbiterio, non tra i luoghi “Cospicui”, matra quelli “Mediocri” 11. Chivasso si trovava infatti tra quelle località della diocesiparticolarmente abbondanti di clero, troppo, con annessi ricorrenti gravi pro-

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10 A. ERBA, Storia della Chiesa di Ivrea, secoli XVI-XVIII, Viella, Roma 2007, pp. 592-593.11 A. ERBA, op. cit., pp. 664-666.

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blemi e scandali. Era un luogo dove si rendevano evidenti i limiti espressi dallachiesa eporediese che si volevano correggere, basti citare che “oltre ai preti presentie operanti secondo uno specifico ministero, non era irrilevante il numero dei sacerdoti che, presentiin diocesi, erano privi di uno specifico ministero: 223 su 537, pari al 42%” “Si accenna al-l’abbondanza del clero parrocchiale, specialmente nei centri più grossi (Chivasso), dall’altra sene condanna l’assenteismo nei confronti dell’attività catechistica: il 21% dei preti non partecipaneppure alle funzioni parrocchiali, il 67% non fanno catechismo…” constatava con ama-rezza anni dopo il vescovomonsignor GiuseppeOttavio Pochettini (1769-1803) 12.

La riforma coltivata dal papa Benedetto XIV e supportata sinergicamentedal re Vittorio Amedeo II, negli anni successivi non era riuscita in gran partedelle mete che si era prefissa. Si tentarono delle estremizzazioni monarcoidi a

12 A. ERBA, op. cit., pp. 762-771.13 A. ERBA, op. cit., pp. 761-762.

favore dei parroci, soprattutto in ambito di gestione economica 13, parimente siaccentuava la distinzione tra chierici e laici, mentre il pauperismo crescente sti-molava il riavvicinamento tra istituzione civile e religiosa, la “Congregazione di

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Il cardinale Matheus Schiner raffigu-rato con spada e corazza, strumenti diguerra da lui spesso preferiti alla croce

Prospero Colonna, comandante dellacavalleria papale e milanese, uno deipiù famosi condottieri del tempo

l duca di Savoia, Carlo II dettoil “Buono”I Il re di Francia, Francesco I, in

un altro dipinto di Jean Clouet

(litografia di Tobias Stinner)(lito-

grafia di Tobias Stinner)

(dipinto di Jean Clouet)

Carità” concepita da Vittorio Amedeo II per attribuire al potere civile l’ammini-strazione dell’assistenza, sottraendola al clero, non riusciva a concretizzarsi se-condo le attese, e lo Stato di ispirazione cristiana esprimeva tutta la sua debolezzaproprio nel provocare e richiedere costantemente interventi dall’alto. Nelle No-tizie istorico-economiche del Convento di S. Nicola, il Borla stesso, ormai ma-turo, osservando lo specifico della sua Città mostra con frequenza lo sguardosconsolato che gli fa affermare: “Chivasso abbandonato”, tenacemente persuasoperò che “i Regolari” (qualificativo dei consacrati che vivono professando unaRegola) come appunto gli Agostiniani o gli altri vari istituti religiosi “recavano aipopoli un grande vantaggio…” 14.

Una connotazione caratteristica benché marginale, della vita del padre Borlaa questo proposito, utile invece per comprendere la vita ed il messaggio dellostorico chivassese in riferimento a quanto stiamo esaminando riguarda la sua en-tusiasta devozione alla Madonna del Buon Consiglio, quella del Santuario di Ge-nazzano, retto appunto dagli stessi Agostiniani, situato nella diocesi di Palestrina.

Dobbiamo qui ricordare che la devozione all’antica icona della Vergine diGenazzano, prese avvio nel 1467 con la “venuta” della sacra immagine originariadi Scutari, in Albania, nel tempo in cui avvenne l’invasione dei turchi, e ha fattoconoscere nel mondo questa immagine della Vergine con il fanciullo nelle bracciadipinta su calce e che raffigura senz’altro “Nostra Signora di Shkoder” la nota

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14 In nota 1, G. BORLA, op. cit., Introduzione, p. 1, mss.

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dolce patrona dell’Albania. La comparsa dell’immagine albanese nella chiesa deifrati agostiniani di Genazzano (detti anche Eremitani di Sant’Agostino), in queglianni era bisognosa di ricostruzione ed era intitolata a Santa Maria dei Miracoli eche muterà dedicazione in quella di “Madonna del Buon Consiglio”. Il giovaneBorla, dal vicino convento di Velletri si recava più volte con i confratelli in quellolimitrofo di Genazzano, dove era custodita la devota immagine, certo passandoper la via di Valmontone. Rimase colpito da quel Santuario, come appare dai suoiscritti, e subito negli anni successivi, mentre completava gli studi teologici pressoil Convento bresciano di S. Barnaba, si fece zelante animatore di quella devo-zione, sulla quale nel 1756 scrisse anche un saggio che venne pubblicato in duesuccessive edizioni. Ripropose quindi la medesima iniziativa l’anno successivo aChivasso, riuscendo a mobilitare l’interesse di migliaia di cittadini sia nel brescianoche nella sua Città di origine. Perché tanto attaccamento a quella icone? Da partedel giovane Borla si trattava di corrispondere ad un’iniziativa presa da papa Be-nedetto XIV, Prospero Lambertini, uomo che seppe restituire prestigio al papato

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Consigliodiguerrasulcampo.Unaltrodisegnodi

UrsGraf,probabilmenteripresodalverodurantela

campagnadel1515

Latipicafiguradel“knecht”(fante)svizzeroin

campagna.DisegnodiUrsGrafdatato1514.

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(KunstmuseumBasel)

(KunstmuseumBasel)

e credibilità a tante manifestazioni religiose. Infatti, fin dal 1753 il Pontefice ap-provava e confermava la Pia Unione della Madonna del Buon Consiglio, qualestrumento idoneo al genuino rinnovamento della preghiera cristiana, spesso di-venuta occasione di formalità religiosa e tradizione sociale più che espressione difede. Ciò si verificava non di rado proprio nelle precedenti antiche congregazionilaicali, come la Confraternita detta anche della Madonna della Cintura, il cui verotitolo però era quello di Nostra Signora della Consolazione. Tali congregazionierano presenti in tutte le chiese degli agostiniani, e, fin dal secolo precedentes’era cercato dovunque di rinnovarle, anche se pare non sempre con esiti apprez-zabili. Lo stesso padre Borla, in esecuzione degli ordini dei suoi Superiori, si eracimentato a Chivasso nelle iniziative tese a rinnovare la cittadina Confraternita deiCinturati, ma di fatto, per quanto se ne può dedurre dai suoi scritti, sembra nerimanessero soprattutto le polemiche, forse, per quanto se ne può arguire, daparte di ricche famiglie civassine che, con la scusa di tutelare il patrimonio delleorigini coltivavano più spesso i propri privilegi e favori. In felice alternativa, in-vece, crebbe, proprio per l’impegno profuso dal Borla, la Pia Unione della Ma-donna del Buon Consiglio, che si dimostrò utile strumento per ritrovare un piùautentico e adeguato atteggiamento religioso. A Chivasso, come altrove il secoloXVIII fu periodo religiosamente prolifico e sofferto anche e proprio a propositodi quelle confraternite ed istituzioni di chiesa a lungo chiacchierate per la loroinautentica religiosità, di fatto apparivano frequentemente impegnate in iniziativeche, in fondo, mostravano di servirsi dell’immagine dell’istituzione religiosa per

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religioso dei Cinturati, a Chivasso era ben evidente il caso della crisi coltivata einsormontabile degli antichi enti ospitalieri, fatto cronico e addirittura emblema-tico della nostra Città, dove, da molto tempo questi enti erano divenuti fonte diricchezza o di sostentamento di alcuni in luogo del servizio fatto ai poveri pelle-grini ed ai sofferenti, di questa grave vicenda il Borla ne riferisce in modo equoe tagliente, nel Capo 7 delle sue Memorie istorico-cronologiche della Città di Chivasso,forse tutto ciò può ancora farci riflettere, così come ci ha riflettuto con attenzionetutta particolare il dottor Renato Bèttica-Giovannini nelle sue Cronache medichedella Nobile Città di Chivasso 15.

15 R. BETTICA-GIOVANNINI, Cronache mediche della Nobile Città di Chivasso, Pro Loco Chivasso “L’Agri-cola”, Chivasso 1985, pp. 37-75.

Del resto il Borla, sempre seguendo in ciò il magistero di papa Lambertini,non ebbe paura di manifestare identico zelo, in modo conciso e pungente a pro-posito di luoghi ed uffici ecclesiastici, chiamando senza timori in causa il clero,

conseguire impropri vantaggi. Del resto, ancora più grave dello scarso spirito

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Il frontespizio del fascicolo, purtroppo mutilo, contenente le Reformazioni del1515 conservate nell’Archivio Storico della città di Chivasso.

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(foto dell’autore)

descrivendo non rare volte fatti incresciosi che un allora malinteso e purtroppoordinario senso della casta chiericale normalmente occultava.Non teme in particolare, di disapprovare lucidamente alcuni atteggiamenti delclero troppo attento ai vantaggi economici derivanti da incarichi ecclesiastici e be-nefici connessi. Le lampanti contraddizioni con la legge canonica, come la graveviolazione dell’obbligo di residenza per i vari beneficiati. Manifesta sfiducia nellepersone ecclesiastiche che dimostrano disattenzione nella gestione delle risorseeconomiche, bene della Chiesa, e in chi svaluta le donazioni fatte alla Chiesa invista della sua missione. Altrettanto chiara la sua denuncia circa l’esteriorità ridi-cola di tanta espressione religiosa anche degli ecclesiastici, e, in parallelo richiese,come già nel passato da parte del primo grande storico di Chivasso, fra SerafinoSiccardi,che anche i tesori culturali ed artistici di arte cristiana, quando necessario,come i beni mobili ed immobili, fossero affidati alla tutela della Pubblica autoritàcivile, anziché consegnarli nelle mani di inetti ecclesiastici, perché non costituis-sero tentazione e limite nella vita sacerdotale e religiosa 16.

16G. BORLA,Memorie istorico-cronologiche della Città di Chivasso, Fotoriproduzione di Ms apografo del XIXsecolo, voll, 3, Chivasso 1980, Capi 5, 12, 16; Documenti XXII-XXIII.

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Utili provocazioni a confronto

La linearità espressiva del Borla, come emerge dagli scritti, mostra un uomo,e un uomo di chiesa, che ha saputo essere consapevolmente vivo nella propriacontemporaneità: intendo con ciò sottolineare il suo essere propositivo, non confacili richiami paternalistici, ma proteso a realizzare e indicare le scelte operativedel quotidiano comune cammino. La sua stessa esperienza di vita, i suoi interessi,le specifiche diverse conoscenze coltivate, lasciano intendere come ogni giornatadel Borla formasse un corpo solo con la sua missione peculiare, quella della cul-tura (civile e religiosa ad un tempo) attuata e sviluppata nella sua professionalità.

L’appassionata ricerca culturale del nostro autore, pur attrezzata scientifica-mente, si apriva quindi a vari semplici aspetti del quotidiano, non intendendo lacultura come prevalente ricerca del livello accademico, ma anzitutto concorso adun’articolata esperienza del quotidiano, realtà illuminata dal rispetto reciproco edal senso dello Stato, in altre parole si trattava dell’uso intelligente e pratico deldiritto e della ragionevolezza.

La consapevolezza che proprio nel silenzio dei chiostri conventuali si è con-cretamente realizzata una parte significativa delle acquisizioni scientifiche di cui

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lari di Chivasso, può trovare ancora materiale in cui affondare la propria curio-sità e la propria voglia di ridare voce al passato. Per affrontare meglio il presente.

rana e Claudio Bracco per i suggerimenti linguistici e le traduzioni dal tedesco dei testi; un grazie ancheal professor Fabrizio Spegis per i consigli sul testo in latino delle Reformazioni.

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ha goduto la nostra civiltà, oggi pare decisamente allargata, e a questo ambito hapartecipato appunto, in modo colto, anche il nostro frate agostiniano. I suoi studiriguardano infatti il classico interesse di monaci e frati per l’importante ambitonaturalistico terapeutico, dove si segnalano tre sue opere: il “Compendio dellastoria della coltura delle piante e dei fiori” (sunto del Clarici), una “Raccolta disecreti medicinali”, e il volume “Della coltura delle vigne all’uso Romano”, il vo-lume catastale “Cabreo de’ terreni del Convento di S. Nicola”. Un opera intito-lata “La maniera di formare gli orologi solari per via della geometria”, e un’altrain due volumi di “Tavole gnomoniche per fare in pratica gli orologi solari”. Ascopo ancora direttamente pratico e scolastico scrisse “Le Regole per agevol-mente imparare il canto fermo”, il compendio di un’opera del p. Berti “CursusTheologiae”, un “Indice de’ Santi e Beati dell’Ordine di S. Agostino”, la trascri-zione delle Bolle e Decreti del suo Ordine “Summarium Bullarii Augustiniani”.

Altri suoi scritti riguardano la linguistica e le regole grammaticali, tedesco-ita-liano e piemontese-italiano, oltre alle note ed utili opere storiche diverse riguar-danti la Città, il Territorio ed il Convento Agostiniano di Chivasso, il Conventoe la chiesa di Villafranca Piemonte.

Il padre Giuseppe Borla testimonia con ciò di essere rigorosamente attentoalla persona come protagonista, come portatrice di responsabilità di fronte alla

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città umana, frutto di convergenti e inesausti confronti. L’atteggiamento del no-stro autore, pur espresso con termini in uso nel secolo XVIII, e a noi estranei, èquindi sostanzialmente privo di nostalgie per la mitologia del passato o delleforme, piuttosto si dimostra sollecito di quanto si deve esercitare da ciascuno, lavita accolta come compito, come sereno e laborioso costruire. La razionalità, ildoveroso uso della ragione è vista come luce, di cui la fede genuina non ha timore,ma con cui si dialoga e cresce. Il suo stesso frequente dover riferire quale storico,di prodigi o fatti allora ritenuti miracolosi, realtà onnipresente nelle forme edespressioni religiose, è sempre rispettoso del dato comunemente allora ritenuto,non mancando di segnalare però l’indiscutibile primato dello sviluppo delle scelteresponsabili di vita cristiana, cui ogni altra manifestazione genuinamente religiosadeve ricondurre.

Nell’opera del padre Giuseppe Borla riscontriamo, in sintesi, il corretto at-teggiamento dello storico guidato dai caratteristici criteri cristiani, che mettonoin evidenza anzitutto la persona interpellata a responsabilità, persona che vive lalibertà donata da Dio per cooperare umilmente ogni giorno con lui e con i fratelli.Scorrendo i suoi scritti, riscontriamo, com’è ovvio, anche alcune insufficienze, al-

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sodio.Il sabato 3 novembre 1515, il nobile Bernardino Siccardi, sindaco della città

nonché grande uomo di cultura, allarmato per lo scempio fatto nel palazzo co-munale, richiese al Consiglio riunito di formare una commissione che si assu-messe l’incarico di fare un’incetta sia dei documenti sparsi nel saccheggio che diquelli rimasti in loco e di stilarne un inventario: “…omnes scripturas comunitatis spar-sas per Elvetios et alias persones alios exsistens et de faccendo unu inventarium de ipsis scrip-turarum et eorum effertu ut substantia…”. Si trattava di valutare quanto fosse andatoeffettivamente perduto di ciò che esisteva nell’archivio della comunità all’epocadell’ inventario stilato nell’anno 1500, con particolare riguardo ai documenti suc-cessivi, “…speties scripturas postea accepto inventario facto de anno 1500…”; molti di-plomi, privilegi e atti importanti erano andati persi e il sindaco intendevasensibilizzare i suoi concittadini al loro eventuale recupero perché era in peri-colo l’esistenza stessa della città in quanto entità sociale. Ciò che era rimasto nelpalazzo comunale dell’intero apparato legislativo ed amministrativo, infatti, ver-sava in pessime condizioni perché gli svizzeri avevano anche strappato i preziosisigilli pendenti dalle pergamene per trafugarne i loro contenitori metallici:“…quam multa sunt lacerata propter extirpatis sigillorum que omnia sigilla maxima penden-tia et integra extirpata et fracta fuerunt…”. Bernardino Siccardi, al quale dobbiamo lastesura della prima storia chivassese, degli statuti comunali nonché il lungimi-rante sforzo per la conservazione del patrimonio storico della città, concluse ilsuo intervento raccomandando ai credenzieri quanto fosse importante il lavorointrapreso nei confronti della comunità e dei posteri: “…dicit idem Sindicus quammaximus est labor comissionis assumpte sed valide et utilis quia tendit ad conservationem etmanifestationem…” 111. Pochi anni più tardi, nel 1533, quasi a riassumere il lavorocompiuto di ricucitura storica e legislativa della città, lo stesso Siccardi avrebbedato alle stampe l’intero corpus degli antichi Statuti comunali chivassesi.

Si può quindi affermare che, senza questa opera di recupero della memoriastorica, avviata da Bernardino Siccardi, molto sarebbe rimasto sconosciuto nonsolo della storia ma anche della vita sociale, economica ed amministrativa dellanostra città; è grazie a lui, infatti, se oggi chiunque si occupi delle vicende seco-

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111 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 9.

Ringraziamenti:L’autore ringrazia il professor Arnold Esch, già direttore dell’Istituto Storico Germanico di Roma, perla cortese disponibilità a fornire indicazioni bibliografiche e suggerimenti nonché le indispensabili tra-scrizioni dall’alto tedesco al tedesco odierno; il suo libro sui mercenari svizzeri è stato fondamentale peraprire nuove prospettive di ricerca sul sacco di Chivasso. Si ringraziano inoltre gli amici Pasquale Marto-

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cuni errori di date o di nomi, alcune sottovalutazioni che sono certo imputabilia lui, ce lo fanno apparire persona normale pur nella sua straordinaria statura,come alcune impostazioni caratteristiche dell’epoca in cui il Borla visse, su tuttociò lascio correttamente la parola ai critici.

Abbiamo quindi incontrato, riscoperto, un frate e cittadino chivassese colto,vissuto nel Settecento, e nell’abbozzarne un primo possibile ritratto, per quantolo si possa dire oggi con parole nostre, l’orientamento del padre Borla lo pos-siamo certamente riconoscere più come “progressista” che come “conservatore”,più capace di futuro proprio perché attento e umile custode del passato, perciòpromotore dell’impegno della maturazione di ogni persona. Vorrei chiudere que-ste considerazioni riportando la preziosa citazione con la quale padre AchilleErba apre l’introduzione del suo contributo nella “Storia della Chiesa di Ivrea”, vo-lume II:

“C’è una solidarietà fra gli uomini non solo in dimensione orizzontale,con gli uomini del nostro tempo di tutti i paesi, ma c’èuna dimensione anche verticale, cioè cronologica,

tra gli uomini del passato, giacchè noi viviamo della tradizione,e gli uomini che verranno, i quali a loro volta

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erediteranno qualcosa di importante da noi”

MICHELE PELLEGRINO 17

17MICHELE PELLEGRINO, La fede e la morale, intervista a Alberto Sinigaglia, A. SINIGAGLIA, “Vent’annial Duemila”, Torino, 2000. p. III. Ora in F. BOLGIANI (a cura di), Una città e il suo vescovo. Torino neglianni dell’episcopato di Michele Pellegrino, Bologna 2003, pp. 165-173.

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ne avrebbe patito al punto da essere abbandonata dalle ultime famiglie di anticolignaggio e dai loro interessi economici e commerciali. Nuovi immigrati sareb-bero arrivati a ripopolarla, provenienti non solo dal Piemonte ma anche dallaLombardia; la loro venuta avrebbe riportato linfa vitale a quella che da grande evivace corte marchionale era diventata un piccolo borgo fortificato proteso alladifesa dei confini orientali del ducato sabaudo, senza però riuscire a farle spiccarequel salto di “qualità” avvenuto in altre città piemontesi altrettanto illustri ed an-tiche.

Si aggiunga un’ultima considerazione, confortata ancora una volta dai docu-menti storici, troppo spesso sottovalutata: Chivasso, in quel lontano agosto del1515, corse il pericolo non solo di essere cancellata come comunità ( se dopo ilsaccheggio e il massacro gli svizzeri avessero messo a fuoco le case la distruzionedel centro abitato sarebbe stata pressoché totale) ma anche di perdere insieme avite e ricchezze la sua memoria storica, custodita gelosamente negli archivi dellaCredenza e che nessun nemico aveva mai osato toccare. Quando gli svizzeri,dopo aver depredato anche i due sigilli d’argento della città, spaccarono a colpidi scure i forzieri dove credevano fossero nascosti ori e argenti, dispersero conrabbia il loro contenuto per le strade; pergamene, registri e scritture finirono cal-pestate, strappate, bruciate nell’infernale confusione di quel giorno in cui tuttipensavano a mettere in salvo l’unica cosa più preziosa, la vita. Fu solo grazie al-l’opera di un uomo, il sindaco Bernardino Siccardi, che non tutto andò perdutoe tanti antichi e preziosi documenti furono salvati dalla distruzione per potere es-sere lasciati alle generazioni future.

Anche se il passaggio del Borla che narra il saccheggio del palazzo comunalee indica nella figura del Siccardi il personaggio chiave nel salvataggio delle carte,può sembrare gonfiato da un’enfasi eccessiva, fatta apposta per calcare la manosulla cieca ferocia di barbari brutali come gli svizzeri, così non è; ancora una voltail nostro grande storico disegna nel suo elegante stile letterario nient’altro che laverità storica, suffragata dai documenti che egli aveva potuto leggere all’epocadella stesura della sua storia. Le travagliate vicende dell’archivio comunale e deitanti archivi privati, nel corso degli ultimi due secoli, hanno provveduto a sfol-tire ulteriormente le carte a disposizione al punto che molti dei documenti citatidal Borla non sono più recuperabili ma, fortunatamente, le Reformazioni, i pre-ziosi verbali dei consigli comunali che ci hanno accompagnato nel corso di tuttaquesta ricerca, seppur lacerate e incomplete esistono ancora, pronte a fornirenotizie a chiunque abbia la pazienza di cercarle; ed è in queste antiche pagine, in-fatti, che ritroviamo le prove che ci servono per commentare quest’ultimo epi-

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G. Borla - La chiesa e il convento agostiniani di Via Coronata, attuale Via Borla,angolo Via Torino ( Memorie Istorico-Cronologiche della Città di Chivasso )

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cheggio di Chivasso, continuava a colpire, anche dopo Marignano, i veterani dellacampagna di Piemonte del 1515. I loro destini personali si erano incrociati an-cora una volta sul campo della Bicocca e su fronti opposti; Albrecht vom Stein,come lo stesso Ludwig Schwinkhart e molti altri, perirono nella battaglia fiancoa fianco combattendo contro i loro vecchi commilitoni, istigati a quella lotta fra-tricida da un altro protagonista dell’eccidio chivassese, il cardinale Matheus Schi-ner. Il prelato, dopo Marignano, era stato costretto a lasciare il suo vescovato aSion e rifugiarsi a Zurigo dove aveva esercitato ancora una certa influenza poli-tica in favore dell’imperatore Carlo V, di cui divenne consigliere e in nome delquale, nel 1521, aveva ripreso il controllo del milanese contro i francesi; il cardi-nale aveva avuto anche il tempo di essere uno dei redattori dell’editto di Wormscontro la riforma protestante e, alla morte del pontefice Leone X, si trovava aRoma, dove non fu eletto nuovo pontefice solo a causa dell’opposizione dei car-dinali francesi.

Sul campo della Bicocca quei mercenari che lui stesso aveva guidato, a ca-vallo e con la spada, morirono combattendo gli uni contro gli altri; per MatheusSchiner invece che, forse, avrebbe desiderato una fine simile, il destino aveva inserbo uno scherzo più feroce. Nell’ottobre del 1522 a cinque mesi di distanzadalla battaglia, la morte presentava il suo conto anche al cardinale guerriero nonsul lucido filo di una spada bensì nei ripugnanti bubboni della peste 110.

Epilogo

L’alba del 20 agosto 1515, per Chivasso, non costituì soltanto il duro risve-glio di una città devastata e l’inizio della conta dei danni morali e materiali pro-vocati dall’uragano svizzero che l’aveva attraversata; fu una svolta, un vero eproprio spartiacque tra medioevo ed età moderna che segnò il passaggio improv-viso da un’epoca di relativo benessere economico e culturale, illuminata dal ri-flesso degli antichi splendori dei Paleologi ad una nuova, forgiata fin dalla suanascita con il ferro ed il fuoco, nella quale Chivasso avrebbe subito un ridimen-sionamento sia demografico che urbanistico. Quella che usciva dalla terribileesperienza del saccheggio elvetico era una comunità ferita, percossa e impoveritache non si sarebbe più ripresa del tutto dal trauma; gli anni a venire sarebbero statiancora più duri, costellati da passaggi di eserciti, epidemie, devastazioni e la città

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110 Per le notizie sul cardinale Schiner vedi gli autori già citati alla nota 18. Il grande nemico dei francesifu sepolto nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma senza un monumento funebre che lo ricordasse.

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A. BARBERO, Stemma della famiglia Borla( Libro “B” delle Mutazioni, Archivio Storico Città di Chivasso )

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europeo e il modello militare del quadrato di picchieri sarebbe stato superatodallo sviluppo di nuove tecniche belliche e delle armi da fuoco.

I reduci delle campagne italiane ci avrebbero messo un po’ di tempo a rein-serirsi nella società e, per molti di loro, questo non sarebbe mai avvenuto; tanti,ritornati in patria cambiati da quell’esperienza per certi versi inebriante, incapacidi riprendere il loro lavoro di contadini o bottegai, si sarebbero trasformati inladri e assassini di strada, continuando a fare ciò che avevano appreso in Italia.Come scrive Arnold Esch : “…Per quanti avevano gustato una vita del genere, non erafacile tornare a casa e rientrare nella routine del lavoro. Al tempo stesso, l’esperienza dellaguerra in terre straniere determinava negli animi una spaventosa assenza di inibizioni. Eccoallora che, secondo il diritto di guerra, si viveva sconsideratamente di ciò che offriva il paese…Inalcune località venivano sterminate per rappresaglia centinaia di persone, si ammazzavanodonne, bambini, vecchi, preti, malati: una cosa mai successa in passato ( alle vittime serviva benpoco che l’ordinamento militare bernese prescrivesse a chiunque si trovasse sul campo di reci-tare quotidianamente cinque Padrenostro e cinque Ave Maria ); venivano rubati gli arredi li-turgici e violate le tombe” 108. E’ chiaro in queste parole il riferimento a quanto glisvizzeri fecero a Chivasso e possiamo ancora provare ad immaginare quei mer-cenari, poco prima di impugnare i loro strumenti di morte, intenti a pregare confervore quel Dio al quale, nelle loro lettere, tributavano gratitudine eterna per ilbottino che faceva trovare loro per strada.

Molti, quindi, tornati in patria e incapaci di adattarsi alla vita precedente, ter-minavano il loro viaggio sulla forca come delinquenti comuni; altri, invece, eranocondannati dalla loro stessa fame di ricchezza ad inseguire la fortuna su un campodi battaglia e non sempre l’avrebbero trovata. Così accadde al capitano berneseAlbrecht vom Stein, che aveva abbandonato l’armata prima di Marignano ed eratornato in patria carico di ricchezze (parte delle quali forse rapinate a Chivasso)per aumentare il prestigio del suo casato in declino; sua moglie sfoggiava abiti egioielli mai visti prima a Berna ed egli con le rendite annue che riceveva dal re diFrancia poteva permettersi una vita agiata. Tutto questo finì quando il capitano,alla testa di una delle due colonne svizzere al soldo dei francesi, cadde alla bat-taglia della Bicocca nel 1522, trafitto dal comandante dei lanzichenecchi imperiali;la vedova dovette lasciare Berna, rinunciando al lusso e il suo unico figlio morìgiovane e in miseria 109.

Così, la collera divina temuta ed evocata da Ludwig Schwinkhart dopo il sac-

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108 A. ESCH, Mercenari, cit., capitolo II, “Uomini nuovi, ricchezza e corruzione” p. 136.109 Ibidem, p. 145. L’autore riprende, tra l’altro, i giudizi di Valerius Anshelm sugli uomini e la società delsuo tempo. Altre notizie su Albrecht vom Stein sono reperibili sul sito internet di Wikipedia.

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Giuseppe Borla - Disegno di G. Gaia (ricavato da Chivassesi protagonisti di AlmaFassio Bottero, 1986).

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grossare la sua già potente armata non convinto della volontà svizzera di riti-rarsi; il 13 settembre, infatti, gli giunse notizia che le truppe elvetiche avevano in-tenzione di combattere e che, comandate dal cardinale Schiner in persona,stavano uscendo dalla città per dare battaglia. Le forze svizzere, composte dai ri-manenti Cantoni che si erano ritirati dal Piemonte e da buona parte del terzocontingente, contavano circa 22.000 uomini, quasi del tutto privi di artiglieria econ pochi centinaia di cavalieri alleati in appoggio; contro di loro c’erano 35.000francesi con numerosa cavalleria e, cosa più importante, un poderoso parco di ar-tiglieria .

Gli svizzeri, schierati in tre quadrati, ressero l’urto della cavalleria pesantefrancese e contrattaccarono arrivando , nonostante i vuoti creati dai cannonifrancesi, a minacciare il campo nemico, catturare alcuni pezzi di artiglieria e fe-rire lo stesso Francesco I; il combattimento si protrasse fino a tarda notte poi glisvizzeri, convinti di avere in pugno la battaglia, si fermarono per riposare, dandocosì tempo ai francesi di riorganizzare l’artiglieria e richiamare in aiuto i veneziani.

All’alba del 14 settembre gli svizzeri, con una manovra già sperimentata altrevolte, tentarono di accerchiare l’esercito francese, incuranti delle continue canno-nate che aprivano vuoti spaventosi tra le loro file; quando, però, i quadrati di pic-chieri furono sul punto di stritolare l’armata francese, la cavalleria venezianapiombò loro addosso, scompaginandoli e dando modo a Francesco I di ribal-tare la situazione a suo favore. La battaglia era persa e gli svizzeri, raccolti in ungrande quadrato i feriti, le bandiere e i pochi cannoni, si ritirarono lentamenteverso Milano; tutti quelli che non riuscirono a porsi in salvo tra quella selva dipicche furono inseguiti e uccisi senza pietà dai francesi e dai veneziani tanto chela sconfitta costò un numero spaventoso di vittime, circa 14.000 uomini, dueterzi dell’esercito che il giorno prima era uscito baldanzosamente dalla città lom-barda 107.

Mentre Francesco I prendeva definitivamente possesso del ducato di Milano,la notizia della sconfitta e della perdita di così tanti uomini percorse la Confede-razione, provocando un risentimento nella gente delle campagne che sarebbesfociato in aperte ribellioni contro le classi al potere, accusate di aver mercificatola carne dei loro figli per i propri interessi. Il processo avrebbe portato al gradualeridimensionamento delle mire espansionistiche elvetiche e alla definitiva rinun-cia ad una grande politica di potenza; dopo Marignano, infatti, nessuno altroesercito svizzero autonomo avrebbe mai più combattuto su un teatro di guerra

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107 Per le notizie sul proseguimento della campagna e la battaglia di Marignano vedi autori già citati allanota 34.

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Fabrizio Spegis

LA GENESI DELLA FERROVIACHIVASSO-IVREA E LA SCELTADEL NODO DI CHIVASSO

Premessa relativa alle fonti bibliografico – archivistiche

n merito alla linea ferroviaria Chivasso – Ivrea esistono alcune pubblicazionia stampa che ricostruiscono la sua storia in poche pagine; tra queste, va ri-

cordato il testo di A. Bertolotti, Gite nel Canavese, forse il primo autore che ri-corda l’apertura della tratta.

Altri tre testi, G.E. Chelli, Le nostre ferrovie. Origine e costruzione delle reti ferrovia-rie italiane; F. Tajani, Storia delle ferrovie italiane; I. Briano, Storia delle ferrovie in Italia,riferiscono dati noti ed evidenziano rapporti di reciproca dipendenza nella tra-smissione delle informazioni.

L’opera di P. Muscolino, Il Piemonte ferroviario che più ricordo, ricostruisce in sin-tesi la storia della linea Chivasso–Ivrea-Aosta e si sofferma in particolare su ca-ratteriste tecniche riguardanti treni e armamento ferroviario.

Infine, dati di taglio maggiormente storico-archivistico, corredati da aned-doti e curiosità, relativi anche alla linea in esame, si trovano in: L. Ballatore, F.Masi, Torino Porta Nuova, e L. Ballatore, Storia delle ferrovie in Piemonte. Quest’ultimotesto, in particolare anche per la Chivasso-Ivrea, pur nella sua sinteticità, costi-tuisce una fonte di informazioni precise e documentate 1.

Interessantissime per la ricchezza di dati storici e tecnici sono le fonti archi-

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Abbreviazioni:ASCCh: Archivio storico comunale di Chivasso; ASCIv.: Archivio storico comunale d’Ivrea; ASTo: Ar-chivio di Stato di Torino.

1 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, Ivrea 1872, pp. 59-72; G.E. CHELLI, Le nostre ferrovie. Origine e co-struzione delle reti ferroviarie italiane, Milano 1889; F. TAJANI, Storia delle ferrovie italiane, Milano 1939, nonparla della linea Chivasso-Ivrea, bensì, in generale, della costruzione della rete ferroviaria piemontese neldecennio 1850-1860 alle pp. 60-62; I. BRIANO, Storia delle ferrovie in Italia, 3 voll., Milano 1977, I, p. 98,esaurisce in poche righe la storia della linea; P. MUSCOLINO, Il Piemonte ferroviario che più ricordo, Cortona1981, pp. 199-213; L. BALLATORE, F. MASI, Torino Porta Nuova, Roma 1988, pp. 71-73; L. BALLA-TORE, Storia delle ferrovie in Piemonte, Torino 1996, pp. 63-66.

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La fine dei sogni di potenza elvetici

Il 22 agosto 1515, quando gli svizzeri ripresero la marcia da Ivrea nuova-mente verso la Lombardia, ci fu una prima divisione dell’esercito e mentre ilgrosso puntava a sud verso Vercelli per incontrare gli emissari del re di Francia,una piccola parte, composta dai cantoni che rifiutavano un accordo con i fran-cesi, si diresse verso Milano. Il 28 agosto, a Vercelli, venne stipulato un primo ac-cordo che prevedeva il passaggio alla Francia del ducato di Milano, delle città diAsti e Genova e dei territori di Domodossola, Locarno e Lugano in cambio diuna somma di denaro pari a 1.000.000 di corone e un’alleanza militare tra la Con-federazione e i francesi. Una clausola a parte riguardava il legittimo proprietariodi Milano, Massimiliano Sforza, che, in cambio della rinuncia al suo florido du-cato, avrebbe ottenuto un vitalizio, il titolo di duca di Nemours e la residenza inFrancia.

Gli svizzeri rinunciavano così, per denaro, ai loro interessi sulla Lombardiaper i quali era stato versato tanto sangue svendendo addirittura anche i loro pos-sedimenti al di quà delle Alpi, strategicamente vitali per la Confederazione.

In patria, intanto, nonostante questi maneggi a scopo di lucro fossero cono-sciuti da tempo ed avvallati dalla classe dirigente elvetica, non si cessava di armareeserciti da inviare in Italia, in chiaro contrasto con quanto stava avvenendo sulcampo; un terzo corpo di spedizione, infatti, si era messo in marcia il 25 agostoverso sud. Le truppe, arrivate a Domodossola, incontrarono i contingenti deicantoni di Berna, Friburgo, Soletta e Biel ( circa 10.000 uomini ) che avevano la-sciato Vercelli dopo i primi accordi di pace e, decisi a non combattere più, sta-vano rientrando in patria carichi di bottino; il terzo corpo di spedizione, a quelpunto incerto sul da farsi, proseguì la marcia verso sud con lentezza e solo il 6di settembre giunse a Monza. Due giorni dopo, a Gallarate, fu ratificato il trat-tato di pace con la Francia e il cardinale Schiner, feroce oppositore dei francesi,dovette usare tutta la sua eloquenza per convincere almeno una parte dell’armataa non accettare quella che per lui ( e per molti altri ) altro non era che una resaumiliante e spregevole che infrangeva, per denaro, tutti i sogni da lui perseguiticon tenacia di una potenza elvetica capace di opporsi alla Francia. Ma il vento inItalia stava cambiando e gli alleati abbandonavano gli svizzeri alla loro stessa avi-dità di denaro; a cominciare dal pontefice Leone X che, a differenza del suo pre-decessore Giulio II, intendeva riconciliarsi con i vecchi nemici di un tempo.

Il re di Francia, intanto, si stava avvicinando a Milano e il 10 settembre si ac-campava a Marignano in attesa dell’esercito veneziano con il quale intendeva in-

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vistiche, in particolare il fondo Strade ferrate, conservato in Archivio di Stato di To-rino, Sezioni riunite, riguardante sia la linea Torino – Novara, sia la Chivasso –Ivrea.

L’archivio storico comunale di Ivrea conserva importanti memorie relativealla nascita della linea, concentrate però su Ivrea e dintorni e, soprattutto, sullacostruzione della stazione.

L’archivio storico comunale di Chivasso conserva anch’esso alcune scrittureriguardanti la linea ferroviaria in questione, legate all’aspetto burocratico del trac-ciato della linea.

Tra le fonti giornalistiche, occorre anche menzionare il giornale locale epo-rediese “La Dora Baltea” che dedica un lungo ed interessante articolo all’inau-gurazione della linea nel n° 45 dell’11 novembre 1858.

Si ricorda infine il convegno, per celebrare il 150° anniversario di aperturadella linea, tenutosi ad Ivrea, Sala S. Marta, il 15 novembre 2008, cui hanno par-tecipato numerosi relatori che, con i loro interventi, hanno ricostruito global-mente storia e vicende attraverso il tempo della ferrovia in esame; nel medesimolocale è stata anche allestita un’interessante mostra fotografica con immaginid’epoca 2.

Genesi della linea

Come si sa, il decollo industriale del Piemonte avvenne dopo la Ia Guerrad’Indipendenza, con la costruzione di un’articolata rete ferroviaria che, nell’arcodi circa un decennio, pose il Regno di Sardegna all’avanguardia tra gli stati italianiin tal senso.

Le ferrovie, infatti, liberarono il Piemonte dall’isolamento internazionale e lomisero a contatto diretto con gli stati europei più progrediti.

Con la realizzazione della linea Torino – Genova, prima importante linea delregno sabaudo, inaugurata il 20 febbraio 1854, non solo si congiungeva la capi-2 Al convegno sono intervenuti i seguenti relatori: F. LUCIA, Le ferrovie nello Stato sabaudo; F. SPEGIS, Lagenesi della tratta Chivasso-Ivrea; A. ACTIS CAPORALE, Vicende storiche del primo tronco Chivasso-Caluso; E.CHAMPAGNE, A. PEROTTI, Il vapore in Canavese, proiezione in formato DVD; G.BERATTINO, Ivreapunto d’arrivo del secondo tronco Chivasso-Ivrea; la scelta del luogo della stazione e le fasi della costruzione; le diverse rea-lizzazioni del periodo 1858-1891; P. BAZZARO, L’evoluzione urbanistica d’Ivrea nel XIX sec. in relazione all’ar-rivo della ferrovia e al successivo proseguimento verso Aosta; M. BOFFA TARLATTA, “Immagini della ferroviaChivasso-Ivrea”, mostra fotografica della linea, da cui sono state tratte le immagini della stazione di Chi-vasso da corredo all’articolo.

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Page 31: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

gioco, cambiando rotta ancora una volta. Nella memoria, infatti, si precisava dirispondere ai confederati che essi conoscevano bene i grandi patimenti soppor-tati dalle sue terre a causa loro ma, nonostante questo, egli aveva ordinato ai suoisudditi di onorarli e trattarli bene e se qualcuno non aveva rispettato i suoi vo-leri ciò era successo a sua insaputa poiché egli intendeva continuare ad essereloro amico ed alleato. Per quanto riguardava l’affare di Chivasso, l’araldo dovevaricordare che non erano stati gli abitanti di quella città ad impedire l’ingresso ead opporre resistenza ma i 300-400 monferrini ( di cui si è parlato precedente-mente ) che vi si erano introdotti contro il volere dei chivassesi per bene; il dannoera stato così grande, in beni rapinati e persone uccise, senza contare l’incendiodel castello (che non compare nelle cronache) che la provincia risultava scon-volta e che egli ( il duca ) non avrebbe potuto più trarne entrate per almeno dueanni. Alla luce di quanto esposto e in considerazione dei danni subiti e deglisforzi fatti per contribuire alle trattative di pace, l’araldo avrebbe dovuto chiedereagli svizzeri la remissione della rimanenza sui pagamenti da loro impostigli 105;era evidente che il duca di Savoia voleva essere sollevato non tanto dalla pesantealleanza stipulata nel 1512 e dai tributi di guerra ma, soprattutto, dal pagamentodel vergognoso taglieggiamento estortogli alcuni anni prima con le false dona-zioni inventate dal Dufour.

Il re di Francia però, ben poco interessato alle rapine svizzere ai danni dellozio, fece sapere al duca, tramite il cugino Renato detto il Bastardo di Savoia, dinon insistere nelle richieste di indennizzo perché la pace, conclusa definitiva-mente a Gallarate l’8 settembre del 1515, era una faccenda dalla quale il duca chenon aveva fatto molto, secondo lui, per aiutarlo nell’impresa, poteva sperare diricavare solo vantaggi, liberandosi anche della sottomissione nella quale lo tene-vano gli svizzeri 106.

Ma il duca di Savoia il suo tornaconto non lo ebbe. Dovette continuare a pa-gare gli svizzeri fino all’ultima rata dello spregevole tributo mentre Francia e Im-pero si spartivano l’Italia; il Piemonte rientrò sempre più nella sfera di influenzadi Francesco I fino a quando, nonostante l’alleanza del duca con l’imperatoreper tentare di salvare il suo stato, le armate francesi lo avrebbero, nel 1535, de-finitivamente occupato. Ma questa è un’altra storia.

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105 E. USTERI, Marignano, cit., p. 328, nota 39.106 Ibidem, p. 329, nota 44. Istruzioni del re di Francia per Renato, Bastardo di Savoia, che doveva trat-tare con gli svizzeri la pace e l’alleanza.

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tale all’importante scalo marittimo ligure, ma si creavano anche le premesse di unasse ferroviario che dalla Liguria attraverso il Piemonte, passando dalla Svizzera,conducesse all’Europa centrale, attraverso la valle del Rodano.

A tale scopo, era stata prevista una diramazione che da Alessandria tendevaa Novara e di qui, attraverso Oleggio, arrivava poi ad Arona, da cui, per il mo-mento, navigando sul Lago Maggiore per mezzo di battelli a vapore, giungeva inSvizzera; infatti, occorrerà attendere l’inizio del XX sec. per il traforo del Sem-pione e l’attivazione del collegamento da Domodossola a Iselle 3.

Nel contempo, però, si avvertiva la necessità di una linea perpendicolare cheassicurasse il collegamento tra il sud est della Francia e il confine lombardo; per-tanto, l’ingegnere britannico Natlam Giles chiese ed ottenne dal Governo sardonel 1851 l’autorizzazione a progettare una ferrovia che da Torino, percorrendola sponda sinistra del Po, pervenisse a Novara.

Il Giles affidò gli studi di progettazione all’ing. Robert Johnson il quale, pe-raltro, assieme al collega Henfrey, stava già lavorando alla Torino–Susa: pertanto,il ministro dei LL. PP. Pietro Paleocapa (fig. 1) si accordò il 27 settembre del1851 con l’imprenditore Thomas Brassey affinché esaminasse la fattibilità del-l’opera.

Il Brassey assegnò allora tale compito all’ing. Woodhouse, che redasse undettagliato progetto nel rispetto della sicurezza e dell’economia 4.

Il 20 novembre 1851, una lettera del Comitato centrale promotore della strada fer-rata da Torino a Vercelli a Novara, invitava il sindaco di Chivasso ad attivarsi per isti-tuire “pure in codesta città un comitato come quelli stabiliti a Vercelli e Novaraal fine di porsi in relazione con questo centrale e promuovere con tutti i mezziopportuni la formazione della società che dia esecuzione a quel progetto”, dalmomento che Chivasso, “e per la sua posizione e per la sua importanza risentiràgrandissimi vantaggi dallo stabilimento di quella linea” 5.

Un mese dopo, si costituisce quindi anche a Chivasso il Comitato promotorecon sede locale, come dimostrano lo statuto e alcune carte conservate in archi-vio comunale.

In un documento manoscritto datato 19 dicembre 1851, suddiviso in trefogli, si legge che tale Comitato, in seguito agli accordi tra il ministro dei LL. PP.e il sig. Thomas Brassey stipulati il 27 settembre 1851, pone come “condizione3 F. TAJANI, Storia delle ferrovie italiane, cit., p. 61; L. BALLATORE, Storia delle ferrovie in Piemonte, cit., p.139 ss.4 L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., pp. 44-45.5 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 2: Ferrovia Torino – Novara.

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Page 32: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

3 settembre 1515 in cui, dopo avere deciso di portare le lettere ducali a Ivrea enel Monferrato per riavere ciò che era stato rubato, si discusse anche dell’inten-zione del re di Francia di indennizzare in qualche modo non solo quello che erastato fatto dagli svizzeri ma anche quanto avevano, evidentemente, commesso isuoi soldati; il passo è piuttosto oscuro ma lascia trapelare una certa responsabi-lità francese nel saccheggio della città, “…tam pro dampno elvetiorum quam pro dam-pno illato per gallos qui erant in eius comitiva…” 104.

Il duca di Savoia dimostrò ancora una volta di non essere in grado di tute-lare i propri sudditi, la sua debolezza politica e militare, unite all’ambiguità dei suoiatteggiamenti sia verso la Francia, sia verso la Confederazione, li aveva lasciati inbalia dei due contendenti, esponendoli a massacri indiscriminati e a ripetuti sac-cheggi. L’apice del fallimento fu proprio la tragica giornata di Chivasso dove laviolenza scoppiò per la somma di un’incredibile serie di cause che possono es-sere riassunte così: la penosa ritirata dell’esercito svizzero, lacerato al suo interno,che innesca rancore crescente nei confronti dell’alleato duca di Savoia ( che si ri-vela tale solo di nome ma, di fatto, collabora con l’invasore francese ) il quale, or-dinando di chiudere le porte delle città e richiamando truppe francesi, innescanella popolazione la falsa sicurezza di essere al riparo da ogni minaccia ma inducegli svizzeri a sentirsi in un territorio ormai totalmente ostile da dove si può trarresostentamento e bottino solo con l’uso della forza. Il duca, sottovalutando l’irache covava in campo elvetico e sopravvalutando la stima e l’amicizia del nipoteFrancesco I, aveva probabilmente immaginato di diventare l’ago della bilancia inun gioco politico ben più grande delle sue forze; la convinzione di essere statolui l’artefice degli intendimenti di pace tra francesi e svizzeri ( quando da tempoil re di Francia lavorava nel cuore stesso della confederazione, corrodendone conil denaro i delicati equilibri sociali ), lo portò forse a credere in un rapido evol-versi degli eventi e lo indusse a ordinare di non dare appoggio agli svizzeri in ri-tirata convinto che questi, tallonati dalla potente armata francese e desiderosi diconcludere la pace, avrebbero lasciato ben presto il Piemonte con la coda tra legambe.

Il massacro di Chivasso interruppe l’illusione che bastasse chiudere le portedelle città per tenere lontani quei feroci mercenari e rivelò, ancora una volta,quanto fossero pericolosi e imprevedibili i loro movimenti. Al duca non rimasealtro da fare che sfruttare la faccenda per ottenere qualcosa dalle trattative dipace in corso; nelle istruzioni fatte pervenire al suo araldo che, a Vercelli, avrebbedovuto conferire con gli svizzeri, tentò goffamente di fare buon viso a cattivo

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104 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 5.

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inscindibile”, per la partecipazione alle quote azionarie, che la linea dopo Chi-vasso prosegua per Saluggia e Livorno “di conformità al pensiero che anima que-sto Consiglio comunale” e non verso Mazzè, precisando ulteriormente che isottoscrittori si obbligano “rispettivamente di pagare nei modi e termini portatidalle condizioni stabilite dal Comitato centrale di Torino e sotto l’inscindibilecondizione che la via tocchi Chivasso come all’art. 15 (o 19?) dei preliminari trail ministro dei LL.PP. e il sig. Thomas Brassey e progredisca per Saluggia” 6.

Allo stato attuale delle conoscenze, non è dato sapere perché i Chivassesipensino già ad una revisione del tracciato in favore di Saluggia e Livorno, seb-bene, come si vedrà, il progetto originario di quell’anno prevedesse, oltre Chi-vasso, lo sviluppo della ferrovia più a ovest delle due località.

Comunque, con l’avvio degli studi per la costruzione di tale linea, da Ivreapartono immediatamente iniziative per ottenere il collegamento diretto con essa,al fine di poter raggiungere la capitale e il porto di Genova in tempi brevi.

Va ricordato che l’ipotesi di una linea ferroviaria che interessasse Ivrea risa-liva già ad alcuni anni prima, infatti, fin dal 1846, erano stati effettuati studi peruna tratta che da Biella attraverso Ivrea, S. Giorgio e il Canavese raggiungesse To-rino; tuttavia il progetto fu abbandonato per contrasti nella scelta del percorso egli studi non ebbero più seguito a causa del precipitare degli avvenimenti politicilegati alle rivoluzioni del biennio 1848 – 1850 7.

Ivrea aspirava anche ad ottenere un collegamento diretto con la Francia viaAosta e Gran S. Bernardo, in alternativa al costruendo tracciato Torino – Susa –Modane, come riferisce una petizione inviata da Ivrea al Parlamento subalpinonel 1850, 3 giugno rimasta senza esito 8.

In un primo momento, si pensava al raccordo con la Torino-Novara a Ci-gliano, dove effettivamente il progetto originario del Woodhouse prevedeva ilpassaggio della linea; non mancarono, infatti, ipotesi di tracciati fra il capoluogocanavesano e la località vercellese 9.

La costruzione della Torino – Novara riaccende pertanto le speranze degliEporediesi, i quali, come si è appena detto, pensano subito a una diramazione per6 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 2: Ferrovia Torino – Novara, Comitato promotore di Chi-vasso, doc. del 19 dicembre 1851.7 L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., pp. 63-64; A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., pp. 59-60.8 L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., p. 63; A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 59.9 ASCIv., Lavori pubblici, serie III, mazzo 1273, fasc. 1: Promemoria sul progetto di diramazione di untronco di strada ferrata sopra Ivrea dalla linea di strada ferrata progettata dall’ing. Johnson tra Torino e No-vara.

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del loro misfatto. La Credenza però dovette risolvere in pochi giorni (si era inagosto) la gravosa incombenza di fare seppellire i cadaveri probabilmente in fossecomuni all’interno della città, in quanto il piccolo cimitero dietro alla collegiatadi Santa Maria non era sufficiente ad accoglierli tutti e nelle chiese avevano ac-cesso solo i nobili e i borghesi facoltosi; il primo settembre 1515, infatti, il Con-siglio dava ordine di rimborsare al console della città Bortolino de Vercellis“…Scuta duo nova pro ipsum exbursata per solvendi sepultoribus qui sepulverunt corporamortua in Clavaxio per Elvetios” 102.

La notizia del massacro degli abitanti di Chivasso si diffuse velocementeanche oltre i confini del Piemonte, grazie alle numerose lettere inviate a Firenze,Venezia e Roma dai vari corrispondenti residenti nel ducato o al seguito dell’ar-mata elvetica che, non bisogna dimenticarlo, marciava seguita da capitani mila-nesi e ambasciatori papali e imperiali. Gli ambasciatori veneziani Dandolo ePasqualigo scrissero il 20 agosto al doge da Torino: “…Dagli svizzeri si sente direche ieri sera si sono spostati verso Chivasso, territorio del Duca di Savoia ed avendogli negatoloro l’accesso in città, vi sono entrati con la forza senza risparmiare donne e bambini ed ucci-dendo più di 600 persone ed incendiando il luogo; una parte riuscì a fuggire…” 103.

La ferocia degli svizzeri seminò il terrore tra le popolazioni piemontesi alpunto che gli stessi autori di quella terribile rappresaglia, nelle loro lettere, am-misero che il saccheggio di Chivasso facilitò loro l’ingresso a Ivrea e a Vercelli,in quanto gli abitanti di queste due città, pur di non subire la stessa sorte dei chi-vassesi, aprirono le porte e lasciarono libero transito all’armata elvetica; comedire che, dopo tante difficoltà di rifornimenti, grazie all’uso della forza ora pote-vano disporre come volevano delle comunità attraversate, ripulendole di vetto-vaglie e ricchezze.

Come abbiamo visto in precedenza, il Borla scrisse che quando il re di Fran-cia venne a sapere del massacro, si dimostrò rammaricato e disponibile a versareun indennizzo alla sfortunata città; la Pubblica Credenza allora richiese il per-messo al duca di Savoia di poter andare a parlare al sovrano francese ma il ducaspecificò che avrebbero dovuto inoltrare la supplica a nome dei particolari e nondel pubblico, forse perché intendeva egli stesso ricevere un congruo risarcimentodei danni per il suo stato. Francesco I però non intendeva rimborsare ogni sin-golo cittadino chivassese e quindi la cosa, nel protrarsi delle dispendiose tratta-tive di pace con gli svizzeri, fu dimenticata. Nelle Reformazioni gli sforzi fatti dalConsiglio per ottenere quel rimborso compaiono più volte, a cominciare da quel

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102 Ibidem, f. 4.103 E. USTERI, Marignano, cit., pp. 327-328 e nota 38.

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la loro città da effettuarsi nel punto più favorevole della linea matrice.Si può quindi dire affermare che, grossomodo, le due linee nascano contem-

poraneamente.

La linea Torino-Novara

Infatti, in documento a stampa: “Strada ferrata da Torino per Vercelli a Novara”del 22 dicembre 1851, che tratta della costituenda Società anonima della stradaferrata da Torino a Novara e dei capitali stanziati per la costruzione della mede-sima, si legge sul retro una postilla manoscritta con cui i sottoscrittori di Ivrea siimpegnano all’acquisto delle azioni della ferrovia Torino–Novara a condizioneche l’attraversamento della Dora non avvenga a Saluggia, bensì a Mazzé, affin-ché “le due provincie del Canavese e d’Aosta” siano più vicine alla ferrovia 10.

Questo perché, nel primitivo progetto della tratta Torino – Novara la linea,dopo Chivasso avrebbe puntato in direzione di Cigliano (da cui sarebbe dovutapartire la diramazione per Ivrea) e Borgo d’Ale, con stazioni nei due centri e dilì avrebbe proseguito verso Santhià 11.

Il mese successivo, il “Comitato locale d’Ivrea” con rinnovata istanza del 5gennaio 1852 indirizzata al Comitato centrale promotore della strada ferrata daTorino per Vercelli e Novara, ribadisce che “il passaggio della Dora sia portatoa Mazzè e non a Saluggia”, nel qual caso, i sottoscrittori di Ivrea subordinerannol’acquisto delle azioni al passaggio della via ferrata per Cigliano e Borgo d’Ale 12.

Evidentemente, il progetto era in corso di revisione, poiché dalla lettera diWoodhouse del 27 febbraio 1852 al cav. Carbonazzi, Ispettore del Genio Civile,si legge che Woodhouse propone il passaggio diretto della linea da Saluggia-Li-vorno verso Santhià, in ossequio, forse, alla richiesta dei Chivassesi del 1851 (nonè precisato nel documento), con l’esclusione quindi di Borgo d’Ale e Cigliano, ab-breviando così la distanza complessiva di 3.460 m 13, con ovvia diminuzione dispesa.

L’idea di accorciare il percorso con la conseguente riduzione di costi vieneribadita ancora due giorni dopo con altra lettera di Woodhouse del 29 febbraio10 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/1, anno 1852: “Strada ferrata da Torinoper Vercelli a Novara”, 22 dicembre 1851.11 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 60.12 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/A.13 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart. 14/3.

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Page 34: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

disporre guardie notturne alle porte di san Francesco e della Ruta e sul campa-nile: “…Item ordinaverunt quam faciant custodiam de nocte supra campanile…” 100.

Erano tempi cupi e al di fuori della relativa sicurezza costituita da una cintamuraria la gente viveva nella costante paura di scorrerie e rapine; per i viaggia-tori che utilizzavano le poche strade agibili il rischio di venire assaliti da banditie malfattori era all’ordine del giorno. La strada che da Chivasso portava a Vercelliper lunghi tratti attraversava territori desolati, costellati di brughiere e boschi, edoveva essere un ricettacolo di malviventi ben agguerriti se ad un certo punto,nel novembre del 1515, il governatore di Vercelli, per debellarli, richiese dalle co-munità interessate diversi uomini armati e alla sola Chivasso “…ducentum hominespro captione dictorum bannitorum et malinolorum…”; il Consiglio rispose alla letterache non era possibile per la città allestire una simile spedizione, a causa dellagrande strage di uomini e la razzia di tutte le armi fatta dagli svizzeri. Inoltre fudeciso di mandare Bernardino dell’Isola a Torino per precisare presso la cameraducale “…de impossibilitate propter defonctus hominum occissorum in Clavaxio per Elvetioset quia nulla sunt arma ex quo fuerunt exportata per dictos Elvetios…” 101.

La triste conta dei morti e la loro frettolosa sepoltura era già stata fatta datempo ma nessun registro del tempo riportò il loro numero; data poi la man-canza dei libri parrocchiali fino all’ultimo quarto del XVI secolo, non abbiamoquindi alcuna stima credibile sul numero degli uccisi e, viste anche le notevoli di-scordanze dei testi, possiamo solo avanzare delle ipotesi. I 3.000 uomini, donnee bambini uccisi secondo il Florange sembrano troppi per una comunità pur po-polosa come Chivasso e il conto appare “caricato” apposta delle donne e deibambini per circondare gli svizzeri di un’aura ancora più brutale di quella già bennota ai contemporanei; il Borla non fa che riprendere la cifra data dal Giovio di1.400 “estinti sul campo” con la precisazione che si trattava in gran parte di com-battenti, capeggiati da quel Fabiano Bianchetti ucciso anche lui nel massacro; ilpavese Grumello parla invece chiaramente di 800 uomini. La cronaca bernesedal canto suo ammette che furono “trafitti brutalmente” 400 o 500 uomini e l’ag-ghiacciante resoconto dello Schwinkhart precisa che gli uccisi, in una caccia senzamisericordia, erano tutti uomini; questa, quindi, sembra la cifra più verosimileanche se , ovviamente, non possiamo essere certi né che gli svizzeri abbiano “gra-ziato” le donne e i bambini, né che possano avere avuto il tempo di contare imorti; nei loro rapporti dal campo sicuramente non esagerarono il pesante conto

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100 Ibidem, f. 5.101 Ibidem, f. 10. La richiesta del governatore di Vercelli e la risposta del consiglio chivassese sono con-tenute nel verbale del consiglio di sabato 3 novembre 1515.

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1852 sempre al cav. Carbonazzi, con cui l’ingegnere inglese dichiara di aderirealla deliberazione del Conseil del 28 febbraio 1852 e cioè di far transitare la lineadirettamente da Saluggia a Santhià, passando in prossimità di Livorno e Bianzè.

Con lettera datata Torino 9 marzo 1852, a firma Pietro Bosso, inviata dalComitato centrale promotore della strada ferrata Torino-Vercelli-Novara al sin-daco di Chivasso, si informa il primo cittadino chivassese della decisione di re-visione del tracciato che esclude il passaggio della linea da Cigliano e Borgo d’Alea favore di Saluggia, Livorno e Bianzè 14.

L’archivio comunale di Chivasso non ha conservato memorie relative alle va-rianti di tracciato della ferrovia Torino-Novara, infatti la documentazione più co-spicua, pur nella sua esiguità, è concentrata nell’anno 1856 e riguarda la trattaChivasso-Ivrea nei mesi che precedono l’approvazione da parte del Parlamentodel progetto di legge del 23 maggio 1856 che rende esecutiva la costruzione ditale linea.

Nella documentazione archivistica chivassese concernente la Torino-Novaranel periodo 1851-1855, essenzialmente verbali del Consiglio, oltre alle già citatecarte emanate dal Comitato promotore, emergono dati riguardanti, ad esempio,l’inserimento nel tessuto urbano sia della linea, sia della stazione, infatti la co-struzione dello scalo della ferrovia Torino-Novara nelle vicinanze della stradaper Ivrea condiziona la viabilità chivassese; perciò si avverte la necessità di “aprirealtrove l’accesso dall’abitato perché specialmente dal centro di esso si possa averquell’incremento di commercio che non s’ottiene senza le comunicazioni alloscalo”. Segue descrizione delle nuove strade, che sembrano essere le attuali viaItalia e via Siccardi 15.

Pochi mesi dopo, con delibera n. 33 del Consiglio comunale del 5 agosto1852, si precisa al Ministero dei LL.PP. che la stazione ferroviaria sia costruita nonlontano dal centro cittadino, “e nella maggior possibile prossimità dell’abitato”,secondo la volontà di molti cittadini, che sottoscrivono il documento, per favo-rire il commercio e le attività ad esso collegate. In allegato al verbale di Consiglio,una pregevolissima mappa topografica di Chivasso dell’epoca 16.

Non mancano problemi relativi a proteste di particolari espropriati dei ter-

14 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, doc.del 09.03.1852.15 ASCCh.:Verbali di Consiglio anno 1854, mazzo 727, fasc. 40, seduta del 12.06.1854, delibera n. 45, ff. 121r.-122 v.16 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/2, n. 3561; la mappa, disegnata dalmisuratore Giuseppe Actis, è datata Chivasso 9 agosto 1852.

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Page 35: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

castro fuerunt fere omnia exportata…” 94. La sottrazione dei beni dal castello, anchese non è certo che possa essere addebitata interamente agli svizzeri, fu accertataquando alla città fu concessa la custodia delle claves castri a seguito della codar-dia del castellano e comprovata da un inventario che il clavario e i consoli dellacittà fecero subito dopo 95; come ricordato dal Borla (puntualmente confermatodai documenti storici), dopo pochi mesi, nel dicembre di quell’anno, la cittàavrebbero rimesso la custodia delle chiavi del castello nelle mani del clavario du-cale, Giovanni Francesco Rapaluti 96.

Abbiamo già detto che il timore delle incursioni notturne all’interno dell’abi-tato, dopo la terribile notte passata dai superstiti a difendere le proprie case, fuuno dei primi problemi che il Consiglio della Credenza dovette affrontare all’in-domani del massacro; il 28 agosto 1515, constatando che le porte e i ponti di ac-cesso alla città erano completamente distrutti, si sollecitava l’intervento diAntonio Massazia, manutentore preposto alla loro ricostruzione: “…porte loci Cla-vaxij et ponti sunt fracte et fracti itaque non potest claudi locus clavaxij…solicitet Anthoniuseius freris qui habet manutenzione pontium…” 97. Chivasso era di fatto aperta a qual-siasi aggressione da parte delle molte bande di malfattori che vagavano nelle cam-pagne, alimentate dai soldati sbandati delle varie armate e la paura per la violenzasubita non poteva fare dormire sonni tranquilli ai sopravvissuti. Ancora il 17 set-tembre 1515 il Consiglio incaricava Gaspardo de Clerico e Pietro Pelloia 98 difare chiudere le molte brecce ancora presenti nelle mura causate dai cannoni sviz-zeri dalle quali potevano entrare in città i malintenzionati: “…menia loci Clavaxijsunt fracta in pluribus locum per elvetios ita quod facilliter ingredo possent multe persone maleque faceret possent multa malo in loco ipso…” 99. Nella stessa seduta fu ordinato di pre-

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94 Ibidem, f. 6, “Die lune XXIIIJ septembris”.95 Ibidem, f. 6, “Die lune XXIIIJ septembris”. In quel consiglio, infatti, il nobile Paganino Platis esibì le let-tere ducali inviate da Torino il giorno prima che autorizzavano il clavario e i consoli chivassesi “ de recteroteneant Claves Castri”. Gli stessi, dopo avere constatato la sparizione dei beni in esso contenuti, informa-rono il Consiglio che, prima di accettare la custodia delle chiavi del castello, decise di fare un inventariodi ciò che era rimasto al suo interno per poi finalmente “Quo inventario facto offerunt se paratos ipsis litteris obe-dire…”. Di questo inventario nei Conti delle Castellanie non c’è traccia in quanto risultano mancanti pro-prio gli anni 1514-1515. AST, Art 28, Inv. 777, Camerale Piemonte. Conti delle Castellanie, p. 157.96 Ibidem, f. 15, “Die XX dicembris”. “…Johannis Franciscus Rapaluti Clavarius Clavaxij pro illustris domino no-stro sabaudorum duci…presentate littere ducales pro custodia Castri Clavaxij…” “…Et egregius sindicus…offerens co-munitatis paratam remittes Claves…”.97 Ibidem, f. 4, “Die XXVIIJ augusti”.98 Si tratta del giovane Pietro Pelloia che, più tardi, sarebbe diventato ingegnere militare e del quale esi-stono, custoditi nell’Archivio di stato di Torino, diversi disegni di abile fattura. La figura di questo sco-nosciuto personaggio chivassese sarà oggetto di un prossimo studio.99 Ibidem, f. 5, “Die XVIJ septembris”.

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reni per la costruzione della Torino-Novara contro l’impresa che non rispetta nél’importo delle somme pattuite, né gli interessi promessi 17.

A tale proposito, si cita una carta manoscritta non datata in cui si legge che“martedì 17 maggio 1853 il sig. Woodhouse si troverà in città <Chivasso> alleore 9 del mattino e alle ore 3 vespertine per pagare il prezzo dei terreni ceduti perla ferrovia da Torino a Novara” per cui si invitano i proprietari in elenco a pre-senziare con “i titoli in forza dei quali sono proprietari” 18.

Occorre anche ricordare che in questi stessi anni si pensa seriamente alla co-struzione di un ponte in muratura sul Po, per rendere più efficienti e veloci i col-legamenti stradali tra Chivasso e i Comuni della collina, in previsione dei grandibenefici economici apportati dalla ferrovia 19.

Collegamento con Ivrea attraverso Cigliano e Borgo d’Ale

Il Woodhouse tuttavia, attraverso la diramazione per Ivrea non trascura l’ef-fettiva fattibilità di un collegamento ferroviario per servire ugualmente i due cen-tri di Cigliano e Borgo d’Ale, nonostante la variazione di percorsoSaluggia–Livorno, ponendo però alcune condizioni:- che la Compagnia della ferrovia Torino – Novara costruisca a proprie spese iprimi 9 km della diramazione stessa, che, partendo da un qualche punto dellalinea, da individuarsi a Chivasso o tra Chivasso e Livorno, si diriga appunto versoIvrea;- che tale linea sia approvata dal Governo;- che sia regolarmente istituita una Compagnia con i mezzi di iniziarla e termi-narla, salvo i 9 km a carico della Compagnia ferroviaria di Novara fino alla cittàd’Ivrea;- che la Compagnia di Novara abbia parte nella direzione e amministrazione nellaferrovia per Ivrea e partecipi ai benefici di questa linea in proporzione al capitaleimpiegato nella costruzione dei 9 km 20.17 ASCCh.:Verbali di Consiglio anno 1855, mazzo 727, fasc. 1, seduta del 14. 06.1855, delibera n. 15, f. 35 r.18 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 2: Scritture riguardanti la ferrovia Torino-Novara.19 ASCCh.:Verbali di Consiglio anno 1854, mazzo 727, fasc. 40, seduta del 17.06.1854, delibera n. 50, ff. 131r. – 132 v.: delibera per la costruzione di un ponte in muratura sul fiume Po, stanziate £. 130.000 per ese-guire il progetto del sig. Felice Barbero; ASCCh.: Verbali di Consiglio 1855-1856, mazzo 727, fasc. 41, se-duta del 31.05.1855, delibera n. 6, f. 12 r. – 16 v.; delibera n. 7, f. 17 r – 19 v.; seduta del 21.09.1855,delibera n. 29, f. 71 r., ss.20 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/3. La circolare a stampa n. 1 emessa

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Page 36: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

ad restitutionem eas mediantis permissij exbursatum…” 89; dello stesso tenore erano lelettere marchionali che furono presentate dopo quelle ducali e al Consiglio nonrestava che nominare gli uomini che sarebbero dovuto andare a Ivrea e nel Mon-ferrato per fare valere le ragioni della comunità chivassese: “…eligimus nobilis Ja-cobini Ballioti qui vadat Ipporegium et ad alia loca oportuna…et Johanetus Collam cum litterismarchionalibus…” 90. La delicata questione si sarebbe protratta, in interminabilidiscussioni e innumerevoli discordie tra le comunità, tanto a lungo che il 24 set-tembre 1515, il Consiglio, forse per timore di non riuscire a spuntare le sue ra-gioni, si chiedeva se non fosse il caso di ottenere una bolla papale “…contradetinentes bona exportata per Elvetios aut per alias personas…” 91 e, successivamente, il3 di novembre ordinava al tesoriere Francesco Planta di procedere al pagamentodelle autorizzazioni necessarie “Ordina quam dictis tesauraris exburset permessa pro ob-tinendo conquestum papale contra detinentis bona rapta in excessu facto per Elvetios…” 92.

