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TERRA DI CAPOSELE - Gerardo Montverde

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Chi ama Caposele e vuole provare a conoscere ed approfondire gli elementi che lo hanno reso, nel corso dei secoli, il paese che oggi si presenta ai nostri occhi, non può prescindere dal libro “Terra di Caposele” di Gerardo Monteverde. Caposele ottobre 2011

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Terra di Caposele

Caposele 2012

Gerardo Monteverde

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…un viaggio nella storia di “muri e fondamenta”, di uo-mini e donne, delle loro fatiche, dei loro sogni, delle loro sconfitte e delle loro vittorie quotidiane.

Caposele, ottobre 2011

Stampa:Valsele Tipografica s.r.l.Materdomini (AV) Tel. 0827 58100e-mai: [email protected]

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A Maria e ai miei figli

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Un ringraziamento va a teresa Castello che, con il suo accurato e competente lavoro, ci ha permesso di pubbli-care l’ultimo appassionato impegno di sull’amata terra di Caposele.

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PreMeSSa

tante cose sono state dette sul valore della storia come “maestra di vita” e sull’importanza della memoria come fondamento di civiltà. Questo volumetto, concepi-to in maniera semplice, senza accademiche pretese, non è solo un modo per sottolineare il valore del passato, è certamente un’appassionata testimonianza di affetto reso alle proprie radici umane e culturali. nel ricercare e riproporre fatti, leggende e memorie, la mia mente, slargandosi in più ampie visioni, tra sentimenti contra-stanti di rabbia e tenerezza, si approfondiva contempo-raneamente in più delicate analisi e il lavoro, gli sforzi diventavano gioia dello spirito, alimento dell’intelletto e, al tempo stesso, motivo di soddisfazione. Spero che dalla lettura del testo ciascuno trovi lo stimolo a ricostru-ire una memoria responsabile per ritrovare se stesso e la propria umanità in un periodo così travagliato da pro-blemi socio-economici e tanto offuscato da incognite per l’avvenire.

Le “narrazioni” si snodano in massima parte in or-dine cronologico, riproponendo, in maniera integrale o con parziale, personale rielaborazione, quanto è stato possibile reperire in archivi civili e religiosi, in libri, arti-coli e pubblicazioni di scrittori locali, in cronisti e cultori del passato. a loro sento il dovere di rivolgere il più sen-tito ringraziamento, scusandomi fin d’ora per le even-tuali manchevolezze.

affido al lettore invece e al suo libero sentire l’analisi delle vicende con la speranza che egli sappia trarre gli

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spunti e le motivazioni necessarie per intraprendere un nuovo cammino di rivincita riappropriandosi, prima di tutto, della propria cultura di villaggio, dei propri valori comunitari. Mi auguro pure che nel ripercorrere la pro-pria storia anche i giovani ritrovino il completamento del loro presente, le ragioni e gli stimoli a vivere miglio-randosi.

L’ Autore

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“La storia è un tempo senza padrone e senza verità assolute”.I personaggi che la vivono sono famosi, ricchi, potenti oppure poveri, umili, soli ed indifesi, spesso travolti dagli eventi, umiliati, sfruttati ed offesi, ma in ogni modo plas-mati dalla propria personalità, dalle proprie emozioni e passioni, dalla propria volontà di decidere ed agire.

“Si può scrivere la storia cercando tra vecchie carte le testimo-nianze del passato o spendendo la propria vita chini ad inter-rogare la terra, dove la vicenda umana si conclude sempre in una sepoltura. Quando la memoria scritta viene meno, questo viaggio a ritroso diventa forse ancora più affascinante, perché l’uomo lascia sempre un segno del suo passaggio, un segno eloquente, anche se solo per pochi. E lo affida alla terra, perché non sia subito disperso, ma custodito nel tempo…”

(arturo Fratta)

La terra custodisce i nostri ricordi, le nostre ansie, le nos-tre aspirazioni. ogni luogo, perciò ha le sue caratteris-tiche. Solo la somma di esse lo rende vivo ed interes-sante.

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CronIStorIa dI CaPoSeLe

“Il passato rivive nel nostro presente e si proietta nel futuro…”.

- 71 a.C. - Spartaco (gladiatore tracio) veniva sconfitto da Crasso in Lucania “apud caput Silaris”. La località precisa è oggetto di discussione tra gli studiosi, alcuni indicano la sella di Conza, altri la zona di confluenza del fiume tanagro col Sele, altri la zona tra Quaglietta e Calabritto ed altri ancora la piana di Paestum.

- 568 d.C. - Un nuovo popolo germanico, i Longobardi, muovendo dalla Pannonia, forzava la tenue difesa bizan-tina e conquistava parte dell’Italia entrando dalle alpi orientali e scendendo rapidamente verso il Sud. Guida-ti dal loro re alboino, essi stabilivano la loro capitale a Pavia e fondavano due importanti ducati a Spoleto e a Benevento (l’antico nome Maleventum era stato mutato in Beneventum dai romani nel 275 a.C., anno della loro vittoria su Pirro che, desideroso di conquistarsi un impe-ro greco occidentale, comprendente la Magna Grecia e la Sicilia, aveva preso le difese di taranto allora in conflitto con roma).

- 571 d.C. - Primo insediamento dei Longobardi nel San-nio. (Sant’angelo dei Lombardi e Guardia dei Lombardi sono di origine longobarda, Caposele continuava a far

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parte dei Lucani nella III regio1 secondo la divisione au-gustea).

- 590 - Fondazione del ducato di Benevento (primo duca Zottone succeduto da arechi I), come riportato dallo scrittore dell’ vIII secolo Paolo diacono (monastero di Montecassino).

- 774 - Il ducato di Benevento veniva diviso in una quantità di distretti amministrativi raggruppati intorno a centri maggiori, chiamati acta (terre del fisco ducale), Iudicaria o Gastaldato.

- 774 - Carlo Magno conquistava il regno longobardo; con il trono longobardo vacante il duca arechi II tentava un colpo di mano per impossessarsi della corona, innal-zava la propria dignità fregiandosi del titolo di principe di Benevento ed elevava il suo dominio a Principato.

- 851 - divisione del principato, sancita dall’imperatore Ludovico II il Germanico con il capitolare dell’851. dalla divisione nasceva il Principato di Salerno (diviso in ca-staldati e contadi) e si riduceva il Principato di Beneven-to.

- Fra l’880 e l’886, approfittando della richiesta di aiuti dei principi longobardi per fronteggiare l’avanzata mu-sulmana, i Bizantini riprendevano il controllo dei terri-tori della costa pugliese e del principato di Salerno e di Benevento su cui, da quel momento, i principi longobar-

1 La I regio comprendeva il Lazio, la II la Puglia, la III la Lucania.

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di avrebbero esercitato una autorità puramente formale. I Bizantini intanto costruivano torri e castelli sulle alture per controllare le posizioni degli arabi, ben assestati lun-go i fiumi e la costa ionica.

- 25/10/990 terremoto.

- 1000 - Si diffondeva l’utilizzo degli opifici azionati dalla forza dell’acqua.

- 1018 - Presenza dei cavalieri normanni.

- 1022 - anni dell’arrivo dei normanni. I castaldi, immu-tati, diventavano giustizierati (giustiziere).

- 1076 - Fine del periodo longobardo ed inizio di quello normanno.

- 1079 - I Balbano entravano in possesso delle terre di Caposele.

- 1140 - Caposele faceva parte del ducato di Puglia (art. 702 del Catalogo dei feudi e dei feudatari, a.S.n.)

- 1160 - dal Catalogo dei Baroni normanni si legge “Co-mes Philippus de Balbano dixit quod demanium suum, quod tenet in Ducatu, videlicet de Sancto Angelo feudum quattuor militum, de Calabretta feudum trium militum, de Capusele feudum duorum militum, de Viaria feudum unius militis: De-manium eius feudum decem militum”. (Il conte Filippo di Balvano disse che il suo demanio era quello che posse-deva nel ducato, cioè in Sant’angelo un feudo di quat-tro militi, in Calabritto un feudo di tre militi, in Caposele

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un feudo di due militi, in viaria un feudo di un milite. nel complesso il suo demanio costituiva un feudo di die-ci militi).

- 1187 - Il conte Filippo di Balbano forniva per S. angelo dei Lombardi, Calabritto, Caposele e diano e per i suoi suffeudatari 34 uomini armati e 60 fanti per la terra San-ta.

- 1196 - Moriva Filippo di Balvano e il feudo passava a ruggiero (che aveva vita breve).

- 1198 - Iniziava il periodo svevo.

- 1205 - Moriva ruggiero e gli succedeva nel 1231 il fra-tello raone.

- 1230/31 - dagli “acta Imperii” e precisamente negli “acta 764” la gente di Caposele poteva contribuire alle ripara-zioni necessarie del castello di Campagna di proprietà della Corona.“Castrum Campanile - dice il decreto di Federico II - debet reparari per nomine eiusdem Terrae, Senerclae, Balbae, Coli-ni, Contursi; et potest reparari per homines Calabricti, Capitis Sileris, Pali, Alcini, Balsiniani, Sancti Nicandri, Sperlongae, Sancti Menane, Castelli Novi, Mali in ventre, et per homines Lariani”. (Il castello di Campagna… deve essere riparato per opera degli uomini della terra stessa di Campagna, di quelli di Senerchia, di valva, di Colliano, di Contur-si; e può essere riparato anche per opera degli uomini di Calabritto e Caposele, Palomonte, alcino, Balsiniano, San nicandro, Sperlonga, Malinventre e per mezzo de-gli uomini di Laviano.)

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- 1239 - Si estingueva la famiglia dei Balvano/Balbano.

- 1241 - dopo re Manfredi di Svevia, donna Minora Gen-tile portava le terre di Caposele in dote a Federico Ma-letta, conte di apice.

- 1266 - Il 26 febbraio terminava il periodo svevo ed ini-ziava il periodo angioino. Carlò di angiò, fratello del re di Francia Luigi XIv, richiamato in patria dalla terra Santa da papa Clemente Iv, sconfiggeva Manfredi, figlio di Fe-derico II di Svevia nella famosa battaglia di Benevento.

- 1271 - Caposele aveva 17 fuochi.

- 1272 - Carlo d’angiò assegnava la provincia di governo, comprendente Caposele, al figlio principe Carlo donde poi essa prendeva il nome di principato.

- 1279 - Caposele chiedeva la divisione dei confini terri-toriali che aveva, invece, in comune con Calabritto.

- 1284 - Con la cacciata degli Svevi re Carlo I d’angiò dava il feudo a Pietro d’annibaldo. Successivamente il feudo passava ad anselmo di Caors che, allontanatosi e non ritornando in tempo, ne veniva privato da Carlo II.

- 1289 - Carlo II concedeva le terre di Caposele per 80 deca annue a Guglielmo della Marra, il quale poi le asse-gnava al suo secondo genito roggiero de Marra de Baru-lo, marito di regasia Manzella di Salerno. (regest. 1339 et 1340 . B. fol.I)

- 1292 - Per liberare Castellabate, località del Principa-

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to conquistata da truppe nemiche, tra il 17 e il 27 luglio veniva ordinato per il successivo 8 agosto un raduno di balestrieri a eboli. a Caposele con Montefredane veniva chiesto di inviare 6 balestrieri.

- 1299 - 9 giugno. Carlo II decretava da Salerno la divisio-ne della provincia in due principati: Citra (al di qua delle alture di Montoro) ed Ultra (al di là).

- 1320 - Presenza nella “Generalis Subventio” angioina dei valori di imposta per la frazione di Malum in ventre (1 once, 10 tari, 08 grana), per vianum (…) e per Baia-num (0 once, 16 tari, o grana).

- 1369 - veniva eletto vescovo di Bisaccia da Urbano v fra Francesco Fonzo dei Padri Conventuali, che aveva edificato un Cenobio al suo ordine2.

- 1376 - Il feudo di Caposele, rimasto a ruggero della Marra, era venduto a Giacomo arcuccio, conte di Miner-vino.

- 1380 - Il bisavolo nicolò di Iacopo Sannazaro, avendo ben meritato presso Carlo III degli angioini nell’acqui-sto del regno di napoli avvenuto circa nel 1380, riceve-va in dono molti possedimenti e si trasferiva col figlio Giacopo a napoli.

2 Successivamente, Chiesa Madre di San Lorenzo, protettore del paese, in cui veniva conservata la reliquia del Santo insieme a quelle di Santa emerenziana, di San nereo ed achilleo.

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- 1416 - La regina Giovanna, figlia di Carlo III succedu-ta al fratello Ladislao, perseguitava tutti i beneficiati del padre e del fratello, affidava le rendite del feudo di Ca-posele ad antonello Gesualdo, la cui famiglia nel 1417 mandava in loco Luigi Sansonetto.

- 1416 - La Gran Corte della vicaria il 14 febbraio con-dannava l’università di Caposele, comune con la facoltà di eleggere i suoi rappresentanti amministrativi, al pa-gamento di 100 once d’oro alla r. Corte e alcuni cittadi-ni al pagamento di 60 once d’oro per aver illecitamente disturbato nicola e Francesco de aprano nel possesso di un territorio detto Pasano nelle pertinenze del castello di Laviano (Princ. Citra). Perg. n. 34. L’istr. è trascritto nel 1416, marzo 17, indiz. IX, Laviano. notaro Giovanni de Castello di Laurenzana, giud. a contr. andrea... di Buc-cino. Segnatura archivistica: Mazzo 846, n° 4 - cm 52x29 - Scrittura gotica.

- 1441 - Inizio del periodo aragonese.

- 1442 - alfonso I re di napoli

- 1445 - 75 fuochi 75x4=300 abitanti (ogni fuoco era con-siderato uguale a 4 abitanti in considerazione anche del numero dei cittadini esenti dalla tassa, tipo ecclesiastici, nobili, militari etc). da questa data in poi mancanza delle imposte per Malum in ventre, vianum, Baianum

- 1445 - Il feudo di Caposele passava a roberto Gesualdo e, successivamente, ad elia Gesualdo.

- 1458 - Il feudo diventava di Luigi Gesualdo, poi di San-

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sone, di nicolò I, zio di antonello Gesualdo, succeduto da Luigi II, figlio di Sansone I e nipote di nicola I.

- 05/12/1456 - terremoto.

- 1467 - Ferrante I d’aragona, re di napoli.

- 1471 - alla morte di Luigi II il feudo passava a nicolò II, figlio di Sansone II Gesualdo.

- 1480 - alla morte di nicolò II, Luigi III, fratello di nicolò II, diventava feudatario di Caposele.

- 1483 - Luigi III sposava Giovanna Sanseverino.

- 1494 - Caposele raggiungeva 150 fuochi. approvazione da parte di alfonso II d’aragona degli “Statuti, plebisciti e consuetudini, a memoria di uomo esistenti per comu-ne consenso, e per libera ed espressa volontà di tutti, e singoli cittadini stabiliti e le antiche immunità e franchi-gie” di Caposele.

- 1494 - Luigi III Gesualdo si ribellava al re alfonso II d’aragona per seguire il cognato antonello Sanseverino (che parteggiava per i francesi) e perdeva le terre di Ca-posele.

- 1496 - re Ferrante II d’aragona perdonava Luigi III e gli riconcedeva il possesso dei feudi di Boiaro, Buonin-ventre, Caposele,…

- 1498 - Luigi III, divenuto di nuovo ribelle, perdeva un’altra volta il feudo ed esso veniva venduto a Cateri-na Pignatelli.

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- 1498 - 7 novembre. Federico d’aragona, re di napoli, ordinava “si immettano in possesso della terra di Caposele, donna Caterina Pignatelli Contessa di Fondi, sua vita durante, e don Ettore Pignatelli, fratello di lei, dopo la morte della mede-sima, e che siano prestati loro il ligio omaggio e il giuramento dei vassalli”.

- 1501 - Federico d’aragona concedeva a Jacopo Sanna-zaro (1456-1530) le terre di Caposele.

- 1503 - Fine del periodo aragonese - Inizio della domi-nazione spagnola.

- 1505 - Jacopo Sannazzaro ritornava a napoli. I nuovi dominatori spagnoli annullavano le concessioni di Fede-rico d’aragona. Sannazzaro perdeva i possedimenti di Caposele.

- 1507 - Con il perdono e la sottomissione a Ferdinando il cattolico, il feudo di Caposele ritornava a Luigi III.

- 1517 - Moriva a Conza Luigi III Gesualdo, gli succedeva Fabrizio I Gesualdo, quarto Conte di Conza, nono Signo-re di Gesualdo etc, sposato con Sveva figlia di troiano Caracciolo, duca di Melfi, fedele alla Spagna e a Carlo v sostenuto con la fornitura delle armi.

- 1524 - Fra Jacovo da Caposele era il guardiano del con-vento dei frati minori S.Francesco a Folloni di Montella.

- 1527 - Il clero di Caposele gestiva la Chiesa di S. Maria Mater domini. essa, contesa, veniva concessa al capitolo di Caposele da Camillo Gesualdo, arcivescovo di Conza

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(archivio di Conza fatto da Bardars, foglio 26 dell’inven-tario, “in reservatione pro ecclesia composana et assensu apo-stolico obtinendi sumptibus Capituli”).

- 1532 - Caposele veniva tassata per 182 fuochi (182x4 =728 abitanti).

- 1543 - La famiglia Gesualdo acquistava il feudo di ve-nosa.

- 1545 - Moriva a napoli Fabrizio I Gesualdo, gli succede-va Luigi Iv, primo principe di venosa(1561), quinto conte di Conza, 10° Signore di Gesualdo etc, che moriva a ve-nosa il 17.5.1584, sposato con Isabella. aveva ricevuto il titolo di principe dopo il matrimonio del figlio Fabrizio nel 1561 con la nipote di papa Pio Iv.

- 1545 - 253 fuochi (253x4=1012 abitanti).

- 1554 - Zanca Gio.(o Gian) tommaso, familiare del capi-tano di gente d’arma Fabrizio Gesualdo, nativo di Capo-sele e rettore dello studio di napoli, pubblicava un’opera “Solutiones contradictionem in dicitis aristo. In prologo primi phisicorum dilucidatae” napoli pe’ tipi di mattia cancer) in 4° di P. 20, dedicata a Pietro de Mauris proto-medico del regno di napoli. (vita di Giordano Bruno di vincenzo Spampanato pg. 90-91).

- 1561 - 321 fuochi (321x4 = 1284 abitanti).

- 1561 - 31 luglio, ore 22.00, terremoto.

- 1563 - dopo il Concilio di trento obbligo per le parroc-chie di tenere i registri.

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- 1584 - Moriva a venosa il 17.5.1584 Luigi Iv; gli suc-cedeva Carlo Gesualdo, terzo Principe di venosa, set-timo Conte di Conza, 12° Signore di Gesualdo etc, fa-moso musicista ed eccellente madrigalista, nato a venosa l’8.3.1566.

- 1590 - Un tristissimo fatto avveniva a napoli: Maria, figlia di Carlo d’avalos, Principe di Montesarchio, veni-va uccisa da suo marito Carlo nella notte tra il 16 e il 17.10.1590.

- 1594 - 14 giugno - alfonso Fontanelli, diplomatico di casa d’este, scriveva al duca di Ferrara alfonso II “ci av-viammo verso Caposelle per molte terre...”. - 1594 - Con l’aiuto dello zio alfonso Gesualdo, cardina-le di napoli, Carlo Gesualdo sposava in seconde nozze eleonora d’este, nipote del duca di Ferrara alfonso II.

- 1595 - 321 fuochi - (321x4=1284 abitanti, pari a quelli del 1561).

- 1597 - Papa Clemente assegnava la chiesa S. Maria di Materdomini al clero di Caposele.

- 1613 - Il giorno 10 settembre moriva a Gesualdo Carlo. avendo questi il 23 agosto dello stesso anno perso l’uni-co figlio maschio emanuele, caduto da cavallo durante una battuta di caccia, il feudo passava alla figlia Isabella, principessa di venosa e signora, tra l’altro, di Caposele, Boiaro, Boninventre, teora e torrelenocelle.

- 1625 - Padre orazio da Caposele, Francescano dei Min.

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Conv. maestro di musica, mandava alle stampe di napoli l’opera “Pratica del canto piano o canto fermo”; diventa-va Superiore di Provincia dell’ordine di appartenenza.

- 1627 - Isabella Gesualdo, principessa di venosa, sposa-va nicolò Ludovisi, vicerè di aragona e Sardegna, prin-cipe di Piombino, duca di Fiano e Zagarolo, nipote del Papa Gregorio Xv.

- 1629 - Morta Isabella, succedeva la figlia Lavinia.

- 1631 - 16-18 dicembre - Pioggia di cenere per l’eruzione del vesuvio.

- 1634 - Lavinia moriva senza eredi e tutti i possedimen-ti passavano alla reale Corte di napoli.

- 1636 - Il feudo, con l’aggiunta di Montefusco, passava, per compravendita, a nicolò Ludovisi, marito di Isabella e padre della premorta Lavinia.

- 1647 - 7 luglio - Sommossa di Masaniello a napoli.

- 1647 - 8 settembre - L’arcivescovo di Conza ercole de rangone (abitante per molto tempo presso i Benincasa) teneva un Sinodo a Caposele. “Questa terra fu abitata per qualche tempo da Monsignore Arcivescovo Ercole De Rango-ne, il quale stava con grandissima soddisfazione per le delizie dell’acque e de vini, habitando nella casa de signor Benincasa e nell’anno1647, sotto il di 8 settembre vi celebrò il suo sinodo, che fu dato alle stampe nel 1649, e detto Arcivescovo avrebbe continuato a stare in detta Terra”.

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- 1648 - 300 fuochi - (300x4 = 1200 abitanti).

- 1656 - La peste: 642 morti, tra cui frate Francesco Ma-succi di volturara che tanto si era prodigato ed aveva profuso abnegazione e carità cristiana.

- 1657 - Fine peste; in uno dei punti più antichi del pa-ese veniva eretta per ringraziamento una colonnina di pietra, su basamento, sormontata da una croce viaria in pietra (Croce dell’angelo) ora in via ogliara. alla base veniva scolpita l’arma civitatis del Comune, ancora evi-dente in parte (tre gigli, la testa di un’aquila dal cui becco sgorga un profluvio d’acqua e tre cime di monti).

- 1659 - abitanti 500.

