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Anno Accademico 2018/2019 Studio dei sensori a pixel per il tracciatore di CMS per la fase High Luminosity di LHC. Study of CMS tracker pixels sensors for High Luminosity LHC Relatore Simone Paoletti Correlatore Giuseppe Latino Candidato Stefano Vincenzo Scordamaglia

Studio dei sensori a pixel per il tracciatore di CMS per ... spicca la scoperta del bosone di Higgs da parte di ATLAS e CMS nel 2012 [2]. Molto importante anche la misura dei 1branching

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Anno Accademico 2018/2019

Studio dei sensori a pixel per il tracciatore di

CMS per la fase High Luminosity di LHC.

Study of CMS tracker pixels sensors for

High Luminosity LHC

Relatore

Simone Paoletti

Correlatore

Giuseppe Latino

Candidato

Stefano Vincenzo Scordamaglia

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Indice

Introduzione 3

1 L’esperimento CMS al Large Hadron Collider 4

1.1 Il Large Hadron Collider ..……………………………………………………...4

1.2 Il programma di fisica del Large Hadron Collider ……………………………...6

1.3 Il Compact Muon Solenoid …………………………………………………......7

1.3.1 L’upgrade di CMS per la fase ad alta luminosità di LHC ………..………......10

1.4 Il tracciatore di CMS per la fase ad alta luminosità di LHC ………………….11

2 Struttura dei moduli di rivelatore a pixel di silicio dell’Inner Tracker 14

2.1 Il chip di lettura ..……………………………………………………………. 14

2.2 I servizi dell’Inner Tracker …………..………………………………………. 16

2.3 Sensori a pixel dell’ Inner Tracker …………………………………………. 17

2.4 Attività di calibrazione dei rivelatori a pixel …..……………………………. 19

2.4.1 Il sistema di test in laboratorio ….…………………………………………. 19

2.4.2 Calibrazione di un modulo di rivelatore a pixel .…..……………………….. 20

3 Test dei rivelatori a pixel su fascio 24

3.1 L’area di test “H6” al CERN .………………………………………………. 24

3.2 Il telescopio Aida ……….……………………………………………………. 25

3.3 Sistema di acquisizione dei dati ……..………………………………………. 27

3.3 Attività di test e risultati ……………..………………………………………. 28

Conclusioni 34

Bibliografia 35

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Introduzione

La tesi si basa sullo studio dei nuovi moduli di rivelatore a silicio a pixel che verranno

utilizzati dall’esperimento Compact Muon Solenoid nella fase ad alta luminosità del

Large Hadron Collider (HL-LHC).

Durante HL-LHC i rilevatori saranno esposti a un elevato livello di radiazioni e dovranno

prendere dati in presenza di altissime molteplicità di traccia. Per questo si richiede che,

rispetto a quelli attualmente in uso, i nuovi rivelatori abbiano: una granularità maggiore

e un’aumentata tolleranza alla radiazione. Nel complesso il nuovo tracciatore dovrà anche

essere più leggero, diminuendo la quantità di materiale presente all’interno del suo

volume, allo scopo di limitare lo scattering multiplo, il principale fattore che limita la

risoluzione per le tracce a basso impulso trasverso.

Dopo una attività preliminare di caratterizzazione dei moduli, presso i laboratori della

Sezione INFN di Firenze, grazie a un programma di attività formativa bandito

dall’Università di Firenze, ho trascorso un periodo di due settimane presso l’esperimento

CMS al CERN. In questo periodo ho partecipato ad alcuni test con fasci di particelle

effettuati sui nuovi rivelatori a pixel attualmente in fase di sviluppo.

In questi test, che fanno parte di un più ampio programma di ricerca e sviluppo, sono state

studiate le prestazioni di prototipi dei nuovi rivelatori in termini di efficienza, rumore e

la loro variazione a seguito di irraggiamento con particelle ionizzanti.

I rivelatori studiati utilizzano sensori di varia tipologia (planari o 3D) e geometria della

cella dei pixel (25×100 µm2 o 50×50 µm2). Alcuni di questi sensori sono stati irraggiati

in precedenza a una fluenza di 1×1016neqcm-2.

Nel corso della tesi ho avuto l’opportunità di sperimentare le attività connesse con un test

su fascio, tra le quali: la messa in opera di un Telescopio, la calibrazione dei moduli e

l’analisi dei dati registrati.

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Capitolo 1

L’esperimento CMS al Large Hadron Collider

1.1 Il Large Hadron Collider

Il Large Hadron Collider (LHC) [1] è l’acceleratore di particelle più grande e potente al

mondo. Si trova presso il CERN (European Organization for Nuclear Research)

all’interno di un tunnel sotterraneo lungo 27 km. LHC può accelerare protoni e ioni

pesanti e può fornire collisioni tra protoni, tra ioni di piombo e tra protoni e ioni di piombo

(pp, PbPb e pPb) fino ad un’energia nel sistema del centro di massa di 14 TeV. La catena

di iniezione di LHC è costituita da: un acceleratore lineare (diverso per protoni e ioni),

gli anelli BPS (Booster del PS), il Proton Synchrotron (PS) e il Super Proton Synchrotron

(SPS).

All’interno di LHC i fasci vengono fatti collidere in quattro punti che corrispondono alla

posizione dei quattro grandi esperimenti: CMS, ALICE, ATLAS, LHCb (figura 1).

I fasci di protoni sono composti da 2808 pacchetti, o bunch, ognuno dei quali contiene

circa 1011 protoni. Le collisioni tra pacchetti vengono chiamate bunch-crossing ed

avvengono con una frequenza di 40 MHz in ciascuno dei quattro punti sperimentali. Una

volta iniettati ed accelerati i fasci possono essere mantenuti nella macchina per una durata

di tempo variabile, mediamente dell’ordine delle dieci ore. Ogni ciclo di funzionamento

conseguente all’iniezione dei fasci viene denominato fill.

Un parametro fondamentale negli acceleratori è la luminosità istantanea List definita come

la costante di proporzionalità nella formula:

𝑅 = 𝐿𝑖𝑠𝑡𝜎 (1.1)

dove R è il tasso di eventi e σ è la sezione d’urto del processo. R e σ sono legati dalla

relazione:

𝑅 = 𝜎

𝐼𝑝𝑁𝑏𝑒𝑟

𝐴

(1.2)

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con 𝐼𝑝 intensità del fascio proiettile incidente, 𝑁𝑏𝑒𝑟 numero dei bersagli e A l’area del

fascio trasversale. Quindi per un collisionatore come LHC considerando un fascio come

proiettile e tutti i pacchetti dell’altro fascio come bersagli si ottiene:

𝐿𝑖𝑠𝑡 = 𝑓𝑛𝑏

𝑛1𝑛2

4𝜋𝜎𝑥𝜎𝑦 (1.3)

dove 𝑛1 𝑒 𝑛2 sono il numero di particelle che formano i bunch di ciascun fascio, 𝑛𝑏 il

numero di bunch per fascio, 𝑓 la frequenza di rivoluzione, 𝜎𝑥 e 𝜎𝑦 le dimensioni

trasversali del fascio. Nel 2018 si è avuto a LHC 𝑛1 = 𝑛2 = 1011 protoni per bunch, 𝑛𝑏=

2808, f = 11kHz, 𝜎𝑥 = 𝜎𝑦= 15µm e si è ottenuto 𝐿𝑖𝑠𝑡 =1034𝑐𝑚−2𝑠−1.