Al di là del tremendo impatto che la perdita di tante vite umane aveva infertoalla popolazione, sia sul piano psicologico che su quello puramente demografico(come è stato ricordato precedentemente e confermato dalle fonti, i morti eranoper la maggior parte maschi adulti e capi di casa), i danni materiali conseguential saccheggio furono incalcolabili. Il bottino sottratto dagli svizzeri, soprattuttonelle botteghe dei ricchi mercanti chivassesi, era ingente ma i tentativi di recupe-rarlo almeno in parte risultarono talmente difficili che, due mesi dopo la propo-sta di richiedere l’aiuto papale, il 24 novembre, nel Consiglio si discuteva ancorasui tempi e i modi per rientrare in possesso della “…Bona mobilia hominum Clava-xij furto subtracta per Elvetios et dismissa in civitate Ipporegium…” 93.

La furia degli svizzeri non aveva risparmiato nemmeno il castello dove eranostati rinchiusi i loro compagni catturati alla locanda della Cerva; nonostante que-sto fosse fortificato a sufficienza per reggere ad un assalto, l’ordine dato alla guar-nigione dal castellano di non apprestarsi alla sua difesa e di ritirarsi nella torremaggiore (ovvero il maschio) aveva lasciato mano libera ai fanti elvetici. Questi,dopo aver liberato i prigionieri che, probabilmente, erano stati incatenati in unadelle torri del recinto esterno del castello, si dedicarono al saccheggio di tuttoquanto ci poteva essere di asportabile come sembrerebbe confermare un passodelle Reformazioni in cui si accenna chiaramente ai “…Bona mobilia exsistentis in

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89 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 5, “Die lune tercia septembris”.90 Ibidem, f. 5.91 Ibidem, f. 6, “Die lune XXIIIJ septembris”.92 Ibidem, f. 9, “Die sabati tertia novembris”.93 Ibidem, f. 12, “Die XXIIIJ novembris”.

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Già nel tracciato originario della linea Torino–Novara compariva la stazionedi Chivasso e ne prevedeva altre, come si è visto, a Cigliano, Borgo d’Ale, San-thià, S. Germano e Vercelli.

La concreta possibilità di collegamento tra Ivrea e una stazione ancora dadefinirsi sulla Torino–Novara, stimola la creazione di un “Comitato stabilitosi adIvrea onde promuovere il concorso all’apertura della strada ferrata da Torino a Novara”; taleComitato, inoltra una richiesta alla sede della Compagnia della Torino–Novarauna richiesta datata 9 marzo 1852, esattamente nello stesso giorno in cui per-viene a Chivasso, come si è visto poc’anzi, l’informazione riguardante il cambia-mento di tracciato della linea da Cigliano a Saluggia, con la seguente proposta:considerato che nel progetto della costruenda linea Torino–Novara passante perChivasso, Cigliano, Borgo d’Ale, Santhià, S. Germano e Vercelli, è dubbio se at-traversare la Dora a Saluggia oppure in un punto fra Rondissone e Mazzè, il Co-mitato eporediese propone al Parlamento Nazionale due osservazioni:

1. “Quale sia la linea che presenti maggior economia”;2. “Quale quella che attraversi un centro di popolazione atto a renderla piùproficua”.

Il Comitato ritiene che sia da preferirsi il passaggio del fiume a Mazzè per unaserie di validi e comprovati motivi, derivanti dalla miglior natura geologica del ter-ritorio e “dal minor numero di opere d’arte a costruirsi”, nonché una differenzatrascurabile di lunghezza del tracciato. Il ponte sulla Dora a Mazzè sarebbe diminor costo, perché più corto e meno abbisognevole di manutenzione in quantopoggerebbe su argini solidissimi senza necessità di rinforzi.

Inoltre, la scelta di Borgo d’Ale “già invariabilmente determinato pel passag-gio della strada ferrata, trovandosi precisamente sulla linea di Mazzè”, abbrevie-rebbe il percorso che non attraverso Saluggia, che sarebbe anche più costoso,considerando che i terreni in quella zona sono ricchi di canali irrigui.

Innegabili poi i vantaggi commerciali per il Canavese e la Val d’Aosta con ilpassaggio da Mazzè, visto anche il gran numero di popolazione del territorio.

Passando per Saluggia, invece si privilegerebbe il Monferrato, però moltomeno popoloso.

“La provincia d’Ivrea e quella d’Aosta per migliorare la condizione dei loro

dalla Regia Intendenza Generale della divisione amministrativa di Ivrea, datata Ivrea 8 aprile 1852, afirma Santi, preso atto che il percorso della Torino-Novara è stato modificato a favore dei centri di Sa-luggia – Livorno – Santhià, anziché attraverso Cigliano e Borgo d’Ale come previsto nel progetto origi-nario, spiega che i nove km a carico della Società della Torino-Novara vincolano l’inizio della linea aChivasso: ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 3.

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Il risveglio dopo l’apocalisse

Sazio di sangue e carico di bottino l’esercito svizzero, inseguito ormai solodall’ira divina e dalle maledizioni dei chivassesi, anziché rimettersi in marcia versoVercelli e il ducato di Milano, cambiò direzione e prese la strada di Ivrea; il cam-bio d’itinerario, probabilmente, fu dettato non solo dal tentativo di evitare l’in-seguimento francese ma anche dal fatto che i dissidi interni alle truppe riguardoalla pace con la Francia erano sempre più forti e spingevano gran parte dei con-tingenti a voler ritornare subito in patria attraverso il passo del Gran San Ber-nardo. Gli abitanti di Ivrea, come già accennato precedentemente, avuta notiziadel massacro di Chivasso, aprirono le porte della loro città lasciando che gli sviz-zeri vi sostassero alcuni giorni e non disdegnarono di fare affari con loro com-prando parte dell’immenso bottino che questi si erano trascinati dietro; i benidei chivassesi furono così esposti nelle botteghe eporediesi o scambiati tra variacquirenti della zona e la voce di quel vergognoso mercato arrivò ben presto aChivasso.

I chivassesi superstiti, però, prima di pensare a come rientrare in possessodelle loro cose avevano alcuni problemi più urgenti da risolvere, tra i quali quellodell’ordine pubblico. La popolazione maschile era stata talmente decimata chenon si riuscì ad abbozzare una difesa organizzata, la notte seguente all’eccidio, al-l’assalto degli sciacalli, elegantemente definiti dal Borla con il termine di forestieri;questi gruppi di malfattori e derelitti provenienti dalle campagne, approfittandodel fatto che le porte nelle mura erano divelte e molte case incustodite per lamorte o la fuga dei proprietari, si introdussero in città e terminarono l’opera disaccheggio iniziata dagli svizzeri. Secondo il Borla il fenomeno fu presto stron-cato dal vicario ducale, che ordinò di restituire il maltolto non prima di aver lorosomministrato pene esemplari, ma contribuì a disperdere ulteriormente i benidei chivassesi nelle terre vicine. Il Consiglio della Credenza, per difendersi daquell’orda di miserabili e tentare di recuperare qualcosa, richiese l’intervento siadel duca di Savoia (per punire i cittadini di Ivrea) che del marchese di Monfer-rato (dal momento che probabilmente la rapina era avvenuta ad opera di queimonferrini che si erano introdotti in città durante o dopo il saccheggio svizzero);entrambi emanarono lettere contro i colpevoli, costringendoli a restituire quantoera stato sottratto ai chivassesi. Il 3 settembre 1515 il credenziere Paganino dePlatis ritornava da Torino con le lettere ducali “…compulsorias contra illos de Ippore-gium et districtu ut aliorum locorum qui emerunt de merchancijs et rebus hominum Clavaxij

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abitanti industriali, non hanno altra speranza che nell’apertura della strada delGran S. Bernardo e sul tronco ch’era ferrato per Mazzè a cui accederebbero permezzo dello stradale provinciale attualmente in corso, solidissimo pella natura delsuolo e col tempo anche sulla costruzione di strada ferrata di facile esecuzioneche attraverserebbe la provincia nel suo centro” 21.

A seguito di tale richiesta del Comitato eporediese, risponde l’ing. Woo-dhouse con relazione manoscritta datata Torino 18 marzo 1852: Breve rapportosopra la linea migliore di congiunzione fra la Ferrovia di Torino a Novara, e la città d’Ivrea.

In essa si prospetta già l’ipotesi di far iniziare il tracciato per Ivrea da Chi-vasso.

Esaminato il territorio, il Woodhouse infatti riferisce che “le pendenze piùvantaggiose si otterranno passando a traverso la Catena a ponente di Mazzè (abreve distanza da quel luogo) dal lato orientale del lago di Candia; e da colà, vi-cino a Strambino per Ivrea.

Se questa direzione sarà prescelta, il tronco potrà partirsi dalla linea matriceo a Chivasso o a Torrazza. Sono indotto a credere che il primo punto sarebbe ilmigliore, poiché, per quanto sia il mezzo km in meno a fare, andando a Torrazzaquesti aumenterebbe la distanza da Torino di 5 km. Si può giustamente arguire,però, che da Torrazza è migliore per il traffico verso levante.

L’altra linea si staccherebbe dalla linea matrice presso Livorno ed andrebbediscretamente dritta ad un punto fra Alice e Borgo d’Alice e sulla linea di ciò chechiamasi la Dora Morta, per un passo basso della catena di colline, al capo dellago di Viverone. Seguirebbe il lato meridionale di questo fino alle vicinanze diAzeglio e passerebbe quindi per uno dei due lati di quel luogo, essendo ivi ilpaese favorevole alla costruzione di una ferrovia per Ivrea. Senza fare una peri-zia pretendere non posso di dire quali pendenze possano ottenersi da Borgod’Alice al lago di Viverone. Tutte la altre parti, però, di quella linea, sono moltofacili. La lunghezza di questa linea, da Livorno ad Ivrea sarebbe di circa 29 km;la linea da Torrazza per ad Ivrea per Mazzè di circa 29 km e mezzo; e da Chi-vasso ad Ivrea 31 km”.

Woodhouse valuta il prezzo delle tre linee “in cifra da 110.000 a 115.000franchi, escluso il materiale mobile”. Prima di pronunciarsi, però il Woodhousepreferirebbe svolgere studi più precisi 22.21 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/3.22 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/3; ASCIv., Lavori pubblici, serie III,mazzo 1273, fasc. 1: Cahier des charges pour la construction d’une route del fer de la ligne de Turin à Novare près Chi-vasso à Ivrea, datata Torino 7 ottobre 1852 a firma Thomas Woodhouse.

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i cittadini li catturarono e volendo giustiziarli li rinchiusero in prigione. Però uno di loro riu-scì a fuggire e corse in tutta fretta dai confederati, lamentandosi della situazione; allora [l’ar-mata] si mosse con tutto l’equipaggiamento contro Chivasso. La città fu chiusa di propositoper impedire loro l’ingresso, così i confederati la assediarono tirando [con l’artiglieria] tantointensamente che la presero in due ore; anche i cittadini tirarono dalla città con pietre e frecce,ferendo diversi confederati.Dopo la conquista successe la grande tragedia: tutti gli uomini che caddero nelle mani dei con-federati furono uccisi di fronte alle loro mogli e ai loro figli. La città si riempì così di grida epianti. Nessuno fu risparmiato, né per la sua età né per la sua occupazione o altro: dovetteromorire tutti. Diedero loro la caccia dappertutto, nelle strade della città, sui tetti e nei luoghi piùnascosti, cosicchè c’erano morti ovunque, uccisi per mano dei confederati.C’erano tuttavia in città alcuni dei confederati che avrebbero impedito volentieri tutto questo.Ma non servì a niente, così si allontanarono e lasciarono che gli altri si spingessero fino infondo nei loro propositi. Però tutti quei pianti di donne e bambini spinsero alcuni confederatia dire tra le lacrime: - Oh Dio, sia sempre lodato il suo nome, se la buona Confederazione hasempre protetto donne e bambini, cosa siamo mai diventati oggi che facciamo soltanto vedove eorfani? Se già commettiamo queste cose in nome del duca di Milano, cosa saremmo capaci difare per l’interesse della stessa Confederazione?- Altri dicevano: - Dio non lascerà senza ven-detta un’ingiustizia simile- ( Tralascio per brevità questo lamento e molto altro ancora sebbenedovrei chiarire meglio però mi dilungherei troppo e non ho più tempo).Dopo tutto questo furono stimati a 500 i morti e gli uccisi dai confederati ma il duca di Sa-voia scrisse, accusando la Confederazione che in Chivasso, da come aveva sentito dire da per-sone bene informate, gli erano stati uccisi 1.500 uomini. Ecco cosa succede quando si dàimportanza al popolo e questo diventa padrone.Quando ormai tutto era finito i confederati si dispersero fuori dalla città disponendosi in or-dine [di marcia] su una grande brughiera. Era una bella giornata, con sole e poche nuvole main meno di mezz’ora venne una tempesta così violenta e con grandine così grossa come nessunone aveva mai vista. I chicchi di grandine erano talmente grossi e colpivano i fanti così forte cheessi dovettero marciare con le armature sulle loro teste perché dove la grandine li colpiva cau-sava loro grossi lividi e gonfiori. Per giunta [insieme alla grandine c’erano] tuoni e fulminiin proporzioni tali che i confederati temettero di dover morire quel giorno stesso. Alcuni pen-sarono che Dio li volesse punire per le cattive azioni che avevano commesso a Chivasso. La tem-pesta durò quasi un’ora e mezza e rimase su di loro per mezzo miglio, lungo il cammino.Così si comportavano i confederati in quel tempo, in Piemonte, nei confronti della povera genteche non aveva fatto loro niente di male, come è stato sopra descritto” 88.

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88 L. SCHWINKHART, Chronik, cit., pp.162-164. Le indicazioni biografiche sullo Schwinkhart sonoestratte dal commento all’opera, digitalizzata a cura dell’università di Berna nell’ambito del progetto in-ternet DigiBern (www.digibern.ch).

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Il giorno precedente la risposta di Woodhouse, una carta manoscritta datataChivasso 17 marzo 1852, riferisce che “nell’adunanza d’oggi degli azionisti si èdeliberato di esprimere l’adesione alla linea della ferrovia Torino-Novara per Chi-vasso, Saluggia e Livorno e l’opinione che non possa essere utile prendere inge-renza nella diramazione di un tronco per Ivrea dovendosi per le immense speseconsiderare come passiva quella impresa” 23. Dal tenore del testo, sembra di ca-pire che agli azionisti chivassesi non stesse particolarmente a cuore la realizza-zione della ferrovia per Ivrea, apparentemente contrari per i costi i elevati.

La carenza di documentazione non permette l’approfondimento della que-stione.

In ogni caso, la fattibilità del tronco di collegamento tra Ivrea e la Torino-No-vara, diventa concreta per effetto di un Regio Decreto del 23 aprile 1852, con cuisi convocano i Consigli provinciali straordinari di Ivrea e Aosta, per “provve-dere alla costruzione di un tronco di strada ferrata che, partendo dal capoluogodella divisione stessa <Ivrea>, venga ad incontrare nelle vicinanze di Chivassola ferrovia a costrursi da Novara alla capitale del Regno” 24.

Anche nel Consiglio provinciale tenutosi ad Ivrea il 5 maggio 1852, si ap-prova la diramazione della nuova tratta dalla Torino-Novara con capolinea “nellevicinanze di Chivasso” 25.

Si ribadisce ancora la scelta di Chivasso come punto di partenza della ferro-via, auspicando che la connessione con la Torino-Novara “avvenga in un postoove vi sia già una stazione di importanza ed una grossa e popolosa borgata comesarebbe appunto Chivasso”, in una carta anch’essa datata Torino 5 maggio 1852,indirizzata all’Intendente Generale d’Ivrea, in cui, tra l’altro, si ritrova un ele-mento già emerso in alcune delibere del Consiglio comunale di Chivasso, e cioèche la scelta del sito “tanto più può influire sul buon esito della linea in que-stione, quanto che quivi verrà a terminare la strada provinciale ordinaria che sista costruendo da Asti al Po in continuazione di quella d’Ivrea, che è già il divi-samento e trattative aperte per la costruzione di un ponte sul Po” 26.

Tornando alle aspettative degli Eporediesi di ottenere il ponte sulla Dora a

23 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta. Ildoc. serve come delega “ai sigg.ri Masera sindaco e Crosa Saverio avvocato presidente del Comitato lo-cale e rappresentante degli azionisti di Chivasso nella adunanza generale che avrà luogo il 30 correntemarzo a Torino per la costituzione della Società”.24 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 2.25 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 2.26 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 2.

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dei suoi connazionali. Si chiamava Ludwig Schwinkhart ed apparteneva ad unafamiglia bernese in vista, i cui membri facevano parte del Rat (Parlamento) dellacittà; partecipò alle campagne d’Italia tra il 1513 e il 1515, combattendo a Novarae seguendo l’esercito confederato fino alla pace di Gallarate, dopo la quale ri-tornò in patria con il contingente bernese senza prendere parte alla battaglia diMarignano. Tra il 1519 e il 1521 scrisse una cronaca degli anni dal 1507 al 1521,dove condannava gli orrori e le ingiustizie delle guerre da lui vissute in primapersona, predicando la pace; ciononostante le simpatie per i francesi lo portarononel 1522 a tornare in Italia tra le file dei bernesi alleati del re di Francia per com-battere contro l’imperatore, trovando la morte nella battaglia della Bicocca. La te-stimonianza dello Schwinkhart è importante in quanto raccontata in “presadiretta”; mentre le origini della vicenda (l’agguato all’avanguardia svizzera, la suacattura e la successiva liberazione dei prigionieri) vengono trattate molto succin-tamente e con alcune differenze dalle altre cronache, il sacco di Chivasso vienenarrato con una tale drammaticità da far pensare che il vero scopo dell’autorefosse di mettere in risalto gli eccessi di cui si macchiarono i suoi compatrioti du-rante quella campagna di guerra e giustificare, così, l’inevitabile punizione divinache li avrebbe colpiti successivamente, prima con un “avvertimento” naturale (lagrandine) poi con la terribile “vendetta” di Marignano. Il presagio della futura finedei sogni di potenza della Confederazione elvetica a causa dell’avidità e della vio-lenza dei suoi soldati permea tutta l’opera dello Schwinkhart, al punto da costi-tuire la nemesi stessa del suo autore e di molti altri confederati, spettatori eresponsabili del massacro di Chivasso; l’espiazione di tutte le colpe avverrà, in-fatti, per alcuni su un campo di battaglia in Lombardia, per altri su una forca inpatria.

Il titolo del capitolo dedicato al sacco della città, “Della grande disgrazia successaa Chivasso e della grande tempesta”, segue ad un lungo discorso dell’autore sulle ne-fandezze commesse dagli svizzeri in Piemonte e contiene già, nelle parole, quelcarico di senso di colpa ed inevitabile sventura che porterà l’autore ad interrogarela propria coscienza nella convinzione di doverne, prima o poi, renderne contoa Dio.“Dal tutto derivò un grande dolore ed un grande spargimento di sangue anche in Piemonte, nellacittà chiamata Chivasso; e ciò accadde nel modo che verrà descritto di seguito. Dodici uominidei confederati precedettero l’esercito in questa città, forse in cerca di bottino o di alloggio. Eranoormai giunti in città quando i cittadini intervennero con l’intenzione di prenderli prigionieri.Così [i confederati] si ritirarono in una casa fuori città e si difesero in modo che i cittadini,che non erano in grado di vincerli, appiccarono il fuoco alla casa costringendo i dodici ad uscire;

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Mazzè, sono destinate a restare deluse, perché il progetto Woodhouse della fer-rovia Torino – Novara nella fase finale, con ponte sulla Dora Baltea a Saluggia epercorso tra Livorno e Bianzè, viene approvato dal Parlamento l’11 luglio 1852(art. 61) 27.

Livorno o Chivasso?

La proposta di far partire da Livorno, in alternativa a Chivasso, la tratta perIvrea, suscita immediatamente vivaci reazioni in ambito chivassese 28, però pre-sto sopite dall’altro progetto Woodhouse che, come si è detto, prevede il passag-gio della ferrovia a Mazzè e Strambino, con capolinea a Chivasso 29.

Intanto, oltre al tracciato del Woodhouse, si propongono percorsi alternativia Mazzè: il progetto dell’ing. Ferraris, infatti prevede il passaggio del treno a Mon-tanaro, Foglizzo, Scarmagno, Perosa, Pavone, infine Ivrea 30; il progetto Co-motto–Peyron a Caluso, facendo ovviamente salvo l’inizio della linea a Chivassoin entrambe le soluzioni; nel progetto Peyron–Comotto, in particolare, la lineadovrebbe correre parallela alla strada per Caluso e ad est di essa 31.

Il progetto Ferraris in un primo momento fu preferito al progetto Woo-dhouse 32, ma il ministro dei LL.PP. optò definitivamente per quello dell’inge-gnere britannico, con nota del 3 agosto 1853 33.27 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, copiaa stampa del progetto di legge presentato dal Ministro dei LL. PP. Paleocapa alla Camera dei Deputatinella tornata del 23 maggio 1856, sessione 1855, n° 98, relativo alla concessione della strada ferrata daChivasso ad Ivrea, p.1. La pubblicazione consta di 19 pp.28 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, Il Co-mune nel rispettivo Consiglio delegato…, doc. ms s.d., indirizzato all’ Ill.mo Signor Ministro dei Lavori.29 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 1: Progetto d’una strada ferrata che da Ivrea sicongiunga con quella da Torino a Novara, foglio datato Torino 26.03.1853 indirizzato al ministro dei LL. PP.a firma Giulio; relazione s.d. della Regia Intendenza generale della divisione amministrativa di Ivrea: Pro-getto Ing. Vaudous (sic): “diramandosi presso Chivasso, tenderebbe ad Ivrea quasi in linea retta, scorrendopresso Mazzè e Strambino”.30 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/1: Progetto d’una strada ferrata che da Ivreasi congiunga con quella da Torino a Novara, foglio datato Torino 26.03.1853 indirizzato al ministro dei LL. PP.a firma Giulio; relazione s.d. della Regia Intendenza generale della divisione amministrativa di Ivrea: Pro-getto Ing. Ferraris, inizio da Chivasso, “lambirebbe gli abitati di Montanaro e Foglizzo ed avvicinatosi aS. Giorgio si dirigerebbe verso Ivrea per Scarmagno, Perosa e Pavone”.31 ASCIv., Lavori pubblici, serie III, mazzo 1273, fasc. 1: Carteggio Peyron – Comotto.32 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/1, lettera datata Torino 7 dicembre1852, a firma Giulio, indirizzata al Ministro.33 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/3.

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Page 40: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

appiccati, figura solo nelle cronache locali; gli altri cronisti, tra i quali lo stesso Flo-range, affermano invece che il saccheggio fu fermato solo quando, su suggeri-mento dei legati milanesi e papali che accompagnavano l’esercito elvetico, alcardinale venne fatto notare che non si doveva rischiare di rimanere intrappolatidentro le mura di Chivasso circondati dai francesi ma piuttosto tentare di affron-tarli in campo aperto. Le cronache friburghesi ci dicono che gli svizzeri, ancorapervasi dall’eccitazione del combattimento, uscirono dalla città e attraversaronola brughiera fuori le mura divisi in due colonne molto distanti tra loro al puntoche, quando la cavalleria francese caracollò nel mezzo (manovra confermata dalFlorange), le due schiere si misero in ordine di battaglia ma accecate dal furoresi sarebbero scagliate l’una contro l’altra se alcuni capitani, accortisi dell’errore,non avessero immediatamente sedato gli animi; subito dopo, sempre secondo lecronache, da un cielo sereno si scatenarono tuoni e fulmini e “…cadde una gran-dine spaventosa con chicchi grossi come noci e uova che ci terrorizzò più dei nemici…”. Ci fuchi vide in quel fenomeno naturale la collera di Dio per ciò era stato commessoa Chivasso quel giorno 85.

L’impressione tra i contemporanei fu grande e il massacro venne descritto danumerosi cronisti, italiani, francesi e tedeschi. Alcuni, come il Grumello, il Flo-range, il Giovio e l’Anshelm, ne parlarono con dovizia di particolari e infatti i loroscritti ci hanno permesso di ricostruire la vicenda con nuovi contributi, spessosconosciuti; molti altri si limitarono a brevi citazioni, come il Machaneus che de-finì la triste sorte della città de clade Clavaxina 86 o il Tegerfeld che riprese quantogià narrato da altri, insistendo sul castigo divino che avrebbe segnato il destinodella Confederazione: “In statione quedam grando venit super eos, ut desuper haberent si-gnum ultionis future” 87.

Ma c’è ancora una voce da ascoltare per chiudere il racconto di quella terri-bile giornata; la voce di un testimone oculare che assistette al saccheggio e chelo narrò senza risparmiare i particolari più toccanti e le tremende responsabilità

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85 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 108, “…Got woollen sie um den ruhen grimmen, zu Tschawats began-gen strafen”. Anche in J.MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 449, “Immédiatement aprés, par un ciel serein, le ton-nerre gronda, il tomba une grosse grèle; la terreur fut générale, on reconnut la colère de Dieu condamnant l’attentat commisà Chivasso” e nota 154, “Il tomba des grèlons comme des noix, et meme de plus gros encore, qui ne nous causèrent pasmoins d’effroi que les ennemis”. L’autore, citando le fonti friburghesi, aggiunge che la campagna ne fu rico-perta al punto che, durante la sosta notturna intorno a Masino, i soldati raccolsero negli elmi la grandineper procurarsi l’acqua per cucinare.86 “La rovina chivassese”, DOMINICUS MACHANEUS, Epitomae Historiae 9 Ducum Sabaudorum, col.822. In Historiae Patriae Monumenta n° 3, a cura di Domenico Casimiro Promis, Torino 1840.87 “ Erano in quel luogo (Chivasso) quando la grandine cadde su di loro affinchè avessero un segno dal-l’alto del futuro castigo”, ANTON TEGERFELD VON MELLINGEN, Chronik 1502-1525, p. 264.

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Scartata una variante con il passaggio da S. Giorgio 34 a vantaggio di Mazzè,il 14 ottobre 1853 si costituì una Società anonima per la costruzione della tratta.

L’anno successivo, il tracciato fu di nuovo rivisto e definitivamente fatto pas-sare per Caluso, in seguito alla ricognizione sul territorio e relativa relazione delloSpurgazzi, secondo la quale, a differenza del progetto Woodhouse, l’andamentodella linea in tale direzione sarebbe stato più funzionale e vantaggioso dal puntodi vista commerciale 35. La posizione della stazione di Caluso, ad un km da que-sto luogo e a due e mezzo da Mazzè avrebbe risolto in modo più o meno “salo-monico” l’utilizzo del treno da parte dei due centri 36.

Con Regio Decreto del 24 aprile 1854 si autorizzò il funzionamento dellaSocietà. Dopo altre vicissitudini, che fecero ripensare sia ad un nuovo tracciatoIvrea – Livorno a cura dell’ing. Melchioni, poi scartato 37, sia al vecchio progettoWoodhouse da Chivasso per Mazzè – Strambino ad Ivrea, nel 1856, ormai allavigilia dell’avvio dei lavori, una nuova linea Ivrea – Livorno studiata dall’ing.Guallini, più breve ed economica di quella per Mazzè, incontrava il favore dellaSocietà ferroviaria Torino–Novara 38, scatenando polemiche e vive reazioni so-prattutto a Chivasso, come attestano documenti conservati in archivio comu-nale.

La scelta definitiva di Chivasso capolinea

Infatti, una carta manoscritta non firmata nè datata, ma verosimilmente, perla questione trattata, del 1856, indirizzata all’Ill.mo Sig. Ministro dei LL. PP. ri-guarda l’assoluta necessità di stabilire il terminale per Ivrea a Chivasso e non aLivorno Piemonte, cioè, come si esprime il documento, sulla riva destra della34 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/1, lettera della Regia Intendenza Ge-nerale datata Ivrea 19 maggio 1852, a firma Santi, con cui si consegna al Ministro dei LL.PP. la documen-tazione dei Consigli provinciali straordinari riunitisi il 15 maggio 1852. Si menzionano progetti stilati da“distinti ingegneri” che, facendo iniziare la linea da Chivasso in ogni caso, una arriverebbe ad Ivrea, pas-sando per Caluso, Mazzè, Strambino; l’altra “toccherebbe S.Giorgio” e, attraverso la collina, giungerebbeanch’essa ad Ivrea. Si invita il Ministro ad approvare la Società per azioni che preferisce il tracciato perCaluso-Mazzè, del costo di un milione di lire, poiché non si conosce l’ammontare della spesa della va-riante per S.Giorgio.35 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 62; ASCIv., Lavori pubblici, serie III, mazzo 1273, fasc. 1:Relazione Spurgazzi.36 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 63.37 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 64.38 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 64.

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dell’Isola riassumeva i termini della querela che i rappresentanti della città avreb-bero dovuto, due mesi dopo l’eccidio, portare davanti al loro duca per ottenereil risarcimento dei danni patiti: “…Primo de invaxionibus stratarum per aliquos ex cla-vaxibus, de insultu facto ad cervam versus Elvetios, de prohibitione facta ne reciperetur Elve-tij gratiosse in Clavaxio, de prohibitione facta per Castellanum…bono et exeundi homines, demalo… ipsus qui se retraxit in turri et prohibuit ne quis faceret deffensio in castro, de inva-xione domorum derelictarum nocte sequenti, de mercede retenta…” 82. Davanti a simili ac-cuse si può solo affermare, a difesa dello sciagurato personaggio, che l’azionepunitiva degli svizzeri fu talmente rapida e operata da un numero così preponde-rante di uomini che avrebbe comunque spazzato via ogni reazione organizzata daparte dei difensori, molto inferiori numericamente. La ferocia (sperimentata piùvolte nelle campagne d’Italia) con cui gli svizzeri si aprirono la strada tra le casealla ricerca di vittime per le loro spade e, soprattutto di bottino a buon mercato,dovette paralizzare qualsiasi resistenza anche da parte dei pochi soldati addestratidi guarnigione che, atterriti , preferirono salvare la pelle rinchiudendosi nel ma-schio difendibile del castello lasciando la popolazione, che pure doveva aver cer-cato rifugio tra le sue mura, senza scampo.

Eppure qualcuno combattè strenuamente, come quel Fabiano Bianchetti de-finito dal Borla capitano dei chivassesi, infliggendo perdite anche agli assalitori:“…e considerabile fu altresì la perdita per parte degli elvetici, oltre alla grande moltitudine diferiti, per la qual cosa esacerbatosi sempre più il cardinale spettatore della funesta tragedia, or-dinò il saccomano e successivamente l’incendio di tutte le case…” 83. La conferma di que-ste affermazioni del Borla riguardo alle perdite subite dagli svizzeri non solo laritroveremo, più avanti, in una drammatica testimonianza bernese ( che parla dimolti “feriti”) ma la leggiamo anche in un passo delle Reformazioni del primoottobre 1515, quando si ordinò di pagare agli interratori che già avevano lavoratoa seppellire le spoglie dei chivassesi un supplemento per il lavoro extra che ave-vano richiesto quelle degli elvetici: “…habeat grossos sex pro supplemento solventis se-pulture elvetiorum…” 84.

L’aiuto francese, come abbiamo visto, arrivò troppo tardi perchè mentre lacavalleria del re si stava avvicinando a Chivasso, gli svizzeri avevano già fatto bat-tere i tamburi per radunare le truppe ed evacuare in tutta fretta la città. La sto-ria, raccontata dal Borla, del feroce cardinale Schiner che viene ammansito dallesuppliche dei frati di San Bernardino e quindi ordina di spegnere gli incendi già

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82 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 7, “Die lune XV octobris”.83 BRT, Stp 579, Memorie, cit., p. 359.84 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 7, “Die lune prima octobris”.

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Dora Baltea, in quanto maggiormente popolata 39.I più vivi oppositori della linea da Livorno ad Ivrea sono gli imprenditori del

ferro della Valle d’Aosta “che intendono protestare legalmente contro il ramosopra Livorno” e intendono costituire un consorzio “per comporre un vistosocapitale in obbligazioni al fine di facilitare il progetto più ovvio di una sentita in-declinabile utilità per l’intera vallata”. Si chiede pertanto l’intervento del sovranonella questione e si è pronti a ricorrere legalmente affinché, in base all’art. 61della legge di concessione alla società della ferrovia di Novara, sia favorito iltronco da Ivrea a Chivasso 40.

Di identico tenore un foglio a stampa senza data (ma 1856?), a firma A.Somis, conservato in ASCCh che spiega le differenze fra i tracciati per Ivrea, unoda Livorno e l’altro da Chivasso.

Nel primo caso, si abbrevierebbe la distanza fra Ivrea e Genova, aumentandoperò la distanza di 19 km dalla capitale; nel secondo, si otterrebbe l’esito oppo-sto: maggior vicinanza a Torino e aumento di 19 km da Genova. Inoltre, par-tendo da Chivasso, la linea dovrebbe valicare le colline di Caluso; iniziando daLivorno, quelle di Moncrivello, con una diminuzione di km 2.55 di percorso. Al-l’apparenza, si legge nel documento, la posizione di Livorno sembra più vantag-giosa perché permetterebbe il trasporto di viaggiatori da e per la Svizzera, appenaultimato il traforo del Menouve; e poi i 2.55 km in meno inciderebbero sullaspesa.

In realtà, da Chivasso il traffico di passeggeri e merci è senz’altro più intenso,infatti per il servizio passeggeri di Livorno è sufficiente una sola diligenza gior-naliera, funzionante peraltro con i sussidi statali per il trasporto postale, mentreda Chivasso il traffico per Torino è assicurato da parecchie vetture. Inoltre, latratta Livorno–Ivrea, per la maggior distanza da Torino, dove è diretto il maggiornumero di passeggeri, sarebbe meno utilizzata che non Chivasso, più prossimaalla capitale. E quando si attiverà il tronco Livorno–Casale, e l’Anonimo esten-sore del foglio lo da per certo, i viaggiatori provenienti dalla Svizzera e diretti “alresto d’Italia” eviteranno tale tratta, mentre partendo da Chivasso la linea d’Ivrea,quella di Novara trasporterà a Torino tutti i viaggiatori dell’Italia centrale 41.39 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, Il Co-mune nel rispettivo Consiglio delegato…, cit.40 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, let-tera indirizzata al sindaco di Chivasso datata Torino 24 febbraio 1856, a firma Somis; Sessione 1855, n.98, Camera dei deputati, relazione della Commissione nella tornata del 25 maggio1856, Concessione dellastrada ferrata da Chivasso ad Ivrea, comma 1.41 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, L’uti-

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sivi; l’agguato al Rio Martino e l’assalto alla locanda della Cerva ora esponevanola città alla probabile vendetta svizzera.

La mattina di domenica 19 agosto 1515, il grosso dell’armata elvetica si mosseda Settimo in direzione di Chivasso. Secondo le fonti bernesi, solo lungo la stradaai comandanti era giunta la notizia che 16 confederati erano stati assaliti e cattu-rati dai chivassesi, denudati e minacciati di impiccagione e che tra loro c’era il si-gnore di Font con diversi ufficiali; si era, però, nel giorno del Signore e quindi lasentenza sarebbe stata sospesa fino all’indomani 80. Il trattamento subito dai con-nazionali in una città che gli svizzeri, probabilmente, consideravano amica aven-dovi già soggiornato poco più di un mese prima, fece andare in collera l’interoesercito a cominciare dai comandanti in campo tra i quali c’erano Albrecht vomStein e il cardinale Matheus Schiner; il prelato, stavolta, non mosse un dito pertentare di calmare gli animi degli uomini che già fiutavano l’odore di un grossobottino anzi, secondo il Borla, giurò di vendicare l’affronto. Sempre secondo lefonti bernesi, i primi contingenti ad arrivare davanti a Chivasso furono quelli deicantoni di Berna, Basilea, Friburgo, Soletta, Sciaffhausen, Rottwil e dei Grigioniche costituivano circa metà dell’intero esercito; alcuni capitani cercarono di par-lare agli abitanti, rinchiusi dietro l’effimera protezione delle vecchie mura paleo-loghe, pretendendo che venissero loro aperte le porte della città e restituiti iprigionieri ma dagli spalti qualcuno rispose con male parole, furono sparati alcunicolpi di archibugio e a quel punto il destino della sventurata comunità era se-gnato. Gli svizzeri piazzarono i cannoni davanti alle mura e alle porte, concen-trando il fuoco contro brevi tratti delle fortificazioni per creare rapidamente unabreccia da dove, vinta facilmente la resistenza dei difensori, si riversarono nellacittà, uccidendo senza misericordia. In poco più di due ore, secondo le fonti ber-nesi, l’abitato venne messo a ferro e fuoco ed il castello preso d’assalto per libe-rare i prigionieri; questi furono ritrovati nudi in fondo ad una torre ma tutti vivi,tranne uno che era morto nel frattempo 81.

L’affermazione del Borla che il castellano impedì ai suoi soldati di uscire dalcastello per aiutare i chivassesi, rimanendo ad osservare la strage dalla torre ot-tagonale, non trova riscontro nelle cronache bernesi e friburghesi mentre, nelleReformazioni, un interessante passaggio conferma sia le responsabilità di Gio-vanni Maria Serono sia la dinamica degli eventi che portarono alla tragedia; il 15ottobre 1515, al termine della seduta del Consiglio, il notaio Giovanni Simone

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80 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 108. E. USTERI,Marignano, cit., pp. 326-327 e note 36-38. Ve-dremo più avanti che i confederati seppero della cosa da un prigioniero fuggito.81 Ibidem, p. 108. J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 449.

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La costruzione della nuova ferrovia viene anche sentita come mezzo di so-stentamento “della classe bisognosa, procurando a quelle popolazioni lavoronelle contingenze attuali della carenza dei cereali, avuto eziandio e soprattutto ri-guardo alle incomportabili angustie di quegli abitanti, ai quali il quinquennale fal-lito raccolto delle uve ingenerò la penuria dei mezzi materiali di sussistenza” 42,evidenziando anche l’intento sociale dell’opera.

Il timore di perdere il capolinea della diramazione a Chivasso causò, come siè detto, un vivo fermento in città.

Esempio significativo, la lettera dell’Intendenza Generale di Torino del 6marzo 1856 inviata al Sindaco di Chivasso in cui si legge che l’intenzione espressanel verbale di Consiglio del 17 febbraio 1856, “di offrire la somma di 50.000 £.per la formazione del tronco di ferrovia da Chivasso ad Ivrea”, non viene appro-vata dall’Intendenza stessa in quanto “porta seco il vincolamento dei bilanci av-venire non può da quest’Ufficio approvarsi ed eccede le attribuzioni del Consigliostesso”; l’Intendente invita pertanto il Consiglio ad una convocazione straordi-naria “onde emetta le opportune deliberazioni e indichi i mezzi per sopperire alpagamento di dette £. 50.000 qualora ne sia del caso” 43.

Il 18 marzo 1856 con delibera n. 47, il Consiglio comunale di Chivasso man-tiene l’offerta delle 50.000 £. “specialmente a condizione che la linea ferrata dicui si tratta da Chivasso ad Ivrea tocchi Caluso e Strambino” e per trovare il de-naro, “stante le ristrettezze dell’erario civico, determina fin d’ora di sopperirvi conun prestito di uguale somma sulla cassa dei depositi ed anticipazioni presso l’am-ministrazione del debito pubblico”.

Poco sotto si legge che il Consiglio autorizza i signori cav. Aristide Somisdeputato di Strambino e l’avv. Saverio Crosa deputato di Chivasso “onde possanovalidamente agire e trattare con chi di ragione di cui è caso” 44.

Insomma, con l’intervento di questi due personaggi (e le 50.000 lire!) si risol-verà la questione a favore di Chivasso 45.lità della vie ferrate interne…, doc. s.d., cit.42 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, Ses-sione 1855, n. 98, Camera dei deputati, relazione della Commissione nella tornata del 25 maggio1856, Con-cessione della strada ferrata da Chivasso ad Ivrea, cit., p. 2, comma 3.43 ASCCh.., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, let-tera dell’Intendenza Generale di Torino del 6 marzo 1856 inviata al Sindaco di Chivasso.44 ASCCh., Verbali di Consiglio 1855-1856, mazzo 727, fasc. 41, seduta del 18.03.1856, delibera n. 47, ff.133 r,-134 r. Il verbale di Consiglio del 17 febbraio 1856 però è inesistente, non compare nel registro.45 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, let-tera inviata dal Comando generale della Divisione militare al sindaco di Chivasso datata Torino 23 mag-gio 1856, a firma colonnello A. Somis.

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Uscirono quindi dalla città ordinatamente con la loro artiglieria e quando l’Avventuroso livide entrò uccidendone qualcuno che era rimasto indietro e salvando alcuni che si erano asser-ragliati in una torre; di là andò a scaramucciare con loro (gli Svizzeri) in quella bella pia-nura chivassese dove i colpi di archibugio si sprecarono per chiunque ne volesse…” 78.

Nonostante la relativa credibilità del passo del Florange, nelle Reformazioninon troviamo traccia di un coinvolgimento francese nella difesa della città anzi,curiosamente come vedremo più avanti, troviamo piuttosto accenni del contra-rio cioè di presunti danni da loro provocati insieme agli svizzeri. Non dobbiamodimenticare che le “genti d’arme” al comando del Florange non erano molto di-verse, in ferocia, dai mercenari svizzeri; è quindi possibile che, arrivate in città,non disdegnarono di completarne il saccheggio dopo essersi limitati a sparac-chiare archibugiate sugli svizzeri in ritirata, uccidendo tutti quelli che si erano at-tardati nelle case; il passo più interessante nel racconto francese è, sicuramente,l’accenno alla liberazione di quelli che si erano “asserragliati in una torre” cioè l’im-paurito castellano e i suoi compagni. Come non immaginarli, una volta ringraziatii loro salvatori, approfittare della confusione per dileguarsi in tutta fretta, facendoperdere le loro tracce e scampare così alla vendetta dei loro concittadini?

L’osservazione della marcia degli svizzeri, fin dalla loro partenza da Rivoli,ci viene confermata da un passo delle Reformazioni del 17 agosto 1515; quelgiorno, mentre l’armata elvetica si apprestava ad iniziare la ritirata, il Consiglio in-caricava Jacobino Ballioti e Leonardo di Cessate di fare riempire il fossato in-torno alle mura della città e di provvedere a reperire polvere da sparo per lebombarde preposte alla difesa del luogo “…Comisserunt nobilis Jacobino Ballioti etLeonardus de Cessate ut fassant implere fossata loci Clavaxij itaque aqua in eisprovideant…item quod provideant de pulveris per bombardis pro deffendendo locum ab impetuelvetiorum…” 79. Le notizie delle violenze di Villafranca erano già arrivate in cittàda alcuni giorni ma il sacco di Settimo e la conoscenza recentemente sperimen-tata durante il soggiorno in città dell’armata elvetica, avevano ormai fatto capirechiaramente alla Credenza con chi avrebbero avuto a che fare nei giorni succes-

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78 HISTOIRE DES CHOSES MEMORABLES avenue du Regne de Louis XII et Francois I, en France, Italie,Allemagne et és Pays-Bas, depuis l’an 1499 jusques en l’an 1521, mise par script par Robert de La Mark, seigneur deFleurange et de Sedan. Mareschal de France, in Nouvelle collection des memories pour servir a l’historie de france, depuisle XIII siecle jusqu’a la fin du XVIII, a cura di MICHAUD e POUJOULAT, Tomo V, Parigi 1838, pp. 49-50. Robert de La Marck (1491-dopo il 1536) era uno dei capitani del corpo di spedizione francese in Ita-lia e aveva il comando di 200 uomini d’arme. Partecipò a tutta la campagna fino alla battaglia di Marignanodove fu dato per morto; quando il re lo vide vivo e vegeto gli disse: “Come! Amico mio, mi avevano dettoche eri morto!” e lui rispose “ Sire, non sono morto e non morirò fino a quando non avrò finito di ser-virvi”. Francesco I lo nominò sul campo cavaliere.79 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 4, ”Die XVIJ augusti”.

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Infatti, con lettera del Comando generale della Divisione militare di Torino,del 13 maggio 1856, a firma colonnello Somis, si avverte il Sindaco di Chivassoche la tratta Chivasso–Ivrea è cosa quasi certa; pertanto, il 23 maggio 1856 il Par-lamento approverà con progetto di legge n. 98 la concessione della strada ferratada Chivasso ad Ivrea con stazioni a Montanaro, Caluso, Candia, Mercenasco eStrambino e il Regio Decreto n. 1694 del 14.06.1856 la renderà esecutiva a tuttigli effetti 46.

Anche il Consiglio comunale di Ivrea in data 22 maggio 1856 votava peravere il capolinea a Chivasso 47.

La costruzione della linea

Costituitasi il 27 agosto 1856 la Società anonima della ferrovia d’Ivrea, conun capitale di 4.000.000 di lire rappresentato da 8.000 azioni da 500 lire ciascuna,presero avvio i lavori. Racconta il Bertolotti che, a partire dal 18 settembre 1856,ultimate le necessarie misurazioni e procedendo a ritmo serrato, in breve temposi collegò Chivasso con Montanaro. Un anno dopo, il 24 settembre 1857, gli azio-nisti della Società anonima per la costruzione della linea osservavano che i primi13 km della tratta erano ormai conclusi e quasi terminato anche il viadotto sulChiusella, a buon punto il traforo della galleria di Caluso, nonostante i lavori fos-sero in leggero ritardo sui tempi. Nel marzo del 1858 iniziò anche la costruzionealla stazione d’Ivrea 48.

L’inaugurazione

Il 22 maggio 1858 si inaugurava il tronco Chivasso–Caluso, con grandi festeg-giamenti nel cortile del castello del conte Trinità, cui parteciparono 300 invitati,animati da grande entusiasmo e compiacimento, come riferisce il Bertolotti. Il ter-mine di lavori ormai si avvicinava: pochi metri all’apertura del traforo, ultimi ri-tocchi al ponte sulla Dora Baltea.

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46 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, ses-sione 1855, n. 98, Camera dei deputati, progetto di legge presentato dal ministro dei LL.PP. nella tornatadel 23 maggio 1856, Concessione della strada ferrata da Chivasso ad Ivrea, p. 2.47 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 64.48 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., pp. 64-69; L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., pp. 65-66.

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Page 44: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

cesi a Chivasso 76 e il Grumello quando descrive l’operato del monsignore diCandale,impegnato nella difesa di Ivrea, indirettamente conferma ciò che già ilcorrispondente fiorentino aveva sentito dire riguardo i preparativi in corso a Chi-vasso prima dell’arrivo degli svizzeri. Il cronista pavese, dopo aver descritto, senzasostanziali differenze rispetto alle altre cronache, il massacro di Chivasso dove,dice,“ foreno occixi homini ottocento”, racconta che “…Partito lo exercito Elveticho da essocastello (Chivasso) pigliò il camino de la cita de Imbrea Sabaudiense sempre scharamuzandocon Galli. In epsa citta de Imbrea gli hera monsignore di Cande, capittaneo Gallicho, qual pen-sava de intervenire lo exercito Elveticho che non passasse la Doria fiumara, havendo essoCande facto murare il ponte, qual he sopra detta fiumara in el locho de Invrea. Intexo il po-pulo di Invrea il saccho dil castello di Civasso et la mortalitate facta, datta licentia ad epsoCande per esso populo che si levasse di sua citta et gittato a terra il muro dil ponte facto peresso Cande fu datto il passo alo exercito Elveticho” 77.

Tornando a Chivasso, sembrerebbe quindi fondato il dubbio sollevato dalGiovio e ripreso dal Guicciardini che, cioè, la decisione di chiudere le porte aglisvizzeri fosse stata dettata non solo dalla simpatia verso i francesi ma anche dallaconvinzione di un loro intervento in caso di aggressione, forse garantito da unpersonaggio come il capitano de Candale; se poi andiamo a leggere un’altra cro-naca di un contemporaneo, il francese Robert de la Marck signore di Florange,che in un passo delle sue memorie descrisse quella terribile giornata, essendonestato testimone oculare, la sensazione di un coinvolgimento francese appareconfermata nei fatti: “…e come vi ho già detto poc’anzi, gli Svizzeri tirando la loro arti-glieria a forza di braccia perché a corto di cavalli e con i Francesi che cavalcavano loro intorno[arrivarono] fino ad una piccola città del duca di Savoia, ai confini del Piemonte, chiamataChivasso; e fu quindi ordinato al giovane Avventuroso (lo stesso Florange) di andare a te-nere quella città perché questa era bonne française. Lo vennero ad accompagnare fino al bordodell’acqua (la riva del Po?) 500 uomini d’arme mentre gli Svizzeri erano sull’altra riva dovestava Chivasso e la loro artiglieria incominciava a battere la città. Il giovane Avventuroso, conla gendarmeria, voleva entrarvi vedendo che questa era già stata presa perché i villici l’avevanoabbandonata; vi furono uccise più di tremila persone, dai bambini ai preti dentro le chiese.Quando gli Svizzeri videro l’Avventuroso con la gendarmeria incominciarono a ritirarsi per gua-dagnare terreno perché essi temevano che l’armata del Re (di Francia) li intrappolasse primache riuscissero a raggiungere Milano e gli altri Svizzeri che stavano venendo in loro soccorso.

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76 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 108. Nel testo i capi confederati precisano che la città fu presanel giro di due ore, saccheggiata e incendiata senza pietà e che furono uccisi brutalmente più di 500 uo-mini, salvati i prigionieri e cacciati i francesi.77 GRUMELLO, Cronaca, cit., p. 198.

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Racconta ancora lo studioso canavesano che la tratta sarebbe già potuta en-trare in esercizio fin dal mese di ottobre ma, a causa di piogge dirotte, ciò nonfu possibile fino al mese successivo.

La linea Chivasso–Ivrea, con il tracciato che presenta ancora attualmente, fuinfine inaugurata il 10 novembre 1858: il giornale eporediese “La Dora Baltea”dell’ 11 novembre 1858, n° 45 celebra entusiasticamente con un lungo articoloin prima pagina l’evento, avvenuto il giorno precedente, mercoledì 10 novembre1858.

Il viaggio, iniziato alle ore 11 del mattino dalla stazione torinese di PortaSusa, si concluse ad Ivrea in perfetto orario alle ore 13. Sul convoglio viaggiavanoil presidente del Consiglio Cavour, il ministro della guerra La Marmora, il mini-stro dei Lavori pubblici Bona e l’ing. Henfrey, titolare dell’impresa costruttrice.

I festeggiamenti durarono tutto il pomeriggio, si svolsero tra banchetti perle autorità, brindisi, altisonanti discorsi e si conclusero con la ricognizione dellenuove opere pubbliche connesse alla ferrovia, in particolare il nuovo ponte sullaDora.

Ignoriamo invece se anche a Chivasso si tennero festeggiamenti all’arrivo deltreno inaugurale: l’archivio storico non ha conservato memorie.

Si possiedono immagini delle stazioni non contemporanee alla costruzionedella ferrovia, ma di poco posteriori; in margine all’articolo, ho inserito tre vedutedella stazione di Chivasso (figg. 2, 3 e 4) precedenti il bombardamento alleato del12 maggio 1944, con cui la stazione ottocentesca fu rasa al suolo .

Colpisce l’uniformità architettonica delle costruzioni ferroviarie: impossibilenon cogliere analogie, confrontando ad esempio le fotografie chivassesi con lastazione torinese di Porta Susa.

Per la tratta Chivasso–Ivrea tale uniformità architettonica è riscontrabile nellecostruzioni presenti su tutta la linea e denotano nell’evidente stile anglosassonel’intervento di imprenditori e progettisti britannici.

Circa la fruibilità della stazione di Chivasso, il Bertolotti riferisce che “La sta-zione di Chivasso, che serve anche alla Torino–Novara è a mezzanotte dell’abi-tato da cui dista 250 m, con caffè, ristorante con alloggio e sale d’aspetto decenti,ma piccole (1872)” 49.

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49 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 69.

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bus qui dampna passi sunt…” 73.I documenti non ci dicono altro su questi presunti responsabili dello scate-

namento su Chivasso dell’ira elvetica ma il dubbio che un’intera città possa es-sere stata messa a sacco per l’arroganza di un castellano litigioso (che alla provadei fatti si dimostrerà tanto vigliacco da rinchiudersi, per la paura di ciò che avevascatenato, nella torre del castello) o per il risentimento di un nobile ferito nel-l’onore, a dire il vero, rimane. Non sappiamo se Giovanni Maria Serono e Gio-vanni Simo salvarono la pelle alla fine, di loro non rimane traccia nei documentidopo la metà di agosto; tantomeno sappiamo che fine fecero Gaspare Serono eBolognino Angelino ma, come affermò l’anonimo cronista che scrisse i nomi ditutti i capi della banda, vite così sconsiderate finivano sempre in malo modo e al-meno uno, Fabiano Bianchetti, pagò con la vita la sua scelleratezza.

Dunque, dopo la terribile notte alla locanda della Cerva, a Chivasso ci si pre-parava al peggio e abbiamo già visto che molti cronisti accennano alla presenzain città di villani armati e pronti a combattere; lo stesso Borla, parlando di un ra-duno degli abili alle armi e di una chiamata generale dalle terre vicine, precisaanche il loro numero: “…chiamarono allora li civassini in loro aiuto circa a mille ducentoarmati dalli luoghi, e terre del vicinato…” 74.

Quando, pochi giorni dopo il massacro, il duca di Savoia invierà il suo araldoa Vercelli per i preliminari di pace tra il re di Francia e gli svizzeri farà riferire aquesti ultimi che la responsabilità dell’accaduto non era da imputare ai chivassesima ad alcune centinaia di monferrini (sudditi di uno stato vicino e non suoi), in-filtratisi a Chivasso richiamati da privati cittadini contro il volere della città 75.

L’interessante precisazione potrebbe da un lato confermare l’affermazionedel Borla circa la chiamata alle armi delle genti vicine ( Castagneto, ad esempio,era già territorio del Monferrato) per rinforzare la guarnigione, dall’altro che lacomunità chivassese si fosse premunita contro possibili aggressioni, ingaggiandogente di ogni risma dal momento che l’autorità ducale non era certo in grado didifendere i propri sudditi.

La sensazione che al duca di Savoia, schiacciato tra la potenza francese e laprepotenza svizzera, non fosse facile essere padrone in casa propria è confer-mata anche dalla probabile presenza di agenti francesi nelle comunità attraversatedagli svizzeri in ritirata; le cronache bernesi, infatti, parlano chiaramente di fran-

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73 Ibidem, f. 2, “Die quarta mensis augusti”.74 BRT, Stp 579, Memorie, cit., p. 359.75 E. USTERI,Marignano, cit., p. 328 e nota 39 dove l’autore cita la memoria conservata nell’archivio sto-rico di Zurigo.

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Fig. 1: Pietro Paleocapa - ritratto

Fig. 2

(Ivrea, collezione privata)

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essere un tipo particolarmente arrogante nei confronti dei suoi concittadini se ilconsiglio, l’11 agosto 1515, avvertiva di vigilare in materia di franchigie sulla cac-cia, da questi puntualmente usurpate molestando gli uomini di Chivasso con lascusa di patenti ducali comprate: “…Ordinaverunt quod domini consules provideant ob-servatione franchigiarum circha venationes attento quam nobilis Jo Maria de Serono castella-nus pretextu affituarum litterarum ducalium molestat quosdam de Clavaxio…” 70.

Al di là delle possibili implicazioni del castellano nell’aggressione agli svizzerie alle sue collusioni con altri nobili chivassesi, resta il dubbio, leggendo i docu-menti dell’epoca, che qualche attrito all’interno della comunità chivassese e inseno allo stesso Consiglio della Credenza, gestito dalle famiglie più in vista dellacittà, si fosse verificato proprio alla vigilia del massacro. I poteri che il castellanoaveva non gli impedivano certo di reclutare uomini armati per lanciarsi in unascorreria personale, come in effetti fu quella del Rio Martino, con la irresponsa-bile leggerezza di una battuta di caccia e di ripetere la cosa alle porte della cittàche egli stesso avrebbe dovuto difendere con più saggezza e prudenza; difficilepensare che gli uomini che lo appoggiarono nella fallita impresa fossero tutti deivanagloriosi irresponsabili; qualcuno doveva avere altri motivi, molto personali,per spingersi a tanto. L’ombra del sospetto cade su un altro componente delgruppo, Giovanni Simo; questi era magistrum bannorum 71 della città ed era parentedel credenziere Melchiorre Simo (anche lui nel gruppo dei facinorosi secondo ilcronista) che gli aveva dato la sua fideiussione davanti al consiglio per l’elezioneall’ambito e delicato incarico. Evidentemente Giovanni aveva gestito male o sem-plicemente abusato dei poteri conferitigli perché, il primo agosto 1515, il sin-daco Bernardino Siccardi a nome della comunità gli contestò l’inosservanza dellecapitolazioni e le molte querele presentate dai particolari a causa del comporta-mento tenuto dai suoi esattori: “…Egregius Bernardinus de Sicardis Sindicus comuni-tatis Clavaxij contram egregius Johannes de Simo magistrum bannorum presentem ut egregiusMelchioris de Simo eius fideiussoris…qui protestatus fuit contra eos de inobservantia capitu-lorum…attentis multipluribus querellis particularium et quam ipsis Johannes non tenet cam-parios idoneos…”. Alla fine si decise di revocargli il mandato “…de retenendo ipsasbanna ad manus comunitatis…” 72; la sentenza definitiva del consiglio fu emanata il4 agosto 1515 e Giovanni de Simo fu sollevato dall’incarico e costretto a saldareil debito accumulato nei confronti della comunità e dei singoli, “…satisfarem no-bilis tesaurario comunitatis, summam debitam pro mensibus sex…et satisfarem particulari-

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70 Ibidem, f. 2, “Die undecima augusti”.71 Letteralmente “maestro dei banni”, cioè il responsabile alla riscossione delle tasse per conto della città.72 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 2.

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Fig. 3

Fig. 4

(Ivrea, collezione privata)

(Ivrea, collezione privata)

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nità, infatti, se rileggiamo i nomi dei suoi capi vi ritroviamo buona parte delle fa-miglie della vecchia nobiltà chivassese: i Bianchetti, i Simo, gli Angelino e i Se-rono, uno dei quali, Gaspare ( fratello di Giovanni Maria ), definito presbitero era,quindi, un sacerdote.

Dalla lettura delle Reformazioni arrivano altre sorprese circa l’identità diquesti personaggi: scopriamo così che Melchiorre de Simo era consigliere nellaPubblica Credenza e continuò ad esercitare il suo incarico in seno al consiglioanche dopo l’eccidio, mentre Giovanni Maria de Serono, il capo della banda, eranientemeno che il castellano di Chivasso. Il suo nome, “nobilis Johannis Maria deSerono Castellanus Clavaxij”, compare infatti nel verbale della seduta di consigliodel 4 agosto 1515, dopo quello del vicario, suprema autorità del governo ducale,e prima dei due consoli ( gli odierni sindaci ), “nobilis Franciscus Planta et Bortulinusde Vercellis consules comunitatis Clavaxij” 67. Questo ci fa capire che in quel periodola figura del castellano, comandante militare del castello e della sua guarnigione,era ormai disgiunta e, seppur in modo puramente formale, sottoposta a quella delvicario ducale che, in quanto rappresentante del sovrano, deteneva ampi poteritra i quali quello di giudice della comunità. Dalle Reformazioni però sembra dicapire che, a cominciare proprio dal primo agosto del 1515, ebbe inizio un pe-riodo confuso in cui il vicario nominato, un certo Cesare Canefrio di Alessandria,si dovette assentare subito dalla città per motivi non noti, “…habens absentare ipsumlocum et patriam ducalem…” 68 incaricando un luogotenente come suo sostitutonella persona di Bernardino da Volpiano, definito phisicus nei documenti; la Cre-denza, probabilmente, non giudicò all’altezza del suo compito l’ufficiale se, all’in-domani della strage, il 28 agosto 1515, decise di mandare a Torino Bortolino deVercellis e Bernardino dell’Isola per richiedere l’intervento ducale, “…et eius Lo-cumtenentis non est sufficiens…” 69. E’ possibile quindi che il debole controllo eser-citato dalla luogotenenza vicariale sull’operato del castellano abbia favoritocomportamenti poco corretti da parte di quest’ultimo che, effettivamente, doveva

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67 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 1, “Die prima augusti. Convocata et congregata Credentia Clavaxij…in qua aderantprefatus spectabilis dominus vicarius, nobilis Johannes Maria de Serono Castellanus Clavaxij, nobiles Franciscus Plantaet Bortulinus de Vercellis consules comunitatis Clavaxij, spectabiles domini Defendens de Guasconibus et Gullierminusde Crova nobiles…providi Bartolomeus Carleti, Bernardinus de Insula, Urbanus de Verulphis, Melchiorj de Costiglio-lis, nobilis Bartolomeus de Sancto Sebastiano, Leonardus de Cessate, Johannes Bartolomeus de Portis, Melchiorj de Simo,Sermundus de Lumello, Dominicus Cichorellj, Petrus Perroya, Bernardinus de Sicardis, Paganinus de Platis, JohannesFranciscus Carmagnola, Gerardinus de Trecate, Gaspar de Clericho, Girardinus Grolia, Johannetus Colla, JohannesFranciscus Matrignanj, Michael de Laporta, Obertus Spaterij, Paulus Machiolj et Gennotus Valorij omnes congredenda-rij loci Clavaxij…”.68 Ibidem, f. 1.69 Ibidem, f. 4, “Die XXVIIJ augusti”.

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1G.GASCA QUEIRAZZA, “Notizie di Piemonte nell’itinerario di un anonimo lombardo nel primo Cin-quecento”, in Studi Piemontesi, Torino, novembre 1977, vol. VI, fasc. 2, p. 390.2 G.BORLA,Memorie istorico-cronologiche della nobile città di Chivasso, edizione fotostatica a cura delRotary Club di Chivasso, 1980, p. 780.

Davide Bosso

“…AB IMPETU ELVETIORUM…”19 agosto 1515, il sacco svizzero di Chivasso

Introduzione

hivassi, loco muratto, et di circa a fochi 1.500, et sottoposto al vescovato de Invrea. Heloco brutto et melancolico. Il Po li corre apresso ad uno tirare di balestra. Quando li

Sviceri se retiravano per la venutta del Christianissimo Principe, lo sachegiorno et li amazornocirca ad homini 1.000…” 1 .

Con queste parole un anonimo viaggiatore lombardo descriveva, nel primoquarto del XVI secolo, la nostra città all’indomani del grave fatto di sangue chel’aveva resa tristemente nota ai contemporanei; la malinconia da lui avvertita nonera solo una sensazione così pesante da indurlo a tratteggiare negativamente Chi-vasso ma una realtà tangibile che pervadeva profondamente una comunità chestava cercando di superare, tra mille difficoltà, la terribile esperienza che l’avevarovinata materialmente e demograficamente. Di fatto quell’evento traumaticonon aveva fatto altro che accelerare il lento declino che si era avviato fin dal 1435,da quando Chivasso, dopo una breve guerra ed un ancor più breve assedio, erapassata definitivamente dai marchesi di Monferrato ai duchi di Savoia; i nuovi si-gnori, infatti, riconoscendole soprattutto l’importante ruolo strategico, ne ave-vano ridimensionato le aspirazioni politiche, riducendo una delle più splendidecorti del marchesato a fortezza di frontiera sui confini orientali del ducato. Lacittà, pur rimanendo un mercato di primaria importanza e un vivace centro com-merciale e artigiano, oltre al prestigio aveva allora incominciato a perdere lenta-mente anche i suoi abitanti; le famiglie di rango, soprattutto quelle con incarichipolitici presso la corte dei marchesi, avevano preferito seguirli a Casale e nell’ul-timo quarto del XV secolo una serie di calamità naturali ed epidemie, dovute,secondo il Borla “…alla situazione di Chivasso soggetto al ricovero de’ forestieri di ogni na-zione…” 2 , avevano costretto molti commercianti impoveriti ad abbandonare de-

“C

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vassesi di “buona famiglia”che ebbero la malaugurata idea di assalire per ben duevolte l’avanguardia di un esercito che, all’epoca, non aveva rivali sul campo dibattaglia; nessuno aveva evidentemente pensato alle terribili conseguenze chepoteva scatenare un gesto del genere. Tutti i cronisti dell’epoca sembrano con-cordare sul fatto che i chivassesi rifiutarono di dare alloggio alle avanguardie sviz-zere per evitare di avere poi tutta l’armata accampata nella città ( anche se deveavere pesato in qualche modo l’ammonimento del duca di Savoia a chiudere leporte agli svizzeri) ma che l’errore fatale fu di assalirli nella locanda della Cervaanziché lasciarli liberi di ristorarsi e di proseguire il viaggio indisturbati. Quellaprovocazione, per gli svizzeri, fu sufficiente per scatenare il peggior bagno disangue nella storia di Chivasso.

A questo punto però una seconda versione del manoscritto del Borla, cu-stodita alla Biblioteca Reale di Torino, arricchisce di alcuni particolari la storia che,perciò, va riletta un’altra volta: “…Prevenne l’arrivo del Sedunese (il cardinale Schi-ner) in Chivasso, e dè suoi armati un distaccamento di cinquanta svizzeri, con alcuni equi-paggi del cardinale, cò quali cedettero alcuni oziosi, e sfaccendati civassini, uniti ad alcuniterrazani del vicinato…”. Questo accenno ai terrazani, cioè ai contadini del vicinato,che nella versione chivassese della storia non c’è, potrebbe far pensare sia ad unraduno di forze operato dagli aggressori nelle campagne, sia ad un interventodella gente di Settimo, punito dagli svizzeri con il saccheggio del borgo, preludioa quello scatenato successivamente su Chivasso. Un altro passo del racconto in-vece indica chiaramente come i chivassesi fossero perfettamente consapevoli delpericolo che stavano correndo a causa del gesto sconsiderato di un gruppo diteste calde: “…Giunti gli svizzeri nel borgo di S. Francesco, nell’osteria della cerva preserol’alloggio, ma appena scaricato l’equipaggio del cardinale, ecco assaliti di bel nuovo da GiòMaria Serono e suoi compagni, e coll’armi alla mano dopo di avere ucciso alcuni di què sol-dati, obbligare gli altri a rifuggiarsi sotto alli tetti dell’albergo per liberarsi dalle loro mani. Ac-cesero allora gli aggressori il fuoco agli angoli della casa per snidarli, ma l’accorso popolo allospaventoso spettacolo, da cui fu biasionato all’estremo, fece sì, che s’estinguesse il fuoco, e rapitonon fosse l’equipaggio del cardinale…” 66.

La popolazione quindi, accorsa alla locanda, costrinse Giovanni Maria Seronoe compagni a desistere dai loro disegni incendiari e a salvare in qualche modo lavita degli svizzeri asserragliatisi all’interno ma non riuscì ad evitare che fosserocatturati e tradotti nel castello. Evidentemente la banda degli “sfaccendati” chi-vassesi era composta da persone in vista e molto influenti all’interno della comu-

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66 BIBLIOTECA REALE TORINO (d’ora in avanti BRT) Storia Patria 579, “Memorie istoriche della Cittàdi Chivasso…”, 1775-1787, manoscritto con prefazione dello stesso Borla, p. 358.