- 1664 - a nicolò Ludovisi succedeva il figlio Giovan Bat-tista.

- 1669 - 204 fuochi (204x4=816 abitanti).

- 1671 - Moriva nicolò Ludovisi, marito di Isabella Ge-sualdo.

- 1685 - Si celebrava una Platea rinomata nella terra di Caposele, primicerio Paolo Ilaria.

- 1691 - abitanti 1185. don antonio Castellano scriveva “La Cronista Conzana”.

- 1694 - 8 settembre ore 17,45 - terremoto: 150 case distrut-te, 40 morti e 60 feriti. Il terremoto non lasciava che un torrione del castello, già abbandonato.

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- 1696 - a Giovan Battista succedeva il figlio Marcantonio Ludovisi.

- 1707 - nuovo governo austriaco: Carlo vI metteva fine a due secoli di viceregno spagnolo.

- 1710 - L’immagine della Madonna della Sanità, dipinta da Fra Paolo veniva posta in una chiesetta, vicino alle sorgenti, là dove un tempo si ergeva un tempio pagano a Giunone argiva.

- 1714 - Per vendita, il feudo passava al nobile Inigo rota che sposava Beatrice Mastrullo ed otteneva dal re il tito-lo di principe di Caposele.

- 1731- Il terremoto che devastava il tavoliere pugliese cagionava danni anche a Caposele: crollava la chiesetta di Materdomini, già conosciuta nel 1500 e meta di molti pellegrinaggi.

- 1731-17.09. - nascita di padre donato antonio del Guer-cio, morto a ravello (Sa) in odore di santità.

- 1732-29.11 - terremoto con scossa di replica il 29.01. 1733.

- 1734 - Inizio del regno dei Borboni.

- 1740-1742 - Istituzione del catasto onciario da parte di Carlo III di Borbone.

- 1743 - La peste. Per intercessione della tenera Madre Maria il popolo di Caposele veniva totalmente liberato.

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- 1746 - Missione di S. alfonso de Liguori, sotto il princi-pe di Caposele Inigo rota e la principessa Cornelia San-felice. Invito del vescovo del luogo a fondare una casa per i missionari nel romitorio vicino alla chiesa.

- 1747 - La chiesa di S. Maria Mater domini veniva cedu-ta ai redentoristi. Sottoscriveva l’atto il Clero locale.

- 1748 - Inizio della costruzione del cenobio di Mater-domini. Il principe Inigo rota, metteva a disposizione i suoi boschi per ricavarne le travi e il legname occorrenti per la costruzione.

- 1754 - nel mese di giugno Gerardo Maiella giungeva a Caposele.

- 1755 - Morte di Gerardo Maiella.

- 1755 - Padre antonio donato del Guercio condivideva con i frati conventuali minori una casa a Caposele.

- 1764 - Una terribile carestia si abbatteva sul regno e su Caposele: 329 morti.

- 1764 - 5 agosto- Moriva Padre andrea Morza, il santo redentorista caposelese, nato nel 1739.

- 1771 - Inigo rota lasciava il principato alla figlia Ippoli-ta che lo portava in dote al marito Carlo Lagni.

- 1788 - 16 luglio - nasceva il ven. P. Salvatore Grasso (v. anno 1868).

- 1789 - 3512 abitanti.

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- 1799 - anno della rivoluzione napoletana. a febbraio arrivavano i Francesi, al comando di don Pasquale de Laurentiis, a piantare l’albero della libertà. a fine mag-gio l’esercito borbonico ristabiliva la calma con il ritor-no del re sul trono di napoli. Si scatenavano sanguinosi regolamenti di conti, uccisioni, carcerazioni, estorsioni e vendette private. Seguiva la repressione giudiziaria bor-bonica.

- 1799 - Gli eletti di vaglio di Caposele s’opponevano a dare il comando della Guardia nazionale ai nobili e per-ché il comando fosse diviso fra nobili e borghesi. - 1806 - 7 aprile- napoleone ritornava e collocava suo fratello Giuseppe napoleone Buonaparte sul trono di napoli.

- 1806 - Con decreto del re Giuseppe Bonaparte aboli-zione dei feudi. Carlo Lagni (Carlo de Ligny principe di Caposele) ultimo signore. re Giuseppe Bonaparte ema-nava la legge eversiva con la quale i terreni del feudo venivano assegnati al demanio comunale, la cui ammi-nistrazione doveva gestire la quotizzazione e l’assegna-zione ai contadini.

- 1806 - 8 agosto - nuova organizzazione amministrativa: 13 province governate da un Intendente, ogni provincia divisa in distretti e ogni distretto in mandamenti, ogni mandamento in comuni. Il comune era affidato al gover-no di un Consiglio decurionale, costituito da cittadini integerrimi, estratti a sorte tra una determinata classe di eleggibili, formata in base al censo.

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- 1809 - re Gioacchino Murat istituiva lo Stato civile con i registri anagrafici.

- 1810 - Fino a tale data Caposele apparteneva al man-damento o circondario di Laviano, comprendente anche Quaglietta, Senerchia, Calabritto, valva, Colliano, San-tomenna, Castelnuovo di Conza e facente parte del di-stretto di Campagna.

-1811 - re Gioacchino Murat istituiva per decreto il man-damento di Calabritto comprendente anche Senerchia e Caposele. - 1812 - trasferimento del dipinto della Madonna del-la Sanità nella chiesa antoniana perché nel tempietto si erano aperte delle larghe fenditure prodotte dalla frana del suolo.

- 1810-1820 - nascita della Carboneria.

- 1816 - Ferdinando I di Borbone ritornava sul trono di napoli.

- 1817 - Ferdinando I emanava la legge per la creazione del camposanto pubblico entro il 1820.

- 1834 - ritrovamento della stele dedicata al dio Silva-no.

- 1835 - epidemia in autunno (116 morti).

- 1837 - mese di luglio - Il colera (226 morti). episodio riportato sul registro parrocchiale dei morti. I Caposele-

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si si ricordavano di avere una tenera e potente regina, Maria della Sanità. a Lei ricorrevano, ed oh prodigio! Il giorno in cui se ne celebrava solennemente la festa, il fiero morbo come per incanto cessava.

- 1837 - dal mese di agosto tumulazioni non più in chie-sa, ma al camposanto, solo successivamente inaugurato e registrato nell’elenco dei cimiteri borbonici.

- 1839 - Iniziava la costruzione della chiesa dedicata alla Madonna della Sanità. alla conclusione dei lavori quel pezzo di muro su cui era dipinta l’antica immagine veni-va ripreso dalla chiesa antoniana e riportato al suo po-sto.

- 1842 - Per la costruzione del camposanto col decreto regio n° 7593 dell’8 giugno si dava facoltà al Comune di Caposele in Principato Citeriore di prendere censo di due porzioni di suolo appartenenti la prima al Sig. Gen-naro Chiaravallo e l’altra a d. Camillo Bozio, pagando al primo di essi canone ducati 2 e grana 48 l’anno, e ducato 1 e grana 88 al secondo, depurati dal quinto, e con la ces-sione della contribuzione fondiaria a carico del Comune stesso.Inaugurazione ufficiale del cimitero.

- 1848 - La peste (190 morti).

- 1853-09/04 - terremoto: 12 morti. Crollava la chiesa de-dicata a san Lorenzo.

- 1853 - Si allargava la chiesa degli antoniani per essere utilizzata come chiesa parrocchiale.

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- 1857 - terremoto tra la notte del 16 e 17 dicembre.

- 1860 - nasceva a Caposele Gerardo Grasso, musicista compositore del Pericon, inno nazionale dell’Uruguay.

- 1860 - terminava il regno dei Borboni -Unità d’Italia - decennio del brigantaggio fino al 1870.dopo il 1860 la tripartizione della Campania si modifica-va (divisione in 5 provincie)

- 1861 - eugenio, principe di Savoia Carignano decretava che i mandamenti di Calabritto e di Montoro dovevano passare alla provincia di avellino.

- 1863-16.05 - Morte del sac. Lorenzo Santorelli.

- 1866 - Soppressione degli ordini religiosi. Il collegio dei redentoristi rimaneva quasi deserto, la chiesa semi-ab-bandonata.

- 1868 - 29 febbraio - nel convento di torchiati, frazione di Montoro Superiore (av), moriva il ven. P. Salvatore Grasso, vissuto lì santamente per 40 anni.

- 1871 - Caposele passava dalla circoscrizione provincia-le di Salerno a quella di avellino.

- 1889 - Iniziava l’emigrazione di tanti compaesani verso le americhe.

- 1892 - 6 dicembre - Beatificazione di Gerardo Maiella da parte del pontefice Leone XIII.

- 1887 - Presenza in Caposele di opifici di proprietà del

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principe di Caposele Luigi de vera d’aragona e anche del duca di Castellaneta Francesco de Mari che da oltre 70 anni li aveva ereditati dalla madre marchesa olimpia de Lignì, entrambi di napoli.

- 1899 - Morte di nicola Santorelli.

- 1899-16.12 - Frana nell’abitato di Caposele.

- 1904 -11.12 - Gerardo Maiella veniva proclamato San-to.

- 1906 - Inizio dei lavori di captazione delle sorgenti della Sanità.

- 1907 - Inizio dei lavori per lo spostamento della chiesa della Sanità a causa dei lavori di captazione delle sor-genti.

- 1910 - terminavano i lavori di costruzione della chiesa dedicata alla Madonna della Sanità e il sacro dipinto di fra Paolo veniva solennemente traslato nel nuovo tem-pio.

- 1913 - trasferimento dal vecchio al nuovo cimitero, sito alla c/da Ionda.

- 1915 - Inizio della prima guerra mondiale.

- 1918 - epidemia “la Spagnola”- numerose le vittime.

- 1928 - Una zona disabitata di 102 ettari veniva staccata a Laviano (Sa) ed aggregata a Caposele.

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- 1930 - notte 22-23 luglio, ore 1,08 - terremoto, senza danni.

- 1934 - Il poeta Giuseppe Ungaretti visitava le sorgenti del Sele.

- 1938-16 luglio - visita di S.a.r. Umberto di Savoia a Caposele e a Materdomini.

- 1938 - nei primi mesi di giugno si dava inizio ai lavori di costruzione dell’acquedotto per la contrada Materdo-mini.

- 1939 - 27 maggio-rivolta dei Caposelesi per il prelievo della restante parte d’acqua delle sorgenti Sanità.

- 1940 - Scoppio della seconda guerra mondiale.

- 1946 - 2 giugno - Plebiscito tra monarchia e repubblica. a Caposele vinceva la monarchia.

- 1946 - Prima elezione diretta del Sindaco.

- 1952 - 19 aprile. veniva effettuata la ricognizione cano-nica del corpo del ven. P. Salvatore Grasso: le ossa veni-vano murate accanto all’altare di S. Francesco.

- 1956 - Un nevone sommergeva il paese. Per poter en-trare nelle case a piano terra era necessario scavare i gra-dini nella neve.

- 1962 - Scossa di terremoto.

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- 1963 - 23 febbraio - Frana - Paura per il possibile distac-co della pietra dell’orco?

- 1969 - Inizio dei lavori per costruire in Materdomini una nuova basilica, più grande, per accogliere i numero-si pellegrini provenienti non solo dall’Irpinia, dalla vici-na Basilicata, dalla Puglia, ma da tutto il Sud.

- 1974 - Conclusione dei lavori della nuova basilica pro-gettata dall’architetto Giuseppe rubino.

23/11/1980 terremoto - diroccava buonissima parte del-le case e dei luoghi sacri e morivano persone tra giovani, anziani e bambini. Per ricostruire l’abitato e per consen-tire la dignitosa rinascita della vita religiosa e civile pas-savano più di venti anni. “Accanto al terremoto delle case v’era cocente ed insanabile un vero terremoto delle anime”.

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StorIadI MUrI e FondaMenta

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“Tra i dintorni più vicini alle sorgenti del Sele,che più attraggono lo sguardo, è il paese che

leva il capo sul fiume, onde fu detto Caposelee nelle carte dei bassi tempi Caput Silaris”

(nicola Santorelli)

CaPoSeLe oGGI (ab. 3605; 415 m s.l.m.)

Situato nel territorio del Parco dei Monti Picentini, in un’atmosfera di monti, colli e valli, Caposele1 è un ca-ratteristico paese della zona interna dell’Irpinia (Cam-pania), ricco di elementi di interesse turistico ed ambien-tale. L’area, ai piedi del monte Paflagone, da cui nasce il fiume Sele, è particolarmente pittoresca. Qui il verde è dappertutto dominante e la natura conserva la sua in-contaminata identità; qui le fresche, scintillanti acque delle sorgenti carsiche con una portata di 4000-5500 litri al secondo, alimentano l’acquedotto più lungo del mon-do, noto come “acquedotto Pugliese”, un’opera ciclopica profondamente legata alla vita, ai problemi e alla crescita del territorio.

ricostruito dopo il terremoto del 1980, il paese con-serva in più di un posto l’originale trama urbanistica con strade e stradine strette e sinuose, in gran parte ridise-

1 Il nome è a volte pronunciato erroneamente Caposselle, anticamente veniva diviso in due: Capo a Sele, Capo Sele (v. de Luca), Capo del Sele (il fiume che nasce non molto distante dall’abitato in un luogo piano fatto di selce a mò di mezza luna).

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gnate con bianchi e scuri sanpietrini, laddove non è ba-stata la pietra lavorata anticamente da abili scalpellini.

Le stradine si diramano in salita e in discesa dalle prin-cipali aree dell’antico castello, dei casali2 e delle sorgenti per confluire nel lungo corso centrale, che da un capo all’altro attraversa l’abitato e si congiunge con la strada provinciale. nel centro urbano giocano ancora un ruolo insostituibile “le scale esterne, sia come elementi appartenenti alla casa, sia come entità appartenenti alla strada… Nelle parti più impervie - esse - sono meno imponenti e più strettamen-te funzionali; continuano tuttavia a vivere in simbiosi con le frequenti gradonate e con i residenti che se ne appropriano con intelligenza e originalità3”.

Il nuovo tessuto urbanistico, al contrario, lascia le ul-time propaggini bagnate dal fiume e sale a scala sulle pendici del colle vicino, formando la zona Piani, per poi raccogliersi sulla assolata cima dominata da un santua-rio semplice e lineare nella forma, dedicato a san Gerar-do Maiella, o distendersi nelle ombrose conche, fino ad unire le preesistenti frazioni (Materdomini, Boiara, Buo-ninventre, ecc.) in un’unica solida comunità.

Il nuovo centro spirituale, sorto dopo il terremoto del 1980, nel luogo dove insisteva la vecchia chiesa madre dedicata a San Lorenzo martire si impone tra le costru-zioni che lo circondano per la sua particolare e moderna architettura. Su progetto dell’ing. vittorio Gigliotti, tra l’altro insignito del primo premio alla Mostra Internazio-nale di architettura di new York dove il progetto venne

2 originariamente presidi agricoli fortificati, poi trasformati in dimore per gli addetti alla pastorizia.3 da “Campania, l’habitat tradizionale” di S. rossi.

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presentato nel 1988, la chiesa ripropone, secondo una felice interpretazione del brano del profeta ezechiele (ez. 47, 1-23) la visione dell’acqua che fluisce e dona la vita. I voluminosi vortici del soffitto richiamano il fra-goroso mulinare dell’acqua così come le sinuose forme delle pareti portanti che, in un alternarsi di sporgenze e rientranze accolgono le statue dei Santi cari alla pietà caposelese, il pregevole altare, l’ambone e il Battistero, opera dell’artista bergamasco Mario toffetti.

Materdomini (600 m s.l.m.): un luogo che è più di una frazione

Conosciuto in tutto il mondo più di Caposele, di cui è frazione, oggi è un tranquillo, laborioso centro, con im-pianti ricettivi ben attrezzati. Situato in cima ad un colle circondato da folti boschi, secolari ulivi e campi coltiva-ti, dove il verde cambia spesso colore e il giallo spazia dall’ocra, al marrone, al ruggine scuro, è anche luogo di assorta devozione e francescana poesia. Qui riposano i resti mortali di san Gerardo Maiella, venerato taumatur-go, qui la natura sembra dominare su ogni altra cosa e la dolcezza supera l’orizzonte e si perde, o si ritrova, nel cielo. Questa polarità è, in effetti, la chiave per capire il segreto dell’interesse che attrae nel posto turisti italiani e stranieri in numero sempre crescente, circa un milione all’anno.

nel pittoresco tessuto urbano caratterizzato da un severo geometrismo, addolcito dalle luminose vedute sulla valle del Sele, si ha l’opportunità di godere il pae-saggio in maniera completa.

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Per una vacanza piacevole e rilassante, l’amenità del luogo, l’aria frizzante offrono la possibilità per passeg-giate ed escursioni, giri in bicicletta e cavalcate lungo i sentieri della valle e della montagna, ricca di fragole, funghi, origano ed ogni altro tipo di piante officinali. Quelli che amano l’avventura possono praticare il volo con il deltaplano, o semplicemente la pesca della trota sulle rive del fiume o nei numerosi torrenti. Il turista che vuole rinvigorire le sue forze può far uso della locale pi-scina e dei due campi di calcio, o gustare i prodotti ga-stronomici e la robusta, naturale cucina che rende l’area particolarmente attraente. Se l’attenzione è rivolta più ai valori dello spirito e al bisogno di una rinnovata profes-sione di fede, qui si è pienamente immersi nel silenzio della meditazione e della contemplazione.

Cenni storici su Materdomini

“Vi è in detta Terra una bellissima chiesa sotto il titolo di S. Maria Matris

Domini con famosa cupola e l’altare maggiore, dentro del quale sta collocata

l’immagine di detta Madre S.S. e questa anticamente per li tanti miracoli che faceva fu accresciuta di elemosine,

colle quali fu edificato detto Tempio con molte offerte di forestieri che solevano venire

ed in atto vengono alla divozione di detta Madre SS.” .(nicola Santorelli).

Il nome Materdomini deriva dall’unione di due pa-role latine “Mater domini” (Madre del Signore), titolo

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dato alla vergine nel 431, quando la gente e i Padri del Concilio di efeso acclamarono con entusiasmo la divina maternità di Maria.

La storia di questa ridente frazione è avvolta nel velo della poesia e della leggenda. Il nome dice chiaramen-te che all’origine di essa ci fu un avvenimento religioso: una statuetta di nostra Signora casualmente ritrovata da alcuni pastori in una boscaglia di sambuco e la richie-sta della Madonna stessa, qualificatasi Madre di dio, di erigere una cappella nello stesso luogo in cui era stata rinvenuta la statua4 rappresentante elegantemente la Madonna con le sembianze di una dolce adolescente in ginocchio, come in attesa di un fatto misterioso.

Il turismo religioso ha scoperto Materdomini e il Santuario di S. Gerardo solo diversi decenni fa, ma la storia di questo bellissimo luogo dell’Irpinia è antica di vari secoli, la data più lontana risale al 1527, l’anno del sacco di roma da parte di Carlo v e dei Lanzichenecchi; a quel tempo i copiosi prodigi di amore e di misericordia della Madonna attraevano già numerosi pellegrini alla cappella.

nel 1731 il terremoto devastò il tavoliere pugliese e causò danni all’Irpinia, così la piccola chiesa sul colle fu distrutta. Ma nel registro delle visite pastorali dell’arci-diocesi di Conza si rileva che nel 1736 Mons. Giuseppe nicolai, nella sua visita a Materdomini, trovò un piccolo santuario in ricostruzione. nel 1746 S. alfonso Maria dei Liguori fu inviato da Mons. G. nicolai a predicare una straordinaria missione in Caposele con l’intento di far

4 La statua, alta 84 cm, è formata di malta durissima, ma gli esperti non sono riusciti ad individuarne i principali elementi.

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aprire una comunità per la nuova congregazione del SS. redentore in Materdomini. La chiesetta, data a S. alfon-so, successivamente divenne una sontuosa Basilica de-dicata alla Madre di dio e a S. Gerardo Maiella, con un grande convento e, più tardi, impianti ricettivi attrezzati per pellegrini e turisti.

dato l’afflusso di numerosi pellegrini la Basilica fu ampliata nel 1929; successivamente negli anni ‘70 si co-struì una nuova chiesa dall’architettura moderna e line-are, che contrariamente alla vecchia Basilica, resistette, grazie alla Provvidenza, al terremoto che devastò l’Irpi-nia nel 1980.

Costruita su progetto dell’arch. Giuseppe rubino ed inaugurata nel 1974, la nuova chiesa, ricca di simbolismo liturgico, e tutta uno slancio verso l’alto, si richiama alla struttura di una tenda per due motivi: primo, in ricor-do della tenda del tabernacolo dell’antico testamento, luogo ove erano poste le tavole della legge e nel quale si poteva incontrare dio; secondo, perché la Chiesa è un popolo in cammino e per chi cammina la tenda è il luogo di riposo. Infatti è nella “tenda” che si celebra “la sosta che ci rinfranca nel cammino verso la Patria”, cioè la San-ta Messa. Il Cristo risorto che alto troneggia sull’altare è fonte e culmine della celebrazione della Santa Messa, centro della nostra vita e sicuro riposo alle fatiche di ogni giorno.

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Pochi sono stati i ritrovamenti archeologici nella zona di Caposele, anche perché scarse, se non nulle, sono sempre state le ricerche. Sono soprattutto le pie-tre, qui, a parlare. Quelle delle mura poligonali dis-seminate nei boschi alla località Oppido di Lioni, alle falde del monte Calvello, quelle delle mura nei boschi, dove si trovano tracce, a volte prorompenti dal terreno, di mura in pietra che seguono, in senso longitudinale, le curve di livello e, in senso trasversale, le linee di massima pendenza, delimitando i ripiani pianeggianti o con lieve declivio verso valle.

Qui si riconoscono camminamenti fortificati, mura difensive, tumuli di varia grandezza, strade pianeg-gianti in senso longitudinale, sentieri stretti e ripidi in senso trasversale e, un po’ dappertutto, polle d’acqua, sorgenti, pozzi, resti di capanne in pietra.

Presso le sorgenti, invece, l’aratro ha portato alla luce solo pochi scudi, spade, corazze, cumuli di ossa e sepolcri, dato che il luogo, non adatto ad accampamen-ti per la sua posizione geografica, ma piuttosto facile trappola per gli accerchiamenti, non è mai stato teatro di battaglie e importanti fatti di guerra.