Un altro parametro importante è la luminosità integrata 𝐿 che si ottiene integrando la

luminosità istantanea sul periodo di presa dati:

𝐿 = ∫ 𝐿𝑖𝑠𝑡 𝑑𝑡

(1.4)

Quindi per studiare i processi a bassa sezione d’urto è necessario avere una luminosità

integrata alta per ottenere un campione statistico di eventi sufficientemente grande.

LHC ha iniziato a produrre collisioni dal novembre 2009. Possiamo suddividere il periodo

di attività dell’acceleratore in diversi Run. Il primo, Run 1, si estende dal 2010 al 2012

operando a un’energia massima nel sistema del centro di massa di 8 TeV e raggiungendo

una luminosità integrata pari a 23,3 fb-1. A questa fase è seguito un periodo di due anni di

pausa tecnica (noto come Long Shutdown 1, LS1) nel quale sono stati apportati dei

Figura 1: Illustrazione dell’anello di LHC con indicati i quattro esperimenti principali.

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miglioramenti sia all’acceleratore che agli esperimenti. Tutto ciò ha permesso di innalzare

l’energia della macchina nel centro di massa per il Run 2 a 13 TeV. Le luminosità integrate

raccolte da CMS sono state 4.2 fb-1 nel 2015, 41.1 fb-1 nel 2016 , 50 fb-1 nel 2017 e

66 fb-1 alla fine del 2018 (figura 2).

L’incremento nel tempo della luminosità integrata in ciascun anno è stato reso possibile

sia dall’aumento dell’affidabilità della macchina, con la diminuzione dei tempi morti tra

un fill e l’altro, sia dall’aumento della luminosità istantanea massima raggiunta all’inizio

di ciascun fill, da 2×1032 cm-2s-1 nel 2010 fino a 2×1034 cm-2s-1 nel 2018.

1.2 Il programma di fisica del Large Hadron Collider

Grazie alle prestazioni eccellenti di LHC gli esperimenti (ATLAS, ALICE, CMS e LHCb)

hanno eseguito una grande varietà di misure di processi previsti dal Modello Standard

delle particelle elementari, quali la misura delle sezioni d’urto per la produzione di Z, W

e quark top, processi di QCD, ricerche sulla fisica del B. Tra i risultati più significativi

spicca la scoperta del bosone di Higgs da parte di ATLAS e CMS nel 2012 [2]. Molto

importante anche la misura dei branching ratio1 di rari decadimenti dei mesoni neutri Bs0

e B0 in due muoni da parte di CMS e LHCb e più recentemente ATLAS [3]. Inoltre, sono

stati cercati, ponendo limiti stringenti, svariati processi fisici previsti da modelli

alternativi al Modello Standard o da sue estensioni (“nuova fisica”). Il Run 2 è durato fino

1 Per un decadimento è la frazione di particelle che decadono in una certa modalità rispetto al numero

totale di particelle che decadono.

Figura 2: Schema temporale dei diversi RUN a partire dall’anno 2011.

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alla fine del 2018 quando è iniziato il Long Shutdown 2 (LS2). Il LS2 sarà seguito dal

Run 3 che inizierà nel 2021. Ci aspettiamo che vengano raccolti 300 fb-1, all’energia di

14 TeV nel centro di massa, entro la fine del 2023. Il Long Shutdown 3 (LS3) è

programmato tra il 2024 e la metà del 2026. Durante questo periodo la macchina LHC e

i relativi esperimenti verranno aggiornati per affrontare la fase ad alta luminosità di LHC

(HL-LHC) [4]. HL-LHC opererà con un’energia nel centro di massa di 14 TeV

mantenendo l’intervallo tra collisioni di 25 ns. HL-LHC è progettato per raggiungere una

luminosità istantanea tra 5×1034 cm-2s-1 e 7.5×1034 cm-2s-1. ATLAS e CMS raccoglieranno

luminosità integrate dell’ordine 300 fb-1 all’anno per un totale di 3-4000 fb-1 durante i

dieci anni previsti di funzionamento. La grande statistica di dati disponibile permetterà di

attuare un programma di misure di precisione sulle proprietà del bosone di Higgs e dei

suoi accoppiamenti alle altre particelle. Verranno effettuati test ancora più stringenti sui

processi previsti dal Modello Standard e verrà ampliato il campo di indagine sulle sue

possibili estensioni.

1.3 Il Compact Muon Solenoid

Il rivelatore CMS (Compact Muon Solenoid) [5] è uno degli apparati posti nelle quattro

zone sperimentali dove vengono fatti collidere i fasci di LHC. È stato concepito per

effettuare un’ampia varietà di misure (esperimento “general purpose”), inclusa la ricerca

e lo studio del bosone di Higgs o la ricerca di nuove particelle non previste dal Modello

Standard. CMS utilizza un sistema di coordinate destrorso: l’asse x è diretto verso il

centro dell’anello, l’asse y è diretto verso l’alto e l’asse z è diretto lungo il fascio. Si

utilizzano l’angolo azimutale φ, misurato dall’asse x nel piano x-y, l’angolo polare θ che

scorre in senso antiorario, misurato dall’asse z, e la coordinata radiale r.

Per descrivere la cinematica delle collisioni si utilizzano i seguenti invarianti di Lorentz:

l’impulso trasverso 𝑝𝑇 e la rapidità y. Il primo è la proiezione dell’impulso sul piano x-

y:

𝑝𝑇 = √𝑝𝑥

2 + 𝑝𝑦2

(1.5)

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La rapidità di una particella è definita dalla relazione:

y =

1

2ln (

E + pz

E - pz)

(1.6)

dove E è l’energia e pz l’impulso longitudinale. Se la massa della particella è trascurabile

rispetto all’energia, allora la rapidità può essere approssimata dalla pseudorapidità 𝜂,

definita da:

𝜂 = − ln (𝑡𝑎𝑛 (

𝜃

2))

(1.7)

CMS è ottimizzato per identificare le particelle che vengono prodotte nelle collisioni,

misurandone gli impulsi e le energie. Ha una struttura centrale cilindrica, detta barrel,

chiusa alle due estremità da una struttura, detta endcap. Ciascuna di queste strutture

include vari strati di rivelatori diversi che permettono la misura e l’identificazione di

particelle di natura diversa (figura 3).

Al centro, vicino al punto di collisione dei fasci, abbiamo il tracciatore a silicio che

ricostruisce la traiettoria delle particelle cariche e ne misura l’impulso trasverso fino a

una pseudorapidità |𝜂| <2.5. Procedendo dal punto di collisione ed andando verso

Figura 3: Schema dei diversi rivelatori del CMS con alcune possibili traiettorie per le

particelle prodotte nelle collisioni.

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l’esterno, la regione del barrel del tracciatore è costituita da quattro strati di rivelatori a

pixel in silicio seguiti da dieci strati di rivelatori a microstrip di silicio. Nella regione

dell’endcap il tracciatore è completato da tre dischi di rivelatori pixel e dodici dischi di

rivelatori a microstrip in silicio.

All’esterno del tracciatore abbiamo un calorimetro elettromagnetico (ECAL), ottimizzato

per la misura dell’energia di elettroni e fotoni fino a |𝜂|<3, seguito da un calorimetro

adronico (HCAL) che permette la misura dell’energia degli adroni fino a |𝜂|<5.