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finitivamente i loro affari in città. Questo piccolo esodo, sempre secondo il Borla,aveva aperto la strada a “…molti forestieri ignobili affatto, e miserabili, che pretesero vi-vere impunemente alle spalle de’ residui Borghesi con grave loro detrimento, e perturbazione dellapubblica quiete…” 3. Il passaggio degli svizzeri, di lì a pochi anni, avrebbe ulterior-mente accelerato lo svuotamento della città dai suoi abitanti, creando un vuotodemografico improvviso ed incolmabile dal quale sarebbe conseguita, alcuni de-cenni dopo, anche la riduzione urbanistica dell’abitato.

L’erosione di questo quadro sociale locale si inseriva in un’epoca di cambia-menti più vasti e profondi che sconvolgevano l’Italia da alcuni decenni, daquando la splendida stagione artistica, culturale ed economica della seconda metàdel quattrocento basata sui delicati e fragili equilibri politici della penisola, fram-mentati in molteplici realtà, aveva subito il definitivo tramonto ad opera di CarloVIII, re di Francia; la sua calata nel 1494, invocata da Ludovico il Moro, signoredi Milano, inaugurerà, infatti, la lunga stagione della dominazione e dell’inge-renza straniera nei tormentati affari degli stati italiani. La scintilla accesa in Italiadalle artiglierie del re francese darà fuoco alle polveri di tutto il continente euro-peo che, con il nuovo secolo (il XVI), non a caso definito “secolo di ferro”, vedràiniziare un lunghissimo periodo di guerre, rese ancora più devastanti dall’usosempre più massiccio delle armi da fuoco. Sarà proprio Carlo VIII con il suonuovo modo di fare la guerra ad inaugurare questa stagione perché, per dirla conle parole di Franco Cardini: ”Qualcosa di irreparabile era avvenuto, dalla discesa di CarloVIII di Francia in Italia: non più scontri poco cruenti, non più campagne militari lunghe e pun-teggiate di giochi diplomatici. Il dolce “hortus conclusus” cui erano avvezzi i principi del Quat-trocento italiano era stato sconvolto e devastato. La guerra non era più un modo di prendertempo o di impegnare in qualche modo dei mercenari turbolenti: era divenuta lo strumento pri-mario di una lotta politica che si giocava sul filo della corsa all’egemonia continentale…” 4.

Come abbiamo visto, le cause del graduale deterioramento del tessuto so-ciale e demografico chivassese erano molteplici ma una in particolare contri-buiva, periodicamente, allo spopolamento della città: la guerra. Si può anziaffermare che questa, oltre ad essere la causa scatenante di ulteriori disgraziecome carestie ed epidemie, sia stata, proprio a partire dal terribile saccheggiosvizzero, la principale responsabile del bilancio demografico passivo del chivas-sese nel corso dei successivi due secoli. Il Borla, nelle sue memorie, oltre ad elen-care un numero impressionante di catastrofi naturali in costante aumento proprio3 Ibidem, pp. 780-781.4 F. CARDINI, Quell’antica festa crudele, guerra e cultura della guerra dal medioevo alla rivoluzione francese, Milano,1995, p. 79

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chiesero di entrare per rifornirsi di cibo in cambio di denaro ma poi, visto il ri-fiuto da parte degli abitanti, decisero di sostare per la notte alla locanda dellaCerva, fuori le mura, in borgo san Francesco. Le cronache friburghesi che si di-scostano per alcuni particolari da quelle bernesi, ci informano che 7 di questi uo-mini erano del cantone di Friburgo e ne riportano i loro nomi: il signore di Font,lo junker Jacob vomWippingen, il capitano Hans Nagelholz, Hans Vogilly, Bene-dict Rapp, Antoine Levrat, l’aiutante di campo del capitano Schmids, un altro aiu-tante di un luogotenente ( che fu poi ucciso); degli altri 13 l’unico di cui vienericordata la provenienza era un luogotenente del cantone di San Gallo 64.

Nella notte un folto gruppo di chivassesi costituito, secondo il Borla, daglistessi giovani che avevano teso l’imboscata al Rio Martino (villici invece secondole cronache svizzere) assalì la locanda. Gli svizzeri, asserragliatisi all’interno, op-posero per oltre tre ore un’accanita resistenza fino a quando non furono costrettiad arrendersi, a causa del fuoco appiccato dagli attaccanti alla locanda per costrin-gerli ad uscire; quattro di loro morirono nello scontro e i restanti 16 furono cat-turati e condotti nel castello dove, spogliati degli abiti, vennero gettati in unatorre 65.

Quel gesto sconsiderato certamente gettò nel panico la popolazione; tutto siera svolto così in fretta che anche la Pubblica Credenza venne messa davanti alfatto compiuto. Secondo il Borla i credenzieri, consci della gravità della situa-zione, avrebbero voluto tentare di spegnere la prevedibile ira elvetica con l’oroma il castellano ordinò loro di prepararsi alla difesa, facendo precipitare le coseverso la catastrofe.

Risulta difficile, alla luce dei documenti a disposizione, andare a ricercare re-sponsabilità singole o collettive nella vicenda, a cominciare da quei giovani chi-

64 J. MULLER, Histoire, cit.,IX, p. 448. L’autore riporta i nomi dei confederati friburghesi omettendonealcuni e confondendone altri. F. RUDELLA, Chronik, cit., pp. 411-412. Qui sono riportati gli stessi nomipiù quello di Hans Vogilly. La curatrice delle riedizione critica nelle note precisa che il signore di Font,Boniface de La Molière, capo del gruppo di ufficiali ( già distintosi nella battaglia di Novara del 1513) suc-cessivamente, ritornato in Patria, ebbe una vita tormentata da gravi fatti criminali (era uno dei tanti re-duci che non si reinserirono mai più nella società e che continuavano ad uccidere con la stessa facilitàappresa sui campi di battaglia) ; nel 1533, accusato di essersi servito di carte falsificate per affari con il redi Francia, fu giudicato colpevole e impiccato. Un altro ufficiale del gruppo, Hans Nagelholz, fu uno deifirmatari per conto di Friburgo della successiva tregua con i francesi a Gallarate, nel settembre del 1515.Cit., pp. 411-412 e note al versetto 880.65 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, pp. 107-108. Nelle cronache bernesi viene precisato il luogo del-l’agguato, la locanda della Cerva, “ zum Hirzen lagend”, come ricordato anche dal Borla. L’episodio vieneripreso anche in J. MULLER, Histoire, cit., IX, p. 448 e in E. USTERI, Marignano, cit., p. 327 e note 36-38 in cui l’autore descrive nei dettagli i fatti confrontando sia i dispacci bernesi che quelli friburghesi.

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a partire dalla fine del XV secolo fino a ben oltre la metà del XVIII secolo, sot-tolinea i ripetuti sforzi fatti dalla Pubblica Credenza per tentare di arginare il fe-nomeno dello spopolamento, favorendo l’insediamento in città e soprattutto neiborghi di campagna di nuovi nuclei familiari provenienti da varie zone del Pie-monte e della Lombardia. I francesi, che occuperanno Chivasso nel 1535 e laterranno fino al 1562, daranno nuovo impulso al flusso immigratorio non primadi avere ridotto la città in una fortezza ben munita, abbattendo i due borghi, spo-polati e fatiscenti, di San Pietro e San Francesco e circondandola di bastioni “allamoderna”.

Il Piemonte, luogo di transito “obbligato” per i sovrani francesi, era diven-tato fin dagli inizi del ‘500 il primo campo di battaglia al di qua delle Alpi, dovesi scontravano gli interessi di Francia e Impero per l’egemonia sulla penisola; iduchi di Savoia e i loro sudditi per molti anni a venire sarebbero stati gli impo-tenti spettatori e, spesso, le vittime di quei giochi di potere fino a quando Ema-nuele Filiberto, nell’ultimo quarto del secolo, avrebbe ridato allo stato sabaudouna sua identità nazionale.

Ma nell’estate del 1515, nonostante i numerosi passaggi di eserciti e sovrani,accolti e riforniti a spese della città non senza strascichi di molestie e contagi, lapercezione del cambiamento in atto era ancora confusa e Chivasso, esteso loco mu-ratto con una popolazione così numerosa da contare ben 1500 fochi (ovvero fa-miglie), confidava troppo nelle vecchie mura paleologhe e nel buon governoducale per preoccuparsi troppo del futuro.

Eppure alcuni segnali sinistri c’erano già stati. Solo due anni prima, nel 1513,gli svizzeri, vittoriosi a Novara sui francesi, con il pretesto di inseguire l’armatanemica in ritirata, avevano attraversato il vercellese saccheggiandolo e mettendoorribilmente a sacco il borgo di San Germano; nella loro marcia si erano direttiverso Livorno dove avevano taglieggiato gli abitanti e sparso la voce che il loroprossimo obbiettivo sarebbe stata Chivasso. Quando alcuni credenzieri, mandatiad offrire una borsa piena d’oro agli elvetici per ammansirli, erano stati riman-dati a casa con l’annuncio della loro imminente venuta, si era deciso di affidarsialle preghiere; la città avrebbe fatto voto di alzare un altare a Sant’Antonio sequesti l’avesse liberata dagli svizzeri. Stando al Borla tutto si risolse miracolosa-mente perché “Fatto il voto s’incamminò la Processione tutto a lungo di Chivasso la qualeappena terminata, oh Portentoso Santo! Si affacciò un inviato Elvetico al Governatore Gio-vannello Provana, per ordine del generale Mottino, dal quale intesero li Civassini l’improvvisogonfiamento della Dora, che impossibile rendeva il varco all’armata…” 5. In realtà i co-

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5 G. BORLA, Memorie, cit., pp. 795-797.

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tamente, non solo la responsabilità del successivo saccheggio di Chivasso maanche, indirettamente, quella della devastazione di Settimo.

La lettera dell’archivio mediceo, inoltre, parla di un certo Monsignore di Can-dele che, dopo la seconda esplosione della violenza svizzera a Settimo (il primoepisodio si era verificato quattro giorni prima a Villafranca), stava radunando aChivasso un forte nucleo di armati ( il riferimento generico ai villici ricorre spessoin quanto le genti di campagna , fin dal medioevo, erano considerate le milizie piùeconomiche e di più rapido raduno per la difesa delle comunità minacciate) perorganizzare una resistenza ad ulteriori violenze. Non ci sono prove di un effet-tivo coinvolgimento nella difesa di Chivasso di questo personaggio, che vediamocomparire una seconda volta in un un’altra cronaca contemporanea, scritta dal pa-vese Antonio Grumello, il quale, definendoloM. De Cande capitano gallico (quindiun ufficiale francese), lo colloca ad Ivrea dove egli vuole ripetere il tentativo diresistenza fallito a Chivasso ma ne viene scacciato in malo modo dalla popola-zione 62. E’ evidente che si tratti, in ambedue i casi, dello stesso ufficiale franceseche potrebbe essere identificato come Francois de Foix –Candale, giovane capi-tano al servizio del re di Francia in Italia non solo in quella campagna ma anchenelle successive 63.

I fatti, comunque, si susseguirono in un arco temporale molto breve perché,secondo il resoconto bernese, la sera stessa del 18 agosto 1515 una parte dellastessa avanguardia che aveva saccheggiato Settimo e che, probabilmente, era stataattaccata al Rio Martino, giunse alle porte di Chivasso. Stando alla cronaca era ungruppo eterogeneo di 20 uomini, per la maggior parte ufficiali dei diversi cantonielvetici, che, muniti di cavalcature, avevano preceduto il resto dell’armata alla ri-cerca di viveri o più verosimilmente di bottino a buon mercato; arrivati davantialle mura della città e trovando le porte sbarrate e presidiate, in un primo tempo62 CRONACA DI ANTONIO GRUMELLO, pavese, dal 1467 al 1529, in Raccolta di cronisti e documenti sto-rici lombardi inediti, a cura di J. MULLER, vol. I, Milano 1856, p. 198, capitolo XXXVIII, “Del retirato exer-cito Elvethico da lo Apenino”. L’interessante manoscritto originale era conservato presso la biblioteca delprincipe Emilio Barbiano di Belgioioso.63 Francois de Foix-Candale era figlio di Gaston II de Foix-Candale, discendente da un ramo cadettodella casata di Foix che aveva preso il titolo di signori di Candale ( in origine Kendal, località nel norddell’Inghilterra) per via del matrimonio del nonno, Jean de Foix, con l’inglese Marguerite di Pole-Suffolk,contessa di Kendal. Come riferito dal LA CHESNAYE, nel suo Dictionnaire de la Noblesse, Paris 1783,Tome XIII, pp. 345-351, Francois de Foix-Candale, fu al servizio di Francesco I di Francia in tutte le cam-pagne di guerra italiane e morì, ucciso da un’archibugiata in uno scontro con gli spagnoli vicino a Napolinel 1528, all’età di circa 35 anni. Anche il MONTLUC, nei suoi Commentari, Paris 1864, Tome I, pp. 91-96, descrive l’episodio e cita il signore di Candale, definendolo “captat de Buch”, titolo onorifico dato aifigli maggiori della famiglia e con il quale era definito Gaston I de Foix, grande capitano del XIV secolo.

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mandanti confederati avevano deciso di passare il Po presso Casale per occupareAsti e, con arroganza, avevano ordinato al castellano di “…subito spedire alla voltadi Pontestura tutte le barche dè Civassini esistenti sopra il Po, una quantità di tavole, ed altrilegni, e gli uomini necessari ad oggetto di formare colà un ponte sopra il Po…” 6.

Quella volta i chivassesi si salvarono dal saccheggio e, ben contenti della gra-zia ricevuta, innalzarono l’altare in onore di Sant’Antonio, solennizzando la suafesta con una processione da fare ogni anno il 13 di giugno 7.

A distanza di due anni dallo scampato pericolo gli svizzeri, nell’estate del1515, sarebbero ritornati per sbarrare il passo ad un’altra calata francese ma perl’esercito elvetico quella campagna, nata tra le discordie, sarebbe finita con unaumiliante ritirata che avrebbe travolto, al suo passaggio, paesi e città. Dense nu-vole nere si andavano accumulando sul futuro della comunità di Chivasso, cono-sciuta non solo per le numerose botteghe di artigiani, orafi e pittori ma anche perle sue locande in cui i forestieri di passaggio trovavano buon cibo e robusto vinodel Monferrato; sulla sua gente stava per abbattersi una tragedia dalle proporzionimai viste e non più eguagliata, in ferocia, dai numerosi assedi che si sarebbero an-cora combattuti sotto le sue mura nei secoli a venire.

Le cronache locali

Paradossalmente fu proprio in una locanda che si giocò il destino di Chi-vasso e della sua gente. Ciò che avvenne all’insegna della Cerva, antica osteria chedava vitto e alloggio ai viaggiatori che si fermavano nel borgo di San Francescofuori le mura, a poca distanza dalla strada che da Torino portava a Vercelli, fu unavera e propria nemesi collettiva per le colpe di pochi sciagurati. Le origini dellavicenda furono descritte per i posteri su una copia degli Statuti del Siccardi da unanonimo cronista chivassese, il quale volle precisare le responsabilità dell’acca-duto, scrivendo i nomi degli incauti concittadini che avevano portato alla rovinaun’intera comunità.

Il testo originale così racconta quella triste giornata: “Il 19 agosto 1515 ci fu ladistruzione di Chivasso per opera dei Teutonici che uccisero 1.500 uomini tanto del borgo di

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6 Ibidem, pp. 795-797.7 La prima menzione di questa festività compare infatti negli Statuti di Chivasso del 1533 che nel capi-tolo riguardante le festività religiose intitolato “De sanctificatione festorum et qualiter” parla dell’istituzione dellafestività di Sant’Antonio da Padova, descrivendo l’episodio che portò alla sua istituzione proprio in oc-casione dello sventato pericolo svizzero, il 13 giugno 1513. Due anni dopo, nonostante la processione alui dedicata, la protezione del santo non sarebbe bastata a fermare l’eccidio…

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tenuta in una lettera scritta dal corrispondente mediceo a Torino, Raffaello Gi-rolami, tra il 18 e il 21 agosto che riferisce interessanti particolari sulla vicenda:“…Adesso è il 19 e si sente dire che quando ieri sera gli Svizzeri si sono alloggiati verso Seliso( Settimo), a cinque o sei miglia da qua (Torino) verso Chivasso, c’era con loro il signore diquei luoghi, mandato dal duca di Savoia per un incontro e quelli del luogo sembra che richiuserola porta (del ricetto) e non vollero fare entrare neanche il loro signore, ragione per cui (glisvizzeri) presero prigioniero il signore, attaccarono il luogo e successivamente la fortezza ( il ri-cetto) dove i villici si erano ritirati insieme alla moglie del signore e la saccheggiarono e solo conmolta fatica il Nunzio Papale e il Visconti riuscirono a convincerli a lasciarlo libero ( il signoredel luogo) di andare (il mattino dopo) a Chivasso dove sembra che ci sia il Monsignore diCandele con molti villici, risoluti a non farli entrare (gli svizzeri)…” 61. Secondo il Giro-lami quindi, il saccheggio di Settimo non fu scatenato dal ritrovamento dei fantiuccisi ma dal rifiuto a fare entrare gli svizzeri nel villaggio per rifornirsi. Interes-sante, nella lettera, l’accenno ad un signore di quei luoghi (probabilmente il feuda-tario di Settimo) che viene fatto prigioniero e poi rilasciato per l’intervento delnunzio papale (il cardinale Schiner) e di un Visconti (forse Gian Galeazzo, capi-tano milanese) mentre il villaggio, dove si è rinchiusa la popolazione insieme allamoglie del feudatario, viene saccheggiato. Di questo signore non sappiamo nullatranne che fu lasciato libero di andare a Chivasso proprio il giorno stesso delmassacro. Sembra di capire, inoltre, dalla lettera, che gli svizzeri sapessero giàche in quella città avrebbero trovato resistenza; quando questa, effettivamente,ci fu, il cardinale Schiner, che aveva interceduto per far liberare il notabile setti-mese, non si sarebbe rivelato altrettanto clemente nei confronti dei chivassesi.

Né questa fonte né i rapporti svizzeri accennano però alla successiva imbo-scata presso il Rio Martino, tramandata dalla tradizione chivassese che, effettiva-mente, risulta essere l’unica fonte a ricordare l’episodio. Ma se accettiamo pervero il ritrovamento vicino a Settimo dei mercenari morti ( le fonti bernesi nonprecisano il luogo esatto che quindi potrebbe anche essere il Rio Martino) e ipo-tizziamo che questi potessero essere stati uccisi in quell’attacco che gli svizzerivendicarono subito dopo con il saccheggio del luogo abitato più vicino (il villag-gio di Settimo) e se gli autori materiali di quell’aggressione fossero stati gli sfac-cendati civassini indicati dal Borla e non gli abitanti di Settimo, allora potremmoconcludere due cose: che quello che descrivono le cronache svizzere fu l’epilogodella famosa imboscata ricordata dal Borla e che sugli aggressori pesarono, diret-grandine”. Vedi anche J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 448.61 E. USTERI,Marignano, die schicksalsjhare 1515-1516 im blickfeld der historischen quellen, Zurich 1974, p. 327e nota 38 in cui l’autore cita i documenti italiani contemporanei ai fatti.

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Chivasso quanto degli altri villaggi vicini, e fu per causa dell’egregio Fabiano Bianchetti e del-l’egregio Giovanni Maria de Serono; e il detto Giovanni de Serono fu la sola causa di tutti imali insieme con Fabiano. Andarono al Rio Martino con un grande esercito (!), e vi ucciseromolti Teutonici (svizzeri) che avevano un grande tesoro; poi misero a fuoco la locanda dellaCerva, ove erano circa cinquanta Teutonici, e uccisero molti dei sopraddetti, altri ne trasseronel castello, e così furono la causa della distruzione del castello di Chivasso; il detto GiovanniMaria si rinchiuse nella grande torre con Bolognino de Angelino, Giovanni de Simo, il preteGaspare de Serono e Melchiorre de Simo e con molti altri del detto luogo, e questi volevano mar-ciare verso gli assalitori, altri, invece, li volevano scacciare dalla torre. La fine fu la conseguenzadi una vita vissuta male, perciò, per primo fu ucciso Fabiano Bianchetti” 8.

Con l’abile penna del Borla, la storia, già ripresa dal Siccardi, fu arricchita dimolti particolari, trasformandosi in un grande, tragico affresco tracciato con no-tevole abilità narrativa: “Prevenne l’inaspettato arrivo dell’Armata Elvetica in Chivassoun distaccamento con alcuni Equipaggi del Cardinale, fra li quali inchiusa si credeva da al-cuni sfaccendati Civassini la Cassa Militare, della quale speravano farne ricco bottino. Assa-lirono pertanto i loro custodi, e ritrovata in essi una forte resistenza, desistettero dall’attentato,e si diedero alla fuga. In Chivasso attesero li agressori, (quali furono li nobili fratelli GiòMaria e Gaspare Serono, il di loro cognato Fabiano Bianchetti, Bolognino Angelino, Mel-chiorre Simo e qualche altro ozioso) il distaccamento, il quale era composto di cinquanta circaarmati, che albergarono nell’Osteria della Cerva nel Borgo di San Francesco, e colle armi allamano assalirono nella detta Osteria li Elvetici, e trucidarono una parte di essi. Essendosi liresidui parte dati alla fuga, e parte nascosti sopra i soffitti delle camere dell’Osteria dai qualifurono snidati per mezzo del fuoco acceso ai quattro di lei angoli e fatti prigionieri, li condus-sero nel Castello. Ragguagliata la Credenza dell’impensato successo, determinò placare li El-vetici cò danari, acciò vendicata non fosse la particolare colpa coll’universale castigo degl’innocentiCivassini. Comunicarono li Rettori del pubblico questa sua determinazione al Ducale Castel-

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8C.VITTONE, Casa Savoia, il Piemonte e Chivasso, Torino 1904. Il Vittone trascrive un’annotazione in la-tino presa a margine del foglio 22 di una copia degli Statuti del Siccardi esistente nell’archivio dei fratiagostiniani nel convento di san Nicola a Chivasso: “Nota quod die 19 Augusti 1515 fuit destructio Clavaxji,vidilicet per Theutonicos et occiderunt mille quingenti homines tam de borgo Clavaxji quam de aliis villis, que prope sunt,et fuit per defectum egregji Fabiani Bianchetti et egregji Joannis Maria de Serono; et dictus Joannes de Serono fuit causa deomni malo una cum Fabiano, ex qua causa abierunt ad regem Martinum cum magno exercitu, et illic occiderunt multosTheutonicos, qui abebant magnum thesaurum; postea ignem miserunt hospitio Cerve, ubi erant circa quinquaginta Theu-tonicos, et occiderunt multos de supradictis, alii vero posuerunt in castro, et ita fuerunt causa destructionis castri Clavaxji;dictus Joannes Maria reduci se in turri magna una cum Bolognino de Angelino, Joanne de Simo et presbitero Gaspare deSerono et Melchiorre de Simo cum multis aliis de dicto loco, et ipsi incedere volebant versus istorum, alii vero eiscere vole-bant de turre. Finis male claudit, mala vita sequitur proinde occisus fuit Fabianus Bianchetti primus”. Il Borla, egli stessoagostiniano, descrivendo l’episodio, cita in nota il manoscritto, precisando che faceva parte della copiadegli Statuti appartenuti alla famiglia Crova di San Raffaele.

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Il giorno del massacro

Il Borla, riprendendo il racconto dell’anonimo cronista, scrive che i guai eb-bero inizio con l’imboscata, tesa a scopo di rapina, da un gruppo di chivassesi al-l’avanguardia svizzera presso il Rio Martino, un corso d’acqua tra le attualiBrandizzo e Settimo che fin dal medioevo aveva visto sulle sue rive frequentipassaggi e bivacchi di eserciti con i loro strascichi di violenze. Il luogo, forse giàabitato in epoca romana, era sede anche di un antico priorato dipendente dall’ab-bazia di Vezzolano, molto frequentato dai viaggiatori che utilizzavano la stradache da Torino portava a Vercelli e si prestava effettivamente bene ad un agguatoperché circondato da fitta boscaglia e da alcune lanche paludose originate da unramo secondario del Po, oggi scomparso. Vi erano inoltre alcuni cascinali, sortiintorno alle chiese di San Martino e San Lorenzo (in parte ancora oggi esistenti)che, all’occorrenza, avrebbero potuto costituire un punto di sosta e di ristoroper delle truppe in marcia 59.

Il Borla e gli altri storici locali successivi tacciono su un episodio che avvenneil giorno dell’agguato e che forse costituì la scintilla che diede fuoco alle polveri:secondo le cronache bernesi, il 18 agosto le avanguardie dell’esercito svizzero inritirata da Torino giunsero davanti al piccolo borgo di Settimo, trovandovi assas-sinati alcuni compagni d’arme che avevano preceduto il grosso delle truppe allaricerca di bottino. Durante la marcia, infatti, nonostante la costante presenza aifianchi delle colonne elvetiche di drappelli di cavalleria francese che li incalzavanocon il duplice scopo di provocarli al combattimento e di tenere d’occhio il loromovimento verso il milanese, gruppi di soldati condotti dai loro stessi ufficiali sierano dispersi per il territorio attraversato, seminando il terrore tra le popola-zioni.

Secondo le fonti bernesi, il ritrovamento dei corpi dei connazionali da partedelle forze dell’avanguardia innescò un’immediata rappresaglia contro il borgo diSettimo che venne preso e saccheggiato senza misericordia, prima che soprag-giungesse il grosso dell’armata 60. Una diversa versione dell’avvenimento è con-

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59 S. BERTOTTO, Terra d’acqua per una storia di Mezzi Po, Settimo T.se 2002, pp. 24-25, 69. Nella localitàsorgevano due chiese, una dedicata a San Lorenzo, dipendente da Santa Maria di Vezzolano, l’altra inti-tolata a San Martino, protettore dei viandanti e dei pellegrini. L’autore ringrazia il dott. Bertotto per i sug-gerimenti sull’argomento.60 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 107. Il titolo del capitolo che parla del saccheggio di Settimo esuccessivamente di quello di Chivasso è: “Dass in Pemont die stat Septima und Tschawats von Eidgnossen inge-nommen und geplundret, und ouch si mit einem grossen hagel geschlagen wurden”, “Come furono conquistate e sac-cheggiate le città di Settimo e Chivasso dai Confederati e come furono colpiti da una tempesta di

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lano, il quale non solamente la disapprovò, ma obbligò li Civassini a fare tutta la possibile re-sistenza all’armata, ogniqualvolta tentato avesse l’ingresso in Chivasso. Chinarono il capo liRettori ai comandi del loro Superiore, ben prevedendo, che condotti sarebbero stati al macello,ciò non ostante si adunarono tutti li abili alle armi, e chiamata una quantità di uomini dallevicine terre si allestirono alla difesa. L’indomani, che fu il 19 di Agosto, giunse in vicinanzadelle mura il Cardinale Schiner colla sua Brigata il quale ragguagliato dell’attentato, e mortedè suoi soldati giurò vendicarne l’affronto. Dispose egli l’armata attorno Chivasso, ed atterratauna parte delle mura colle artiglierie, delle quali li Civassini ne erano allora privi, riescì alCardinale per mezzo delle formate breccie, entrarvi co’ suoi soldati.Si avventarono tosto sopra gli assediati, e nonostante la brava loro resistenza, rimasero li El-vetici vincitori, perché molto superiori di forze, coll’estinzione sul campo di millequattrocento epiù armati, e del predetto Fabiano Bianchetti, che la faceva da generale capitano. Non ancorasodisfatto della seguita sanguinosa battaglia ordinò il Cardinale il sacheggio, e l’incendio ditutte le case. Seguì tosto il barbaro sacheggio, senza verun rispetto alle Chiese, e case dè Rego-lari, al quale sarebbe seguito senza fallo l’intiero incenerimento di tutti li Borghi se alle repli-cate preghiere esposte al Signore Iddio, ed al barbaro Cardinale dai Regolari di San Bernardino,e San Nicolò in specie, come scrisse il Sicardi, mosso non avessero il crudo di lui cuore ad or-dinare lo spegnimento del fuoco già appiccato in vari luoghi dè riferiti Borghi.Informato poi egli a pieno degli autori della funesta tragedia, nella quale poi conobbe, non avereavuto veruna parte il pubblico, tentò tutte le strade per averli nelle mani; ma non li riescì l’in-tento perché dalla Torre del Castello, ove si erano rifuggiati pendente il sanguinoso conflitto, rie-scì loro sottrarsi colla fuga…” 9. Al termine del racconto il Borla, per completare ilquadro, descrive il saccheggio dell’archivio comunale ( un fatto ricorrente nelletormentate vicende chivassesi e che ritroveremo nei successivi assedi, compresoquello del 1705): “Spogliati interamente furono li residui Civassini delle loro sostanze, dèlibri giornalieri li Mercanti, delle scritture tutti i particolari. Portatisi poi li furibondi Elveticinel Palazzo del pubblico e penetrati nell’Archivio, ove custoditi erano i pubblici scritti, in fortiscrigni, muniti di più chiavi, figurandosi eglino, che in essi rinchiuse fossero le più preziose so-stanze, si del pubblico, che privato, a colpi di scure spaccarono i legni, e non avendosi ritrovatoche carte, e pergamene, sfogarono con esse l’innata loro ferocia, consegnarono alle fiamme le une,lacerarono, e gettarono nella pubblica contrada le altre ad essere calpestate dall’indomita armata,ed in questa guisa privato fu il pubblico, ed il particolare dè più antichi preziosi ed utili docu-menti, con grandissimo stento, e gelosia sottratti dal furore delle precedenti guerre. E se ancoraa giorni nostri evvi qualche antico fragmento, tutto l’obbligo averlo dobbiamo al già menzionatoDottore Siccardi, che tutta l’attenzione si diede nel raccogliere quanto ha potuto sottrarre dal

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9 G. BORLA, Memorie, cit., pp. 799-804.

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probabilmente spinto dal desiderio di vederli andare via il più in fretta possibiledalle sue terre, non permise loro di sostare in città né di rifornirsi di viveri, fortedel fatto che i francesi presidiavano in forze le mura; anzi, preoccupato dalle vio-lenze commesse da quegli insaziabili mercenari ai danni dei suoi sudditi, ordinòdi chiudere le porte delle altre città attraversate. Questo fu un errore fatale per-ché il comportamento poco amichevole del duca irritò gli svizzeri che, a quelpunto, sapevano di attraversare un territorio ormai ostile; costretti a costeggiareil fossato di Torino, presero la strada che attraversava la Dora dirigendosi versoSettimo sotto gli occhi e le provocazioni di migliaia di soldati francesi e covandouna pericolosa sete di vendetta 57.

I due eserciti smaniavano dalla voglia di mettere mano alle armi e ci furonoeffettivamente alcune scaramucce durante la marcia perché la cavalleria francesecaracollava continuamente tra le due colonne svizzere, uccidendo i soldati sban-dati (pratica molto diffusa anche tra la gente di campagna che si rifaceva cosìdelle angherie subite) 58. Entrambi i contendenti, però, erano coscienti della forzadell’avversario: gli svizzeri, senza cavalleria, erano preoccupati di mantenere com-patti i loro ranghi in modo da poter dispiegare in qualsiasi momento i micidialiquadrati di picchieri, i francesi invece, nonostante un rapporto di forze superioredi 3 a 1 e una numerosa ed agguerrita cavalleria, ricordavano ancora troppo benele sanguinose sconfitte subite per mano di quegli spietati mercenari per azzardareuno scontro in campo aperto.

Il ripiegamento di un esercito di oltre 20.000 uomini, tallonato dal nemico inun territorio che non offriva più alcun sostegno logistico era certamente unacosa difficile; se, poi, questo esercito era formato da mercenari che non avevanoancora avuto occasione né di combattere né di percepire il soldo e vi serpeggia-vano l’indisciplina e una preoccupante propensione al saccheggio mescolate amalumore e frustrazione, la miscela risultava esplosiva. Una semplice provoca-zione o un rifiuto avrebbero potuto innescare una reazione a catena capace di fareesplodere la violenza più inaudita; a poche miglia da Torino la scintilla del grandeincendio che avrebbe divorato la placida comunità di Chivasso, alla fine, scoccò.

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57 Ibidem, p. 448.58 Ibidem, p. 448.

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calpestio dell’armata, e riconsegnare al pubblico Archivio…” 10.Dopo il saccheggio degli svizzeri, secondo il Borla, ce ne fu un secondo più

subdolo, ad opera di sciacalli introdottisi in città approfittando della confusione :“All’ Elvetico saccheggio succedè la rapina dei forestieri accorsi non in sussidio dè Civassini,ma a terminare di svaliggiare le loro Case, ed impadronirsi di quelle abbandonate dai defuntiBorghesi, che poi dovettero abbandonare, e riconsegnare le depredate sostanze ai rispettivi Pa-droni per ordine del Vicario…” 11. Alla restituzione dei beni razziati fu costrettaanche Ivrea che aveva avuto la faccia tosta di commerciare con gli svizzeri pochigiorni dopo il massacro: “Successivamente umiliò la pubblica Credenza una supplica alSerenissimo Duca, e favorevole ne rapportarono il decreto contro li cittadini d’Ivrea, li qualiobbligati furono tosto riconsegnare ai di lei deputati e mediante la restituzione del vilissimoesposto prezzo, le Merci dei Mercanti, e sostanze tutte dè Civassini accomprate dai soldati El-vetici…” 12.

Alla fine, alla Pubblica Credenza non rimase altro che tentare di far punire ipochi colpevoli ancora in vita e così il Borla conclude il suo racconto: “Espose al-tresì al Sovrano un ricorso contro il Castellano, e contro li descritti autori della tragedia, accu-sando in primo luogo il Castellano, che obbligò di propria autorità li Civassini a far fronteall’Armata Elvetica, molto maggiore in forze. Secondariamente perché non volle permettere aisoldati del Castello che assistettero i Civassini nella difesa della Patria, anzi si chiuse egli còsuoi nel detto Castello, e volle esser spettatore della Torre maggiore della tragica scena. Terzo,perorò affinchè confiscati fossero i beni tutti degli autori, e devoluti al pubblico in risarcimento,almeno in parte, dè danni sofferti. In seguito a questo ottenne la Credenza la confisca, e la su-bitanea rimozione del Castellano, al quale fu imposto di consegnare le chiavi del Castello ai Con-soli, e Credendari sostituiti nell’ufficio al Castellano, che ricevettero li 27 settembre, espontaneamente rinunciarono li 20 dicembre dello stesso anno al Chiavaro di esso Castello, cheli ricevè a nome del Sovrano” 13.

Anche il re di Francia, accampato con il suo esercito nei pressi di Milanodove sperava di concludere definitivamente la pace con gli svizzeri, si interessòin qualche modo al tragico destino di Chivasso, informato dai suoi stessi coman-danti in campo che, come vedremo, in qualche modo, vi erano rimasti coinvolti:“Pendente la riferita Carneficina, soggiornava Francesco primo in Milano, il quale informatoa pieno del successo, fè intendere ai Civassini, per mezzo di alcuni suoi Cortigiani, che daquella città si portavano a Parigi, di presentarsi alla Reale di lui persona, dalla quale rappor-

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10 Ibidem, pp. 806-807.11 Ibidem, p. 807.12 Ibidem, p. 807.13 Ibidem, pp. 807-808.

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la ritirata generale verso Rivoli, lasciando così liberi tutti i passaggi tra le monta-gne.

I capitani elvetici, per sveltire la marcia, avevano ordinato di inchiodare ipochi pezzi di artiglieria ed abbandonarli tra Saluzzo e Pinerolo ma i soldati nonvollero obbedire e, nonostante la carenza di animali da tiro, continuarono a tra-scinarli faticosamente a forza di braccia 56; questo particolare, nella nostra storiaè importante perché, pochi giorni dopo, quei cannoni, puntati contro le vecchiemura paleologhe di Chivasso, avrebbero facilitato il “lavoro”ai loro proprietari.

Il duca di Savoia, nonostante fosse obbligato dal trattato di alleanza a daresostegno agli svizzeri, di fatto continuava a mantenere un atteggiamento ambi-guo nei loro confronti che non giocava certo a sostegno delle popolazioni pie-montesi incontrate sul cammino dell’esercito in ritirata; la confusione aumentòancora di più quando Carlo II accolse con tutti gli onori il nipote Francesco I,aprendo le porte di Torino alle truppe francesi e richiudendole, come vedremo,in faccia agli svizzeri. Purtroppo però il duca non piaceva neanche al re di Fran-cia che gli aveva richiesto sostegno alla sua impresa italiana senza riceverlo; ora,però, che aveva rinnovato agli svizzeri le sue offerte di pace approfittando delleloro divisioni interne, era costretto a coinvolgere lo zio nelle trattative.

Il 17 agosto un messaggero del duca di Savoia cavalcò fino a Rivoli per con-segnare ai capitani elvetici due lettere, una di Francesco I (contenente i terminidella pace) e l’altra di Carlo II (con il sostegno diplomatico alle trattative); le pro-poste francesi che prevedevano il pagamento di tutte le somme reclamate daglisvizzeri, un vitalizio per Massimiliano Sforza in cambio della cessione dei suoi di-ritti sul ducato di Milano e il reclutamento immediato di 4.000 mercenari, getta-rono ancora una volta lo scompiglio fra le fila confederate, spaccandoulteriormente in due le truppe, divise tra antifrancesi ( capeggiati dall’infaticabilecardinale Schiner) e filo francesi (tra i quali c’erano i bernesi di Albert vom Stein).

Inutili furono le esortazioni del legato papale ad unire le forze per battere ifrancesi sul campo e conquistare gloria e potenza; la maggioranza preferiva unaritirata ingloriosa e senza onore contro gli impegni presi dalla Dieta pur di avereun tornaconto personale.

Le allettanti offerte francesi non vennero respinte e le due parti si accorda-rono per continuare le trattative a Vercelli con la mediazione del duca di Savoia;ci fu uno scambio di salvacondotti per garantirsi la via di ritirata e l’esercito sviz-zero, diviso in due colonne, il 18 agosto si mise in marcia verso Torino. Nono-stante le promesse di pace, il duca di Savoia non si fidava degli svizzeri e,

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56 J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 446, nota 139.

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tato avrebbero una congrua indennizzazione. Spediti tosto furono dalla pubblica Credenzadue Credendari in Torino, per impetrare l’aggradimento del Sovrano, ad oggetto poi di trasfe-rirsi in Milano. Accordò il Serenissimo Duca la loro andata per Milano, ma con ciò però chel’indennizzazione bramata, chiedere la dovessero a nome dè particolari, e non a quello del pub-blico per li motivi a lui noti. Desiderando il Cristianissimo a nome del pubblico, delusi rima-sero li Civassini delle loro speranze” 14.

Il Borla, a completamento del racconto e dopo avere precisato che avevatratto le notizie dalle cronache e dalle Reformazioni, all’interno della narrazioneinserì anche una diversa versione dei fatti: “Monsignore Giovio vescovo di Nocera nellibro 15 della sua Storia così il riferisce- Perché di continuo essi, (cioè li Elvetici) marciandosecondo il loro costume, ristretti in ordinanza il secondo giorno per viaggio arrivarono alla no-bile terra di Chivasso; perciocchè essi credendosi di avere li uomini della terra amici, fecero pen-siero, e disegno di rinfrescarsi con le vettovaglie, e sostanze loro. Ma gli uomini di Chivasso, oper paura, che la terra non andasse a sacco, se essi ricevevano così grande moltitudine o mossidall’amicizia dè francesi, siccome quelli, che grandemente si confidavano nelle loro forze, e nellemura loro, serrarono le porte, avendone crudelmente ammazzato alcuni, i quali poco dianzierano entrati per domandare vettovaglie, e ciò con grande arroganza, che se ne ferirono alcunicon le saette, li quali disavvedutamente andavano sotto le porte per favellare seco. Perché gli sviz-zeri sdegnati per queste ingiurie, subito piantarono le artiglierie, e gettato a terra una parte delmuro, prestamente entrarono dentro per le rovine, e con una furia ne tagliarono a pezzo più diseicento, i quali erano in armi, e saccheggiarono le case, ed essendo adirati non avrebbero per-donato ai tetti, se il Sedunese [il cardinale Schiner, così chiamato perché vescovo diSion, nel Vallese] pregato di ciò da Galeazzo, e dal Gambara generale dei Milanesi, facendovista, che i francesi venissero, perciocché per avventura i cavalli loro che scorrevano innanzi sierano presentati, subito non avesse fatto suonare i tamburi, e dare alle armi. Per il qual casoessendo usciti fuori dalle porte al segno, che gli era dato per mettersi in battaglia, poco dappoiacchettati e pacificati li animi loro, e per la grande uccisione delli uomini della Terra, e per lamoltitudine della preda, ed anco per lo spazio del tempo, salvarono li Edifici. Avendo dunquerinfrescato l’esercito, con la dovizia di tutte le case da Chivasso ne andarono a Ivrea, poi a Ver-celli…” 15.

Certo questa è, come vedremo più avanti, la versione che più si avvicina allevarie testimonianze dei contemporanei. La storia della banda di chivassesi oziosi,capitanati da soggetti di buona famiglia che, non avendo di meglio da fare, hannol’ardire di assalire l’avanguardia di un esercito di oltre 20.000 uomini temprati

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14 Ibidem, p. 809.15 Ibidem, pp. 804-806.

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del teatro di guerra italiano subito dopo il trattato con il re di Francia nel settem-bre di quell’anno.

Dopo altri tre consigli di guerra, nei primi giorni di agosto sembrò comun-que che gli svizzeri avessero deciso finalmente per l’occupazione dei passi alpiniprincipali; vennero inviati piccoli contingenti lungo le strade del Moncenisio e delMonginevro dove ci si aspettava sarebbero passati i francesi e il grosso dell’eser-cito fu distribuito tra Avigliana, Rivoli e Pinerolo, in modo da avere sotto con-trollo gli sbocchi in pianura delle valli Susa e Chisone.

Il re di Francia, intanto, radunato un esercito di circa 55.000 uomini (il piùgrande mai allestito dai sovrani francesi per una campagna italiana), rinforzato daun grosso parco di artiglieria e da numerosa cavalleria, si era messo in marcialungo la valle della Durance e, dopo aver mandato alcuni reparti verso il Mon-cenisio e il Monginevro per confondere gli svizzeri sui suoi movimenti, attra-versò con il grosso dell’armata il passo dell’Argentera, entrando in Piemontemolto più a sud delle linee elvetiche. Gli svizzeri che avevano avuto sentore diqueste manovre e avevano mandato in perlustrazione verso Saluzzo la cavalleriamilanese di Prospero Colonna, furono colti dal panico quando, il 14 agosto, unforte distaccamento di cavalieri francesi al comando del La Palisse sorpresero i1.500 uomini del Colonna a Villafranca, costringendolo alla resa 54. Una colonnadi soccorso di 4.000 “knechte” 55 fu inviata a marce forzate verso Villafranca maquando gli svizzeri, il giorno dopo, arrivarono nel borgo lo trovarono aperto edabbandonato, le vie cosparse di cadaveri; a quel punto la tentazione di un facilebottino fu talmente forte per i mercenari che questi misero a sacco le case, raz-ziando qualsiasi cosa su cui riuscirono a mettere le mani e ritirandosi poi versoPinerolo.

In pochi giorni il dispositivo svizzero di difesa dei passi alpini era stato ag-girato e ora, per evitare di essere presi alle spalle, i confederati decisero di con-centrarsi su Pinerolo da dove, riuniti, avrebbero potuto attaccare i francesi inarrivo; ma la discordia ancora una volta ebbe il sopravvento e, alla fine, fu decisa

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54 Prospero Colonna (1452-1523) era uno dei condottieri italiani più famosi, appartenente ad una dellefamiglie nobili più in vista di Roma e del Lazio. Fatto prigioniero dai francesi a Villafranca quasi senzacombattere, disse ai suoi carcerieri che lo conducevano in Francia “è un paese che ho sempre voluto vi-sitare”. Liberato successivamente, nonostante fosse già avanti negli anni continuò a servire il Papa comecomandante di cavalleria e fu l’artefice della vittoria contro i francesi alla Bicocca nel 1522. Morì a Mi-lano l’anno successivo stremato dalle fatiche di una vita passata sui campi di battaglia.55 Termine tedesco per indicare i fanti volontari aggregati all’esercito, letteralmente “servitore”. Lo si ri-trova anche nella parola Landknecht indicante i mercenari tedeschi che, nello stesso periodo, servivanosotto le bandiere del re di Francia, meglio conosciuti in Italia come Lanzichenecchi.

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alla guerra non viene nemmeno presa in considerazione, anzi, ci sono alcuni ele-menti nel racconto che potrebbero far pensare all’esistenza di un forte partitofilo-francese, almeno tra i nobili chivassesi, così da confermare, indirettamente,una precisa volontà d’intenti e quindi le pesanti accuse di responsabilità del mas-sacro mosse a Fabiano Bianchetti e compagni nella prima versione dei fatti.

Sul coinvolgimento effettivo di questi personaggi e sulla dinamica degli eventiesistono però delle prove ben precise contenute nelle Reformazioni citate dalBorla che, fortunatamente, si sono in parte conservate; sono gli unici documentilocali contemporanei che ci possono aiutare a gettare più luce sui fatti e, comevedremo, serbano tuttora tra le righe notevoli sorprese. Lo scopo di questo stu-dio, infatti, non è solamente una semplice rilettura di storie già note ma è ancheil tentativo di ricostruire quella tragica giornata ampliando il campo della ricercaa partire dalle fonti locali, mai esplorate, fino ad arrivare alle cronache dei con-temporanei e alle relazioni, in gran parte sconosciute, scritte dagli esecutori ma-teriali del massacro, gli svizzeri.

A proposito di questi ultimi, per continuare nel racconto dobbiamo fare unsalto indietro e inquadrare la loro venuta all’interno della situazione politica del-l’epoca, per conoscerli da vicino e cercare di capire perché, in quel lontano giornodi agosto di cinque secoli fa, 20.000 irritabili mercenari, provenienti da tutte le val-late della Confederazione elvetica e comandati da un cardinale con la vocazioneper le armi, scatenarono la loro ira su una città appartenente ad un alleato, sep-pur riluttante, come il duca di Savoia.

La nascita della potenza militare elvetica

E,’ indubbiamente, il 1477 l’anno che segna l’inizio della potenza elvetica inquanto macchina bellica in grado di sconfiggere qualsiasi esercito sul campo dibattaglia e imporsi, agli occhi dell’Europa, come serbatoio di mercenari da ingag-giare in cambio di un compenso in denaro; compensi che diverranno sempre piùelevati di pari passo con la crescente consapevolezza del prestigio militare acqui-sito e della cupidigia generata dalla ricchezza accumulata. In quell’anno nella bat-taglia di Nancy, il duca di Borgogna Carlo il Temerario perdeva la vita, i suoicavalieri e il suo splendido regno sulle picche dei quadrati della fanteria svizzera.

Mentre la battaglia di Morgarten, combattuta un secolo e mezzo prima, avevasignificato per i tredici cantoni l’affermazione della loro identità di nazione li-bera e indipendente dal potere asburgico, quella di Nancy segnò la fine della ca-

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quam solvantur nobilis Laurentio de Ferrarijs, Paganino de Platis et Bernardino Sicardi”, cheavevano tenuto il conto dell’alloggiata in città dell’armata elvetica, “in allogiandoelvetios…per eorum labore pro tesauro comunitatis et incomputorum suis intrabitur” 51. Perquanto riguarda, infine, il vitto di un numero così elevato di uomini troviamo unaltro indizio il 22 ottobre 1515, quando la città era già stata saccheggiata e si sta-vano ancora tirando le somme della catastrofe; una delibera di quel giorno auto-rizzava il rimborso per i grandi quantitativi di carne che il beccaio BernardinoMassazia aveva somministrato per ordine della comunità agli svizzeri (e eviden-temente anche ai francesi), “propter adventum elvetiorum et gallorum”, quando questiavevano tenuto consiglio a Chivasso, “pro certum tempus quia forenses fecerunt becha-rias in Clavaxio” 52. Il riferimento ai francesi, “gallorum”, sembrerebbe confer-mare che la duchessa di Angouleme o i suoi emissari soggiornaronoeffettivamente in città.

Il consiglio di Chivasso, nonostante le aspettative, non era servito a chiarirele idee ai confederati anzi aveva gettato ancora più confusione sui loro intenti; al-lettato sia dalle proposte francesi che dalla voglia di fare quello per cui erano statichiamati, cioè combattere in difesa del ducato di Milano, l’esercito svizzero con-tinuò a temporeggiare, vivendo sulle spalle delle popolazioni disperso tra Sa-luzzo, Pinerolo e Torino nell’attività più completa e nell’attesa dei francesi. Ilcapitano Albrecht vom Stein, convinto assertore di una guerra estesa ( a diffe-renza di quanti volevano solo la difesa della Lombardia) e che aveva descrittocosì efficacemente lo sbandamento in atto tra le truppe, divenne ben presto vit-tima della sua stessa convinzione. Inviso a molti suoi compatrioti, il 24 luglio, aMoncalieri, fu aggredito da alcuni ufficiali di Schwitz e Glarona nei suoi allog-giamenti e solo grazie all’energico intervento di altri ufficiali e del cardinale Schi-ner (che affrontò i facinorosi lancia alla mano) il capitano bernese fu salvato daun probabile linciaggio; la sommossa era stata pilotata proprio da quanti volevanoritirarsi dal Piemonte per andare a tenere le posizioni nel ducato di Milano, unicovero obiettivo elvetico in Italia e vedevano in vom Stein un traditore della causaconfederata 53. L’episodio minò ancora di più l’unità dei reparti svizzeri e con-vinse Albrecht vom Stein a dissociarsi sempre di più dall’impresa; lui che fino aquel giorno era stato l’elemento decisivo nei tanti consigli di guerra ora, disgu-stato dal comportamento dei suoi compatrioti, avrebbe seguito le sorti della cam-pagna con distacco fino all’abbandono definitivo, insieme al contingente bernese,

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51 Ibidem, f. 3, “Die undecima augusti”.52 Ibidem, f. 8, “Die lune XXIJ octobris”.53 J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, pp. 436-437.

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valleria medievale e l’inizio di un nuovo modo di fare la guerra; il quadrato for-mato dai fanti armati di picca, sarebbe divenuto un modello esportato a pesod’oro dagli intraprendenti montanari svizzeri che, presa coscienza delle loro po-tenzialità belliche proprio all’indomani della disfatta borgognona, si sarebberoinseriti ben presto e con forza nei delicati equilibri politici europei e italiani in par-ticolare.

Già nel 1500 gli svizzeri avevano accettato di aiutare Ludovico il Moro a ri-prendersi il ducato dopo che, l’anno prima, Milano era stata presa e saccheggiatadai francesi; l’intervento era la naturale continuazione di un secolo di espansionenelle regioni a sud dei passi alpini che li aveva visti impadronirsi del Ticino, dellaValtellina e, seppure temporaneamente, della val d’Ossola. Nel 1503, con la pacedi Arona, Luigi XII re di Francia riconosceva loro anche il possesso di Bellinzonae la Confederazione, sempre più forte delle sue armi, accarezzò l’idea di esten-dere il suo protettorato al ducato di Milano. I suoi mercenari, intanto, continua-vano a combattere per chiunque pagasse loro un cospicuo ingaggio e, diconseguenza, sui campi di battaglia del nord Italia spesso capitava che contingentisvizzeri combattessero contro altri contingenti svizzeri.

Il mercenariato, favorito dalla povertà dell’economia interna delle valli al-pine, trovava terreno fertile in una popolazione abituata da secoli a difendere dasola la propria libertà e quindi capace di combattere in modo feroce per la purasopravvivenza. Il fenomeno, già conosciuto fin dalla Guerra dei Cento Anni, as-sunse gradualmente proporzioni così macroscopiche che i cantoni furono co-stretti ad assumerne il controllo; l’arruolamento venne regolamentato in basealle richieste di ingaggio pervenute dai vari sovrani europei, francesi in partico-lare, che pagavano cifre sempre più elevate ai rappresentanti delle comunità. Inpochi decenni, però, il quadro mutò. Gli enormi guadagni fecero crescere l’avi-dità di denaro non solo nei semplici contadini che accettavano di lasciare i loromagri campi per i favolosi guadagni che avrebbero potuto fare in Italia ma, so-prattutto, negli amministratori stessi dai quali dipendeva il controllo del sistema(spesso gli stessi nobili, ufficiali e reclutatori al tempo stesso dei loro compaesani)che, accanto alle leve “ordinarie” accettavano, dietro i lauti compensi elargiti dagliagenti stranieri ( le cosiddette pensioni), levate di “volontari”in numero sempremaggiore; un meccanismo che ebbe il suo apice durante la campagna del 1512,quando il legato papale, il cardinale Schiner, aspettandosi un contingente di 6.000uomini, ne vide discendere dalle vallate trentine 20.000. Questo sovrannumero,così frequente durante le campagne italiane, innescava una serie di problemi dinatura logistica (soldo, vettovagliamento, armamento) e di disciplina che, nel caso46

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solo da introduzione alla parte che a loro premeva di più: la comunicazione del-l’aggressione, avvenuta una settimana prima, ad un convoglio di mercanti luc-chesi sulla strada del Moncenisio da parte dei fanti di Friburgo e Soletta. Il fattoera avvenuto il venerdi’ precedente nei pressi di Rivoli e i 14 muli carichi di pre-ziose sete, trafugati agli inermi mercanti toscani, stavano diventando un incidentediplomatico per la Confederazione perché i lucchesi avevano protestato diretta-mente dal Papa, con il quale avevano, a loro dire, anche legami di parentela 48. Anoi interessa il fatto che i mercanti vennero a Chivasso, il giorno del consiglio, perreclamare la restituzione del maltolto direttamente ai capitani friburghesi cheperò, al pari dei bernesi, avevano notevoli problemi a convincere i loro uominia rinunciare al bottino; questa è un’ulteriore prova di quanto fosse diminuita ladisciplina tra le file confederate e, per contro, stesse aumentando pericolosa-mente il desiderio tra i soldati di arrotondare il soldo con la rapina. Il rifiuto direstituire le merci sottratte, costrinse le due città interessate, Friburgo e Soletta,sotto pressione degli alleati papali, a pagare, dopo la campagna, 4.000 coroneciascuna come indennità ai mercanti di Lucca 49.

La conferma della sosta in città dell’esercito elvetico in quei giorni di lugliola ritroviamo nelle Reformazioni ( gli ordinati comunali) del 1515 compilate dalnotaio Giovanni Simone dell’Isola, scriba comunitatis; il 4 di agosto 1515, infatti,leggiamo che un certo Franciscus Chezij ed un Anthonius (il cognome non èleggibile) supplicavano la Pubblica Credenza di rimborsare i danni, maximun dam-num, provocati nel loro ospizio ( inteso nel senso di albergo per viaggiatori ) daglisvizzeri durante il loro soggiorno chivassese, “propter elvetios logiatos in eorum hospi-ceijs”, tra i quali, sottolineavano i due, vi erano il cardinale Schiner con l’interostato maggiore dell’armata, “cardinalis seduneis cum aliorum capitaneorum” 50. Un altroriferimento alla sosta degli svizzeri e al notevole carico per la città di un similepassaggio lo ritroviamo pochi giorni dopo, l’11 agosto 1515, quando il Consigliocittadino ordinava il pagamento del lavoro svolto da tre credenzieri, “ordinaverunt

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48 F. RUDELLA, Chronik, cit., pp. 421-422. L’aggressione avvenne il 6 luglio 1515; il capitano HansSchmid confermò nella lettera il rifiuto alla restituzione della merce (C66, 1515), “Datum zu Chevas, 13julii…”49 V. ANSHELM, Chronik, cit., pp. 86-87. Il pagamento avvenne infatti solo il 4 agosto 1516, un annodopo i fatti.50 ARCHIVIO STORICO COMUNALE CHIVASSO (d’ora in avanti ASCCH), Libro delle Riformazionianno 1512-1521, fald. 325, fasc. 9, “Chivasso Conseglj 1515”, foglio 3, “Die quarta mensis augusti”. Il fascicolopurtroppo è frammentario e contiene i verbali dei consigli a cominciare dal 1 agosto 1515 fino al 29 di-cembre di quell’anno ma costituisce l’unico documento contemporaneo ai fatti di una certa consistenzaancora esistente.

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degli svizzeri, si sarebbe rivelata difficile da tenere sotto controllo anche a causadella struttura “federale” in cui era suddiviso l’esercito e la tendenza, come sivedrà più avanti, a mettere in discussione qualsiasi decisione sul campo. Ma erano,soprattutto, la carenza di denaro e i mancati pagamenti che irritavano maggior-mente quei formidabili soldati, tanto valorosi e sprezzanti della morte in batta-glia, quanto rapidi ad abbandonare il loro “datore di lavoro” se ritardava il soldo;così, per ovviare ai numerosi inconvenienti che si creavano durante i lunghi per-corsi di guerra, i capi incoraggiavano i loro uomini a rifarsi sul ricco territorio ita-liano che attraversavano, ricolmo, agli occhi di quei rudi montanari, di ogni bendi Dio. Il cardinale Schiner, onnipresente sul suo cavallo con spada e corazza, giàall’inizio della campagna li aveva autorizzati con queste parole “…ciò su cui riu-scite a mettere le mani, consideratelo vostro…” 16; e quei bravi soldati, arrivati dalle lorovalli trascinandosi appresso armi e rifornimenti (cannoni e forme di formaggio),avrebbero ben presto integrato gli uni con l’abbondante artiglieria catturata evenduto per strada le altre, tanto era il cibo che avevano a disposizione in Lom-bardia.

Tutto questo, però, esigeva comunque un pesante tributo in vite umane che,in un paese piccolo e prevalentemente agricolo come la Svizzera, alla lungaavrebbe potuto creare irreparabili vuoti di forza lavoro nella campagne. Nel 1505la Dieta calcolò che gli ultimi anni di guerra, coincidenti con le prime spedizionioltralpe, avevano già mietuto tra le file dei mercenari più di trentamila caduti; ilsistema delle pensioni stava evidentemente risucchiando la linfa vitale della Con-federazione e creando una serie di disagi sociali sempre più profondi. Furonoemanate leggi severe che punivano chi reclutava mercenari in proprio senza l’au-torizzazione federale ma il sistema, lucroso per molti, continuò e lo stesso car-dinale Matheus Schiner, vescovo di Sion nel Vallese, pur conscio dei mali chequesto meccanismo perverso portava nel paese (avidità di guadagno, disparitàsociale tra le città e le campagne, comparsa di abitudini e mode aliene alla tradi-zionale semplicità montanara), avrebbe sfruttato la situazione a vantaggio del pa-pato in funzione antifrancese, dopo che il nuovo pontefice Giulio II della Rovere

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16 A. ESCH, Mercenari, mercanti e pellegrini. Viaggi transalpini nella prima Età moderna, Bellinzona 2005, 1.Mercenari svizzeri in marcia verso l’Italia, p. 54. L’autore cita le lettere del capitano bernese Burkhard vonErlach, scritte dal campo durante le campagne di guerra in Italia. Lo studio del professor Esch, sottoti-tolato “ L’esperienza delle guerre di Milano (1510-1515) secondo fonti bernesi” si basa, principalmente,sullo studio del fondo “Unnutze Papiere”, ovvero carte inutili, dell’Archivio di Stato di Berna (ASB)dovesono conservati i ruoli di truppa, le liste delle spese in campagna, le lettere e altri documenti “poveri” chesi sono rivelati preziosissimi per tracciare in “presa diretta” un efficace affresco umano delle campagnedi guerra in Italia.

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Non siamo in grado di punire i colpevoli di queste malefatte dal momento che essi non ricevonola paga; sono arrivati a minacciare di sgozzare i loro stessi ufficiali venendo all’assemblea conle loro bandiere. Voglia Dio che giri tutto per il meglio!...” 46.

Dopo parole così drammatiche che avrebbero certo fatto impensierire più diun generale in altri eserciti e in altre epoche, la lettera si chiudeva con una breverelazione che rivelava chiaramente la mancanza di preparazione dei comandantisvizzeri, l’eccessiva fiducia nei propri mezzi e l’assenza di un obiettivo strategicopreciso: “…Non abbiamo ancora nessun nemico di fronte a noi; dubitiamo passeranno di qua(i francesi) se siamo così forti, nonostante gli avvertimenti che ci arrivano [!]. I nostri confe-derati da Zurigo sono a Pinerolo con noi (i bernesi); gli altri cantoni marciano verso Chieridal momento che non possono riunirsi a causa [della carenza] dei rifornimenti. Non sappiamoniente di preciso per cui non abbiamo niente da aggiungere. Da Chivasso il 13 luglio 1515.Albrecht vom Stein, Antoni Spilman, Rudolf Senser”.

Tra i personaggi convenuti a Chivasso per quel consiglio, secondo i dispacciche i capitani friburghesi spedirono a casa, c’era, effettivamente, anche Luisa diSavoia, duchessa di Angouleme, sorella del duca Carlo II nonché madre del re diFrancia e decisa fautrice di una pace tra il figlio e la Confederazione; una letteradel 13 luglio, firmata dai capitani Hans Schmid e Peter Raschi e dal luogotenenteHans Krummenstoll, parla chiaramente della richiesta, da parte della duchessa,di una scorta per raggiungere la città, dove era attesa dal cardinale Schiner e dalsuo stato maggiore insieme ai vari messaggeri delle parti in campo 47. Non ab-biamo altre informazioni circa l’effettiva presenza a Chivasso di un simile perso-naggio anche perché le cronache bernesi accennano solo alle richieste che laduchessa aveva rivolto ai confederati e non ad una sua presenza in Piemonte mal’accenno alla sua scorta, fatto dai friburghesi, lascia aperte le possibilità e con-ferma, indirettamente, che emissari francesi fossero davvero presenti al consi-glio.

La lettera dei capitani friburghesi del 13 luglio 1515 non si limitava a riferiredell’importante consiglio, anzi, possiamo dire che quell’avvenimento servisse

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46 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, pp. 87-88, “Missif ab disem tag an Bern…Datum zu Tschawats uf den13. tag Julii…”. La lettera è ripresa dall’ Esch e da altri storici svizzeri tra i quali il MULLER, Histoire,cit., vol. IX, pp. 435-436.47 La lettera, conservata presso lo Staatsarchiv di Friburgo nel fondo Gesetzgebung und Verschiedenes “Legi-slazioni e varie” Cod. 63 c, (pagina C66 1515) è contenuta nella riedizione critica delle “Die grosse freibur-ger chronik des franz rudella” recentemente oggetto di una tesi di laurea della dott. Silvia Zehnder-Jorg ededita dall’università di Friburgo (2005). L’episodio del convegno di Chivasso è descritto alle pp. 421-422delle Chronik, dove il testo della missiva è riportato interamente; altri riferimenti al saccheggio della cittàda parte degli svizzeri sono alle pp. 409-411-412-413 ( e relative note di approfondimento).

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aveva visto proprio nelle qualità belliche degli svizzeri l’arma vincente per la suapolitica italiana e ne aveva arruolati 200 per la sua guardia personale 17.

Nel 1508 il papa riuscì a formare la Lega di Cambrai in funzione anti vene-ziana, alla quale parteciparono Francia, Impero e gli altri stati italiani; per attirareanche gli elvetici dalla sua parte egli nominò l’ambizioso vescovo di Sion nunziopapale ben sapendo di poter contare su un diplomatico energico e determinatonell’affermare il primato di papato e impero. Alla lunga la politica antifrancesedello Schiner prevalse e l’anno successivo la Confederazione non rinnovò l’alle-anza con la Francia; era il preludio al patto tra i cantoni elvetici e il papa, stabi-lito nel 1510, nel quale gli svizzeri si impegnarono per cinque anni a fornirecontingenti di soldati per sostenere la politica armata di Giulio II in Italia, garan-tendo che nessun altra potenza europea avrebbe avuto il permesso di arruolarein Svizzera.

La successiva creazione della Lega Santa, promossa dal papa per scacciare ifrancesi dall’Italia al grido di “fuori i barbari” ( in realtà un pretesto per averemano libera nella penisola arruolando barbari per scacciare altri barbari), vide ladiscesa in Lombardia nel 1510 e nel 1511 di corpi di spedizione svizzeri che, nonriuscendo a smuovere i francesi dalle loro piazzeforti, si dovettero ritirare lascian-dosi alle spalle una scia di devastazioni e violenze sulle popolazioni inermi. Men-tre il risentimento contro i francesi univa la Confederazione, il papa diede alloSchiner la sede vescovile di Novara e poco dopo lo nominò cardinale; l’annosuccessivo, con l’incarico di legato papale per l’Italia e la Germania, il cardinaleavrebbe inaugurato la breve ma intensa stagione del predominio svizzero nelnord Italia 18.

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17 C.-R. MARCEL RICHARD, La Guardia Svizzera Pontificia nel corso dei secoli, Milano 2005, p. 29. In re-altà questo primo contingente, a causa delle resistenze della Francia, fu ridotto a 150 uomini che arriva-rono a Roma il 22 gennaio 1506. Loro primo comandante fu il capitano lucernese Kaspar von Silenen,parente del Cameriere segreto pontificio Peter von Hertenstein, inviato del Papa per concludere gli ac-cordi di reclutamento con la Dieta di Zurigo. Per una storia delle origini della potenza militare elveticasopra descritta sono state consultate le seguenti opere: D. MILLER, G.A. EMBLETON, Gli svizzeri inguerra 1300-1500, Londra 1993. C. AMELLI, La battaglia di Marignano, San Giuliano M. 1965. G. THU-RER, G. CALGARI,Marignano, fatale svolta nella politica svizzera, Zurigo 1965. Siti internet: WWW.WIKI-PEDIA.ORG, Mercenari svizzeri. WWW. HLS-DHS-DSS.CH, Dizionario storico della Svizzera.18 Per una biografia del cardinale Matheus Schiner (1465-1522), oltre ai vari riferimenti sulla sua vita con-tenuti nei vari autori citati, sono stati consultati i siti internet: WWW.WIKIPEDIA.ORG, WWW.NE-WADVENT.ORG, Catholic Encyclopedia, New York 1913.

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Page 59: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

avanti quella campagna militare iniziata così fiaccamente; il malcontento era cosìdiffuso tra le fila elvetiche che il 12 luglio 1515 i capitani confederati deciseroquindi di radunarsi a Chivasso per consultarsi 45. Non si trattò di un incontro ri-solutivo ( se mai ce ne furono nel corso della campagna) ma i punti da discutereerano importanti; per questo motivo è probabile che fossero presenti ambascia-tori e plenipotenziari di tutte le parti in campo (non esclusi i francesi), compresii rappresentanti dei governanti dei territori attraversati e regolarmente spremutidagli svizzeri. Stando alle cronache bernesi in quel consiglio si parlò delle mano-vre ufficialmente occulte ( al contrario ben note) della madre del re di Francia,Luisa di Savoia, per convincere gli svizzeri ad un’alleanza, una proposta che in pa-tria stava spaccando fino alle fondamenta i principi su cui poggiava la Confede-razione; si discusse delle lamentele del duca di Savoia che, coinvolto per forzanella faccenda, vedeva in quell’alleato ingombrante la causa delle sue sfortune,passate e recenti e del malcontento del marchese di Monferrato, al quale era statoimposto un pesante tributo da parte degli svizzeri e dei milanesi, sotto pena disaccheggio inesorabile. Conseguenza immediata di tutte queste incertezze poli-tiche era la cruda realtà di una guerra non ancora combattuta ma già opprimenteper le popolazioni piemontesi, che vivevano nel costante pericolo del saccheg-gio indiscriminato da parte di quelle orde di lupi famelici, calati dalle montagneper razziare in un paese che a loro doveva sembrare un’anticamera dell’eden abi-tata da greggi di pecore inermi.

Eloquente al proposito è la lettera che i capitani bernesi, il giorno dopo l’in-contro, scrissero in patria, stupefacente esempio di che cosa stava provocando al-l’interno delle fila elvetiche l’avidità di bottino: “…Ci era stato promesso, quando sifosse conclusa l’alleanza, che non ci sarebbero più mancati soldi e aiuti. Molti non ci credonofinchè non lo vedranno. Abbiamo bisogno di molto denaro poiché ne abbiamo una grande ca-renza. Mangiamo alla povera gente ciò che è loro senza pagarlo; non ci accontentiamo solo dellecose necessarie ma prendiamo loro tutto ciò che possiedono come soldi, argenterie, vestiti e nienteè più al sicuro; picchiamo la povera gente, Dio ci perdoni. Diventeremo peggio dei Guasconi.