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CaPoSeLe: Le orIGInI

“L’acqua è nel sangue della nostra gente; è la nostra storia, fin dai tempi più remoti. Se non ci fosse stato un bene così prezioso,

non avremmo avuto la presenza dei Greci, dei Sanniti, dei Romani; noi stessi oggi non esisteremmo”.

Come è facilmente comprensibile tutta la storia del comune si è svolta in parallelo a quella del fiume e que-sto fin dal tempo della colonizzazione greca della costa campana, come lasciano supporre alcuni toponimi della zona. La disponibilità abbondantissima di acqua avrebbe determinato i primi insediamenti documentati e mante-nutisi nel corso dei secoli.

Sulle origini di Caposele non si trovano, però, noti-zie certe, pertanto chiunque voglia tentare di esprimersi su questo tema deve lavorare su memorie episodiche o su delle supposizioni, suggerite dalla propria sensibilità e conoscenza. tanto premesso, l’unico punto di parten-za, riconosciuto un pò da tutti, è la derivazione greca del nome del Paflagone, monte alle pendici del quale sgor-gano le sorgenti del Sele. tale nome viene da alcuni col-legato ad una regione conquistata dai Greci, la Paflago-nia, la cui radice viene fatta risalire al verbo greco paflazo (gorgogliare di polle, bollire) e al cui tema si è aggiunto, per assimilazione, il tema forte di ghignomai (nascere = ghen). La letteratura antica (v. Senofonte) descrive tale

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regione come montuosa e ricca di fertili valli, ove abbon-dano corsi d’acqua che rompono il silenzio col loro carat-teristico tintinnio dello scorrere e le valli stesse incantano i passanti per la ricchezza di frutteti ed ortaggi.

Le testimonianze in nostro possesso parlano di Gre-ci che provenienti da Sibari in cerca di nuove terre fer-tili da colonizzare, arrivarono nella piana dove si trova la foce del fiume Sele. Il fiume presso la loro gente era considerato come qualcosa di sacro atteso che in Grecia scarseggiavano i corsi d’acqua e si avvertiva la difficol-tà del reperimento di essa. Con maggiore sicurezza si può affermare che alcuni greci, dopo la fondazione di Posidonia nel 273 a.C. partirono per esplorare le terre bagnate dal fiume Sele e le sue sorgenti e che ai loro oc-chi la somiglianza con la Paflagonia dovette essere tale da spingerli ad indicare il monte delle sorgenti col nome Paflagone.

L’indicazione di tale nome si è tramandata sicura-mente per via orale con i primi insediamenti. Gli storici riferiscono che nel 271 a.C. Pirro, re dell’epiro, durante la III guerra Sannitica, vinse i romani sulla destra dell’al-to ofanto, tra Ferentino ed oppido, località ad ovest e a nord di Caposele, distanti circa 4 Km dal paese. ed è probabile che in quella occasione il re attraversasse i luoghi immediatamente prossimi alle sorgenti del Sele e, dopo un inseguimento, affrontasse il nemico fin sotto Caposele1. La posizione geografica del luogo non adatta

1 Fino alle sorgenti del Sele erano i confini dell’antica Italia nella parte della Lucania. Furono i Lucani a contrapporsi alla colonizzazione greca sulla costa tirrenica e non è improbabile che proprio i Lucani costrin-gessero i Greci di cui si è parlato, riferendoci al Paflagone, a portarsi presso le sorgenti del Sele.

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ad accampamenti e di facile trappola per accerchiamenti non poté però essere teatro di una vera e propria batta-glia.

altri riferiscono che vi fu una grande battaglia del Silaro, estesasi dalla foce del Sele alla valle di Conza nel 71 a.C. e che Spartaco, dopo aver devastato la Campania e la Lucania con una moltitudine di schiavi, Galli e traci, sopraffatto cercò scampo verso aquilonia, dove le sue forze furono completamente sterminate dai romani.

È probabile anche che la sua sconfitta avesse avuto inizio presso le sorgenti del Sele e che, rimasto intrap-polato nell’anfiteatro naturale delle sorgenti stesse, egli avesse trovato scampo sulle colline, andando verso Boia-ra, l’agro di teora, Buoninventre, prima di giungere alla valle di Conza ed essere definitivamente sconfitto dal grande esercito di Crasso.

Secondo l’antonini la nascita di Caposele potrebbe invece risalire al periodo delle lotte romane con le tribù sannitiche. vero è che se la presenza dei greci sul terri-torio va ipotizzata su parole di origine greca, quella ro-mana ha lasciato reperti archeologici e nomi di chiara provenienza latina. Con la stele dedicata al dio Silvano, ritrovata nel 1834 nel bosco alla località Preta (Caposele), sita ai piedi del monte oppido, troviamo un’importan-te testimonianza epigrafica del possesso nel territorio di vasti terreni da parte di un certo domitius Phaon. La presenza di mura ciclopiche sulla vicina collina che oggi è ancora denominata oppido era ed è un segno della presenza di un castrum romano per controllare la valle dell’ofanto e la Sella di Conza, zona di vitale importanza in cui scorreva la strada di accesso al porto di Brindisi.

vero è anche che i primi colonizzatori della zona, Sanniti (Irpini) prima e romani dopo, abitanti del ca-

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strum, avevano greggi che nel periodo estivo portavano a pascere sul monte vicino, più alto e ricco di pascoli (per tali caratteristiche ancor oggi il monte è chiamato Cal-vello, dal latino carne e vello) e che certamente d’estate essi scendevano verso la valle dove oggi è Caposele per coltivare i terreni e rifornirsi di frutta, legumi e grano. Le sorgenti del Sele non erano ancora di primaria uti-lità in quanto le montagne erano disseminate di picco-le sorgenti che facilmente riuscivano a soddisfare i loro bisogni di vita ed essi non avvertivano alcuna necessità di accamparsi o vivere nelle loro vicinanze. È allora pro-babile che solo più tardi, spinti da sentimento religioso, avvertissero il vivo desiderio di abitare proprio vicino alle sorgenti del Sele e di godere del beneficio dell’acqua (fonte assoluta di vita sociale)2.

1.1 L’evoluzione della comunità

Per parecchio tempo la valle di Caposele restò abi-tata da contadini e pastori. La gente umile e laboriosa si accontentava di poco. La povertà c’era e si faceva sen-tire, ma non bastava a frenare i sogni e il desiderio di migliorarsi.

nel corso degli anni e precisamente intorno all’anno mille, iniziò l’aggregazione edilizia a Capo di fiume, là dove una copiosa quantità di polle sorgive - quasi cento - formavano un laghetto, prima di dare origine con sal-

2 I popoli antichi erano soliti fondare i loro borghi presso i luoghi ricchi di acqua ed onorare i fiumi come divinità.È stato anche dimostrato che spesso il modo di origine delle stesse città non è avvenuto simultaneamente, ma per fusione di borghi e villaggi.

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ti e cascatelle ad uno spumeggiante fiume diretto verso Posidonia (l’attuale Paestum).

nel periodo del feudalesimo, per meglio difendere le proprie terre e i propri privilegi gli abitanti iniziarono ad arroccarsi e a costruire mura di cinta; su solida roccia nacquero così il castello e le case intorno ad esso, l’una all’altra addossate ed intersecate da vicoli strettissimi. Col tempo al borgo superiore, attaccato alle sorgenti, si unì il borgo inferiore, proprio là dove il fiume, trovando il piano, rallentava il suo corso e dove le acque si pre-stavano mirabilmente ad irrigazioni, a mulini3 per maci-nare frumento, a mole per premere olive, a gualchiere4,

3 L’impiego dei primi mulini ad acqua (già noto ai romani agli inizi dell’età imperiale, per averne essi appreso il funzionamento al tempo delle loro conquiste in Siria, asia Minore) divenne comune nel Medio-evo. di solito i signori feudali riservavano a sé stessi il diritto di im-piantare mulini e da questa sorta di monopolio traevano un cospicuo reddito. Col tempo vennero perfezionati due tipi di mulino: quello a ruota orizzontale, che sfruttava la velocità e la pressione dell’acqua ed era particolarmente diffuso nelle zone collinari e montane, e quello a ruota verticale, che aveva un rendimento più alto, ma aveva bisogno di molta acqua e quindi veniva costruito prevalentemente in pianura, in prossimità dei fiumi più grandi o presso le sorgenti particolarmente ric-che. Quasi tutti i mulini dell’alta Irpinia erano a ruota orizzontale. Solo i mulini di Caposele utilizzavano il principio della ruota verticale.4 Quando uscivano dai telai i tessuti di lana non erano ancora pronti per l’uso: erano sporchi, ruvidi, laschi. occorreva allora sgrassarli, ammor-bidirli, serrarne le maglie. venivano quindi immersi in una soluzione di acqua e soda o di altri reattivi alcalini (l’urina era quello più a buon mercato e perciò il più usato). Successivamente venivano trattati con argille da purgo (ammorbidenti). durante tutta questa operazione le stoffe dovevano essere pigiate e battute energicamente, ed infine lavate perbene con acqua limpida. Il tipo di trattamento, dagli antichi romani chiamato follatura ed eseguito a forza di braccia e di gambe, nel Medio-evo veniva detto gualca e la macchina più diffusa per la lavorazione era la gualchiera, specie quella a due magli che era più facile da costruire e

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tintorie, macchine tessili e altre macchine idrauliche. Si sviluppò così un apparato produttivo a spiccato caratte-re commerciale, basato sulla lavorazione della lana e la tintura delle stoffe. L’insediamento di Capo di Fiume di-venne il quartiere popolare più produttivo e, a seconda della disponibilità del suolo, si diramò in due zone cono-sciute ancora oggi come “Capriumu r’cimma” e “Capriu-mu r’sotta”.

1.2 Quando Caposele lavorava le stoffe

La lana è stata per molti secoli la fibra più largamen-te impiegata nella fabbricazione delle stoffe. dalla metà dell’vII sec. in poi il più significativo traffico commercia-le diretto dalla costa verso l’interno interessò in modo particolare questa fibra e gli Irpini insediati nell’area delle alte valli dell’ofanto e del Sele5. La lana, materia

da far funzionare. Per quanto facile, il meccanismo era ingegnoso. Una ruota mossa dall’acqua faceva girare il fuso, lungo 3-4 metri, con un diametro di una quarantina di centimetri. Il fuso portava una coppia di camme per ogni maglio, disposte a croce. Le camme facevano oscillare due bielle (lunghe circa 2 metri e mezzo) sospese con apposite cerniere ad un sistema di travi. a ciascuna biella era attaccato un maglio (cioè un altro blocco di legno ricavato da un tronco). Il sistema biella-maglio aveva la forma di un gigantesco martello e del martello riprendeva an-che il movimento. La corsa dei magli si arrestava contro il bordo di una vasca, nella quale venivano disposte le stoffe da gualcare. al momento del risciacquo la vasca veniva allagata con acqua limpida, mentre i ma-gli continuavano il loro lavoro. nella gualchiera, quindi, l’acqua aveva una duplice funzione, serviva a lavare le stoffe e contemporaneamente ad azionare il meccanismo battente. 5 Fino a quando le industrie tessili e le tintorie furono operanti in Capo-sele, fu anche fiorente l’allevamento del baco da seta. Le donne che vi erano dedite usavano portare nel seno, avvolte in un panno di lana, le uova dei filugelli fino a che esse non si schiudevano.

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prima, prodotta nella daunia6 in gran quantità per la va-sta disponibilità dei pascoli che affacciavano sulle rive dell’adriatico, prendeva varie direzioni, lungo i diversi tratturi, in particolare verso le regioni appenniniche in-terne e verso la costa tirrenica (soprattutto in direzione di Cuma e amina - Pontecagnano, città proto-etrusca fondata da un popolo civile e laborioso più noto come Irpini che, partendo dal cuore dell’appennino campa-no si era spinto fino alla vasta piana del Sele). dai centri dell’Irpinia la lana greggia, lavorata in modo raffinato ed originale dalle donne, e i prodotti finiti (specie tappe-ti, arazzi), molto apprezzati, riprendevano la via verso l’emporio di amina. Qui venivano in gran parte scam-biati con i Greci, padroni della via del mare, ed avviati verso altre destinazioni sulla via che univa l’atlantico ispanico alle coste asiatiche della Siria. Fu proprio questo fenomeno commerciale uno dei motivi dell’accresciuto benessere delle comunità irpine, tra cui non mancò quel-la di Caposele. Qui arrivava per il trattamento finale qua-si tutta la lana tessuta nei paesi vicini dell’Irpinia come del Salernitano e il paese per la grande disponibilità di acqua divenne un centro famoso per l’arte della gualca, nonché della tintura delle stoffe7, al punto da conoscere un periodo di forte crescita e prosperità.

a raccontare la storia di quello che fu un piccolo polo manifatturiero, oggi sopravvivono unicamente suggesti-ve foto d’epoca e qualche struttura abbandonata. Mulini

6 antico nome attribuito dai Greci a tutta l’apulia, regione abitata dai dauni.7 a Caposele c’è ancora la “preta de la tenta”, una roccia su sui venivano stese ad asciugare le stoffe dopo la tintura, in attesa dell’ultimo lavaggio in gualchiera.

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e gualchiere cessarono la loro attività con la costruzio-ne dell’acquedotto Pugliese, quando, catturate ed in-canalate, le acque del fiume furono dirottate in Puglia. Il rapporto venne reciso e si disperse una storia ed una tradizione di concreta operosità che dovrebbe essere ri-cordata anche per il valore esemplare ed educativo che essa rappresenta. non conosciamo il destino che mulini, cartiere e gualchiere8 avrebbero potuto avere, probabil-mente la forza motrice rappresentata dalle sorgenti del Sele si sarebbe dimostrata insufficiente a sostenere una trasformazione produttiva delle attività avviate. Questo nulla toglie a quella che fu una reale esperienza di cre-scita economica e civile costruita con risorse e imprendi-toria locali.

2. Dall’XI al XX sec.

Per un millennio e più, dal 71 a.C. all’inizio dell’XI sec.(primo Medio evo) non vi sono purtroppo noti-zie certe su Caposele. avulso dagli avvenimenti storici che interessarono i paesi vicini (Conza, Sant’angelo dei Lombardi, Guardia dei Lombardi, ecc.), non rappresen-tando anche per le ragioni innanzi espresse alcun punto nevralgico per il transito, il borgo rimase pressoché quel-lo primitivo, teso a difendere la sua economia, gli scam-bi commerciali con la gente lungo il fiume, le conquiste sociali proprie e a respingere i soprusi da qualsiasi parte venissero.

8 I resti di una gualchiera sono ancora riconoscibili presso il greto del fiume, alla confluenza del torrente tredogge con il vecchio alveo prin-cipale che scendeva dalla Sanità.

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Intorno all’anno mille troviamo il paese nel territorio del Principato di Salerno, poi Principato Citra. e questo ci conferma che la forza gravitazionale, sia territoriale che civile, per Caposele è sempre stata esercitata dalla valle e non dalle montagne e che per effetto di questa situazione il paese si è sempre mosso nell’orbita dello sviluppo e del progresso della piana del Sele.

Le notizie di un feudo e un probabile castello risalgo-no al periodo normanno, probabilmente al 1160, quando Filippo di Balvano (o Balbano) ne divenne il proprieta-rio. nel corso dei secoli, il territorio passò nelle mani de-gli Svevi e degli angioini. Sotto gli aragonesi, una parte, probabilmente la zona chiamata Capodifiume, venne data a Jacopo Sannazzaro (1456-1538).

nel 1416 la regina Giovanna II di napoli affidò le en-trate del feudo ad antonio Gesualdo. e fu con Luigi II Gesualdo che Caposele raggiunse il suo grande vigore. Il paese aveva ottenuto il titolo di “Universitas” (nel sen-so di tutti i cittadini = universi cives) cioè di Comune autonomo in grado di eleggere liberamente un sindaco per alzata di mano dei suoi abitanti e di amministrare la giustizia.

Un grande privilegio questo dato ai sudditi, che, nel frattempo, scelsero anche un santo patrono, San Loren-zo, per la chiesa madre (“grande e di begli altari marmorei”)9 ed uno stemma per il proprio comune.

nel XvII sec. il territorio di Caposele passò ai Ludo-visi che l’acquistarono e rivendettero più di una volta. tutto ciò spesso li costrinse a lasciare il castello. allora

9 Sacerdoti nel ‘500 furono Guglielmo tonto, Paolo Cotirrella, Giovanni Sapia.

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comunità religiose10 e confraternite11 occuparono l’intera zona, le chiese aumentarono di numero12 e famiglie di estrazione ed origine diversa si affiancarono sempre più ai casali intorno alla Chiesa e alle proprietà private. La peste del 1656 ed il terremoto del 1694 sfortunatamente decimarono il borgo.

nel 1714 fu nominato principe della terra di Capo-sele Inigo rota, lo stesso che pose i suoi boschi a dispo-sizione di S. alfonso quando c’era bisogno di legna per costruire la Basilica di Mater domini. nel 1771 il territo-rio passò nelle mani di Carlo Lagni, marito di Ippolita rota, figlia di Inigo. nel 1806 una legge francese abolì la feudalità, così i signori preferirono la vita mondana di napoli alle rupestri montagne del borgo.

nel XvIII sec. Caposele aveva comunque già assun-to l’attuale caratteristico assetto di un paese con il suo

10 nei primi anni del XIv secolo la confraternita dei francescani, costruì, a poca distanza dal castello, il proprio convento con annessa chiesa di San Francesco.“vi è di più un Monastero sotto il titolo di S. Francesco di Minori Con-ventuali, che sta ricchissimo di rendite, è ben ornata la sua Chiesa, ed in esso vi sono stati degnissimi suggetti di detta religione che sono ascesi al grado Superiore di Provincia, come Maestro orazio, che ha stampato un libro di canto piano, oltre il vescovo di Bisaccia…” “vi è stato anco Francesco vitamore…antonio Parente (celebre medi-co che illustrò le teorie di Galeno)…vincenzo vistuta, medico insegno, oltre l’esservi stati infiniti dottori, notari e altri virtuosi” (da Cronaca Conzana). 11 Confraternite sotto il titolo dell’Immacolata Concezione, della S.S. annunziata (anticamente costituita in una chiesa posta nel luogo detto Casale di Malogna), del Corpo di Cristo, di S. donato, di Santa Lucia. 12 anche il vicinato del paese e le campagne erano di “sacelli” cosparsi: S. Maria della neve, S. donato, S. Sebastiano, S. antonio, S. Biase, S. nicola, S. rufia (documenti editi dal tribunale di Salerno).

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castello, gli agglomerati dei suoi notabili fuori le mura13, l’area di Capo di Fiume, il casale di Pianello, le Grotte, ecc. di pari passo con i progressi delle tecniche costrut-tive cominciarono a svilupparsi nuovi nuclei nella zona dei Casali, di Pianello, delle Grotte, con insediamenti spontanei ed altri elementi coagulanti della vita civile, finché il borgo raggiunse più o meno la fisionomia attua-le. Lo spazio intermedio alle due parti del paese, a dire dei nostri avi quanto mai franoso ed attraversato da un grosso torrente (attuale vallone Cannavale) non consen-tì però la costruzione di case14.

nella prima metà del XIX sec. il paese fu variamen-te coinvolto nei fatti che vanno dalle guerre di Indi-pendenza all’unità d’Italia. dopo l’unità la sua storia si confuse con quella di altri paesi limitrofi e centri d’Italia: brigantaggio, latifondismo baronale, lotte per la sparti-zione della terra, decollo industriale del primo decennio del nuovo secolo, emigrazione verso le americhe, poi la Svizzera, la Germania, il Belgio, e negli anni 50/60, il nord Italia.

verso la fine dell’800, infatti, pur di non rassegnarsi alla loro miseria molti contadini e piccoli artigiani, non ebbero altra scelta che emigrare, nel tentativo di fare for-tuna. La vita nei campi era molto dura e poche se non rare erano le occasioni di altri lavori stagionali.

La giornata lavorativa cominciava all’alba per termi-nare al tramonto. L’economia del tempo, ancora ristretta

13 In gran parte professionisti che curavano gli affari del principe ed esponenti del nuovo ceto emergente (famiglie Cozzarelli, Ilaria, Ceres, Santorelli, Benincasa, de rogatis).

14 Con i lavori di captazione delle sorgenti una strada venne costruita per collegare i due principali nuclei abitativi.

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negli scambi, nei traffici e nei collegamenti sociali, era primitiva, il reddito proveniente dalla terra e dall’attivi-tà agricola vera e propria era molto basso. Le rese pro-duttive condizionavano, così, ogni forma di sviluppo. Si produceva principalmente per i propri bisogni e si limi-tava la vendita di alcuni prodotti allo stretto necessario. L’agricoltura era prettamente di tipo collinare. Per il dis-sodamento del terreno si usava quasi sempre la zappa, raramente l’aratro tirato dai buoi, vista proprio la natura spesso collinare del suolo. La mancanza di ampie zone pianeggianti condizionava l’agricoltura.

Poche erano le varietà colturali come i cereali e le foraggiere, diffusa era la presenza del promiscuo con alberi da frutto (meli, peri e ciliegi), frammisti disordi-natamente a viti e ortaggi ed altre colture arboree (es. piante legnose). Le strade che conducevano ai campi, o meglio le mulattiere, erano sconnesse, a volte zeppe di grossi massi di pietra sporgenti e numerosi ciottoli sparsi ovunque, a volte fangose.

all’inizio del ‘900 la maggior parte delle terre di Ca-posele era di proprietà di famiglie non contadine, ma, a cominciare dalla fine del primo conflitto mondiale, molte di esse, e per le rimesse degli emigrati (soprattutto dalle americhe) e per l’indebitamento dei padroni, spe-cie quelli che, non esercitando di fatto alcuna attività, pretendevano di vivere di rendita, e per la svalutazione galoppante della moneta, passarono nelle mani dei con-tadini.

In quel periodo, data la svalutazione, questo era, ad esempio, il potere d’acquisto della lira: il prezzo medio di un quintale di grano era di circa 20/25 lire, le uova co-stavano 3 cent. l’una, il vino 2 soldi (10 cent.) al litro, un pollo medio 1 lira, il caffè 5 cent. la tazza, il cemento e la

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calce viva tre lire e cinquanta al quintale, la sabbia 8 lire al mc; 1000 mattoni 30 lire, 1000 tegole 85 lire, le tavole di abete per costruzione 65 lire al mc. La giornata lavo-rativa di un manovale edile che durava 10-12 ore veniva pagata circa 3 lire, un bracciante agricolo guadagnava, invece, circa 1,25 lire al giorno, sicché gli toccava lavora-re dai 15 ai 20 giorni per comprare un quintale di grano.