Procedendo verso l’esterno si trova il magnete superconduttore che genera al suo interno

un campo magnetico solenoidale, B, di 3.8 T che deflette le particelle cariche e permette

di misurare il segno della carica, q, e l’impulso secondo la relazione:

𝑝𝑇 = 𝑞𝐵𝜌 (1.8)

dove 𝜌 è il raggio di curvatura espresso in metri, B in Tesla, q in unità della carica

elementare dell’elettrone e 𝑝𝑇 in GeV/c .

Nella regione più esterna, si trovano le camere a muoni composte da quattro stazioni di

camere a deriva (drift chambers) nella regione del barrel e le stazioni di camere a lettura

catodica (Cathode Strip Chambers) nell’endcap. Data l’elevata frequenza dei bunch

crossing, 40 MHz, è impossibile trasferire tutti i dati relativi ad ogni collisione. Si rende

quindi necessario filtrare gli eventi che vengono registrati dal sistema di acquisizione

tramite un sistema di trigger che in CMS è organizzato su due livelli. Il primo livello di

trigger (L1) è composto da circuiti logici programmabili: FPGA (Field Programmable

Gate Array) e ASIC (Application Specific Integrated Circuit). L1 riduce il tasso di eventi

da 40 MHz a circa 100kHz, mantenendo un tempo di latenza di 3.6 µs. Il L1 è basato sulle

informazioni in tempo reale fornite dall’elettronica dei calorimetri (ECAL ed HCAL) e

da un sofisticato sistema che correla i segnali forniti dallo spettrometro a muoni. I dati

rivelati dal tracciatore centrale vengono immagazzinati nelle pipeline dell’elettronica di

front-end sui moduli del rivelatore e sono inviati al sistema di acquisizione centrale

(DAQ) solo in seguito ad una decisione positiva di L1. Il secondo livello è denominato

High Level Trigger (HLT) ed è progettato per ridurre l’output finale a un rate di 100-300

Hz. L’HLT è basato su un potente sistema di CPU che lavorano in parallelo. Ciascuna di

queste raccoglie dai vari rivelatori i dati relativi allo stesso evento, eseguendo una

ricostruzione parziale. Sulla base di algoritmi di analisi differenziati per i vari canali di

fisica, vengono così filtrati gli eventi più interessanti.

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1.3.1 L’upgrade di CMS per la fase ad alta luminosità di LHC

Per svolgere il programma di fisica previsto da HL-LHC e sfruttare l’aumentata

luminosità della macchina, gli esperimenti dovranno potenziare in modo rilevante i loro

apparati durante il LS3. L’insieme di questi aggiornamenti viene comunemente indicato

come “upgrade di fase 2”.

Viene definito come pile up il numero di collisioni p-p che avvengono nello stesso bunch

crossing. La luminosità istantanea è proporzionale al pile up istantaneo. Questo ha

raggiunto il valore di 53 eventi durante il Run 2. Durante HL-LHC ci si aspetta un pile

up medio tra 140 e 200 eventi per collisione.

Un problema rilevante sarà l’alto livello di radiazione alla quale sono sottoposti i

rivelatori. Tramite accurate simulazioni Monte Carlo si stima che in corrispondenza di

una luminosità integrata di 3000 fb-1 i rivelatori, posti a 10 cm dalla linea dei fasci (come

ad esempio il primo strato del tracciatore di CMS), saranno sottoposti ad una fluenza, in

termini di neutroni equivalenti a 1 MeV di energia, pari a 2,3×1016 neqcm-2 e assorbiranno

una dose di radiazione ionizzante di 12 MGy.

Per aumentare la selettività di L1 verranno usate le informazioni in tempo reale che grazie

all’upgrade verranno fornite dal tracciatore esterno (figura 4).

Figura 4: Schema del trigger di CMS in cui viene mostrata come cambieranno il tasso di

eventi e la latenza del trigger L1 e HLT dalla fase attuale a quella di HL-LHC (evidenziata

in giallo).

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1.4 Il tracciatore di CMS per la fase ad alta luminosità di LHC

L’intero sistema del tracciatore a silicio verrà sostituito con uno nuovo [6] che consisterà

in un tracciatore interno (Inner Tracker, IT) composto da sensori a pixel in silicio e un

tracciatore esterno (Outer Tracker, OT) composto da sensori a strip e macro-pixel in

silicio (figura 5). Al nuovo tracciatore verranno richieste prestazioni particolarmente

avanzate, in particolare una maggiore tolleranza al danno da radiazione, poiché deve

essere pienamente efficiente fino a una luminosità integrata di 4000 fb-1. Questo risultato

dovrà essere raggiunto senza alcuna manutenzione per il tracciatore esterno, mentre per

il tracciatore interno viene lasciata la possibilità di estrarre completamente il rivelatore

durante periodi prolungati di fermo della macchina per eseguire eventuali interventi di

riparazione o di sostituzione. Per esempio, dopo alcuni anni potrebbe essere necessario

sostituire il primo layer dell’Inner Tracker se il danneggiamento da radiazione dei sensori

e dell’elettronica di lettura risultasse troppo elevato. Dovrà essere aumentata la

granularità del rivelatore per migliorare la separazione delle tracce in presenza di alti

livelli di pile up e diminuire l’occupanza dei canali di elettronica che deve essere tenuta

al di sotto del per cento nell’OT e al di sotto del per mille nell’IT. Infine dovrà consentire,

rispetto al rivelatore attuale, una migliore risoluzione sul parametro d’impatto

longitudinale e trasversale ottenuta limitando il materiale, che genera scattering multiplo

nel volume del tracciatore.

Figura 5: Schema di un quarto del layout del nuovo tracciatore di CMS sul piano r-z.

Sono messe in evidenza le diverse disposizioni dei sensori nei vari strati dell’Inner

Tracker e dell’Outer Tracker.

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L’accettanza verrà estesa dalla nuova geometria del rivelatore assicurando una tracciatura

efficiente fino a |𝜂|<4.

Il disegno del tracciatore interno (figura 6) sarà composto da quattro strati cilindrici (a

cui ci si riferisce come Tracker Barrel Pixel Detector, TBPX), nel barrel, e sarà

completato da otto piccoli doppi dischi (Tracker Forward Pixel Detector, TFPX) e quattro

larghi doppi dischi (Tracker End-cap Pixel Detector, TEPX) ad entrambi i lati. Nella

regione del barrel i moduli in ogni strato, che si trovano su ladder2 vicini, sono montati

sfalsati in modo che si sovrappongano lungo r e φ, ma non lungo z. Un possibile gap per

𝜂=0 viene evitato montando un numero dispari di moduli lungo z e dividendo la

meccanica del barrel in due metà leggermente asimmetriche in z. Nelle regioni TFPX e

TEPX i moduli sono organizzati in anelli concentrici, di cui ogni strato è composto

fisicamente da due dischi. Ciò permette di montare facilmente i moduli su quattro piani

che si sovrappongono lungo r e r-φ. In totale il rivelatore a pixel avrà una superficie attiva

di 4.9 m2. Questo rivelatore così complesso e compatto con una grande superficie attiva

richiede un’attenta implementazione dei servizi. Il rivelatore necessita di una potenza

totale di circa 50kW fornita attraverso un’alimentazione seriale che rispetto ad uno

schema tradizionale di alimentazione in parallelo consente di contenere la quantità di

materiale riducendo il numero dei cavi di alimentazione. La potenza dissipata dai moduli

(di circa 1Wcm-2) sarà rimossa da un sistema di raffreddamento a CO2. Tramite un

sofisticato sistema di linee elettriche di comunicazione (e-links) i chip di lettura di

ciascun modulo sono collegati ad un Low-power Gigabit Transceiver (LpGBT) [7]

posizionato alla periferia dei rivelatore, sul guscio cilindrico che racchiude l’Inner

Tracker. Quest’ultimo sarà collegato attraverso fibre ottiche all’elettronica di back-end

situata all’esterno dell’esperimento in sala conteggio che assicura la presa dei dati ed il

controllo del rivelatore.