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45 V.ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 86, “Abscheid zu Tschawats. Und am 12. des Heumonats sind die Haup-tleute und Vertreter der Eidgenossen, die im Krieg waren, nach Tschawats zur Beratung gekommen…”. “…E il 12 lu-glio i principali capitani e rappresentanti dei Confederati in campo, sono convenuti a Chivasso perconsultarsi…”. Ringrazio il prof. Esch per la cortese trasposizione dei testi dall’alto tedesco al tedescoodierno.

Il consiglio di guerra di Chivasso è ricordato anche dal Guicciardini nelle Lettere attraverso le noti-zie avute dal corrispondente mediceo dal Piemonte, Raffaello Girolami: “…non di meno di Lombardiascrivono in contrario gagliardamente, et Raffaello scrive che facevono [gli svizzeri] una Dieta a Civas, luo-gho vicino a Turino…”. F.GUICCIARDINI, Le Lettere 1514-1517, a cura di Pierre Jodogne, Roma 1986,vol. 2, pp. 71-72.

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Le campagne di Lombardia

La ritirata degli svizzeri dalla Lombardia aveva lasciato mano libera ai fran-cesi che, al comando di Gaston de Foix, nella primavera del 1512 riconquistaronogran parte dei territori occupati dai veneziani e dal papa, vincendo la Lega anchenella battaglia di Ravenna il lunedì di Pasqua dove, però, il giovane generale fran-cese perse la vita. Le sorti della guerra si ribaltarono così a favore del papato e diVenezia; il cardinale Schiner, facendo leva sul diffuso sentimento anti-francesenella Confederazione elvetica e garantendo la generosità papale, convinse la Dietaa levare un nuovo esercito da inviare in aiuto di Giulio II. In aprile furono ema-nati gli ordini di leva nei cantoni e già il 6 maggio i contingenti, al comando delbarone Ulrich di Hohensax, si misero in marcia verso Verona, luogo scelto comepunto di raccolta degli eserciti della Lega; fu qui che il 26 maggio 1512, come ac-cennato in precedenza, il cardinale Schiner vide scendere dalle montagne tren-tine il più grande corpo di spedizione che gli svizzeri avessero mai mandato inItalia.

Lo Schiner, investito del comando riunito delle forze svizzere e veneziane, eraportatore dei doni e, soprattutto della paga promessa dal papa ( anche se scoprìin quel momento di avere portato denaro per pagare solo i 6.000 mercenari at-tesi e non 20.000 ); il cappello, la spada benedetta e i due gonfaloni che Giulio IImandava ai suoi fedeli servitori oltremontani fecero salire il loro morale alle stellee li convinse di essere dei liberatori voluti da Dio 19.

In poco più di tre settimane di avanzata inarrestabile gli svizzeri spazzaronovia i francesi dalla Lombardia; niente e nessuno sembrava potesse fermare queisoldati che uccidevano senza misericordia, non prendevano prigionieri e lascia-vano indietro i feriti convinti com’erano che “Il Signore Iddio ci scorterà tutti, dal mo-mento che combattiamo per la sua santa chiesa..” 20. Gli osservatori italiani ammiravanoil loro valore ma commentavano stupiti e frastornati i loro metodi; “Questi sgui-zari hanno sachizato tutto el castello, el qual era pieno di vino, formazo, farine e robe dè con-tadini e altro…” 21, così un ufficiale veneziano descriveva la presa del castello diValeggio sul Mincio, nei primi giorni dell’avanzata.

Arnold Esch, che nel suo interessante saggio sulle guerre milanesi ha rico-struito le campagne svizzere dal 1510 al 1515 partendo dal punto di vista di chi

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19 C.R. MARCEL RICHARD, La Guardia Svizzera, cit., pp. 33-34.20 A. ESCH, Mercenari, cit., p. 5321 Ibidem, p. 53. L’autore cita una lettera contenuta nei Diarii di Marin Sanudo, vol. XIV, pp. 280 e se-guenti.

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seguire verso le montagne ad occidente per fronteggiare direttamente l’invasionefrancese.

Secondo le cronache bernesi, fonte preziosa di informazioni sulle guerred’Italia, il 6 luglio gli ambasciatori, del Papa, di Spagna e del duca di Milano eranogiunti a Ivrea per esortare ancora una volta gli svizzeri a opporsi ai francesi, ga-rantendo il denaro promesso e i rifornimenti previsti dall’alleanza 41. L’esercitoquindi si mise in marcia verso Chivasso, passaggio obbligato sulla sponda sini-stra del Po verso Torino e luogo d’incontro con il contingente in arrivo da Ver-celli; il Borla riferisce, infatti, che “…ottomille svizzeri presero nello stesso tempo da Ivreadiretti da Prospero Colonna generale dei Milanesi, che in Chivasso presero soggiorno…” 42.

Evidentemente la cavalleria milanese al comando del Colonna, unica forma-zione di movimento in un esercito costituito prevalentemente di fanti, era andataincontro al contingente elvetico insieme agli ambasciatori alleati con l’intento discortarlo verso l’interno del Piemonte e i luoghi di raduno. Pochi giorni dopo letruppe delle due colonne, in tutto circa 13.000 uomini, si riunirono al primocontingente, accampandosi tra Saluzzo, Pinerolo e Chieri, in un territorio fon-damentalmente ostile dove, per procurarsi il cibo, i soldati iniziarono i saccheggiai danni delle varie comunità, seminando il panico nelle popolazioni locali; la setedi bottino degli svizzeri che a Milano li aveva spinti ad imporre a MassimilianoSforza un tributo di 30.000 ducati, in Piemonte fece di loro dei feroci taglieggia-tori “…che prendevano con tanta violenza che i bambini del paese erano costretti ad elemosi-nare cibo…” 43. I dissidi interni al corpo di spedizione, inoltre, stavano rallentandoulteriormente la marcia verso i passi alpini, la difesa dei quali era l’unica mossastrategica possibile per tentare di arginare l’imminente calata francese, facilmenteattuabile nelle strette valli montane dove la superiorità numerica non avrebbecontato molto e cavalleria ed artiglieria non sarebbe state così determinanti comein campo aperto; la principale causa della discordia era la mancanza del soldopromesso, necessario per invitare dei mercenari a combattere e, nel caso deglisvizzeri, essenziale stimolo per le loro campagne 44.

Non si avevano notizie precise sui movimenti dell’armata francese ( che si an-dava concentrando a Lione) e non c’era l’unione di intenti necessaria per portare

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41 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 86. Ivrea viene chiamata Ifery dagli svizzeri.42 G. BORLA, Memorie, cit., p. 800.43 L. SCHWINKHART, Chronik (1506-1521), a cura dell’Historichen Verein des Kantons Bern, Berna1941, p. 162.44 Famoso al proposito è il modo di dire francese, nato proprio in quel periodo, “pas d’argent, pas desuisse” che riassume bene la visione “commerciale” elvetica della guerra.

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le combattè, utilizza le parole di quegli uomini per descrivere l’impatto che unarealtà completamente diversa da quella del loro vissuto quotidiano ebbe su diessi, un’esperienza che li avrebbe segnati profondamente, nel bene e nel male, tra-sformando i loro orizzonti culturali e quelli delle stesse piccole comunità di pro-venienza. Dalle loro lettere trapelano stupore per un paese fertile e ricco,incredulità per le grandi città piene di grandiosi monumenti dai nomi impronun-ciabili (che vengono, infatti, puntualmente “germanizzati”, come nel caso di Chi-vasso che diventa Tschawats in semplice assonanza con la pronuncia locale), gioiaper la facilità con cui si ammassavano enormi bottini a prezzo di facili vittorie.

A proposito di quel lontano giugno del 1512, durante il quale l’esercito elve-tico marciò trionfalmente verso Milano, egli riporta tra le altre la lettera del ca-pitano friburghese Peter Falk che scriveva eccitato: “I confederati non hanno mai vistoaccampamenti così ricchi e splendidi come quelli avuti finora nelle città e nelle campagne. Vi sitrova in abbondanza tutto ciò che l’uomo può desiderare. Perciò i soldati sono pieni di soldi edi cose meravigliose, appartenute ai francesi e saccheggiate un po’ dappertutto…Siamo tantofelici e stiamo così bene da dover gratitudine eterna al Signore Iddio…” 22.

Da queste parole e dai comportamenti poco edificanti dei soldati sul campo,commmenta Esch, “…emerge la nuova percezione di sé del mercenario svizzero, convintoche ogni cosa fosse a portata di mano, che niente gli fosse negato, dato che davanti agli svizzeritutti i nemici arretravano” 23. L’impatto con la ricchezza economica ed artistica dell’Italia del nord fu fortissimo; se la descrizione ammirata e un po’ ingenua che fauno di loro dell’Arena di Verona, “…talmente grande che, se al suo interno fosse cresciutadell’erba, un falciatore non sarebbe riuscito a falciarla in una giornata…”, ci fa capire quale ful’impressione suscitata su questi uomini dai monumenti, più grande ancora risultò essere “…lafrenesia consumistica scatenatasi alla vista dei beni di lusso nelle strade di Milano…” 24.

“ Sguizari è bon averli” 25, scriveva il veneziano Sanudo, alludendo al fatto che,anche se bisognava comprarli a caro prezzo, gli svizzeri erano una garanzia divittoria perché il loro modo di guerreggiare era completamente diverso dai ca-noni di quella che gli italiani avevano codificato come “l’arte della guerra”; an-cora più temerari dei francesi, che pure erano stati i primi ad infrangere ilconcetto “gentile” del combattere con l’uso massiccio dell’artiglieria combinatocon le nuove tattiche delle fanterie nazionali. “Celta ferox, Venetus prudens, Elvetius

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22 Ibidem, p. 9. Lettera da Pavia a Friburgo del 26 giugno 1512.23 Ibidem, p. 10.24 Ibidem, pp. 50-51.25 Ibidem, p. 72. La frase è presa dai Diarii del Sanudo, vol. XI, p. 447.

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200.000 fiorini che venne prontamente accettato, nonostante le proteste del ducadi Savoia.

La conclusione di quella triste vicenda fu che Carlo II, incapace di imporrela propria debole voce nel consesso delle grandi potenze, dovette rassegnarsi apagare i 320.000 fiorini totali di quella ben riuscita estorsione: le quietanze di pa-gamento sono ancora oggi conservate nell’Archivio di Stato di Torino dalla primafino all’ultima del 19 gennaio 1519 40.

Il duca di Savoia, costretto a barcamenarsi tra amici e nemici, aveva aderitoin un primo tempo alla Lega di Cambrai nel 1508 contro i veneziani; quando,però, il papa Giulio II nel 1510 aveva ribaltato il gioco delle alleanze schierandosicon questi ultimi contro il re di Francia, Carlo II era rimasto fedele ai francesi.

Dopo la battaglia di Ravenna nel 1512 e la conseguente ritirata francese ilduca decise, nonostante il ricatto Dufour, di allearsi con gli svizzeri che, al mo-mento, sembravano i più forti ma questi, dopo la vittoria di Novara nel 1513,non avevano esitato ad invadere il Piemonte orientale per punirlo delle sue sim-patie francesi. Carlo II, con la sua ambigua politica di neutralità disarmata por-tata avanti con difficili equilibrismi diplomatici era, però, un agnello in mezzo adun branco di lupi e nel 1515, quando salì al trono di Francia Francesco I la situa-zione si complicò ulteriormente; il duca di Savoia era, infatti, lo zio del nuovo rema per via della sua alleanza con gli svizzeri non andò all’incoronazione, anzi, nel-l’imminenza della nuova calata francese in Italia, avrebbe dovuto sbarrare il passoal nipote. Dal momento che, militarmente, questo gli era impossibile, il duca fucostretto ad accogliere il corpo di spedizione elvetico nei suoi territori e ad aprirele porte delle sue città a schiere di mercenari scontenti per la mancanza di ciboe bottino, uomini che ben presto, durante la loro ingloriosa ritirata, avrebberodato sfogo alla loro rabbia prendendosi con la forza ciò che veniva loro negato.

Consiglio di guerra a Chivasso

Nei primi giorni del luglio 1515 mentre il primo corpo di spedizione svizzero,spinto dalle esortazioni del capitano bernese Albrecht vom Stein, si era avvici-nato all’arco alpino accampandosi nel territorio intorno a Chieri, il secondo con-tingente che aveva valicato le Alpi sulle due direttrici del Gran San Bernardo edel San Gottardo, si trovava ancora suddiviso tra Vercelli e Ivrea, indeciso tra lascelta di puntare su Milano ( per tutelare gli interessi elvetici in quella zona) o pro-

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40 F. COGNASSO, I Savoia, cit., pp. 306-308.

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atrox” 26 è l’iscrizione che ancora oggi si legge sulle pareti del santuario di SantaMaria delle Grazie vicino a Mantova, frase che spiega sinteticamente bene la si-tuazione militare creatasi in quegli anni sui campi di battaglia del nord Italia: fran-cesi e svizzeri a contendersi il sanguinoso primato e la potenza venezianaimpegnata a tenere d’occhio la forza dei primi usando le lance dei secondi.

L’arma principale degli svizzeri, infatti, era la lunga picca che, pur non costi-tuendo affatto una novità in campo bellico, in mano a gente che faceva di corag-gio e spirito di corpo il collante delle proprie formazioni diventava un’armamicidiale. Davanti all’avanzata inarrestabile dei quadrati di fanteria elvetica ogniresistenza crollava e la guerra nella pianura padana, per i francesi e i loro alleatiitaliani, si trasformò in una precipitosa ritirata perché, usando ancora le parole delCardini “…in confronto al pathos della guerra cavalleresca - dove si gridava, si agitavano in-segne, si cantava, si rideva, si piangeva, ci si offendeva ma in fondo si moriva di meno - l’istricesvizzera era un’immagine di cupa, impassibile, inesorabile ferocia” 27.

In tre settimane la Lombardia fu conquistata e il 18 luglio il cardinale Schi-ner, governatore e reggente del ducato milanese, accoglieva trionfalmente a Mi-lano Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro, restituendogli un effimeropotere; il giovane duca per ringraziarlo lo nominò marchese di Vigevano e inquel momento il potente prelato, al quale il papa avrebbe dato il titolo onorificodi “Liberatore dell’Italia e protettore della Chiesa” divenne, di fatto, il “deus exmachina” della politica svizzera nel nord Italia.

I francesi, ritirandosi attraverso il Piemonte, lasciarono in mano agli svizzerianche la contea di Asti e Alessandria che ritornavano così nella sfera di influenzasforzesca e sostarono a Chivasso prima di prendere la strada dei passi alpini; ilBorla accenna, infatti, nelle sue memorie alla “…disgraziata sorte…” avuta dallacittà “…di albergare la fugitiva armata, che a gran passi si accostava alle Alpi, con gravis-sima comune e particolare spesa…” 28.

La Confederazione si era insediata saldamente nel cuore della ricca pianurapadana, raggiungendo l’apice della potenza militare e politica ma questo successosarebbe stato di breve durata; già all’indomani dell’occupazione di Milano che, difatto, era diventata un protettorato elvetico, l’ostilità di gran parte della nobiltàlombarda filo-francese faceva temere, ai capitani svizzeri, di non poter mantenerele loro vittorie al riparo dalle mire francesi. D’altra parte gli stessi svizzeri non na-scondevano il loro senso di superiorità morale e militare e l’aperto disprezzo che

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26 Ibidem, p. 72.27 F. CARDINI, Quell’antica festa crudele, cit., p. 104.28 G. BORLA, Memorie, cit., p. 792.

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intrecciati guarda caso con la cupidigia crescente dei cantoni svizzeri, già pervasidal loro breve delirio di potenza.

L’uomo che aveva dato il via a tutto questo era il segretario personale delduca, Jean Dufour, notaio di Annecy che, verso il 1507, entrato in disaccordoper oscuri motivi con Carlo II, dichiarò di volerlo ridurre più povero del più po-vero dei suoi vassalli, architettando una truffa in grande stile; lo scaltro corti-giano, probabilmente già in contatto con i veri mandanti dell’affaire ( i governantielvetici che consideravano la cosa il primo passo verso l’estensione della loroarea di influenza politica e militare nella Savoia ), fabbricò una falsa donazione afavore dei cantoni di Berna e Friburgo, datata 1489 e firmata dal duca Carlo I,predecessore di Carlo II. Nel documento, il duca di Savoia proclamava che, incaso di mancanza di eredi diretti alla sua morte, si sarebbero dovuti ricompen-sare i due cantoni per non precisati servigi con 150.000 fiorini a Friburgo e200.000 a Berna; gli svizzeri, facendo leva proprio sul fatto che Carlo II non erafiglio di Carlo I 39, intimarono al duca il pagamento della somma minacciando laguerra. Le proteste del duca non servirono a nulla e le sue richieste di aiuto ri-volte al papa, all’imperatore e al re di Francia non sortirono alcun effetto; leguerre d’Italia si stavano avviando al loro apice e i mercenari svizzeri eranotroppo temuti e desiderati da tutti i contendenti per essere contrariati. Nel giu-gno del 1508 il duca fu costretto a firmare un contratto capestro con i cantonielvetici, dopo che questi avevano abbassato le loro richieste ad una cifra di120.000 fiorini pagabili in otto anni.

La truffa riuscì talmente bene che anche gli altri cantoni vollero entrare nel-l’affare e due anni dopo, nel 1510, il Dufour sfornava altri quattro documentifalsi: una donazione simile alla prima in favore di Zurigo, Lucerna, Uri, Schwitz,Unterwalden, Zug, Glarona e Soletta per un totale di 400.000 fiorini, un’altra do-nazione in cui la cifra raddoppiava a ben 800.000 fiorini, una terza che elargiva60.000 fiorini anche al marchese di Monferrato e la quarta che si limitava a do-nare alcune terre al Vallese. Ancora una volta il duca chiese aiuto, invano, e nelfebbraio del 1511 tentò di confutare, di fronte alla Dieta elvetica, la veridicità deidocumenti inventati dal Dufour. A quel punto si mossero gli ambasciatori fran-cesi ed imperiali, cercando di proporre ai cantoni un accomodamento per

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39 Carlo II era figlio di Filippo II senza Terra, del ramo dei Savoia della Bresse, che era succeduto a CarloI nel 1496, dopo la breve reggenza della moglie di quest’ultimo Bianca di Monferrato e la morte di suofiglio, Carlo Giovanni Amedeo all’età di 7 anni, ultimo duca del ramo ducale. Alcuni studiosi definisconoCarlo II questo bambino, anche se di fatto non regnò mai come duca, e Carlo III il suo successore di cuisi tratta in questo studio. Il Cognasso, giustamente a mio avviso, non considera duca il figlio di Carlo I,passando il titolo di Carlo II al nuovo duca del ramo di Bresse.

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provavano per la mentalità e i costumi italiani, profondamente diversi dai loro;esemplare, al proposito, è il commento sulle abitudini del duca MassimilianoSforza, espresso dagli uomini, svizzeri, della sua guardia personale “…non fa chedormire tutto il giorno, servendo Dio poco o punto, non ascoltando la messa, e vivendo quasisi fosse dato la vita da sé. Di notte non fa che torneare e darsi alla pazza gioia, si comportacome uno che ha uccellato, e conduce una vita disordinata per un principe…” 29.

Ancora una volta sono le parole dell’Esch ad aiutarci a capire ciò che questoclima di odio, sospetti e rancori avrebbe provocato in seguito: “I confederati, cheerano stati indotti a credere di essere venuti come soccorritori e liberatori, non tardarono ad ac-corgersi con amarezza, non vedendo “nessuna gratitudine, del grande tradimento da parte ditutto il paese”; il rancore accumulato in questa occasione sfociò (non in tempo di pace, ma du-rante le campagne militari come quella del 1515) in cruente rappresaglie: il semplice sospetto,rivelatosi poi infondato, che i prigionieri svizzeri fossero stati ammazzati, li indusse a massa-crare tutti gli abitanti di Chivasso e a ridurre in cenere la città” 30.

Nell’autunno del 1512, dopo che gli svizzeri avevano inviato un’ambasceriaa Roma su richiesta del papa e questi aveva benedetto le loro vittorie davanti allafolla, la guerra nel nord Italia conobbe una breve pausa. La sconfitta non avevaperò intaccato le velleità di conquista del re di Francia che, alla morte di GiulioII, nel febbraio del 1513, strinse un accordo con Venezia e inviò un altro eser-cito in Italia, forte di 20.000 uomini, al comando dei due valenti generali Louisde la Tremouille e Gian Giacomo Trivulzio con l’obiettivo di riconquistare il du-cato di Milano.

I francesi rioccuparono quindi Asti e Alessandria e presero Pavia con largaparte del milanese; il duca Massimiliano Sforza si ritirò allora dentro Novara con4.000 mercenari svizzeri mentre un secondo corpo di spedizione elvetico, vo-luto dal cardinale Schiner e arruolato in breve tempo, scendeva a marce forzatedal Sempione.

L’esercito francese mise il campo davanti a Novara il 3 giugno e la primamossa dei suoi generali fu di tentare di corrompere la guarnigione elvetica comegià era successo tredici anni prima, quando gli svizzeri assoldati da Ludovico ilMoro si erano lasciati comprare, sempre dai francesi, e avevano consegnato loroil duca; questa volta però, forse memori di quel vergognoso tradimento, non ce-dettero alle lusinghe del denaro e aspettarono i rinforzi, 8.000 compatrioti, che

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29 A. ESCH,Mercenari, cit., p. 68. La lettera citata fu inviata l’8 agosto 1515 da Milano ed è conservata comegran parte delle altre citate dall’autore nel fondo “Unnutze Papiere”, UP 66, n.50, (ASB).30 Ibidem, p. 68. L’autore si riferisce alla lettera scritta da Ivrea il 21 agosto 1515 dopo il sacco di Chi-vasso, conservata in UP 61, n. 56, (ASB).

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Page 63: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

Il 12 giugno la Dieta che ormai vedeva nei progetti del re di Francia una mi-naccia ai suoi “possedimenti” transalpini (tali erano considerati i territori del du-cato di Milano), proclamò la levata di un secondo esercito, forte di 14.000 uomini,da inviare in Italia e la messa in stato di difesa del territorio nazionale, espostoad una probabile invasione francese. Il 25 giugno il contingente si mise in mar-cia, diviso in due colonne: la prima, costituita dai cantoni occidentali, attraversòil Gran San Bernardo e, discesa la valle d’Aosta, arrivò ad Ivrea; la seconda, for-mata dai cantoni orientali, scese invece dal San Gottardo e puntò su Vercelli,dove arrivò nei primi giorni di luglio. Nel frattempo il capitano bernese Albrechtvom Stein era riuscito a convincere gli altri ufficiali svizzeri a muovere il primocontingente da Alessandria verso le Alpi; il 22 giugno le truppe si erano messein marcia verso Asti e, dopo una sosta di pochi giorni in quella città, il 27 giugnoavevano proseguito per Chieri 37.

L’avanzata dell’armata attraverso il Piemonte non era vista di buon occhio dagran parte degli svizzeri in quanto il duca di Savoia, seppure ufficialmente alleatodella Confederazione, non era considerato affidabile e, cosa ancora più impor-tante, le contribuzioni estorte con facilità nel ducato di Milano in quei territorinon sembravano facilmente esigibili da popolazioni fondamentalmente ostili che,spesso, non ubbidivano nemmeno alle ingiunzioni ducali di accogliere e nutriregli eserciti alleati.

La politica altalenante di Carlo II era una conseguenza della delicata posi-zione strategica e della fragilità militare del ducato sabaudo, stretto tra potenti escomodi vicini che consideravano i suoi territori, incuneati a cavallo dei monti traFrancia, Svizzera e Italia, un intralcio alle loro politiche espansionistiche. Comeriassume bene il Cognasso nel suo studio sui Savoia: “La neutralità era un grande de-siderio di popoli e di principi; Carlo II pensava all’equilibrio ma occorreva una volontà tenace,per difendere la propria terra ed occorrevano armi pronte; il duca di Savoia non aveva armi,non aveva popoli disposti a combattere” 38. Il duca stesso, non a caso soprannominato“il buono”, per via del suo carattere debole ed attendista, suscitava da anni neisuoi nemici personali perversi disegni di vendetta che, ad un certo punto si erano

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37 VALERIUS ANSHELM, Die Berner Chronik, 6 voll., Bern 1884-1901, vol. IV, p. 84. Lettera inviata daAsti il 27 giugno 1515, firmata Albrecht vom Stein, in cui il capitano informa il consiglio bernese sul mo-vimento delle truppe verso Chieri: “…uf hit von Ast gon Kier…Datum zu Ast uf Mitewochen nach JoannisBaptista-ist gwesen der 27. tag Juny-. Albrecht vom Stein hoptman.”. Le cronache bernesi di Valerius Anshelm(1475-1547) che raccolgono un grande numero di documenti contemporanei, tra i quali le missive dalcampo, sono fonti preziose per una ricostruzione della campagna di guerra del 1515 in Piemonte vistadalla parte degli svizzeri.38 F. COGNASSO, I Savoia, Milano 1971, p. 306.

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il 5 giugno entrarono nella città assediata. All’alba del 6 giugno gli svizzeri deci-sero di uscire da Novara e attaccare le posizioni francesi per tentare di spezzarel’assedio con la semplice carica dei loro quadrati di picchieri; nonostante i vuoticreati dalle artiglierie, i fanti elvetici riuscirono a circondare il campo francese,sbaragliando le formazioni di lanzichenecchi e mettendo in fuga l’intero esercitonemico che abbandonò sul terreno tutti i cannoni, le tende e gli equipaggiamenti.

La clamorosa vittoria degli svizzeri e la precipitosa fuga dei francesi, che la-sciarono sul campo quasi 10.000 morti ( tra i quali tutti i lanzichenecchi che ven-nero massacrati dagli svizzeri senza misericordia), spalancò le porte del Piemonteall’invasione elvetica; le forze riunite confederate contavano ora oltre 15.000 uo-mini ma queste, prima di avanzare in territorio sabaudo, passarono i giorni suc-cessivi alla battaglia a spartirsi l’ingente bottino e a seppellire i loro morti che, perla prima volta nelle campagne italiane, avevano raggiunto la cifra di circa 1.500mercenari uccisi 31.

Come già accennato precedentemente gli svizzeri, nella loro avanzata versoil cuore del Piemonte, toccarono Vercelli, Casale, Alessandria arrivando fino adAsti, saccheggiando diverse località e imponendo tributi sia al marchese di Mon-ferrato sia al duca di Savoia per punire quest’ultimo della sua supposta alleanzacon la Francia; i resti dell’esercito francese, intanto, raggiungevano Chivasso dovegli ospedali si riempirono “…di feriti francesi, che provvisti e curati furono a spese dè Ci-vassini, fino all’intero loro ristabilimento non ostante che ostilmente fossero stati da què soldatitrattati, si nell’andata, che ritorno dalla Lombardia…” 32.

La vittoria di Novara esaltò l’orgoglio svizzero al punto che se sul campo dibattaglia la febbre di conquista diventava, spesso, insaziabile fame di denaro chetrasformava i soldati in assassini e tagliagole, presso la Dieta faceva nascere sognidi una breve quanto effimera grandezza, mai più eguagliata in seguito. La posi-zione di forza assunta dalla Confederazione nell’ambito delle grandi potenze eu-ropee sfociò, nell’autunno del 1513, nella spedizione di Digione, pianificata perottenere dal re di Francia, impegnato in guerra con Impero e Inghilterra, conces-sioni definitive nel nord Italia; nel trattato di pace che seguì alla breve campagna,però, le promesse francesi (rinuncia al ducato di Milano e alle città di Asti e Cre-mona, oltre al versamento di una indennità di guerra di 400.000 corone) non fu-rono ratificate da Luigi XII.

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31 Per la battaglia di Novara, anche detta dell’Ariotta, sono state consultate le opere menzionate alla nota17, in particolare l’articolo “ Bataille de Novare (1513) ” dal sito internet di Wikipedia, nella versione fran-cese.32 G. BORLA, Memorie, cit., p. 794.

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Page 64: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

un accordo con la Confederazione offrendo denaro in cambio della rottura del-l’alleanza con Milano; gli svizzeri, però, nonostante l’offerta fosse allettante, nonaccettarono e le trattative si conclusero nella primavera senza risultati. FrancescoI, quindi, iniziò ad allestire un imponente esercito e a stringere alleanze con l’In-ghilterra, Venezia e i Paesi Bassi, dove intendeva attingere le truppe mercenarienecessarie per contrastare la temibile forza svizzera, primi fra tutti un numerosocontingente di lanzichenecchi.

Quando giunse notizia alla Dieta elvetica che anche Genova stava per pas-sare con la Francia e aprire il suo porto alle navi francesi (minacciando un’inva-sione della Lombardia dalle coste liguri), l’assemblea decise di mandare in Italiaun corpo di spedizione di 4.000 uomini, al comando del balivo di Lucerna, Kunge del capitano di Uri, Imhof 34. Ancora una volta, però, nonostante il divieto diarruolare volontari, il miraggio del guadagno in bottino suscitato da una campa-gna militare in Italia gonfiò le fila del contingente lungo la strada al punto che,quando le truppe, verso la fine di maggio, arrivarono a Novara, gli ufficiali delduca di Milano contarono oltre 8.000 fanti. Non c’era denaro sufficiente nellecasse milanesi e papali per pagare tutta quella gente ed era prevedibile che lanuova campagna di guerra si sarebbe dovuta sostenere con nuove tasse prele-vate dalle popolazioni lombarde; le pesanti imposizioni scatenarono dei tumultia Milano e costrinsero gli svizzeri a ridimensionare le loro pretese ma il malcon-tento, inevitabilmente, serpeggiò tra le fila dei mercenari prima ancora che que-sti iniziassero a combattere 35. Nonostante le prime diserzioni, l’esercito marciòfino ad Alessandria dove venne raggiunto dal cardinale Schiner e da 1.500 cava-lieri pontifici e milanesi capitanati da Prospero Colonna; i comandanti ricevetteronotizie sulla consistenza della grande armata francese che si stava concentrandoa Embrun. Venne riunito il consiglio di guerra che decise di chiedere rinforzi allaDieta elvetica mentre le truppe a disposizione avrebbero marciato verso i passialpini per chiudere ai francesi gli sbocchi in Piemonte. Ma la discordia aveva giàcreato larghe crepe tra i contingenti svizzeri e parte di questi, preoccupati per lamancanza del soldo, si rifiutarono di muoversi; a complicare la situazione eraanche il sistema federativo di comando che imponeva di mettere ai voti tutte ledecisioni sul campo e non faceva che aumentare la confusione tra i vari gruppicantonali 36.

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34 Per la campagna di guerra del 1515 in generale sono state consultate le seguenti opere: S. FREY, Le guerremilanesi. La campagna del 1515, in “Storia Militare Svizzera”, Berna 1936. K. R. HANS,Marignano 13-14 set-tembre 1515, in “Le battaglie svizzere”, Berna, s.d.35 J. DE MULLER, Histoire de la Confédération Suisse, Paris-Lausanne 1840, vol. IX, pp. 433-43436 A. ESCH, Mercenari, cit., p. 70.

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A quel punto, mentre in Italia entravano in gioco le rivendicazioni spagnolesu Milano e Venezia si riavvicinava alla Francia, la Confederazione si scoprivaincapace di controllare in profondità il ducato di Milano e doveva fare i conticon una serie di rivolte contadine in patria contro la corruzione ormai dilagantenei governi cantonali; il popolo minuto era ormai stanco di sacrificare la vita deipropri figli per il poco denaro dell’ingaggio mentre gli junker di città, foraggiatidalle laute “pensioni” francesi, spingevano a continui reclutamenti favoriti dal-l’ambigua politica della Dieta che vietava ma nello stesso tempo favoriva il mer-cenariato.

Sul campo l’avidità di denaro si traduceva in imposizioni di pesanti tributi allepopolazioni da parte dei governi che beneficiavano del protettorato elvetico,primo fra tutti il ducato di Milano; le beffarde parole del capitano Albrecht vomStein, d’altronde, chiariscono i metodi usati da questi mercenari per le loro estor-sioni “…a questo paese è stato imposto un grande pesante tributo…bisogna saper badare cheLor Signori vengano pagati, altrimenti [il denaro] se lo porta via il diavolo in altro modo…” 33.

Alla lunga l’ingordigia svizzera finirà, nell’arco di due soli anni, per favorireil ritorno dei francesi ed avviare al definitivo tramonto i sogni di potenza dellaConfederazione.

L’estate del 1515 e i dilemmi del Duca di Savoia

Il 1515, anno fatale per i disegni politico-militari dell’ambiziosa Confedera-zione elvetica, si aprì sotto i peggiori auspici. Il primo gennaio moriva il re diFrancia Luigi XII e il nuovo sovrano, Francesco I, attribuendosi anche il titolodi duca di Milano fece chiaramente capire quali fossero i suoi propositi; il migliormodo per guadagnarsi l’ammirazione dei sudditi era, infatti, l’agognata riconqui-sta di quel nord Italia così sanguinosamente conteso negli anni passati.

Una nuova Lega Santa, promossa dal pontefice Leone X per contrastare iprogetti francesi, vide schierati l’imperatore d’Austria, il re di Spagna, il duca diMilano e, ancora una volta, gli svizzeri; ma il nuovo papa non possedeva né la vo-lontà, né il carisma del suo predecessore e tra tutti gli alleati gli unici che inten-devano fare sul serio, soprattutto per salvaguardare i loro interessi milanesi, eranogli elvetici.

Il nuovo re di Francia, tuttavia, prima di dare mano alle armi, tentò di trovare

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33 A. ESCH,Mercenari, cit., p. 65. Lettera del 30 novembre 1514 indirizzata al cancelliere di Berna NiklausSchaller, conservata in UP 86b, n.18, (ASB).

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Page 65: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

A quel punto, mentre in Italia entravano in gioco le rivendicazioni spagnolesu Milano e Venezia si riavvicinava alla Francia, la Confederazione si scoprivaincapace di controllare in profondità il ducato di Milano e doveva fare i conticon una serie di rivolte contadine in patria contro la corruzione ormai dilagantenei governi cantonali; il popolo minuto era ormai stanco di sacrificare la vita deipropri figli per il poco denaro dell’ingaggio mentre gli junker di città, foraggiatidalle laute “pensioni” francesi, spingevano a continui reclutamenti favoriti dal-l’ambigua politica della Dieta che vietava ma nello stesso tempo favoriva il mer-cenariato.

Sul campo l’avidità di denaro si traduceva in imposizioni di pesanti tributi allepopolazioni da parte dei governi che beneficiavano del protettorato elvetico,primo fra tutti il ducato di Milano; le beffarde parole del capitano Albrecht vomStein, d’altronde, chiariscono i metodi usati da questi mercenari per le loro estor-sioni “…a questo paese è stato imposto un grande pesante tributo…bisogna saper badare cheLor Signori vengano pagati, altrimenti [il denaro] se lo porta via il diavolo in altro modo…” 33.

Alla lunga l’ingordigia svizzera finirà, nell’arco di due soli anni, per favorireil ritorno dei francesi ed avviare al definitivo tramonto i sogni di potenza dellaConfederazione.

L’estate del 1515 e i dilemmi del Duca di Savoia

Il 1515, anno fatale per i disegni politico-militari dell’ambiziosa Confedera-zione elvetica, si aprì sotto i peggiori auspici. Il primo gennaio moriva il re diFrancia Luigi XII e il nuovo sovrano, Francesco I, attribuendosi anche il titolodi duca di Milano fece chiaramente capire quali fossero i suoi propositi; il migliormodo per guadagnarsi l’ammirazione dei sudditi era, infatti, l’agognata riconqui-sta di quel nord Italia così sanguinosamente conteso negli anni passati.

Una nuova Lega Santa, promossa dal pontefice Leone X per contrastare iprogetti francesi, vide schierati l’imperatore d’Austria, il re di Spagna, il duca diMilano e, ancora una volta, gli svizzeri; ma il nuovo papa non possedeva né la vo-lontà, né il carisma del suo predecessore e tra tutti gli alleati gli unici che inten-devano fare sul serio, soprattutto per salvaguardare i loro interessi milanesi, eranogli elvetici.

Il nuovo re di Francia, tuttavia, prima di dare mano alle armi, tentò di trovare

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33 A. ESCH,Mercenari, cit., p. 65. Lettera del 30 novembre 1514 indirizzata al cancelliere di Berna NiklausSchaller, conservata in UP 86b, n.18, (ASB).

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un accordo con la Confederazione offrendo denaro in cambio della rottura del-l’alleanza con Milano; gli svizzeri, però, nonostante l’offerta fosse allettante, nonaccettarono e le trattative si conclusero nella primavera senza risultati. FrancescoI, quindi, iniziò ad allestire un imponente esercito e a stringere alleanze con l’In-ghilterra, Venezia e i Paesi Bassi, dove intendeva attingere le truppe mercenarienecessarie per contrastare la temibile forza svizzera, primi fra tutti un numerosocontingente di lanzichenecchi.

Quando giunse notizia alla Dieta elvetica che anche Genova stava per pas-sare con la Francia e aprire il suo porto alle navi francesi (minacciando un’inva-sione della Lombardia dalle coste liguri), l’assemblea decise di mandare in Italiaun corpo di spedizione di 4.000 uomini, al comando del balivo di Lucerna, Kunge del capitano di Uri, Imhof 34. Ancora una volta, però, nonostante il divieto diarruolare volontari, il miraggio del guadagno in bottino suscitato da una campa-gna militare in Italia gonfiò le fila del contingente lungo la strada al punto che,quando le truppe, verso la fine di maggio, arrivarono a Novara, gli ufficiali delduca di Milano contarono oltre 8.000 fanti. Non c’era denaro sufficiente nellecasse milanesi e papali per pagare tutta quella gente ed era prevedibile che lanuova campagna di guerra si sarebbe dovuta sostenere con nuove tasse prele-vate dalle popolazioni lombarde; le pesanti imposizioni scatenarono dei tumultia Milano e costrinsero gli svizzeri a ridimensionare le loro pretese ma il malcon-tento, inevitabilmente, serpeggiò tra le fila dei mercenari prima ancora che que-sti iniziassero a combattere 35. Nonostante le prime diserzioni, l’esercito marciòfino ad Alessandria dove venne raggiunto dal cardinale Schiner e da 1.500 cava-lieri pontifici e milanesi capitanati da Prospero Colonna; i comandanti ricevetteronotizie sulla consistenza della grande armata francese che si stava concentrandoa Embrun. Venne riunito il consiglio di guerra che decise di chiedere rinforzi allaDieta elvetica mentre le truppe a disposizione avrebbero marciato verso i passialpini per chiudere ai francesi gli sbocchi in Piemonte. Ma la discordia aveva giàcreato larghe crepe tra i contingenti svizzeri e parte di questi, preoccupati per lamancanza del soldo, si rifiutarono di muoversi; a complicare la situazione eraanche il sistema federativo di comando che imponeva di mettere ai voti tutte ledecisioni sul campo e non faceva che aumentare la confusione tra i vari gruppicantonali 36.

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34 Per la campagna di guerra del 1515 in generale sono state consultate le seguenti opere: S. FREY, Le guerremilanesi. La campagna del 1515, in “Storia Militare Svizzera”, Berna 1936. K. R. HANS,Marignano 13-14 set-tembre 1515, in “Le battaglie svizzere”, Berna, s.d.35 J. DE MULLER, Histoire de la Confédération Suisse, Paris-Lausanne 1840, vol. IX, pp. 433-43436 A. ESCH, Mercenari, cit., p. 70.

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il 5 giugno entrarono nella città assediata. All’alba del 6 giugno gli svizzeri deci-sero di uscire da Novara e attaccare le posizioni francesi per tentare di spezzarel’assedio con la semplice carica dei loro quadrati di picchieri; nonostante i vuoticreati dalle artiglierie, i fanti elvetici riuscirono a circondare il campo francese,sbaragliando le formazioni di lanzichenecchi e mettendo in fuga l’intero esercitonemico che abbandonò sul terreno tutti i cannoni, le tende e gli equipaggiamenti.

La clamorosa vittoria degli svizzeri e la precipitosa fuga dei francesi, che la-sciarono sul campo quasi 10.000 morti ( tra i quali tutti i lanzichenecchi che ven-nero massacrati dagli svizzeri senza misericordia), spalancò le porte del Piemonteall’invasione elvetica; le forze riunite confederate contavano ora oltre 15.000 uo-mini ma queste, prima di avanzare in territorio sabaudo, passarono i giorni suc-cessivi alla battaglia a spartirsi l’ingente bottino e a seppellire i loro morti che, perla prima volta nelle campagne italiane, avevano raggiunto la cifra di circa 1.500mercenari uccisi 31.

Come già accennato precedentemente gli svizzeri, nella loro avanzata versoil cuore del Piemonte, toccarono Vercelli, Casale, Alessandria arrivando fino adAsti, saccheggiando diverse località e imponendo tributi sia al marchese di Mon-ferrato sia al duca di Savoia per punire quest’ultimo della sua supposta alleanzacon la Francia; i resti dell’esercito francese, intanto, raggiungevano Chivasso dovegli ospedali si riempirono “…di feriti francesi, che provvisti e curati furono a spese dè Ci-vassini, fino all’intero loro ristabilimento non ostante che ostilmente fossero stati da què soldatitrattati, si nell’andata, che ritorno dalla Lombardia…” 32.

La vittoria di Novara esaltò l’orgoglio svizzero al punto che se sul campo dibattaglia la febbre di conquista diventava, spesso, insaziabile fame di denaro chetrasformava i soldati in assassini e tagliagole, presso la Dieta faceva nascere sognidi una breve quanto effimera grandezza, mai più eguagliata in seguito. La posi-zione di forza assunta dalla Confederazione nell’ambito delle grandi potenze eu-ropee sfociò, nell’autunno del 1513, nella spedizione di Digione, pianificata perottenere dal re di Francia, impegnato in guerra con Impero e Inghilterra, conces-sioni definitive nel nord Italia; nel trattato di pace che seguì alla breve campagna,però, le promesse francesi (rinuncia al ducato di Milano e alle città di Asti e Cre-mona, oltre al versamento di una indennità di guerra di 400.000 corone) non fu-rono ratificate da Luigi XII.

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31 Per la battaglia di Novara, anche detta dell’Ariotta, sono state consultate le opere menzionate alla nota17, in particolare l’articolo “ Bataille de Novare (1513) ” dal sito internet di Wikipedia, nella versione fran-cese.32 G. BORLA, Memorie, cit., p. 794.

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Il 12 giugno la Dieta che ormai vedeva nei progetti del re di Francia una mi-naccia ai suoi “possedimenti” transalpini (tali erano considerati i territori del du-cato di Milano), proclamò la levata di un secondo esercito, forte di 14.000 uomini,da inviare in Italia e la messa in stato di difesa del territorio nazionale, espostoad una probabile invasione francese. Il 25 giugno il contingente si mise in mar-cia, diviso in due colonne: la prima, costituita dai cantoni occidentali, attraversòil Gran San Bernardo e, discesa la valle d’Aosta, arrivò ad Ivrea; la seconda, for-mata dai cantoni orientali, scese invece dal San Gottardo e puntò su Vercelli,dove arrivò nei primi giorni di luglio. Nel frattempo il capitano bernese Albrechtvom Stein era riuscito a convincere gli altri ufficiali svizzeri a muovere il primocontingente da Alessandria verso le Alpi; il 22 giugno le truppe si erano messein marcia verso Asti e, dopo una sosta di pochi giorni in quella città, il 27 giugnoavevano proseguito per Chieri 37.

L’avanzata dell’armata attraverso il Piemonte non era vista di buon occhio dagran parte degli svizzeri in quanto il duca di Savoia, seppure ufficialmente alleatodella Confederazione, non era considerato affidabile e, cosa ancora più impor-tante, le contribuzioni estorte con facilità nel ducato di Milano in quei territorinon sembravano facilmente esigibili da popolazioni fondamentalmente ostili che,spesso, non ubbidivano nemmeno alle ingiunzioni ducali di accogliere e nutriregli eserciti alleati.

La politica altalenante di Carlo II era una conseguenza della delicata posi-zione strategica e della fragilità militare del ducato sabaudo, stretto tra potenti escomodi vicini che consideravano i suoi territori, incuneati a cavallo dei monti traFrancia, Svizzera e Italia, un intralcio alle loro politiche espansionistiche. Comeriassume bene il Cognasso nel suo studio sui Savoia: “La neutralità era un grande de-siderio di popoli e di principi; Carlo II pensava all’equilibrio ma occorreva una volontà tenace,per difendere la propria terra ed occorrevano armi pronte; il duca di Savoia non aveva armi,non aveva popoli disposti a combattere” 38. Il duca stesso, non a caso soprannominato“il buono”, per via del suo carattere debole ed attendista, suscitava da anni neisuoi nemici personali perversi disegni di vendetta che, ad un certo punto si erano

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37 VALERIUS ANSHELM, Die Berner Chronik, 6 voll., Bern 1884-1901, vol. IV, p. 84. Lettera inviata daAsti il 27 giugno 1515, firmata Albrecht vom Stein, in cui il capitano informa il consiglio bernese sul mo-vimento delle truppe verso Chieri: “…uf hit von Ast gon Kier…Datum zu Ast uf Mitewochen nach JoannisBaptista-ist gwesen der 27. tag Juny-. Albrecht vom Stein hoptman.”. Le cronache bernesi di Valerius Anshelm(1475-1547) che raccolgono un grande numero di documenti contemporanei, tra i quali le missive dalcampo, sono fonti preziose per una ricostruzione della campagna di guerra del 1515 in Piemonte vistadalla parte degli svizzeri.38 F. COGNASSO, I Savoia, Milano 1971, p. 306.

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provavano per la mentalità e i costumi italiani, profondamente diversi dai loro;esemplare, al proposito, è il commento sulle abitudini del duca MassimilianoSforza, espresso dagli uomini, svizzeri, della sua guardia personale “…non fa chedormire tutto il giorno, servendo Dio poco o punto, non ascoltando la messa, e vivendo quasisi fosse dato la vita da sé. Di notte non fa che torneare e darsi alla pazza gioia, si comportacome uno che ha uccellato, e conduce una vita disordinata per un principe…” 29.

Ancora una volta sono le parole dell’Esch ad aiutarci a capire ciò che questoclima di odio, sospetti e rancori avrebbe provocato in seguito: “I confederati, cheerano stati indotti a credere di essere venuti come soccorritori e liberatori, non tardarono ad ac-corgersi con amarezza, non vedendo “nessuna gratitudine, del grande tradimento da parte ditutto il paese”; il rancore accumulato in questa occasione sfociò (non in tempo di pace, ma du-rante le campagne militari come quella del 1515) in cruente rappresaglie: il semplice sospetto,rivelatosi poi infondato, che i prigionieri svizzeri fossero stati ammazzati, li indusse a massa-crare tutti gli abitanti di Chivasso e a ridurre in cenere la città” 30.

Nell’autunno del 1512, dopo che gli svizzeri avevano inviato un’ambasceriaa Roma su richiesta del papa e questi aveva benedetto le loro vittorie davanti allafolla, la guerra nel nord Italia conobbe una breve pausa. La sconfitta non avevaperò intaccato le velleità di conquista del re di Francia che, alla morte di GiulioII, nel febbraio del 1513, strinse un accordo con Venezia e inviò un altro eser-cito in Italia, forte di 20.000 uomini, al comando dei due valenti generali Louisde la Tremouille e Gian Giacomo Trivulzio con l’obiettivo di riconquistare il du-cato di Milano.

I francesi rioccuparono quindi Asti e Alessandria e presero Pavia con largaparte del milanese; il duca Massimiliano Sforza si ritirò allora dentro Novara con4.000 mercenari svizzeri mentre un secondo corpo di spedizione elvetico, vo-luto dal cardinale Schiner e arruolato in breve tempo, scendeva a marce forzatedal Sempione.

L’esercito francese mise il campo davanti a Novara il 3 giugno e la primamossa dei suoi generali fu di tentare di corrompere la guarnigione elvetica comegià era successo tredici anni prima, quando gli svizzeri assoldati da Ludovico ilMoro si erano lasciati comprare, sempre dai francesi, e avevano consegnato loroil duca; questa volta però, forse memori di quel vergognoso tradimento, non ce-dettero alle lusinghe del denaro e aspettarono i rinforzi, 8.000 compatrioti, che

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29 A. ESCH,Mercenari, cit., p. 68. La lettera citata fu inviata l’8 agosto 1515 da Milano ed è conservata comegran parte delle altre citate dall’autore nel fondo “Unnutze Papiere”, UP 66, n.50, (ASB).30 Ibidem, p. 68. L’autore si riferisce alla lettera scritta da Ivrea il 21 agosto 1515 dopo il sacco di Chi-vasso, conservata in UP 61, n. 56, (ASB).

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intrecciati guarda caso con la cupidigia crescente dei cantoni svizzeri, già pervasidal loro breve delirio di potenza.

L’uomo che aveva dato il via a tutto questo era il segretario personale delduca, Jean Dufour, notaio di Annecy che, verso il 1507, entrato in disaccordoper oscuri motivi con Carlo II, dichiarò di volerlo ridurre più povero del più po-vero dei suoi vassalli, architettando una truffa in grande stile; lo scaltro corti-giano, probabilmente già in contatto con i veri mandanti dell’affaire ( i governantielvetici che consideravano la cosa il primo passo verso l’estensione della loroarea di influenza politica e militare nella Savoia ), fabbricò una falsa donazione afavore dei cantoni di Berna e Friburgo, datata 1489 e firmata dal duca Carlo I,predecessore di Carlo II. Nel documento, il duca di Savoia proclamava che, incaso di mancanza di eredi diretti alla sua morte, si sarebbero dovuti ricompen-sare i due cantoni per non precisati servigi con 150.000 fiorini a Friburgo e200.000 a Berna; gli svizzeri, facendo leva proprio sul fatto che Carlo II non erafiglio di Carlo I 39, intimarono al duca il pagamento della somma minacciando laguerra. Le proteste del duca non servirono a nulla e le sue richieste di aiuto ri-volte al papa, all’imperatore e al re di Francia non sortirono alcun effetto; leguerre d’Italia si stavano avviando al loro apice e i mercenari svizzeri eranotroppo temuti e desiderati da tutti i contendenti per essere contrariati. Nel giu-gno del 1508 il duca fu costretto a firmare un contratto capestro con i cantonielvetici, dopo che questi avevano abbassato le loro richieste ad una cifra di120.000 fiorini pagabili in otto anni.

La truffa riuscì talmente bene che anche gli altri cantoni vollero entrare nel-l’affare e due anni dopo, nel 1510, il Dufour sfornava altri quattro documentifalsi: una donazione simile alla prima in favore di Zurigo, Lucerna, Uri, Schwitz,Unterwalden, Zug, Glarona e Soletta per un totale di 400.000 fiorini, un’altra do-nazione in cui la cifra raddoppiava a ben 800.000 fiorini, una terza che elargiva60.000 fiorini anche al marchese di Monferrato e la quarta che si limitava a do-nare alcune terre al Vallese. Ancora una volta il duca chiese aiuto, invano, e nelfebbraio del 1511 tentò di confutare, di fronte alla Dieta elvetica, la veridicità deidocumenti inventati dal Dufour. A quel punto si mossero gli ambasciatori fran-cesi ed imperiali, cercando di proporre ai cantoni un accomodamento per

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39 Carlo II era figlio di Filippo II senza Terra, del ramo dei Savoia della Bresse, che era succeduto a CarloI nel 1496, dopo la breve reggenza della moglie di quest’ultimo Bianca di Monferrato e la morte di suofiglio, Carlo Giovanni Amedeo all’età di 7 anni, ultimo duca del ramo ducale. Alcuni studiosi definisconoCarlo II questo bambino, anche se di fatto non regnò mai come duca, e Carlo III il suo successore di cuisi tratta in questo studio. Il Cognasso, giustamente a mio avviso, non considera duca il figlio di Carlo I,passando il titolo di Carlo II al nuovo duca del ramo di Bresse.

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atrox” 26 è l’iscrizione che ancora oggi si legge sulle pareti del santuario di SantaMaria delle Grazie vicino a Mantova, frase che spiega sinteticamente bene la si-tuazione militare creatasi in quegli anni sui campi di battaglia del nord Italia: fran-cesi e svizzeri a contendersi il sanguinoso primato e la potenza venezianaimpegnata a tenere d’occhio la forza dei primi usando le lance dei secondi.

L’arma principale degli svizzeri, infatti, era la lunga picca che, pur non costi-tuendo affatto una novità in campo bellico, in mano a gente che faceva di corag-gio e spirito di corpo il collante delle proprie formazioni diventava un’armamicidiale. Davanti all’avanzata inarrestabile dei quadrati di fanteria elvetica ogniresistenza crollava e la guerra nella pianura padana, per i francesi e i loro alleatiitaliani, si trasformò in una precipitosa ritirata perché, usando ancora le parole delCardini “…in confronto al pathos della guerra cavalleresca - dove si gridava, si agitavano in-segne, si cantava, si rideva, si piangeva, ci si offendeva ma in fondo si moriva di meno - l’istricesvizzera era un’immagine di cupa, impassibile, inesorabile ferocia” 27.

In tre settimane la Lombardia fu conquistata e il 18 luglio il cardinale Schi-ner, governatore e reggente del ducato milanese, accoglieva trionfalmente a Mi-lano Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro, restituendogli un effimeropotere; il giovane duca per ringraziarlo lo nominò marchese di Vigevano e inquel momento il potente prelato, al quale il papa avrebbe dato il titolo onorificodi “Liberatore dell’Italia e protettore della Chiesa” divenne, di fatto, il “deus exmachina” della politica svizzera nel nord Italia.

I francesi, ritirandosi attraverso il Piemonte, lasciarono in mano agli svizzerianche la contea di Asti e Alessandria che ritornavano così nella sfera di influenzasforzesca e sostarono a Chivasso prima di prendere la strada dei passi alpini; ilBorla accenna, infatti, nelle sue memorie alla “…disgraziata sorte…” avuta dallacittà “…di albergare la fugitiva armata, che a gran passi si accostava alle Alpi, con gravis-sima comune e particolare spesa…” 28.

La Confederazione si era insediata saldamente nel cuore della ricca pianurapadana, raggiungendo l’apice della potenza militare e politica ma questo successosarebbe stato di breve durata; già all’indomani dell’occupazione di Milano che, difatto, era diventata un protettorato elvetico, l’ostilità di gran parte della nobiltàlombarda filo-francese faceva temere, ai capitani svizzeri, di non poter mantenerele loro vittorie al riparo dalle mire francesi. D’altra parte gli stessi svizzeri non na-scondevano il loro senso di superiorità morale e militare e l’aperto disprezzo che

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26 Ibidem, p. 72.27 F. CARDINI, Quell’antica festa crudele, cit., p. 104.28 G. BORLA, Memorie, cit., p. 792.

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200.000 fiorini che venne prontamente accettato, nonostante le proteste del ducadi Savoia.

La conclusione di quella triste vicenda fu che Carlo II, incapace di imporrela propria debole voce nel consesso delle grandi potenze, dovette rassegnarsi apagare i 320.000 fiorini totali di quella ben riuscita estorsione: le quietanze di pa-gamento sono ancora oggi conservate nell’Archivio di Stato di Torino dalla primafino all’ultima del 19 gennaio 1519 40.

Il duca di Savoia, costretto a barcamenarsi tra amici e nemici, aveva aderitoin un primo tempo alla Lega di Cambrai nel 1508 contro i veneziani; quando,però, il papa Giulio II nel 1510 aveva ribaltato il gioco delle alleanze schierandosicon questi ultimi contro il re di Francia, Carlo II era rimasto fedele ai francesi.

Dopo la battaglia di Ravenna nel 1512 e la conseguente ritirata francese ilduca decise, nonostante il ricatto Dufour, di allearsi con gli svizzeri che, al mo-mento, sembravano i più forti ma questi, dopo la vittoria di Novara nel 1513,non avevano esitato ad invadere il Piemonte orientale per punirlo delle sue sim-patie francesi. Carlo II, con la sua ambigua politica di neutralità disarmata por-tata avanti con difficili equilibrismi diplomatici era, però, un agnello in mezzo adun branco di lupi e nel 1515, quando salì al trono di Francia Francesco I la situa-zione si complicò ulteriormente; il duca di Savoia era, infatti, lo zio del nuovo rema per via della sua alleanza con gli svizzeri non andò all’incoronazione, anzi, nel-l’imminenza della nuova calata francese in Italia, avrebbe dovuto sbarrare il passoal nipote. Dal momento che, militarmente, questo gli era impossibile, il duca fucostretto ad accogliere il corpo di spedizione elvetico nei suoi territori e ad aprirele porte delle sue città a schiere di mercenari scontenti per la mancanza di ciboe bottino, uomini che ben presto, durante la loro ingloriosa ritirata, avrebberodato sfogo alla loro rabbia prendendosi con la forza ciò che veniva loro negato.

Consiglio di guerra a Chivasso

Nei primi giorni del luglio 1515 mentre il primo corpo di spedizione svizzero,spinto dalle esortazioni del capitano bernese Albrecht vom Stein, si era avvici-nato all’arco alpino accampandosi nel territorio intorno a Chieri, il secondo con-tingente che aveva valicato le Alpi sulle due direttrici del Gran San Bernardo edel San Gottardo, si trovava ancora suddiviso tra Vercelli e Ivrea, indeciso tra lascelta di puntare su Milano ( per tutelare gli interessi elvetici in quella zona) o pro-

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40 F. COGNASSO, I Savoia, cit., pp. 306-308.

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le combattè, utilizza le parole di quegli uomini per descrivere l’impatto che unarealtà completamente diversa da quella del loro vissuto quotidiano ebbe su diessi, un’esperienza che li avrebbe segnati profondamente, nel bene e nel male, tra-sformando i loro orizzonti culturali e quelli delle stesse piccole comunità di pro-venienza. Dalle loro lettere trapelano stupore per un paese fertile e ricco,incredulità per le grandi città piene di grandiosi monumenti dai nomi impronun-ciabili (che vengono, infatti, puntualmente “germanizzati”, come nel caso di Chi-vasso che diventa Tschawats in semplice assonanza con la pronuncia locale), gioiaper la facilità con cui si ammassavano enormi bottini a prezzo di facili vittorie.

A proposito di quel lontano giugno del 1512, durante il quale l’esercito elve-tico marciò trionfalmente verso Milano, egli riporta tra le altre la lettera del ca-pitano friburghese Peter Falk che scriveva eccitato: “I confederati non hanno mai vistoaccampamenti così ricchi e splendidi come quelli avuti finora nelle città e nelle campagne. Vi sitrova in abbondanza tutto ciò che l’uomo può desiderare. Perciò i soldati sono pieni di soldi edi cose meravigliose, appartenute ai francesi e saccheggiate un po’ dappertutto…Siamo tantofelici e stiamo così bene da dover gratitudine eterna al Signore Iddio…” 22.

Da queste parole e dai comportamenti poco edificanti dei soldati sul campo,commmenta Esch, “…emerge la nuova percezione di sé del mercenario svizzero, convintoche ogni cosa fosse a portata di mano, che niente gli fosse negato, dato che davanti agli svizzeritutti i nemici arretravano” 23. L’impatto con la ricchezza economica ed artistica dell’Italia del nord fu fortissimo; se la descrizione ammirata e un po’ ingenua che fauno di loro dell’Arena di Verona, “…talmente grande che, se al suo interno fosse cresciutadell’erba, un falciatore non sarebbe riuscito a falciarla in una giornata…”, ci fa capire quale ful’impressione suscitata su questi uomini dai monumenti, più grande ancora risultò essere “…lafrenesia consumistica scatenatasi alla vista dei beni di lusso nelle strade di Milano…” 24.

“ Sguizari è bon averli” 25, scriveva il veneziano Sanudo, alludendo al fatto che,anche se bisognava comprarli a caro prezzo, gli svizzeri erano una garanzia divittoria perché il loro modo di guerreggiare era completamente diverso dai ca-noni di quella che gli italiani avevano codificato come “l’arte della guerra”; an-cora più temerari dei francesi, che pure erano stati i primi ad infrangere ilconcetto “gentile” del combattere con l’uso massiccio dell’artiglieria combinatocon le nuove tattiche delle fanterie nazionali. “Celta ferox, Venetus prudens, Elvetius

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22 Ibidem, p. 9. Lettera da Pavia a Friburgo del 26 giugno 1512.23 Ibidem, p. 10.24 Ibidem, pp. 50-51.25 Ibidem, p. 72. La frase è presa dai Diarii del Sanudo, vol. XI, p. 447.

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seguire verso le montagne ad occidente per fronteggiare direttamente l’invasionefrancese.

Secondo le cronache bernesi, fonte preziosa di informazioni sulle guerred’Italia, il 6 luglio gli ambasciatori, del Papa, di Spagna e del duca di Milano eranogiunti a Ivrea per esortare ancora una volta gli svizzeri a opporsi ai francesi, ga-rantendo il denaro promesso e i rifornimenti previsti dall’alleanza 41. L’esercitoquindi si mise in marcia verso Chivasso, passaggio obbligato sulla sponda sini-stra del Po verso Torino e luogo d’incontro con il contingente in arrivo da Ver-celli; il Borla riferisce, infatti, che “…ottomille svizzeri presero nello stesso tempo da Ivreadiretti da Prospero Colonna generale dei Milanesi, che in Chivasso presero soggiorno…” 42.

Evidentemente la cavalleria milanese al comando del Colonna, unica forma-zione di movimento in un esercito costituito prevalentemente di fanti, era andataincontro al contingente elvetico insieme agli ambasciatori alleati con l’intento discortarlo verso l’interno del Piemonte e i luoghi di raduno. Pochi giorni dopo letruppe delle due colonne, in tutto circa 13.000 uomini, si riunirono al primocontingente, accampandosi tra Saluzzo, Pinerolo e Chieri, in un territorio fon-damentalmente ostile dove, per procurarsi il cibo, i soldati iniziarono i saccheggiai danni delle varie comunità, seminando il panico nelle popolazioni locali; la setedi bottino degli svizzeri che a Milano li aveva spinti ad imporre a MassimilianoSforza un tributo di 30.000 ducati, in Piemonte fece di loro dei feroci taglieggia-tori “…che prendevano con tanta violenza che i bambini del paese erano costretti ad elemosi-nare cibo…” 43. I dissidi interni al corpo di spedizione, inoltre, stavano rallentandoulteriormente la marcia verso i passi alpini, la difesa dei quali era l’unica mossastrategica possibile per tentare di arginare l’imminente calata francese, facilmenteattuabile nelle strette valli montane dove la superiorità numerica non avrebbecontato molto e cavalleria ed artiglieria non sarebbe state così determinanti comein campo aperto; la principale causa della discordia era la mancanza del soldopromesso, necessario per invitare dei mercenari a combattere e, nel caso deglisvizzeri, essenziale stimolo per le loro campagne 44.

Non si avevano notizie precise sui movimenti dell’armata francese ( che si an-dava concentrando a Lione) e non c’era l’unione di intenti necessaria per portare

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41 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 86. Ivrea viene chiamata Ifery dagli svizzeri.42 G. BORLA, Memorie, cit., p. 800.43 L. SCHWINKHART, Chronik (1506-1521), a cura dell’Historichen Verein des Kantons Bern, Berna1941, p. 162.44 Famoso al proposito è il modo di dire francese, nato proprio in quel periodo, “pas d’argent, pas desuisse” che riassume bene la visione “commerciale” elvetica della guerra.

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Le campagne di Lombardia

La ritirata degli svizzeri dalla Lombardia aveva lasciato mano libera ai fran-cesi che, al comando di Gaston de Foix, nella primavera del 1512 riconquistaronogran parte dei territori occupati dai veneziani e dal papa, vincendo la Lega anchenella battaglia di Ravenna il lunedì di Pasqua dove, però, il giovane generale fran-cese perse la vita. Le sorti della guerra si ribaltarono così a favore del papato e diVenezia; il cardinale Schiner, facendo leva sul diffuso sentimento anti-francesenella Confederazione elvetica e garantendo la generosità papale, convinse la Dietaa levare un nuovo esercito da inviare in aiuto di Giulio II. In aprile furono ema-nati gli ordini di leva nei cantoni e già il 6 maggio i contingenti, al comando delbarone Ulrich di Hohensax, si misero in marcia verso Verona, luogo scelto comepunto di raccolta degli eserciti della Lega; fu qui che il 26 maggio 1512, come ac-cennato in precedenza, il cardinale Schiner vide scendere dalle montagne tren-tine il più grande corpo di spedizione che gli svizzeri avessero mai mandato inItalia.

Lo Schiner, investito del comando riunito delle forze svizzere e veneziane, eraportatore dei doni e, soprattutto della paga promessa dal papa ( anche se scoprìin quel momento di avere portato denaro per pagare solo i 6.000 mercenari at-tesi e non 20.000 ); il cappello, la spada benedetta e i due gonfaloni che Giulio IImandava ai suoi fedeli servitori oltremontani fecero salire il loro morale alle stellee li convinse di essere dei liberatori voluti da Dio 19.

In poco più di tre settimane di avanzata inarrestabile gli svizzeri spazzaronovia i francesi dalla Lombardia; niente e nessuno sembrava potesse fermare queisoldati che uccidevano senza misericordia, non prendevano prigionieri e lascia-vano indietro i feriti convinti com’erano che “Il Signore Iddio ci scorterà tutti, dal mo-mento che combattiamo per la sua santa chiesa..” 20. Gli osservatori italiani ammiravanoil loro valore ma commentavano stupiti e frastornati i loro metodi; “Questi sgui-zari hanno sachizato tutto el castello, el qual era pieno di vino, formazo, farine e robe dè con-tadini e altro…” 21, così un ufficiale veneziano descriveva la presa del castello diValeggio sul Mincio, nei primi giorni dell’avanzata.

Arnold Esch, che nel suo interessante saggio sulle guerre milanesi ha rico-struito le campagne svizzere dal 1510 al 1515 partendo dal punto di vista di chi

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19 C.R. MARCEL RICHARD, La Guardia Svizzera, cit., pp. 33-34.20 A. ESCH, Mercenari, cit., p. 5321 Ibidem, p. 53. L’autore cita una lettera contenuta nei Diarii di Marin Sanudo, vol. XIV, pp. 280 e se-guenti.

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avanti quella campagna militare iniziata così fiaccamente; il malcontento era cosìdiffuso tra le fila elvetiche che il 12 luglio 1515 i capitani confederati deciseroquindi di radunarsi a Chivasso per consultarsi 45. Non si trattò di un incontro ri-solutivo ( se mai ce ne furono nel corso della campagna) ma i punti da discutereerano importanti; per questo motivo è probabile che fossero presenti ambascia-tori e plenipotenziari di tutte le parti in campo (non esclusi i francesi), compresii rappresentanti dei governanti dei territori attraversati e regolarmente spremutidagli svizzeri. Stando alle cronache bernesi in quel consiglio si parlò delle mano-vre ufficialmente occulte ( al contrario ben note) della madre del re di Francia,Luisa di Savoia, per convincere gli svizzeri ad un’alleanza, una proposta che in pa-tria stava spaccando fino alle fondamenta i principi su cui poggiava la Confede-razione; si discusse delle lamentele del duca di Savoia che, coinvolto per forzanella faccenda, vedeva in quell’alleato ingombrante la causa delle sue sfortune,passate e recenti e del malcontento del marchese di Monferrato, al quale era statoimposto un pesante tributo da parte degli svizzeri e dei milanesi, sotto pena disaccheggio inesorabile. Conseguenza immediata di tutte queste incertezze poli-tiche era la cruda realtà di una guerra non ancora combattuta ma già opprimenteper le popolazioni piemontesi, che vivevano nel costante pericolo del saccheg-gio indiscriminato da parte di quelle orde di lupi famelici, calati dalle montagneper razziare in un paese che a loro doveva sembrare un’anticamera dell’eden abi-tata da greggi di pecore inermi.