Questo spiega perché in quegli anni, oltre ai Capo-selesi, masse enormi di persone (operai, contadini, arti-giani) provenienti da tutto il Sud lasciarono i loro paesi afflitti da crisi agricole, siccità, crisi industriale, disoccu-pazione, ed emigrarono verso gli Stati Uniti, l’america Latina, il Canada, l’australia o le molte regioni europee, dove era richiesta abbondante manodopera, anche se non qualificata.

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L’Arma Civitatis del Comune di Caposele

Il primo stemma simbolico del paese, presentato dal Castellano1 nel suo libro “La Cronista Conzana2” rappre-sentava un drago spruzzante acqua dalla bocca. Sullo sfondo tre monti con tre stelline e la dicitura “Syleris Spectabile Caput” (Capo del Sele).

a tal proposito il Santorelli3 così si esprime: “…na-scendo (il Sele) in detto luogo pare che sia una cosa misera d’acqua, ma dieci passi distante forma un fiume sì terribile che non si può guazzare, anzi è divoratore de poveri vigneti e per-ciò si domanda drago, e in detto fiume vi è acqua freddissima che s’è vista spezzar li vetri per la gran freddezza, così anche vi sono freddissime cantine4 di vino che non hanno bisogno di

1 nativo di Bagnoli Irpino, donatantonio Castellano fu nominato vica-rio Capitolare il 26-1-1681 dai canonici della Cattedrale di Conza, dopo la morte dell’arcivescovo Paolo Caravita e tenne questa carica per nove mesi. L’11 gennaio 1685 Gaetano Caracciolo, eletto arcivescovo da In-nocenzo XI il 30 aprile 1682, lo nominò vicario Generale della diocesi di Conza.2 La “Cronista Conzana”, divisa in 5 libri, è un’opera manoscritta inedi-ta di donatantonio Castellano redatta tra il 1689 e il 1691 e dedicata a Gaetano Caracciolo, arcivescovo di Conza dal 1682 al 1709. tratta delle origini di Conza; delle guerre da essa sostenute e della distruzione su-bita; dell’intera diocesi e delle terre e dei feudi da essa posseduti; delle rendite giurisdizionali delle altre terre; delle città, delle diocesi e dei vescovi suffraganei; conclude con un’appendice, un supplemento ed una aggiunta.3 nicola Santorelli (1811-1896), insigne medico di Caposele, autore tra l’altro, del libro “Il fiume Sele e i suoi dintorni”.4 Singoli manufatti con un minimo di muratura e copertura in tegole, disposti in linea lungo il fianco della montagna, al di sopra dell’abitato

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neve, e le cantine sono tanto fredde d’estate che è pericoloso per la salute starci dentro.”

Il primo stemma con una certa ufficialità “giacente nell’archivio di Stato di napoli, ove è stato rinvenuto al vol. 4092, contenente il catasto onciario del Comune stesso, usato fino al 1754”, non presentava però più il drago, ma un collo d’aquila con 26 bizantini5 d’argento ordinati da sopra a sotto in 5,7,8,3,2,1 (gli ultimi sei posti sulla destra e sinistrati da una testa a collo d’aquila), tre gigli d’oro in capo e sempre presente la dicitura “Syleris Spectabile Caput”.

Per rispettare l’art. 39 del r.d. 21.01.1926 n. 61 che prevedeva l’obbligo dello scudo di tipo sannitico o itali-co, lo stemma subiva poi altre modifiche.

Il successivo art. 95 del r.d. n. 652 del 1943 prescrive-va infatti, che la corona doveva essere in metallo nobile e che nella parte sottostante lo scudo doveva essere ripor-tato un “serto” (sorta di ghirlanda aperta) con due rami di lentisco tra loro incrociati, circondanti lo scudo stesso e annodati con un nastro di colore azzurro nella parte interna e con colori nazionali nella parte esterna.

originario di Caposele. “I manufatti che oggi tutti i Caposelesi conosco-no come Le cantine sono il risultato di un ingegno particolare (XvIII sec.) teso ad utilizzare l’enorme serbatoio di energia refrigerante ubi-cato nella pancia della montagna dove rigurgita, prima di prorompere nelle Sorgenti del Sele, una falda acquifera a cinque gradi e sempre in pressione, che attiva, attraverso le fenditura della roccia moti convettivi di aria fredda che abbassano la temperatura nelle “grotte”. (da: “Capo-sele, una città di Sorgente” di nicola Conforti e alfonso Merola, 1994, elio Sellino ed.).5 La presenza di bisanti in araldica rappresenta il simbolo della funzio-ne di tesoriere o di maggiordomo di Corte o anche il diritto di batter moneta.

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Si arrivò così allo stemma di oggi privo della sum-menzionata dicitura, e così descritto: di azzurro, a 26 bizantini d’argento ordinati 5,7,8,3,2,1, gli ultimi 6 posti sulla destra e sinistrati da una testa a collo d’aquila al na-turale uscente in banda dal cantone sinistro della punta a tre gigli d’oro in capo, ordinati in fascia, ciascuno in corrispondenza ai bizantini centrali della prima fila.

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Il castello di Caposele

In mezzo all’antico abitato del paese, su uno spiazzo sovrastante tutte le case che fiancheggiano le tortuose stradine che portano a valle si vedono ancora grandi massi coperti di calcinacci ed erbacce, ultimi segni di un castello con torre quadrata, dimora di nobili, principi e baroni. In tutte le ricerche effettuate non si è però incon-trata alcuna fonte che facesse riferimento al Castello di Caposele.

Per intuizione si pensa che con gli altri presenti nella valle del Sele il castello risalente all’XI sec., contribuisse a difendere la valle stessa dalle incursioni dei nemici che, di volta in volta, potevano essere i Saraceni o altri, piut-tosto che essere una sontuosa dimora signorile.

L’assenza di notizie, comunque, non ha impedito alla mente sognatrice di Mario Giordano di produrre quell’ articolo pubblicato sul Corriere dell’Irpinia che qui si vuol riportare per poter continuare il nostro sogno.

Quanti castelli antichi dell’Irpinia? Quanti ruderi di roc-che e di manieri feudali?

Nessuno che noi sappiamo li ha mai enumerati. Nessu-no distinguendoli cronologicamente per zone e caratteristiche strutturali, ha mai atteso alla compilazione di un’opera orga-nica su questo argomento.

Eppure sui castelli irpini, su quelli integri e su gli altri ruinati e abbandonati, è tessuta la trama della più pittoresca storia da spalto a spalto, da torre a torre, su pei gruppi del basso Appennino, in cima ai tondeggianti colli sempre verdi, realtà e leggenda s’intrecciano a questi avanzi.

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Non è facile, spesso, scindere l’una dall’altra: spesso la tra-dizione le fonde in un solo bellissimo romanzesco racconto, ma la fisionomia storica dell’Irpinia vi si rispecchia ugualmente e se qualche volo fiabesco ne sfuma i contorni, ciò che è perduto per l’esattezza scientifica è guadagnato invece dalla poesia po-polare. Comunque, son questi castelli che riassumono le loro origini, coi grandi fatti di cui furono testimoni, con le illustri famiglie che li abitarono, con le imprese ora fosche ora magna-nime che entro e intorno ad essi svolsero, l’intiera storia medie-vale irpina. La quale ha, fra le storie regionali italiane, un ca-rattere tutto proprio e inconfondibile, fatto con episodi locali, di competizioni politiche e militari limitate al palmo di terra del proprio paese. Naturale, perciò, che in siffatte condizioni sto-riche intimamente legate agli interessi familiari dei maggiori feudatari, il castello dominante dall’alto del poggio la soggetta contrada, abbia avuto qui una funzione talvolta più importan-te della stessa città; specie se si tien conto che spesso questo si riduceva ad un centro abitato da scarna abitazione, come ad esempio Caposele, che ebbe il vanto d’un rinomato castello.

Caposele, ricca di monumenti e di antiche dimore patrizie, giace tra due colline: a settentrione il Paflagone, lembo meri-dionale degli Appennini, lussureggiante di vegetazione; a mez-zogiorno una rupe isolata, in cima alla quale si profila la roc-ca. Centro preistorico, il suo nome attuale deriva dal romano “Caput Silari”. Poco o niente rimane oggidì dei cinque ordini di mura che proteggevano la cittadella e che cingendo per tre lati la collina giungevano fino alla rocca. Il nostro, posto sopra uno spazio, consiste in un torrione quadrato, che sorge da una base piramidale in trachite. Una porta a nove metri dal suolo serviva d’accesso, e sono ancora visibilissimi i fori praticati nel muro per apporvi la scala mobile. Si entra in un vasto locale che comunicava, mediante botola, col piano superiore e con la base, dalla quale, secondo tradizione, forse esatta, si partivano

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due viottoli: l’uno conducente al grosso del paese, l’altro al cor-so tortuoso del Sele.

Di data imprecisata è, invece, la costruzione della cittadel-la. La sua origine sarà romana, barbara o medievale? Certo, in uno stato di perfetta efficienza essa rimane sempre, data l’im-portanza militare della posizione, la grande arteria romana che congiungeva la Campania Felix alla Lucania.

La rocca ha sempre formato l’orgoglio del paese. Mancano purtroppo, notizie di tempi lontani, e le distruzioni e i saccheg-gi, più volte ripetuti nei secoli, non permettono di ricavarne dall’attuale costruzione, che nella parte più vecchia, secondo il Santorelli, dovrebbe risalire alla fine del XI o all’inizio del XII sec. Folco d’Este1, come ricorda il Muratori, aveva qui tenu-to, nel 1115 un placito nella “domus dominicata” che alcuni vollero identificare in quella parte del castello a monte, nata col nome di casa “romanica”, opinione non condivisa dal San-torelli. Si sa di certo che nel castello di Caposele abitò Alfonso di Aragona, principe nobilissimo e di invitta potenza, verso la fine del XIV sec. Sicuro la sua numerosa corte non poté trovare alloggio nella rocca. Troppe volte la complessa e vasta costru-zione venne rimaneggiata, alterata e rifatta.

La parte più antica, tuttora esistente, è forse, la già men-tovata “casa romanica” probabilmente anteriore al massiccio occidentale che si fa risalire a Federico di Aragona, non molto tempo prima della cacciata degli Angioini coi vespri siciliani.

Dunque sembra che il castello sia di schietta origine Ara-gonese. A questi spetta indubbiamente la costruzione ad orien-te dell’edificio merlato in cotto, che addossarono alla casa roma-nica. Anche la decorazione interna degli ambienti vastissimi risale a quell’epoca, sia nella semplice pittura rurale a scacchi

1 vedi nota chiarificatrice successiva

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rossi, propri della dinastia e che si ripete quasi ovunque, sia nella costruzione dei caminetti, fra cui quello monumentale di una delle sale superiori, “sotto la torre dalla cappa altissima; fatta preziosa dall’ornamentazione complicata, dal chiaro scuro degli architetti molteplici”. Così descrive il Santorelli, che asse-risce non esser stato costruito altro camino, neppur nella regia di Napoli, superiore in magnificenza a questo, che “si aderge gigantesco e fantastico come nello sfondo di una piazza”.

Al tempo dell’autore, si vede chiaro, esisteva ancora qual-che traccia di quell’opera meravigliosa, ch’egli chiama “uno dei più espressivi monumenti del viver civile”.

Sotto il dominio degli Aragonesi, il castello venne qualche volta allietato da feste e da banchetti, come nel 1375, per le nozze di Margherita d’Aragona, che giunse a Caposele seguita da nobile e smagliante corteo e da gran numero di alfieri. Brevi parentesi di sereno queste nozze, poiché le mura del castello risuonavano più spesso dei lamenti dei condannati, anziché di risa gioconde, e la cupa fortezza accoglieva, qualche tomba, i familiari dei truci signorotti.

Dopo i Vespri Siciliani e la conseguente cacciata dei tiranni del patrio suolo, il castello fu abbandonato dagli Aragonesi che si stabilirono definitivamente nell’Italia insulare, poco curan-dosi delle antiche dimore. E così Caposele insieme al suo castel-lo passò nelle mani del principe di Castellaneta, che trasformò, ampliò il castello riducendolo ad una fortezza delle più temute della Regione. Scene di sangue si rinnovarono tra quelle mura e le torri merlate furono testimoni di aspre e sanguinose lotte che si combatterono nella valle sottostante.

Il fiume più volte con la sua piena negò il passaggio ai bel-ligeranti, ma il signorotto del castello continuò la lotta dall’alto della rocca.

Il terremoto del 1694 che distrusse quasi Caposele, demolì buona parte del castello, che rimase per decenni abbandona-

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to. Sembra però che più tardi, verso il sec. XVIII i principi di Caposele abbiano ridato il primiero splendore. Il poeta Iacopo Sannazzaro, amicissimo dei principi, avrà trascorso i giorni migliori della sua villeggiatura irpina in questo superbo ma-niero, che prima del predetto terremoto era di un fasto ammi-rabile. E si crede che il poeta abbia lavorato qui molto intorno al “De partu Virginis”. E la cosa è molto attendibile, giacché la quiete del luogo e la presenza dell’acqua potevano ispirargli scene dolcissime ed immagini d’una delicatezza nuova, di cui abbonda il bel poema. E così fino al secolo della rivoluzione, il castello visse di vita propria e indipendente, finché tutto il principato venne assorbito dalla Signoria dei Duchi di Salerno, che curarono punto o poco Caposele e castello, lasciandovi una università che reggeva le sorti dell’abitato con una indispettita sovranità.

Ed ora il bel maniero giace silenzioso e tetro: non più voci, non lamenti, non allegre serate di una volta. Tutto è tramonta-to senza speranza di risveglio. Le sale, le torri, le pietre stesse parlano al viandante di una storia che fu. Ora tutto è mutato. V’è solo la foresta che guarda estasiata e compassionevole tanta abbondanza di vita abbattuta e dimenticata.

(dal “Corriere dell’Irpinia” sabato 20 dicembre 1941, Mario Giorda-no)

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notIZIe StorICHe:note CHIarIFICatrICI

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Folco d’Este a Caposele?

La notizia della tenuta di un placito da parte di Folco d’este a Caposele nell’anno 1115 è stata riportata da al-cuni autori nelle loro pubblicazioni, fra l’altro compare, come si è detto, anche nell’articolo pubblicato dal Cor-riere dell’Irpinia negli anni 1940, a firma del giornalista Mario Giordano. evidentemente la citazione della fonte “delle antichità estensi ed Italiane”, trattato di Ludovico antonio Muratori, bibliotecario del serenissimo Signor duca di Modena, ha dato loro ampie garanzie di veri-dicità.

La notizia, invece, di primo acchito pone un inter-rogativo: come mai in quegli anni troviamo presente a Caposele un membro della famiglia d’este ?. Il dubbio viene sciolto solo consultando il trattato e, senza alcuna difficoltà, si chiarisce il frainteso. nel trattato citato, in-fatti, viene riportata la notizia che nel 1115 si tenne un placito nella terra di Monte Silicis (Monteselice) nel Pa-dovano, che apparteneva alla Casa d’este, per decidere su una lite sorta tra i Monaci di S. Giustino e le Monache di S. Zaccheria di venezia.

evidentemente, è solo per superficialità che si è scambiata la parola Silicis con Silis, termine con cui vie-ne riportato in latino il fiume Sele.

1322: Anno di partecipazione alle crociate?

nella “Cronista Conzana” di don antonio Castellano, scritta nel 1691, viene riportata la notizia che nell’anno 1322 Caposele, Sant’angelo dei Lombardi e Calabritto fornivano 34 uomini d’arma e 60 fanti per la terra Santa,

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per cui l’avvenimento è stato successivamente riportato in tutte le pubblicazioni riguardanti la storia di Caposele.

La notizia è senz’altro veritiera, ma la sua colloca-zione temporale lascia qualche perplessità in quanto in quegli anni non ci fu alcuna crociata. ebbene, per chia-rire tale dubbio si è consultato il succitato testo che, for-tunatamente, riporta come fonte il testo seicentesco di Gio. vincenzo Ciarlante “Memorie Storiche del Sannio”. a pagina 320 si trovano le poche righe di interesse per la nostra ricerca “Il Conte Filippo di Balbano per S. Angelo, Calabretta, Caposele e Diano, e per i suoi suffeudatari offerse 34 huomini d’arma e 60 fanti”.

Le righe sono inserite alla fine della seguente descri-zione: Morto a Ferrara Urbano III a. 19 di Ottobre 1187, il giorno seguente fu con applauso grande eletto Papa il nostro Cardinal Alberto, a. 25, vi fu coronato e chiamato Gregorio ottavo. Fu egli come dice il Baronio, successore di dolore, erede di calamità, perché in cinquantasette giorni, che visse, non fa altro, che incitar Principi Cristiani ad andare alla recuperatio-ne di Terra Santa, occupata dal Saladino.

Re Guglielmo, come ch’era tutto pio, e buono volle con-correre e chiese a questo fine a i Baroni del Regno duplicatoli servitio de loro feudi. E perché D. Ferrante della Marra Duca di Guardia nei suoi focosissimi discorsi ha notato buona parte de i Baroni e Feudatari di quei tempi, che vi concorsero, cavati da una scrittura dell’Archivio vecchio di Napoli, posta nel Re-gistro del 1322, la cui copia dice di aver avuto dal Padre Carlo Borrello de Chierici Regolari Minori tra quali sono anche molti di queste parti…

Storicamente si sa che nel 1187 Saladino, sultano d’egitto e Siria, sconfiggendo i Crociati nella battaglia di Hattin pose di fatto fine alla dominazione cristiana in terra Santa.

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Bene è che il testo del Ciarlante continua riportando la fonte storica. Si evidenzia così con chiarezza che la citazione “nel registro del 1322” deve essere interpretato come “nel registro 1322” per poter collimare l’evento col tempo delle crociate e della presenza dei conti Balbano su queste terre. di ciò si trova riscontro presso l’archivio di S. Severino nel quale l’antica indicazione del registro 1322, successivamente, prende il numero 242. di ciò si occupa anche il testo (“Catalogo dei feudi e feudatari della provincia napoletana sotto la dominazione nor-manna1”) di Bartolomeo Capasso edito da arnaldo, con-sultato presso la biblioteca provinciale di avellino.

Iacopo Sannazzaro a Caposele?dopo la presa di Capua, avvenuta il 25 luglio 1501,

i francesi entrarono in napoli. Il re Federico d’aragona aveva dovuto lasciare la città due giorni prima per ri-fugiarsi sull’isola d’Ischia, nonostante il parere contrario del Sannazzaro che in quelle giornate tumultuose si era distinto per la sua bella condotta.

Prima di lasciare napoli il re aveva convocato tutti i suoi sudditi più cari e fedeli per salutarli e nell’occasione, anche se tutto sembrava perduto, li aveva gratificati con ampie concessioni (poi annullate il 10 febbraio 1505).

1 “Il Catalogo dei Baroni normanni” è un documento visionato in epo-ca sveva, successivamente trascritto nei registri angioini e pubblicato a opera di del re.Il Catalogo, rispecchiando la concezione socio-politica medievale, elen-ca i feudi e i feudatari compresi nella circoscrizione militare della “co-mestabulia” (da comes=compagini=accoliti) di Giliberto di Balbano, a cui fanno seguito i feudi intestati a Gionata di Balvano, conte di Conza, e i suffeudi da lui dipendenti.

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a favore del Sannazaro si trova scritto “Jacobi San-nazarii: concessio terre Caposele”, ma non è stato mai possibile rinvenire l’atto scritto di concessione. Probabil-mente, vista la trepidazione di quelle ore, esso non fu mai stilato.

di fronte a tanta generosità e anche per onorare, con ampia fedeltà, l’amicizia col suo re, il 6 settembre Iacopo Sannazzaro seguì Federico verso l’esilio in Francia. Sal-pò, malgrado la sua malattia di stomaco, lasciando dietro di sé la dolce e tranquilla vita di napoli.

Qui si fermano le notizie storiche che fanno pensare che il poeta dell’arcadia non abbia potuto godere delle bellezze naturali del nostro paese. Quando esse gli ap-partenevano lui si trovava in Francia. Comunque piace ancora credere che il poeta abbia chiesto la concessione delle nostre terre perché affascinato dai panorami bellis-simi di Caposele, terra dell’acqua.

Il sogno del giornalista Mario Giordano espresso in un articolo pubblicato nel 1942 sul Corriere dell’Irpinia è dopotutto troppo affascinante e merita di essere qui riproposto ad ogni Caposelese.

Nella parte occidentale della cittadina di Caposele, tra il corso del fiume e la piazza plebiscito, all’ombra degli olmi an-tichi, si annida un fiorito covo di ricordi Sannazzariani. La piazza, le costruzioni nuove, le villette disseminate sul declivio della montagna han cambiato il volto del paese, hanno cancel-lato in gran parte i segni e le impronte dei fatti storici, ma non potranno mai scacciare gli echi dei ricordi che sono nell’aria, e ad ogni richiamo del pellegrino sentimentale risuonano tra le pietre nuove ed antiche.

Qui il poeta visse uno dei suoi amori, il culminante che cominciò con l’idillio e poteva condurre al matrimonio, ma finì

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nel dramma. Avrebbe potuto quell’amore dare equilibrio alla sua vita inquieta e invece la spezzò. Egli vi andò la prima vol-ta nell’agosto del 1486, aveva esattamente trent’anni. Carlo Aragonese, principe di Caposele, lo aspettava a braccia aperte nel suo splendido maniero in riva al Sele. Il vecchio signore, umanista e cattolico, era ansioso di conoscere questo giovane poeta dotto, ispirato e scapigliato, col quale da tempo tesseva un’assidua corrispondenza. I suoi figli, Federico e Alfonso, che frequentavano a Napoli, con altri giovani, la casa del poeta, insistevano perché egli li accompagnasse al ritorno loro a Ca-posele. Figurarsi dunque come lo accolsero il vecchio principe, la principessa e le figlie giovanette, quando il poeta illustre ed elegante apparve al castello.