Per quanto riguarda il tracciatore esterno, il barrel sarà composto da sei strati cilindrici e

sarà chiuso alle estremità da cinque dischi nella regione dell’endcap. I primi tre strati

cilindrici usano moduli con sensori a strip e a macro-pixel (moduli PS) mentre negli ultimi

tre si usano moduli con sensori a due strip (moduli 2S).

Al fine di consentire una maggiore selettività del trigger, il tracciatore esterno contribuirà

alle decisioni di L1. Questo è uno degli scopi principali considerati nella progettazione

2 I ladder sono una struttura meccanica su cui vengono montati i moduli.

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dell’ OT. Per utilizzare nel trigger di L1 le informazioni del tracciatore è necessaria

l’elaborazione dei dati provenienti dai vari strati del rivelatore da parte di un sofisticato

sistema che esegua in tempo reale la pattern recognition ed il fit delle traiettorie delle

particelle cariche nel campo magnetico interno. Il sistema pensato è un sofisticato track

trigger basato su FPGA. Per rendere possibile il suo funzionamento è necessario filtrare

preventivamente la molteplicità dei segnali in ingresso, accettando solo quelli relativi a

particelle con impulso trasverso superiore a 2 GeV/c. È affidato ai moduli dell’OT il

compito di effettuare questo filtro prima di inviare le informazioni al track trigger. Per

questo i moduli dell’OT sono costituiti da doppietti di sensori. Grazie all’elettronica di

cui sono dotati, riescono a correlare i segnali dei due sensori sulla base della rigidità della

traiettoria delle particelle.

Figura 6: Il disegno meccanico di un quarto del tracciatore interno. Questo è composto

da quattro strati cilindrici (TBPX) nel barrel, ed è completato da otto piccoli doppi dischi

(TFPX) e quattro larghi doppi dischi ad entrambi i lati (TEPX).

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Capitolo 2

Struttura dei moduli di rivelatore a pixel di silicio

dell’Inner Tracker

2.1 Il chip di lettura

Uno dei componenti più critici dell’Inner Tracker è il chip di readout (ROC) che deve

resistere ad alte fluenze, deve poter leggere sia sensori con pitch 25×100 µm2 che

50×50 µm2 e sostenere alti rates (3GHz/cm2) di acquisizione. Le collaborazioni CMS e

ATLAS hanno contribuito allo sviluppo di un chip di readout innovativo, che prende il

nome dalla collaborazione CERN che ne ha portato avanti lo sviluppo denominata RD53

(RD sta per Research & Development) [8]. Il chip è realizzato in tecnologia CMOS

(Complementary Metal-Oxide Semiconductor) a 65 nm a alta densità. È stato posto come

obiettivo minimo realistico quello di avere un chip resistente alla radiazione fino a una

dose totale di 500 Mrad. Poiché i livelli di radiazione attesi corrispondono a

100Mrad/anno per lo strato più interno del barrel, si prevede che questo layer andrà

Figura 7: Schema della struttura base dei moduli a pixel dell’IT. Si possono vedere il

circuito flessibile in Kapton detto HDI, il sensore a pixel, il ROC a cui è collegato tramite

bump bonding e il supporto meccanico.

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sostituito dopo cinque anni di utilizzo a piena luminosità.

La carica verrà raccolta, amplificata, formata e digitalizzata con una risoluzione a 4 bit a

40 MHz, usando il metodo Time over Threshold (ToT), nel quale l’ampiezza del segnale

viene misurata dal tempo che questo resta sopra una certa soglia.

I segnali sono immagazzinati durante la latenza del trigger di 12.5 µs. Quando i dati di

una collisione vengono accettati dal primo livello di trigger di CMS (L1), sono estratti

dalla memoria ed indirizzati tramite linee differenziali digitali elettriche (e-link da

1.28 Gb/s) ai LpGBTs. Tramite link ottici da 10 Gb/s i segnali sono inviati al back-end

del sistema di acquisizione. Gli e-link sono necessari perché i LpGBTs e i link ottici non

possono sopportare una dose superiore a 100 Mrad o fluenze superiori ad 1×1015 adroni

per cm2 e devono pertanto essere posti a un raggio esterno a maggiore distanza dalla linea

dei fasci (r ≅ 20 cm) di IT. Il primo prototipo di ROC, RD53A [9], ha dimensioni

11.8×20mm2 e 76800 canali di lettura disposti su 400 colonne per 192 righe. RD53A

include tre tipi di front-end sostanzialmente diversi tra loro ed implementati su gruppi di

colonne diverse del chip allo scopo di studiare le loro prestazioni. I tre tipi di front-end

sono: Sincrono, Lineare e Differenziale, la cui disposizione sul chip è riportata in figura

8. Il primo usa uno schema auto-azzerante che periodicamente acquisisce una baseline,

che consente di evitare la procedura di aggiustamento fine della soglia canale per canale.

Il front-end lineare è il più tradizionale dei tre e utilizza un amplificatore lineare la cui

Figura 8: Le tre regioni di front-end di RD53A (sincrono, lineare e differenziale) e il numero

di colonne di ognuna.

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uscita è collegata a un discriminatore che la compara ad una tensione di soglia. Il front-

end differenziale utilizza uno stadio di guadagno differenziale prima del comparatore che

permette di regolare la soglia. La matrice di canali non è divisa in parti uguali, ma il front-

end Sincrono è composto da 128 colonne, mentre gli altri due sono composti da 136

colonne.

2.2 I servizi dell’Inner Tracker

Nei moduli di rivelatore dell’Inner Tracker gli elettrodi di raccolta del segnale sul sensore

sono connessi elettricamente ai rispettivi canali del ROC tramite la tecnologia del bump

bonding. Sull’altro lato del sensore viene fissato, tramite una colla speciale, un circuito

stampato su supporto flessibile in kapton, detto high density interconnect (HDI), in figura

9, che viene connesso al ROC tramite microsaldature. L’HDI ospita i connettori e i

componenti passivi; in particolare assicura la connessione del ROC al sistema di

alimentazione (Low Voltage), distribuisce la tensione di bias (High Voltage) al sensore e

fornisce la connessione agli e-link che connettono il modulo al LpGBT.