Eloquente al proposito è la lettera che i capitani bernesi, il giorno dopo l’in-contro, scrissero in patria, stupefacente esempio di che cosa stava provocando al-l’interno delle fila elvetiche l’avidità di bottino: “…Ci era stato promesso, quando sifosse conclusa l’alleanza, che non ci sarebbero più mancati soldi e aiuti. Molti non ci credonofinchè non lo vedranno. Abbiamo bisogno di molto denaro poiché ne abbiamo una grande ca-renza. Mangiamo alla povera gente ciò che è loro senza pagarlo; non ci accontentiamo solo dellecose necessarie ma prendiamo loro tutto ciò che possiedono come soldi, argenterie, vestiti e nienteè più al sicuro; picchiamo la povera gente, Dio ci perdoni. Diventeremo peggio dei Guasconi.

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45 V.ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 86, “Abscheid zu Tschawats. Und am 12. des Heumonats sind die Haup-tleute und Vertreter der Eidgenossen, die im Krieg waren, nach Tschawats zur Beratung gekommen…”. “…E il 12 lu-glio i principali capitani e rappresentanti dei Confederati in campo, sono convenuti a Chivasso perconsultarsi…”. Ringrazio il prof. Esch per la cortese trasposizione dei testi dall’alto tedesco al tedescoodierno.

Il consiglio di guerra di Chivasso è ricordato anche dal Guicciardini nelle Lettere attraverso le noti-zie avute dal corrispondente mediceo dal Piemonte, Raffaello Girolami: “…non di meno di Lombardiascrivono in contrario gagliardamente, et Raffaello scrive che facevono [gli svizzeri] una Dieta a Civas, luo-gho vicino a Turino…”. F.GUICCIARDINI, Le Lettere 1514-1517, a cura di Pierre Jodogne, Roma 1986,vol. 2, pp. 71-72.

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aveva visto proprio nelle qualità belliche degli svizzeri l’arma vincente per la suapolitica italiana e ne aveva arruolati 200 per la sua guardia personale 17.

Nel 1508 il papa riuscì a formare la Lega di Cambrai in funzione anti vene-ziana, alla quale parteciparono Francia, Impero e gli altri stati italiani; per attirareanche gli elvetici dalla sua parte egli nominò l’ambizioso vescovo di Sion nunziopapale ben sapendo di poter contare su un diplomatico energico e determinatonell’affermare il primato di papato e impero. Alla lunga la politica antifrancesedello Schiner prevalse e l’anno successivo la Confederazione non rinnovò l’alle-anza con la Francia; era il preludio al patto tra i cantoni elvetici e il papa, stabi-lito nel 1510, nel quale gli svizzeri si impegnarono per cinque anni a fornirecontingenti di soldati per sostenere la politica armata di Giulio II in Italia, garan-tendo che nessun altra potenza europea avrebbe avuto il permesso di arruolarein Svizzera.

La successiva creazione della Lega Santa, promossa dal papa per scacciare ifrancesi dall’Italia al grido di “fuori i barbari” ( in realtà un pretesto per averemano libera nella penisola arruolando barbari per scacciare altri barbari), vide ladiscesa in Lombardia nel 1510 e nel 1511 di corpi di spedizione svizzeri che, nonriuscendo a smuovere i francesi dalle loro piazzeforti, si dovettero ritirare lascian-dosi alle spalle una scia di devastazioni e violenze sulle popolazioni inermi. Men-tre il risentimento contro i francesi univa la Confederazione, il papa diede alloSchiner la sede vescovile di Novara e poco dopo lo nominò cardinale; l’annosuccessivo, con l’incarico di legato papale per l’Italia e la Germania, il cardinaleavrebbe inaugurato la breve ma intensa stagione del predominio svizzero nelnord Italia 18.

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17 C.-R. MARCEL RICHARD, La Guardia Svizzera Pontificia nel corso dei secoli, Milano 2005, p. 29. In re-altà questo primo contingente, a causa delle resistenze della Francia, fu ridotto a 150 uomini che arriva-rono a Roma il 22 gennaio 1506. Loro primo comandante fu il capitano lucernese Kaspar von Silenen,parente del Cameriere segreto pontificio Peter von Hertenstein, inviato del Papa per concludere gli ac-cordi di reclutamento con la Dieta di Zurigo. Per una storia delle origini della potenza militare elveticasopra descritta sono state consultate le seguenti opere: D. MILLER, G.A. EMBLETON, Gli svizzeri inguerra 1300-1500, Londra 1993. C. AMELLI, La battaglia di Marignano, San Giuliano M. 1965. G. THU-RER, G. CALGARI,Marignano, fatale svolta nella politica svizzera, Zurigo 1965. Siti internet: WWW.WIKI-PEDIA.ORG, Mercenari svizzeri. WWW. HLS-DHS-DSS.CH, Dizionario storico della Svizzera.18 Per una biografia del cardinale Matheus Schiner (1465-1522), oltre ai vari riferimenti sulla sua vita con-tenuti nei vari autori citati, sono stati consultati i siti internet: WWW.WIKIPEDIA.ORG, WWW.NE-WADVENT.ORG, Catholic Encyclopedia, New York 1913.

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Non siamo in grado di punire i colpevoli di queste malefatte dal momento che essi non ricevonola paga; sono arrivati a minacciare di sgozzare i loro stessi ufficiali venendo all’assemblea conle loro bandiere. Voglia Dio che giri tutto per il meglio!...” 46.

Dopo parole così drammatiche che avrebbero certo fatto impensierire più diun generale in altri eserciti e in altre epoche, la lettera si chiudeva con una breverelazione che rivelava chiaramente la mancanza di preparazione dei comandantisvizzeri, l’eccessiva fiducia nei propri mezzi e l’assenza di un obiettivo strategicopreciso: “…Non abbiamo ancora nessun nemico di fronte a noi; dubitiamo passeranno di qua(i francesi) se siamo così forti, nonostante gli avvertimenti che ci arrivano [!]. I nostri confe-derati da Zurigo sono a Pinerolo con noi (i bernesi); gli altri cantoni marciano verso Chieridal momento che non possono riunirsi a causa [della carenza] dei rifornimenti. Non sappiamoniente di preciso per cui non abbiamo niente da aggiungere. Da Chivasso il 13 luglio 1515.Albrecht vom Stein, Antoni Spilman, Rudolf Senser”.

Tra i personaggi convenuti a Chivasso per quel consiglio, secondo i dispacciche i capitani friburghesi spedirono a casa, c’era, effettivamente, anche Luisa diSavoia, duchessa di Angouleme, sorella del duca Carlo II nonché madre del re diFrancia e decisa fautrice di una pace tra il figlio e la Confederazione; una letteradel 13 luglio, firmata dai capitani Hans Schmid e Peter Raschi e dal luogotenenteHans Krummenstoll, parla chiaramente della richiesta, da parte della duchessa,di una scorta per raggiungere la città, dove era attesa dal cardinale Schiner e dalsuo stato maggiore insieme ai vari messaggeri delle parti in campo 47. Non ab-biamo altre informazioni circa l’effettiva presenza a Chivasso di un simile perso-naggio anche perché le cronache bernesi accennano solo alle richieste che laduchessa aveva rivolto ai confederati e non ad una sua presenza in Piemonte mal’accenno alla sua scorta, fatto dai friburghesi, lascia aperte le possibilità e con-ferma, indirettamente, che emissari francesi fossero davvero presenti al consi-glio.

La lettera dei capitani friburghesi del 13 luglio 1515 non si limitava a riferiredell’importante consiglio, anzi, possiamo dire che quell’avvenimento servisse

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46 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, pp. 87-88, “Missif ab disem tag an Bern…Datum zu Tschawats uf den13. tag Julii…”. La lettera è ripresa dall’ Esch e da altri storici svizzeri tra i quali il MULLER, Histoire,cit., vol. IX, pp. 435-436.47 La lettera, conservata presso lo Staatsarchiv di Friburgo nel fondo Gesetzgebung und Verschiedenes “Legi-slazioni e varie” Cod. 63 c, (pagina C66 1515) è contenuta nella riedizione critica delle “Die grosse freibur-ger chronik des franz rudella” recentemente oggetto di una tesi di laurea della dott. Silvia Zehnder-Jorg ededita dall’università di Friburgo (2005). L’episodio del convegno di Chivasso è descritto alle pp. 421-422delle Chronik, dove il testo della missiva è riportato interamente; altri riferimenti al saccheggio della cittàda parte degli svizzeri sono alle pp. 409-411-412-413 ( e relative note di approfondimento).

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degli svizzeri, si sarebbe rivelata difficile da tenere sotto controllo anche a causadella struttura “federale” in cui era suddiviso l’esercito e la tendenza, come sivedrà più avanti, a mettere in discussione qualsiasi decisione sul campo. Ma erano,soprattutto, la carenza di denaro e i mancati pagamenti che irritavano maggior-mente quei formidabili soldati, tanto valorosi e sprezzanti della morte in batta-glia, quanto rapidi ad abbandonare il loro “datore di lavoro” se ritardava il soldo;così, per ovviare ai numerosi inconvenienti che si creavano durante i lunghi per-corsi di guerra, i capi incoraggiavano i loro uomini a rifarsi sul ricco territorio ita-liano che attraversavano, ricolmo, agli occhi di quei rudi montanari, di ogni bendi Dio. Il cardinale Schiner, onnipresente sul suo cavallo con spada e corazza, giàall’inizio della campagna li aveva autorizzati con queste parole “…ciò su cui riu-scite a mettere le mani, consideratelo vostro…” 16; e quei bravi soldati, arrivati dalle lorovalli trascinandosi appresso armi e rifornimenti (cannoni e forme di formaggio),avrebbero ben presto integrato gli uni con l’abbondante artiglieria catturata evenduto per strada le altre, tanto era il cibo che avevano a disposizione in Lom-bardia.

Tutto questo, però, esigeva comunque un pesante tributo in vite umane che,in un paese piccolo e prevalentemente agricolo come la Svizzera, alla lungaavrebbe potuto creare irreparabili vuoti di forza lavoro nella campagne. Nel 1505la Dieta calcolò che gli ultimi anni di guerra, coincidenti con le prime spedizionioltralpe, avevano già mietuto tra le file dei mercenari più di trentamila caduti; ilsistema delle pensioni stava evidentemente risucchiando la linfa vitale della Con-federazione e creando una serie di disagi sociali sempre più profondi. Furonoemanate leggi severe che punivano chi reclutava mercenari in proprio senza l’au-torizzazione federale ma il sistema, lucroso per molti, continuò e lo stesso car-dinale Matheus Schiner, vescovo di Sion nel Vallese, pur conscio dei mali chequesto meccanismo perverso portava nel paese (avidità di guadagno, disparitàsociale tra le città e le campagne, comparsa di abitudini e mode aliene alla tradi-zionale semplicità montanara), avrebbe sfruttato la situazione a vantaggio del pa-pato in funzione antifrancese, dopo che il nuovo pontefice Giulio II della Rovere

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16 A. ESCH, Mercenari, mercanti e pellegrini. Viaggi transalpini nella prima Età moderna, Bellinzona 2005, 1.Mercenari svizzeri in marcia verso l’Italia, p. 54. L’autore cita le lettere del capitano bernese Burkhard vonErlach, scritte dal campo durante le campagne di guerra in Italia. Lo studio del professor Esch, sottoti-tolato “ L’esperienza delle guerre di Milano (1510-1515) secondo fonti bernesi” si basa, principalmente,sullo studio del fondo “Unnutze Papiere”, ovvero carte inutili, dell’Archivio di Stato di Berna (ASB)dovesono conservati i ruoli di truppa, le liste delle spese in campagna, le lettere e altri documenti “poveri” chesi sono rivelati preziosissimi per tracciare in “presa diretta” un efficace affresco umano delle campagnedi guerra in Italia.

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solo da introduzione alla parte che a loro premeva di più: la comunicazione del-l’aggressione, avvenuta una settimana prima, ad un convoglio di mercanti luc-chesi sulla strada del Moncenisio da parte dei fanti di Friburgo e Soletta. Il fattoera avvenuto il venerdi’ precedente nei pressi di Rivoli e i 14 muli carichi di pre-ziose sete, trafugati agli inermi mercanti toscani, stavano diventando un incidentediplomatico per la Confederazione perché i lucchesi avevano protestato diretta-mente dal Papa, con il quale avevano, a loro dire, anche legami di parentela 48. Anoi interessa il fatto che i mercanti vennero a Chivasso, il giorno del consiglio, perreclamare la restituzione del maltolto direttamente ai capitani friburghesi cheperò, al pari dei bernesi, avevano notevoli problemi a convincere i loro uominia rinunciare al bottino; questa è un’ulteriore prova di quanto fosse diminuita ladisciplina tra le file confederate e, per contro, stesse aumentando pericolosa-mente il desiderio tra i soldati di arrotondare il soldo con la rapina. Il rifiuto direstituire le merci sottratte, costrinse le due città interessate, Friburgo e Soletta,sotto pressione degli alleati papali, a pagare, dopo la campagna, 4.000 coroneciascuna come indennità ai mercanti di Lucca 49.

La conferma della sosta in città dell’esercito elvetico in quei giorni di lugliola ritroviamo nelle Reformazioni ( gli ordinati comunali) del 1515 compilate dalnotaio Giovanni Simone dell’Isola, scriba comunitatis; il 4 di agosto 1515, infatti,leggiamo che un certo Franciscus Chezij ed un Anthonius (il cognome non èleggibile) supplicavano la Pubblica Credenza di rimborsare i danni, maximun dam-num, provocati nel loro ospizio ( inteso nel senso di albergo per viaggiatori ) daglisvizzeri durante il loro soggiorno chivassese, “propter elvetios logiatos in eorum hospi-ceijs”, tra i quali, sottolineavano i due, vi erano il cardinale Schiner con l’interostato maggiore dell’armata, “cardinalis seduneis cum aliorum capitaneorum” 50. Un altroriferimento alla sosta degli svizzeri e al notevole carico per la città di un similepassaggio lo ritroviamo pochi giorni dopo, l’11 agosto 1515, quando il Consigliocittadino ordinava il pagamento del lavoro svolto da tre credenzieri, “ordinaverunt

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48 F. RUDELLA, Chronik, cit., pp. 421-422. L’aggressione avvenne il 6 luglio 1515; il capitano HansSchmid confermò nella lettera il rifiuto alla restituzione della merce (C66, 1515), “Datum zu Chevas, 13julii…”49 V. ANSHELM, Chronik, cit., pp. 86-87. Il pagamento avvenne infatti solo il 4 agosto 1516, un annodopo i fatti.50 ARCHIVIO STORICO COMUNALE CHIVASSO (d’ora in avanti ASCCH), Libro delle Riformazionianno 1512-1521, fald. 325, fasc. 9, “Chivasso Conseglj 1515”, foglio 3, “Die quarta mensis augusti”. Il fascicolopurtroppo è frammentario e contiene i verbali dei consigli a cominciare dal 1 agosto 1515 fino al 29 di-cembre di quell’anno ma costituisce l’unico documento contemporaneo ai fatti di una certa consistenzaancora esistente.

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valleria medievale e l’inizio di un nuovo modo di fare la guerra; il quadrato for-mato dai fanti armati di picca, sarebbe divenuto un modello esportato a pesod’oro dagli intraprendenti montanari svizzeri che, presa coscienza delle loro po-tenzialità belliche proprio all’indomani della disfatta borgognona, si sarebberoinseriti ben presto e con forza nei delicati equilibri politici europei e italiani in par-ticolare.

Già nel 1500 gli svizzeri avevano accettato di aiutare Ludovico il Moro a ri-prendersi il ducato dopo che, l’anno prima, Milano era stata presa e saccheggiatadai francesi; l’intervento era la naturale continuazione di un secolo di espansionenelle regioni a sud dei passi alpini che li aveva visti impadronirsi del Ticino, dellaValtellina e, seppure temporaneamente, della val d’Ossola. Nel 1503, con la pacedi Arona, Luigi XII re di Francia riconosceva loro anche il possesso di Bellinzonae la Confederazione, sempre più forte delle sue armi, accarezzò l’idea di esten-dere il suo protettorato al ducato di Milano. I suoi mercenari, intanto, continua-vano a combattere per chiunque pagasse loro un cospicuo ingaggio e, diconseguenza, sui campi di battaglia del nord Italia spesso capitava che contingentisvizzeri combattessero contro altri contingenti svizzeri.

Il mercenariato, favorito dalla povertà dell’economia interna delle valli al-pine, trovava terreno fertile in una popolazione abituata da secoli a difendere dasola la propria libertà e quindi capace di combattere in modo feroce per la purasopravvivenza. Il fenomeno, già conosciuto fin dalla Guerra dei Cento Anni, as-sunse gradualmente proporzioni così macroscopiche che i cantoni furono co-stretti ad assumerne il controllo; l’arruolamento venne regolamentato in basealle richieste di ingaggio pervenute dai vari sovrani europei, francesi in partico-lare, che pagavano cifre sempre più elevate ai rappresentanti delle comunità. Inpochi decenni, però, il quadro mutò. Gli enormi guadagni fecero crescere l’avi-dità di denaro non solo nei semplici contadini che accettavano di lasciare i loromagri campi per i favolosi guadagni che avrebbero potuto fare in Italia ma, so-prattutto, negli amministratori stessi dai quali dipendeva il controllo del sistema(spesso gli stessi nobili, ufficiali e reclutatori al tempo stesso dei loro compaesani)che, accanto alle leve “ordinarie” accettavano, dietro i lauti compensi elargiti dagliagenti stranieri ( le cosiddette pensioni), levate di “volontari”in numero sempremaggiore; un meccanismo che ebbe il suo apice durante la campagna del 1512,quando il legato papale, il cardinale Schiner, aspettandosi un contingente di 6.000uomini, ne vide discendere dalle vallate trentine 20.000. Questo sovrannumero,così frequente durante le campagne italiane, innescava una serie di problemi dinatura logistica (soldo, vettovagliamento, armamento) e di disciplina che, nel caso46

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quam solvantur nobilis Laurentio de Ferrarijs, Paganino de Platis et Bernardino Sicardi”, cheavevano tenuto il conto dell’alloggiata in città dell’armata elvetica, “in allogiandoelvetios…per eorum labore pro tesauro comunitatis et incomputorum suis intrabitur” 51. Perquanto riguarda, infine, il vitto di un numero così elevato di uomini troviamo unaltro indizio il 22 ottobre 1515, quando la città era già stata saccheggiata e si sta-vano ancora tirando le somme della catastrofe; una delibera di quel giorno auto-rizzava il rimborso per i grandi quantitativi di carne che il beccaio BernardinoMassazia aveva somministrato per ordine della comunità agli svizzeri (e eviden-temente anche ai francesi), “propter adventum elvetiorum et gallorum”, quando questiavevano tenuto consiglio a Chivasso, “pro certum tempus quia forenses fecerunt becha-rias in Clavaxio” 52. Il riferimento ai francesi, “gallorum”, sembrerebbe confer-mare che la duchessa di Angouleme o i suoi emissari soggiornaronoeffettivamente in città.

Il consiglio di Chivasso, nonostante le aspettative, non era servito a chiarirele idee ai confederati anzi aveva gettato ancora più confusione sui loro intenti; al-lettato sia dalle proposte francesi che dalla voglia di fare quello per cui erano statichiamati, cioè combattere in difesa del ducato di Milano, l’esercito svizzero con-tinuò a temporeggiare, vivendo sulle spalle delle popolazioni disperso tra Sa-luzzo, Pinerolo e Torino nell’attività più completa e nell’attesa dei francesi. Ilcapitano Albrecht vom Stein, convinto assertore di una guerra estesa ( a diffe-renza di quanti volevano solo la difesa della Lombardia) e che aveva descrittocosì efficacemente lo sbandamento in atto tra le truppe, divenne ben presto vit-tima della sua stessa convinzione. Inviso a molti suoi compatrioti, il 24 luglio, aMoncalieri, fu aggredito da alcuni ufficiali di Schwitz e Glarona nei suoi allog-giamenti e solo grazie all’energico intervento di altri ufficiali e del cardinale Schi-ner (che affrontò i facinorosi lancia alla mano) il capitano bernese fu salvato daun probabile linciaggio; la sommossa era stata pilotata proprio da quanti volevanoritirarsi dal Piemonte per andare a tenere le posizioni nel ducato di Milano, unicovero obiettivo elvetico in Italia e vedevano in vom Stein un traditore della causaconfederata 53. L’episodio minò ancora di più l’unità dei reparti svizzeri e con-vinse Albrecht vom Stein a dissociarsi sempre di più dall’impresa; lui che fino aquel giorno era stato l’elemento decisivo nei tanti consigli di guerra ora, disgu-stato dal comportamento dei suoi compatrioti, avrebbe seguito le sorti della cam-pagna con distacco fino all’abbandono definitivo, insieme al contingente bernese,

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51 Ibidem, f. 3, “Die undecima augusti”.52 Ibidem, f. 8, “Die lune XXIJ octobris”.53 J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, pp. 436-437.

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alla guerra non viene nemmeno presa in considerazione, anzi, ci sono alcuni ele-menti nel racconto che potrebbero far pensare all’esistenza di un forte partitofilo-francese, almeno tra i nobili chivassesi, così da confermare, indirettamente,una precisa volontà d’intenti e quindi le pesanti accuse di responsabilità del mas-sacro mosse a Fabiano Bianchetti e compagni nella prima versione dei fatti.

Sul coinvolgimento effettivo di questi personaggi e sulla dinamica degli eventiesistono però delle prove ben precise contenute nelle Reformazioni citate dalBorla che, fortunatamente, si sono in parte conservate; sono gli unici documentilocali contemporanei che ci possono aiutare a gettare più luce sui fatti e, comevedremo, serbano tuttora tra le righe notevoli sorprese. Lo scopo di questo stu-dio, infatti, non è solamente una semplice rilettura di storie già note ma è ancheil tentativo di ricostruire quella tragica giornata ampliando il campo della ricercaa partire dalle fonti locali, mai esplorate, fino ad arrivare alle cronache dei con-temporanei e alle relazioni, in gran parte sconosciute, scritte dagli esecutori ma-teriali del massacro, gli svizzeri.

A proposito di questi ultimi, per continuare nel racconto dobbiamo fare unsalto indietro e inquadrare la loro venuta all’interno della situazione politica del-l’epoca, per conoscerli da vicino e cercare di capire perché, in quel lontano giornodi agosto di cinque secoli fa, 20.000 irritabili mercenari, provenienti da tutte le val-late della Confederazione elvetica e comandati da un cardinale con la vocazioneper le armi, scatenarono la loro ira su una città appartenente ad un alleato, sep-pur riluttante, come il duca di Savoia.

La nascita della potenza militare elvetica

E,’ indubbiamente, il 1477 l’anno che segna l’inizio della potenza elvetica inquanto macchina bellica in grado di sconfiggere qualsiasi esercito sul campo dibattaglia e imporsi, agli occhi dell’Europa, come serbatoio di mercenari da ingag-giare in cambio di un compenso in denaro; compensi che diverranno sempre piùelevati di pari passo con la crescente consapevolezza del prestigio militare acqui-sito e della cupidigia generata dalla ricchezza accumulata. In quell’anno nella bat-taglia di Nancy, il duca di Borgogna Carlo il Temerario perdeva la vita, i suoicavalieri e il suo splendido regno sulle picche dei quadrati della fanteria svizzera.

Mentre la battaglia di Morgarten, combattuta un secolo e mezzo prima, avevasignificato per i tredici cantoni l’affermazione della loro identità di nazione li-bera e indipendente dal potere asburgico, quella di Nancy segnò la fine della ca-

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del teatro di guerra italiano subito dopo il trattato con il re di Francia nel settem-bre di quell’anno.

Dopo altri tre consigli di guerra, nei primi giorni di agosto sembrò comun-que che gli svizzeri avessero deciso finalmente per l’occupazione dei passi alpiniprincipali; vennero inviati piccoli contingenti lungo le strade del Moncenisio e delMonginevro dove ci si aspettava sarebbero passati i francesi e il grosso dell’eser-cito fu distribuito tra Avigliana, Rivoli e Pinerolo, in modo da avere sotto con-trollo gli sbocchi in pianura delle valli Susa e Chisone.

Il re di Francia, intanto, radunato un esercito di circa 55.000 uomini (il piùgrande mai allestito dai sovrani francesi per una campagna italiana), rinforzato daun grosso parco di artiglieria e da numerosa cavalleria, si era messo in marcialungo la valle della Durance e, dopo aver mandato alcuni reparti verso il Mon-cenisio e il Monginevro per confondere gli svizzeri sui suoi movimenti, attra-versò con il grosso dell’armata il passo dell’Argentera, entrando in Piemontemolto più a sud delle linee elvetiche. Gli svizzeri che avevano avuto sentore diqueste manovre e avevano mandato in perlustrazione verso Saluzzo la cavalleriamilanese di Prospero Colonna, furono colti dal panico quando, il 14 agosto, unforte distaccamento di cavalieri francesi al comando del La Palisse sorpresero i1.500 uomini del Colonna a Villafranca, costringendolo alla resa 54. Una colonnadi soccorso di 4.000 “knechte” 55 fu inviata a marce forzate verso Villafranca maquando gli svizzeri, il giorno dopo, arrivarono nel borgo lo trovarono aperto edabbandonato, le vie cosparse di cadaveri; a quel punto la tentazione di un facilebottino fu talmente forte per i mercenari che questi misero a sacco le case, raz-ziando qualsiasi cosa su cui riuscirono a mettere le mani e ritirandosi poi versoPinerolo.

In pochi giorni il dispositivo svizzero di difesa dei passi alpini era stato ag-girato e ora, per evitare di essere presi alle spalle, i confederati decisero di con-centrarsi su Pinerolo da dove, riuniti, avrebbero potuto attaccare i francesi inarrivo; ma la discordia ancora una volta ebbe il sopravvento e, alla fine, fu decisa

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54 Prospero Colonna (1452-1523) era uno dei condottieri italiani più famosi, appartenente ad una dellefamiglie nobili più in vista di Roma e del Lazio. Fatto prigioniero dai francesi a Villafranca quasi senzacombattere, disse ai suoi carcerieri che lo conducevano in Francia “è un paese che ho sempre voluto vi-sitare”. Liberato successivamente, nonostante fosse già avanti negli anni continuò a servire il Papa comecomandante di cavalleria e fu l’artefice della vittoria contro i francesi alla Bicocca nel 1522. Morì a Mi-lano l’anno successivo stremato dalle fatiche di una vita passata sui campi di battaglia.55 Termine tedesco per indicare i fanti volontari aggregati all’esercito, letteralmente “servitore”. Lo si ri-trova anche nella parola Landknecht indicante i mercenari tedeschi che, nello stesso periodo, servivanosotto le bandiere del re di Francia, meglio conosciuti in Italia come Lanzichenecchi.

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tato avrebbero una congrua indennizzazione. Spediti tosto furono dalla pubblica Credenzadue Credendari in Torino, per impetrare l’aggradimento del Sovrano, ad oggetto poi di trasfe-rirsi in Milano. Accordò il Serenissimo Duca la loro andata per Milano, ma con ciò però chel’indennizzazione bramata, chiedere la dovessero a nome dè particolari, e non a quello del pub-blico per li motivi a lui noti. Desiderando il Cristianissimo a nome del pubblico, delusi rima-sero li Civassini delle loro speranze” 14.

Il Borla, a completamento del racconto e dopo avere precisato che avevatratto le notizie dalle cronache e dalle Reformazioni, all’interno della narrazioneinserì anche una diversa versione dei fatti: “Monsignore Giovio vescovo di Nocera nellibro 15 della sua Storia così il riferisce- Perché di continuo essi, (cioè li Elvetici) marciandosecondo il loro costume, ristretti in ordinanza il secondo giorno per viaggio arrivarono alla no-bile terra di Chivasso; perciocchè essi credendosi di avere li uomini della terra amici, fecero pen-siero, e disegno di rinfrescarsi con le vettovaglie, e sostanze loro. Ma gli uomini di Chivasso, oper paura, che la terra non andasse a sacco, se essi ricevevano così grande moltitudine o mossidall’amicizia dè francesi, siccome quelli, che grandemente si confidavano nelle loro forze, e nellemura loro, serrarono le porte, avendone crudelmente ammazzato alcuni, i quali poco dianzierano entrati per domandare vettovaglie, e ciò con grande arroganza, che se ne ferirono alcunicon le saette, li quali disavvedutamente andavano sotto le porte per favellare seco. Perché gli sviz-zeri sdegnati per queste ingiurie, subito piantarono le artiglierie, e gettato a terra una parte delmuro, prestamente entrarono dentro per le rovine, e con una furia ne tagliarono a pezzo più diseicento, i quali erano in armi, e saccheggiarono le case, ed essendo adirati non avrebbero per-donato ai tetti, se il Sedunese [il cardinale Schiner, così chiamato perché vescovo diSion, nel Vallese] pregato di ciò da Galeazzo, e dal Gambara generale dei Milanesi, facendovista, che i francesi venissero, perciocché per avventura i cavalli loro che scorrevano innanzi sierano presentati, subito non avesse fatto suonare i tamburi, e dare alle armi. Per il qual casoessendo usciti fuori dalle porte al segno, che gli era dato per mettersi in battaglia, poco dappoiacchettati e pacificati li animi loro, e per la grande uccisione delli uomini della Terra, e per lamoltitudine della preda, ed anco per lo spazio del tempo, salvarono li Edifici. Avendo dunquerinfrescato l’esercito, con la dovizia di tutte le case da Chivasso ne andarono a Ivrea, poi a Ver-celli…” 15.

Certo questa è, come vedremo più avanti, la versione che più si avvicina allevarie testimonianze dei contemporanei. La storia della banda di chivassesi oziosi,capitanati da soggetti di buona famiglia che, non avendo di meglio da fare, hannol’ardire di assalire l’avanguardia di un esercito di oltre 20.000 uomini temprati

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14 Ibidem, p. 809.15 Ibidem, pp. 804-806.

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la ritirata generale verso Rivoli, lasciando così liberi tutti i passaggi tra le monta-gne.

I capitani elvetici, per sveltire la marcia, avevano ordinato di inchiodare ipochi pezzi di artiglieria ed abbandonarli tra Saluzzo e Pinerolo ma i soldati nonvollero obbedire e, nonostante la carenza di animali da tiro, continuarono a tra-scinarli faticosamente a forza di braccia 56; questo particolare, nella nostra storiaè importante perché, pochi giorni dopo, quei cannoni, puntati contro le vecchiemura paleologhe di Chivasso, avrebbero facilitato il “lavoro”ai loro proprietari.

Il duca di Savoia, nonostante fosse obbligato dal trattato di alleanza a daresostegno agli svizzeri, di fatto continuava a mantenere un atteggiamento ambi-guo nei loro confronti che non giocava certo a sostegno delle popolazioni pie-montesi incontrate sul cammino dell’esercito in ritirata; la confusione aumentòancora di più quando Carlo II accolse con tutti gli onori il nipote Francesco I,aprendo le porte di Torino alle truppe francesi e richiudendole, come vedremo,in faccia agli svizzeri. Purtroppo però il duca non piaceva neanche al re di Fran-cia che gli aveva richiesto sostegno alla sua impresa italiana senza riceverlo; ora,però, che aveva rinnovato agli svizzeri le sue offerte di pace approfittando delleloro divisioni interne, era costretto a coinvolgere lo zio nelle trattative.

Il 17 agosto un messaggero del duca di Savoia cavalcò fino a Rivoli per con-segnare ai capitani elvetici due lettere, una di Francesco I (contenente i terminidella pace) e l’altra di Carlo II (con il sostegno diplomatico alle trattative); le pro-poste francesi che prevedevano il pagamento di tutte le somme reclamate daglisvizzeri, un vitalizio per Massimiliano Sforza in cambio della cessione dei suoi di-ritti sul ducato di Milano e il reclutamento immediato di 4.000 mercenari, getta-rono ancora una volta lo scompiglio fra le fila confederate, spaccandoulteriormente in due le truppe, divise tra antifrancesi ( capeggiati dall’infaticabilecardinale Schiner) e filo francesi (tra i quali c’erano i bernesi di Albert vom Stein).

Inutili furono le esortazioni del legato papale ad unire le forze per battere ifrancesi sul campo e conquistare gloria e potenza; la maggioranza preferiva unaritirata ingloriosa e senza onore contro gli impegni presi dalla Dieta pur di avereun tornaconto personale.

Le allettanti offerte francesi non vennero respinte e le due parti si accorda-rono per continuare le trattative a Vercelli con la mediazione del duca di Savoia;ci fu uno scambio di salvacondotti per garantirsi la via di ritirata e l’esercito sviz-zero, diviso in due colonne, il 18 agosto si mise in marcia verso Torino. Nono-stante le promesse di pace, il duca di Savoia non si fidava degli svizzeri e,

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56 J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 446, nota 139.

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calpestio dell’armata, e riconsegnare al pubblico Archivio…” 10.Dopo il saccheggio degli svizzeri, secondo il Borla, ce ne fu un secondo più

subdolo, ad opera di sciacalli introdottisi in città approfittando della confusione :“All’ Elvetico saccheggio succedè la rapina dei forestieri accorsi non in sussidio dè Civassini,ma a terminare di svaliggiare le loro Case, ed impadronirsi di quelle abbandonate dai defuntiBorghesi, che poi dovettero abbandonare, e riconsegnare le depredate sostanze ai rispettivi Pa-droni per ordine del Vicario…” 11. Alla restituzione dei beni razziati fu costrettaanche Ivrea che aveva avuto la faccia tosta di commerciare con gli svizzeri pochigiorni dopo il massacro: “Successivamente umiliò la pubblica Credenza una supplica alSerenissimo Duca, e favorevole ne rapportarono il decreto contro li cittadini d’Ivrea, li qualiobbligati furono tosto riconsegnare ai di lei deputati e mediante la restituzione del vilissimoesposto prezzo, le Merci dei Mercanti, e sostanze tutte dè Civassini accomprate dai soldati El-vetici…” 12.

Alla fine, alla Pubblica Credenza non rimase altro che tentare di far punire ipochi colpevoli ancora in vita e così il Borla conclude il suo racconto: “Espose al-tresì al Sovrano un ricorso contro il Castellano, e contro li descritti autori della tragedia, accu-sando in primo luogo il Castellano, che obbligò di propria autorità li Civassini a far fronteall’Armata Elvetica, molto maggiore in forze. Secondariamente perché non volle permettere aisoldati del Castello che assistettero i Civassini nella difesa della Patria, anzi si chiuse egli còsuoi nel detto Castello, e volle esser spettatore della Torre maggiore della tragica scena. Terzo,perorò affinchè confiscati fossero i beni tutti degli autori, e devoluti al pubblico in risarcimento,almeno in parte, dè danni sofferti. In seguito a questo ottenne la Credenza la confisca, e la su-bitanea rimozione del Castellano, al quale fu imposto di consegnare le chiavi del Castello ai Con-soli, e Credendari sostituiti nell’ufficio al Castellano, che ricevettero li 27 settembre, espontaneamente rinunciarono li 20 dicembre dello stesso anno al Chiavaro di esso Castello, cheli ricevè a nome del Sovrano” 13.

Anche il re di Francia, accampato con il suo esercito nei pressi di Milanodove sperava di concludere definitivamente la pace con gli svizzeri, si interessòin qualche modo al tragico destino di Chivasso, informato dai suoi stessi coman-danti in campo che, come vedremo, in qualche modo, vi erano rimasti coinvolti:“Pendente la riferita Carneficina, soggiornava Francesco primo in Milano, il quale informatoa pieno del successo, fè intendere ai Civassini, per mezzo di alcuni suoi Cortigiani, che daquella città si portavano a Parigi, di presentarsi alla Reale di lui persona, dalla quale rappor-

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10 Ibidem, pp. 806-807.11 Ibidem, p. 807.12 Ibidem, p. 807.13 Ibidem, pp. 807-808.

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probabilmente spinto dal desiderio di vederli andare via il più in fretta possibiledalle sue terre, non permise loro di sostare in città né di rifornirsi di viveri, fortedel fatto che i francesi presidiavano in forze le mura; anzi, preoccupato dalle vio-lenze commesse da quegli insaziabili mercenari ai danni dei suoi sudditi, ordinòdi chiudere le porte delle altre città attraversate. Questo fu un errore fatale per-ché il comportamento poco amichevole del duca irritò gli svizzeri che, a quelpunto, sapevano di attraversare un territorio ormai ostile; costretti a costeggiareil fossato di Torino, presero la strada che attraversava la Dora dirigendosi versoSettimo sotto gli occhi e le provocazioni di migliaia di soldati francesi e covandouna pericolosa sete di vendetta 57.

I due eserciti smaniavano dalla voglia di mettere mano alle armi e ci furonoeffettivamente alcune scaramucce durante la marcia perché la cavalleria francesecaracollava continuamente tra le due colonne svizzere, uccidendo i soldati sban-dati (pratica molto diffusa anche tra la gente di campagna che si rifaceva cosìdelle angherie subite) 58. Entrambi i contendenti, però, erano coscienti della forzadell’avversario: gli svizzeri, senza cavalleria, erano preoccupati di mantenere com-patti i loro ranghi in modo da poter dispiegare in qualsiasi momento i micidialiquadrati di picchieri, i francesi invece, nonostante un rapporto di forze superioredi 3 a 1 e una numerosa ed agguerrita cavalleria, ricordavano ancora troppo benele sanguinose sconfitte subite per mano di quegli spietati mercenari per azzardareuno scontro in campo aperto.

Il ripiegamento di un esercito di oltre 20.000 uomini, tallonato dal nemico inun territorio che non offriva più alcun sostegno logistico era certamente unacosa difficile; se, poi, questo esercito era formato da mercenari che non avevanoancora avuto occasione né di combattere né di percepire il soldo e vi serpeggia-vano l’indisciplina e una preoccupante propensione al saccheggio mescolate amalumore e frustrazione, la miscela risultava esplosiva. Una semplice provoca-zione o un rifiuto avrebbero potuto innescare una reazione a catena capace di fareesplodere la violenza più inaudita; a poche miglia da Torino la scintilla del grandeincendio che avrebbe divorato la placida comunità di Chivasso, alla fine, scoccò.

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57 Ibidem, p. 448.58 Ibidem, p. 448.

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lano, il quale non solamente la disapprovò, ma obbligò li Civassini a fare tutta la possibile re-sistenza all’armata, ogniqualvolta tentato avesse l’ingresso in Chivasso. Chinarono il capo liRettori ai comandi del loro Superiore, ben prevedendo, che condotti sarebbero stati al macello,ciò non ostante si adunarono tutti li abili alle armi, e chiamata una quantità di uomini dallevicine terre si allestirono alla difesa. L’indomani, che fu il 19 di Agosto, giunse in vicinanzadelle mura il Cardinale Schiner colla sua Brigata il quale ragguagliato dell’attentato, e mortedè suoi soldati giurò vendicarne l’affronto. Dispose egli l’armata attorno Chivasso, ed atterratauna parte delle mura colle artiglierie, delle quali li Civassini ne erano allora privi, riescì alCardinale per mezzo delle formate breccie, entrarvi co’ suoi soldati.Si avventarono tosto sopra gli assediati, e nonostante la brava loro resistenza, rimasero li El-vetici vincitori, perché molto superiori di forze, coll’estinzione sul campo di millequattrocento epiù armati, e del predetto Fabiano Bianchetti, che la faceva da generale capitano. Non ancorasodisfatto della seguita sanguinosa battaglia ordinò il Cardinale il sacheggio, e l’incendio ditutte le case. Seguì tosto il barbaro sacheggio, senza verun rispetto alle Chiese, e case dè Rego-lari, al quale sarebbe seguito senza fallo l’intiero incenerimento di tutti li Borghi se alle repli-cate preghiere esposte al Signore Iddio, ed al barbaro Cardinale dai Regolari di San Bernardino,e San Nicolò in specie, come scrisse il Sicardi, mosso non avessero il crudo di lui cuore ad or-dinare lo spegnimento del fuoco già appiccato in vari luoghi dè riferiti Borghi.Informato poi egli a pieno degli autori della funesta tragedia, nella quale poi conobbe, non avereavuto veruna parte il pubblico, tentò tutte le strade per averli nelle mani; ma non li riescì l’in-tento perché dalla Torre del Castello, ove si erano rifuggiati pendente il sanguinoso conflitto, rie-scì loro sottrarsi colla fuga…” 9. Al termine del racconto il Borla, per completare ilquadro, descrive il saccheggio dell’archivio comunale ( un fatto ricorrente nelletormentate vicende chivassesi e che ritroveremo nei successivi assedi, compresoquello del 1705): “Spogliati interamente furono li residui Civassini delle loro sostanze, dèlibri giornalieri li Mercanti, delle scritture tutti i particolari. Portatisi poi li furibondi Elveticinel Palazzo del pubblico e penetrati nell’Archivio, ove custoditi erano i pubblici scritti, in fortiscrigni, muniti di più chiavi, figurandosi eglino, che in essi rinchiuse fossero le più preziose so-stanze, si del pubblico, che privato, a colpi di scure spaccarono i legni, e non avendosi ritrovatoche carte, e pergamene, sfogarono con esse l’innata loro ferocia, consegnarono alle fiamme le une,lacerarono, e gettarono nella pubblica contrada le altre ad essere calpestate dall’indomita armata,ed in questa guisa privato fu il pubblico, ed il particolare dè più antichi preziosi ed utili docu-menti, con grandissimo stento, e gelosia sottratti dal furore delle precedenti guerre. E se ancoraa giorni nostri evvi qualche antico fragmento, tutto l’obbligo averlo dobbiamo al già menzionatoDottore Siccardi, che tutta l’attenzione si diede nel raccogliere quanto ha potuto sottrarre dal

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9 G. BORLA, Memorie, cit., pp. 799-804.

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Il giorno del massacro

Il Borla, riprendendo il racconto dell’anonimo cronista, scrive che i guai eb-bero inizio con l’imboscata, tesa a scopo di rapina, da un gruppo di chivassesi al-l’avanguardia svizzera presso il Rio Martino, un corso d’acqua tra le attualiBrandizzo e Settimo che fin dal medioevo aveva visto sulle sue rive frequentipassaggi e bivacchi di eserciti con i loro strascichi di violenze. Il luogo, forse giàabitato in epoca romana, era sede anche di un antico priorato dipendente dall’ab-bazia di Vezzolano, molto frequentato dai viaggiatori che utilizzavano la stradache da Torino portava a Vercelli e si prestava effettivamente bene ad un agguatoperché circondato da fitta boscaglia e da alcune lanche paludose originate da unramo secondario del Po, oggi scomparso. Vi erano inoltre alcuni cascinali, sortiintorno alle chiese di San Martino e San Lorenzo (in parte ancora oggi esistenti)che, all’occorrenza, avrebbero potuto costituire un punto di sosta e di ristoroper delle truppe in marcia 59.

Il Borla e gli altri storici locali successivi tacciono su un episodio che avvenneil giorno dell’agguato e che forse costituì la scintilla che diede fuoco alle polveri:secondo le cronache bernesi, il 18 agosto le avanguardie dell’esercito svizzero inritirata da Torino giunsero davanti al piccolo borgo di Settimo, trovandovi assas-sinati alcuni compagni d’arme che avevano preceduto il grosso delle truppe allaricerca di bottino. Durante la marcia, infatti, nonostante la costante presenza aifianchi delle colonne elvetiche di drappelli di cavalleria francese che li incalzavanocon il duplice scopo di provocarli al combattimento e di tenere d’occhio il loromovimento verso il milanese, gruppi di soldati condotti dai loro stessi ufficiali sierano dispersi per il territorio attraversato, seminando il terrore tra le popola-zioni.

Secondo le fonti bernesi, il ritrovamento dei corpi dei connazionali da partedelle forze dell’avanguardia innescò un’immediata rappresaglia contro il borgo diSettimo che venne preso e saccheggiato senza misericordia, prima che soprag-giungesse il grosso dell’armata 60. Una diversa versione dell’avvenimento è con-

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59 S. BERTOTTO, Terra d’acqua per una storia di Mezzi Po, Settimo T.se 2002, pp. 24-25, 69. Nella localitàsorgevano due chiese, una dedicata a San Lorenzo, dipendente da Santa Maria di Vezzolano, l’altra inti-tolata a San Martino, protettore dei viandanti e dei pellegrini. L’autore ringrazia il dott. Bertotto per i sug-gerimenti sull’argomento.60 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 107. Il titolo del capitolo che parla del saccheggio di Settimo esuccessivamente di quello di Chivasso è: “Dass in Pemont die stat Septima und Tschawats von Eidgnossen inge-nommen und geplundret, und ouch si mit einem grossen hagel geschlagen wurden”, “Come furono conquistate e sac-cheggiate le città di Settimo e Chivasso dai Confederati e come furono colpiti da una tempesta di

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Chivasso quanto degli altri villaggi vicini, e fu per causa dell’egregio Fabiano Bianchetti e del-l’egregio Giovanni Maria de Serono; e il detto Giovanni de Serono fu la sola causa di tutti imali insieme con Fabiano. Andarono al Rio Martino con un grande esercito (!), e vi ucciseromolti Teutonici (svizzeri) che avevano un grande tesoro; poi misero a fuoco la locanda dellaCerva, ove erano circa cinquanta Teutonici, e uccisero molti dei sopraddetti, altri ne trasseronel castello, e così furono la causa della distruzione del castello di Chivasso; il detto GiovanniMaria si rinchiuse nella grande torre con Bolognino de Angelino, Giovanni de Simo, il preteGaspare de Serono e Melchiorre de Simo e con molti altri del detto luogo, e questi volevano mar-ciare verso gli assalitori, altri, invece, li volevano scacciare dalla torre. La fine fu la conseguenzadi una vita vissuta male, perciò, per primo fu ucciso Fabiano Bianchetti” 8.

Con l’abile penna del Borla, la storia, già ripresa dal Siccardi, fu arricchita dimolti particolari, trasformandosi in un grande, tragico affresco tracciato con no-tevole abilità narrativa: “Prevenne l’inaspettato arrivo dell’Armata Elvetica in Chivassoun distaccamento con alcuni Equipaggi del Cardinale, fra li quali inchiusa si credeva da al-cuni sfaccendati Civassini la Cassa Militare, della quale speravano farne ricco bottino. Assa-lirono pertanto i loro custodi, e ritrovata in essi una forte resistenza, desistettero dall’attentato,e si diedero alla fuga. In Chivasso attesero li agressori, (quali furono li nobili fratelli GiòMaria e Gaspare Serono, il di loro cognato Fabiano Bianchetti, Bolognino Angelino, Mel-chiorre Simo e qualche altro ozioso) il distaccamento, il quale era composto di cinquanta circaarmati, che albergarono nell’Osteria della Cerva nel Borgo di San Francesco, e colle armi allamano assalirono nella detta Osteria li Elvetici, e trucidarono una parte di essi. Essendosi liresidui parte dati alla fuga, e parte nascosti sopra i soffitti delle camere dell’Osteria dai qualifurono snidati per mezzo del fuoco acceso ai quattro di lei angoli e fatti prigionieri, li condus-sero nel Castello. Ragguagliata la Credenza dell’impensato successo, determinò placare li El-vetici cò danari, acciò vendicata non fosse la particolare colpa coll’universale castigo degl’innocentiCivassini. Comunicarono li Rettori del pubblico questa sua determinazione al Ducale Castel-

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8C.VITTONE, Casa Savoia, il Piemonte e Chivasso, Torino 1904. Il Vittone trascrive un’annotazione in la-tino presa a margine del foglio 22 di una copia degli Statuti del Siccardi esistente nell’archivio dei fratiagostiniani nel convento di san Nicola a Chivasso: “Nota quod die 19 Augusti 1515 fuit destructio Clavaxji,vidilicet per Theutonicos et occiderunt mille quingenti homines tam de borgo Clavaxji quam de aliis villis, que prope sunt,et fuit per defectum egregji Fabiani Bianchetti et egregji Joannis Maria de Serono; et dictus Joannes de Serono fuit causa deomni malo una cum Fabiano, ex qua causa abierunt ad regem Martinum cum magno exercitu, et illic occiderunt multosTheutonicos, qui abebant magnum thesaurum; postea ignem miserunt hospitio Cerve, ubi erant circa quinquaginta Theu-tonicos, et occiderunt multos de supradictis, alii vero posuerunt in castro, et ita fuerunt causa destructionis castri Clavaxji;dictus Joannes Maria reduci se in turri magna una cum Bolognino de Angelino, Joanne de Simo et presbitero Gaspare deSerono et Melchiorre de Simo cum multis aliis de dicto loco, et ipsi incedere volebant versus istorum, alii vero eiscere vole-bant de turre. Finis male claudit, mala vita sequitur proinde occisus fuit Fabianus Bianchetti primus”. Il Borla, egli stessoagostiniano, descrivendo l’episodio, cita in nota il manoscritto, precisando che faceva parte della copiadegli Statuti appartenuti alla famiglia Crova di San Raffaele.

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tenuta in una lettera scritta dal corrispondente mediceo a Torino, Raffaello Gi-rolami, tra il 18 e il 21 agosto che riferisce interessanti particolari sulla vicenda:“…Adesso è il 19 e si sente dire che quando ieri sera gli Svizzeri si sono alloggiati verso Seliso( Settimo), a cinque o sei miglia da qua (Torino) verso Chivasso, c’era con loro il signore diquei luoghi, mandato dal duca di Savoia per un incontro e quelli del luogo sembra che richiuserola porta (del ricetto) e non vollero fare entrare neanche il loro signore, ragione per cui (glisvizzeri) presero prigioniero il signore, attaccarono il luogo e successivamente la fortezza ( il ri-cetto) dove i villici si erano ritirati insieme alla moglie del signore e la saccheggiarono e solo conmolta fatica il Nunzio Papale e il Visconti riuscirono a convincerli a lasciarlo libero ( il signoredel luogo) di andare (il mattino dopo) a Chivasso dove sembra che ci sia il Monsignore diCandele con molti villici, risoluti a non farli entrare (gli svizzeri)…” 61. Secondo il Giro-lami quindi, il saccheggio di Settimo non fu scatenato dal ritrovamento dei fantiuccisi ma dal rifiuto a fare entrare gli svizzeri nel villaggio per rifornirsi. Interes-sante, nella lettera, l’accenno ad un signore di quei luoghi (probabilmente il feuda-tario di Settimo) che viene fatto prigioniero e poi rilasciato per l’intervento delnunzio papale (il cardinale Schiner) e di un Visconti (forse Gian Galeazzo, capi-tano milanese) mentre il villaggio, dove si è rinchiusa la popolazione insieme allamoglie del feudatario, viene saccheggiato. Di questo signore non sappiamo nullatranne che fu lasciato libero di andare a Chivasso proprio il giorno stesso delmassacro. Sembra di capire, inoltre, dalla lettera, che gli svizzeri sapessero giàche in quella città avrebbero trovato resistenza; quando questa, effettivamente,ci fu, il cardinale Schiner, che aveva interceduto per far liberare il notabile setti-mese, non si sarebbe rivelato altrettanto clemente nei confronti dei chivassesi.

Né questa fonte né i rapporti svizzeri accennano però alla successiva imbo-scata presso il Rio Martino, tramandata dalla tradizione chivassese che, effettiva-mente, risulta essere l’unica fonte a ricordare l’episodio. Ma se accettiamo pervero il ritrovamento vicino a Settimo dei mercenari morti ( le fonti bernesi nonprecisano il luogo esatto che quindi potrebbe anche essere il Rio Martino) e ipo-tizziamo che questi potessero essere stati uccisi in quell’attacco che gli svizzerivendicarono subito dopo con il saccheggio del luogo abitato più vicino (il villag-gio di Settimo) e se gli autori materiali di quell’aggressione fossero stati gli sfac-cendati civassini indicati dal Borla e non gli abitanti di Settimo, allora potremmoconcludere due cose: che quello che descrivono le cronache svizzere fu l’epilogodella famosa imboscata ricordata dal Borla e che sugli aggressori pesarono, diret-grandine”. Vedi anche J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 448.61 E. USTERI,Marignano, die schicksalsjhare 1515-1516 im blickfeld der historischen quellen, Zurich 1974, p. 327e nota 38 in cui l’autore cita i documenti italiani contemporanei ai fatti.

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mandanti confederati avevano deciso di passare il Po presso Casale per occupareAsti e, con arroganza, avevano ordinato al castellano di “…subito spedire alla voltadi Pontestura tutte le barche dè Civassini esistenti sopra il Po, una quantità di tavole, ed altrilegni, e gli uomini necessari ad oggetto di formare colà un ponte sopra il Po…” 6.

Quella volta i chivassesi si salvarono dal saccheggio e, ben contenti della gra-zia ricevuta, innalzarono l’altare in onore di Sant’Antonio, solennizzando la suafesta con una processione da fare ogni anno il 13 di giugno 7.

A distanza di due anni dallo scampato pericolo gli svizzeri, nell’estate del1515, sarebbero ritornati per sbarrare il passo ad un’altra calata francese ma perl’esercito elvetico quella campagna, nata tra le discordie, sarebbe finita con unaumiliante ritirata che avrebbe travolto, al suo passaggio, paesi e città. Dense nu-vole nere si andavano accumulando sul futuro della comunità di Chivasso, cono-sciuta non solo per le numerose botteghe di artigiani, orafi e pittori ma anche perle sue locande in cui i forestieri di passaggio trovavano buon cibo e robusto vinodel Monferrato; sulla sua gente stava per abbattersi una tragedia dalle proporzionimai viste e non più eguagliata, in ferocia, dai numerosi assedi che si sarebbero an-cora combattuti sotto le sue mura nei secoli a venire.

Le cronache locali

Paradossalmente fu proprio in una locanda che si giocò il destino di Chi-vasso e della sua gente. Ciò che avvenne all’insegna della Cerva, antica osteria chedava vitto e alloggio ai viaggiatori che si fermavano nel borgo di San Francescofuori le mura, a poca distanza dalla strada che da Torino portava a Vercelli, fu unavera e propria nemesi collettiva per le colpe di pochi sciagurati. Le origini dellavicenda furono descritte per i posteri su una copia degli Statuti del Siccardi da unanonimo cronista chivassese, il quale volle precisare le responsabilità dell’acca-duto, scrivendo i nomi degli incauti concittadini che avevano portato alla rovinaun’intera comunità.

Il testo originale così racconta quella triste giornata: “Il 19 agosto 1515 ci fu ladistruzione di Chivasso per opera dei Teutonici che uccisero 1.500 uomini tanto del borgo di

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6 Ibidem, pp. 795-797.7 La prima menzione di questa festività compare infatti negli Statuti di Chivasso del 1533 che nel capi-tolo riguardante le festività religiose intitolato “De sanctificatione festorum et qualiter” parla dell’istituzione dellafestività di Sant’Antonio da Padova, descrivendo l’episodio che portò alla sua istituzione proprio in oc-casione dello sventato pericolo svizzero, il 13 giugno 1513. Due anni dopo, nonostante la processione alui dedicata, la protezione del santo non sarebbe bastata a fermare l’eccidio…

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tamente, non solo la responsabilità del successivo saccheggio di Chivasso maanche, indirettamente, quella della devastazione di Settimo.

La lettera dell’archivio mediceo, inoltre, parla di un certo Monsignore di Can-dele che, dopo la seconda esplosione della violenza svizzera a Settimo (il primoepisodio si era verificato quattro giorni prima a Villafranca), stava radunando aChivasso un forte nucleo di armati ( il riferimento generico ai villici ricorre spessoin quanto le genti di campagna , fin dal medioevo, erano considerate le milizie piùeconomiche e di più rapido raduno per la difesa delle comunità minacciate) perorganizzare una resistenza ad ulteriori violenze. Non ci sono prove di un effet-tivo coinvolgimento nella difesa di Chivasso di questo personaggio, che vediamocomparire una seconda volta in un un’altra cronaca contemporanea, scritta dal pa-vese Antonio Grumello, il quale, definendoloM. De Cande capitano gallico (quindiun ufficiale francese), lo colloca ad Ivrea dove egli vuole ripetere il tentativo diresistenza fallito a Chivasso ma ne viene scacciato in malo modo dalla popola-zione 62. E’ evidente che si tratti, in ambedue i casi, dello stesso ufficiale franceseche potrebbe essere identificato come Francois de Foix –Candale, giovane capi-tano al servizio del re di Francia in Italia non solo in quella campagna ma anchenelle successive 63.

I fatti, comunque, si susseguirono in un arco temporale molto breve perché,secondo il resoconto bernese, la sera stessa del 18 agosto 1515 una parte dellastessa avanguardia che aveva saccheggiato Settimo e che, probabilmente, era stataattaccata al Rio Martino, giunse alle porte di Chivasso. Stando alla cronaca era ungruppo eterogeneo di 20 uomini, per la maggior parte ufficiali dei diversi cantonielvetici, che, muniti di cavalcature, avevano preceduto il resto dell’armata alla ri-cerca di viveri o più verosimilmente di bottino a buon mercato; arrivati davantialle mura della città e trovando le porte sbarrate e presidiate, in un primo tempo62 CRONACA DI ANTONIO GRUMELLO, pavese, dal 1467 al 1529, in Raccolta di cronisti e documenti sto-rici lombardi inediti, a cura di J. MULLER, vol. I, Milano 1856, p. 198, capitolo XXXVIII, “Del retirato exer-cito Elvethico da lo Apenino”. L’interessante manoscritto originale era conservato presso la biblioteca delprincipe Emilio Barbiano di Belgioioso.63 Francois de Foix-Candale era figlio di Gaston II de Foix-Candale, discendente da un ramo cadettodella casata di Foix che aveva preso il titolo di signori di Candale ( in origine Kendal, località nel norddell’Inghilterra) per via del matrimonio del nonno, Jean de Foix, con l’inglese Marguerite di Pole-Suffolk,contessa di Kendal. Come riferito dal LA CHESNAYE, nel suo Dictionnaire de la Noblesse, Paris 1783,Tome XIII, pp. 345-351, Francois de Foix-Candale, fu al servizio di Francesco I di Francia in tutte le cam-pagne di guerra italiane e morì, ucciso da un’archibugiata in uno scontro con gli spagnoli vicino a Napolinel 1528, all’età di circa 35 anni. Anche il MONTLUC, nei suoi Commentari, Paris 1864, Tome I, pp. 91-96, descrive l’episodio e cita il signore di Candale, definendolo “captat de Buch”, titolo onorifico dato aifigli maggiori della famiglia e con il quale era definito Gaston I de Foix, grande capitano del XIV secolo.

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a partire dalla fine del XV secolo fino a ben oltre la metà del XVIII secolo, sot-tolinea i ripetuti sforzi fatti dalla Pubblica Credenza per tentare di arginare il fe-nomeno dello spopolamento, favorendo l’insediamento in città e soprattutto neiborghi di campagna di nuovi nuclei familiari provenienti da varie zone del Pie-monte e della Lombardia. I francesi, che occuperanno Chivasso nel 1535 e laterranno fino al 1562, daranno nuovo impulso al flusso immigratorio non primadi avere ridotto la città in una fortezza ben munita, abbattendo i due borghi, spo-polati e fatiscenti, di San Pietro e San Francesco e circondandola di bastioni “allamoderna”.

Il Piemonte, luogo di transito “obbligato” per i sovrani francesi, era diven-tato fin dagli inizi del ‘500 il primo campo di battaglia al di qua delle Alpi, dovesi scontravano gli interessi di Francia e Impero per l’egemonia sulla penisola; iduchi di Savoia e i loro sudditi per molti anni a venire sarebbero stati gli impo-tenti spettatori e, spesso, le vittime di quei giochi di potere fino a quando Ema-nuele Filiberto, nell’ultimo quarto del secolo, avrebbe ridato allo stato sabaudouna sua identità nazionale.

Ma nell’estate del 1515, nonostante i numerosi passaggi di eserciti e sovrani,accolti e riforniti a spese della città non senza strascichi di molestie e contagi, lapercezione del cambiamento in atto era ancora confusa e Chivasso, esteso loco mu-ratto con una popolazione così numerosa da contare ben 1500 fochi (ovvero fa-miglie), confidava troppo nelle vecchie mura paleologhe e nel buon governoducale per preoccuparsi troppo del futuro.

Eppure alcuni segnali sinistri c’erano già stati. Solo due anni prima, nel 1513,gli svizzeri, vittoriosi a Novara sui francesi, con il pretesto di inseguire l’armatanemica in ritirata, avevano attraversato il vercellese saccheggiandolo e mettendoorribilmente a sacco il borgo di San Germano; nella loro marcia si erano direttiverso Livorno dove avevano taglieggiato gli abitanti e sparso la voce che il loroprossimo obbiettivo sarebbe stata Chivasso. Quando alcuni credenzieri, mandatiad offrire una borsa piena d’oro agli elvetici per ammansirli, erano stati riman-dati a casa con l’annuncio della loro imminente venuta, si era deciso di affidarsialle preghiere; la città avrebbe fatto voto di alzare un altare a Sant’Antonio sequesti l’avesse liberata dagli svizzeri. Stando al Borla tutto si risolse miracolosa-mente perché “Fatto il voto s’incamminò la Processione tutto a lungo di Chivasso la qualeappena terminata, oh Portentoso Santo! Si affacciò un inviato Elvetico al Governatore Gio-vannello Provana, per ordine del generale Mottino, dal quale intesero li Civassini l’improvvisogonfiamento della Dora, che impossibile rendeva il varco all’armata…” 5. In realtà i co-

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5 G. BORLA, Memorie, cit., pp. 795-797.

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chiesero di entrare per rifornirsi di cibo in cambio di denaro ma poi, visto il ri-fiuto da parte degli abitanti, decisero di sostare per la notte alla locanda dellaCerva, fuori le mura, in borgo san Francesco. Le cronache friburghesi che si di-scostano per alcuni particolari da quelle bernesi, ci informano che 7 di questi uo-mini erano del cantone di Friburgo e ne riportano i loro nomi: il signore di Font,lo junker Jacob vomWippingen, il capitano Hans Nagelholz, Hans Vogilly, Bene-dict Rapp, Antoine Levrat, l’aiutante di campo del capitano Schmids, un altro aiu-tante di un luogotenente ( che fu poi ucciso); degli altri 13 l’unico di cui vienericordata la provenienza era un luogotenente del cantone di San Gallo 64.

Nella notte un folto gruppo di chivassesi costituito, secondo il Borla, daglistessi giovani che avevano teso l’imboscata al Rio Martino (villici invece secondole cronache svizzere) assalì la locanda. Gli svizzeri, asserragliatisi all’interno, op-posero per oltre tre ore un’accanita resistenza fino a quando non furono costrettiad arrendersi, a causa del fuoco appiccato dagli attaccanti alla locanda per costrin-gerli ad uscire; quattro di loro morirono nello scontro e i restanti 16 furono cat-turati e condotti nel castello dove, spogliati degli abiti, vennero gettati in unatorre 65.

Quel gesto sconsiderato certamente gettò nel panico la popolazione; tutto siera svolto così in fretta che anche la Pubblica Credenza venne messa davanti alfatto compiuto. Secondo il Borla i credenzieri, consci della gravità della situa-zione, avrebbero voluto tentare di spegnere la prevedibile ira elvetica con l’oroma il castellano ordinò loro di prepararsi alla difesa, facendo precipitare le coseverso la catastrofe.

Risulta difficile, alla luce dei documenti a disposizione, andare a ricercare re-sponsabilità singole o collettive nella vicenda, a cominciare da quei giovani chi-

64 J. MULLER, Histoire, cit.,IX, p. 448. L’autore riporta i nomi dei confederati friburghesi omettendonealcuni e confondendone altri. F. RUDELLA, Chronik, cit., pp. 411-412. Qui sono riportati gli stessi nomipiù quello di Hans Vogilly. La curatrice delle riedizione critica nelle note precisa che il signore di Font,Boniface de La Molière, capo del gruppo di ufficiali ( già distintosi nella battaglia di Novara del 1513) suc-cessivamente, ritornato in Patria, ebbe una vita tormentata da gravi fatti criminali (era uno dei tanti re-duci che non si reinserirono mai più nella società e che continuavano ad uccidere con la stessa facilitàappresa sui campi di battaglia) ; nel 1533, accusato di essersi servito di carte falsificate per affari con il redi Francia, fu giudicato colpevole e impiccato. Un altro ufficiale del gruppo, Hans Nagelholz, fu uno deifirmatari per conto di Friburgo della successiva tregua con i francesi a Gallarate, nel settembre del 1515.Cit., pp. 411-412 e note al versetto 880.65 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, pp. 107-108. Nelle cronache bernesi viene precisato il luogo del-l’agguato, la locanda della Cerva, “ zum Hirzen lagend”, come ricordato anche dal Borla. L’episodio vieneripreso anche in J. MULLER, Histoire, cit., IX, p. 448 e in E. USTERI, Marignano, cit., p. 327 e note 36-38 in cui l’autore descrive nei dettagli i fatti confrontando sia i dispacci bernesi che quelli friburghesi.

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finitivamente i loro affari in città. Questo piccolo esodo, sempre secondo il Borla,aveva aperto la strada a “…molti forestieri ignobili affatto, e miserabili, che pretesero vi-vere impunemente alle spalle de’ residui Borghesi con grave loro detrimento, e perturbazione dellapubblica quiete…” 3. Il passaggio degli svizzeri, di lì a pochi anni, avrebbe ulterior-mente accelerato lo svuotamento della città dai suoi abitanti, creando un vuotodemografico improvviso ed incolmabile dal quale sarebbe conseguita, alcuni de-cenni dopo, anche la riduzione urbanistica dell’abitato.

L’erosione di questo quadro sociale locale si inseriva in un’epoca di cambia-menti più vasti e profondi che sconvolgevano l’Italia da alcuni decenni, daquando la splendida stagione artistica, culturale ed economica della seconda metàdel quattrocento basata sui delicati e fragili equilibri politici della penisola, fram-mentati in molteplici realtà, aveva subito il definitivo tramonto ad opera di CarloVIII, re di Francia; la sua calata nel 1494, invocata da Ludovico il Moro, signoredi Milano, inaugurerà, infatti, la lunga stagione della dominazione e dell’inge-renza straniera nei tormentati affari degli stati italiani. La scintilla accesa in Italiadalle artiglierie del re francese darà fuoco alle polveri di tutto il continente euro-peo che, con il nuovo secolo (il XVI), non a caso definito “secolo di ferro”, vedràiniziare un lunghissimo periodo di guerre, rese ancora più devastanti dall’usosempre più massiccio delle armi da fuoco. Sarà proprio Carlo VIII con il suonuovo modo di fare la guerra ad inaugurare questa stagione perché, per dirla conle parole di Franco Cardini: ”Qualcosa di irreparabile era avvenuto, dalla discesa di CarloVIII di Francia in Italia: non più scontri poco cruenti, non più campagne militari lunghe e pun-teggiate di giochi diplomatici. Il dolce “hortus conclusus” cui erano avvezzi i principi del Quat-trocento italiano era stato sconvolto e devastato. La guerra non era più un modo di prendertempo o di impegnare in qualche modo dei mercenari turbolenti: era divenuta lo strumento pri-mario di una lotta politica che si giocava sul filo della corsa all’egemonia continentale…” 4.

Come abbiamo visto, le cause del graduale deterioramento del tessuto so-ciale e demografico chivassese erano molteplici ma una in particolare contri-buiva, periodicamente, allo spopolamento della città: la guerra. Si può anziaffermare che questa, oltre ad essere la causa scatenante di ulteriori disgraziecome carestie ed epidemie, sia stata, proprio a partire dal terribile saccheggiosvizzero, la principale responsabile del bilancio demografico passivo del chivas-sese nel corso dei successivi due secoli. Il Borla, nelle sue memorie, oltre ad elen-care un numero impressionante di catastrofi naturali in costante aumento proprio3 Ibidem, pp. 780-781.4 F. CARDINI, Quell’antica festa crudele, guerra e cultura della guerra dal medioevo alla rivoluzione francese, Milano,1995, p. 79

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vassesi di “buona famiglia”che ebbero la malaugurata idea di assalire per ben duevolte l’avanguardia di un esercito che, all’epoca, non aveva rivali sul campo dibattaglia; nessuno aveva evidentemente pensato alle terribili conseguenze chepoteva scatenare un gesto del genere. Tutti i cronisti dell’epoca sembrano con-cordare sul fatto che i chivassesi rifiutarono di dare alloggio alle avanguardie sviz-zere per evitare di avere poi tutta l’armata accampata nella città ( anche se deveavere pesato in qualche modo l’ammonimento del duca di Savoia a chiudere leporte agli svizzeri) ma che l’errore fatale fu di assalirli nella locanda della Cervaanziché lasciarli liberi di ristorarsi e di proseguire il viaggio indisturbati. Quellaprovocazione, per gli svizzeri, fu sufficiente per scatenare il peggior bagno disangue nella storia di Chivasso.