Il sole era il dio del poeta, nemico in vita e morte del fred-do, e della bruma, e i due giovani amici lo ubriacavano di sole, di aria silvestre, di odor di bosco e di pomario. Cercavano nel parco gli antri solitari, tra le siepi di bosco e i padiglioni rampi-canti. Contemplavano il plenilunio sul fiume, tra il tonfo som-messo del boscaiolo del barcaiolo in acqua e il corteo delle bion-de nuvole in cielo. Dopo un sonetto ed una sestina di Petrarca, declamati da Iacopo col suo vocione, ascoltavano in silenzio il canto notturno dell’usignolo. Maturavano le regine claudie2 e i giovani amici ne facevano raccolta al tramonto: Alfonso ar-rampicato su gli alberi facea scrollare i rami carichi e la sorella minore giù a ricevere le dolci frutta nel serico grembiule teso tra le braccia, gentile immagine botticelliana.

Con Alfonso, vivace giovinetto di sedici anni, Iacopo di-venne un ragazzo anche lui, e facevan le corse a gara su per l’erta fino alle sorgenti alte, per godere di lassù lo scenario della riva opposta del Sele e la valle ridente.

2 Una qualità di prugne.

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Lo spirito del poeta era sempre il migliore condimento della conversazione imbandita su le terrazze del castello la sera. Le dame lo ascoltavano incantate. Un uomo eguale a questo non era mai venuto a rimuovere le acque della loro placida villeg-giatura. Ma venivano anche le ore nere e allora non c’era ani-ma vivente che riuscisse a cavargli una parola di bocca. Se ne stava appartato e aggrondato; per non essere tentato a parlare, si alzava e usciva con uno di quei gesti che parevano teatrali ed eran la sua natura. Passava lunghe ore invisibile a tutti, poi andavano a scortarlo sotto i cipressi della Pliniana, che lo avrebbero scambiato per una statua sepolcrale.

Bisognava lasciarlo andare, bisognava rispettare la malin-conia l’originalità dell’ospite. Al ritorno sfogato il malumore, diventava più loquace e spiritoso. Quando era “indemoniato dal diavolo delle chiacchiere” chi lo teneva più? Così il Cardella dipinge nella sua letteratura l’animo di Sannazzaro, che passò la sua vita più nell’allegria che nel dolore; però i pochi giorni di malinconia gli furon d’un peso e d’una insofferenza incon-cepibile.

Amò Caposele Iacopo e vi ritornò una seconda volta, ed una terza volta. Forse la malia del luogo e il canto tanto armonioso del Sele dovevano esercitare un fascino potente sul suo animo di poeta nato. E qui diè principio al poema che lo immortalò e lo rese tanto grato al Pontefice Leone X.

Io credo che pochi caposelesi conoscono le glorie patrie, e pochi anche si danno premura di conoscerle. Ma il loro paese è pieno di poesia vera e di arte sentita. Questa poesia la sentì Iacopo per cui lasciò più di una volta Napoli con il suo incanto e venne a ispirarsi qui a Caposele. E la cosa è tanto attendibile. Il Santorelli ci dice che le scene campestri idilliche nel suo “De partu Virginis” riproducono i luoghi più suggestivi dell’Irpi-nia. E’ questo è tanto naturale per chi conosce questi luoghi. Già nel proemio dell’opera il poeta annunzia cose umili, ma di

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incantevole bellezza. E questa bellezza incantevole sembra data appunto dalle scene mirabili che si susseguono con un tono di crescente meraviglioso. A chi ben conosce questi luoghi nel leggere quelle pagine profumate sembra trovarsi sul pianoro di S. Biagio o a sera presso il campanile della Sanità ove è tanta poesia e tanta cornice di vita campestre ma beata. Lontano da Caposele, Iacopo sentiva una nostalgia come chi la sente pel focolare lontano o per una persona cara. Lo pianse più volte. In una lettera scritta al principe Carlo fa sentire tutta la sua sim-patia per quel castello e per le tante cose rimaste a Caposele “mi trovo solo benché in mezzo al fasto delle case patrizie. Penso al castello e mi sento triste…Addio con tutta l’anima, addio…”. Un addio che non era un addio.

Infatti il Sannazzaro ritornava per l’ultima volta nel 1525 a Caposele e quasi presago di ciò volle godere lungamente del beato soggiorno. E stette due mesi sul fiume. Insieme a Fede-rico si abbandonava a lunghi convegni per i notturni silenzi del Sele. I grandi antichi olmi del parco furono indulgenti alle dolci fantasie, ai dubbiosi desiri. Cantò alle piante, alle acque, al fiume, l’ultima rima e il concerto dell’arpa si diffuse per la valle felice che guardò il poeta che partì e per sempre in quel caldo agosto del 1525.

(dal Corriere dell’Irpinia 17 gennaio 1942, MarIo GIordano)

1879: Morte della duchessa Filomena de Mari nel ca-stello di Caposele?

Un componimento poetico di nicola Santorelli inti-tolato “In morte di Filomena de Mari duchessa di Castel-laneta”, contenuto nel libro dello stesso autore, “Il fiume

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Sele e i suoi dintorni”, ha indotto più di qualcuno a cre-dere che la suddetta nobildonna morisse nel castello di Caposele, il giorno 11 agosto 1879.

La notizia, riportata anche in qualche altra pubblica-zione, ha stimolato la mia curiosità al punto da spingermi a ricercare in altri testi dei riscontri oggettivi per confer-mare o meno tale avvenimento. La prima curiosità è stata quella di capire chi fosse la duchessa Maria Filomena de Mari e come mai avesse delle proprietà a Caposele.

Le ricerche mi hanno portato all’anno 1714 quando, probabilmente per vendita, il nobile Inigo rota diventò feudatario di Caposele ed ottenne dal re il titolo di prin-cipe di tale terra. Il fatto che il feudo fosse poi continua-mente venduto starebbe a significare che il castello non era più abitato in quanto i padroni preferivano ad esso gli agi ed il fasto della città di napoli.

nel 1771 il feudo arrivò nelle mani della figlia di Ini-go, Ippolita rota, che lo portò in dote al marito domeni-co di Ligny, duca di Marzano3.

3 Principe di Caposele, domenico Ligny, fu protagonista di un grave episodio, riportato nella Cronaca del convento di Sant’arcangelo Ba-jano (estratta dagli archivi di napoli) che vale la pena descrivere bre-vemente perché ci permette di conoscere il personaggio. egli era per-sona attaccabrighe, violenta, cattiva e di pochi scrupoli e per questo, ogni tanto, veniva rinchiuso nelle celle del carcere. amante della suora Camilla origlia, rinchiusa nel convento di Sant’arcangelo Bajano, si vantava con tutti e spesso lo si sentiva dire che andava al convento per incontrare l’innamorata, benchè questa avesse pronunziato i voti.avvenne così che proprio dopo uno dei suoi continui misfatti gli fosse imposto il carcere per alcuni mesi, e che Camilla, stanca della violenza dell’amante, ma soprattutto perché convinta che la tresca amorosa non poteva durare a lungo con una persona piena di debiti, concedesse i suoi favori a Pietro antonio Mariconda, cugino di domenico. tutto filò liscio fino al giorno della scarcerazione del principe, quando Laura San-felice, confidente della suora, sicura che domenico ben presto sarebbe

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Con la morte di Ippolita il 03.07.1799 il feudo pas-sò al figlio Carlo di Ligny e successivamente al figlio di quest’ultimo ranieri. Morto ranieri, senza lasciare pro-le, la proprietà dei mulini, delle gualchiere e dei trap-peti, siti nei pressi delle sorgenti del Sele, passò alle di lui sorelle Maria domenica ed olimpia. Quest’ ultima la lasciò al figlio Francesco (1828-1894) che, trasferitosi a roma per seguire la corte in qualità di Gentiluomo di Camera con esercizio del re Francesco II delle due Sicilie, nel 1861 sposava donna Maria Filomena de Mari du-chessa di Castellaneta.

donna Maria Filomena conosceva la famiglia Santo-relli in quanto questa si prendeva cura degli interessi in loco della sua famiglia; da quello che è dato sapere, ella doveva essere una donna di grandi virtù umane, se a più riprese andava in soccorso dei poveri Caposelesi che abitavano nei tuguri attorno al castello e che a stento riuscivano ad andare avanti.

Certo è che il Santorelli doveva avere un’alta consi-derazione di donna Filomena se nel suo libro dedicava una toccante lirica alla duchessa per la morte dovuta ad

andato a trovare l’amante, e nell’intento di evitare atti di violenza, in-formò il principe della nuova situazione che si era creata tra Camilla e Pietro antonio, pregandolo al tempo stesso di rivolgere il suo affetto ai suoi familiari. Perché l’antagonista era il cugino domenico, ella pensò si sarebbe certamente convinto. Ma il caratteraccio del principe prese, come al solito, il sopravvento; ad alta voce e con rabbia egli giurò di vendicarsi. Quella notte stessa iniziò ad appostarsi intorno al convento e quando vide avvicinare Pietro antonio, accompagnato da sette uomi-ni armati, perse la ragione, spinto solo dalla rabbia e dalla gelosia assalì il cugino trafiggendolo con due colpi di pugnale. Seguì una tremenda colluttazione e il principe ne uscì con una grave ferita alla coscia. Per evitare lo scandalo tutti scapparono nel buio della notte portando via anche i feriti.

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un parto ed avvenuta l’11.08.1879. L’autore immagina se-gnata a lutto, mediante un drappo nero, l’entrata del ca-stello già rivestita di erbacce e descrive lo stesso castello, di proprietà di donna Filomena, mal ridotto irrugginito e guasto dal tempo.

Una conferma dell’abbandono del castello ci viene dal dizionario corografico dell’Italia di amato amati edi-to nel 1868, in cui si riporta che Caposele un tempo aveva un castello di cui si scorgono tuttora le rovine nella pendice…

Questo chiaramente contrasta con l’ipotesi che la morte della duchessa fosse avvenuta nel castello di Ca-posele, ma tracce della proprietà dei Castellaneta (due mulini, due trappeti e due gualchiere in vicinanza delle sorgenti) vengono menzionate nel ricorso prodotto av-verso la captazione delle sorgenti del Sele del 1887 da parte del duca di Castellaneta ed inviato alla prefettura di avellino.

analogo ricorso fu, in effetti, presentato anche dal Principe di Caposele Luigi de vera d’aragona che van-tava la proprietà di opifici in prossimità delle stesse sor-genti. egli era diventato proprietario del manufatto per lascito del papà Giuseppe de vera d’aragona che, a sua volta, lo aveva ereditato dalla mamma Maria domenica Ligny, figlia di Carlo, maritata con Luigi de vera d’ara-gona, duca di verzino4.

4 oggi uno di questi opifici è individuabile nel mulino di proprietà della famiglia russomanno, sito in prossimità del ponticello che attualmen-te unisce le due sponde del canale realizzato dopo la captazione delle acque, all’inizio del novecento, e nel quale scorre il fiume Sele allor-quando si effettuano dei lavori in galleria. In esso si trova attualmente un grosso blocco di pietra locale su cui è inciso il nome del principe d’aragona.

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note dI aPProFondIMento

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da Inediti Valselesi di Giuseppe Chiusano, Poligrafica Irpi-na - Lioni.

al tempo di Mons. Campagna (1658) vi erano in Capo-sele le chiese di S. nicola, S. Sebastiano, S. antonio di Padova, Sant’antonio abate, S. Lucia, S. rocco, S. elia, S. Michele arcangelo, Santa Maria degli angeli, S. Giovan-ni, S. Maria della Consolazione, S. donato, S. Maria delle Grazie. erano

Sacerdoti: Francesco d’amico, Melchiorre ruglio, do-menico Fungarolo, vincenzo Parente, Giu-seppe di Popolo, Camillo Guarnaccia, Fran-cesco Ciampa, Francesco Figurella, Carlo Bozza, Giuseppe Peluso, natale Bozza;

diacono: Bonifacio Ceres.

Subdiaconi: Francesco Gaeta, Guglielmo Grippo, Leo-nardo Mollica, Giacomo Lupo.

alla fine del ‘600, vivevano in Caposele le seguenti fami-glie, parecchie delle quali o si sono successivamente tra-sferite altrove o sono estinte: Fungaroli, Cafullo, di Masi, Sturchio, Bozio, rosa, Melchionna, rullo, de vincentis, Guarnaccia, Santoro, Fonzo, di Minico, de Leonardo, Zicola, Grillo, Colatrella, d’amico, Gaieta, Ilaria, infan-tozzi, Cetrulo, Longo, Passolo, Suozzo, Basile, Fasulo, Freda, Scolavino, d’elia, nesta, russomando, Pizza, del Buono, Gobitosa, Lione, Pontanaro, Pallante, Castagno, Colella, Sena, Malanga, nisivoccia, Peccatiello, Caruso, Casiero, rosania, Sozio, di Cesare, Scavamuzza, Zigna, de Luca, Cozzarelli, Merola, Milano, della Fera, Linar-duccio, Laoro, Paularcia, Marianello, Grasso, Corona,

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Mazzariello, Curcio, vitamore, Sabatino, Infante, del Guercio, Cione, ecc.

Queste le vie cittadine: Santa elia, Sicignano, duomo, Castello, San Biaso, S. Maria, Piazzale.

Queste le contrade campestri dell’epoca: Piano Grande, Peschiera, vado del Guercio, Chianelle, Fasso, Perreta, Serra dell’abate, Serra Castello, Serro del Lupo, Serra del Pasano, Sconfitta, avigliano, Pantanella, Costa, Quer-cia di Cavante, Chiusa, vallone della Cupa, acquaviva, Materdomini, Sopra il Convento, Croce della vendetta, tratturo regio, demaniali, vallone di Sotto, vallone del Minuto, tasso, Piani, Cannavale, aria delle rose, vado del torrione, S. Maria alle Fornaci, Fontana dell’olmo, Fontana di Mappetiello, Serra di S. Maria, Polcito, Beni di S’anna, Piano di Limbia, Santa Catarina, oltre a quelle più antiche di:

1. La terra di Boiaro: anticamente indicata Pietra Boiara, verso teora, con Casale e, sopra una pie-tra altissima e spaziosa, un castello (1200) oggi distrutto e una Chiesa1 e remitaggio sotto il tito-

1nella Chiesa, decentemente restaurata dal gentiluomo di volturara, fra Francesco Masucci che ivi fu eremita, “vi era una bellissima cupola edificata dall’ill/mo dr. Fisico donato antonio Parente per cagione che ivi sono seppellite 2500 anime, che morirono in tempo di peste in detta terra nell’anno 1656, restando solo anime viventi 500, e questa è sotto il titolo di anime del Purgatorio, con dotarla di tutti i suoi beni ereditari, com’ ha fatto Geromina sua moglie, compreso di messe”.donato antonio Parente, celebre medico, “che illustra le teorie di Gale-no ancor poeta e istoriografo e sì versato nelle scienze da esser stimato enciclopedico”.

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lo di S. Maria di Boiaro, oppure ad nives, con la cappella di S. vito, assai miracoloso.

2. La terra di Buoninventre prima Malinventre: “così nominata forse perché li cittadini haveva-no ivi poco da magnare…” Pochi edifici si cono-scono dell’antica terra; confina questo fondo con quello di Castelnuovo.

3. La terra della torricella: posta sopra un “montel-lo dentro la defesa attaccata al feudo di Bonin-ventre e vi parono la vestigia antica d’una torre, fontana ed altro; questa hoggidì sta sotto il domi-nio del Barone di Castelnuovo e notata nel Con-servatorio di Conza del 1200, e vogliono che li cittadini di questa terra essendo distrutta andas-sero ad habitare a S. Menna e a teora”.

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1748-1900: nomi e cognominei registri parrocchiali

e in quello dell’anagrafe civile

Con la conclusione del Concilio di trento del 1563 entrò in vigore l’obbligo di tenere i registri dei battez-zati e dei morti in ogni parrocchia. Poiché tale direttiva fu attuata in tutte le parrocchie dopo un periodo di in-certezza, durato pressoché trenta/quaranta anni, solo le parrocchie più attente posseggono registri che partono dagli anni immediatamente successivi al concilio. e’ cer-to, comunque, che a partire dai primi anni del 1600 tutte le parrocchie tenevano e aggiornavano i registri.

Quelli presenti oggi nella parrocchia di Caposele partono dal 1748, con un buco che va dal 1816 al 1824. viene spontaneo chiedersi a cosa sia dovuta questa si-tuazione, dove siano i registri mancanti o in quale cir-costanza siano andati perduti. Chiaramente non ci sono notizie certe e non si possono fare che delle supposizio-ni, tenendo presenti le vicende più traumatiche che han-no interessato il paese. L’ipotesi più plausibile è quella che essi siano andati perduti in seguito ai sismi del 1694 e del 1853, visto che le cronache di quegli anni riportano anche il crollo di alcune chiese. e’ difficile pensare, al-trimenti, che la poca diligenza di qualche parroco abbia potuto togliere ai Caposelesi una delle poche fonti scritte del loro passato.

Poiché solo nel 1809 venne istituita l’anagrafe civile, i dati di nascita e di morte a partire dal 1748 sono sta-ti da me trascritti su supporto informatico allo scopo di costruire una banca dati e permettere ad ogni Capose-

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lese di rintracciare le linee della propria discendenza. Il lavoro è stato lungo, ma alla fine il risultato ha ben ri-pagato gli sforzi profusi. Con un po’ di perizia nell’uso del programma ognuno potrà così costruire il proprio albero genealogico in pochi secondi o ricavare dati stati-stici sull’andamento demografico della popolazione ca-poselese.

Si è provveduto anche ad inserire nello stesso pro-gramma le fotografie dei Caposelesi ricavate da quelle presenti nel locale cimitero e ci si augura che tutti pos-sano fornire nel tempo le fotografie dei propri cari nati prima del 1900, per lasciare anche una banca delle foto quanto più completa possibile.

dalle annotazioni contenute nei registri si evince soprattutto il fatto che, prima del 1860, il parroco usava annotare i nomi tenendo conto della flessione dialettale, per esempio troviamo rafaele per raffaele, Caitano per Gaetano, tomaso per tommaso, Catarina per Caterina, etc. e’ solo dopo il 1871 che il parroco Pizza, con l’inten-to di modernizzare i nomi, iniziò a riportare nella tra-scrizione piccole modifiche così Carmina diventò Car-mela, antonia diventò antonietta - antonella, Giuseppa divenne Giuseppina, Jesummino cambiò in Gelsomino, Margarita in Margherita ed alcuni cognomi vennero riportati sempre allo stesso modo così che rossoman-no, russomando, rossomando cominciarono ad essere trascritti sempre come russomanno; Malanca sempre come Malanga etc.

Quasi sempre, dalla meticolosità del parroco, dipen-dono le notizie riportate nella trascrizione, la loro com-pletezza e l’assenza di errori di trascrizione. I Caposelesi che hanno una certa età sanno che l’onomastico delle persone che portano il nome Gelsomino/a viene festeg-

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giato il giorno del Corpus domini: ciò trova spiegazio-ni nel fatto che, le prime volte che si trova scritto, tale nome viene riportato come JesusMinus (piccolo Gesù), e che ancora oggi in dialetto il nome viene pronunciato Gesumminu. e’ senz’altro da scartare l’ipotesi che tale nome derivi, come in Francia, dove è molto frequente, dalla pianta del gelsomino.

nello scrivere i tanti cognomi ritrovati nei registri consultati ci si accorge della genesi di quelli che iniziano col di o col de. In passato si usava individuare una per-sona facendo seguire al nome il nome o cognome pater-no. Così troviamo e possiamo spiegare cognomi come d’elia, di nicola, de Stefano, d’auria, di Lauro, di vin-cenzo, di/de Luca etc.

alcuni cognomi sono cambiati nel tempo, proba-bilmente, per errore del trascrittore o perché mal rife-riti dalla persona che denunciava la nascita; tra questi troviamo: Linarduccio-Linarducci, Petruccio-Petrucci, Scaramorza-Scamorza, Iannuzzo-Iannuzzi etc.

Qui si ritiene riportare i nomi e i cognomi dei Capo-selesi con l’indicazione del numero delle loro presenze nei registri di nascita consultati.