Per alimentare i moduli di IT, CMS è orientato verso un innovativo schema di

alimentazione seriale mai utilizzato prima in un esperimento ad alte energie. In tale

sistema il generatore fornisce una corrente ad una catena di moduli collegati in serie. In

un sistema in parallelo tutti i moduli sono allo stesso potenziale e la corrente totale erogata

è la somma delle correnti fornite a ciascun modulo. In un sistema seriale la corrente è la

Figura 9: Disegno del circuito flessibile HDI dei moduli a pixel per l’Inner Tracker che

mostra i connettori per il serial Powering e gli e-link che permettono di collegare il chip

alle port-card situate nella periferia del rivelatore. Tramite questi link avviene il controllo

del modulo e l’acquisizione del segnale.

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stessa per tutti i moduli, mentre il riferimento di potenziale cambia localmente. In questo

modo la corrente fornita dal generatore è minore, la potenza dissipata nei cavi è ridotta e

i cavi possono essere più sottili e meno numerosi, riducendo il materiale nel rivelatore.

Bisogna tener conto che il consumo di ciascun ROC dipende da come è stato configurato,

dal rate delle comunicazioni e dalle operazioni logiche eseguite istante per istante.

L’alimentazione seriale fornisce un livello di potenza stabile e quindi deve fornire sempre

un surplus di corrente per far fronte ai picchi di assorbimento. Un circuito di shunt,

presente in ciascun nodo della catena di alimentazione, assicura che la corrente possa

scorrere in tutta la catena, indipendentemente dalla potenza richiesta da ciascun nodo e

senza creare sovratensioni locali che danneggerebbero l’elettronica. Accoppiato allo

shunt c’è un circuito Low Drop Out3 (LDO) che è capace di assicurare localmente la

tensione richiesta dai circuiti all’interno del ROC, partendo da una tensione leggermente

più alta. L’insieme delle due funzionalità (shunt e LDO) viene fornito da un elemento

circuitale, denominato ShuntLDO, presente all’interno del chip RD53, che rende questo

chip compatibile con lo schema di alimentazione seriale.

2.3 Sensori a pixel dell’Inner Tracker

I sensori a pixel in silicio dovranno essere adeguati alle alte prestazioni richieste dal

rivelatore riguardo alla resistenza alla radiazione, risoluzione dell’impulso e granularità.

A differenza della Fase 1, in cui si utilizzava una tecnologia n-in-n [10], per la Fase 2 sarà

utilizzata una tecnologia n-in-p, nella quale impianti di tipo n vengono realizzati su un

substrato di tipo p. Uno dei problemi dei sensori con substrato di tipo n è che, sottoposto

a dosi intense di radiazione ionizzante, il substrato di tipo n va incontro a un fenomeno di

inversione e si trasforma in un substrato di tipo p. Questo fenomeno cambia la dinamica

dello svuotamento del sensore, che non si origina più dalla giunzione con l’impianto, ma

dalla giunzione creata dal contatto ohmico con il generatore di tensione. Questo implica

che il sensore diventa inefficiente se non viene raggiunto lo svuotamento completo e

quindi richiede tensioni di contropolarizzazione che crescono all’aumentare della dose

assorbita fino al raggiungimento della tensione di breakdown. Nei sensori n-in-p il

segnale proviene dagli elettroni creati per ionizzazione dal passaggio di particelle cariche;

3 Gli LDO convertono una tensione di ingresso DC in una tensione in uscita DC inferiore che rimane

stabile anche con tensioni di ingresso variabili purché siano maggiori di quella in uscita.

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questi hanno una mobilità maggiore rispetto alle lacune, permettendo di raccogliere il

segnale in tempi più brevi. Per questi motivi i sensori n-in-p sono preferiti nella fase 2 in

cui avremo alte intensità di radiazioni ionizzanti.

Per aumentare la granularità del tracciatore interno sono stati presi in considerazione due

tipi di pitch per i sensori a pixel: celle da 25×100 µm2 e celle da 50×50 µm2. Queste celle

sono circa sei volte più piccole rispetto a quelle dei sensori del rivelatore a pixel attuale

di CMS. È allo studio quale delle due configurazioni offra una prestazione migliore.

Visto l’alto livello di radiazioni si preferiscono sensori sottili che consentono una tensione

di svuotamento più bassa e producono correnti di leakage più piccole.

Per questo lo spessore attivo dei sensori sarà diminuito rispetto alla Fase 1 e passerà da

285 µm a 100-150 µm. D’altra parte, con uno spessore minore la carica raccolta sarà più

bassa e dunque il segnale inviato sarà più piccolo e ciò richiede un’elettronica di lettura

più raffinata.

Sono allo studio due tecnologie per la realizzazione del sensore, una più tradizionale,

planare, e una detta 3D. Mentre nei sensori planari gli elettrodi sono costituiti da un sottile

impianto sulla superficie del substrato, nei 3D gli elettrodi hanno forma cilindrica e

penetrano attraverso tutto lo spessore (figura 10). Questa geometria consente di realizzare

sensori dove la distanza tra gli impianti di raccolta del segnale e gli impianti di

polarizzazione è sensibilmente più piccola rispetto ad un sensore planare. Ciò implica che

Figura 10: Sezione di un sensore planare, a sinistra, e un sensore 3D, a destra. Si nota il

diverso comportamento nella raccolta della carica e il minor cammino dei portatori di

carica. Lo schema esemplifica sensori p-in-n, mentre per l’upgrade di fase 2 di CMS è

previsto l’impiego di sensori n-in-p.

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la regione da svuotare è più piccola ed il sensore richiede tensioni molto inferiori per

funzionare. Il cammino dei portatori di carica è inferiore e quindi l’efficienza di raccolta

del segnale risente meno del danno da radiazione, che crea difetti trappola nel silicio.

Anche il tempo di raccolta del segnale è più breve. Tutto questo senza ridurre l’ampiezza

del segnale creato dalle particelle, che dipende dallo spessore della regione attiva del

sensore attraversata.

Gli svantaggi di un sensore 3D sono i costi più alti, la fabbricazione più complessa e la

capacità più alta vista da ciascun canale di elettronica. Per questo si pensa di utilizzarli

solo nel primo strato del TBPX e nell’anello più interno del TFPX.

2.4 Attività di calibrazione dei rivelatori a pixel

Il primo ROC sviluppato, denominato RD53A, è attualmente in fase di test. Durante il

lavoro di tesi ho preso parte al test dei primi moduli a pixel realizzati con il chip RD53A.

In laboratorio è stato realizzato un sistema per accendere e controllare i moduli a pixel

con RD53A. Successivamente lo stesso sistema di controllo ed acquisizione è stato

utilizzato nel corso di studi al CERN nei quali i moduli sono stati sottoposti ad un fascio

di test.

2.4.1 Il sistema di test in laboratorio

Il chip RD53A è montato su una scheda elettronica denominata Single Chip Card4 (SCC.

In laboratorio è stata usata una Bonn Card5) alla quale è connesso tramite microsaldature.

La SSC assicura i collegamenti che consentono l’alimentazione, il controllo e

l’acquisizione del chip.

La SCC comunica, tramite un adattatore FMC, con una scheda FPGA (Field

Programmable Gate Array) collegata alla scheda di supporto XILINX KC705 (figura 11).