A questo punto però una seconda versione del manoscritto del Borla, cu-stodita alla Biblioteca Reale di Torino, arricchisce di alcuni particolari la storia che,perciò, va riletta un’altra volta: “…Prevenne l’arrivo del Sedunese (il cardinale Schi-ner) in Chivasso, e dè suoi armati un distaccamento di cinquanta svizzeri, con alcuni equi-paggi del cardinale, cò quali cedettero alcuni oziosi, e sfaccendati civassini, uniti ad alcuniterrazani del vicinato…”. Questo accenno ai terrazani, cioè ai contadini del vicinato,che nella versione chivassese della storia non c’è, potrebbe far pensare sia ad unraduno di forze operato dagli aggressori nelle campagne, sia ad un interventodella gente di Settimo, punito dagli svizzeri con il saccheggio del borgo, preludioa quello scatenato successivamente su Chivasso. Un altro passo del racconto in-vece indica chiaramente come i chivassesi fossero perfettamente consapevoli delpericolo che stavano correndo a causa del gesto sconsiderato di un gruppo diteste calde: “…Giunti gli svizzeri nel borgo di S. Francesco, nell’osteria della cerva preserol’alloggio, ma appena scaricato l’equipaggio del cardinale, ecco assaliti di bel nuovo da GiòMaria Serono e suoi compagni, e coll’armi alla mano dopo di avere ucciso alcuni di què sol-dati, obbligare gli altri a rifuggiarsi sotto alli tetti dell’albergo per liberarsi dalle loro mani. Ac-cesero allora gli aggressori il fuoco agli angoli della casa per snidarli, ma l’accorso popolo allospaventoso spettacolo, da cui fu biasionato all’estremo, fece sì, che s’estinguesse il fuoco, e rapitonon fosse l’equipaggio del cardinale…” 66.

La popolazione quindi, accorsa alla locanda, costrinse Giovanni Maria Seronoe compagni a desistere dai loro disegni incendiari e a salvare in qualche modo lavita degli svizzeri asserragliatisi all’interno ma non riuscì ad evitare che fosserocatturati e tradotti nel castello. Evidentemente la banda degli “sfaccendati” chi-vassesi era composta da persone in vista e molto influenti all’interno della comu-

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66 BIBLIOTECA REALE TORINO (d’ora in avanti BRT) Storia Patria 579, “Memorie istoriche della Cittàdi Chivasso…”, 1775-1787, manoscritto con prefazione dello stesso Borla, p. 358.

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1G.GASCA QUEIRAZZA, “Notizie di Piemonte nell’itinerario di un anonimo lombardo nel primo Cin-quecento”, in Studi Piemontesi, Torino, novembre 1977, vol. VI, fasc. 2, p. 390.2 G.BORLA,Memorie istorico-cronologiche della nobile città di Chivasso, edizione fotostatica a cura delRotary Club di Chivasso, 1980, p. 780.

Davide Bosso

“…AB IMPETU ELVETIORUM…”19 agosto 1515, il sacco svizzero di Chivasso

Introduzione

hivassi, loco muratto, et di circa a fochi 1.500, et sottoposto al vescovato de Invrea. Heloco brutto et melancolico. Il Po li corre apresso ad uno tirare di balestra. Quando li

Sviceri se retiravano per la venutta del Christianissimo Principe, lo sachegiorno et li amazornocirca ad homini 1.000…” 1 .

Con queste parole un anonimo viaggiatore lombardo descriveva, nel primoquarto del XVI secolo, la nostra città all’indomani del grave fatto di sangue chel’aveva resa tristemente nota ai contemporanei; la malinconia da lui avvertita nonera solo una sensazione così pesante da indurlo a tratteggiare negativamente Chi-vasso ma una realtà tangibile che pervadeva profondamente una comunità chestava cercando di superare, tra mille difficoltà, la terribile esperienza che l’avevarovinata materialmente e demograficamente. Di fatto quell’evento traumaticonon aveva fatto altro che accelerare il lento declino che si era avviato fin dal 1435,da quando Chivasso, dopo una breve guerra ed un ancor più breve assedio, erapassata definitivamente dai marchesi di Monferrato ai duchi di Savoia; i nuovi si-gnori, infatti, riconoscendole soprattutto l’importante ruolo strategico, ne ave-vano ridimensionato le aspirazioni politiche, riducendo una delle più splendidecorti del marchesato a fortezza di frontiera sui confini orientali del ducato. Lacittà, pur rimanendo un mercato di primaria importanza e un vivace centro com-merciale e artigiano, oltre al prestigio aveva allora incominciato a perdere lenta-mente anche i suoi abitanti; le famiglie di rango, soprattutto quelle con incarichipolitici presso la corte dei marchesi, avevano preferito seguirli a Casale e nell’ul-timo quarto del XV secolo una serie di calamità naturali ed epidemie, dovute,secondo il Borla “…alla situazione di Chivasso soggetto al ricovero de’ forestieri di ogni na-zione…” 2 , avevano costretto molti commercianti impoveriti ad abbandonare de-

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nità, infatti, se rileggiamo i nomi dei suoi capi vi ritroviamo buona parte delle fa-miglie della vecchia nobiltà chivassese: i Bianchetti, i Simo, gli Angelino e i Se-rono, uno dei quali, Gaspare ( fratello di Giovanni Maria ), definito presbitero era,quindi, un sacerdote.

Dalla lettura delle Reformazioni arrivano altre sorprese circa l’identità diquesti personaggi: scopriamo così che Melchiorre de Simo era consigliere nellaPubblica Credenza e continuò ad esercitare il suo incarico in seno al consiglioanche dopo l’eccidio, mentre Giovanni Maria de Serono, il capo della banda, eranientemeno che il castellano di Chivasso. Il suo nome, “nobilis Johannis Maria deSerono Castellanus Clavaxij”, compare infatti nel verbale della seduta di consigliodel 4 agosto 1515, dopo quello del vicario, suprema autorità del governo ducale,e prima dei due consoli ( gli odierni sindaci ), “nobilis Franciscus Planta et Bortulinusde Vercellis consules comunitatis Clavaxij” 67. Questo ci fa capire che in quel periodola figura del castellano, comandante militare del castello e della sua guarnigione,era ormai disgiunta e, seppur in modo puramente formale, sottoposta a quella delvicario ducale che, in quanto rappresentante del sovrano, deteneva ampi poteritra i quali quello di giudice della comunità. Dalle Reformazioni però sembra dicapire che, a cominciare proprio dal primo agosto del 1515, ebbe inizio un pe-riodo confuso in cui il vicario nominato, un certo Cesare Canefrio di Alessandria,si dovette assentare subito dalla città per motivi non noti, “…habens absentare ipsumlocum et patriam ducalem…” 68 incaricando un luogotenente come suo sostitutonella persona di Bernardino da Volpiano, definito phisicus nei documenti; la Cre-denza, probabilmente, non giudicò all’altezza del suo compito l’ufficiale se, all’in-domani della strage, il 28 agosto 1515, decise di mandare a Torino Bortolino deVercellis e Bernardino dell’Isola per richiedere l’intervento ducale, “…et eius Lo-cumtenentis non est sufficiens…” 69. E’ possibile quindi che il debole controllo eser-citato dalla luogotenenza vicariale sull’operato del castellano abbia favoritocomportamenti poco corretti da parte di quest’ultimo che, effettivamente, doveva

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67 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 1, “Die prima augusti. Convocata et congregata Credentia Clavaxij…in qua aderantprefatus spectabilis dominus vicarius, nobilis Johannes Maria de Serono Castellanus Clavaxij, nobiles Franciscus Plantaet Bortulinus de Vercellis consules comunitatis Clavaxij, spectabiles domini Defendens de Guasconibus et Gullierminusde Crova nobiles…providi Bartolomeus Carleti, Bernardinus de Insula, Urbanus de Verulphis, Melchiorj de Costiglio-lis, nobilis Bartolomeus de Sancto Sebastiano, Leonardus de Cessate, Johannes Bartolomeus de Portis, Melchiorj de Simo,Sermundus de Lumello, Dominicus Cichorellj, Petrus Perroya, Bernardinus de Sicardis, Paganinus de Platis, JohannesFranciscus Carmagnola, Gerardinus de Trecate, Gaspar de Clericho, Girardinus Grolia, Johannetus Colla, JohannesFranciscus Matrignanj, Michael de Laporta, Obertus Spaterij, Paulus Machiolj et Gennotus Valorij omnes congredenda-rij loci Clavaxij…”.68 Ibidem, f. 1.69 Ibidem, f. 4, “Die XXVIIJ augusti”.

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Fig. 3

Fig. 4

(Ivrea, collezione privata)

(Ivrea, collezione privata)

essere un tipo particolarmente arrogante nei confronti dei suoi concittadini se ilconsiglio, l’11 agosto 1515, avvertiva di vigilare in materia di franchigie sulla cac-cia, da questi puntualmente usurpate molestando gli uomini di Chivasso con lascusa di patenti ducali comprate: “…Ordinaverunt quod domini consules provideant ob-servatione franchigiarum circha venationes attento quam nobilis Jo Maria de Serono castella-nus pretextu affituarum litterarum ducalium molestat quosdam de Clavaxio…” 70.

Al di là delle possibili implicazioni del castellano nell’aggressione agli svizzerie alle sue collusioni con altri nobili chivassesi, resta il dubbio, leggendo i docu-menti dell’epoca, che qualche attrito all’interno della comunità chivassese e inseno allo stesso Consiglio della Credenza, gestito dalle famiglie più in vista dellacittà, si fosse verificato proprio alla vigilia del massacro. I poteri che il castellanoaveva non gli impedivano certo di reclutare uomini armati per lanciarsi in unascorreria personale, come in effetti fu quella del Rio Martino, con la irresponsa-bile leggerezza di una battuta di caccia e di ripetere la cosa alle porte della cittàche egli stesso avrebbe dovuto difendere con più saggezza e prudenza; difficilepensare che gli uomini che lo appoggiarono nella fallita impresa fossero tutti deivanagloriosi irresponsabili; qualcuno doveva avere altri motivi, molto personali,per spingersi a tanto. L’ombra del sospetto cade su un altro componente delgruppo, Giovanni Simo; questi era magistrum bannorum 71 della città ed era parentedel credenziere Melchiorre Simo (anche lui nel gruppo dei facinorosi secondo ilcronista) che gli aveva dato la sua fideiussione davanti al consiglio per l’elezioneall’ambito e delicato incarico. Evidentemente Giovanni aveva gestito male o sem-plicemente abusato dei poteri conferitigli perché, il primo agosto 1515, il sin-daco Bernardino Siccardi a nome della comunità gli contestò l’inosservanza dellecapitolazioni e le molte querele presentate dai particolari a causa del comporta-mento tenuto dai suoi esattori: “…Egregius Bernardinus de Sicardis Sindicus comuni-tatis Clavaxij contram egregius Johannes de Simo magistrum bannorum presentem ut egregiusMelchioris de Simo eius fideiussoris…qui protestatus fuit contra eos de inobservantia capitu-lorum…attentis multipluribus querellis particularium et quam ipsis Johannes non tenet cam-parios idoneos…”. Alla fine si decise di revocargli il mandato “…de retenendo ipsasbanna ad manus comunitatis…” 72; la sentenza definitiva del consiglio fu emanata il4 agosto 1515 e Giovanni de Simo fu sollevato dall’incarico e costretto a saldareil debito accumulato nei confronti della comunità e dei singoli, “…satisfarem no-bilis tesaurario comunitatis, summam debitam pro mensibus sex…et satisfarem particulari-

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70 Ibidem, f. 2, “Die undecima augusti”.71 Letteralmente “maestro dei banni”, cioè il responsabile alla riscossione delle tasse per conto della città.72 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 2.

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Fig. 1: Pietro Paleocapa - ritratto

Fig. 2

(Ivrea, collezione privata)

bus qui dampna passi sunt…” 73.I documenti non ci dicono altro su questi presunti responsabili dello scate-

namento su Chivasso dell’ira elvetica ma il dubbio che un’intera città possa es-sere stata messa a sacco per l’arroganza di un castellano litigioso (che alla provadei fatti si dimostrerà tanto vigliacco da rinchiudersi, per la paura di ciò che avevascatenato, nella torre del castello) o per il risentimento di un nobile ferito nel-l’onore, a dire il vero, rimane. Non sappiamo se Giovanni Maria Serono e Gio-vanni Simo salvarono la pelle alla fine, di loro non rimane traccia nei documentidopo la metà di agosto; tantomeno sappiamo che fine fecero Gaspare Serono eBolognino Angelino ma, come affermò l’anonimo cronista che scrisse i nomi ditutti i capi della banda, vite così sconsiderate finivano sempre in malo modo e al-meno uno, Fabiano Bianchetti, pagò con la vita la sua scelleratezza.

Dunque, dopo la terribile notte alla locanda della Cerva, a Chivasso ci si pre-parava al peggio e abbiamo già visto che molti cronisti accennano alla presenzain città di villani armati e pronti a combattere; lo stesso Borla, parlando di un ra-duno degli abili alle armi e di una chiamata generale dalle terre vicine, precisaanche il loro numero: “…chiamarono allora li civassini in loro aiuto circa a mille ducentoarmati dalli luoghi, e terre del vicinato…” 74.

Quando, pochi giorni dopo il massacro, il duca di Savoia invierà il suo araldoa Vercelli per i preliminari di pace tra il re di Francia e gli svizzeri farà riferire aquesti ultimi che la responsabilità dell’accaduto non era da imputare ai chivassesima ad alcune centinaia di monferrini (sudditi di uno stato vicino e non suoi), in-filtratisi a Chivasso richiamati da privati cittadini contro il volere della città 75.

L’interessante precisazione potrebbe da un lato confermare l’affermazionedel Borla circa la chiamata alle armi delle genti vicine ( Castagneto, ad esempio,era già territorio del Monferrato) per rinforzare la guarnigione, dall’altro che lacomunità chivassese si fosse premunita contro possibili aggressioni, ingaggiandogente di ogni risma dal momento che l’autorità ducale non era certo in grado didifendere i propri sudditi.

La sensazione che al duca di Savoia, schiacciato tra la potenza francese e laprepotenza svizzera, non fosse facile essere padrone in casa propria è confer-mata anche dalla probabile presenza di agenti francesi nelle comunità attraversatedagli svizzeri in ritirata; le cronache bernesi, infatti, parlano chiaramente di fran-

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73 Ibidem, f. 2, “Die quarta mensis augusti”.74 BRT, Stp 579, Memorie, cit., p. 359.75 E. USTERI,Marignano, cit., p. 328 e nota 39 dove l’autore cita la memoria conservata nell’archivio sto-rico di Zurigo.

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Racconta ancora lo studioso canavesano che la tratta sarebbe già potuta en-trare in esercizio fin dal mese di ottobre ma, a causa di piogge dirotte, ciò nonfu possibile fino al mese successivo.

La linea Chivasso–Ivrea, con il tracciato che presenta ancora attualmente, fuinfine inaugurata il 10 novembre 1858: il giornale eporediese “La Dora Baltea”dell’ 11 novembre 1858, n° 45 celebra entusiasticamente con un lungo articoloin prima pagina l’evento, avvenuto il giorno precedente, mercoledì 10 novembre1858.

Il viaggio, iniziato alle ore 11 del mattino dalla stazione torinese di PortaSusa, si concluse ad Ivrea in perfetto orario alle ore 13. Sul convoglio viaggiavanoil presidente del Consiglio Cavour, il ministro della guerra La Marmora, il mini-stro dei Lavori pubblici Bona e l’ing. Henfrey, titolare dell’impresa costruttrice.

I festeggiamenti durarono tutto il pomeriggio, si svolsero tra banchetti perle autorità, brindisi, altisonanti discorsi e si conclusero con la ricognizione dellenuove opere pubbliche connesse alla ferrovia, in particolare il nuovo ponte sullaDora.

Ignoriamo invece se anche a Chivasso si tennero festeggiamenti all’arrivo deltreno inaugurale: l’archivio storico non ha conservato memorie.

Si possiedono immagini delle stazioni non contemporanee alla costruzionedella ferrovia, ma di poco posteriori; in margine all’articolo, ho inserito tre vedutedella stazione di Chivasso (figg. 2, 3 e 4) precedenti il bombardamento alleato del12 maggio 1944, con cui la stazione ottocentesca fu rasa al suolo .

Colpisce l’uniformità architettonica delle costruzioni ferroviarie: impossibilenon cogliere analogie, confrontando ad esempio le fotografie chivassesi con lastazione torinese di Porta Susa.

Per la tratta Chivasso–Ivrea tale uniformità architettonica è riscontrabile nellecostruzioni presenti su tutta la linea e denotano nell’evidente stile anglosassonel’intervento di imprenditori e progettisti britannici.

Circa la fruibilità della stazione di Chivasso, il Bertolotti riferisce che “La sta-zione di Chivasso, che serve anche alla Torino–Novara è a mezzanotte dell’abi-tato da cui dista 250 m, con caffè, ristorante con alloggio e sale d’aspetto decenti,ma piccole (1872)” 49.

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49 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 69.

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cesi a Chivasso 76 e il Grumello quando descrive l’operato del monsignore diCandale,impegnato nella difesa di Ivrea, indirettamente conferma ciò che già ilcorrispondente fiorentino aveva sentito dire riguardo i preparativi in corso a Chi-vasso prima dell’arrivo degli svizzeri. Il cronista pavese, dopo aver descritto, senzasostanziali differenze rispetto alle altre cronache, il massacro di Chivasso dove,dice,“ foreno occixi homini ottocento”, racconta che “…Partito lo exercito Elveticho da essocastello (Chivasso) pigliò il camino de la cita de Imbrea Sabaudiense sempre scharamuzandocon Galli. In epsa citta de Imbrea gli hera monsignore di Cande, capittaneo Gallicho, qual pen-sava de intervenire lo exercito Elveticho che non passasse la Doria fiumara, havendo essoCande facto murare il ponte, qual he sopra detta fiumara in el locho de Invrea. Intexo il po-pulo di Invrea il saccho dil castello di Civasso et la mortalitate facta, datta licentia ad epsoCande per esso populo che si levasse di sua citta et gittato a terra il muro dil ponte facto peresso Cande fu datto il passo alo exercito Elveticho” 77.

Tornando a Chivasso, sembrerebbe quindi fondato il dubbio sollevato dalGiovio e ripreso dal Guicciardini che, cioè, la decisione di chiudere le porte aglisvizzeri fosse stata dettata non solo dalla simpatia verso i francesi ma anche dallaconvinzione di un loro intervento in caso di aggressione, forse garantito da unpersonaggio come il capitano de Candale; se poi andiamo a leggere un’altra cro-naca di un contemporaneo, il francese Robert de la Marck signore di Florange,che in un passo delle sue memorie descrisse quella terribile giornata, essendonestato testimone oculare, la sensazione di un coinvolgimento francese appareconfermata nei fatti: “…e come vi ho già detto poc’anzi, gli Svizzeri tirando la loro arti-glieria a forza di braccia perché a corto di cavalli e con i Francesi che cavalcavano loro intorno[arrivarono] fino ad una piccola città del duca di Savoia, ai confini del Piemonte, chiamataChivasso; e fu quindi ordinato al giovane Avventuroso (lo stesso Florange) di andare a te-nere quella città perché questa era bonne française. Lo vennero ad accompagnare fino al bordodell’acqua (la riva del Po?) 500 uomini d’arme mentre gli Svizzeri erano sull’altra riva dovestava Chivasso e la loro artiglieria incominciava a battere la città. Il giovane Avventuroso, conla gendarmeria, voleva entrarvi vedendo che questa era già stata presa perché i villici l’avevanoabbandonata; vi furono uccise più di tremila persone, dai bambini ai preti dentro le chiese.Quando gli Svizzeri videro l’Avventuroso con la gendarmeria incominciarono a ritirarsi per gua-dagnare terreno perché essi temevano che l’armata del Re (di Francia) li intrappolasse primache riuscissero a raggiungere Milano e gli altri Svizzeri che stavano venendo in loro soccorso.

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76 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 108. Nel testo i capi confederati precisano che la città fu presanel giro di due ore, saccheggiata e incendiata senza pietà e che furono uccisi brutalmente più di 500 uo-mini, salvati i prigionieri e cacciati i francesi.77 GRUMELLO, Cronaca, cit., p. 198.

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Infatti, con lettera del Comando generale della Divisione militare di Torino,del 13 maggio 1856, a firma colonnello Somis, si avverte il Sindaco di Chivassoche la tratta Chivasso–Ivrea è cosa quasi certa; pertanto, il 23 maggio 1856 il Par-lamento approverà con progetto di legge n. 98 la concessione della strada ferratada Chivasso ad Ivrea con stazioni a Montanaro, Caluso, Candia, Mercenasco eStrambino e il Regio Decreto n. 1694 del 14.06.1856 la renderà esecutiva a tuttigli effetti 46.

Anche il Consiglio comunale di Ivrea in data 22 maggio 1856 votava peravere il capolinea a Chivasso 47.

La costruzione della linea

Costituitasi il 27 agosto 1856 la Società anonima della ferrovia d’Ivrea, conun capitale di 4.000.000 di lire rappresentato da 8.000 azioni da 500 lire ciascuna,presero avvio i lavori. Racconta il Bertolotti che, a partire dal 18 settembre 1856,ultimate le necessarie misurazioni e procedendo a ritmo serrato, in breve temposi collegò Chivasso con Montanaro. Un anno dopo, il 24 settembre 1857, gli azio-nisti della Società anonima per la costruzione della linea osservavano che i primi13 km della tratta erano ormai conclusi e quasi terminato anche il viadotto sulChiusella, a buon punto il traforo della galleria di Caluso, nonostante i lavori fos-sero in leggero ritardo sui tempi. Nel marzo del 1858 iniziò anche la costruzionealla stazione d’Ivrea 48.

L’inaugurazione

Il 22 maggio 1858 si inaugurava il tronco Chivasso–Caluso, con grandi festeg-giamenti nel cortile del castello del conte Trinità, cui parteciparono 300 invitati,animati da grande entusiasmo e compiacimento, come riferisce il Bertolotti. Il ter-mine di lavori ormai si avvicinava: pochi metri all’apertura del traforo, ultimi ri-tocchi al ponte sulla Dora Baltea.

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46 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, ses-sione 1855, n. 98, Camera dei deputati, progetto di legge presentato dal ministro dei LL.PP. nella tornatadel 23 maggio 1856, Concessione della strada ferrata da Chivasso ad Ivrea, p. 2.47 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 64.48 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., pp. 64-69; L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., pp. 65-66.

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Uscirono quindi dalla città ordinatamente con la loro artiglieria e quando l’Avventuroso livide entrò uccidendone qualcuno che era rimasto indietro e salvando alcuni che si erano asser-ragliati in una torre; di là andò a scaramucciare con loro (gli Svizzeri) in quella bella pia-nura chivassese dove i colpi di archibugio si sprecarono per chiunque ne volesse…” 78.

Nonostante la relativa credibilità del passo del Florange, nelle Reformazioninon troviamo traccia di un coinvolgimento francese nella difesa della città anzi,curiosamente come vedremo più avanti, troviamo piuttosto accenni del contra-rio cioè di presunti danni da loro provocati insieme agli svizzeri. Non dobbiamodimenticare che le “genti d’arme” al comando del Florange non erano molto di-verse, in ferocia, dai mercenari svizzeri; è quindi possibile che, arrivate in città,non disdegnarono di completarne il saccheggio dopo essersi limitati a sparac-chiare archibugiate sugli svizzeri in ritirata, uccidendo tutti quelli che si erano at-tardati nelle case; il passo più interessante nel racconto francese è, sicuramente,l’accenno alla liberazione di quelli che si erano “asserragliati in una torre” cioè l’im-paurito castellano e i suoi compagni. Come non immaginarli, una volta ringraziatii loro salvatori, approfittare della confusione per dileguarsi in tutta fretta, facendoperdere le loro tracce e scampare così alla vendetta dei loro concittadini?

L’osservazione della marcia degli svizzeri, fin dalla loro partenza da Rivoli,ci viene confermata da un passo delle Reformazioni del 17 agosto 1515; quelgiorno, mentre l’armata elvetica si apprestava ad iniziare la ritirata, il Consiglio in-caricava Jacobino Ballioti e Leonardo di Cessate di fare riempire il fossato in-torno alle mura della città e di provvedere a reperire polvere da sparo per lebombarde preposte alla difesa del luogo “…Comisserunt nobilis Jacobino Ballioti etLeonardus de Cessate ut fassant implere fossata loci Clavaxij itaque aqua in eisprovideant…item quod provideant de pulveris per bombardis pro deffendendo locum ab impetuelvetiorum…” 79. Le notizie delle violenze di Villafranca erano già arrivate in cittàda alcuni giorni ma il sacco di Settimo e la conoscenza recentemente sperimen-tata durante il soggiorno in città dell’armata elvetica, avevano ormai fatto capirechiaramente alla Credenza con chi avrebbero avuto a che fare nei giorni succes-

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78 HISTOIRE DES CHOSES MEMORABLES avenue du Regne de Louis XII et Francois I, en France, Italie,Allemagne et és Pays-Bas, depuis l’an 1499 jusques en l’an 1521, mise par script par Robert de La Mark, seigneur deFleurange et de Sedan. Mareschal de France, in Nouvelle collection des memories pour servir a l’historie de france, depuisle XIII siecle jusqu’a la fin du XVIII, a cura di MICHAUD e POUJOULAT, Tomo V, Parigi 1838, pp. 49-50. Robert de La Marck (1491-dopo il 1536) era uno dei capitani del corpo di spedizione francese in Ita-lia e aveva il comando di 200 uomini d’arme. Partecipò a tutta la campagna fino alla battaglia di Marignanodove fu dato per morto; quando il re lo vide vivo e vegeto gli disse: “Come! Amico mio, mi avevano dettoche eri morto!” e lui rispose “ Sire, non sono morto e non morirò fino a quando non avrò finito di ser-virvi”. Francesco I lo nominò sul campo cavaliere.79 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 4, ”Die XVIJ augusti”.

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Page 87: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

La costruzione della nuova ferrovia viene anche sentita come mezzo di so-stentamento “della classe bisognosa, procurando a quelle popolazioni lavoronelle contingenze attuali della carenza dei cereali, avuto eziandio e soprattutto ri-guardo alle incomportabili angustie di quegli abitanti, ai quali il quinquennale fal-lito raccolto delle uve ingenerò la penuria dei mezzi materiali di sussistenza” 42,evidenziando anche l’intento sociale dell’opera.

Il timore di perdere il capolinea della diramazione a Chivasso causò, come siè detto, un vivo fermento in città.

Esempio significativo, la lettera dell’Intendenza Generale di Torino del 6marzo 1856 inviata al Sindaco di Chivasso in cui si legge che l’intenzione espressanel verbale di Consiglio del 17 febbraio 1856, “di offrire la somma di 50.000 £.per la formazione del tronco di ferrovia da Chivasso ad Ivrea”, non viene appro-vata dall’Intendenza stessa in quanto “porta seco il vincolamento dei bilanci av-venire non può da quest’Ufficio approvarsi ed eccede le attribuzioni del Consigliostesso”; l’Intendente invita pertanto il Consiglio ad una convocazione straordi-naria “onde emetta le opportune deliberazioni e indichi i mezzi per sopperire alpagamento di dette £. 50.000 qualora ne sia del caso” 43.

Il 18 marzo 1856 con delibera n. 47, il Consiglio comunale di Chivasso man-tiene l’offerta delle 50.000 £. “specialmente a condizione che la linea ferrata dicui si tratta da Chivasso ad Ivrea tocchi Caluso e Strambino” e per trovare il de-naro, “stante le ristrettezze dell’erario civico, determina fin d’ora di sopperirvi conun prestito di uguale somma sulla cassa dei depositi ed anticipazioni presso l’am-ministrazione del debito pubblico”.

Poco sotto si legge che il Consiglio autorizza i signori cav. Aristide Somisdeputato di Strambino e l’avv. Saverio Crosa deputato di Chivasso “onde possanovalidamente agire e trattare con chi di ragione di cui è caso” 44.

Insomma, con l’intervento di questi due personaggi (e le 50.000 lire!) si risol-verà la questione a favore di Chivasso 45.lità della vie ferrate interne…, doc. s.d., cit.42 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, Ses-sione 1855, n. 98, Camera dei deputati, relazione della Commissione nella tornata del 25 maggio1856, Con-cessione della strada ferrata da Chivasso ad Ivrea, cit., p. 2, comma 3.43 ASCCh.., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, let-tera dell’Intendenza Generale di Torino del 6 marzo 1856 inviata al Sindaco di Chivasso.44 ASCCh., Verbali di Consiglio 1855-1856, mazzo 727, fasc. 41, seduta del 18.03.1856, delibera n. 47, ff.133 r,-134 r. Il verbale di Consiglio del 17 febbraio 1856 però è inesistente, non compare nel registro.45 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, let-tera inviata dal Comando generale della Divisione militare al sindaco di Chivasso datata Torino 23 mag-gio 1856, a firma colonnello A. Somis.

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sivi; l’agguato al Rio Martino e l’assalto alla locanda della Cerva ora esponevanola città alla probabile vendetta svizzera.

La mattina di domenica 19 agosto 1515, il grosso dell’armata elvetica si mosseda Settimo in direzione di Chivasso. Secondo le fonti bernesi, solo lungo la stradaai comandanti era giunta la notizia che 16 confederati erano stati assaliti e cattu-rati dai chivassesi, denudati e minacciati di impiccagione e che tra loro c’era il si-gnore di Font con diversi ufficiali; si era, però, nel giorno del Signore e quindi lasentenza sarebbe stata sospesa fino all’indomani 80. Il trattamento subito dai con-nazionali in una città che gli svizzeri, probabilmente, consideravano amica aven-dovi già soggiornato poco più di un mese prima, fece andare in collera l’interoesercito a cominciare dai comandanti in campo tra i quali c’erano Albrecht vomStein e il cardinale Matheus Schiner; il prelato, stavolta, non mosse un dito pertentare di calmare gli animi degli uomini che già fiutavano l’odore di un grossobottino anzi, secondo il Borla, giurò di vendicare l’affronto. Sempre secondo lefonti bernesi, i primi contingenti ad arrivare davanti a Chivasso furono quelli deicantoni di Berna, Basilea, Friburgo, Soletta, Sciaffhausen, Rottwil e dei Grigioniche costituivano circa metà dell’intero esercito; alcuni capitani cercarono di par-lare agli abitanti, rinchiusi dietro l’effimera protezione delle vecchie mura paleo-loghe, pretendendo che venissero loro aperte le porte della città e restituiti iprigionieri ma dagli spalti qualcuno rispose con male parole, furono sparati alcunicolpi di archibugio e a quel punto il destino della sventurata comunità era se-gnato. Gli svizzeri piazzarono i cannoni davanti alle mura e alle porte, concen-trando il fuoco contro brevi tratti delle fortificazioni per creare rapidamente unabreccia da dove, vinta facilmente la resistenza dei difensori, si riversarono nellacittà, uccidendo senza misericordia. In poco più di due ore, secondo le fonti ber-nesi, l’abitato venne messo a ferro e fuoco ed il castello preso d’assalto per libe-rare i prigionieri; questi furono ritrovati nudi in fondo ad una torre ma tutti vivi,tranne uno che era morto nel frattempo 81.

L’affermazione del Borla che il castellano impedì ai suoi soldati di uscire dalcastello per aiutare i chivassesi, rimanendo ad osservare la strage dalla torre ot-tagonale, non trova riscontro nelle cronache bernesi e friburghesi mentre, nelleReformazioni, un interessante passaggio conferma sia le responsabilità di Gio-vanni Maria Serono sia la dinamica degli eventi che portarono alla tragedia; il 15ottobre 1515, al termine della seduta del Consiglio, il notaio Giovanni Simone

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80 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 108. E. USTERI,Marignano, cit., pp. 326-327 e note 36-38. Ve-dremo più avanti che i confederati seppero della cosa da un prigioniero fuggito.81 Ibidem, p. 108. J. MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 449.

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Dora Baltea, in quanto maggiormente popolata 39.I più vivi oppositori della linea da Livorno ad Ivrea sono gli imprenditori del

ferro della Valle d’Aosta “che intendono protestare legalmente contro il ramosopra Livorno” e intendono costituire un consorzio “per comporre un vistosocapitale in obbligazioni al fine di facilitare il progetto più ovvio di una sentita in-declinabile utilità per l’intera vallata”. Si chiede pertanto l’intervento del sovranonella questione e si è pronti a ricorrere legalmente affinché, in base all’art. 61della legge di concessione alla società della ferrovia di Novara, sia favorito iltronco da Ivrea a Chivasso 40.

Di identico tenore un foglio a stampa senza data (ma 1856?), a firma A.Somis, conservato in ASCCh che spiega le differenze fra i tracciati per Ivrea, unoda Livorno e l’altro da Chivasso.

Nel primo caso, si abbrevierebbe la distanza fra Ivrea e Genova, aumentandoperò la distanza di 19 km dalla capitale; nel secondo, si otterrebbe l’esito oppo-sto: maggior vicinanza a Torino e aumento di 19 km da Genova. Inoltre, par-tendo da Chivasso, la linea dovrebbe valicare le colline di Caluso; iniziando daLivorno, quelle di Moncrivello, con una diminuzione di km 2.55 di percorso. Al-l’apparenza, si legge nel documento, la posizione di Livorno sembra più vantag-giosa perché permetterebbe il trasporto di viaggiatori da e per la Svizzera, appenaultimato il traforo del Menouve; e poi i 2.55 km in meno inciderebbero sullaspesa.

In realtà, da Chivasso il traffico di passeggeri e merci è senz’altro più intenso,infatti per il servizio passeggeri di Livorno è sufficiente una sola diligenza gior-naliera, funzionante peraltro con i sussidi statali per il trasporto postale, mentreda Chivasso il traffico per Torino è assicurato da parecchie vetture. Inoltre, latratta Livorno–Ivrea, per la maggior distanza da Torino, dove è diretto il maggiornumero di passeggeri, sarebbe meno utilizzata che non Chivasso, più prossimaalla capitale. E quando si attiverà il tronco Livorno–Casale, e l’Anonimo esten-sore del foglio lo da per certo, i viaggiatori provenienti dalla Svizzera e diretti “alresto d’Italia” eviteranno tale tratta, mentre partendo da Chivasso la linea d’Ivrea,quella di Novara trasporterà a Torino tutti i viaggiatori dell’Italia centrale 41.39 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, Il Co-mune nel rispettivo Consiglio delegato…, cit.40 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, let-tera indirizzata al sindaco di Chivasso datata Torino 24 febbraio 1856, a firma Somis; Sessione 1855, n.98, Camera dei deputati, relazione della Commissione nella tornata del 25 maggio1856, Concessione dellastrada ferrata da Chivasso ad Ivrea, comma 1.41 ASCCh.: sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, L’uti-

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dell’Isola riassumeva i termini della querela che i rappresentanti della città avreb-bero dovuto, due mesi dopo l’eccidio, portare davanti al loro duca per ottenereil risarcimento dei danni patiti: “…Primo de invaxionibus stratarum per aliquos ex cla-vaxibus, de insultu facto ad cervam versus Elvetios, de prohibitione facta ne reciperetur Elve-tij gratiosse in Clavaxio, de prohibitione facta per Castellanum…bono et exeundi homines, demalo… ipsus qui se retraxit in turri et prohibuit ne quis faceret deffensio in castro, de inva-xione domorum derelictarum nocte sequenti, de mercede retenta…” 82. Davanti a simili ac-cuse si può solo affermare, a difesa dello sciagurato personaggio, che l’azionepunitiva degli svizzeri fu talmente rapida e operata da un numero così preponde-rante di uomini che avrebbe comunque spazzato via ogni reazione organizzata daparte dei difensori, molto inferiori numericamente. La ferocia (sperimentata piùvolte nelle campagne d’Italia) con cui gli svizzeri si aprirono la strada tra le casealla ricerca di vittime per le loro spade e, soprattutto di bottino a buon mercato,dovette paralizzare qualsiasi resistenza anche da parte dei pochi soldati addestratidi guarnigione che, atterriti , preferirono salvare la pelle rinchiudendosi nel ma-schio difendibile del castello lasciando la popolazione, che pure doveva aver cer-cato rifugio tra le sue mura, senza scampo.

Eppure qualcuno combattè strenuamente, come quel Fabiano Bianchetti de-finito dal Borla capitano dei chivassesi, infliggendo perdite anche agli assalitori:“…e considerabile fu altresì la perdita per parte degli elvetici, oltre alla grande moltitudine diferiti, per la qual cosa esacerbatosi sempre più il cardinale spettatore della funesta tragedia, or-dinò il saccomano e successivamente l’incendio di tutte le case…” 83. La conferma di que-ste affermazioni del Borla riguardo alle perdite subite dagli svizzeri non solo laritroveremo, più avanti, in una drammatica testimonianza bernese ( che parla dimolti “feriti”) ma la leggiamo anche in un passo delle Reformazioni del primoottobre 1515, quando si ordinò di pagare agli interratori che già avevano lavoratoa seppellire le spoglie dei chivassesi un supplemento per il lavoro extra che ave-vano richiesto quelle degli elvetici: “…habeat grossos sex pro supplemento solventis se-pulture elvetiorum…” 84.

L’aiuto francese, come abbiamo visto, arrivò troppo tardi perchè mentre lacavalleria del re si stava avvicinando a Chivasso, gli svizzeri avevano già fatto bat-tere i tamburi per radunare le truppe ed evacuare in tutta fretta la città. La sto-ria, raccontata dal Borla, del feroce cardinale Schiner che viene ammansito dallesuppliche dei frati di San Bernardino e quindi ordina di spegnere gli incendi già

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82 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 7, “Die lune XV octobris”.83 BRT, Stp 579, Memorie, cit., p. 359.84 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 7, “Die lune prima octobris”.

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Scartata una variante con il passaggio da S. Giorgio 34 a vantaggio di Mazzè,il 14 ottobre 1853 si costituì una Società anonima per la costruzione della tratta.

L’anno successivo, il tracciato fu di nuovo rivisto e definitivamente fatto pas-sare per Caluso, in seguito alla ricognizione sul territorio e relativa relazione delloSpurgazzi, secondo la quale, a differenza del progetto Woodhouse, l’andamentodella linea in tale direzione sarebbe stato più funzionale e vantaggioso dal puntodi vista commerciale 35. La posizione della stazione di Caluso, ad un km da que-sto luogo e a due e mezzo da Mazzè avrebbe risolto in modo più o meno “salo-monico” l’utilizzo del treno da parte dei due centri 36.

Con Regio Decreto del 24 aprile 1854 si autorizzò il funzionamento dellaSocietà. Dopo altre vicissitudini, che fecero ripensare sia ad un nuovo tracciatoIvrea – Livorno a cura dell’ing. Melchioni, poi scartato 37, sia al vecchio progettoWoodhouse da Chivasso per Mazzè – Strambino ad Ivrea, nel 1856, ormai allavigilia dell’avvio dei lavori, una nuova linea Ivrea – Livorno studiata dall’ing.Guallini, più breve ed economica di quella per Mazzè, incontrava il favore dellaSocietà ferroviaria Torino–Novara 38, scatenando polemiche e vive reazioni so-prattutto a Chivasso, come attestano documenti conservati in archivio comu-nale.

La scelta definitiva di Chivasso capolinea

Infatti, una carta manoscritta non firmata nè datata, ma verosimilmente, perla questione trattata, del 1856, indirizzata all’Ill.mo Sig. Ministro dei LL. PP. ri-guarda l’assoluta necessità di stabilire il terminale per Ivrea a Chivasso e non aLivorno Piemonte, cioè, come si esprime il documento, sulla riva destra della34 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/1, lettera della Regia Intendenza Ge-nerale datata Ivrea 19 maggio 1852, a firma Santi, con cui si consegna al Ministro dei LL.PP. la documen-tazione dei Consigli provinciali straordinari riunitisi il 15 maggio 1852. Si menzionano progetti stilati da“distinti ingegneri” che, facendo iniziare la linea da Chivasso in ogni caso, una arriverebbe ad Ivrea, pas-sando per Caluso, Mazzè, Strambino; l’altra “toccherebbe S.Giorgio” e, attraverso la collina, giungerebbeanch’essa ad Ivrea. Si invita il Ministro ad approvare la Società per azioni che preferisce il tracciato perCaluso-Mazzè, del costo di un milione di lire, poiché non si conosce l’ammontare della spesa della va-riante per S.Giorgio.35 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 62; ASCIv., Lavori pubblici, serie III, mazzo 1273, fasc. 1:Relazione Spurgazzi.36 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 63.37 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 64.38 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 64.

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appiccati, figura solo nelle cronache locali; gli altri cronisti, tra i quali lo stesso Flo-range, affermano invece che il saccheggio fu fermato solo quando, su suggeri-mento dei legati milanesi e papali che accompagnavano l’esercito elvetico, alcardinale venne fatto notare che non si doveva rischiare di rimanere intrappolatidentro le mura di Chivasso circondati dai francesi ma piuttosto tentare di affron-tarli in campo aperto. Le cronache friburghesi ci dicono che gli svizzeri, ancorapervasi dall’eccitazione del combattimento, uscirono dalla città e attraversaronola brughiera fuori le mura divisi in due colonne molto distanti tra loro al puntoche, quando la cavalleria francese caracollò nel mezzo (manovra confermata dalFlorange), le due schiere si misero in ordine di battaglia ma accecate dal furoresi sarebbero scagliate l’una contro l’altra se alcuni capitani, accortisi dell’errore,non avessero immediatamente sedato gli animi; subito dopo, sempre secondo lecronache, da un cielo sereno si scatenarono tuoni e fulmini e “…cadde una gran-dine spaventosa con chicchi grossi come noci e uova che ci terrorizzò più dei nemici…”. Ci fuchi vide in quel fenomeno naturale la collera di Dio per ciò era stato commessoa Chivasso quel giorno 85.

L’impressione tra i contemporanei fu grande e il massacro venne descritto danumerosi cronisti, italiani, francesi e tedeschi. Alcuni, come il Grumello, il Flo-range, il Giovio e l’Anshelm, ne parlarono con dovizia di particolari e infatti i loroscritti ci hanno permesso di ricostruire la vicenda con nuovi contributi, spessosconosciuti; molti altri si limitarono a brevi citazioni, come il Machaneus che de-finì la triste sorte della città de clade Clavaxina 86 o il Tegerfeld che riprese quantogià narrato da altri, insistendo sul castigo divino che avrebbe segnato il destinodella Confederazione: “In statione quedam grando venit super eos, ut desuper haberent si-gnum ultionis future” 87.

Ma c’è ancora una voce da ascoltare per chiudere il racconto di quella terri-bile giornata; la voce di un testimone oculare che assistette al saccheggio e chelo narrò senza risparmiare i particolari più toccanti e le tremende responsabilità

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85 V. ANSHELM, Chronik, cit., vol. IV, p. 108, “…Got woollen sie um den ruhen grimmen, zu Tschawats began-gen strafen”. Anche in J.MULLER, Histoire, cit., vol. IX, p. 449, “Immédiatement aprés, par un ciel serein, le ton-nerre gronda, il tomba une grosse grèle; la terreur fut générale, on reconnut la colère de Dieu condamnant l’attentat commisà Chivasso” e nota 154, “Il tomba des grèlons comme des noix, et meme de plus gros encore, qui ne nous causèrent pasmoins d’effroi que les ennemis”. L’autore, citando le fonti friburghesi, aggiunge che la campagna ne fu rico-perta al punto che, durante la sosta notturna intorno a Masino, i soldati raccolsero negli elmi la grandineper procurarsi l’acqua per cucinare.86 “La rovina chivassese”, DOMINICUS MACHANEUS, Epitomae Historiae 9 Ducum Sabaudorum, col.822. In Historiae Patriae Monumenta n° 3, a cura di Domenico Casimiro Promis, Torino 1840.87 “ Erano in quel luogo (Chivasso) quando la grandine cadde su di loro affinchè avessero un segno dal-l’alto del futuro castigo”, ANTON TEGERFELD VON MELLINGEN, Chronik 1502-1525, p. 264.

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Mazzè, sono destinate a restare deluse, perché il progetto Woodhouse della fer-rovia Torino – Novara nella fase finale, con ponte sulla Dora Baltea a Saluggia epercorso tra Livorno e Bianzè, viene approvato dal Parlamento l’11 luglio 1852(art. 61) 27.

Livorno o Chivasso?

La proposta di far partire da Livorno, in alternativa a Chivasso, la tratta perIvrea, suscita immediatamente vivaci reazioni in ambito chivassese 28, però pre-sto sopite dall’altro progetto Woodhouse che, come si è detto, prevede il passag-gio della ferrovia a Mazzè e Strambino, con capolinea a Chivasso 29.

Intanto, oltre al tracciato del Woodhouse, si propongono percorsi alternativia Mazzè: il progetto dell’ing. Ferraris, infatti prevede il passaggio del treno a Mon-tanaro, Foglizzo, Scarmagno, Perosa, Pavone, infine Ivrea 30; il progetto Co-motto–Peyron a Caluso, facendo ovviamente salvo l’inizio della linea a Chivassoin entrambe le soluzioni; nel progetto Peyron–Comotto, in particolare, la lineadovrebbe correre parallela alla strada per Caluso e ad est di essa 31.

Il progetto Ferraris in un primo momento fu preferito al progetto Woo-dhouse 32, ma il ministro dei LL.PP. optò definitivamente per quello dell’inge-gnere britannico, con nota del 3 agosto 1853 33.27 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, copiaa stampa del progetto di legge presentato dal Ministro dei LL. PP. Paleocapa alla Camera dei Deputatinella tornata del 23 maggio 1856, sessione 1855, n° 98, relativo alla concessione della strada ferrata daChivasso ad Ivrea, p.1. La pubblicazione consta di 19 pp.28 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, Il Co-mune nel rispettivo Consiglio delegato…, doc. ms s.d., indirizzato all’ Ill.mo Signor Ministro dei Lavori.29 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 1: Progetto d’una strada ferrata che da Ivrea sicongiunga con quella da Torino a Novara, foglio datato Torino 26.03.1853 indirizzato al ministro dei LL. PP.a firma Giulio; relazione s.d. della Regia Intendenza generale della divisione amministrativa di Ivrea: Pro-getto Ing. Vaudous (sic): “diramandosi presso Chivasso, tenderebbe ad Ivrea quasi in linea retta, scorrendopresso Mazzè e Strambino”.30 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/1: Progetto d’una strada ferrata che da Ivreasi congiunga con quella da Torino a Novara, foglio datato Torino 26.03.1853 indirizzato al ministro dei LL. PP.a firma Giulio; relazione s.d. della Regia Intendenza generale della divisione amministrativa di Ivrea: Pro-getto Ing. Ferraris, inizio da Chivasso, “lambirebbe gli abitati di Montanaro e Foglizzo ed avvicinatosi aS. Giorgio si dirigerebbe verso Ivrea per Scarmagno, Perosa e Pavone”.31 ASCIv., Lavori pubblici, serie III, mazzo 1273, fasc. 1: Carteggio Peyron – Comotto.32 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/1, lettera datata Torino 7 dicembre1852, a firma Giulio, indirizzata al Ministro.33 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 14/3.

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dei suoi connazionali. Si chiamava Ludwig Schwinkhart ed apparteneva ad unafamiglia bernese in vista, i cui membri facevano parte del Rat (Parlamento) dellacittà; partecipò alle campagne d’Italia tra il 1513 e il 1515, combattendo a Novarae seguendo l’esercito confederato fino alla pace di Gallarate, dopo la quale ri-tornò in patria con il contingente bernese senza prendere parte alla battaglia diMarignano. Tra il 1519 e il 1521 scrisse una cronaca degli anni dal 1507 al 1521,dove condannava gli orrori e le ingiustizie delle guerre da lui vissute in primapersona, predicando la pace; ciononostante le simpatie per i francesi lo portarononel 1522 a tornare in Italia tra le file dei bernesi alleati del re di Francia per com-battere contro l’imperatore, trovando la morte nella battaglia della Bicocca. La te-stimonianza dello Schwinkhart è importante in quanto raccontata in “presadiretta”; mentre le origini della vicenda (l’agguato all’avanguardia svizzera, la suacattura e la successiva liberazione dei prigionieri) vengono trattate molto succin-tamente e con alcune differenze dalle altre cronache, il sacco di Chivasso vienenarrato con una tale drammaticità da far pensare che il vero scopo dell’autorefosse di mettere in risalto gli eccessi di cui si macchiarono i suoi compatrioti du-rante quella campagna di guerra e giustificare, così, l’inevitabile punizione divinache li avrebbe colpiti successivamente, prima con un “avvertimento” naturale (lagrandine) poi con la terribile “vendetta” di Marignano. Il presagio della futura finedei sogni di potenza della Confederazione elvetica a causa dell’avidità e della vio-lenza dei suoi soldati permea tutta l’opera dello Schwinkhart, al punto da costi-tuire la nemesi stessa del suo autore e di molti altri confederati, spettatori eresponsabili del massacro di Chivasso; l’espiazione di tutte le colpe avverrà, in-fatti, per alcuni su un campo di battaglia in Lombardia, per altri su una forca inpatria.

Il titolo del capitolo dedicato al sacco della città, “Della grande disgrazia successaa Chivasso e della grande tempesta”, segue ad un lungo discorso dell’autore sulle ne-fandezze commesse dagli svizzeri in Piemonte e contiene già, nelle parole, quelcarico di senso di colpa ed inevitabile sventura che porterà l’autore ad interrogarela propria coscienza nella convinzione di doverne, prima o poi, renderne contoa Dio.“Dal tutto derivò un grande dolore ed un grande spargimento di sangue anche in Piemonte, nellacittà chiamata Chivasso; e ciò accadde nel modo che verrà descritto di seguito. Dodici uominidei confederati precedettero l’esercito in questa città, forse in cerca di bottino o di alloggio. Eranoormai giunti in città quando i cittadini intervennero con l’intenzione di prenderli prigionieri.Così [i confederati] si ritirarono in una casa fuori città e si difesero in modo che i cittadini,che non erano in grado di vincerli, appiccarono il fuoco alla casa costringendo i dodici ad uscire;

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Il giorno precedente la risposta di Woodhouse, una carta manoscritta datataChivasso 17 marzo 1852, riferisce che “nell’adunanza d’oggi degli azionisti si èdeliberato di esprimere l’adesione alla linea della ferrovia Torino-Novara per Chi-vasso, Saluggia e Livorno e l’opinione che non possa essere utile prendere inge-renza nella diramazione di un tronco per Ivrea dovendosi per le immense speseconsiderare come passiva quella impresa” 23. Dal tenore del testo, sembra di ca-pire che agli azionisti chivassesi non stesse particolarmente a cuore la realizza-zione della ferrovia per Ivrea, apparentemente contrari per i costi i elevati.

La carenza di documentazione non permette l’approfondimento della que-stione.

In ogni caso, la fattibilità del tronco di collegamento tra Ivrea e la Torino-No-vara, diventa concreta per effetto di un Regio Decreto del 23 aprile 1852, con cuisi convocano i Consigli provinciali straordinari di Ivrea e Aosta, per “provve-dere alla costruzione di un tronco di strada ferrata che, partendo dal capoluogodella divisione stessa <Ivrea>, venga ad incontrare nelle vicinanze di Chivassola ferrovia a costrursi da Novara alla capitale del Regno” 24.

Anche nel Consiglio provinciale tenutosi ad Ivrea il 5 maggio 1852, si ap-prova la diramazione della nuova tratta dalla Torino-Novara con capolinea “nellevicinanze di Chivasso” 25.

Si ribadisce ancora la scelta di Chivasso come punto di partenza della ferro-via, auspicando che la connessione con la Torino-Novara “avvenga in un postoove vi sia già una stazione di importanza ed una grossa e popolosa borgata comesarebbe appunto Chivasso”, in una carta anch’essa datata Torino 5 maggio 1852,indirizzata all’Intendente Generale d’Ivrea, in cui, tra l’altro, si ritrova un ele-mento già emerso in alcune delibere del Consiglio comunale di Chivasso, e cioèche la scelta del sito “tanto più può influire sul buon esito della linea in que-stione, quanto che quivi verrà a terminare la strada provinciale ordinaria che sista costruendo da Asti al Po in continuazione di quella d’Ivrea, che è già il divi-samento e trattative aperte per la costruzione di un ponte sul Po” 26.

Tornando alle aspettative degli Eporediesi di ottenere il ponte sulla Dora a

23 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta. Ildoc. serve come delega “ai sigg.ri Masera sindaco e Crosa Saverio avvocato presidente del Comitato lo-cale e rappresentante degli azionisti di Chivasso nella adunanza generale che avrà luogo il 30 correntemarzo a Torino per la costituzione della Società”.24 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 2.25 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 2.26 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 2.

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i cittadini li catturarono e volendo giustiziarli li rinchiusero in prigione. Però uno di loro riu-scì a fuggire e corse in tutta fretta dai confederati, lamentandosi della situazione; allora [l’ar-mata] si mosse con tutto l’equipaggiamento contro Chivasso. La città fu chiusa di propositoper impedire loro l’ingresso, così i confederati la assediarono tirando [con l’artiglieria] tantointensamente che la presero in due ore; anche i cittadini tirarono dalla città con pietre e frecce,ferendo diversi confederati.Dopo la conquista successe la grande tragedia: tutti gli uomini che caddero nelle mani dei con-federati furono uccisi di fronte alle loro mogli e ai loro figli. La città si riempì così di grida epianti. Nessuno fu risparmiato, né per la sua età né per la sua occupazione o altro: dovetteromorire tutti. Diedero loro la caccia dappertutto, nelle strade della città, sui tetti e nei luoghi piùnascosti, cosicchè c’erano morti ovunque, uccisi per mano dei confederati.C’erano tuttavia in città alcuni dei confederati che avrebbero impedito volentieri tutto questo.Ma non servì a niente, così si allontanarono e lasciarono che gli altri si spingessero fino infondo nei loro propositi. Però tutti quei pianti di donne e bambini spinsero alcuni confederatia dire tra le lacrime: - Oh Dio, sia sempre lodato il suo nome, se la buona Confederazione hasempre protetto donne e bambini, cosa siamo mai diventati oggi che facciamo soltanto vedove eorfani? Se già commettiamo queste cose in nome del duca di Milano, cosa saremmo capaci difare per l’interesse della stessa Confederazione?- Altri dicevano: - Dio non lascerà senza ven-detta un’ingiustizia simile- ( Tralascio per brevità questo lamento e molto altro ancora sebbenedovrei chiarire meglio però mi dilungherei troppo e non ho più tempo).Dopo tutto questo furono stimati a 500 i morti e gli uccisi dai confederati ma il duca di Sa-voia scrisse, accusando la Confederazione che in Chivasso, da come aveva sentito dire da per-sone bene informate, gli erano stati uccisi 1.500 uomini. Ecco cosa succede quando si dàimportanza al popolo e questo diventa padrone.Quando ormai tutto era finito i confederati si dispersero fuori dalla città disponendosi in or-dine [di marcia] su una grande brughiera. Era una bella giornata, con sole e poche nuvole main meno di mezz’ora venne una tempesta così violenta e con grandine così grossa come nessunone aveva mai vista. I chicchi di grandine erano talmente grossi e colpivano i fanti così forte cheessi dovettero marciare con le armature sulle loro teste perché dove la grandine li colpiva cau-sava loro grossi lividi e gonfiori. Per giunta [insieme alla grandine c’erano] tuoni e fulminiin proporzioni tali che i confederati temettero di dover morire quel giorno stesso. Alcuni pen-sarono che Dio li volesse punire per le cattive azioni che avevano commesso a Chivasso. La tem-pesta durò quasi un’ora e mezza e rimase su di loro per mezzo miglio, lungo il cammino.Così si comportavano i confederati in quel tempo, in Piemonte, nei confronti della povera genteche non aveva fatto loro niente di male, come è stato sopra descritto” 88.

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88 L. SCHWINKHART, Chronik, cit., pp.162-164. Le indicazioni biografiche sullo Schwinkhart sonoestratte dal commento all’opera, digitalizzata a cura dell’università di Berna nell’ambito del progetto in-ternet DigiBern (www.digibern.ch).

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abitanti industriali, non hanno altra speranza che nell’apertura della strada delGran S. Bernardo e sul tronco ch’era ferrato per Mazzè a cui accederebbero permezzo dello stradale provinciale attualmente in corso, solidissimo pella natura delsuolo e col tempo anche sulla costruzione di strada ferrata di facile esecuzioneche attraverserebbe la provincia nel suo centro” 21.

A seguito di tale richiesta del Comitato eporediese, risponde l’ing. Woo-dhouse con relazione manoscritta datata Torino 18 marzo 1852: Breve rapportosopra la linea migliore di congiunzione fra la Ferrovia di Torino a Novara, e la città d’Ivrea.

In essa si prospetta già l’ipotesi di far iniziare il tracciato per Ivrea da Chi-vasso.

Esaminato il territorio, il Woodhouse infatti riferisce che “le pendenze piùvantaggiose si otterranno passando a traverso la Catena a ponente di Mazzè (abreve distanza da quel luogo) dal lato orientale del lago di Candia; e da colà, vi-cino a Strambino per Ivrea.

Se questa direzione sarà prescelta, il tronco potrà partirsi dalla linea matriceo a Chivasso o a Torrazza. Sono indotto a credere che il primo punto sarebbe ilmigliore, poiché, per quanto sia il mezzo km in meno a fare, andando a Torrazzaquesti aumenterebbe la distanza da Torino di 5 km. Si può giustamente arguire,però, che da Torrazza è migliore per il traffico verso levante.

L’altra linea si staccherebbe dalla linea matrice presso Livorno ed andrebbediscretamente dritta ad un punto fra Alice e Borgo d’Alice e sulla linea di ciò chechiamasi la Dora Morta, per un passo basso della catena di colline, al capo dellago di Viverone. Seguirebbe il lato meridionale di questo fino alle vicinanze diAzeglio e passerebbe quindi per uno dei due lati di quel luogo, essendo ivi ilpaese favorevole alla costruzione di una ferrovia per Ivrea. Senza fare una peri-zia pretendere non posso di dire quali pendenze possano ottenersi da Borgod’Alice al lago di Viverone. Tutte la altre parti, però, di quella linea, sono moltofacili. La lunghezza di questa linea, da Livorno ad Ivrea sarebbe di circa 29 km;la linea da Torrazza per ad Ivrea per Mazzè di circa 29 km e mezzo; e da Chi-vasso ad Ivrea 31 km”.

Woodhouse valuta il prezzo delle tre linee “in cifra da 110.000 a 115.000franchi, escluso il materiale mobile”. Prima di pronunciarsi, però il Woodhousepreferirebbe svolgere studi più precisi 22.21 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/3.22 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/3; ASCIv., Lavori pubblici, serie III,mazzo 1273, fasc. 1: Cahier des charges pour la construction d’une route del fer de la ligne de Turin à Novare près Chi-vasso à Ivrea, datata Torino 7 ottobre 1852 a firma Thomas Woodhouse.

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Il risveglio dopo l’apocalisse

Sazio di sangue e carico di bottino l’esercito svizzero, inseguito ormai solodall’ira divina e dalle maledizioni dei chivassesi, anziché rimettersi in marcia versoVercelli e il ducato di Milano, cambiò direzione e prese la strada di Ivrea; il cam-bio d’itinerario, probabilmente, fu dettato non solo dal tentativo di evitare l’in-seguimento francese ma anche dal fatto che i dissidi interni alle truppe riguardoalla pace con la Francia erano sempre più forti e spingevano gran parte dei con-tingenti a voler ritornare subito in patria attraverso il passo del Gran San Ber-nardo. Gli abitanti di Ivrea, come già accennato precedentemente, avuta notiziadel massacro di Chivasso, aprirono le porte della loro città lasciando che gli sviz-zeri vi sostassero alcuni giorni e non disdegnarono di fare affari con loro com-prando parte dell’immenso bottino che questi si erano trascinati dietro; i benidei chivassesi furono così esposti nelle botteghe eporediesi o scambiati tra variacquirenti della zona e la voce di quel vergognoso mercato arrivò ben presto aChivasso.

I chivassesi superstiti, però, prima di pensare a come rientrare in possessodelle loro cose avevano alcuni problemi più urgenti da risolvere, tra i quali quellodell’ordine pubblico. La popolazione maschile era stata talmente decimata chenon si riuscì ad abbozzare una difesa organizzata, la notte seguente all’eccidio, al-l’assalto degli sciacalli, elegantemente definiti dal Borla con il termine di forestieri;questi gruppi di malfattori e derelitti provenienti dalle campagne, approfittandodel fatto che le porte nelle mura erano divelte e molte case incustodite per lamorte o la fuga dei proprietari, si introdussero in città e terminarono l’opera disaccheggio iniziata dagli svizzeri. Secondo il Borla il fenomeno fu presto stron-cato dal vicario ducale, che ordinò di restituire il maltolto non prima di aver lorosomministrato pene esemplari, ma contribuì a disperdere ulteriormente i benidei chivassesi nelle terre vicine. Il Consiglio della Credenza, per difendersi daquell’orda di miserabili e tentare di recuperare qualcosa, richiese l’intervento siadel duca di Savoia (per punire i cittadini di Ivrea) che del marchese di Monfer-rato (dal momento che probabilmente la rapina era avvenuta ad opera di queimonferrini che si erano introdotti in città durante o dopo il saccheggio svizzero);entrambi emanarono lettere contro i colpevoli, costringendoli a restituire quantoera stato sottratto ai chivassesi. Il 3 settembre 1515 il credenziere Paganino dePlatis ritornava da Torino con le lettere ducali “…compulsorias contra illos de Ippore-gium et districtu ut aliorum locorum qui emerunt de merchancijs et rebus hominum Clavaxij

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Già nel tracciato originario della linea Torino–Novara compariva la stazionedi Chivasso e ne prevedeva altre, come si è visto, a Cigliano, Borgo d’Ale, San-thià, S. Germano e Vercelli.

La concreta possibilità di collegamento tra Ivrea e una stazione ancora dadefinirsi sulla Torino–Novara, stimola la creazione di un “Comitato stabilitosi adIvrea onde promuovere il concorso all’apertura della strada ferrata da Torino a Novara”; taleComitato, inoltra una richiesta alla sede della Compagnia della Torino–Novarauna richiesta datata 9 marzo 1852, esattamente nello stesso giorno in cui per-viene a Chivasso, come si è visto poc’anzi, l’informazione riguardante il cambia-mento di tracciato della linea da Cigliano a Saluggia, con la seguente proposta:considerato che nel progetto della costruenda linea Torino–Novara passante perChivasso, Cigliano, Borgo d’Ale, Santhià, S. Germano e Vercelli, è dubbio se at-traversare la Dora a Saluggia oppure in un punto fra Rondissone e Mazzè, il Co-mitato eporediese propone al Parlamento Nazionale due osservazioni:

1. “Quale sia la linea che presenti maggior economia”;2. “Quale quella che attraversi un centro di popolazione atto a renderla piùproficua”.

Il Comitato ritiene che sia da preferirsi il passaggio del fiume a Mazzè per unaserie di validi e comprovati motivi, derivanti dalla miglior natura geologica del ter-ritorio e “dal minor numero di opere d’arte a costruirsi”, nonché una differenzatrascurabile di lunghezza del tracciato. Il ponte sulla Dora a Mazzè sarebbe diminor costo, perché più corto e meno abbisognevole di manutenzione in quantopoggerebbe su argini solidissimi senza necessità di rinforzi.

Inoltre, la scelta di Borgo d’Ale “già invariabilmente determinato pel passag-gio della strada ferrata, trovandosi precisamente sulla linea di Mazzè”, abbrevie-rebbe il percorso che non attraverso Saluggia, che sarebbe anche più costoso,considerando che i terreni in quella zona sono ricchi di canali irrigui.

Innegabili poi i vantaggi commerciali per il Canavese e la Val d’Aosta con ilpassaggio da Mazzè, visto anche il gran numero di popolazione del territorio.

Passando per Saluggia, invece si privilegerebbe il Monferrato, però moltomeno popoloso.

“La provincia d’Ivrea e quella d’Aosta per migliorare la condizione dei loro

dalla Regia Intendenza Generale della divisione amministrativa di Ivrea, datata Ivrea 8 aprile 1852, afirma Santi, preso atto che il percorso della Torino-Novara è stato modificato a favore dei centri di Sa-luggia – Livorno – Santhià, anziché attraverso Cigliano e Borgo d’Ale come previsto nel progetto origi-nario, spiega che i nove km a carico della Società della Torino-Novara vincolano l’inizio della linea aChivasso: ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 36, fasc. 3.

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ad restitutionem eas mediantis permissij exbursatum…” 89; dello stesso tenore erano lelettere marchionali che furono presentate dopo quelle ducali e al Consiglio nonrestava che nominare gli uomini che sarebbero dovuto andare a Ivrea e nel Mon-ferrato per fare valere le ragioni della comunità chivassese: “…eligimus nobilis Ja-cobini Ballioti qui vadat Ipporegium et ad alia loca oportuna…et Johanetus Collam cum litterismarchionalibus…” 90. La delicata questione si sarebbe protratta, in interminabilidiscussioni e innumerevoli discordie tra le comunità, tanto a lungo che il 24 set-tembre 1515, il Consiglio, forse per timore di non riuscire a spuntare le sue ra-gioni, si chiedeva se non fosse il caso di ottenere una bolla papale “…contradetinentes bona exportata per Elvetios aut per alias personas…” 91 e, successivamente, il3 di novembre ordinava al tesoriere Francesco Planta di procedere al pagamentodelle autorizzazioni necessarie “Ordina quam dictis tesauraris exburset permessa pro ob-tinendo conquestum papale contra detinentis bona rapta in excessu facto per Elvetios…” 92.

Al di là del tremendo impatto che la perdita di tante vite umane aveva infertoalla popolazione, sia sul piano psicologico che su quello puramente demografico(come è stato ricordato precedentemente e confermato dalle fonti, i morti eranoper la maggior parte maschi adulti e capi di casa), i danni materiali conseguential saccheggio furono incalcolabili. Il bottino sottratto dagli svizzeri, soprattuttonelle botteghe dei ricchi mercanti chivassesi, era ingente ma i tentativi di recupe-rarlo almeno in parte risultarono talmente difficili che, due mesi dopo la propo-sta di richiedere l’aiuto papale, il 24 novembre, nel Consiglio si discuteva ancorasui tempi e i modi per rientrare in possesso della “…Bona mobilia hominum Clava-xij furto subtracta per Elvetios et dismissa in civitate Ipporegium…” 93.

La furia degli svizzeri non aveva risparmiato nemmeno il castello dove eranostati rinchiusi i loro compagni catturati alla locanda della Cerva; nonostante que-sto fosse fortificato a sufficienza per reggere ad un assalto, l’ordine dato alla guar-nigione dal castellano di non apprestarsi alla sua difesa e di ritirarsi nella torremaggiore (ovvero il maschio) aveva lasciato mano libera ai fanti elvetici. Questi,dopo aver liberato i prigionieri che, probabilmente, erano stati incatenati in unadelle torri del recinto esterno del castello, si dedicarono al saccheggio di tuttoquanto ci poteva essere di asportabile come sembrerebbe confermare un passodelle Reformazioni in cui si accenna chiaramente ai “…Bona mobilia exsistentis in

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89 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 5, “Die lune tercia septembris”.90 Ibidem, f. 5.91 Ibidem, f. 6, “Die lune XXIIIJ septembris”.92 Ibidem, f. 9, “Die sabati tertia novembris”.93 Ibidem, f. 12, “Die XXIIIJ novembris”.

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reni per la costruzione della Torino-Novara contro l’impresa che non rispetta nél’importo delle somme pattuite, né gli interessi promessi 17.

A tale proposito, si cita una carta manoscritta non datata in cui si legge che“martedì 17 maggio 1853 il sig. Woodhouse si troverà in città <Chivasso> alleore 9 del mattino e alle ore 3 vespertine per pagare il prezzo dei terreni ceduti perla ferrovia da Torino a Novara” per cui si invitano i proprietari in elenco a pre-senziare con “i titoli in forza dei quali sono proprietari” 18.

Occorre anche ricordare che in questi stessi anni si pensa seriamente alla co-struzione di un ponte in muratura sul Po, per rendere più efficienti e veloci i col-legamenti stradali tra Chivasso e i Comuni della collina, in previsione dei grandibenefici economici apportati dalla ferrovia 19.