Cognome Numero Cognome Numero

aCCetta 15aIeLLo 2aLBaneSe 19aLFIerI 26aLIFano 68aLtoPIano 1aMadIo 1aMaro 1aMaSSaI 1aMoraSIno 1

anZaLone 1arCeLLa 1arMeI 1aUrIa 1avventUrata 1BarattInI 1BarBaroSSa 1BarBone 10Barra 23BaSILe 74

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BattISta 7BeLLeZZa 2BeLLISarIo 1BeLLo 2BeLLoSGUardo 2BeLMonte 1BeLteMPo 2BeLvedere 1BenInCaSa 52BevILaCQUa 4BIanCo 1BIFanIa 1BISCIone 1BLaSUCCIo 2 BoFFa 3BoLIno 6BonoCore 2BorBone 5BorIo 2BorreCa 2BottarI 1BotteGLIerI 2BottIGLIero 1BottIGLIerI 95BottIGLIero 11BovIno 1BoZIo 56BraCCIa 4BranIa 2BrUneLLI 1BrUnettI 1BrUno 4BUonoCore 7CaCCIaFUMo 2CaFULLI 10CaFULLo 15CaIatI 4CaIato 1CaLaBreSe 3CaLaBreSI 1CaLantrIeLLo 1CaLCaGno 92CaMBIone 1

CanCeLLIerI 1CanneLLa 1CaPodanno 1CaPone 1CaPoZZa 2CaPPetta 17CaPrIo 322CaPUto 46CarCaGno 2CarCHIo 10CardILLo 7CardUCCI 1CarILLI 1CarLeto 1CarLUCCI 3CarLUCCIo 2CarMeLIa 1CaroLa 15CarrIone 165CarUSo 521Carvado 1CaSa 1CaSaLe 170CaSarULo 1CaSCIano 13CaSIerI 63CaSIero 23CaSILLo 2CaSoLa 1CaSone 1CaSSeSe 4CaStaGno 395CaStano 1CaSteLFranCo 4CaSteLLIna 1CaSteLLUZZa 2CaSULLo 2CataLdI 7CataLdo 1CatrIone 1CaULIo 1CeCCatIeLLo 1CeLSo 1

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CentannI 1CentoLeLLa 2CentULeLLa 1Cera 56CereS 571Cerrato 2Cervone 20CeSare 1CeSaro 1CeStano 1CeStaro 7CetrULLo 1CetrULo 610Cetta 8CHIaMata 1CHIaravaLLo 295CHIoLa 2CHIUSano 6CIarCa 3CIBeLLI 2CIBeLLIS 28CICCone 26CIentannI 23CIMaroSa 1CIone 33CIrIaCo 1CLeFFI 135CoLaGIaCoMo 1CoLatreLLa 266CoLeLLa 20CoMPetIeLLo 1CoMPItIeLLo 1ConFortI 47Conna 1ContIno 1ContUrSI 52CoPPoLa 2CorBo 5CordaSCo 3CordIno 1CorLeto 2Cornetta 1Corona 214

Corrado 5CorrIaCe 1CorUSo 1CorvIno 4Corvo 1CoStaBILe 6CoZZa 84CoZZareLLa 119CoZZareLLI 45CoZZI 2CravaLLeSCo 1CravaLLeSe 9CreSCenZIo 1CrIStIano 1CUoZZo 178CUPone 1CUrCIo 193d’eLIa 1daddeo 1d’aLLIeGro 3d’aMato 13d’aMeLIo 51daMIanI 1daMIano 16d’aMIano 3d’aMICo 1d’andrea 2d’andretta 1d’arGenIo 1d’aUrIa 113d’avena 1de CIone 3de Feo 1de Lara 1de LUCa 3de MaSI 15de MIta 9de naSI 1de nICoLa 16denISI 1de roGatIS 34de roSa 1de SanCtIS 1

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de SantI 1de SantIS 2de Santo 2de SteFano 1de SUnno 1de vIta 34de vIto 1deGLI anGeLI 1deL BoSCo 2deL BUono 185deL CardILLo 1deL CaSaLe 1deL CorBo 24deL Corvo 19deL dUCa 5deL FUSo 1deL GIUdICe 1deL GUerCe 1deL GUerCIo 127deL MaLandrIno 5deL MaLantrIno 1deL onda 1deL ParadISo 1deL Ponte GUardIoLa 1deL SerretIeLLo 1deL tre 1deL tUFo 4deL veCCHIo 14d’eLIa 236deLLa BaMBIna 1deLLa CaSteLLUZZa 1deLLa CUrva 1deLLa Fera 62deLLa Manna 41deLLa notte 6deLLa reZZa 33deLLa Sorte 1deLLa vaLLe 1deLLa veCCHIa 1deLLa voLPe 1deLLe onde 1deLLe roSe 4deLLI LeonI 1

deLLo BUono 21deLL’oSSo 1deLLoSSo 1dI aMeLIo 1dI BIaSI 1dI BIeLLo 4dI CaMILLo 2dI CeSare 46dI CICCo 3dI CIone 97dI doMenICo 1dI eLIa 1dI GreGorIo 1dI GUGLIeLMo 7dI LaUro 2dI LUCa 25dI MaIo 33dI MaJo 17dI MarCo 14dI MartIno 5dI MaSI 277dI MattIa 1dI MIta 1dI MUro 20dI nataLe 1dI nICoLa 18dI nISI 6dI noLa 1dI PaoLo 2dI roGIero 1dI rUGGIero 1dI rUGIero 1dI SaBato 4dI SaBBato 1dI Santo 15dI SaPIa 11dI SaPIo 1dI SteFano 88dI SUnno 52dI veCe 1dI vICIenZo 122dI vInCenZo 70dI vIta 13

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dI voCe 1dIaLBaIo 1dIoSa 1donatIeLLo 5d’onoFrIo 1dorre 1dUCa 2d’UrSo 2eBrIante 1eLIa 1erCoLano 1eSPoSIto/a 147eZZoLIna 1FaBIo 1FaBrICatore 5FaFta 1FaLCo 1FaMIGLIettI 6FarIna 188FaSULo 24FattoBeLLo 1FerdInando 1FerranUova 1FerrarIeLLo 15FerrIerI 100FerrIero 21FICCIo 1FICetoLa 3FIGUreLLI 1FILIPPone 11FIorata 1FIoravantI 1FIore 18FIorentIna 1FIorentIno 5FoCetoLa 3FoGLIaverde 1FonGaroLI 2Fontana 1ForCeLLa 15ForLenZa 13ForMoSa 1FranGHera 1

FrannICoLa 4Freda 439FrIttoLa 1FUCCI 2FUnGaroLI 18FUSCo 31GaBBaMondI 1GaLante 1GaLaSSo 28GaLLUCCIo 1GaMMone 52GaMone 2GannIeLLo 1GarGano 2GarIBaLdI 1GarrIone 1GaSParro 1Gatta 18GeLo 1GentILdonna 1GentILeLLa 3GervaSI 26GervaSIo 66GeSSIMondo 6GeStaro 1GIaLaneLLa 1GIannattaSIo 1GIannInI 1GIannottI 2GIardIneLLa 1GIardInetto 1GIGantIeLLo 123GIGLIo 1 GIoIno 10GIoLIttI 1GIorGIo 1GISSIMondI 3GIULIano 1GIUSePPe 2GIZZo 5GonneLLa 342GorraSo 1Granato 1

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Grande 8GraSSo 156GraZIoSotto 1GrILLo 102GUadaGna 1GUadaGno 10GUarIno 25GUBItoSa 2GUerrIerI 1GUGLIeLMo 1HILarIa 43IaCanGeLo 8IandoSCo 1IanneLLa 1IanneLLo 7IannUnZIo 1IannUZZI 77IannUZZo 252IntoSCa 3IGnoto 1ILarIa 459IMBrIano 1InFandoZZI 9InFante 2InFantI 1InFantoZZI 14InFantoZZo 1IntInGoLI 2IntInGoLo 1IoCa 1IorIo 1IULIano 2IUSto 1IZZo 5JannUZZo 26La Fera 63La Manna 61La reZZa 86LaMBarIeLLo 1LaMBIaSI 14Laoro 25LardIerI 4LaUrenZI 1

LaUro 47LeMMo 1LIBardI 1LIBertUCCIo 1LInardUCCI 62LInardUCCIo 80LInardUZZI 1LIone 74LISIa 1Lo BeLLo 1Lo BUono 30LoISI 2LoMBardI 22LoMBardo 5LonardUCCIo 6LUCano 1LUCente 1LUISI 18LUnGarI 4LUnGaro 22LUonGo 247LUPo 51MaCCHIeLLo 87MaGGIore 1MaGGIorIno 1MaJo 1MaLanCa 140MaLanGa 433ManCIno 26ManettI 1Manna 1ManneLLa 1ManZo 1MaranIeLLo 2MarenIeLLo 41MarIanIeLLo 2MarIa 1MarInarI 1MarInIeLLo 49MarIno 2MartIno 2MarZo 1MaSI 7

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MattIa 45MaZZarIeLLo 73MaZZarIno 1MaZZeLLa 1MaZZeo 1MaZZIotta 3MaZZIotto 14MeGaro 4MeLa 1MeLCHIonna 4MeLCHIorre 1MeLe 10MeLoGrano 2MeoLI 1MeravIGLIa 1MeroLa 654MIeLe 1MIGnoLa 7MIGnone 1MILano 21MILoro 1MInUto 3MIraFIorI 1MIrandoLa 1MISereLLo 1MoCCaLdI 3MoCCaLdo 2MoLFeo 1MoLLICa 3MonettI 1Montanara 1MonteBeLLo 1MonteForte 31MonteLLeSI 1MonteSerra 1Monteverde 79MorCaLdI 1MorCaLdo 2MorettI 4Moretto 1MorZa 73MoSCarIeLLo 2MoSCatIeLLo 1

MUCCaLdI 1MUCCIdeLLa 1MUCCIoLeLLa 13MUSteLLa 1naPoLIeLLo 9naPPa 2naPPI 1narIa 3nataLIno 1neSta 220nIGro 2nISIvoCCIa 375notarI 1notaro 3novIGIano 1novIZIano 1oLandeSe 1oLIveta 1orLanno 1ottavIano 1Padrone 1PaGannanZI 1PaGnotta 7PaLLante 275PaLUMBo 1PaLUMBo 1PanGo 1PanICo 3PanZerra 1PaoLerCe 36PaoLerCIa 64PaoLerCIe 2PaoLerCIo 1PaPa 3ParadISo 2ParISI 1ParLante 1PaSSoLo 6PatInnI 1Patrone 3PaULerCe 4PaULerCIa 56PeCCatIeLLo 256

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PeCCe 9PeCerILLo 1PeLLeCCHIa 1PeLLeGrIno 41PenCo 1PentoLeLLa 1PePe 12PerGoLeSI 1PetoIa 17PetoJa 18Petrone 1PetroSIno 1PetrUCCIo 35PetrUCCI 138PeZUrro 1PIntaroSa 1PICardI 1PIetraQUareSIMa 1PIeZZIrUSSo 3PISerCHIa 1PItoIa 14PItoJa 20PIZUornI 1PIZZa 163PIZZIrUSSo 1PoGGIo 1PoLCara 1PoLIteLLa 1Pontara 8Pontaro 61Pontero 1PorCarI 1PorCaro 2PorreCa 1PoSCarIeLLo 1PotoLICCHIo 1PrIetto 1PrIMavera 3PrI’oIetto 1PrIvato 1ProBISano 1ProIetta 1ProIetto 76

ProJetta 1ProSPero 1PrUdente 5PULCarI 1QUaranta 1raIMo 8raSIMo 1rea 11reGa 1rendona 1renna 6rICCardI 2rICCIardeLLI 1rICCIardI 1rICCIo 1rIdente 1rIZZI 1rIZZo 2rIZZoLo 17roBerdIeLLo 1roBertaZZI 4roBertIeLLo 6roSaLInda 1roGata 1roMano 8roSa 133roSaMILIa 10roSanIa 337roSeLLI 1roSeto 1roSIeLLo 2roSSIeLLo 1roSSoManno 329roSSoMando 20rUBertaZZo 1rUBIno 14rUdente 1rUFo 1rUGGIero 2rUGIerI 1rUGIero 1rUGLIo 504rULLo 1

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rUSSo 85rUSSoMando 2rUSSoManno 681SaBatIno 87SaBBatIno 29SaGLIoCCa 1SaLerno 1SaLGano 1SaLvadorIeLLo 4SaLvatorIeLLo 187SaLvIatI 1SantaMarIa 2Santo 2SantoLo 1SantoMarIa 1SantoreLLI 25SaPIa 1SaPIo 1 SCaMorZa 85SCanSerra 6SCanSerre 1SCanZa 1SCanZerra 81SCanZerre 44SCaraMorZa 86SCHerZoSa 1SCInno 2SCIPIone 1SCoLavIno 245SCoStatI 1SCUteSe 6SeBaStIano 1SeCIGnano 3Sena 243Senatore 2SenCo 1SenISI 6SePe 12Serra 1SerretIeLLo 1SIBILIa 10SICa 161SICIGnano 47

SIerCHIo 1SIGISMondI 2SILvano 1SILveStre 1SILveStrI 1SISta 188SISto 52SMarrIta 2Sonatore 5SorrIdente 1SoZIo 392SPantato 1SParavIGna 1SPatoLa 292SPIGUoIo 1SPIotta 5SPIottI 1SPIrato 1SPUrIo 1SteLLa 2StranIerI 1StranIero 3StroLLo 7StroZZI 45StUrCHIo 827SUeva 1SUnno 4taJanI 2 tartareLLa 1teLeSe 5teLeSIo 1tenCo 2teoroSIna 1tItta 1toBIa 89toBIo 42torSIeLLo 5torSILLo 1tortora 2tortoreLLa 3torZa 2toSto 1toZZa 12

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toZZI 4treMante 20trILLo 17tUBIa 53tULIno 2tULIPano 1tUoSto 5tUrI 1veCe 1vendeMMIato 1venere 1veneZIano 3ventre 31ventUrI 3verde 1verdoLIna 1veroneSe 24veroneSI 1vetroMILe 32vetroMILLe 2vICIno 1vIGnoLa 3vILLeCCo 1vIoLa 1vISCIdI 1

vISCIdo 41vItaLe 53vItaMore 8vIteLLIno 1vIterBo 1vItIeLLo 55voCe 1voLtUra 2ZaCCarda 1ZaCCarIa 1ZaMPaGLIone 7ZaMPaGLIonI 1ZaMPano 6ZanardI 1Zanardo 1ZaPPaLe 13Zarra 18ZeCCa 3ZICoLa 16ZIGna 96ZIndI 1ZoLLa 1ZoPPI 4ZottoLa 1ZUCCaro 33

aBeLe 3aCHILLe 1adaMaSIa 1adaMo 3addone 1adeLaIde 2adeLIa 1adeLIna 5adIoMIra 1adoLFo 3adone 3adrIana 1aGata 22aGneSa/e 26

aGoStIno 5aGrIPPIno 1aLBerto 1aLBIna 1aLBIno 1aLdIna 1aLeSSandra 19aLeSSandro 30aLeSSIo 38aLFonSa/aLFonSIna/aLFonZa/aLFonZIna 142aLFonSo/a

Cognome Numero Cognome Numero

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aLFonSIno/aLFonZo 369aLFredo 4aLMeLInda 2aLMInIo 1aLvIna 1aMadIo 1aMaLIa 3aMato 105aMBroGIo 1aMedeo 1aMeLIa 1aMILCare 1aMIna 1aModIo 5anaStaSIa 5andrea 10aneLLo 1anGeLa/anGeLIna/anGIoLa/anGIoLIna 694anGeLICa 3anGeLo/anGIoLIno/anGIoLo 330anGIoLantonIo 3anIeLLo 5anIta 1anna 479annaMarIa 115annaroSa 79annIBaLe 1annItta 2annUnZIata 3anSeLMo 2antonIa 392antonetta 1antonIetta 1antonIna 7antonIno 4antonIo 958aPoLLonIa 85

arCanGeLa 24arCanGeLo 8arCanGIoLa 12arCanGIoLo 3arCHIMede 1arGentIna 1arMando 1arMInda 1arMIndo 1arSenIo 3arteMISIa 2artUro 1aSSUnta 6attILIo 2aUreLIo 1aUSonIa 1BaLdoIno 1BaLdUIno 1BarBara 9BartoLo 1BartoLoMeo 93BattISta 2BeatrICe 14BeLLISarIo 1BeneaMIno 3Benedetta 1Benedetto 5BenIaMIno 9BerardIno 7Bernardo 1BernIero 1BIaGGIo 6BIaGI 2BIaGIo 4BIaSI 5BIrGItta 2BLaSIo 1BonaventUra 15BonIFaCIo 6BrIGGIda 1BrIGIda 10BrIGItta 5Caetana 3

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Caetano 4CaJetana 6CaJetano 17CaMILLa 245CaMILLo 64CandIda 3CanIo 5CarLantonIo 1CarLo 155CarLotta 1CarMeLa 124CarMeLInda 3CarMeLo 4CarMena 13CarMeno 1CarMIna 188CarMIne 158CarMIneLLa 3CarMIno 5CaroLIna 21CaSoMIrro 1CaSSandra 5CatarIna 712CateLLo 1CaterIna 192CattarIna 3CatterIna 79CeCILIa 16CeLeSta 30CeLeSte 15CeLeStIna 1CeLeStIno 3CeSare 87CeSarIna 1CHIara 27CHIaraMarIa 1CICILIa 1CIrIaCo 8CIrILLo 1CIro 1CLarISIa 1CLeLIa 4CLeMente 3

CLeMentIna 1CLeoFa 1CLorInda 5CLorInta 7CoLoMBa 273ConCetta 324ConSaCra 1ConSoLata 6ConSIGLIa 2CoSIMo 1CoStantIna 1CoStantIno 2CoStanZa 1CreSCenZa/CreSCenZIa 5CreSCenZIo 6CreStIna/CrIStIna 65CrIStIno 1danIeLe 3dante 1davIde 1deCIo 1deSIderata 5dIadeMa 3dILetta 1dInFa 1dIoMeda 1dIoMIra 3dIonISIa 3doMenICa 8doMenICantonIo 2doMenICo 119donata 181donatanGeLo/donatanGIoLo 8donatantonIo 12donateLLa 8donato 438dorIo 1dorotea 14dorodea 7edoardo 1

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edUardo 1eLena 3eLeonora 3eLettra 1eLIa 2eLIodoro 1eLISa 16eLISaBetta 42eLvIra 15eManUeLa 1eManUeLe/eMManUeLLe 3eMerenZIana 1eMIddIo/eMIdIo 46eMIdIa 1eMILIa 7eMILIo 4eMIra 1eMMa 2enrICHetta 1enrICo 2erBerto 24erCoLe 1erMeLInda 8erMeneGILda 3erMInIa 2erMInIo 3erneSta 1erneStIna 1erneSto 11erPLIa 1errICa 1errICHetta 2erSILIa 2eSPoSIto 1eSter 1eUFeMIa 1eUFraZIa 1eUGenIa 2eUGenIo 2evanGeLISta 8evaZIo 1eveLIna 1

FaBrIZIo 1FeBo 1FedeLe 5FederICa 2FederICo 6FeLePPa 1FeLICe 49FeLICIa 4FeLICIano 1FeLIPPo 6FenIZIa 2FerdInando 12FILIMena/FILoMena 205FILIPPa 1FILLIPPantonIo 2FILIPPo 105FIoravantI 1FIoravante 1FIore 6FIorentIna 2FIorenZa 1FIorIta 1FLorInda/FLorInta 3FortUnata 11FortUnato 10FranCeSCa 87FranCeSCantonIo 16FranCeSCo 611FranCo 6GaBrIeLa 3GaBrIeLe 19Gaetana 115GaetaneLLa 5Gaetano/GaIetano/GaJetano 286GeLSoMIna/GeLSoMMIna/GeLSUMMIna 45GeLSoMIno 44GeLtrUda 1

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GeMMa 4GeneroSo 5GennaJo/Gennaro 129GenoveFFa 5GenUIna 1Gerarda 2GerardIna 33Gerardo 248GereMIa 4GerManIo 1GerMano 2GeroLIMa 1GeroLIMo 1GeronIMa 26GeronIMo 10GeSoLMIno 1GeSoMIna 1GeSSUMIna/GeSUMMIna 2GeSUaLda 1GeSUeLe 1GeSUMMIno 8GIaBeLLa 1GIaCCHIno 2GIaCInta 1GIaCoMo 25GIaMBattISta/GIanBattISta 8GIandonato 1GIoaCCHIno 1GIoSa 5GIoSaFatta 2GIoSUe’ 1GIovanBattISta 7GIovanGIaCoMo 1GIovanna 208GIovanatonIo 2GIovannI 302GIovannIna 3GIroLaMa 15GIroLaMo 8GIroLoMa 1

GIUdItta 6GIULIa 4GIULIetta 3GIULIo 1GIUSePPa 109GIUSePPaMato 3GIUSePPanGIoLo 1GIUSePPantonIo 5GIUSePPe 921GIUSePPIna/GIoSePPIna 69GIUStIna 3GIUStIno 3GLIodono 1GoFFredo 1GraZIa 342GraZIantonIo 1GraZIeLLa 5GreGorIo 1GUGLIeLMo 59GUIdo 1Ida 4IeSUMMIna 7IeSUMMInUS 5IMMaCoLata 2IMPeratrICe 3InCoronato 6InCoronata 5InnoCenZIo 1IPPoLIta 3IPPoLIto 3Irena 9Irene 16ISaBeLLa 35ISaIa 3ISIdoro 4LaMBertI 1Laora/LaUra 56LaUro 1Leonardo 39Leone 1LeonIda 2

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LeonILda 2Leonora 1LeoPoLdo 1LetIZIa 3LIBerato 2LoBorIa 6LIBorIo 7LIdIa 1LIonardo 6LIone 1LISaBetta 4LIvIa 5Lonardo 26LorenZa 31LorenZo 1308Loreta 22LUCa 15LUCIa 347LUCIo 3LUCreZIa 4LUIGGI/LUIGI 155LUIGIa 3LUIGIMarIa 1LUIGIna 2LUISa 9MadaLena/MaddaLena 4MaFaLda 1MarCantonIo 1MarCeLLo 2MarCo 8MarGarIta 16MarIa 1912MarIaGIUSePPa 6MarIaLUIGIa 1MarIanGeLa/MarIanGIoLa 25MarIanna 267MarIantonIa 235MarIantonIo 1MarIaroSa 3MarIetta 3MarIno 10

MarIo 4MarSIa 5Marta 5MartIno 1MarZIa 1MatILdo 1Matteo 65MattIa 14MICHeLa 3MICHeLanGeLo 25MICHeLanGIoLo 5MICHeLantonIo 1MICHeLe 234MICHeLIna 1ModeStIa 1ModeStIna 1ModeStIno 3MoSe’ 2naPoLeone 1nataLe 5neStore 1nevICeLLa 1nICCoLo’ 1nICoLa 455nICoLetta 9nICoLIna 5nICoLo’ 4noCIrIo 1nUntIo 1nUnZIa 3nUnZIana 13nUnZIano 1nUnZIata 1nUnZIo 6oLGa 1oLIMPIa 17oLInda 1oLIndo 1onoFrIo 15onorIo 3oraZIo 5oreSte 1orLando 1

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orSoLa 20ottavIano 1ovIdIo 1PantaLeone 1PaoLIna 5 PaoLIno 1PaoLo 19PaSQUa 3PaSQUaLe 459PaSQUaLIna 56PaSQUaLIno 1PaSSoLo 1PatrIZIa 4PaULIna 1PaULo 1PetroMILLa 6PIa 1PIero 4PIetrantonIo 1PIetro 219PoLIdoro 1PorZIa 3PrISCo 4raCHeLa/raCHeLe 27raFFaeLa/raFaeLa/raFFaeLIna/raFFaeLLa 185raFFaeLe/raFaeLe 387raFFaeLLo 1raIMondo 1reGIna 1reSoLIna 3rICHetta 1rIta 1roBerto 2roCCo 399rodoLFo 1roMoaLdo 1roSa 325roSaLBa 1

roSaLIa 1roSaLIna 1roSaMarIa 5roSantonIa 3roSarIa 107roSIna 24roSoLIna 7rUGGIero 5SaBatIna 1SaBatIno 1SaBato/SaBBato 5SaBIna 3SaBIno 6SaLerIa 1SaLoMone 2SaLvatore/SaLvadore 444SanIta’ 15Santa 25Santo 4SaUro 1SaverIa 2SaverIo 6SavIna 1SavIno 1SeBaStIano 2SeraFIna 209SeraFIno 7SeverIno 1SILvIa 4SILvIo 3SIMone 1SoLerZIa 1SPeranZa 1StanISLao 10SteFanIa 1SteFano 8SUeva 2SUSanna 1 teodoLInda 1teodoro 6tereSa 630

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tereSIana 4tereSIna 1toBIa 8toMaSo/toMMaSo/toMaSI 49toMMaSa 4tUBIa 8UGo 1UrSoLa 2UrSULa 1UtILda 1vaLentIno 1vaterIna 1venCeSLao 1veneranda 21veneZIa 1vICeSLao 1vInCenZa 26vInCenZo/vInCenZIno 545vIrGInIa 6vIrGInIo 1vItaLe 73vItantonIo 6vIto 315vIttorIa 70vIttorIo 3ZaCCarIa 3

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Cenni storici sulla prodigiosa immaginedi Maria SS. della Sanità

Caposele, il paese decantato dal poeta dione afra-nio è terra privilegiata e benedetta perché gode dell’alta protezione di Maria SS. della Sanità e di San Gerardo Maiella.