Il sistema di controllo e di acquisizione è basato sul software BDAQ [11] sviluppato

dall'Università di Bonn. La FPGA viene programmata collegandola tramite USB al PC e

utilizzando il software fornito dal produttore. Successivamente da PC è possibile

controllare il rivelatore ed acquisire i dati tramite la FPGA. La tensione al sistema è

fornita da un alimentatore Agilent, tramite due canali distinti a bassa tensione (tra 1.2 e

4 Adattatore passivo sviluppato per testare il chip RD53 e connetterlo all’elettronica e all’alimentazione. 5 SCC sviluppata dall’università di Bonn

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2.0 V). Il chip RD53A prevede infatti alimentazioni separate per le parti che

sovrintendono rispettivamente alla lettura analogica del segnale ed alla comunicazione

digitale. Poiché RD53A è un prototipo, si è lasciata la possibilità di configurarlo tramite

appositi jumper in modo da poter decidere se utilizzare uno schema di alimentazione con

ShuntLDO, solo LDO, o diretta. Il valore della tensione di input richiesta differisce a

seconda della configurazione. Utilizzando un’alimentazione con ShuntLDO si usa una

tensione di input che va da 1.5V a 2.0V, mentre per un’alimentazione diretta si va da 1.2V

a 1.3V.

2.4.2 Calibrazione di un modulo di rivelatore a pixel

Per rendere un modulo operativo è necessario trovare i valori adeguati per i registri e i

Digital to Analog Converter (DAC) presenti nel ROC.

I test vengono effettuati eseguendo sul computer alcuni script in python [12] che

trasferiscono ai registri del chip i parametri di configurazione salvati all’interno di un file

in formato yaml. Questi test possono essere effettuati anche in assenza del sensore sul

solo chip e permettono di controllare le funzionalità del chip attraverso delle procedure

(scan) che vengono programmate anche loro tramite file di configurazione in formato

yaml.

In laboratorio mi sono occupato della procedura di calibrazione dei chip eseguendo in

Figura 11: Setup di laboratorio per collegare il chip all’hardware di readout. In figura si

osservano la FPGA (in nero), l’adattatore FMC (in rosso) e la SCC (in giallo).

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successione le procedure di:

• Scan_digital

• Scan_analog

• Threshold

• Tuning

Tramite lo scan_digital (figura 12) il chip è capace di simulare l’iniezione di un segnale

digitale che replica una carica specifica, iniettandola in solo pochi canali alla volta. In

questo modo si misura la risposta e l’efficienza di questi e si verifica il funzionamento

della parte digitale del chip.

In maniera simile si può controllare la parte analogica tramite il comando scan_analog,

in modo da verificare il funzionamento della parte analogica del chip. Il circuito di

iniezione usa due tensioni in corrente diretta, detti VCAL_MED, a un valore fisso, e

VCAL_HIGH, che può variare tra due valori. Queste tensioni permettono di avere un

voltaggio differenziale preciso e indipendente da variazioni del riferimento elettrico del

chip.

Altra procedura importante è lo scan_threshold che permette di vedere come varia

l’efficienza in funzione del variare della carica iniettata definita dal parametro Vcal (che

corrisponde a circa 10.8 elettroni per unità). Il valore più basso del DAC, VCAL_MED,

è fisso, mentre VCAL_HIGH varia tra due valori con un range e un passo che è possibile

modificare. Da questo test possiamo ricavare la cosiddetta S-curve, in figura 13, che

mostra l’efficienza di risposta dei pixel al variare di Vcal. Solitamente si ha una regione

iniziale in cui l’efficienza è nulla per poi avere una crescita fino a raggiungere un plateau

con efficienza del 100%. Da un fit di questa curva è possibile determinare il valore della

tensione di soglia, in figura 14, e una stima del rumore medio sui canali di un chip ottenuta

dalla larghezza della distribuzione.

Tramite la procedura di calibrazione (tuning) dei canali si esegue la regolazione fine della

soglia, che sta alla base del meccanismo ToT, canale per canale. La soglia per ciascun

canale è determinata da due parametri: uno determina la soglia globale, l’altro determina

la regolazione fine di ogni singolo canale (con una precisione di 4 bit). Lo scopo della

procedura è quello di equalizzare la risposta dei canali del chip, ottenendo al tempo stesso

la soglia più bassa possibile (corrispondente ad un segnale di circa 1000 e-, considerato

che il rivelatore deve essere in grado di rivelare efficientemente le particelle al minimo di

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ionizzazione, MIP). Ad ogni passo della procedura iterativa la risposta dei canali viene

equalizzata, mentre viene progressivamente ridotta la soglia globale. I canali troppo

rumorosi vengono “mascherati” ed esclusi dall’acquisizione.

Si possono ricavare anche altre informazioni. Per esempio un grafico della distribuzione

della Time over Threshold . È possibile inoltre, modificando nel file di configurazione i

parametri che gestiscono da quale colonna iniziare e finire lo scan, selezionare solo una

delle tre regioni del front-end invece che tutto il chip.

Figura 12: Efficienza di risposta (in termini di occupancy per 100 impulsi in ingresso) di

tutti i canali (400 colonne x 192 righe) di un chip RD53A in seguito ad una procedura di

digital scan.

192 righe) di un chip RD53A in seguito ad una procedura di digital scan

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Figura 13: S-Curve per i pixel del front-end lineare , che mostra l’efficienza di risposta

(in termini di occupancy per 100 impulsi in ingresso) dei pixel al variare di Vcal. Nessun

pixel è stato mascherato, per cui il grafico mostra i dati delle 136 colonne x 192 righe

relative al FE lineare.

Figura 14: Distribuzione della soglia per il front-end lineare. Da un fit di questa curva

viene scelta la soglia.

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Capitolo 3

Test dei rivelatori a pixel su fascio

Parte del lavoro di tesi si è svolto al CERN di Ginevra presso la North Area Test Beam6

Facilities EHN1 nel sito di Prevessin (figura 15).

In quest’area abbiamo potuto effettuare test su diversi tipi di moduli per caratterizzarne il

funzionamento in base alla carica raccolta, l’efficienza e la dipendenza di questa dalla

tensione di polarizzazione applicata ai sensori.

Questo test è parte di un più ampio programma di test su fascio che è iniziato a giugno

del 2018 e che porterà allo sviluppo del chip di lettura e dei sensori che saranno utilizzati

nei diversi strati di IT.

3.1 L’area di test “H6” al CERN

I moduli pixel per l’upgrade di CMS sono stati provati presso la beam line H6 [13] che è

un fascio di particelle secondario che fornisce adroni o elettroni di energia fino a 205

GeV/c con un’intensità massima di 1012 protoni per burst. Il fascio di protoni a 450 GeV/c

è estratto dal SPS e diretto sul bersaglio principale T4 [14] e da questo sono estratti tre

fasci secondari, tra i quali quello di H6.

6 Un Test Beam è un fascio di particelle che permette di accertarci delle caratteristiche di un rivelatore di

particelle e fornisce informazioni complementari alle simulazioni e ai test in laboratorio.

Figura 15: Linee del fascio secondario della North Area Test Beam Facilities, EHN1 nel

sito di Prevessin.

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Tramite terminali presenti nella sala di controllo (posta sopra la linea di test) è possibile

controllare il fascio, operando sui magneti e i collimatori sulla base di file di

configurazione preimpostati, per determinarne l’energia, la composizione ed il

focheggiamento .

3.2 Il telescopio Aida

Per caratterizzare i rivelatori è necessario un sistema che permetta la ricostruzione delle

tracce incidenti sui moduli. Questo compito è svolto dal telescopio Aida7 che fa parte di

una più grande famiglia di telescopi detta Mimosa nata dal progetto EUDET [15] (e

successivamente AIDA [16]) prima del 2010 costruiti per fornire un telescopio a pixel ad

alta risoluzione e capace di operare in campi magnetici maggiori di 1T.