Collegamento con Ivrea attraverso Cigliano e Borgo d’Ale

Il Woodhouse tuttavia, attraverso la diramazione per Ivrea non trascura l’ef-fettiva fattibilità di un collegamento ferroviario per servire ugualmente i due cen-tri di Cigliano e Borgo d’Ale, nonostante la variazione di percorsoSaluggia–Livorno, ponendo però alcune condizioni:- che la Compagnia della ferrovia Torino – Novara costruisca a proprie spese iprimi 9 km della diramazione stessa, che, partendo da un qualche punto dellalinea, da individuarsi a Chivasso o tra Chivasso e Livorno, si diriga appunto versoIvrea;- che tale linea sia approvata dal Governo;- che sia regolarmente istituita una Compagnia con i mezzi di iniziarla e termi-narla, salvo i 9 km a carico della Compagnia ferroviaria di Novara fino alla cittàd’Ivrea;- che la Compagnia di Novara abbia parte nella direzione e amministrazione nellaferrovia per Ivrea e partecipi ai benefici di questa linea in proporzione al capitaleimpiegato nella costruzione dei 9 km 20.17 ASCCh.:Verbali di Consiglio anno 1855, mazzo 727, fasc. 1, seduta del 14. 06.1855, delibera n. 15, f. 35 r.18 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 2: Scritture riguardanti la ferrovia Torino-Novara.19 ASCCh.:Verbali di Consiglio anno 1854, mazzo 727, fasc. 40, seduta del 17.06.1854, delibera n. 50, ff. 131r. – 132 v.: delibera per la costruzione di un ponte in muratura sul fiume Po, stanziate £. 130.000 per ese-guire il progetto del sig. Felice Barbero; ASCCh.: Verbali di Consiglio 1855-1856, mazzo 727, fasc. 41, se-duta del 31.05.1855, delibera n. 6, f. 12 r. – 16 v.; delibera n. 7, f. 17 r – 19 v.; seduta del 21.09.1855,delibera n. 29, f. 71 r., ss.20 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/3. La circolare a stampa n. 1 emessa

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castro fuerunt fere omnia exportata…” 94. La sottrazione dei beni dal castello, anchese non è certo che possa essere addebitata interamente agli svizzeri, fu accertataquando alla città fu concessa la custodia delle claves castri a seguito della codar-dia del castellano e comprovata da un inventario che il clavario e i consoli dellacittà fecero subito dopo 95; come ricordato dal Borla (puntualmente confermatodai documenti storici), dopo pochi mesi, nel dicembre di quell’anno, la cittàavrebbero rimesso la custodia delle chiavi del castello nelle mani del clavario du-cale, Giovanni Francesco Rapaluti 96.

Abbiamo già detto che il timore delle incursioni notturne all’interno dell’abi-tato, dopo la terribile notte passata dai superstiti a difendere le proprie case, fuuno dei primi problemi che il Consiglio della Credenza dovette affrontare all’in-domani del massacro; il 28 agosto 1515, constatando che le porte e i ponti di ac-cesso alla città erano completamente distrutti, si sollecitava l’intervento diAntonio Massazia, manutentore preposto alla loro ricostruzione: “…porte loci Cla-vaxij et ponti sunt fracte et fracti itaque non potest claudi locus clavaxij…solicitet Anthoniuseius freris qui habet manutenzione pontium…” 97. Chivasso era di fatto aperta a qual-siasi aggressione da parte delle molte bande di malfattori che vagavano nelle cam-pagne, alimentate dai soldati sbandati delle varie armate e la paura per la violenzasubita non poteva fare dormire sonni tranquilli ai sopravvissuti. Ancora il 17 set-tembre 1515 il Consiglio incaricava Gaspardo de Clerico e Pietro Pelloia 98 difare chiudere le molte brecce ancora presenti nelle mura causate dai cannoni sviz-zeri dalle quali potevano entrare in città i malintenzionati: “…menia loci Clavaxijsunt fracta in pluribus locum per elvetios ita quod facilliter ingredo possent multe persone maleque faceret possent multa malo in loco ipso…” 99. Nella stessa seduta fu ordinato di pre-

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94 Ibidem, f. 6, “Die lune XXIIIJ septembris”.95 Ibidem, f. 6, “Die lune XXIIIJ septembris”. In quel consiglio, infatti, il nobile Paganino Platis esibì le let-tere ducali inviate da Torino il giorno prima che autorizzavano il clavario e i consoli chivassesi “ de recteroteneant Claves Castri”. Gli stessi, dopo avere constatato la sparizione dei beni in esso contenuti, informa-rono il Consiglio che, prima di accettare la custodia delle chiavi del castello, decise di fare un inventariodi ciò che era rimasto al suo interno per poi finalmente “Quo inventario facto offerunt se paratos ipsis litteris obe-dire…”. Di questo inventario nei Conti delle Castellanie non c’è traccia in quanto risultano mancanti pro-prio gli anni 1514-1515. AST, Art 28, Inv. 777, Camerale Piemonte. Conti delle Castellanie, p. 157.96 Ibidem, f. 15, “Die XX dicembris”. “…Johannis Franciscus Rapaluti Clavarius Clavaxij pro illustris domino no-stro sabaudorum duci…presentate littere ducales pro custodia Castri Clavaxij…” “…Et egregius sindicus…offerens co-munitatis paratam remittes Claves…”.97 Ibidem, f. 4, “Die XXVIIJ augusti”.98 Si tratta del giovane Pietro Pelloia che, più tardi, sarebbe diventato ingegnere militare e del quale esi-stono, custoditi nell’Archivio di stato di Torino, diversi disegni di abile fattura. La figura di questo sco-nosciuto personaggio chivassese sarà oggetto di un prossimo studio.99 Ibidem, f. 5, “Die XVIJ septembris”.

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Page 95: STUDI CHIVASSESI:Layout 1 22/03/2010 11.46 Pagina … -nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poi nel mese di settembre, il convegno tenutosi a

1852 sempre al cav. Carbonazzi, con cui l’ingegnere inglese dichiara di aderirealla deliberazione del Conseil del 28 febbraio 1852 e cioè di far transitare la lineadirettamente da Saluggia a Santhià, passando in prossimità di Livorno e Bianzè.

Con lettera datata Torino 9 marzo 1852, a firma Pietro Bosso, inviata dalComitato centrale promotore della strada ferrata Torino-Vercelli-Novara al sin-daco di Chivasso, si informa il primo cittadino chivassese della decisione di re-visione del tracciato che esclude il passaggio della linea da Cigliano e Borgo d’Alea favore di Saluggia, Livorno e Bianzè 14.

L’archivio comunale di Chivasso non ha conservato memorie relative alle va-rianti di tracciato della ferrovia Torino-Novara, infatti la documentazione più co-spicua, pur nella sua esiguità, è concentrata nell’anno 1856 e riguarda la trattaChivasso-Ivrea nei mesi che precedono l’approvazione da parte del Parlamentodel progetto di legge del 23 maggio 1856 che rende esecutiva la costruzione ditale linea.

Nella documentazione archivistica chivassese concernente la Torino-Novaranel periodo 1851-1855, essenzialmente verbali del Consiglio, oltre alle già citatecarte emanate dal Comitato promotore, emergono dati riguardanti, ad esempio,l’inserimento nel tessuto urbano sia della linea, sia della stazione, infatti la co-struzione dello scalo della ferrovia Torino-Novara nelle vicinanze della stradaper Ivrea condiziona la viabilità chivassese; perciò si avverte la necessità di “aprirealtrove l’accesso dall’abitato perché specialmente dal centro di esso si possa averquell’incremento di commercio che non s’ottiene senza le comunicazioni alloscalo”. Segue descrizione delle nuove strade, che sembrano essere le attuali viaItalia e via Siccardi 15.

Pochi mesi dopo, con delibera n. 33 del Consiglio comunale del 5 agosto1852, si precisa al Ministero dei LL.PP. che la stazione ferroviaria sia costruita nonlontano dal centro cittadino, “e nella maggior possibile prossimità dell’abitato”,secondo la volontà di molti cittadini, che sottoscrivono il documento, per favo-rire il commercio e le attività ad esso collegate. In allegato al verbale di Consiglio,una pregevolissima mappa topografica di Chivasso dell’epoca 16.

Non mancano problemi relativi a proteste di particolari espropriati dei ter-

14 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 3: Scritture riguardanti la ferrovia Chivasso-Aosta, doc.del 09.03.1852.15 ASCCh.:Verbali di Consiglio anno 1854, mazzo 727, fasc. 40, seduta del 12.06.1854, delibera n. 45, ff. 121r.-122 v.16 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/2, n. 3561; la mappa, disegnata dalmisuratore Giuseppe Actis, è datata Chivasso 9 agosto 1852.

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disporre guardie notturne alle porte di san Francesco e della Ruta e sul campa-nile: “…Item ordinaverunt quam faciant custodiam de nocte supra campanile…” 100.

Erano tempi cupi e al di fuori della relativa sicurezza costituita da una cintamuraria la gente viveva nella costante paura di scorrerie e rapine; per i viaggia-tori che utilizzavano le poche strade agibili il rischio di venire assaliti da banditie malfattori era all’ordine del giorno. La strada che da Chivasso portava a Vercelliper lunghi tratti attraversava territori desolati, costellati di brughiere e boschi, edoveva essere un ricettacolo di malviventi ben agguerriti se ad un certo punto,nel novembre del 1515, il governatore di Vercelli, per debellarli, richiese dalle co-munità interessate diversi uomini armati e alla sola Chivasso “…ducentum hominespro captione dictorum bannitorum et malinolorum…”; il Consiglio rispose alla letterache non era possibile per la città allestire una simile spedizione, a causa dellagrande strage di uomini e la razzia di tutte le armi fatta dagli svizzeri. Inoltre fudeciso di mandare Bernardino dell’Isola a Torino per precisare presso la cameraducale “…de impossibilitate propter defonctus hominum occissorum in Clavaxio per Elvetioset quia nulla sunt arma ex quo fuerunt exportata per dictos Elvetios…” 101.

La triste conta dei morti e la loro frettolosa sepoltura era già stata fatta datempo ma nessun registro del tempo riportò il loro numero; data poi la man-canza dei libri parrocchiali fino all’ultimo quarto del XVI secolo, non abbiamoquindi alcuna stima credibile sul numero degli uccisi e, viste anche le notevoli di-scordanze dei testi, possiamo solo avanzare delle ipotesi. I 3.000 uomini, donnee bambini uccisi secondo il Florange sembrano troppi per una comunità pur po-polosa come Chivasso e il conto appare “caricato” apposta delle donne e deibambini per circondare gli svizzeri di un’aura ancora più brutale di quella già bennota ai contemporanei; il Borla non fa che riprendere la cifra data dal Giovio di1.400 “estinti sul campo” con la precisazione che si trattava in gran parte di com-battenti, capeggiati da quel Fabiano Bianchetti ucciso anche lui nel massacro; ilpavese Grumello parla invece chiaramente di 800 uomini. La cronaca bernesedal canto suo ammette che furono “trafitti brutalmente” 400 o 500 uomini e l’ag-ghiacciante resoconto dello Schwinkhart precisa che gli uccisi, in una caccia senzamisericordia, erano tutti uomini; questa, quindi, sembra la cifra più verosimileanche se , ovviamente, non possiamo essere certi né che gli svizzeri abbiano “gra-ziato” le donne e i bambini, né che possano avere avuto il tempo di contare imorti; nei loro rapporti dal campo sicuramente non esagerarono il pesante conto

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100 Ibidem, f. 5.101 Ibidem, f. 10. La richiesta del governatore di Vercelli e la risposta del consiglio chivassese sono con-tenute nel verbale del consiglio di sabato 3 novembre 1515.

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la loro città da effettuarsi nel punto più favorevole della linea matrice.Si può quindi dire affermare che, grossomodo, le due linee nascano contem-

poraneamente.

La linea Torino-Novara

Infatti, in documento a stampa: “Strada ferrata da Torino per Vercelli a Novara”del 22 dicembre 1851, che tratta della costituenda Società anonima della stradaferrata da Torino a Novara e dei capitali stanziati per la costruzione della mede-sima, si legge sul retro una postilla manoscritta con cui i sottoscrittori di Ivrea siimpegnano all’acquisto delle azioni della ferrovia Torino–Novara a condizioneche l’attraversamento della Dora non avvenga a Saluggia, bensì a Mazzé, affin-ché “le due provincie del Canavese e d’Aosta” siano più vicine alla ferrovia 10.

Questo perché, nel primitivo progetto della tratta Torino – Novara la linea,dopo Chivasso avrebbe puntato in direzione di Cigliano (da cui sarebbe dovutapartire la diramazione per Ivrea) e Borgo d’Ale, con stazioni nei due centri e dilì avrebbe proseguito verso Santhià 11.

Il mese successivo, il “Comitato locale d’Ivrea” con rinnovata istanza del 5gennaio 1852 indirizzata al Comitato centrale promotore della strada ferrata daTorino per Vercelli e Novara, ribadisce che “il passaggio della Dora sia portatoa Mazzè e non a Saluggia”, nel qual caso, i sottoscrittori di Ivrea subordinerannol’acquisto delle azioni al passaggio della via ferrata per Cigliano e Borgo d’Ale 12.

Evidentemente, il progetto era in corso di revisione, poiché dalla lettera diWoodhouse del 27 febbraio 1852 al cav. Carbonazzi, Ispettore del Genio Civile,si legge che Woodhouse propone il passaggio diretto della linea da Saluggia-Li-vorno verso Santhià, in ossequio, forse, alla richiesta dei Chivassesi del 1851 (nonè precisato nel documento), con l’esclusione quindi di Borgo d’Ale e Cigliano, ab-breviando così la distanza complessiva di 3.460 m 13, con ovvia diminuzione dispesa.

L’idea di accorciare il percorso con la conseguente riduzione di costi vieneribadita ancora due giorni dopo con altra lettera di Woodhouse del 29 febbraio10 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart.14/1, anno 1852: “Strada ferrata da Torinoper Vercelli a Novara”, 22 dicembre 1851.11 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 60.12 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/A.13 ASTo, Sezioni riunite: Strade ferrate, 2a serie, mazzo 31/B, cart. 14/3.

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del loro misfatto. La Credenza però dovette risolvere in pochi giorni (si era inagosto) la gravosa incombenza di fare seppellire i cadaveri probabilmente in fossecomuni all’interno della città, in quanto il piccolo cimitero dietro alla collegiatadi Santa Maria non era sufficiente ad accoglierli tutti e nelle chiese avevano ac-cesso solo i nobili e i borghesi facoltosi; il primo settembre 1515, infatti, il Con-siglio dava ordine di rimborsare al console della città Bortolino de Vercellis“…Scuta duo nova pro ipsum exbursata per solvendi sepultoribus qui sepulverunt corporamortua in Clavaxio per Elvetios” 102.

La notizia del massacro degli abitanti di Chivasso si diffuse velocementeanche oltre i confini del Piemonte, grazie alle numerose lettere inviate a Firenze,Venezia e Roma dai vari corrispondenti residenti nel ducato o al seguito dell’ar-mata elvetica che, non bisogna dimenticarlo, marciava seguita da capitani mila-nesi e ambasciatori papali e imperiali. Gli ambasciatori veneziani Dandolo ePasqualigo scrissero il 20 agosto al doge da Torino: “…Dagli svizzeri si sente direche ieri sera si sono spostati verso Chivasso, territorio del Duca di Savoia ed avendogli negatoloro l’accesso in città, vi sono entrati con la forza senza risparmiare donne e bambini ed ucci-dendo più di 600 persone ed incendiando il luogo; una parte riuscì a fuggire…” 103.

La ferocia degli svizzeri seminò il terrore tra le popolazioni piemontesi alpunto che gli stessi autori di quella terribile rappresaglia, nelle loro lettere, am-misero che il saccheggio di Chivasso facilitò loro l’ingresso a Ivrea e a Vercelli,in quanto gli abitanti di queste due città, pur di non subire la stessa sorte dei chi-vassesi, aprirono le porte e lasciarono libero transito all’armata elvetica; comedire che, dopo tante difficoltà di rifornimenti, grazie all’uso della forza ora pote-vano disporre come volevano delle comunità attraversate, ripulendole di vetto-vaglie e ricchezze.

Come abbiamo visto in precedenza, il Borla scrisse che quando il re di Fran-cia venne a sapere del massacro, si dimostrò rammaricato e disponibile a versareun indennizzo alla sfortunata città; la Pubblica Credenza allora richiese il per-messo al duca di Savoia di poter andare a parlare al sovrano francese ma il ducaspecificò che avrebbero dovuto inoltrare la supplica a nome dei particolari e nondel pubblico, forse perché intendeva egli stesso ricevere un congruo risarcimentodei danni per il suo stato. Francesco I però non intendeva rimborsare ogni sin-golo cittadino chivassese e quindi la cosa, nel protrarsi delle dispendiose tratta-tive di pace con gli svizzeri, fu dimenticata. Nelle Reformazioni gli sforzi fatti dalConsiglio per ottenere quel rimborso compaiono più volte, a cominciare da quel

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102 Ibidem, f. 4.103 E. USTERI, Marignano, cit., pp. 327-328 e nota 38.

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inscindibile”, per la partecipazione alle quote azionarie, che la linea dopo Chi-vasso prosegua per Saluggia e Livorno “di conformità al pensiero che anima que-sto Consiglio comunale” e non verso Mazzè, precisando ulteriormente che isottoscrittori si obbligano “rispettivamente di pagare nei modi e termini portatidalle condizioni stabilite dal Comitato centrale di Torino e sotto l’inscindibilecondizione che la via tocchi Chivasso come all’art. 15 (o 19?) dei preliminari trail ministro dei LL.PP. e il sig. Thomas Brassey e progredisca per Saluggia” 6.

Allo stato attuale delle conoscenze, non è dato sapere perché i Chivassesipensino già ad una revisione del tracciato in favore di Saluggia e Livorno, seb-bene, come si vedrà, il progetto originario di quell’anno prevedesse, oltre Chi-vasso, lo sviluppo della ferrovia più a ovest delle due località.

Comunque, con l’avvio degli studi per la costruzione di tale linea, da Ivreapartono immediatamente iniziative per ottenere il collegamento diretto con essa,al fine di poter raggiungere la capitale e il porto di Genova in tempi brevi.

Va ricordato che l’ipotesi di una linea ferroviaria che interessasse Ivrea risa-liva già ad alcuni anni prima, infatti, fin dal 1846, erano stati effettuati studi peruna tratta che da Biella attraverso Ivrea, S. Giorgio e il Canavese raggiungesse To-rino; tuttavia il progetto fu abbandonato per contrasti nella scelta del percorso egli studi non ebbero più seguito a causa del precipitare degli avvenimenti politicilegati alle rivoluzioni del biennio 1848 – 1850 7.

Ivrea aspirava anche ad ottenere un collegamento diretto con la Francia viaAosta e Gran S. Bernardo, in alternativa al costruendo tracciato Torino – Susa –Modane, come riferisce una petizione inviata da Ivrea al Parlamento subalpinonel 1850, 3 giugno rimasta senza esito 8.

In un primo momento, si pensava al raccordo con la Torino-Novara a Ci-gliano, dove effettivamente il progetto originario del Woodhouse prevedeva ilpassaggio della linea; non mancarono, infatti, ipotesi di tracciati fra il capoluogocanavesano e la località vercellese 9.

La costruzione della Torino – Novara riaccende pertanto le speranze degliEporediesi, i quali, come si è appena detto, pensano subito a una diramazione per6 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 2: Ferrovia Torino – Novara, Comitato promotore di Chi-vasso, doc. del 19 dicembre 1851.7 L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., pp. 63-64; A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., pp. 59-60.8 L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., p. 63; A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, cit., p. 59.9 ASCIv., Lavori pubblici, serie III, mazzo 1273, fasc. 1: Promemoria sul progetto di diramazione di untronco di strada ferrata sopra Ivrea dalla linea di strada ferrata progettata dall’ing. Johnson tra Torino e No-vara.

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3 settembre 1515 in cui, dopo avere deciso di portare le lettere ducali a Ivrea enel Monferrato per riavere ciò che era stato rubato, si discusse anche dell’inten-zione del re di Francia di indennizzare in qualche modo non solo quello che erastato fatto dagli svizzeri ma anche quanto avevano, evidentemente, commesso isuoi soldati; il passo è piuttosto oscuro ma lascia trapelare una certa responsabi-lità francese nel saccheggio della città, “…tam pro dampno elvetiorum quam pro dam-pno illato per gallos qui erant in eius comitiva…” 104.

Il duca di Savoia dimostrò ancora una volta di non essere in grado di tute-lare i propri sudditi, la sua debolezza politica e militare, unite all’ambiguità dei suoiatteggiamenti sia verso la Francia, sia verso la Confederazione, li aveva lasciati inbalia dei due contendenti, esponendoli a massacri indiscriminati e a ripetuti sac-cheggi. L’apice del fallimento fu proprio la tragica giornata di Chivasso dove laviolenza scoppiò per la somma di un’incredibile serie di cause che possono es-sere riassunte così: la penosa ritirata dell’esercito svizzero, lacerato al suo interno,che innesca rancore crescente nei confronti dell’alleato duca di Savoia ( che si ri-vela tale solo di nome ma, di fatto, collabora con l’invasore francese ) il quale, or-dinando di chiudere le porte delle città e richiamando truppe francesi, innescanella popolazione la falsa sicurezza di essere al riparo da ogni minaccia ma inducegli svizzeri a sentirsi in un territorio ormai totalmente ostile da dove si può trarresostentamento e bottino solo con l’uso della forza. Il duca, sottovalutando l’irache covava in campo elvetico e sopravvalutando la stima e l’amicizia del nipoteFrancesco I, aveva probabilmente immaginato di diventare l’ago della bilancia inun gioco politico ben più grande delle sue forze; la convinzione di essere statolui l’artefice degli intendimenti di pace tra francesi e svizzeri ( quando da tempoil re di Francia lavorava nel cuore stesso della confederazione, corrodendone conil denaro i delicati equilibri sociali ), lo portò forse a credere in un rapido evol-versi degli eventi e lo indusse a ordinare di non dare appoggio agli svizzeri in ri-tirata convinto che questi, tallonati dalla potente armata francese e desiderosi diconcludere la pace, avrebbero lasciato ben presto il Piemonte con la coda tra legambe.

Il massacro di Chivasso interruppe l’illusione che bastasse chiudere le portedelle città per tenere lontani quei feroci mercenari e rivelò, ancora una volta,quanto fossero pericolosi e imprevedibili i loro movimenti. Al duca non rimasealtro da fare che sfruttare la faccenda per ottenere qualcosa dalle trattative dipace in corso; nelle istruzioni fatte pervenire al suo araldo che, a Vercelli, avrebbedovuto conferire con gli svizzeri, tentò goffamente di fare buon viso a cattivo

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104 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 5.

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tale all’importante scalo marittimo ligure, ma si creavano anche le premesse di unasse ferroviario che dalla Liguria attraverso il Piemonte, passando dalla Svizzera,conducesse all’Europa centrale, attraverso la valle del Rodano.

A tale scopo, era stata prevista una diramazione che da Alessandria tendevaa Novara e di qui, attraverso Oleggio, arrivava poi ad Arona, da cui, per il mo-mento, navigando sul Lago Maggiore per mezzo di battelli a vapore, giungeva inSvizzera; infatti, occorrerà attendere l’inizio del XX sec. per il traforo del Sem-pione e l’attivazione del collegamento da Domodossola a Iselle 3.

Nel contempo, però, si avvertiva la necessità di una linea perpendicolare cheassicurasse il collegamento tra il sud est della Francia e il confine lombardo; per-tanto, l’ingegnere britannico Natlam Giles chiese ed ottenne dal Governo sardonel 1851 l’autorizzazione a progettare una ferrovia che da Torino, percorrendola sponda sinistra del Po, pervenisse a Novara.

Il Giles affidò gli studi di progettazione all’ing. Robert Johnson il quale, pe-raltro, assieme al collega Henfrey, stava già lavorando alla Torino–Susa: pertanto,il ministro dei LL. PP. Pietro Paleocapa (fig. 1) si accordò il 27 settembre del1851 con l’imprenditore Thomas Brassey affinché esaminasse la fattibilità del-l’opera.

Il Brassey assegnò allora tale compito all’ing. Woodhouse, che redasse undettagliato progetto nel rispetto della sicurezza e dell’economia 4.

Il 20 novembre 1851, una lettera del Comitato centrale promotore della strada fer-rata da Torino a Vercelli a Novara, invitava il sindaco di Chivasso ad attivarsi per isti-tuire “pure in codesta città un comitato come quelli stabiliti a Vercelli e Novaraal fine di porsi in relazione con questo centrale e promuovere con tutti i mezziopportuni la formazione della società che dia esecuzione a quel progetto”, dalmomento che Chivasso, “e per la sua posizione e per la sua importanza risentiràgrandissimi vantaggi dallo stabilimento di quella linea” 5.

Un mese dopo, si costituisce quindi anche a Chivasso il Comitato promotorecon sede locale, come dimostrano lo statuto e alcune carte conservate in archi-vio comunale.

In un documento manoscritto datato 19 dicembre 1851, suddiviso in trefogli, si legge che tale Comitato, in seguito agli accordi tra il ministro dei LL. PP.e il sig. Thomas Brassey stipulati il 27 settembre 1851, pone come “condizione3 F. TAJANI, Storia delle ferrovie italiane, cit., p. 61; L. BALLATORE, Storia delle ferrovie in Piemonte, cit., p.139 ss.4 L. BALLATORE, Storia delle ferrovie, cit., pp. 44-45.5 ASCCh., sez. II, Ferrovie e trasporti, mazzo 888, fasc. 2: Ferrovia Torino – Novara.

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gioco, cambiando rotta ancora una volta. Nella memoria, infatti, si precisava dirispondere ai confederati che essi conoscevano bene i grandi patimenti soppor-tati dalle sue terre a causa loro ma, nonostante questo, egli aveva ordinato ai suoisudditi di onorarli e trattarli bene e se qualcuno non aveva rispettato i suoi vo-leri ciò era successo a sua insaputa poiché egli intendeva continuare ad essereloro amico ed alleato. Per quanto riguardava l’affare di Chivasso, l’araldo dovevaricordare che non erano stati gli abitanti di quella città ad impedire l’ingresso ead opporre resistenza ma i 300-400 monferrini ( di cui si è parlato precedente-mente ) che vi si erano introdotti contro il volere dei chivassesi per bene; il dannoera stato così grande, in beni rapinati e persone uccise, senza contare l’incendiodel castello (che non compare nelle cronache) che la provincia risultava scon-volta e che egli ( il duca ) non avrebbe potuto più trarne entrate per almeno dueanni. Alla luce di quanto esposto e in considerazione dei danni subiti e deglisforzi fatti per contribuire alle trattative di pace, l’araldo avrebbe dovuto chiedereagli svizzeri la remissione della rimanenza sui pagamenti da loro impostigli 105;era evidente che il duca di Savoia voleva essere sollevato non tanto dalla pesantealleanza stipulata nel 1512 e dai tributi di guerra ma, soprattutto, dal pagamentodel vergognoso taglieggiamento estortogli alcuni anni prima con le false dona-zioni inventate dal Dufour.

Il re di Francia però, ben poco interessato alle rapine svizzere ai danni dellozio, fece sapere al duca, tramite il cugino Renato detto il Bastardo di Savoia, dinon insistere nelle richieste di indennizzo perché la pace, conclusa definitiva-mente a Gallarate l’8 settembre del 1515, era una faccenda dalla quale il duca chenon aveva fatto molto, secondo lui, per aiutarlo nell’impresa, poteva sperare diricavare solo vantaggi, liberandosi anche della sottomissione nella quale lo tene-vano gli svizzeri 106.

Ma il duca di Savoia il suo tornaconto non lo ebbe. Dovette continuare a pa-gare gli svizzeri fino all’ultima rata dello spregevole tributo mentre Francia e Im-pero si spartivano l’Italia; il Piemonte rientrò sempre più nella sfera di influenzadi Francesco I fino a quando, nonostante l’alleanza del duca con l’imperatoreper tentare di salvare il suo stato, le armate francesi lo avrebbero, nel 1535, de-finitivamente occupato. Ma questa è un’altra storia.

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105 E. USTERI, Marignano, cit., p. 328, nota 39.106 Ibidem, p. 329, nota 44. Istruzioni del re di Francia per Renato, Bastardo di Savoia, che doveva trat-tare con gli svizzeri la pace e l’alleanza.

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vistiche, in particolare il fondo Strade ferrate, conservato in Archivio di Stato di To-rino, Sezioni riunite, riguardante sia la linea Torino – Novara, sia la Chivasso –Ivrea.

L’archivio storico comunale di Ivrea conserva importanti memorie relativealla nascita della linea, concentrate però su Ivrea e dintorni e, soprattutto, sullacostruzione della stazione.

L’archivio storico comunale di Chivasso conserva anch’esso alcune scrittureriguardanti la linea ferroviaria in questione, legate all’aspetto burocratico del trac-ciato della linea.

Tra le fonti giornalistiche, occorre anche menzionare il giornale locale epo-rediese “La Dora Baltea” che dedica un lungo ed interessante articolo all’inau-gurazione della linea nel n° 45 dell’11 novembre 1858.

Si ricorda infine il convegno, per celebrare il 150° anniversario di aperturadella linea, tenutosi ad Ivrea, Sala S. Marta, il 15 novembre 2008, cui hanno par-tecipato numerosi relatori che, con i loro interventi, hanno ricostruito global-mente storia e vicende attraverso il tempo della ferrovia in esame; nel medesimolocale è stata anche allestita un’interessante mostra fotografica con immaginid’epoca 2.

Genesi della linea

Come si sa, il decollo industriale del Piemonte avvenne dopo la Ia Guerrad’Indipendenza, con la costruzione di un’articolata rete ferroviaria che, nell’arcodi circa un decennio, pose il Regno di Sardegna all’avanguardia tra gli stati italianiin tal senso.

Le ferrovie, infatti, liberarono il Piemonte dall’isolamento internazionale e lomisero a contatto diretto con gli stati europei più progrediti.

Con la realizzazione della linea Torino – Genova, prima importante linea delregno sabaudo, inaugurata il 20 febbraio 1854, non solo si congiungeva la capi-2 Al convegno sono intervenuti i seguenti relatori: F. LUCIA, Le ferrovie nello Stato sabaudo; F. SPEGIS, Lagenesi della tratta Chivasso-Ivrea; A. ACTIS CAPORALE, Vicende storiche del primo tronco Chivasso-Caluso; E.CHAMPAGNE, A. PEROTTI, Il vapore in Canavese, proiezione in formato DVD; G.BERATTINO, Ivreapunto d’arrivo del secondo tronco Chivasso-Ivrea; la scelta del luogo della stazione e le fasi della costruzione; le diverse rea-lizzazioni del periodo 1858-1891; P. BAZZARO, L’evoluzione urbanistica d’Ivrea nel XIX sec. in relazione all’ar-rivo della ferrovia e al successivo proseguimento verso Aosta; M. BOFFA TARLATTA, “Immagini della ferroviaChivasso-Ivrea”, mostra fotografica della linea, da cui sono state tratte le immagini della stazione di Chi-vasso da corredo all’articolo.

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La fine dei sogni di potenza elvetici

Il 22 agosto 1515, quando gli svizzeri ripresero la marcia da Ivrea nuova-mente verso la Lombardia, ci fu una prima divisione dell’esercito e mentre ilgrosso puntava a sud verso Vercelli per incontrare gli emissari del re di Francia,una piccola parte, composta dai cantoni che rifiutavano un accordo con i fran-cesi, si diresse verso Milano. Il 28 agosto, a Vercelli, venne stipulato un primo ac-cordo che prevedeva il passaggio alla Francia del ducato di Milano, delle città diAsti e Genova e dei territori di Domodossola, Locarno e Lugano in cambio diuna somma di denaro pari a 1.000.000 di corone e un’alleanza militare tra la Con-federazione e i francesi. Una clausola a parte riguardava il legittimo proprietariodi Milano, Massimiliano Sforza, che, in cambio della rinuncia al suo florido du-cato, avrebbe ottenuto un vitalizio, il titolo di duca di Nemours e la residenza inFrancia.

Gli svizzeri rinunciavano così, per denaro, ai loro interessi sulla Lombardiaper i quali era stato versato tanto sangue svendendo addirittura anche i loro pos-sedimenti al di quà delle Alpi, strategicamente vitali per la Confederazione.

In patria, intanto, nonostante questi maneggi a scopo di lucro fossero cono-sciuti da tempo ed avvallati dalla classe dirigente elvetica, non si cessava di armareeserciti da inviare in Italia, in chiaro contrasto con quanto stava avvenendo sulcampo; un terzo corpo di spedizione, infatti, si era messo in marcia il 25 agostoverso sud. Le truppe, arrivate a Domodossola, incontrarono i contingenti deicantoni di Berna, Friburgo, Soletta e Biel ( circa 10.000 uomini ) che avevano la-sciato Vercelli dopo i primi accordi di pace e, decisi a non combattere più, sta-vano rientrando in patria carichi di bottino; il terzo corpo di spedizione, a quelpunto incerto sul da farsi, proseguì la marcia verso sud con lentezza e solo il 6di settembre giunse a Monza. Due giorni dopo, a Gallarate, fu ratificato il trat-tato di pace con la Francia e il cardinale Schiner, feroce oppositore dei francesi,dovette usare tutta la sua eloquenza per convincere almeno una parte dell’armataa non accettare quella che per lui ( e per molti altri ) altro non era che una resaumiliante e spregevole che infrangeva, per denaro, tutti i sogni da lui perseguiticon tenacia di una potenza elvetica capace di opporsi alla Francia. Ma il vento inItalia stava cambiando e gli alleati abbandonavano gli svizzeri alla loro stessa avi-dità di denaro; a cominciare dal pontefice Leone X che, a differenza del suo pre-decessore Giulio II, intendeva riconciliarsi con i vecchi nemici di un tempo.

Il re di Francia, intanto, si stava avvicinando a Milano e il 10 settembre si ac-campava a Marignano in attesa dell’esercito veneziano con il quale intendeva in-

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Fabrizio Spegis

LA GENESI DELLA FERROVIACHIVASSO-IVREA E LA SCELTADEL NODO DI CHIVASSO

Premessa relativa alle fonti bibliografico – archivistiche

n merito alla linea ferroviaria Chivasso – Ivrea esistono alcune pubblicazionia stampa che ricostruiscono la sua storia in poche pagine; tra queste, va ri-

cordato il testo di A. Bertolotti, Gite nel Canavese, forse il primo autore che ri-corda l’apertura della tratta.

Altri tre testi, G.E. Chelli, Le nostre ferrovie. Origine e costruzione delle reti ferrovia-rie italiane; F. Tajani, Storia delle ferrovie italiane; I. Briano, Storia delle ferrovie in Italia,riferiscono dati noti ed evidenziano rapporti di reciproca dipendenza nella tra-smissione delle informazioni.

L’opera di P. Muscolino, Il Piemonte ferroviario che più ricordo, ricostruisce in sin-tesi la storia della linea Chivasso–Ivrea-Aosta e si sofferma in particolare su ca-ratteriste tecniche riguardanti treni e armamento ferroviario.

Infine, dati di taglio maggiormente storico-archivistico, corredati da aned-doti e curiosità, relativi anche alla linea in esame, si trovano in: L. Ballatore, F.Masi, Torino Porta Nuova, e L. Ballatore, Storia delle ferrovie in Piemonte. Quest’ultimotesto, in particolare anche per la Chivasso-Ivrea, pur nella sua sinteticità, costi-tuisce una fonte di informazioni precise e documentate 1.

Interessantissime per la ricchezza di dati storici e tecnici sono le fonti archi-

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Abbreviazioni:ASCCh: Archivio storico comunale di Chivasso; ASCIv.: Archivio storico comunale d’Ivrea; ASTo: Ar-chivio di Stato di Torino.

1 A. BERTOLOTTI, Gite nel Canavese, Ivrea 1872, pp. 59-72; G.E. CHELLI, Le nostre ferrovie. Origine e co-struzione delle reti ferroviarie italiane, Milano 1889; F. TAJANI, Storia delle ferrovie italiane, Milano 1939, nonparla della linea Chivasso-Ivrea, bensì, in generale, della costruzione della rete ferroviaria piemontese neldecennio 1850-1860 alle pp. 60-62; I. BRIANO, Storia delle ferrovie in Italia, 3 voll., Milano 1977, I, p. 98,esaurisce in poche righe la storia della linea; P. MUSCOLINO, Il Piemonte ferroviario che più ricordo, Cortona1981, pp. 199-213; L. BALLATORE, F. MASI, Torino Porta Nuova, Roma 1988, pp. 71-73; L. BALLA-TORE, Storia delle ferrovie in Piemonte, Torino 1996, pp. 63-66.

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grossare la sua già potente armata non convinto della volontà svizzera di riti-rarsi; il 13 settembre, infatti, gli giunse notizia che le truppe elvetiche avevano in-tenzione di combattere e che, comandate dal cardinale Schiner in persona,stavano uscendo dalla città per dare battaglia. Le forze svizzere, composte dai ri-manenti Cantoni che si erano ritirati dal Piemonte e da buona parte del terzocontingente, contavano circa 22.000 uomini, quasi del tutto privi di artiglieria econ pochi centinaia di cavalieri alleati in appoggio; contro di loro c’erano 35.000francesi con numerosa cavalleria e, cosa più importante, un poderoso parco di ar-tiglieria .

Gli svizzeri, schierati in tre quadrati, ressero l’urto della cavalleria pesantefrancese e contrattaccarono arrivando , nonostante i vuoti creati dai cannonifrancesi, a minacciare il campo nemico, catturare alcuni pezzi di artiglieria e fe-rire lo stesso Francesco I; il combattimento si protrasse fino a tarda notte poi glisvizzeri, convinti di avere in pugno la battaglia, si fermarono per riposare, dandocosì tempo ai francesi di riorganizzare l’artiglieria e richiamare in aiuto i veneziani.

All’alba del 14 settembre gli svizzeri, con una manovra già sperimentata altrevolte, tentarono di accerchiare l’esercito francese, incuranti delle continue canno-nate che aprivano vuoti spaventosi tra le loro file; quando, però, i quadrati di pic-chieri furono sul punto di stritolare l’armata francese, la cavalleria venezianapiombò loro addosso, scompaginandoli e dando modo a Francesco I di ribal-tare la situazione a suo favore. La battaglia era persa e gli svizzeri, raccolti in ungrande quadrato i feriti, le bandiere e i pochi cannoni, si ritirarono lentamenteverso Milano; tutti quelli che non riuscirono a porsi in salvo tra quella selva dipicche furono inseguiti e uccisi senza pietà dai francesi e dai veneziani tanto chela sconfitta costò un numero spaventoso di vittime, circa 14.000 uomini, dueterzi dell’esercito che il giorno prima era uscito baldanzosamente dalla città lom-barda 107.

Mentre Francesco I prendeva definitivamente possesso del ducato di Milano,la notizia della sconfitta e della perdita di così tanti uomini percorse la Confede-razione, provocando un risentimento nella gente delle campagne che sarebbesfociato in aperte ribellioni contro le classi al potere, accusate di aver mercificatola carne dei loro figli per i propri interessi. Il processo avrebbe portato al gradualeridimensionamento delle mire espansionistiche elvetiche e alla definitiva rinun-cia ad una grande politica di potenza; dopo Marignano, infatti, nessuno altroesercito svizzero autonomo avrebbe mai più combattuto su un teatro di guerra

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107 Per le notizie sul proseguimento della campagna e la battaglia di Marignano vedi autori già citati allanota 34.

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Giuseppe Borla - Disegno di G. Gaia (ricavato da Chivassesi protagonisti di AlmaFassio Bottero, 1986).

europeo e il modello militare del quadrato di picchieri sarebbe stato superatodallo sviluppo di nuove tecniche belliche e delle armi da fuoco.

I reduci delle campagne italiane ci avrebbero messo un po’ di tempo a rein-serirsi nella società e, per molti di loro, questo non sarebbe mai avvenuto; tanti,ritornati in patria cambiati da quell’esperienza per certi versi inebriante, incapacidi riprendere il loro lavoro di contadini o bottegai, si sarebbero trasformati inladri e assassini di strada, continuando a fare ciò che avevano appreso in Italia.Come scrive Arnold Esch : “…Per quanti avevano gustato una vita del genere, non erafacile tornare a casa e rientrare nella routine del lavoro. Al tempo stesso, l’esperienza dellaguerra in terre straniere determinava negli animi una spaventosa assenza di inibizioni. Eccoallora che, secondo il diritto di guerra, si viveva sconsideratamente di ciò che offriva il paese…Inalcune località venivano sterminate per rappresaglia centinaia di persone, si ammazzavanodonne, bambini, vecchi, preti, malati: una cosa mai successa in passato ( alle vittime serviva benpoco che l’ordinamento militare bernese prescrivesse a chiunque si trovasse sul campo di reci-tare quotidianamente cinque Padrenostro e cinque Ave Maria ); venivano rubati gli arredi li-turgici e violate le tombe” 108. E’ chiaro in queste parole il riferimento a quanto glisvizzeri fecero a Chivasso e possiamo ancora provare ad immaginare quei mer-cenari, poco prima di impugnare i loro strumenti di morte, intenti a pregare confervore quel Dio al quale, nelle loro lettere, tributavano gratitudine eterna per ilbottino che faceva trovare loro per strada.

Molti, quindi, tornati in patria e incapaci di adattarsi alla vita precedente, ter-minavano il loro viaggio sulla forca come delinquenti comuni; altri, invece, eranocondannati dalla loro stessa fame di ricchezza ad inseguire la fortuna su un campodi battaglia e non sempre l’avrebbero trovata. Così accadde al capitano berneseAlbrecht vom Stein, che aveva abbandonato l’armata prima di Marignano ed eratornato in patria carico di ricchezze (parte delle quali forse rapinate a Chivasso)per aumentare il prestigio del suo casato in declino; sua moglie sfoggiava abiti egioielli mai visti prima a Berna ed egli con le rendite annue che riceveva dal re diFrancia poteva permettersi una vita agiata. Tutto questo finì quando il capitano,alla testa di una delle due colonne svizzere al soldo dei francesi, cadde alla bat-taglia della Bicocca nel 1522, trafitto dal comandante dei lanzichenecchi imperiali;la vedova dovette lasciare Berna, rinunciando al lusso e il suo unico figlio morìgiovane e in miseria 109.

Così, la collera divina temuta ed evocata da Ludwig Schwinkhart dopo il sac-

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108 A. ESCH, Mercenari, cit., capitolo II, “Uomini nuovi, ricchezza e corruzione” p. 136.109 Ibidem, p. 145. L’autore riprende, tra l’altro, i giudizi di Valerius Anshelm sugli uomini e la società delsuo tempo. Altre notizie su Albrecht vom Stein sono reperibili sul sito internet di Wikipedia.

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A. BARBERO, Stemma della famiglia Borla( Libro “B” delle Mutazioni, Archivio Storico Città di Chivasso )

cheggio di Chivasso, continuava a colpire, anche dopo Marignano, i veterani dellacampagna di Piemonte del 1515. I loro destini personali si erano incrociati an-cora una volta sul campo della Bicocca e su fronti opposti; Albrecht vom Stein,come lo stesso Ludwig Schwinkhart e molti altri, perirono nella battaglia fiancoa fianco combattendo contro i loro vecchi commilitoni, istigati a quella lotta fra-tricida da un altro protagonista dell’eccidio chivassese, il cardinale Matheus Schi-ner. Il prelato, dopo Marignano, era stato costretto a lasciare il suo vescovato aSion e rifugiarsi a Zurigo dove aveva esercitato ancora una certa influenza poli-tica in favore dell’imperatore Carlo V, di cui divenne consigliere e in nome delquale, nel 1521, aveva ripreso il controllo del milanese contro i francesi; il cardi-nale aveva avuto anche il tempo di essere uno dei redattori dell’editto di Wormscontro la riforma protestante e, alla morte del pontefice Leone X, si trovava aRoma, dove non fu eletto nuovo pontefice solo a causa dell’opposizione dei car-dinali francesi.

Sul campo della Bicocca quei mercenari che lui stesso aveva guidato, a ca-vallo e con la spada, morirono combattendo gli uni contro gli altri; per MatheusSchiner invece che, forse, avrebbe desiderato una fine simile, il destino aveva inserbo uno scherzo più feroce. Nell’ottobre del 1522 a cinque mesi di distanzadalla battaglia, la morte presentava il suo conto anche al cardinale guerriero nonsul lucido filo di una spada bensì nei ripugnanti bubboni della peste 110.

Epilogo

L’alba del 20 agosto 1515, per Chivasso, non costituì soltanto il duro risve-glio di una città devastata e l’inizio della conta dei danni morali e materiali pro-vocati dall’uragano svizzero che l’aveva attraversata; fu una svolta, un vero eproprio spartiacque tra medioevo ed età moderna che segnò il passaggio improv-viso da un’epoca di relativo benessere economico e culturale, illuminata dal ri-flesso degli antichi splendori dei Paleologi ad una nuova, forgiata fin dalla suanascita con il ferro ed il fuoco, nella quale Chivasso avrebbe subito un ridimen-sionamento sia demografico che urbanistico. Quella che usciva dalla terribileesperienza del saccheggio elvetico era una comunità ferita, percossa e impoveritache non si sarebbe più ripresa del tutto dal trauma; gli anni a venire sarebbero statiancora più duri, costellati da passaggi di eserciti, epidemie, devastazioni e la città

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110 Per le notizie sul cardinale Schiner vedi gli autori già citati alla nota 18. Il grande nemico dei francesifu sepolto nella chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma senza un monumento funebre che lo ricordasse.

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G. Borla - La chiesa e il convento agostiniani di Via Coronata, attuale Via Borla,angolo Via Torino ( Memorie Istorico-Cronologiche della Città di Chivasso )

ne avrebbe patito al punto da essere abbandonata dalle ultime famiglie di anticolignaggio e dai loro interessi economici e commerciali. Nuovi immigrati sareb-bero arrivati a ripopolarla, provenienti non solo dal Piemonte ma anche dallaLombardia; la loro venuta avrebbe riportato linfa vitale a quella che da grande evivace corte marchionale era diventata un piccolo borgo fortificato proteso alladifesa dei confini orientali del ducato sabaudo, senza però riuscire a farle spiccarequel salto di “qualità” avvenuto in altre città piemontesi altrettanto illustri ed an-tiche.

Si aggiunga un’ultima considerazione, confortata ancora una volta dai docu-menti storici, troppo spesso sottovalutata: Chivasso, in quel lontano agosto del1515, corse il pericolo non solo di essere cancellata come comunità ( se dopo ilsaccheggio e il massacro gli svizzeri avessero messo a fuoco le case la distruzionedel centro abitato sarebbe stata pressoché totale) ma anche di perdere insieme avite e ricchezze la sua memoria storica, custodita gelosamente negli archivi dellaCredenza e che nessun nemico aveva mai osato toccare. Quando gli svizzeri,dopo aver depredato anche i due sigilli d’argento della città, spaccarono a colpidi scure i forzieri dove credevano fossero nascosti ori e argenti, dispersero conrabbia il loro contenuto per le strade; pergamene, registri e scritture finirono cal-pestate, strappate, bruciate nell’infernale confusione di quel giorno in cui tuttipensavano a mettere in salvo l’unica cosa più preziosa, la vita. Fu solo grazie al-l’opera di un uomo, il sindaco Bernardino Siccardi, che non tutto andò perdutoe tanti antichi e preziosi documenti furono salvati dalla distruzione per potere es-sere lasciati alle generazioni future.

Anche se il passaggio del Borla che narra il saccheggio del palazzo comunalee indica nella figura del Siccardi il personaggio chiave nel salvataggio delle carte,può sembrare gonfiato da un’enfasi eccessiva, fatta apposta per calcare la manosulla cieca ferocia di barbari brutali come gli svizzeri, così non è; ancora una voltail nostro grande storico disegna nel suo elegante stile letterario nient’altro che laverità storica, suffragata dai documenti che egli aveva potuto leggere all’epocadella stesura della sua storia. Le travagliate vicende dell’archivio comunale e deitanti archivi privati, nel corso degli ultimi due secoli, hanno provveduto a sfol-tire ulteriormente le carte a disposizione al punto che molti dei documenti citatidal Borla non sono più recuperabili ma, fortunatamente, le Reformazioni, i pre-ziosi verbali dei consigli comunali che ci hanno accompagnato nel corso di tuttaquesta ricerca, seppur lacerate e incomplete esistono ancora, pronte a fornirenotizie a chiunque abbia la pazienza di cercarle; ed è in queste antiche pagine, in-fatti, che ritroviamo le prove che ci servono per commentare quest’ultimo epi-

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cuni errori di date o di nomi, alcune sottovalutazioni che sono certo imputabilia lui, ce lo fanno apparire persona normale pur nella sua straordinaria statura,come alcune impostazioni caratteristiche dell’epoca in cui il Borla visse, su tuttociò lascio correttamente la parola ai critici.

Abbiamo quindi incontrato, riscoperto, un frate e cittadino chivassese colto,vissuto nel Settecento, e nell’abbozzarne un primo possibile ritratto, per quantolo si possa dire oggi con parole nostre, l’orientamento del padre Borla lo pos-siamo certamente riconoscere più come “progressista” che come “conservatore”,più capace di futuro proprio perché attento e umile custode del passato, perciòpromotore dell’impegno della maturazione di ogni persona. Vorrei chiudere que-ste considerazioni riportando la preziosa citazione con la quale padre AchilleErba apre l’introduzione del suo contributo nella “Storia della Chiesa di Ivrea”, vo-lume II:

“C’è una solidarietà fra gli uomini non solo in dimensione orizzontale,con gli uomini del nostro tempo di tutti i paesi, ma c’èuna dimensione anche verticale, cioè cronologica,

tra gli uomini del passato, giacchè noi viviamo della tradizione,e gli uomini che verranno, i quali a loro volta

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erediteranno qualcosa di importante da noi”

MICHELE PELLEGRINO 17

17MICHELE PELLEGRINO, La fede e la morale, intervista a Alberto Sinigaglia, A. SINIGAGLIA, “Vent’annial Duemila”, Torino, 2000. p. III. Ora in F. BOLGIANI (a cura di), Una città e il suo vescovo. Torino neglianni dell’episcopato di Michele Pellegrino, Bologna 2003, pp. 165-173.

sodio.Il sabato 3 novembre 1515, il nobile Bernardino Siccardi, sindaco della città

nonché grande uomo di cultura, allarmato per lo scempio fatto nel palazzo co-munale, richiese al Consiglio riunito di formare una commissione che si assu-messe l’incarico di fare un’incetta sia dei documenti sparsi nel saccheggio che diquelli rimasti in loco e di stilarne un inventario: “…omnes scripturas comunitatis spar-sas per Elvetios et alias persones alios exsistens et de faccendo unu inventarium de ipsis scrip-turarum et eorum effertu ut substantia…”. Si trattava di valutare quanto fosse andatoeffettivamente perduto di ciò che esisteva nell’archivio della comunità all’epocadell’ inventario stilato nell’anno 1500, con particolare riguardo ai documenti suc-cessivi, “…speties scripturas postea accepto inventario facto de anno 1500…”; molti di-plomi, privilegi e atti importanti erano andati persi e il sindaco intendevasensibilizzare i suoi concittadini al loro eventuale recupero perché era in peri-colo l’esistenza stessa della città in quanto entità sociale. Ciò che era rimasto nelpalazzo comunale dell’intero apparato legislativo ed amministrativo, infatti, ver-sava in pessime condizioni perché gli svizzeri avevano anche strappato i preziosisigilli pendenti dalle pergamene per trafugarne i loro contenitori metallici:“…quam multa sunt lacerata propter extirpatis sigillorum que omnia sigilla maxima penden-tia et integra extirpata et fracta fuerunt…”. Bernardino Siccardi, al quale dobbiamo lastesura della prima storia chivassese, degli statuti comunali nonché il lungimi-rante sforzo per la conservazione del patrimonio storico della città, concluse ilsuo intervento raccomandando ai credenzieri quanto fosse importante il lavorointrapreso nei confronti della comunità e dei posteri: “…dicit idem Sindicus quammaximus est labor comissionis assumpte sed valide et utilis quia tendit ad conservationem etmanifestationem…” 111. Pochi anni più tardi, nel 1533, quasi a riassumere il lavorocompiuto di ricucitura storica e legislativa della città, lo stesso Siccardi avrebbedato alle stampe l’intero corpus degli antichi Statuti comunali chivassesi.

Si può quindi affermare che, senza questa opera di recupero della memoriastorica, avviata da Bernardino Siccardi, molto sarebbe rimasto sconosciuto nonsolo della storia ma anche della vita sociale, economica ed amministrativa dellanostra città; è grazie a lui, infatti, se oggi chiunque si occupi delle vicende seco-

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111 ASCCH, Reformazioni, cit., f. 9.

Ringraziamenti:L’autore ringrazia il professor Arnold Esch, già direttore dell’Istituto Storico Germanico di Roma, perla cortese disponibilità a fornire indicazioni bibliografiche e suggerimenti nonché le indispensabili tra-scrizioni dall’alto tedesco al tedesco odierno; il suo libro sui mercenari svizzeri è stato fondamentale peraprire nuove prospettive di ricerca sul sacco di Chivasso. Si ringraziano inoltre gli amici Pasquale Marto-

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ha goduto la nostra civiltà, oggi pare decisamente allargata, e a questo ambito hapartecipato appunto, in modo colto, anche il nostro frate agostiniano. I suoi studiriguardano infatti il classico interesse di monaci e frati per l’importante ambitonaturalistico terapeutico, dove si segnalano tre sue opere: il “Compendio dellastoria della coltura delle piante e dei fiori” (sunto del Clarici), una “Raccolta disecreti medicinali”, e il volume “Della coltura delle vigne all’uso Romano”, il vo-lume catastale “Cabreo de’ terreni del Convento di S. Nicola”. Un opera intito-lata “La maniera di formare gli orologi solari per via della geometria”, e un’altrain due volumi di “Tavole gnomoniche per fare in pratica gli orologi solari”. Ascopo ancora direttamente pratico e scolastico scrisse “Le Regole per agevol-mente imparare il canto fermo”, il compendio di un’opera del p. Berti “CursusTheologiae”, un “Indice de’ Santi e Beati dell’Ordine di S. Agostino”, la trascri-zione delle Bolle e Decreti del suo Ordine “Summarium Bullarii Augustiniani”.

Altri suoi scritti riguardano la linguistica e le regole grammaticali, tedesco-ita-liano e piemontese-italiano, oltre alle note ed utili opere storiche diverse riguar-danti la Città, il Territorio ed il Convento Agostiniano di Chivasso, il Conventoe la chiesa di Villafranca Piemonte.

Il padre Giuseppe Borla testimonia con ciò di essere rigorosamente attentoalla persona come protagonista, come portatrice di responsabilità di fronte alla

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città umana, frutto di convergenti e inesausti confronti. L’atteggiamento del no-stro autore, pur espresso con termini in uso nel secolo XVIII, e a noi estranei, èquindi sostanzialmente privo di nostalgie per la mitologia del passato o delleforme, piuttosto si dimostra sollecito di quanto si deve esercitare da ciascuno, lavita accolta come compito, come sereno e laborioso costruire. La razionalità, ildoveroso uso della ragione è vista come luce, di cui la fede genuina non ha timore,ma con cui si dialoga e cresce. Il suo stesso frequente dover riferire quale storico,di prodigi o fatti allora ritenuti miracolosi, realtà onnipresente nelle forme edespressioni religiose, è sempre rispettoso del dato comunemente allora ritenuto,non mancando di segnalare però l’indiscutibile primato dello sviluppo delle scelteresponsabili di vita cristiana, cui ogni altra manifestazione genuinamente religiosadeve ricondurre.

Nell’opera del padre Giuseppe Borla riscontriamo, in sintesi, il corretto at-teggiamento dello storico guidato dai caratteristici criteri cristiani, che mettonoin evidenza anzitutto la persona interpellata a responsabilità, persona che vive lalibertà donata da Dio per cooperare umilmente ogni giorno con lui e con i fratelli.Scorrendo i suoi scritti, riscontriamo, com’è ovvio, anche alcune insufficienze, al-

lari di Chivasso, può trovare ancora materiale in cui affondare la propria curio-sità e la propria voglia di ridare voce al passato. Per affrontare meglio il presente.

rana e Claudio Bracco per i suggerimenti linguistici e le traduzioni dal tedesco dei testi; un grazie ancheal professor Fabrizio Spegis per i consigli sul testo in latino delle Reformazioni.

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descrivendo non rare volte fatti incresciosi che un allora malinteso e purtroppoordinario senso della casta chiericale normalmente occultava.Non teme in particolare, di disapprovare lucidamente alcuni atteggiamenti delclero troppo attento ai vantaggi economici derivanti da incarichi ecclesiastici e be-nefici connessi. Le lampanti contraddizioni con la legge canonica, come la graveviolazione dell’obbligo di residenza per i vari beneficiati. Manifesta sfiducia nellepersone ecclesiastiche che dimostrano disattenzione nella gestione delle risorseeconomiche, bene della Chiesa, e in chi svaluta le donazioni fatte alla Chiesa invista della sua missione. Altrettanto chiara la sua denuncia circa l’esteriorità ridi-cola di tanta espressione religiosa anche degli ecclesiastici, e, in parallelo richiese,come già nel passato da parte del primo grande storico di Chivasso, fra SerafinoSiccardi,che anche i tesori culturali ed artistici di arte cristiana, quando necessario,come i beni mobili ed immobili, fossero affidati alla tutela della Pubblica autoritàcivile, anziché consegnarli nelle mani di inetti ecclesiastici, perché non costituis-sero tentazione e limite nella vita sacerdotale e religiosa 16.

16G. BORLA,Memorie istorico-cronologiche della Città di Chivasso, Fotoriproduzione di Ms apografo del XIXsecolo, voll, 3, Chivasso 1980, Capi 5, 12, 16; Documenti XXII-XXIII.

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Utili provocazioni a confronto

La linearità espressiva del Borla, come emerge dagli scritti, mostra un uomo,e un uomo di chiesa, che ha saputo essere consapevolmente vivo nella propriacontemporaneità: intendo con ciò sottolineare il suo essere propositivo, non confacili richiami paternalistici, ma proteso a realizzare e indicare le scelte operativedel quotidiano comune cammino. La sua stessa esperienza di vita, i suoi interessi,le specifiche diverse conoscenze coltivate, lasciano intendere come ogni giornatadel Borla formasse un corpo solo con la sua missione peculiare, quella della cul-tura (civile e religiosa ad un tempo) attuata e sviluppata nella sua professionalità.

L’appassionata ricerca culturale del nostro autore, pur attrezzata scientifica-mente, si apriva quindi a vari semplici aspetti del quotidiano, non intendendo lacultura come prevalente ricerca del livello accademico, ma anzitutto concorso adun’articolata esperienza del quotidiano, realtà illuminata dal rispetto reciproco edal senso dello Stato, in altre parole si trattava dell’uso intelligente e pratico deldiritto e della ragionevolezza.

La consapevolezza che proprio nel silenzio dei chiostri conventuali si è con-cretamente realizzata una parte significativa delle acquisizioni scientifiche di cuiIl frontespizio del fascicolo, purtroppo mutilo, contenente le Reformazioni del1515 conservate nell’Archivio Storico della città di Chivasso.

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(foto dell’autore)

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e credibilità a tante manifestazioni religiose. Infatti, fin dal 1753 il Pontefice ap-provava e confermava la Pia Unione della Madonna del Buon Consiglio, qualestrumento idoneo al genuino rinnovamento della preghiera cristiana, spesso di-venuta occasione di formalità religiosa e tradizione sociale più che espressione difede. Ciò si verificava non di rado proprio nelle precedenti antiche congregazionilaicali, come la Confraternita detta anche della Madonna della Cintura, il cui verotitolo però era quello di Nostra Signora della Consolazione. Tali congregazionierano presenti in tutte le chiese degli agostiniani, e, fin dal secolo precedentes’era cercato dovunque di rinnovarle, anche se pare non sempre con esiti apprez-zabili. Lo stesso padre Borla, in esecuzione degli ordini dei suoi Superiori, si eracimentato a Chivasso nelle iniziative tese a rinnovare la cittadina Confraternita deiCinturati, ma di fatto, per quanto se ne può dedurre dai suoi scritti, sembra nerimanessero soprattutto le polemiche, forse, per quanto se ne può arguire, daparte di ricche famiglie civassine che, con la scusa di tutelare il patrimonio delleorigini coltivavano più spesso i propri privilegi e favori. In felice alternativa, in-vece, crebbe, proprio per l’impegno profuso dal Borla, la Pia Unione della Ma-donna del Buon Consiglio, che si dimostrò utile strumento per ritrovare un piùautentico e adeguato atteggiamento religioso. A Chivasso, come altrove il secoloXVIII fu periodo religiosamente prolifico e sofferto anche e proprio a propositodi quelle confraternite ed istituzioni di chiesa a lungo chiacchierate per la loroinautentica religiosità, di fatto apparivano frequentemente impegnate in iniziativeche, in fondo, mostravano di servirsi dell’immagine dell’istituzione religiosa per

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religioso dei Cinturati, a Chivasso era ben evidente il caso della crisi coltivata einsormontabile degli antichi enti ospitalieri, fatto cronico e addirittura emblema-tico della nostra Città, dove, da molto tempo questi enti erano divenuti fonte diricchezza o di sostentamento di alcuni in luogo del servizio fatto ai poveri pelle-grini ed ai sofferenti, di questa grave vicenda il Borla ne riferisce in modo equoe tagliente, nel Capo 7 delle sue Memorie istorico-cronologiche della Città di Chivasso,forse tutto ciò può ancora farci riflettere, così come ci ha riflettuto con attenzionetutta particolare il dottor Renato Bèttica-Giovannini nelle sue Cronache medichedella Nobile Città di Chivasso 15.

15 R. BETTICA-GIOVANNINI, Cronache mediche della Nobile Città di Chivasso, Pro Loco Chivasso “L’Agri-cola”, Chivasso 1985, pp. 37-75.

Del resto il Borla, sempre seguendo in ciò il magistero di papa Lambertini,non ebbe paura di manifestare identico zelo, in modo conciso e pungente a pro-posito di luoghi ed uffici ecclesiastici, chiamando senza timori in causa il clero,

conseguire impropri vantaggi. Del resto, ancora più grave dello scarso spiritoConsigliodiguerrasulcampo.Unaltrodisegnodi

UrsGraf,probabilmenteripresodalverodurantela

campagnadel1515

Latipicafiguradel“knecht”(fante)svizzeroin

campagna.DisegnodiUrsGrafdatato1514.

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(KunstmuseumBasel)

(KunstmuseumBasel)

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Carità” concepita da Vittorio Amedeo II per attribuire al potere civile l’ammini-strazione dell’assistenza, sottraendola al clero, non riusciva a concretizzarsi se-condo le attese, e lo Stato di ispirazione cristiana esprimeva tutta la sua debolezzaproprio nel provocare e richiedere costantemente interventi dall’alto. Nelle No-tizie istorico-economiche del Convento di S. Nicola, il Borla stesso, ormai ma-turo, osservando lo specifico della sua Città mostra con frequenza lo sguardosconsolato che gli fa affermare: “Chivasso abbandonato”, tenacemente persuasoperò che “i Regolari” (qualificativo dei consacrati che vivono professando unaRegola) come appunto gli Agostiniani o gli altri vari istituti religiosi “recavano aipopoli un grande vantaggio…” 14.

Una connotazione caratteristica benché marginale, della vita del padre Borlaa questo proposito, utile invece per comprendere la vita ed il messaggio dellostorico chivassese in riferimento a quanto stiamo esaminando riguarda la sua en-tusiasta devozione alla Madonna del Buon Consiglio, quella del Santuario di Ge-nazzano, retto appunto dagli stessi Agostiniani, situato nella diocesi di Palestrina.

Dobbiamo qui ricordare che la devozione all’antica icona della Vergine diGenazzano, prese avvio nel 1467 con la “venuta” della sacra immagine originariadi Scutari, in Albania, nel tempo in cui avvenne l’invasione dei turchi, e ha fattoconoscere nel mondo questa immagine della Vergine con il fanciullo nelle bracciadipinta su calce e che raffigura senz’altro “Nostra Signora di Shkoder” la nota

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14 In nota 1, G. BORLA, op. cit., Introduzione, p. 1, mss.

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dolce patrona dell’Albania. La comparsa dell’immagine albanese nella chiesa deifrati agostiniani di Genazzano (detti anche Eremitani di Sant’Agostino), in queglianni era bisognosa di ricostruzione ed era intitolata a Santa Maria dei Miracoli eche muterà dedicazione in quella di “Madonna del Buon Consiglio”. Il giovaneBorla, dal vicino convento di Velletri si recava più volte con i confratelli in quellolimitrofo di Genazzano, dove era custodita la devota immagine, certo passandoper la via di Valmontone. Rimase colpito da quel Santuario, come appare dai suoiscritti, e subito negli anni successivi, mentre completava gli studi teologici pressoil Convento bresciano di S. Barnaba, si fece zelante animatore di quella devo-zione, sulla quale nel 1756 scrisse anche un saggio che venne pubblicato in duesuccessive edizioni. Ripropose quindi la medesima iniziativa l’anno successivo aChivasso, riuscendo a mobilitare l’interesse di migliaia di cittadini sia nel brescianoche nella sua Città di origine. Perché tanto attaccamento a quella icone? Da partedel giovane Borla si trattava di corrispondere ad un’iniziativa presa da papa Be-nedetto XIV, Prospero Lambertini, uomo che seppe restituire prestigio al papato

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Il cardinale Matheus Schiner raffigu-rato con spada e corazza, strumenti diguerra da lui spesso preferiti alla croce

Prospero Colonna, comandante dellacavalleria papale e milanese, uno deipiù famosi condottieri del tempo

l duca di Savoia, Carlo II dettoil “Buono”I Il re di Francia, Francesco I, in

un altro dipinto di Jean Clouet

(litografia di Tobias Stinner)(lito-

grafia di Tobias Stinner)

(dipinto di Jean Clouet)

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In parallelo con la realtà civile, ulteriore conferma del clima innovatore siebbe anche nella Chiesa di Ivrea con l’episcopato di mons. Michele Vittorio DiVilla (1741-1763), uomo che “esprimeva nella sua persona l’immagine del vescovo pastore-amministratore, nella quale convergevano sia le esigenze politiche dello stato sabaudo, a partiredalle riforme amedeane, sia quelle ecclesiastiche, che avevano le loro lontane propaggini nellasvolta innocenziana. Ma quelle lontane propaggini, incentrate nella riforma del clero ad operadei vescovi, si erano inverate, durante il decennio 1740-1750, nel movimento di riforma mo-derata su base erudita-riformatrice, promosso dal Muratori e sostenuta, al centro, dal pontificatodi Benedetto XIV” 10. Il Sinodo diocesano del 1753, quindi la pubblicazione del Ca-techismo furono il percorso di un programma tendente a riportare la vita dioce-sana all’osservanza della legislazione sinodale antica, con una profondità spiritualenuova per il progetto di riforma episcopale della tradizione eporediese. Era ilclima respirato dal giovane religioso Borla, la via di una riforma della vita eccle-siale, in massima parte del clero, alla luce del quale maturò i suoi ideali. D’altraparte, proprio sotto il profilo religioso, la Chivasso conosciuta dal Borla, rispec-chiava fedelmente la severa e attenta analisi fatta dal Di Villa che, dopo la Visitapastorale cataloga Chivasso, e il suo presbiterio, non tra i luoghi “Cospicui”, matra quelli “Mediocri” 11. Chivasso si trovava infatti tra quelle località della diocesiparticolarmente abbondanti di clero, troppo, con annessi ricorrenti gravi pro-

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10 A. ERBA, Storia della Chiesa di Ivrea, secoli XVI-XVIII, Viella, Roma 2007, pp. 592-593.11 A. ERBA, op. cit., pp. 664-666.