Il culto alla Madonna della Sanità presso le sorgenti del Sele non va oltre l’anno 1710. Miseri pastori, abitan-ti in poverissime capanne, con fede viva veneravano la celeste Madre di dio nel misterioso titolo di S. Maria del-la Sanità. La tradizione popolare ci dice che in una nic-chietta sulla parete esterna di una di quelle antiche cata-pecchie un certo frate Paolo, che si intendeva di pittura, avesse dipinto a fresco l’immagine della Madonna quasi ad invitare il passeggero a fermarsi e a pregare perché lo soccorresse e ristorasse negli affanni quotidiani.

Il dipinto raffigurava la vergine su un gruppo di nubi avvolta da un largo manto ceruleo che dal capo le scendeva all’intorno e si stendeva sulle spalle del Bam-bino, abbracciato dalla madre con la mano sinistra. Quel pezzo di intonaco avrebbe fatto parte integrante di un antico tempio pagano dedicato a Giunone argiva, dea della fertilità, che sorgeva là dove oggi è rimasto solo il campanile di una precedente chiesa intitolata a S. Maria della Sanità.

Il frate avrebbe in seguito provveduto a costruire un piccolo riparo al dipinto per dare degna lode alla Ma-donna e, a distanza di qualche anno, i semplici silerini, mattone dopo mattone, avrebbero eretto una graziosa

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cappella diventata poi meta di numerosi fedeli prove-nienti dai paeselli della valle del Sele, dall’Irpinia e da regioni lontane per domandare grazie alla vergine e per ringraziarla di quelle ricevute. tutti quelli che erano for-tunati di visitare la cara Madre, tutti, come i discepoli del Battista, all’invocazione del suo aiuto sentivano scorrere per le membra insolito vigore e ripetevano con entusia-smo: “andate, correte lì dove sorge limpido e cristallino il Sele, là dove regna Maria della Sanità; i ciechi veggono, gli zoppi camminano, i sordi riacquistano l’udito, gli alienati, gli ossessi tornano in senno”. tanti lasciavano tavole votive appese alle mura laterali della cappella, tanti appendevano gia-re, tabelle, modelli in cera di bambini, di occhi, di braccia, di gambe, di teste, offerti alla vergine, secondo le grazie ricevute.

Proprio presso la chiesetta si recò la gente e pregò perché con la sua potenza e protezione Maria della Sa-nità facesse dileguare la feroce pestilenza che nel giugno del 1743 assalì anche il popolo di Caposele, dopo che aveva già desolato la Sicilia e il napoletano.

Per intercessione della tenera Madre di dio i Capose-lesi furono totalmente liberati dall’orrendo flagello della peste sicché posero nell’immagine la più grande fidu-cia1.

Si era nel luglio del 1837 e Caposele era infestata di nuovo dal colera che, con egual furore, distruggeva forti e deboli, fanciulli e attempati, ricchi e poveri di quasi tut-to il regno di napoli. vi erano dei giorni, dice il Santorel-

1 dopo alcuni anni d. donato Bozio, pio e dotto primicerio di Caposele, studiosissimo del culto di S. Maria della Sanità mandò alle stampe la seconda edizione della “novena della vergine SS. della Sanità che si venera in Caposele” (napoli 1783, presso Giuseppe Porcelli).

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li, in cui mancavano i becchini per seppellire i cadaveri, tanto era il numero delle vittime. Per evitare il contagio erano negati i funebri rintocchi delle campane, lo stesso domestico compianto e le pubbliche preghiere. a nulla valeva l’isolamento e la fuga dal paese. Ma i Caposelesi si ricordarono di avere una tenera e potente regina, Ma-ria della Sanità. a Lei ricorsero e, oh prodigio! Il giorno in cui se ne celebrava solennemente la festa, il fiero mor-bo, come per incanto, cessò, restituendo alla vita anche quelli che si trovavano sull’orlo della tomba.

a distanza di due anni, nel 1839, in molti paesi della valle del Sele, in valva, Colliano, Contursi ed oliveto Ci-tra il colera gettò nuovamente la desolazione e la morte; per intercessione di Maria della Sanità, Caposele ne ri-mase illeso e i popoli della valle silerina ne furono subito e completamente liberati.

Col tempo la originaria cappella andò in rovina sia perché nelle pareti si erano aperte delle larghe fenditure a causa della frana del suolo, della corrente impetuosa del Sele, sia per la vecchiezza delle mura stesse.

Il 4 ottobre 1812, in mezzo ad un gran popolo rive-rente, la prodigiosa immagine della vergine fu allora portata nella chiesa che si ergeva in mezzo al paese, la chiesa degli antoniani, dedicata al patrono San Loren-zo. Per oltre 40 anni il sacro dipinto di fra Paolo rimase in una nicchia del più splendido altare della chiesa par-rocchiale, dove la Madre di dio venne sempre venerata ed invocata dai suoi amati e cari figli. In seguito, visti gli straordinari benefici ricevuti, il clero, il municipio e il popolo, con animo di gratitudine decisero di erigere una nuova e più sicura chiesetta sul suolo delle sorgenti del Sele.

Quando il nuovo tempietto fu compiuto, quel pezzo

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di muro, su cui era dipinta la sacra immagine, tra i canti melodiosi di un popolo devoto e commosso, fu portato all’antica sede. da quel giorno una nuova vita di amore e di pietà incominciò a svolgersi. ne fu stabilita la festa per la domenica dopo il 16 agosto e nulla fu trascurato per ornare splendidamente la nuova dimora di S. Maria della Sanità.

La chiesetta fu in breve tempo fornita di altari mar-morei, di lampadari e di tutti gli arredi per i riti sacri. Che dire poi dell’amorosa sollecitudine dei nostri fratelli residenti nelle due americhe? “Tutti, tutti si sono sempre ricordati di mandare il loro obolo e per la chiesa della nostra amata Regina e per solennizzare la festa”. animati dalla stes-sa fede i popoli della valle selerina, tra cui molte donzelle con corona di spine quale ghirlanda di penitenza, prove-nienti cantando da Contursi, Palomonte, valva, Collia-no, oliveto Citra, Laviano, Senerchia, Calabritto e i paesi dell’Irpinia, tra i quali Calitri e Pescopagano correvano in numerosi pellegrinaggi a venerare Colei che sedeva regina sul Sele per confortare e sanare. I numerosi doni d’oro, che un tempo si conservavano in apposite vetrine, predicavano elegantemente un culto secolare e costante e l’universalità delle grazie prodigate da Maria.

Più tardi, per i lavori dell’acquedotto pugliese, la chie-setta, edificata dopo l’epidemia del 1839, fu demolita e la miracolosa Madre della Sanità fu riportata nella chiesa parrocchiale dove rimase per più di due anni. Il popo-lo di Caposele unanime fece intanto sentire il suo pio ed ardente desiderio, cioè che la Società Concessionaria dell’acquedotto Pugliese, ercole antico e Ci. riedificasse anche presso le sorgenti un tempio alla Madre tenera ed amorosa dei figli del Sele. e i voti della civile e religiosa cittadina furono pienamente soddisfatti. Poco lontano

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dall’antica chiesetta sorse maestosa la nuova più grande e bella chiesa della Madre di dio, lasciando a torreggiare sulla vasta conca delle limpide acque l’alto campanile in stile romanico, a ricordo del posto dove i nostri padri aprivano il loro cuore a Maria.

Il 3 aprile 1910, nelle ore del mattino, il Sacro dipinto di fra Paolo fu solennemente traslato nel nuovo tempio. all’imponente processione intervenne il M.r. Clero e un popolo immenso che, riverente e commosso, cantò le melodiose strofette del Padre enrico del SS. redentore. erompeva intanto a Caposele da tutti i cuori un pio e ardente desiderio: offrire alla Madre SS.della Sanità una ricchissima corona d’oro per darle, ancora una volta, una prova di profonda gratitudine e di affetto santo e perenne. L’idea fu palesata nel giorno di Pasqua del 1910 dal Sac. arsenio Prof. Caprio, rettore della nuova chiesa. L’entusiasmo superò ogni previsione. Fu nominato subi-to un eletto Comitato che con diligenza e assiduità curò i preparativi delle splendide feste.

I nostri fratelli, residenti nelle due americhe, con amo-revole premura risposero all’invito, poiché mandarono centinaia di lire per la solennità e per le corone d’oro che furono lavorate dalla Casa La Perla di napoli. e venne il tempo tanto sospirato. Un solenne novenario precedet-te le grandiose feste. La strada che dalla chiesa parroc-chiale menava alle sorgenti fu riccamente pavesata da luminarie e drappi, e due concerti musicali allietarono il paese in quei giorni.

Merita però speciale ricordo il famoso concerto di S. Severo di Puglia, diretto dal valente Prof. Luigi Santori che in due sere fece gustare ai presenti il sublime suono della musica. Ma quello che rese più bella e più attraente la festa del cuore fu l’amabile e nobile presenza dell’ec-

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cellentissimo Mons. de nicola Piccirilli, arcivescovo di Conza e Campagna.

La nuova chiesa fu benedetta il 20 agosto 1910 e il 21 fu fatta l’incoronazione della vergine e del Bambino. non si può descrivere la pompa di quel giorno. verso le otto, tutto il popolo, già pronto per formare il solenne corteo, fu così disposto: procedeva con due stendardi l’associa-zione delle Gerardine; seguiva poi il M.r. Clero, S.e. III.ma e rev.ma Mons. are. Piccirilli, fra due angioletti che portavano le corone, il Municipio in forma ufficiale, il concerto di S. Severo e una immensa folla, formata da Caposelesi e moltissimi pellegrini, venuti dai paesi della valle del Sele e dell’Irpinia. Fra melodiosi canti si giunse al caro tempio che già era gremito di gente.

Momenti teneri e solenni! L’angelo della nostra ama-ta arcidiocesi, in abiti pontificali, benedisse le due ric-chissime corone d’oro e, al canto solenne del Magnifi-cat, le depose sulle auguste fronti di Maria e del vezzoso Bambino. La maestà del sacro rito fu coronata dalle dotte parole del pio arcivescovo, il quale seppe trovare la nota tenera ed occasionale per commuovere tutti i presenti. Più tardi, nella chiesa parrocchiale seguì solenne Mes-sa Pontificale, celebrata da S.e. Mons. Piccirilli e, dopo il canto del vangelo, salì il sacro pergamo, a tessere le lodi di Maria, il colto P.d. antonino di Coste del SS. reden-tore.

non mancò un’imponente processione: fu portato per le vie principali del paese, su di un ricco tronetto, il bel quadro della SS. vergine della Sanità, donato dai due devoti concittadini in Montevideo, raffaele Gatta e al-fonso Grasso. La musica sacra nei due giorni fu eseguita da eletta palestrina, diretta da valente Sacerd. Maestro di vincenzo Saetta, da napoli. Chiusero le grandiose fe-

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ste delle belle proiezioni cinematografiche e splendenti fuochi pirotecnici, preparati da due valenti artisti. L’inco-ronazione di S. Maria della Sanità rimase scolpita a carat-teri d’oro nel cuore dei Caposelesi. da quel giorno, essi frequentano con amore ed assiduità il caro tempietto.

nei giorni festivi vi si celebra il divin Sacrificio e si recita il S. rosario; e in tutto il mese di agosto la divina Madre è venerata con fioretti e preghiere che guidano un popolo intero per i sentieri difficili della virtù.

(tratto da “Il mese di agosto a Maria SS. della Sanità” del Sac. arsenio dott. Caprio, rettore di S. Maria della Sanità.

Stabilimento tipografico Silvio Marano, napoli 1913).

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Le sorgenti del Sele

Le sorgenti del Sele, prima del loro incanalamento forzato, dovevano essere uno di quegli spettacoli moz-zafiato che solo la natura sa offrire. veder disposte a se-micerchio, ai piedi del monte Paflagone, contrafforte del monte Cervialto, decine e decine di zampilli fuoriuscenti dalle fratture delle rocce con leggero scroscio, che una volta riunitisi, si preparavano a scendere a valle con vio-lenza rumorosa e spumeggiante per muovere le pale de-gli opifici, era qualcosa di meraviglioso e straordinario. tutto questo dono di madre natura si incastonava in un ambiente verdeggiante e continuamente animato dalla presenza degli uomini che utilizzavano siffatta risorsa.

La grandezza consisteva e consiste anche nella gran-de quantità di acqua che fuoriusciva, basti pensare che nell’anno 1924 si ebbe una portata massima di 6,74 mc/s e nel 1941 la portata media annua risultò di 5,61 mc/s.

La portata - si sa - dipende dalla quantità di pioggia o neve che si ha durante l’inverno; l’intervallo di tem-po tra la portata minima e massima è di circa sei mesi. Questo è il periodo necessario affinché le gocce d’acqua, filtrando nella roccia calcarea, arrivino nel bacino.

Generalmente le portate minime si verificano anco-ra oggi nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio; quelle massime, nei mesi di maggio, giugno e luglio.

Le acque cristalline fuoriescono ad una temperatura costante, per tutto l’anno, di circa 9 gradi.

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Le sorgenti del Sele

Le sorgenti del Sele, prima del loro incanalamento forzato, dovevano essere uno di quegli spettacoli mozzafiato che solo la natura sa offrire. Veder disposte a semicerchio, ai piedi del monte Paflagone,contrafforte del monte Cervialto, decine e decine di zampilli fuoriuscenti dalle fratture delle rocce con leggero scroscio, che una volta riunitisi, si preparavano a scendere a valle con violenza rumorosa e spumeggiante per muovere le pale degli opifici, era qualcosa di meraviglioso e straordinario. Tutto questo dono di madre natura si incastonava in un ambiente verdeggiante e continuamente animato dalla presenza degli uomini che utilizzavano siffatta risorsa.La grandezza consisteva e consiste anche nella grande quantità di acqua che fuoriusciva, basti pensare che nell’anno 1924 si ebbe una portata massima di 6,74 mc/s e nel 1941 la portata media annua risultò di 5,61 mc/s.La portata -si sa- dipende dalla quantità di pioggia o neve che si ha durante l’inverno; l’intervallo di tempo tra la portata minima e massima è di circa sei mesi. Questo è il periodo necessario affinché le gocce d’acqua, filtrando nella roccia calcarea, arrivino nel bacino.Generalmente le portate minime si verificano ancora oggi nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio; quelle massime, nei mesi di maggio, giugno e luglio.Le acque cristalline fuoriescono ad una temperatura costante, per tutto l’anno, di circa 9 gradi.

Queste le ultime

ANALISI CHIMICO-FISICO-BATTERIOLOGICHE DELLE ACQUE DI CAPOSELE

Parametri Unità di misura Sorgenti Sanità D.P.R. 236/88 C.M.A.

Colore mg(sca Pt/Co) 1.10 20.00

Torbidità NTU 0.18 4.00

Odore inodore -

Sapore insipida -

Portata lt/s 3780.00 -

Tempratura acqua °C 9.10 25

Ph 7.70 6.85-8.50

Conducibilità uS/cm 20°C 276 -

Residuo a 180°C mg/l 193.20 1500.00

Durezza totale G.F. 15.66 **

Calcio mg/lCa 48.80 -

Magnesio mg/lMg 8.41 50.00

Cloruri mg/lCl 6.98 <200

Alcalinità mg/lCaCO3 147.80 -

Ione idrocarbonico mg/lHCO3 180.30 -

Ossigeno disciolto mg/lO2 9.60 -

Sodio mg/lNa 3.47 150.00

Potassio Mg/Lk 1.23 -

Ammoniaca mg/lNH4 0.00 0.50

Nitriti mg/lNO2 0.00 0.10

Queste le ultime

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Nitrati mg/lNO3 3.30 50.00

Ossidibilità mg/lO2 0.24 5.00

Solfati mg/lSO4 2.51 250.00

Fosfati µg/lP2O5 0.00 5000.00

Solfuri ug/lH2S 0.00 -

Silice Mg/lSiO2 7.15 0.20

Alluminio mg/lAl 0.01 0.2/td>

Fluoro mg/lF 0.14 1.5-0.7

Ferro µg/lFe 2.30 200

Manganese µg/lMn 0.24 50

Cromo µg/lCr 0.41 50

Rame µg/lCu 7.55 1000

Zinco µg/lZn 11 3000

Piombo µg/lPb 0.14 50

Cadmio µg/lCd 0.01 5

Nichel µg/lNi 0.00 50

Tensioattivi (MBAS) µg/lLaurisolfato 0.00 200

Cloro res. Libero mg/lCl 0.00 0.20

VOC* mg/l 1.01 30

Ind. Langelier 0.65 -

Ind. Todd 0.04 -

Coliformi tot. ufc/100ml 0 0

Coliformi fecali ufc/100ml 0 0

Streptococchi f. ufc/100ml 0 0

Sopre di Clostr. S.R. /250 0 0

Col. In Agar a 36° ufc/ml 0 10

Coliformi in Ager a 22° ufc/100ml 0 100

Stafilococchi pat. /250 0 0

Pseudomonas Aeurug. /250 ml 0 0

Funghi e Lieviti /250 ml 0 -Salmonelle /1000 0 -

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IL CorSo deL FIUMe SeLe

…“le acque sul primo scorrere, declinando dal piano delle sorgenti, dividonsi in due grossi rami, ma ben presto convergo-no e fanno grande impeto” scrive nicola Santorelli.

In tutto il suo corso, verso mezzogiorno, il fiume ri-ceve per prima le acque di Calabritto, di Senerchia e di Quaglietta alla sua destra, più sotto quelle di apiceglia, e di oliveto.

altre acque vi scendono a sinistra, quelle di temite, poi quelle dei monti di valva, di Laviano e di Colliano. Laddove il letto del fiume si stringe sotto oliveto, nel-le vicinanze di un bel ponte di pietra sgorga una fonte d’acqua minerale fresca, acidula e ferruginosa; più in là, a circa mezzo miglio, verso Contursi, ve ne è un’altra si-mile, e poi un’altra ancora solfurea e termale, le cui ac-que gareggiano con le più celebrate per le cure cutanee ed articolari.

dopo il ponte detto di Contursi, il fiume negro, con-fonde le sue acque col Sele, così come fanno a destra le acque del troiente, della tensa e di molte altre, che spar-samente vi accorrono dalle campagne di eboli. a sinistra si aggiungono le acque del Monte alburno e poi quelle del Calore, diverse da quelle del fiume dallo stesso nome, che è presso Benevento.

Così arricchito il Sele allarga il suo letto, guadagnando anche in profondità cinque miglia lontano da Paestum e, dopo 40 miglia di corso, sfocia infine nel Mar tirreno.

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I vetusti popoli che questo fiume tenne divisi

Col suo corso il Sele divideva antichi popoli e poneva confini a famose regioni. Secondo Strabone il Silaro divi-deva la regione picentina dall’antica Campania, secondo Corcia (“Storia delle due Sicilie”), il fiume per poche mi-glia separava gli Irpini dai Lucani, e verso la fine del suo corso i Lucani dai Picentini. Cluverio ritenne per certo che i confini dell’enotria erano sino al Silaro.

Curiosità

non lontano dal luogo dove il Sele termina il suo corso nel tirreno avvennero come si è già accenato, grandi fatti d’armi. Lì, secondo alcuni storici, fu sconfitto Spartaco quando il Senato mandò Crasso con le legioni a combatterlo. Frontino (Stratag., libro II, p.249) riferisce, che Crasso, cominciata la battaglia, fece uscire da dietro il monte Calimarco, presso la vecchia Capaccio, C. Pron-tino e Q. Marzio rufo con 12 coorti, e così ebbe vittoria su Spartaco.

In tempi meno remoti G. albino pose nello stesso luogo (“apud Silarum amnem in Lucanis, ubi exit in mari”) un’altra battaglia, quella tra agostino Fregoso da Geno-va, sceso in campo per soccorrere Sanseverino, tenuto dai ribelli, e Guglielmo Sanseverino, conte di Capaccio, comandante delle truppe del re Ferrante.

Le sponde del Sele furono anche tinte dal sangue dei martiri fin dai tempi del Cristianesimo. Presso il Silaro avvennero i martiri di S.vito, di Crescenza e di Modesto, siculi di nascita, tormentati per la loro fede in Cristo.

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IL FIUMe SeLe: L’etimologia e le varianti del suo nome

anche se “Sel” o “Sil” in lingua celtica significa “ac-qua/fiume”, l’etimologia del fiume Sele è probabilmente di origine greca, poiché il corso d’acqua nasce ai piedi del monte Paflagone1, e la Paflagonia era una regione greca. Considerato, poi, che su una moneta d’argento di Pae-sto2 (antica Posidonia), vicina allo sbocco del fiume nel mare, si legge la parola Seila alle spalle di nettuno, tanto il Millingen che il nummologo avellino hanno ritenuto che Seila probabilmente si riferisse al Sele/Silaro. Fortifi-ca tale congettura il fatto che anche in altre medaglie di Posidonia, oltre le iniziali della città si leggono arcaiche e retrogade lettere che presentano la voce Is, nome di uno dei fiumi nei pressi della città, insieme al nome primitivo del fiume Seila.