Questo telescopio è composto da sei piani di sensori numerati da 0 a 5, tre a monte dei

moduli che vengono testati, chiamati Device Under Test (DUT), e tre a valle, come si

vede in figura 16. Questi possono essere mossi tutti assieme e si possono variare le

distanze tra i tre piani, a monte e a valle, da 2,5 cm a 15 cm, in modo da integrare nel

modo voluto i DUT. Tale geometria definisce la risoluzione del telescopio e la miglior

configurazione dipende dallo spessore dei DUT e dall’energia del fascio. Il telescopio è

montato su un tavolo di supporto che può essere ruotato in modo da allineare i sei piani

del telescopio rispetto all’asse del fascio. Per posizionare i DUT può essere usato un

7 Il telescopio usato nel test beam si chiama Aida come anche il progetto AIDA nato successivamente a

EUDET.

Figura 16: A sinistra, setup del telescopio Aida con tre DUT. A destra sezione dei diversi

piani del telescopio numerati da 0 a 5 e in mezzo tre DUT.

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tavolo ad alta precisione che consente di muoverli orizzontalmente, verticalmente e

ruotarli. Nel sistema di riferimento usato l’asse Z è diretto lungo il fascio, l’asse Y è

ortogonale al fascio e punta verso l’alto e l’asse X è posto in modo da formare una terna

ortogonale.

I sensori del telescopio, detti Mimosa 26, devono avere un’alta granularità e devono

essere sottili. Tali caratteristiche sono raggiunte usando sensori di tipo MAPS (Monolithic

Active Pixel Sensors) realizzati con tecnologia CMOS a 350 nm e consistono in 576×1152

pixel con un pitch di 18.4 µm che risulta in un’area attiva di 10.6×21.2 mm2.

Il sistema di raffreddamento mantiene i sensori del telescopio a una temperatura di 18 °C.

Il sistema di acquisizione dati è basato su una scheda elettronica appositamente sviluppata

( EUDET Data Reduction Board EUDRB). I dati sono poi compressi e mandati attraverso

Ethernet al PC principale per la DAQ.

Il telescopio è equipaggiato con quattro scintillatori accoppiati a dei fotomoltiplicatori

(PMT) che hanno un’area di 10×20 mm2 che copre la superficie dei sensori e sono

utilizzati come trigger. Due sono posti prima del piano 0, due dopo l’ultimo piano.

Il sistema di trigger è implementato tramite la trigger logic unit (TLU). In presenza di

segnali in coincidenza dagli scintillatori a monte ed a valle del telescopio, la TLU invia il

segnale di trigger ai moduli del telescopio ed ai rivelatori sotto test.

I PC del DAQ e l’hardware del telescopio sono posizionati nelle vicinanze del rivelatore

Figura 17: Il setup completo col telescopio. I rivelatori sotto test sono all’interno della

scatola nera al centro, raffreddati tramite ghiaccio secco.

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e sono controllati da remoto tramite un PC situato nella sala di controllo.

3.3 Sistema di acquisizione dei dati

Dopo aver verificato il funzionamento del telescopio, abbiamo sistemato i DUT seguendo

uno schema di collegamento simile a quello realizzato in laboratorio a Firenze, con i

moduli montati sulle SCC collegate a schede FPGA e a sua volta collegate al sistema di

acquisizione dati. Per l’alimentazione della parte analogica e di quella digitale vengono

usati gli stessi valori di tensione utilizzati a Firenze e riportati in precedenza. Alimentatori

separati hanno fornito le alimentazioni di “alta tensione” (high voltage, o HV) per la

polarizzazione dei sensori e “bassa tensione” (low voltage, o LV). Lo high voltage è stato

variato tra 0 e 160 V per studiare l’efficienza al variare della zona di svuotamento.

Dal PC della sala controllo si accede (da remoto) al PC di controllo del test che fornisce

l’interfaccia grafica che permette di controllare i diversi processi per il controllo dei

rivelatori Mimosa e dei rivelatori sotto test.

Una volta verificato che tutte le componenti siano funzionanti si esegue una procedura di

calibrazione dei moduli analoga a quella effettuata in laboratorio e descritta in

precedenza. Quindi si procede, abilitando il fascio, alla raccolta dei dati.

La posizione relativa dei sensori sotto test viene calcolata, durante l’analisi, tramite una

Figura 18: Schema dell’acquisizione dati del telescopio EUDET. Dal segnale di trigger

fino al terminale della sala di controllo.

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procedura iterativa di allineamento che minimizza i residui tra la posizione dei segnali sui

sensori del DUT e quella prevista estrapolando le tracce ricostruite dal telescopio. Questa

procedura avviene in due fasi: nella prima si considerano solo i gradi di libertà (X e Y)

dei sensori, raggiungendo tipicamente una precisione di 100 μm. Nella fase successiva si

considera un numero maggiore di gradi di libertà dei moduli, includendo le rotazioni.

Durante la presa dati il software genera una serie di istogrammi di controllo che

permettono di monitorare la qualità dei dati. I segnali provenienti da pixel adiacenti sono

associati nel software di ricostruzione in modo da formare i cosiddetti cluster. Il

baricentro dei segnali in un cluster identifica la posizione di passaggio della particella.

3.4 Attività di test e risultati

Nell’ambito del programma per lo sviluppo dei sensori dell’Inner Tracker di CMS sono

stati effettuati vari test su fascio. Il più recente si è svolto, in più riprese, durante il mese

di ottobre 2018. Ho partecipato al test effettuato tra il 24 ed il 31 ottobre, condotto dal

gruppo CMS di Firenze e quello di Cantabria.

Sono stati studiati un totale di quattro moduli planari, di cui due con pitch 25×100 µm2 e

due 50×50 µm2, e tre moduli 3D, di cui due 25×100 µm2 e l’ultimo 50×50 µm2.

Di questi, due moduli 3D con pitch differente, sono stati precedentemente irraggiati con

fluenze di 1×1016neqcm-2. I sensori hanno uno spessore attivo che varia tra i 100µm e i

150µm, e uno spessore complessivo che va da 150 µm a 200 µm.

Nome sensore Tipo Pitch µm2 Spessore attivo Irraggiato

W398-7 Planare 50x50 130µm No

W352-4 Planare 50x50 100µm No

507 Planare 25x100 150µm No

509 Planare 25x100 150µm No

W3_x3_y2 3D 25x100 130µm Sì

W91_x1_y3 3D 50x50 130µm Sì

W3_x3_y1 3D 25x100 130µm No

Tabella 1 Moduli a pixel provati durante il test su fascio del 24 ottobre 2018 con relative

caratteristiche.

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Sono state utilizzate due differenti SCC. La prima è chiamata “Bonn Card” ed è stata

utilizzata anche in laboratorio a Firenze e la seconda è chiamata “Rice Card”[17], in figura

19. Quest’ultima è una SCC molto leggera sviluppata appositamente per eseguire test su

fascio con i moduli irraggiati. Permette di poter collegare e scollegare con facilità i moduli

alla scheda madre attraverso un interposer connector (figura 19). In questo modo

possiamo smontare i sensori, irraggiarli e rimontarli evitando di irraggiare la scheda

madre, che non è progettata per resistere a simili fluenze.