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blemi e scandali. Era un luogo dove si rendevano evidenti i limiti espressi dallachiesa eporediese che si volevano correggere, basti citare che “oltre ai preti presentie operanti secondo uno specifico ministero, non era irrilevante il numero dei sacerdoti che, presentiin diocesi, erano privi di uno specifico ministero: 223 su 537, pari al 42%” “Si accenna al-l’abbondanza del clero parrocchiale, specialmente nei centri più grossi (Chivasso), dall’altra sene condanna l’assenteismo nei confronti dell’attività catechistica: il 21% dei preti non partecipaneppure alle funzioni parrocchiali, il 67% non fanno catechismo…” constatava con ama-rezza anni dopo il vescovomonsignor GiuseppeOttavio Pochettini (1769-1803) 12.

La riforma coltivata dal papa Benedetto XIV e supportata sinergicamentedal re Vittorio Amedeo II, negli anni successivi non era riuscita in gran partedelle mete che si era prefissa. Si tentarono delle estremizzazioni monarcoidi a

12 A. ERBA, op. cit., pp. 762-771.13 A. ERBA, op. cit., pp. 761-762.

favore dei parroci, soprattutto in ambito di gestione economica 13, parimente siaccentuava la distinzione tra chierici e laici, mentre il pauperismo crescente sti-molava il riavvicinamento tra istituzione civile e religiosa, la “Congregazione di

Il frontespizio dell’edizione del 1941 delle Chronik di Ludwig Schwinkhart. Ilpersonaggio raffigurato con la spada tra le gambe e il ricco cappello piumatotiene nella mano sinistra il gonfalone della città di Berna

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..(Universitatsbibliothek Bern)

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mazioni di prima mano sulle scelte da compiere circa i beni e gli strumenti diuna vita sociale economicamente produttiva e sana. L’ambiente cristiano in cuiera cresciuto, ricco di parentele religiose che possiamo denominare certamentequalificate, doveva essere interconnesso con un positivo senso di apertura criticae razionale, attento a cogliere i limiti e le storture di tanto comune cascame devotoquanto formale. Giuseppe Borla fu quindi frate agostiniano per cinquant’anni, uncurricolo di alacrità sollecita e di apertura della mente, nella consapevolezza delprimato del vero e del bene, e certamente, benché lui non ne parli, ciò ha radiciprofonde in queste sue origini, come si può cogliere quasi in trasparenza leg-gendo i suoi scritti.

La sua vicenda vocazionale, come s’è detto, principiò a Velletri, convento diS. Maria dell’Orto, città e chiesa dove gli orientamenti personali e le malìe giovanilitrovarono una corrispondenza. Velletri, sede vescovile e cardinalizia non difet-tava, insieme a monumenti e varie memorie, di archeologi, storici, orientalisti,luogo d’origine anche dell’allora noto Arcivescovo di Fermo, Alessandro Borgia(1682-1764), amico e ammiratore di Don Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), il noto sacerdote di Vignola e figura emergente “dell’illuminismo cattolicoitaliano”, monsignor Borgia, come storico, fu autore della “Istoria della Chiesa eCittà di Velletri” pubblicata nel 1723 in quattro libri 8. Il giovane novizio Giuseppe

8 Dizionario Biografico degli Italiani, XII,G. PIGNATELLI, s.v. Borgia Alessandro, Istituto dell’Enciclo-pedia Italiana, Roma 1970.

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Borla ebbe quindi ampiamente modo in quegli anni, leggendo gli scritti dell’Ar-civescovo Borgia, e, con ogni probabilità anche avendolo conosciuto, di accostarei nuovi criteri dell’insigne storiografo di Vignola ed appassionarsi così all’utilizzodella tecnica Annalistica. In quel momento, mentre si aprivano gli orizzonti e sirinnovava scientificamente lo studio della storia, il nostro candidato agostinianopoteva attingere ad una fonte diretta i criteri di indagine e di riorganizzazionedella documentazione archivistica. Conseguenza prima e inevitabile per il giovanenovizio chivassese, fu il rapportarsi con tutta la mole di documentazione pubblicae privata della sua cittadina di origine, patrimonio che gli era noto e di cui sentivaspesso parlare in famiglia, dati e memorie antiche da cui si sentiva attratto, coseconosciute e analizzate proprio dal suo nonno paterno Giovanni Battista, notaio

9 C. VITTONE, Casa Savoia il Piemonte e Chivasso, I, Torino 1904, p. 554, nota 1.

e Segretario della Città, e quindi da suo padre Pietro Paolo, Sindaco nel 1744 9,pure notaio, per non dire del ricco archivio di famiglia che, per “la consuetudinecon le esigenze del Pubblico” gli rendeva presente il quadro del suo ambiente diorigine.

Laterrificanteimmaginedellaguerradescrittaconvividorealismodall’incisoresvizzeroUrsGraf

(1485-1528),testimoneocularedell’orroredeicampidibattagliaaitempidellespedizionielvetichein

Italiatrail1512eil1515,allequaliluistessopreseparte

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(KunstmuseumBasel)

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possa verificarla chiunque ne abbia bisogno”.7 G. ANDRA’, Frusta letteraria, II, 1798, pp. 21-23; Biblioteca Civica Torino, Microfilm G.M. 110. Elogiodel P. Lettore Giuseppe Borla Agostiniano patrizio della Città di Civasso, Vicario del suo Convento di S.Nicola, e del S. Officio. …Possedeva la lingua Francese, e Tedesca per motivo di adoprarsi con questa,come fece soventi, in soccorso spirituale delle truppe straniere destinate alla guarnigione di sua Patria; eperitissimo com’era del carattere gotico, in quasi tutte le Città, e Conventi di sua residenza si occupò maisempre nel visitare le carte più antiche per quindi ricavarne vantaggio, e gloria per il Piemonte. Di fattiil Civico Archivio di Civasso gode di conservare un manoscritto molto prezioso, in cui oltre la descrizioneantica, e moderna di quella Città, si leggono tutti i dritti, usi, privilegii, vertenze, corpi ecclesiastici, famigliedistinte di ogni genere, e specialmente una serie Storico-Cronologica dei Marchesi di Monfer. Con un’altradelle guerre, contagj, carestie, nascite di Sovrani, e loro matrimonj, il tutto ricavato da documenti e da scrit-tori autentici…. In mezzo però a tante si diverse, e si difficili occupazioni il Borla non abbandonò mailo studio della Sacra Scrittura, che fu sempre il suo quotidiano trattenimento, l’assistenza al coro, il mi-nistero dei Sacramenti. Irreprensibile in ogni sua condotta; dotto, ma non altero, compiacente, ma noninteressato, amico, ma non adulatore, morì il 20 Ottobre 1797 compianto dagli amici, e dalla patria, e do-vrebbe esserlo dalla sua Religione, e dall’Italia”. Copia cartacea della rivista “Frusta letteraria” dell’interaannata 1798 è conservata presso la Biblioteca Ariani di Cherasco (Cn). Si veda anche il Catalogo delleopere edite ed inedite di Gio. Giacinto Andrà pubblicato dalla ditta Padre e figlio Reviglio, corredato dalgiudizio che ne diedero i più celebri letterati e giornali letterarii d’Italia. Pubblicato a Torino, TipografiaBernardino Barberis, 1828. (Inserito nella Miscellanea presso la Biblioteca “Eugenio Reffo” del CollegioArtigianelli di Torino; coll. RA B268/1-13).

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Spunti dal profilo personale di Giuseppe Borla

Giuseppe Borla fu dunque novizio agostiniano a diciannove anni nel 1747,il trasferimento a centinaia di chilometri di distanza, in quella che a molti potevaapparire allora un’altra Italia (per quanto pure si potesse intendere nel secoloXVIII con questo nome) tra le righe dei suoi scritti non pare sia stato vissuto inalcun modo da lui se non con attenta partecipazione e vivo entusiasmo. Figlio diuna cittadina angusta e burocratizzata dalla prevalenza del dominio militare, edalle sue pesanti servitù, con una popolazione cresciuta in quel secolo più sulterritorio circostante che nel centro urbano, Giuseppe Borla aveva assimilato,come si può ben cogliere nel suo ordinario argomentare, lo spirito d’ambizioneche nutriva quei primi decenni del Regno sabaudo, avendo già come consolidatadote di famiglia la consapevolezza dell’importanza delle funzioni sociali e dellesue istituzioni, figlio e nipote com’era di personaggi di primo piano della Chivassoche contava, gli era comune una discreta sensibilità culturale, di certo poi ancheil suo spirito pratico era coltivato dalla possibilità di avere abitualmente infor-

riportiamo parzialmente in nota 7, sappiamo essere morto il 20 ottobre 1797,molto probabilmente in Ivrea.

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AffrescodelXVIIIsecolo,dipintosuunadellelunettedelchiostrodell’exconventodiSanBernardinodiChivasso,raffigurantesecondolatra-

dizionel’incendiodellacittàadoperadeglisvizzerinel1515.Questodipinto,rimastoalungocopertosottovaristratidipitturamuraleeriportato

allaluce,insiemeaglialtriaffreschidelconvento,nelcorsodeilavoridirecuperodelcomplessonel2005,eravisibilefinoaiprimiannidel900

efuriprodottosuunacartolinadell’epocaincoppiaconl’affrescoraffigurantel’assediofrancesedel1705,dipintonellalunettaadiacenteean-

ch’essorestaurato.Lerecentianalisideivarielementideldipintotendonoasmentirechequest’operarappresentiilsaccheggioel’incendiodella

cittàdell’agosto1515,inquantol’abitatodiChivassononèraffiguratoinalcunmodoetuttiipersonaggisembranoappartenereadun’altraevento,

probabilmentecollegatoallavitadiSanBernardinoodelBeatoAngelo. (fotoarchiviodellaBeataVerginediChivasso)

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Va anche ricordato, tra gli estimatori del padre Borla il professor Carlo Vit-tone, che fin dalla sua prima Conferenza storica tenuta agli Studiosi delle ScuoleSecondarie di Chivasso nel 1897 ne fece pubblico elogio confessando che quantodiceva era, in massima parte ricavato dagli scritti del frate Agostiniano 6 .

Ai nostri giorni, invece, disponiamo finalmente delle Note biografiche più si-cure e dettagliate sul padre Borla grazie alla paziente trascrizione ed alla ricercastorica sui suoi scritti, opera del verolenghese Flavio Rosso, con il notevole re-gesto iconografico curato da Bruno Pasteris, contributi che confluiranno nellaormai prossima pubblicazione delle Memorie storiche di Chivasso, per le edizioniPro Loco Chivasso “L’Agricola” editrice, cui ho potuto accedere per la cortesiadei medesimi curatori, che qui ringrazio. Su questa base mi è ora possibile abboz-zare questo nuovo modesto contributo per concorrere alla riscoperta del padreGiuseppe Agostino Borla, figura di sicuro interesse e utilità per conoscere la sto-ria della nostra cittadina.

Anzitutto una breve scheda pro-memoria sul nostro personaggio: GiuseppeAgostino Borla nasce a Chivasso il 15 giugno 1728, terzogenito del notaio PietroPaolo e Cattarina Compagni. Vestì l’abito Agostiniano a Velletri, Santa Mariadell’Orto il 29 aprile 1747, quindi proseguì gli Studi nel Convento di S. Barnabaa Brescia, iscritto nella “Congregazione di Lombardia”. Membro della comunitàdi S. Nicola da Tolentino a Chivasso nel 1761, dal 1770 al 1779 ne è anche desi-gnato Priore. Per le sue qualità trasferito a Roma, S. Maria del Popolo, quale Pro-curatore dal 1779 al 1784, dove lavora all’Archivio generale agostiniano ed agliAnnali dell’Ordine. Per esigenze di salute chiede il ritorno in Piemonte, dove èPriore in S. Agostino di Chieri (1784 – 1786). Quindi Priore a S. Stefano di Vil-lafranca Piemonte dal 1786 al 1791. Dal gennaio 1792, dopo pochi mesi trascorsia Chivasso, è designato Priore in S. Agostino di Ivrea.

Necrologia di Giacinto Andrà sulla rinnovata “Frusta letteraria” del 1798, che qui6 C. VITTONE, op. cit., vol. I, p.12 : “E chi ama la sua terra natale deve grande riconoscenza al padreGiuseppe Borla, che con pazienza da cenobita raccolse tante e svariate notizie della sua Chivasso, a cuiportò intensissimo affetto, che spicca in ogni sua parola, in ogni sua frase. Afferma egli, in una prefazione,che leggesi nel volume, già appartenente al canonico Berardi, suo contemporaneo avere tratto quantoscrisse di Chivasso, oltre che dagli storici che ne fanno menzione, dalle Reformazioni (processi verbali,diciamo oggi, delle deliberazioni del Consiglio Comunale) antiche e recenti, da documenti veridici pubblicie privati, da protocolli di 30 e più notai Chivassesi, precedenti la creazione dell’Archivio dell’Insinuazionee da altri 32 posteriori, per facilitare ai pubblici amministratori il lungo e faticoso lavoro di ricerche in oc-casione di controversie e liti per cose civili, giuridiche ed economiche. Onde il suo lavoro, se ha errorinella parte storica, per le ragioni dette, parmi fedele e sicuro soprattutto ammirevole per costanza e di-ligenti ricerche nella economica e giuridica, citando egli sempre la fonte di ogni sua notizia, perché all’uopo

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Nulla sappiamo di quei difficili anni inaugurati dalla Rivoluzione, solo dalla

Claudio Bracco

CHIVASSINI E CHIVASSESI

n linguistica, aggettivi e nomi etnici sono «quelli che indicano l’appartenenzaa un popolo, una nazione, una città ecc.» 1. Come scrive Grazia Crocco Ga-

lèas, in italiano gli etnici «sono deonomastici [= derivati da nomi propri] aventigeneralmente tre funzioni:

a) l’etnico svolge la funzione di aggettivo di relazione rispetto al toponimoda cui deriva (napoletano = di Napoli);

b) l’etnico si presenta come sostantivo maschile o femminile indicante l’abi-tante o il nativo di un certo luogo (napoletano, -a = abitante o nativo di Napoli);

c) l’etnico può funzionare come un sostantivo maschile che designa la lingua,il dialetto, la parlata di un certo luogo (napoletano = dialetto di Napoli)» 2.Qual è l’etnico di Chivasso o, se si preferisce, come si chiamano gli abitanti

di Chivasso? Il Dizionario degli etnici e dei toponimi italiani (DETI) registra alla voceChivasso quale etnico, accanto alla forma dialettale čivasìŋ 3, già citata da PietroMassia in un suo articolo del 1909 4, il termine italiano Chivassése, -ési 5. Se si va aconsultare il Deonomasticon Italicum: dizionario storico dei derivati da nomi geografici e danomi di persona (DI), di cui sono usciti i primi tre volumi, si trova sotto la voce Chi-vasso una doppia indicazione:

1. chivassino agg. ‘di Chivasso’ …chivassini m.pl. ‘abitanti, nativi di Chivasso’ …

2. chivassése agg. ‘di Chivasso’ …

102

I

1 il Sabatini Coletti Dizionario della Lingua Italiana 2004, Milano, Rizzoli Larousse, 2003, s.v. etnico.2 G. CROCCOGALÈAS,Gli etnici italiani: studio di morfologia naturale, Padova, Unipress, 1991, pp. 8-9. Ag-giungerei che spesso un etnico può avere la funzione di un sostantivo che indica il territorio circostanteuna città (il Torinese, il Chivassese).3 č e ŋ sono simboli fonetici rispettivamente per la consonante affricata palato-alveolare sorda (il suonocon cui inizia, per es., la parola cibo) e per la nasale velare (il suono con cui termina, per es., la parola in-glese sing ‘cantare)’.4 P. MASSIA, Del nome locale di Chivasso, “Rivista del Canavese e Valle d’Aosta”, 1909, 1-2, pp. 3-11, a p. 9(«Civàss dice adunque l’encorio che chiama poi se stesso Civassín»). La forma dialettale, a quanto pare at-tualmente non più usata, è presente anche in D. OLIVIERI, Dizionario di toponomastica piemontese, Brescia,Paideia, 1965, s.v. Chivasso («aggettivo patronim. Civassìn»).5 Viene segnalato inoltre l’uso in dialetto anche della perifrasi “quelli di…”. Cfr. T. CAPPELLO, C. TA-GLIAVINI, Dizionario degli etnici e dei toponimi italiani (DETI), Bologna, Pàtron, 1981, s.v.

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Purtroppo sono andati dispersi o distrutti tutti i documenti d’archivio dell’Ordine agostinianochivassese ed è pure andato disperso il Registro dei Battesimi, che doveva essere conservato nel-l’Archivio parrocchiale della Chiesa di Santa Maria Assunta della nostra Città: in questo Ar-chivio parrocchiale esistono tutti i Registri di Battesimo, ben conservati, a partire dal 1507 finoai nostri giorni: ne manca solo uno, proprio quello che interessa noi che dovrebbe comprenderei nati a Chivasso tra il 1686 ed il 1750”.

Dopo aver riferito del contesto storico in cui visse il Borla, i nostri autoriconcludevano: “egli diede incremento alla storia locale – sulla scia del Muratori – comedel resto fecero per Trino Vercellese Gian Andrea Irico e per Ivrea Giovanni Benvenuti. Primadi tutto il Borla è un fedele trascrittore della tradizione orale popolare del suo tempo, anche semanca di un vero senso critico. A volte, però, sa interpretare giustamente alcuni fatti importantiper la storia della nostra Città, come quello della Regina ultramontana, che alcuni suoi con-temporanei avevano snaturato, dandole un altro significato. Fanno ridere i giudizi di alcuni cri-tici o ipercritici moderni che negano all’autore ogni attendibilità e lo giudicano scrittore di favole.Va subito detto, a questo proposito, che le Memorie del Padre Borla sono il punto di partenzaper ogni storia che si voglia scrivere sulla nostra Città: non si può ignorarlo, condannarlo. Eglisi allinea perfettamente con i criteri e le spinte ideologiche del suo tempo, per cui l’autore è unostorico autentico e genuino.Certamente alcune sue pagine, alcune sue interpretazioni, ci fanno sorridere, ma ci fanno sor-ridere perché noi oggi abbiamo la possibilità di avere a disposizione precisi strumenti di lavoroche nel Settecento mancavano: la critica storica, la storiografia non erano proprie del secolo deilumi, ma della seconda metà dell’Ottocento; la Teoria e Storia della Storiografia del Croce ebbela luce soltanto nel 1917. Agli uomini del Settecento bastava raccogliere i fatti come stavano,a quelli dell’Ottocento e del Novecento spettò l’analisi della loro valutazione. Per questo ilnostro Borla è uno storico attendibile, fedele ai principi del suo tempo.Un’altra osservazione che si muove al Borla è quella della prolissità del racconto, ma questorientra nei metodi di quel secolo: basterebbe leggere con un po’ di pazienza le numerose memorieo vite scritte durante il Settecento, ad incominciare da quella di Gian Battista Vico per finirecon quella di Pietro Giannone per farcene un’idea. La prolissità era la regola per gli scrittoridi quel secolo ed anche in questo il Muratori era maestro. Alla prolissità del Borla vanno at-tribuite tante notizie, che, forse, oggi sarebbero andate perdute.Un merito indiscusso, infine, del nostro autore è quello della sua preparazione storica e culturale:il Borla dimostra non solo di conoscere tutto sulla sua Città, ma di conoscere molte cose sul ter-ritorio che la circonda: conosce a fondo la storia di Casale, di Trino Vercellese, di Biella, di Ivrea,di Torino, di Milano, di Asti, di Alessandria, di Cuneo e persino di Roma. Riesce, nella nar-razione delle sue Memorie, a collocare esattamente e con giusto senso critico ogni fatto od episodiochivassese nel vero contesto storico”.

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chivassesi m.pl. ‘abitanti, nativi di Chivasso’… 6

Analoga indicazione compare nella terza edizione (1961) del Dizionario Lingui-stico Moderno del Gabrielli: «agg. chivassíno o chivassése» 7. Come sanno coloro checon Chivasso hanno una qualche familiarità e come avverte lo stesso DI 8, laforma oggi in uso è la seconda. L’aggettivo chivassese è derivato dal toponimo Chi-vasso mediante il suffisso -ese (secondo lo schema, quindi, per cui si ha newyorcheseda New York, piemontese da Piemonte, giapponese da Giappone ecc.); è questa attual-mente la modalità realmente produttiva di derivazione di aggettivi da nomi geo-grafici in italiano 9. L’aggettivo chivassino, che corrisponde alla forma dialettalečivasìŋ, come notato dal DI 10, è formato con un altro suffisso, -ino, che comparein molti aggettivi da nomi geografici (per esempio, parigino da Parigi, trentino daTrento, marocchino daMarocco); ma che, diversamente da -ese, non è più usato (o loè solo in casi particolari) nella creazione di nuovi aggettivi da nomi geografici: se,mettiamo, fosse chiesto di indicare il nome degli abitanti del comune di Casta-gneto Po (TO) o quello degli abitanti del comune di Verolengo (TO) a qualcunoche non sappia quali forme siano in uso, è molto probabile che a questo qualcunoverrebbero in mente castagnetesi e verolenghesi 11 piuttosto che castagnetini e verolen-ghini.

La forma chivassino ‘di Chivasso’ è attestata, ci informa il DI, dal Vocabolariopatronimico italiano o sia adjettivario italiano di nazionalità del Cherubini, pubblicato(postumo) nel 1860 12, e chivassini ‘abitanti, nativi di Chivasso’ dalla seconda edi-zione (1957) delNovissimo dizionario della lingua italiana di F. Palazzi 13. Non è peròdifficile andare più indietro nel tempo rispetto a queste attestazioni lessicografi-che (vale a dire in dizionari): nell’opera, ben nota a chi si sia interessato alla sto-

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6 Cfr. Deonomasticon Italicum (DI): dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, a cura diW. SCHWEICKARD, Vol. I Derivati da nomi geografici (A-E), Tübingen, Niemeyer, 2002, s.v. Per quantoriguarda la forma italiana chivassése e quella dialettale čivasíŋ (citata nella n. 1) il DI è basato sul DETI.7 Cfr. A. GABRIELLI,Dizionario Linguistico Moderno. Guida pratica per scrivere e parlar bene, 3a ed. interamenteriveduta e ampliata, Milano, Edizioni Scolastiche Mondadori, 1961, Parte Seconda, s.v. Chivasso.8 Cfr. DI, s.v. Chivasso, n. 2.9 Cfr. F. RAINER, Etnici, in AA. VV., La formazione delle parole in italiano, a cura di M. GROSSMANN eF. RAINER, Tübingen, Niemeyer, 2004, pp. 402-8, a p. 405 e 406.10 Cfr. DI, s.v. Chivasso, n. 1.11 Che sono le forme che si trovano registrate nel DETI, s. vv. Castagnéto Pò e Veroléngo.12 Cfr. la voce Chivassino in F. CHERUBINI,Vocabolario patronimico italiano o sia adjettivario italiano di nazio-nalità, Milano, Società tipografica de’ classici italiani, 1860.13 Cfr. la voce Chivassini in F. PALAZZI, Novissimo dizionario della lingua italiana, Milano, Ceschina, 1963,nella Quarta appendice Nomi degli abitanti di alcuni paesi.

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gione. Per la loro natura autobiografica le riteniamo pertanto le informazioni piùautorevoli e sicure per conoscere il nostro antico personaggio, e, benché appaianoincomplete in rapporto alle nostre attuali prospettive, le consideriamo punto dipartenza di questa nostra presentazione del padre Borla, che spero possa arric-chirsi in futuro con ulteriori apporti di altri studiosi.

In realtà, già nel 1986, i medesimi autori della citata riproduzione, LucianoDell’Olmo e Rino Scuccimarra, cui va il merito di aver riportato alla nostra at-tenzione il padre Giuseppe Borla, ne avevano giustamente scritto, non senza unfilo di enfasi, nella loro “Storia di Chivasso e del Chivassese” 4: “Costui fu un erudito,tipico esempio del periodo illuminista italiano, simpatizzante per l’opera di Antonio LudovicoMuratori e da questo infaticabile ricercatore della verità storica italiana, apprese l’amore perlo studio della sua terra. La sua opera parte dagli stessi principi su cui poggiano gli Annalid’Italia del Muratori, ossia da quei “principi” che Mario Fubini ha saputo sapientemente sin-tetizzare nel suo libro Dal Muratori al Baretti, così scrivendo: «Fine precipuo dell’opera mu-ratoriana resta l’appurare la verità dei fatti, il vagliare le contrastanti testimonianze, l’esporrecon precisione e copia di particolari, e senza perdere di vista l’insieme, le vicende politiche e mi-litari di un così vasto spazio di tempo, non altrimenti delimitato che per un’estrinseca ragionecronologica». L’opera di questo infaticabile scrittore chivassese, anche se fino ad oggi è rimasta,a nostra grande vergogna, manoscritta, è di un’importanza tale che non può ignorarla chi s’ac-cinge a studiare non solo le vicende della nostra terra, ma la storia di tutto il Piemonte. Perquesto il “Borla” fa testo oggi, come ha fatto testo per i grandi storici di cose romane e medioevalidell’Ottocento: Teodoro Mommsen nel 1887, pubblicando a Berlino le Inscriptiones Regionum

cita espressamente il Borla come testo ufficiale e sicuro”.L’anno successivo, 1987, sempre Dell’Olmo e Scuccimarra, nel secondo vo-

lume della loro Storia di Chivasso e del Chivassese 5 riferivano: “Il Padre GiuseppeBorla appartenne ad una delle più antiche famiglie chivassesi. Le notizie storiche che possonoriguardare questo nostro illustre concittadino, si possono trarre, allo stato attuale delle cose, dalms. Platis, dagli Atti del già citato Consegnamento, da alcuni scritti di Teodoro Mommsen edal ms. delle Memorie istorico – cronologiche della città di Chivasso, scritte dal Borla stesso.

4 L. DELL’OLMO R. SCUCCIMARRA, Storia di Chivasso e del Chivassese, vol. I, Accademia, Torino 1986,pp. 4-5. Su Mario Fubini (Torino, 1900 - 1977): critico letterario, accademico dei Lincei, direttore re-sponsabile del “Giornale storico della letteratura italiana”.5 Ibidem, vol. II, pp. 119-124.A proposito del citato cosiddetto Mss. Platis, va osservato trattarsi, sulla scorta dei recenti riferimenti for-niti da Flavio Rosso, che ringraziamo, di un’opera del medesimo padre Borla, appare come raccolta Mi-scellanea di tre manoscritti diversi, quello che ci interessa è contenuto nella prima parte e facendoriferimento al cognome Borla, riporta i cenni sulla sua famiglia.

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Italiae undecimae et nonae, parlando dell’antichità del Piemonte, e soprattutto del Chivassese,

ria di Chivasso, dell’agostiniano Giuseppe Borla Memorie Istorico-Cronologiche dellaCittà di Chivasso 14, scritta verso la fine del XVIII 15 secolo, gli abitanti di Chivassosono i Civassini (forma, questa, foneticamente più vicina a quella dialettale). An-cora, nell’Archivio Storico della Città di Chivasso sono conservati svariati docu-menti redatti in italiano in cui è questione di un appezzamento di terra, in partea bosco, sito nel territorio di Foglizzo appartenente alla comunità di Chivasso edenominato la Chivassina o Civassina; la denominazione è trasparente la C(h)ivas-sina perché ‘(pezza, terra) di Chivasso’ e senz’altro non recente: i documentipiù antichi in cui compare il toponimo che mi sia riuscito di individuare con unarapida ricognizione sono della seconda metà del XVI secolo 17.Quanto alla forma chivassese 18, l’esame di testi scritti di vario genere concer-

nenti in qualche modo Chivasso ne documenta l’uso almeno dalla prima metàdell’Ottocento e mostra un suo prevalere sulla forma in -ino nel secolo successivo.

Solo qualche esempio, per non tediare troppo il lettore. Nel volume V, pub-blicato nel 1839, del Dizionario geografico storico - statistico - commerciale degli stati diS. M. il Re di Sardegna di Goffredo Casalis, l’ampia voce dedicata a Chivasso com-prende, insieme ad altro, una sezione diNotizie storiche ed una sull’argomento Fa-miglie cospicue, uomini illustri: in esse il nome prevalentemente usato per gli abitanti

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14 G. BORLA,Memorie Istorico-Cronologiche della Città di Chivasso, edizione fotostatica a cura del Rotary Clubdi Chivasso, 1980. È imminente la pubblicazione da parte della Pro Loco Chivasso “L’Agricola” della tra-scrizione dei manoscritti fatta da Flavio Rosso.15 Il Borla morì nel 1797.16 Sui possedimenti chivassesi nel territorio di Foglizzo cfr. G. BORLA,Memorie…, cit., cap. 19, § 6.2De’Terreni acquistati dal Pubblico di Chivasso per il Cavo della Roggia di Campagna, e liti per essi seguite, pp. 1204-9.17 Si tratta soprattutto di documenti contenuti nel faldone 18, fasc. 4, anni 1395-1574 (ma alcuni docu-menti sono sicuramente di anni posteriori al 1574), Oggetto: Carte relative alla Bealera di Campagna e [al]ledivergenze con la Comunità di Foglizzo, Sezione prima dell’Archivio Storico della Città di Chivasso, Classe 11(Ragioni d’acque e confini territoriali). Il solo documento originale datato (in cui compare il toponimo) cheho individuato non fa però parte di questo gruppo di carte: è il verbale della riunione della Credenza del15 maggio 1575, dove si legge che il Conservatore della Roggia di Campagna si è recato «alle possesionidella Comunità di Chyuasso sitoate nel finagio di Foglizzo luogo detto alla chyuasina» (Registro Refforma-zioni 1574. 1575. 1576. 1577, Riformazioni a. 1575, f. 54r); v. foto a fine articolo. Si trovano, nei docu-menti cinquecenteschi, le grafie chiuas(s)ina, chyuas(s)ina, e anche la forma chyauassina.18 Il DI segnala le seguenti attestazioni: «chivassese agg. […] chivassesim. pl. ‘abitanti, nativi di Chivasso’ (dal1981, DETI […]). Chivassese m. ‘territorio di Chivasso’ (1992, CorrSera 3.7, 23)». Esistono attestazionilessicografiche anteriori alla registrazione nel DETI: si è detto della doppia indicazione (chivassíno e chi-vassése) nel citato Dizionario Linguistico Moderno del Gabrielli (1961); nel Lessico universale italiano, vol. IV,Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, s.v. Chivasso si legge che gli abitanti sono «detti Chivas-sési». Chivassese nell’accezione ‘territorio di Chivasso’ si può agevolmente retrodatare; ne ho casualmenteindividuato un’occorrenza meno recente di quella riportata dal DI nel titolo di un libro di Giampiero Vi-gliano: Il Chivassese. Strutture insediative e testimonianze di civiltà, Rotary Club, Chivasso, 1969.

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verse di giornate quatro circa in due distinti membri; aumentare quasi del doppio le viti, muniregli alteni di siepi vive. Riparare e con qualche aumento tutte le Case di Campagna; Riscavarele fossa quasi intieramente e ripiantare le viti nella Vigna di S. Sebastiano, coll’allungamentodel Tinaggio, alzamento di un Portico, e muro di cinta dell’ajrale; Ornò di copiose piante diPomi, Peri, ed altri frutti, di verse e li terreni d’essa Vigna, ed in attinenza della di lei fabbricafece rialzare la Cappella di S. Rocco, ed altre opere assai note. Si acquistarono ivi avole 60di Vigna framedianti li terreni del Convento, e quatro tavole di sito alle Margarite per il ne-cessario dilatamento di quell’ajrale. S’impiegarono le elemosine della Cappella della B.V. M.del Buon Consiglio, delle quali esso n’ebbe sempre la direzione ascendenti a LL 1000 circa avantaggio della di Lei Cappella. Si sborsarono a mani del S. Sindaco della Città di TorinoLL 5000 acciò alla prima propizia apertura s’impiegassero sopra li Monti di quella Città, enello scadere del suo Priorato si ritrovò il Convento possedere fra denari in Cassa e liquidicrediti la somma di lire tre mille circa. Procurò l’aumento de Libri al proprio Convento, collidenari concessi all’uso colla spesa fin al giorno d’oggi di LL 1500 circa. Fino dalla sua gioventùprocurò occupare il tempo che gli avanzava dalli Studii in scrivere libri Corali, come scrisse peril Convento di Brescia, di comporre alcune opere come la Storia della B.V. del Buon Consigliodata alla luce in Brescia l’anno 1756, dal Bossini ristretta e ristampata in Torino dall’Avondonel 1762. Il Metodo di formare gli Orologi solari in pratica con 130 e più figure. La manieradi imparare il Canto fermo, e fuori dell’Officiatura Agostiniana. Il Compendio della Storiadella Cultura delle Piante e fiori, del Clarici, coll’aggiunta delle virtù di molti fiori. L’Istoriadella Città di Chivasso con molte Carte Topografiche. Gli Annali del proprio Convento,disposti poi nelle presenti Istoriche notizie. L’Istoria della Chiesa Parrocchiale del Conventodi S. Stefano di Villafranca. Il Cabreo di tutti li terreni esistenti nel territorio di Chivasso ingiusta misura. Il Vocabolario Piemontese-Toscano per ridurre li termini del nostro dialettonella toscana favella. Il Compendio del Bollario Agostiniano coll’aggiunta delle posteriori Bolle,Decreti appartenenti agli Agostiniani, e pendente la dimora fatta in Roma, scrisse a vantaggide Procuratori successori La maniera di Coltivare le Vigne all’uso Romano. Seguita la mortedel P.L. Galperti occupò questo il Vicariato del S. Officio di Chivasso e dell’adeguato distretto”(pp. 90-92).

Queste parole, riemerse nel gennaio 1989, costituiscono ad evidenza la mi-gliore auto presentazione dello stesso padre agostiniano Giuseppe Borla, certa-mente il principale storico della nostra Città e del suo territorio (Chivasso, * 15giugno 1728, † Ivrea?, 20 ottobre 1797). Sono estratte appunto, come citato innota, dalla riproduzione del manoscritto intitolatoNotizie Istorico – Economiche delConvento dei Padri Agostiniani della Città di Chivasso a cura di Luciano Dell’Olmo eRino Scuccimarra, rinvenuto probabilmente dagli stessi, come credo, ma mi èdifficile oggi verificare in quale archivio o biblioteca particolare della nostra re-

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di Chivasso è chivassini, ma compare un paio di volte chivassesi 19. In un libretto del1853 contenente un Carmen in latino in lode del Beato Angelo Carletti da Chi-vasso e la suaVersione italiana, leggiamo nell’intestazione il chivassese Sodalizio, con-trastante con «edizione chivassina» nella nota al testo n. 6 20. In un testo del 1864,scritto in occasione di una cerimonia svoltasi a Chivasso, l’autore usa la forma in-ino (due occorrenze: un Chivassini, sost. e un Chivassino, agg.) 21. Esaminando iltesto delle conferenze storiche che Carlo Vittone 22 tenne a Chivasso negli anni1897 e 1898 poi pubblicato nel 1904 si riscontra che l’etnico compare (solo)come Chivassesi 23, 24. Lo spoglio di articoli di cronaca riguardanti Chivasso pubbli-cati nelle annate 1919, 1921 e 1922 del periodico “La sentinella del Canavese” 25ha consentito di rilevare esclusivamente occorrenze di chivassese/-i. Si osservi chenelle denominazioni di associazioni, attività commerciali ecc. degli ultimi decennil’aggettivo usato è a mia conoscenza sempre chivassese: per es., Arti Grafiche Chi-vassesi, Associazione Dilettantistica Scacchistica Chivassese, Centro Sportivo Chivassese,Gruppo Sportivi Chivassesi, Società Storica Chivassese 26. I lessici, come si è visto, pren-dono atto nella seconda metà del Novecento dell’affermazione della forma in -ese.Nei documenti in latino (medievali e moderni) troviamo forme derivate da

Clavas(s)ium (o varianti, innanzitutto quella grafica Clavaxium)27 con l’aggiunta

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19 Cfr. G. CASALIS, Dizionario geografico storico - statistico - commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna,Vol. V, Torino, G. Maspero, 1839 [ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1972], s.v. Chivasso.20 Cfr.Nella festa secolare ad onore del Beato Angelo Carletti da Chivasso che nella Chiesa sacra alla Regina degli Angelipresso Cuneo solennemente si celebrava nei giorni 24, 25, 26 di aprile 1853 il chivassese Sodalizio che dagli angeli ha nomeessendo priore il signor Sebastiano Serra alle venerate spoglie del suo glorioso concittadino e protettore devotamente offeriva,Chivasso, Lamberti e Pietracqua, 1853, pp. 1, 16. L’autore dei testi (e, presumo, anche delle note) è, comesi ricava dalla firma sotto la dedica latina, il p. Giuseppe Giacoletti (latinamente: Joseph Jacolettius).21 Cfr. Scherzo poetico per l’inaugurazione del Teatrino Civico di Chivasso avvenuta il giorno 16 ottobre 1864, Chivasso, Pe-regalli s.d. [ristampato anastaticamente in R. BÈTTICA, Cronache della nobile Città di Chivasso, Chivasso, l’Agri-cola, 1985, pp. 321-31, come cap. 48 Scherzo poetico per l’inaugurazione del Teatro Civico di Chivasso /Versi di S. L./ (1864)]. Chivassini è in rima: «E qui fia debito / Di ricordare / Quelli che il pubblico / Tengono affare, /Dal voto unanime /Dei Chivassini / Chiamati a reggere / I lor destini» ( R. BÈTTICA,Cronache, cit., p. 325).22 Nato a Chivasso da famiglia chivassese.23 Il controllo è stato effettuato sui testi delle conferenze del primo volume della raccolta (C. VITTONE,Casa Savoia il Piemonte e Chivasso: conferenze storiche tenute nel Teatro Civico di Chivasso negli anni 1897 e 1898,vol. I, Torino, Vaccarino e C., 1904).24 Ma si confronti, nel citato articolo del Massia (1909), l’uso di chivassino: «ho inteso dire dal popolo chi-vassino» (p. 9), «risalirà a questi antichi tempi, cioè già al sec. XI l’origine della famosa tolla o sicumerachivassina?» (p. 11).25 Le tre annate più antiche conservate presso la Biblioteca Civica di Ivrea.26 Fa eccezione il nome di un esercizio commerciale, Copisteria Clavasina, in cui abbiamo un latinismo; vediinfra.27 Per le forme latine medievali del nome di Chivasso, si veda, oltre al citato lavoro del Massia, la voce

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valutazione degli Ordini nella storiografia sull’età moderna» è un limite che va ben oltre l’ambitopiemontese, nel quale se, da un lato, negli ultimi anni non sono certo mancate ricerche di notevolevalore su gesuiti e cappuccini (ossia gli Ordini più impegnati nell’attività di repressione del dis-senso religioso e di riconquista cattolica delle aree più esposte all’infiltrazione della riforma pro-testante), dall’altro ancora assai critico appare lo stato delle conoscenze su altri Ordini religiosi”.

Con l’attenzione all’attualità di questa riscoperta del mondo religioso, nonpiù visto come separato e/o soltanto dipendente dalla società civile-politica, ciaccingiamo alla piccola riscoperta del padre agostiniano Giuseppe AgostinoBorla, storico chivassese, principiando dalle odierne e più significative “trou-vailles” archivistiche.

Nella recente riproduzione fotografica di un vecchio manoscritto cartaceo delsecolo XVIII di 292 pagine rilegato in pergamena 3, del cui originale si è forsepersa la provenienza, si legge: “Il Padre Lettore (insegnante) Giuseppe Agostino Borladi Chivasso, nipote del P. Lettore Felice e fratello del P. Lettore Felice Adeodato, quale vestìl’abito agostiniano nel 1747 a nome del Convento di S. Maria dell’Orto di Velletri, da dovefu traslato a quello di S. Niccola di Chivasso l’anno 1761, in cui resse il Priorato dall’anno1770 fino al 1779. Trasferitosi in Roma lo stesso anno 1779 colà gli fù accollata la Procura(economato) del Convento di S. Maria del Popolo. Costretto a rimpatriare dopo tre anni acausa dell’insalubrità di quell’aria, fù l’anno 1784 destinato in Priore di S. Agostino diChieri, compito il biennio passò nel 1786 al Priorato di S. Stefano di Villafranca che ressefino al 1791. Passati alquanti mesi in patria nel gennaio seguente si portò a reggere quello diS. Agostino di Ivrea. Dovrebbe il P. Borla passare sotto silenzio il suo operato pendente spe-cialmente il tempo in cui governò il proprio Convento perché appunto: Laus in ore proprio sor-descit riconoscendosi affatto indegno di alcuna lode; pure per proseguire l’incominciato ordine eper dimostrare quel tenue profitto che ricavò dalla saggia condotta, esempi, ed istruzioni de’ dilui Predecessori, con tutta la sincerità dirà che appena compiuto il corso de’ suoi Studii fu chia-mato alla Stanza di Chivasso, ove sotto la direzione del fù P. L. Cesare Galperti attualePriore si applicò all’assistenza della Chiesa ed all’economico del Convento, come poi sempre pro-seguì senza risparmio di quasi continui e gravi incomodi. Procurò fra l’altre cose che il Conventoacquistasse la Casa sopra menzionata nella Cortasa, e quatro giornate e mezza di Campo allavia di Montanaro, superando gli impegni da più Secolari fraposti. Eletto in Priore con maggiorecalore proseguì la cultura della Campagna col fare ridurre tutti li siti gerbidi e per quanto per-mise la qualità de terreni a perfetta cultura, popolare le rippe de Campi e Prati di albere, salicie di mori, noci e specialmente quelle de prati di verse, facendo altresì formare un Bosco di dette3Notizie istorico – economiche del Convento dei Padri Agostiniani della Città di Chivasso, riproduzione fotograficarealizzata dal Centro Studi di Storia Chivassese, a cura di L. DELL’OLMO e R. SCUCCIMARRA, Chi-vasso 1989.

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dei suffissi -ensis o -inus, i suffissi latini da cui derivano i suffissi italiani -ese e -ino.Lat. med. clavaxiensis è attestato (almeno) dal XIII sec. 28 e l’uso di forme in

-ensis continua ed è prevalente nei testi in latino delle epoche successive 29. Formein -inus sono reperibili in documenti di una certa antichità. È nota l’esistenza diuna strada chiamata Clivaxina 30; nel colophon dell’edizione stampata a Chivassonel 1486 della Summa Angelica del Beato Angelo Carletti (come anche in edizionisuccessive) si leggono alcuni versi, in uno dei quali si ricorda la patria dell’au-tore: «Clauassina […] terra» 31; nella raccolta giuridica di Bernardino Siccardi hotrovato non solo, come accennato nella nota 29, un certo numero di occorrenzeChivasso nel Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, di G. GASCA QUEI-RAZZA, C. MARCATO, G. B. PELLEGRINI, G. PETRACCO SICARDI, A. ROSSEBASTIANO, To-rino, UTET, 20063; per quelle italiane, il DI, s.v. Chivasso.28 In un documento del 1260 (una transazione fra il vescovo e i canonici di Ivrea da una parte e il prevo-sto e i canonici di Chivasso dall’altra), noto solo attraverso una trascrizione del Borla, abbiamo: «nomineClauaxiensis Ecclesie», «Ecclesiam Clauaxiensem», «bona Ecclesie Clauaxiensis» (cfr. G. BORLA,Memo-rie..., cit., vol. 3, sez. Documenti citati nella presente Opera, IV, pp. 7-13; la trascrizione del Borla si può leg-gere anche in V. DRUETTI, Le carte dell’archivio comunale di Chivasso fino al 1305, in Cartari minori, vol. 1,Pinerolo, 1908, pp. 273-310, doc. XI, pp. 284-7).29 Nella raccolta di documenti giuridici commessa dalla Credenza di Chivasso a Bernardino Siccardi, dataalle stampe nel 1533, gli abitanti di Chivasso sono chiamati generalmente, quando non designati con pe-rifrasi, clauas(s)ienses: per esempio, «declarando predia Clauassiensium transpadana tali immunitate gaudere»(Iurium municipalium incliti oppidi seu burgi Clauassii per Venerandum Patrem Fratrem Seraphinum Sicardum […]collectio, Chivasso, F. Garrone, 1533, f. 3v), «que a clauassiensibus obseruanda uidentur» (Ivi, f. 7r ), «quiautebantur Clauassienses in litigiis et solutionibus notariorum decretis marchionalibus» (Ivi, f. 7v).30 «Si tratta di una strada scomparsa, attestata dalla documentazione, che secondo Serra collegava la stradaromana Torino-Pavia con Volpiano e la valle di Lanzo; viene menzionata nel catasto [chivassese] datato1370 ma risalente alla fine del XIII secolo […] al f. XXXVIIIv: in Clivaxina » (F. SPEGIS, Antica viabilitàchivassese, in Theatrum Clavasiense. Mostra Cartografica e documentale sulla Città di Chivasso. Chivasso, Chiesa di S.Maria degli Angeli 4 – 30 ottobre 1997, a cura di B. SIGNORELLI, P. USCELLO e C. VAJ, Torino, Celid,pp. 13-22, a p. 17). Giandomenico Serra scrive di due strade conosciute come ‘via di Chivasso’: «Ancoradalla stessa Porta Humiliatorum si spiccava laVia eundo versus Montem Jovis […] che […] si riuniva alla ViaRomea già descritta, sul territorio di S. Benigno, ove il catasto locale dell’a. 1492 la ricorda ancora sottoil nome di La Clavaxina. Collo stesso nome, di La Clavaxina o Via Clavaxi (anno 1554) poi Via di Chi-vasso (a. 1692), si denominava un’antica via che collegava la strada romana sul territorio di Chivasso alluogo di Volpiano e di lì proseguiva verso i fondi e i vici già ricordati sul territorio di S. Maurizio e di Cirièsino all’imbocco della Valle di Lanzo» (G. SERRA, Contributo toponomastico alla descrizione delle vie romane eromee del Canavese, in Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia medioevale, Napoli, Liguori, 1954, p. 206).31 «Humano Angelicas quicumque audire loquelas / Ore cupis: presens perlege Lector opus, / Hic sacroscanones. Hic et ciuilia iura / Hic sancte inuenies Relligionis opes / Maxima multorum quod uix dabat antelibrorum / Sarcina: id Angelica dat tibi summa breuis. / Angelus est auctor, Sacri decus ordinis ingens /Seraphici: et tante Relligionis honos. / Auctorem atque opus impressum felicia dona / Clauassina tulit terrabeata viro. / Nec Carleta minus gens felix unde creatus / Angelus Angelicis dignus adesse choris» (AN-GELODACHIVASSO, Summa angelica de casibus conscientie, Chivasso, Iacobino Suigo, 1486, colophon). Evi-denziatura in corsivo mia. Una traduzione in italiano di questi versi si trova in Theatrum Sabaudiae (Teatro degli

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lità, infatti, nella recente ricerca storiografica regionale anche in Piemonte, si se-gnalano orientamenti ben diversi, dove l’aspetto locale, e nella fattispecie reli-gioso, viene letto come interagente, anzi parte specifica e costitutiva della storiacivile tout-court.

Trovo, a questo proposito delle annotazioni preziose nel volume recente-mente curato da Paola Bianchi per l’ISPRE (Istituto per la Storia del PiemonteRegione d’Europa) anno 2007, ed edito dal Centro Studi Piemontesi 2 , dove aproposito del separatismo storiografico tra civile e religioso, con riferimento alleproblematiche del giurisdizionalismo si afferma: “Questa attenzione a «uomini, mo-menti, problemi di uno scontro che non si svolse soltanto sul piano della rivendicazione deidiritti regi nei confronti della Santa Sede, ma sollecitò anche a interrogarsi sull’organizzazionedella Chiesa» ha caratterizzato settori diversi e significativi della storiografia subalpina più re-cente. Da alcuni decenni, ormai, si studiano a fondo le esperienze «civili e religiose» dei prota-gonisti del giurisdizionalismo, le forme e i modi del governo ecclesiastico del territorio, gli attoridi un conflitto – quello fra Chiesa e Stato – che continua ad essere interpretato da molte particome presupposto (logico e cronologico) della secolarizzazione, e quindi della modernità. Il puntofocale di questa visione della storia religiosa è il nesso fra religione e politica, fra Chiesa e potere,fra Clero ed élites. Si tratta di una visione, questa, che ha privilegiato nettamente le istituzioniecclesiastiche, la cui storia «è anche una storia più o meno diretta o riflessa delle forme di orga-nizzazione del potere, e ne illustra anzi alcuni aspetti essenziali», mentre ha lasciato in secondopiano la vita religiosa, la cui storia – è stato ribadito a proposito del XVIII secolo – è anchestoria «dei sentimenti e delle credenze religiose collettive» di cui la Chiesa cattolica si fece «in-terprete e portatrice nel suo progetto di conquista cristiana della società….. Che la storia reli-giosa debba essere intesa nelle sue molteplici dimensioni, tenendo in pari considerazione tantole prospettive politico-istituzionali quanto quelle economico-sociali, tanto gli aspetti artistico-cul-turali quanto – non ultimi – quelli spirituali e devozionali (giacché la Chiesa – è stato scrittotempo fa – è si un complesso sistema istituzionale, ma anche un «corpo mistico» in perenne equi-librio fra terra e cielo) appare oggi un’esigenza improcrastinabile. Tanto più per una realtà sto-riografica – quella rivolta al Piemonte – nella quale sta emergendo, sia pur a fatica, laconsapevolezza dell’importanza della dimensione religiosa nella storia del territorio, delle città,delle istituzioni, così come in quella dello Stato e della corte”. Entrando quindi nello specificodella vita dei cristiani consacrati nella vita religiosa si accenna: “E’ un problema di più ampiospessore: la complessiva carenza di dati sul clero nel Piemonte moderno…tale carenza diventaancora più lampante per ciò che riguarda il clero regolare.Va peraltro precisato, che «la sotto-2 P. COZZO, Storia religiosa. Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nel Piemonte di età moderna, in Il Piemonte in

rino, Centro Studi Piemontesi 2007, pp. 167-216.

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età moderna, linee storiografiche e prospettive di ricerca, a cura di P. BIANCHI, Comitato promotore ISPRE, To

di clauas(s)ienses, ma anche, un «populum clauasinum» 32; nel titolo di una delledue edizioni lionesi del 1534 della Summa Angelica 33 il nome dell’autore è accom-pagnato dall’etnico Clauasinum; altri esempi ancora si potrebbero menzionare,ma mi limiterò a ricordare il titolo, De clade clavaxina, del capitoletto che Dome-nico de Bellis, detto Maccaneo 34, dedica in una sua opera storica 35 alla strage eai saccheggi compiuti a Chivasso nel 1515 dalle truppe del cardinale Schiner 36.Da segnalare sono anche attestazioni di una forma con suffissazione in -anus of-

ferteci da due libri del medico chivassese Giovanni Francesco Arma (XVI secolo),dove l’autore è così indicato: «Ioannis Francisci Armae Clauassiani» 37; (l’Armascrisse altre opere in latino di argomento medico, in esse pure si qualifica comechivassese, ma usa il consueto Clauassiensis). Non conosco ulteriori esempi di Cla-uassianus.Il tramonto di chivassino in favore di chivassese è da vedere, a mio avviso, come

un prendere le distanze da una voce che ha risonanze dialettali 38 e un adegua-mento a un modello sentito come non locale, italiano e ufficiale.

Venendo all’oggi, si può notare che la forma chivassino occorre sporadicamente intesti presenti su internet, in vari forum, blog e social network: inserendo la voce in unmotore di ricerca, se ne trova, infatti, qualche esempio recente; ne riproduco alcuni:

poi ti rendi stupidamente ancella di due personaggioni che ne hanno combinate di tutti i coloricome il meneghino e il chivassino che ora si ritrovano conciati come tutti possiamo, con un mi-nimo di obiettività, constatare….(comunica2.globalfreeforum.com, 12.9.2009)stati del Duca di Savoia), a cura di L. Firpo, Archivio storico della Città di Torino, 1984, p. 183 n. 4.32 Iurium municipalium…, cit., f. 1v.33 Summa Angelica de casibus conscientalibus / per ... Angelum Clauasinum ... cu[m] additionibus [et] commodis ... Ja-cobi Ungarelli ... pristine luci ac integritati sue restituta est necnon ... Augustino Patauino ... cum industria ac solerti di-ligentia revisa …, Lione, Giunta, 1534.34 In quanto nato a Maccagno (VA).35 DOMINICI MACHANEI Mediolanensis Epitomae Historicae Novem Ducum Sabaudorum, in MonumentaHistoriae Patriae, t. III, Historiae Patriae Monumenta / edita iussu Regis Caroli Alberti / Scriptorum, t. I, Torino,1840, col. 822. Il Maccaneo morì nel 1530.36 Sull’episodio si veda il lavoro di Davide Bosso in questo volume.37 Corsivo mio. Si tratta di: a ) Quaestio. Ioannis Francisci Armae Clauassiani Serenissimi Domini Domini Ducis no-stri Medici quod Medicina sit Scientia et non Ars, Torino, 1575 (ne esiste una seconda edizione ampliata, pub-blicata nel medesimo anno; cfr. R. BÈTTICAGIOVANNINI,Giovanni Francesco Arma Medico Chivassese delCinquecento, Chivasso, Università della Terza Età di Chivasso, 1998, p. 33; il lavoro del Bèttica Giovanniniè corredato di belle riproduzioni delle copertine e di qualche pagina dei libri dell’Arma) e b) Serenissimi D.D. nostri Medici Ioan. Francisci Armae Clauassiani. Secunda pars quaestionis. quod Medicina sit Scientia , et non Arsin Dialogos deducta, cui anectuntur per plures aliae Quaestiones non futiles, Torino, eredi di Nicola Bevilacqua, 1576.38 Come detto, chivassino è adattamento della forma dialettale čivasìŋ.

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Fr. Luca Pier Giorgio Isella

RISCOPERTA DEL PADRE AGOSTINIANOGIUSEPPE AGOSTINO BORLA

storico chivassese1728 - 1797

Di lui si è detto

nche tra i chivassesi di antico ceppo non è davvero facile trovare qualcunoche ti dia informazioni un po’ più che generiche a proposito di padre Giu-

seppe Borla, eppure, proprio presso la centrale via Torino, dove esisteva l’ingressodel Convento degli Agostiniani e della bella chiesa di S. Nicola da Tolentino, al-

Borla”, non certo da oggi, credo almeno da oltre un secolo a questa parte 1. Pra-ticamente sconosciuto anche per molti dei suoi odierni concittadini, questo frateagostiniano del Settecento, è da ritenersi il primo storico della nostra Città, dellecui vicende si occupò in modo appassionato e rigoroso. Con tutte le peculiaritàe i limiti tipici degli uomini di cultura del suo tempo, a causa del tipo e modo diindagine storica compiuta dal padre Borla si deve dire che non è possibile per al-cuno addentrarsi nella storia di Chivasso se non passando per i suoi scritti e me-morie. Anzi, non è affatto possibile scrivere e far conoscere la storia della nostracittadina se non accettando la mediazione costituita dalla raccolta documentariadel nostro frate agostiniano.

Vale dunque la spesa di riscoprire tutta l’importanza di questo antico perso-naggio, lo hanno già detto e scritto voci autorevoli, come qua e la noteremo, conla convinzione anche che non è una lacuna solo chivassese, perché mancanti dicultura di storia patria, si tratta a ben vedere di un limite che segna abbondante-mente tutta la cultura contemporanea nostrana, quello di non dare peso alla sto-riografia religiosa, perché vista come parziale e secondaria, quasi sottoprodottoirrilevante della grande storia sociale, economica, politica, militare, notiziolebuone tutt’al più per un bollettino parrocchiale o un notiziario devoto. Questolimite, certamente datato e fazioso, per diversi segnali pare oggi perdere credibi-

1

1 C. VITTONE, Casa Savoia il Piemonte e Chivasso, vol. 1, Vaccarino ed., Torino 1904, p. 289.

A

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meno fin dal tempo di Napoleone, ad un incrocio stradale si legge “via Giuseppe

Si riparla di Chivasso, sperduto paesello nella provinci di Torino […]Il tempo passa, l'inverno e' agli sgoccioli e la primavera alle porte, ed ai nostri chivassini viene inmente di organizzare un normale concerto, solo per stare insieme senza nessun pretesto pro-vocatorio, visto che il sole inizia a riempire le fredde giornate piemontesi.(punk4free.org, 18.2.2009)

[…] ha scritto alle 13.03 del 18 febbraio 2009da tre anni e mezzo che sono in adozione a chivasso e mi lamento perche nn lo fattoprima???????????ciao chivassini

[…] ha scritto alle 10.33 del 4 marzo 2009semmai ciao chivassesi(facebook.com)

Visto che partiamo più a nord di loro potremmo anche passare a prendere i chivassini.... tantoso già che alla fine si andrà in macchina... che quattro ruote per scendere sono più stabili di due....(freestyler.it, inserito sul forum da utente di Ivrea, 18.5.2006)39

La forma si direbbe usata per lo più da persone che non sono di Chivasso e nonsanno quale sia la forma normale, “corretta”, per ‘abitante di Chivasso’ oppurepreferiscono adoperarne una “non corretta”, di tono diverso 40.

Rilevo l’uso di Civassino (di borliana memoria), presumo in quanto formad’epoca, nei testi sulla storia dei frati Cappuccini a Chivasso scritti da Padre LucaPier Giorgio Isella e presenti sul sito cappuccinipiemonte.it.Un reperto curioso: sul sito di un consulente per l’industria dolciaria 41, nella

sezione Produzione & Tecnologie, l’elenco dei prodotti di Pasticceria industriale pre-senta, al secondo posto, dopo Amaretti e prima diMeringhe, Chivassini. Suppongosi voglia alludere ai dolci universalmente noti come nocciolini di Chivasso 42. Nonsono riuscito a trovare altre occorrenze di questo termine e ad appurare se equanto sia diffuso nell’ambiente dei pasticceri; personalmente non mi ci ero mai39 Corsivi e omissis miei.40 Occorrerà, naturalmente, appurare se questo uso odierno di chivassino abbia una qualche consistenza(o non sia costituito solo da produzioni occasionali) e indicare come possa essere caratterizzato il rap-porto tra la forma in -ese e quella in -ino nella fase attuale. In ogni modo, è chiaro che le due forme ap-partengono a piani diversi.41 nardiantonio.it.42 Denominazione citata dal DI, s.v. Chivasso: «nocciolini di Chivasso m.pl. ‘piccoli amaretti prodotti in Pie-monte’». Si trova menzione del prodotto già nella voce Chivasso dell’Enciclopedia Treccani: «Le industriesono rappresentate da concerie, stabilimenti siderurgici e meccanici, fabbriche di tessuti varî e maglierie,da fabbriche di liquori e di dolci (nocciolini di Chivasso)» (Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, vol.X, Roma, Istituto Giovanni Treccani, 1931).

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imbattuto. L’impiego dell’aggettivo geografico (sostantivato) per indicare unaspecialità locale è frequentissimo e non necessita di commenti; la terminazione-ino può essere stata indotta dall’accostamento a nocciolini.

Vorrei infine riferire, senza uscire dall’ambito gastronomico, della denomina-zione di un tomino prodotto vicino a Chivasso: il tomino di Saronsella o chivassotto 43.Ignoro quanto e in quali ambiti la denominazione sia effettivamente usata, ma,in ogni caso, siamo dinanzi a un altro derivato di Chivasso, formato questa voltacon il suffisso -otto 44. Derivato che, come chivassino, corrisponde ad una forma dia-lettale. La solita ricerca in rete ha portato alla scoperta che fra i piatti offerti daun ristorante di Ivrea ci sono «i civasot con mele caramellate» 45.

43 Il sito del Parco fluviale del Po tratto torinese (parks.it/parco.po.to) ci informa che la zona di produ-zione del tomino di Saronsella (Chivassotto), è costituita da «alcuni Comuni delle colline a destra del Po,nei pressi di Chivasso (TO): S. Sebastiano da Po, Casalborgone, Rivalba, Castagneto Po», che il formag-gio «prende il nome dalla frazione Saronsella del Comune di San Sebastiano da Po, località in cui vieneprincipalmente prodotto a livello famigliare nelle cascine» e che «è classificato come “Prodotto agroali-mentare tradizionale della Regione Piemonte” ai sensi dell’art. 8 del D. lgs. 30 aprile 1998, n. 173 e del-l’Allegato alla Deliberazione alla Giunta Regionale 15 aprile 2002 n. 46-5823». Anche il sito ufficiale dellaRegione Piemonte ha una pagina (regione.pmn.it/agri/vetrina/prodottitipici/pat/caseari/saronsella.htm)dedicata al «Tomino di Saronsella o Chivassotto».44 Suffisso che è usato per formare non solo diminutivi, ma anche etnici, nell’Italia settentrionale (prin-cipalmente) e centrale: chioggiotto, rovigotto, varesotto ecc. (cfr. F. RAINER, Etnici, cit., p. 407).45 Gambero Rosso low cost. I migliori indirizzi per mangiare a 10, 20, 30 euro, Roma, Gambero Rosso G.R.H.S.p.A., 2007, p. 25; il passo è stato individuato mediante “Google libri”. Dal ristorante mi hanno corte-semente confermato che i civasot serviti con le mele caramellate sono dei tomini.

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INDICE

Fr. Luca Pier Giorgio IsellaRISCOPERTA DEL PADRE AGOSTINIANO GIUSEPPE AGO-STINO BORLA, storico chivassese (1728-1797).....................................................................

Fabrizio SpegisLA GENESI DELLA FERROVIA CHIVASSO-IVREA E LA SCELTADELNODODI CHIVASSO.....................................................................................................................

Davide Bosso“...AB IMPETUMELVETIORUM...” - 19 agosto 1515, il sacco svizzerodi Chivasso........................................................................................................................................................................

Claudio BraccoCHIVASSINI E CHIVASSESI................................................................................................................

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ArchivioStoricodellaCittàdiChivasso-RegistroRefformazioni1574.1575.1576.1577,anno1575,

f.5r

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4(dettaglio;fotodell’autore)

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Gli autori di questo numero:

Luca Pier Giorgio Isella: religioso, padre Guardiano presso il convento deifrati Cappuccini di Chivasso, è studioso di storia religiosa e civile ed autore di nu-merosi saggi, tra i quali spiccano quelli nati dal suo lungo lavoro di ricerca alMonte dei Cappuccini di Torino. È membro della Società Storica Chivassese dallasua fondazione.

Fabrizio Spegis: docente di Italiano, Latino e Storia presso il Liceo Lingui-stico “Europa Unita” di Chivasso, è storico e scrittore da tempo impegnato nellostudio della storia locale. Autore di numerosi saggi, collabora a diverse pubblica-zioni, tra le quali i Quaderni Verolenghesi , di cui è curatore dalla loro creazione.È presidente della Società Storica Chivassese.

Davide Bosso: libero professionista e appassionato di storia militare, ha cu-rato per alcuni anni la rubrica di storia locale sul settimanale “La Periferia” e hascritto il libro “Cronache di un assedio” edito dalla Pro Loco Chivasso L’Agri-cola. È uno dei soci fondatori della Società Storica Chivassese.

Claudio Bracco: ricercatore di Glottologia e Linguistica presso la Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università di Torino, ha pubblicato studi riguardanti, pre-valentemente, argomenti di linguistica italiana. È alla sua prima collaborazionecon la Società Storica Chivassese.

RINGRAZIAMENTI

Gli autori ringraziano per la fattiva collaborazione e il sostegno organiz-zativo l’assessore alla cultura del Comune di Chivasso, Alessandro Germani, ladottoressa Marcella Verga, lo staff del Sindaco e tutta l’amministrazione comu-nale.

Si ringrazia inoltre l’agenzia di arti grafiche Phoenixlab Professional diChivasso che ha curato il progetto grafico e l’impaginazione del volume.

Per le ricerche d’archivio i nostri ringraziamenti vanno all’archivista Mo-nica Bertolino, responsabile dell’Archivio Storico della Città di Chivasso e ai variarchivi ed enti pubblici e privati che hanno permesso le ricerche che sono allabase degli studi pubblicati.

Infine un grazie sincero a tutti coloro che, leggendo questo nostro primolavoro, saranno stimolati a prendere parte al nostro progetto associativo e con-tribuire, con il proprio lavoro di studio e ricerca, alle prossime pubblicazioni.

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SALUTO DEL PRESIDENTE

Nata per espressa volontà dell’Amministrazione comunale il 13 dicembre2005, la Società storica chivassese in questi suoi primi quatto anni di vita ha giàfatto parlare di sé in occasione di importanti eventi culturali:-nel 2006, due appuntamenti: il convegno internazionale “Torino 1706” e poinel mese di settembre, il convegno tenutosi a Chivasso con il patrocinio del Co-mune, sui marchesi Paleologi a settecento anni dal loro insediamento;-nel 2007, la pubblicazione del Consocio P. Luca Isella di un’interessante storiadel santuario di Nostra Signora di Loreto di Chivasso, alla luce di nuovi docu-menti;-nel 2008, l’allestimento di una mostra storica sul contingente di soldati polacchistanziato alla frazione Mandria di Chivasso dal dicembre 1918 al luglio 1919, inoccasione del festival internazionale di letteratura “I luoghi delle parole” svoltosia Chivasso dal 3 al 12 ottobre 2008 che in quell’anno ha proposto la Polonia inqualità di Paese ospite.

Ora, nel 2010, esce anche il primo numero del suo bollettino, con quat-tro articoli di altrettanti Consoci che sviluppano argomenti vari di storia chivas-sese.

Scopo della Società storica è quello di aggiornare continuamente la sto-ria di Chivasso e del Chivassese, sia approfondendo tematiche vagliate dagli sto-rici del passato, sia, soprattutto, introducendo elementi del tutto nuovi cheforniscano la possibilità di ampliare gli orizzonti della nostra storia locale.

Il bollettino non è retaggio esclusivo di un ristretto numero di autori:chiunque avrà da proporre argomenti legati a Chivasso e al Chivassese sarà sem-pre il benvenuto e troverà ospitalità nella pubblicazione associativa.

In qualità di presidente, non posso che rallegrarmi, con gli altri Consoci,dell’uscita di questo primo numero: l’auspicio più sincero è che la rivista esca acadenza regolare e che, con i contributi apportati dai collaboratori, ampli le co-noscenze sul passato del nostro territorio e stimoli nuove ricerche

Fabrizio Spegis

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ANNOTAZIONI

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SALUTO DEL SINDACO

Sono particolarmente lieto di poter partecipare alla presentazione di questoprimo volume di scritti storici sulla nostra Città.

Un lavoro svolto con particolare passione, perizia e professionalità dai mem-bri della Società Storica Chivassese che, con questa prima pubblicazione, ci of-frono un saggio delle potenzialità del lavoro di ricerca presso il nostro ArchivioStorico, prezioso contenitore di documenti, vita e storia della nostra gente e dellanostra città.

Quando si costituì, nel 2005, con un apposito atto formale della Giunta Mu-nicipale, l’associazione si era posta, tra i suoi obiettivi, quello di promuovere, va-lorizzare e conservare il patrimonio archivistico locale; oggi abbiamo tra le maniil risultato concreto di quei propositi, il primo frutto della collaborazione tral’Amministrazione Comunale e la Società Storica Chivassese che fa riemergere,dalla polvere deposita sugli scaffali degli archivi, quattro preziosi e curiosi fram-menti della vita passata della nostra città.

Un’occasione importante per guardarci alle spalle e consegnare ai nostri figlidel materiale vivo e pulsante, assolutamente utile per costruire le basi del nostrofuturo.

Un ringraziamento sincero, quindi, ai componenti della Società Storica Chi-vassese e a tutti coloro che con il loro impegno e con il loro intervento ci rega-lano questa nuova pubblicazione.

Un particolare plauso agli autori di questi testi: Davide Bosso, frate LucaIsella, il prof.Fabrizio Spegis, membri dell’associazione e il prof. Claudio Bracco,prezioso collaboratore.

Con la speranza che queste pagine trovino un posto adeguato nelle case deichivassesi, vi auguro buona lettura.

Il SindacoBruno Matola

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a cura della Società Storica Chivassese

Autori dei testi della presente volumeFr. Luca Pier Carlo IsellaFabrizio SpegisDavide BossoClaudio Bracco

Grafica e ImpaginazionePhoenixlab Professional - Chivasso

StampaA4 - Servizi Grafici - Chivasso

Proprietà letteraria riservata

Volume 1 - Prima edizione 2010

In copertina: A.RESTA, Pianta di Chivasso, 1572-1575

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Società Storica Chivassese

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Studi Chivassesi

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