Per mitigare gli effetti del danno da radiazione e diminuire la corrente di polarizzazione

inversa necessaria per svuotare i sensori, i moduli sono stati termalizzati in una scatola

con del ghiaccio secco e mantenuti ad una temperatura intorno ai -30°C .

Durante il test di ottobre è stato studiato solo il front end lineare del ROC. I moduli sono

stati disposti sia perpendicolari che inclinati rispetto al fascio per verificare la relativa

variazione dell’efficienza. La configurazione con tracce inclinate è la più realistica,

poiché le particelle dal punto di collisione arrivano ai moduli con varie direzioni e quindi

non perfettamente normali ai moduli. Si è osservato, come ci si aspettava, che quando i

moduli sono inclinati rispetto al fascio, grazie all’aumento del cammino delle tracce

all’interno del sensore e quindi all’aumento della quantità di carica prodotta per

ionizzazione, aumenta l’efficienza.

Figura 19: Rice Card e interposer connector usato per connettere i moduli irraggiati alla

SCC. Questa permette di smontare facilmente i sensori, irraggiarli e rimontarli evitando

di irraggiare la scheda madre, che non è progettata per resistere a simili fluenze.

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Figura 20: Efficienza di un sensore 3D 50x50µm2 non irraggiato misurato con fascio

perpendicolare al sensore. Si vedono delle zone meno efficienti in corrispondenza degli

elettrodi di polarizzazione.

Figura 21: Efficienza di un sensore 3D 50x50 µm2 non irraggiato e disposto con un

angolo di 34° rispetto al fascio incidente . Non si osservano zone inefficienti.

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È importante fare dei test con il fascio perpendicolare al modulo perché in questo modo

si possono studiare meglio le caratteristiche del sensore e vedere effetti che non si notano

con tracce inclinate. Per esempio, nei sensori 3D si possono notare, in figura 20, delle

zone meno efficienti, in corrispondenza degli elettrodi, che non si osservano quando i

moduli sono inclinati. Inoltre l’efficienza media, nell’esempio in Figura 20 e 21, passa

dal 98.6%, quando il modulo è perpendicolare al fascio, al 99.3% quando è inclinato.

La regione di svuotamento aumenta all’aumentare della tensione all’interno dei sensori,

aumentando la carica raccolta e di conseguenza l’efficienza del modulo. È stata analizzata

l’efficienza dei sensori all’aumentare della tensione di polarizzazione. Nei sensori n-in-p

la tensione di polarizzazione applicata è negativa; nel testo e nelle figure seguenti ne viene

indicato solo il modulo, sottintendendo il segno negativo.

A causa della leakage current la tensione di polarizzazione effettiva sul sensore è minore

di quella fornita al modulo. Guardando lo schema del circuito in figura 22 e sapendo che

le due resistenze R39 e R40, presenti sul circuito della SCC, sono entrambe di 100kΩ, si

nota che la tensione effettiva è data dalla formula:

𝑉𝑏𝑖𝑎𝑠 = 𝑉 − 0.2𝑀𝛺 × 𝐼𝑙𝑒𝑎𝑘 (3.1)

dove Vbias e V sono, rispettivamente, la tensione di polarizzazione effettiva e quella fornita

dall’alimentatore. Ileak è la leakage current.

Si evita di applicare tensioni Vbias molto superiori a quelle necessarie per svuotare

completamente il sensore per evitare di arrivare al breakdown di questo.

L’analisi dei dati è tutt’ora in corso. Durante il test del 24 ottobre i sensori 3D hanno

mostrato una leakage current troppo elevata, che ha impedito il raggiungimento della

Figura 22: Schema del circuito di collegamento dei moduli al high voltage. R39 e R40

sono due resistenze di 100kΩ che si trovano sulla SCC.

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tensione di svuotamento, rendendo così poco significativo il loro test. I risultati riportati

qui di seguito sono relativi alla fase del test effettuata all’inizio di ottobre. In questo sono

stati analizzati due sensori 3D, uno 25x100 µm2 l’altro 50x50 µm2 di cui si è misurata

l’efficienza prima e dopo l’irraggiamento notando che sono compatibili tra loro.

L’efficienza media del primo è passata, a seguito dell’irraggiamento8, dal 97.3% al

96.6%, mentre quella del secondo dal 98.6% al 97.5%. In figura 24, si può notare, come

era previsto, che l’efficienza aumenta con l’aumentare della tensione fornita fino al

raggiungimento di un plateau. Questo è dovuto al fatto che una volta superata una certa

tensione si è raggiunto lo svuotamento totale delle giunzioni p-n all’interno del rivelatore.

8 L’efficienza prima dell’irraggiamento è stata misurata durante il testi di Luglio (figura 23).

Figura 23: Confronto delle efficienze di moduli planari e 3D. Alcuni inclinati e altri

perpendicolari al fascio. Le efficienze riportate sono misurate in due test su fascio diversi,

prima e dopo l’irraggiamento dei moduli.

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Figura 24: Grafici che raffigurano l’efficienza dei moduli in funzione della tensione di

polarizzazione negativa applicata. In rosso si ha un sensore 3D 50x50 µm2 mentre in blu

un sensore 3D 25x100 µm2 entrambi irraggiati.

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Conclusioni

L’Upgrade di CMS per la fase ad alta luminosità di LHC richiede lo sviluppo di rivelatori

innovativi, capaci di sostenere l’aumento della luminosità, in particolare l’aumento della

molteplicità di tracce e l’alto livello di radiazione che ne conseguono.

Durante il lavoro di tesi ho partecipato alla preparazione e all’esecuzione di un test su

fascio che si è tenuto presso il CERN di Ginevra, che è parte di un più ampio programma

di test dedicato allo studio delle caratteristiche dei moduli a pixel di silicio che saranno

usati nell’Inner Tracker, la parte più interna del tracciatore di CMS.

Ho lavorato sia con sensori a pixel planari che con sensori 3D, rivelatori di nuova

concezione nei quali gli elettrodi di raccolta della carica penetrano lungo tutto lo spessore

attivo.

A Firenze, in laboratorio, ho seguito la procedura di calibrazione dei moduli di rivelatore

operando sul sistema di acquisizione e controllo disegnato attorno al chip di lettura

prototipo di questi rivelatori, denominato RD53A.

Al CERN sono stati studiati, su fascio, vari sensori con pitch differente (25×100 µm2 e

50×50 µm2) e tecnologia diversa (planari e 3D). I moduli sono stati posizionati sia

perpendicolarmente che inclinati rispetto al fascio, in modo da verificare come cambia

l’efficienza a seconda dell’inclinazione e le caratteristiche del sensore. Inoltre, alcuni

moduli sono stati irraggiati con fluenze di 1×1016neqcm-2, per osservare come varia

l’efficienza prima e dopo l’irraggiamento.

I test preliminari effettuati mostrano che l’efficienza dei moduli, prima e dopo

l’irraggiamento, è confrontabile, anche mantenendo tensioni di polarizzazione basse.

Inoltre è stato verificato il funzionamento degli innovativi moduli con sensori 3D, che per

la loro resistenza alla radiazione e la velocità di raccolta del segnale costituiscono la

tecnologia più promettente da utilizzare nello strato di rivelatore più vicino al punto di

interazione.

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