Secondo l’avellino lo stesso nome Laris nominato da Licofrone nella sua Cassandra insieme all’Is non è altro che un’abbreviazione di Silarus.

1 nome antico di uno dei più alti gioghi dell’appennino, che in passato divideva gli Irpini dai Lucani. Il nome è di origine oscura, probabilmen-te fu imposto al luogo dai migratori Greci che per altezza paragonarono il monte a quelli della Paflagonia descritta da Senofonte come paese di altissime montagne. Paflagonio è anche il nome di un fiume ai piedi del monte Ida, e il nome del figlio di Fineo, mitologico re di tracia, pietri-ficato dalla testa di Medusa mostratagli da Perseo. La derivazione dal greco Paphlegon “tutto ardente” non è ammissibile in quanto nel luogo e nei dintorni non si trovano fenomeni di carattere vulcanico.2 Paesto fu detta Posidonia dai trezeni la cui madre terra trezene era sa-cra a nettuno, cioè Posidone. La città Greca decadde con l’occupazione prima dei Lucani e poi dei romani.

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Il fiume è stato nominato da scrittori come Strabone, Lucilio, Plinio, virgilio, tolomeo, Pomponio Mela, ari-stotele (che sembra averlo chiamato Cetes/Ceton), orosio, Lucano (Siler), Probo, Boccaccio, vibio Seguestre, tasso, Ungaretti ed altri. e, anche se vari popoli si sono succe-duti nella regione, il nome ha avuto pressocché sempre il suono di quello attuale.

nel dizionario del nebristense si legge Silaris fluvius, nel virgilio dell’antico codice Mediceo… est lucus Sileri; nel commento di Probo a virgilio e nella tavola Peuntin-geriana Silarum (p. 5), Silarius in Boccaccio, Selo in Ligo-rio, Silarem in Muratori. tra le tante varianti Silaro, Silla-ro, Sillero, come scrisse vibio, il fiume fu Silarus o Siler per i Latini, Silaris per i Greci, e Sele è oggidì.

nella descr. regn. napolet. P. 15 il Bacco riporta che il nome del fiume è legato alla leggenda di Sole/Sele (cambiata la o in e), compagno di obolo, capitano del re teseo, annegato nelle sue acque.

Presso gli antichi popoli il Silaro, ebbe anche una specie di culto, tant’è che vi alzarono are e statue nei dintorni.

Il rota lo appellò padre del fiume Selefone, un dì chiamato accio (…Selephon cui Silaris pater est… eleg. 8).

Su una delle monete di Posidonia le lettere seila ag-giunte alla voce Poses, secondo Sampon, autore di “ri-cerche sulle antiche monete d’Italia Meridionale”, (pag. 149) non solo determinano la posizione di Posidonia, ma provano il culto reso al fiume Sele dai Posidoniani. al-trettando sostiene l’avellino nel vedere sulla moneta di Posidonia i due celebri fiumi, il Seila e l’Is, che stavano d’appresso alla città.

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“Fantasticando alle sorgenti del Sele”

Le suggestive ipotesi sulle origini della radice Sel da cui deriverebbe il nome delle sorgenti e del fiume Sele hanno ispirato il racconto che qui mi piace riportare.

Alle prime luci dell’alba, Posidonia si rivelava in tutto il suo splendore e, al cospetto dei tremuli bagliori mattutini, ap-pariva il suggestivo scenario della polis, la quale sembrava in tal modo smaterializzarsi, immersa in un’inconsistente e so-gnante atmosfera. Proprio nel momento iniziale della giornata, sotto il benefico influsso di Venere, cominciavano i preparativi atti a celebrare la divinità protettrice della città, Era, e presso il tempio a lei consacrato si radunava la maggior parte della popolazione per assistere alla fase principale del rito.

Alla foce del fiume, il santuario si ergeva luminoso e sereno e, nel piazzale antistante la basilica, le sacerdotesse ornavano con grande minuzia l’altare preposto al sacrificio, intrecciando tra loro ghirlande di fiori di estrema raffinatezza e di inten-sa policromia. Con egual grazia ai suoi lati erano stati posti due bracieri che diffondevano nell’aria l’aromatica fragranza dell’incenso e donavano al luogo circostante un’aura di pro-fonda e partecipe religiosità.

Tutto era ormai pronto per l’inizio del sacrificio e ognuno meditava, assorto, in mistico silenzio per accogliere con mag-gior intensità l’evento prodigioso, espressione autentica di in-tima comunione con la dea, che di lì a poco si sarebbe manife-stato ai loro increduli occhi.

La fanciulla che, dopo aver interpellato gli oracoli, era stata scelta per assolvere l’onere di recare l’offerta in onore delle dea, si chiamava Cloe.

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A prima vista, quello che immediatamente di lei colpiva era la sua straordinaria bellezza, che durante il tragitto, dai pro-pilei in fondo all’agorà fino al tempio, si intensificava sempre più, velandosi di mistero e di sfuggevole leggiadria. Procedeva con passo cadenzato e ogni cosa al suo passaggio si vivificava acquistando una superiore luce e armonia. La fanciulla indos-sava una veste di preziosa manifattura che ne esaltava ancor di più la beltà e ad ogni passo aderiva maggiormente al corpo così che questo diveniva quasi inconsistente, svelandone i line-amenti più sinuosi.

Tra la folla, Dafni osservava attentamente la cerimonia, enormemente affascinato dalla presenza di quell’eterea fanciul-la, dalla quale trapelava un forte misticismo e che sembrava davvero avere le sembianze di un essere disceso dal cielo.

Così il giovane, terminata la celebrazione e sospinto da un’irrefrenabile curiosità, seguiva la fanciulla, che, come tut-te le ragazze rispettabili dell’epoca, era accompagnata sempre dalla propria fedele serva, Maia, eludendo entrambe, fino alla dimora della soave creatura.

In tal modo, vagheggiando ancor più intensamente un loro possibile incontro, si apprestava a partecipare alla cerimonia dello Scudo: un evento che attendeva con ansia per poter ri-vedere finalmente la ragazza che con tanta prepotenza si era impadronita del suo cuore.

Lo stadio, in cui era solita svolgersi la cerimonia, consi-stente in una gara di atletica cui liberamente potevano parte-cipare tutti coloro che avevano raggiunto la maggiore età, si trovava poco distante dall’agorà e da ognuno veniva agognato con grande ardore, come luogo in cui dar prova del proprio vigore fisico e delle proprie qualità intellettive.

Dafni, pertanto, si accingeva a raggiungere con i suoi coe-tanei il punto prefissato per l’inizio della corsa e ripetutamente, con malcelata smania, volgeva il capo sugli astanti, ricercan-

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do disperatamente l’incantevole fanciulla. Ma oramai l’agone doveva aver inizio: tutti diedero un’impeccabile dimostrazione della propria bravura in campo atletico, ma solo uno, Dafni, ne fu il vincitore.

Così, in conformità a quanto stabilito dalla tradizione, gli venne affidato lo Scudo della dea e sul capo gli fu posta una corona d’alloro con la quale il giovane appariva davvero l’in-carnazione vivente di Apollo. Ma la cosa più inaspettata fu che il premio cinse le sue tempie tramite le delicate mani di Cloe, e nel momento in cui i due giovani incrociarono i loro sguardi, inconsapevolmente, si insinuò nei loro corpi il sottile fuoco di Amore suscitando, sull’amabile volto della fanciulla, un mani-festo, pudico rossore.

E così Dafni ebbe la prova tangibile che il suo sentimento era realmente corrisposto con egual ardore da Cloe, la donna da lui tanto intensamente vagheggiata; gli sembrò ormai di aver raggiunto il colmo della più ambita felicità.

Immediatamente incominciò tra i due una fitta corrispon-denza che venne prolungata grazie soprattutto alla parca col-laborazione loro offerta dalla servitù; ma non per questo dimi-nuiva l’ardore della loro passione, che anzi si esprimeva sempre con maggior intensità e assiduità.

Dopo diversi giorni, Dafni ebbe la possibilità, ardentemen-te attesa, di rivedere la sua amata: infatti ella si sarebbe recata al foro, in compagnia della sua inseparabile ancella, per par-tecipare al settimanale mercato cittadino. E così i due giovani avviarono una serie di rapidi incontri, al riparo degli sguardi indiscreti della gente e agevolati in particolar modo dal taci-to assenso di Maia, nell’agorà o presso il tempio in occasione delle festività pubbliche in onore delle divinità protettrici del paese. Ma ecco che finalmente il caso si volse in loro favore. I genitori di Cloe avevano intenzione di partecipare, o meglio, di beneficiare dalla vendita dei loro prodotti artigianali, alla

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fiera che annualmente aveva luogo per vari giorni a Neapolis, e che richiamava una moltitudine di Greci, soprattutto fra gli abitanti dei luoghi circostanti.

Così, Dafni e Cloe, avvalendosi dell’insperata assenza dei due inflessibili supervisori, designarono come luogo del loro successivo incontro un’ansa del fiume che, lontana dai tumulti della città e al riparo dall’indiscrezione della gente, era rara-mente frequentata. Giunti nel luogo prefissato e adagiatisi sul prato, costellato da una miriade di fiorellini che diffondevano nell’aria un intenso profumo, contemplavano il lento movi-mento delle acque, le quali, animate dalla piacevole brezza di Zefiro, si increspavano lievemente in una danza continua di indefiniti bagliori. E infatti i due giovani ammiravano in silen-zio il meraviglioso paesaggio che li attorniava, riconoscendosi intimamente legati in quest’atto, in cui avvertivano la più totale e profonda comunione delle loro anime.

Mentre si trovavano totalmente assorti, giunse in quel luogo un viandante che, smarrita la strada, si rivolse loro con estremo garbo e cortesia: “Graziosi giovani - disse - per amor di Zeus sapreste gentilmente indicarmi il sentiero più breve che conduce a Posidonia? Sono tre giorni che cammino inin-terrottamente per recarmi ad onorare Era, poiché per sua in-tercessione mia moglie ha dato alla luce una splendida coppia di gemelli, tanto belli da apparire Apollo e Artemide in perso-na: gli dei non me ne vogliano!”. Dafni cortesemente rispose: “Non angustiarti, o straniero, perché Zeus Xenios, o chiunque qui conducendoti ti ha protetto, non ti ha abbandonato. Basta infatti che tu segua fedelmente la corrente del fiume e in breve tempo giungerai a destinazione”. Ed egli: “Vi ringrazio infini-tamente, possano gli dei concedervi ogni onore e grazia, siate tre volte beati”.

Ma prima che lo straniero si allontanasse diretto per la sua strada, Dafni e Cloe, come richiedevano le ferree leggi dell’ospi-

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talità, accolsero l’uomo con estrema cortesia e lo invitarono a prendere parte al loro pasto, frugale e rapido, secondo la tradi-zione: maza (farina d’orzo impastata in gallette) e formaggio.

Dopo aver concluso l’ariston, lo sconosciuto xenos (stranie-ro) volle contraccambiare l’inattesa gentilezza di Dafni e Cloe raccontando loro il mito di Selemnos e Argira che si tramanda-va ormai da molte generazioni in una cultura sostanzialmen-te orale, qual’era quella greca. E così cominciò a narrare tale vicenda effondendo intorno a sé un’aura di mistero fuggevole, oltre che di incomprensibile enigmaticità: «Quando sulla terra ancora risiedevano e indisturbate operavano le divinità, prima che quest’ultime l’abbandonassero ritirandosi definitivamente nelle sedi Olimpiche, in una remota e sperduta regione della Grecia, in Arcadia, si svolse la storia di Selemnos e Argira.

Selemnos era un pastorello che ogni mattina conduceva al pascolo il suo gregge in un bosco, nelle vicinanze del tempio di Asclepio, che con i suoi alberi maestosi difendeva il bianco can-dore marmoreo dell’edificio dall’intensa luce solare. Un giorno, mentre osservava il suo bestiame che pascolava tranquillamen-te brucando la tenera e verdeggiante erba primaverile, rimase affascinato dalla splendida visione di una ninfa, molto pudica. Questa, infatti, essendosi accorta della sua presenza, si ritraeva al suo sguardo indiscreto che diveniva sempre più penetrante, appartandosi dietro le fronde maestose dei pioppi.

E così, dopo un iniziale e giocoso nascondersi, la delizio-sa Argira, finalmente svestendosi della sua naturale ritrosia, lasciò che il giovane l’ammirasse in tutta la sua abbagliante bellezza. Allora i due giovani, dopo un attimo di iniziale im-paccio, intrapresero spontaneamente una fitta conversazione, durante la quale ebbero l’opportunità di fare l’uno la conoscen-za dell’altra, ed in questo intimo colloquio il giovane, colpito a tradimento dall’ invisibile freccia d’amore, manifestava tutto il suo ardore e la propria inaspettata passione.

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Quando ebbero finito di parlare, l’incantevole Argira per suggellare il loro primo incontro donò al pastorello una splen-dida corona di fiori, simbolo insperato del loro amore, ed en-trambi, con scambievole e reciproca determinazione, conferma-rono per l’indomani il loro prossimo incontro.

E così il loro amore, sentimento spontaneo ed immediato, giorno dopo giorno accrebbe vivificato dalla naturale affabili-tà e complementarietà dei due giovani. Ma purtroppo Argira, con il passare del tempo, diveniva sempre più pallida senza per questo diminuire la sua straordinaria bellezza; anzi, sul diafano volto della fanciulla, amabilmente circonfuso dalle sue bionde chiome, essa ne risultava paradossalmente accentuata.

Nel mentre si indeboliva e dimagriva progressivamente fa-cendo apparire ormai palese la malattia agli occhi di Selemnos, Argira si schermiva, infastidita, dinanzi alle accurate premure del giovane, rifuggiva, impaurita, e per non obliarsi nel bara-tro inalienabile della morte, si avvinghiava con maggior tena-cia alla vita. Infatti giunse il giorno in cui Argira, sopraffatta dalla rassegnazione di dover morire, invocò con queste parole Proserpina: “O dea dell’oltretomba, eterna compagna di Ade, fa’ sì che io oltrepassi senza alcun dolore la soglia del tuo sa-cro regno, e voi pure, o Parche, quando reciderete l’ultimo fiore della mia labile vita!” Così, la fanciulla esausta, avendo con quest’atto disperato esaurite tutte le sue energie, piombò a ter-ra e attese che la Morte, sorretta dalle sue ali nere, infondesse in lei un eterno sopore. Ma nel momento stesso, in cui l’anima immortale di Argira si apprestava ad abbandonare le sue spo-glie mortali, davanti agli occhi stupefatti di Selemnos accadde un evento prodigioso: l’amata si era trasformata in una fonte.

Allora il giovane si rammentò del giuramento, foedus di eterno amore e fedeltà, e sconcertato dalla morte prematura di Argira cominciò a girovagare senza trovare requie per il suo animo straziato, tormentato dall’immenso dolore e dall’in-

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dissolubile ricordo della fanciulla. In tale stato di turbamento e folle per amore, addolorato per la perdita della sua amata, invocò Afrodite e la sua voce risuonò intensificata dall’azione premurosa di Eco: “Ti scongiuro, tu sola conosci il mio ardente e appassionato amore e la ferita, generata dal tuo giocoso figlio-letto Eros, che mi brucia senza remore in petto…Per questo ti supplico: trasformami in fiume così che io possa eternamente essere congiunto alla mia dolce amata. La dea non fu insensi-bile alle preghiere del giovane ed accolse con benevolenza le sue accalorate richieste trasformandolo in fiume”.

Detto questo lo straniero si congedò dai due giovani e si allontanò dallo sguardo entusiasta di Dafni e Cloe.

Intimamente e profondamente colpiti dalla loro struggente passione d’amore, essi decisero di andare alla ricerca dell’origi-naria fonte da cui scaturiva il fiume che fluiva placidamente ai loro piedi. Così, quando ormai il carro del dio Apollo dopo una lunga e faticosa giornata si apprestava a ritornare nel giardino delle Esperidi, stabilirono che avrebbero intrapreso il viaggio il giorno seguente, all’apparire dei primi tenui raggi solari.

Infatti all’alba Dafni indossò l’imation per proteggersi dall’eccessiva frescura della brezza mattutina e Cloe, con l’aiuto della fedele ancella, ripose con grande cura in una cesta il viati-co necessario ad affrontare il lungo cammino che cominciava a delinearsi in tutta la sua interezza dinanzi ai loro occhi.

Attraversarono luoghi impervi e percorsero sentieri su cui nessuno prima d’allora aveva mai messo piede. Si riparava-no dalla calura estiva sotto le fronde maestose dei salici, che fiancheggiavano il fiume a mo’ di sorveglianti discreti, con la speranza di trovare un luogo in cui poter facilmente ristorarsi dal caldo, che sembrava beffardamente schernirli soprattutto nelle ore più calde della giornata. Esso serpeggiava dapprima all’interno di una splendida pianura per poi inerpicarsi su dol-ci pendii. Trascorrevano invece la notte servendosi di ripari na-

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turali, come antri e grotte, che in abbondanza si offrivano loro lungo l’apparentemente illimitato tragitto. Il loro passo deciso fu per essi guida sicura e spinta certa a superare l’asprezza di taluni luoghi e l’innata ed austera sontuosità di altri; captava-no poi e percepivano le diverse fragranze che riempivano l’aria circostante impregnandola della propria essenza.

Vennero soprattutto turbati quando attraversarono una landa desolata da cui emanava un lezzo acre e repellente che, per la sua consistenza, rammentava ai due giovani l’entrata dell’ Ade ubicata per i Greci a Menfi.

Per ben tre giornate di ininterrotto cammino essi seguiro-no l’alveo del fiume che si trovava ora immerso in una rigoglio-sa e lussureggiante vegetazione, la quale mutava man mano che i due giovani procedevano nel loro cammino, assumendo tratti sempre più montani.

Ma il loro faticoso viaggio venne ampiamente ripagato dall’incantevole spettacolo che si prospettò davanti ai loro in-creduli occhi: un’immagine di incontaminata e virginea bel-lezza. Giunsero infatti in una zona straordinariamente im-preziosita dal caratteristico rigoglio di una flora che lì aveva trovato un posto ideale per attecchire e che veniva amabilmente lambita da un monte maestoso. Esso costituiva così, in modo stupefacente, il termine necessario allo splendido proscenio che si dischiudeva alle proprie pendici e un’eccezionale prova di ge-ometrie di colori in particolar modo rivitalizzati dalla ferma e diretta luce solare. Dinanzi ad esso un gruppo di rocce si dispo-neva elegantemente a formare un emiciclo nel quale fluivano, da diverse fenditure di natura sedimentaria in un’unica fonte, acque di varia provenienza ma che avevano la stessa consi-stenza calcarea testimoniata dal colore biancastro delle pietre su cui scorrevano ininterrottamente. Questa naturale compa-gine architettonica donava al luogo, in cui armonicamente era inserita, un alto grado di magnificenza, tanto da meravigliare

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intensamente i due giovani. In tal modo la sorgente adornava questa stupefacente ed artistica composizione, la quale riempi-va visivamente, oltre allo scroscio continuo e ridondante delle acque che si propagava armoniosamente all’interno della val-le, l’intera pianura: un’ampia distesa placidamente adagiata di fronte all’imponente monte. Proprio da qui discendevano diversi rigagnoli che, riunitisi, simultaneamente convogliava-no le loro limpide acque nel fiume che scorreva imperturbabile sotto lo sguardo estasiato di Dafni e Cloe. I loro sguardi ven-nero infatti attirati repentinamente dalla similarità di questa fonte che confluiva nel fiume sottostante con quella, richiamata immediatamente alla memoria dei due giovani, in cui fu tra-sformata Argira, dopo la morte, e la successiva metamorfosi dell’amato in fiume, il quale ebbe così la possibilità di eternare la loro unione.

Proprio così intimamente coinvolti dalla natura del luogo avvertirono più indissolubile e profondo il loro legame e decise-ro in tale maniera di sacralizzarlo e di renderlo perenne come in un lontano passato avevano già fatto i due suddetti amanti.

Infatti evocarono su di loro la protezione di Afrodite e dopo essersi purificati nelle limpide acque del fiume, imponendo su di esso le loro mani gli diedero il nome di Selemnos e per tra-mandarlo intatto ai posteri incisero un’epigrafe su una roccia vicina a caratteri evidenti e leggibili. Quindi invocarono Ar-gira affinché con l’aiuto del proprio Amato proteggesse questo luogo, mantenendone pure e intatte le acque, sgorganti imper-turbate dal gigantesco monte soprastante, insieme alle popo-lazioni che sulle sue sponde avrebbero eretto le loro dimore. Infatti a distanza di tempo, grazie al fascinoso racconto che Dafni e Cloe tramandarono per intere generazioni, proprio in quella valle sorse una fiorente cittadina, che in onore di Selem-nos e Argira eresse un armonico tempietto divulgando così per sempre gli onori tributati ai due giovani.

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Citazioni del Sele nel passato

1. At noton est longe supra sirenida rupem Picentis Silari gurges spectabile flumen (dionysus afer, de situ orbis, ver. 297)

2. ... tesca Siler nullasque vado qui Macra moratus ... (Lucano, Pharsalia II 421-427)

3. Radensque Salerni culta Siler (vibo Seguestre, de flumin. p. 194)

4. Tra i boschi del Sele e i querceti fitti dell’Alburno Vive in grandi sciami un insetto Che in romano ha nome assillo e i Greci chiamano estro; aggressivo, col suo fastidioso ronzio atterrisce e disperde in fuga nelle selve intere mandrie di animali; (virgilio, Georgiche 2° libro)

5. Silaro inchoat Lucania (Pietro diacono in Muratori)

6. …in Caput Silarum fluminis… (orosio, lib. 5 cap. 24)

7. Ligna iniecta in lumen …….; et Picentinorum Silarum, lapidescunt (Plinio,1.2 c. 103)

8. …quatuor hinc ad Silari flumen… (Lucilio - il più antico scrittore che lo disse Sylarus -)

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9. Virgulta in Silarum fluvium Samnitum demissa, lapi-descunt. Nunc Silaris, quos nutrit aquis quo gurgite tradunt duritiem lapidum mersis, inolescere ramis.

(Silio Italico, lib. 8)

10. Ad caput Silaris fluminis (probabilmente la foce del Sele in quanto Capose-

le non aveva nelle vicinanze un luogo adatto per accampamenti militari) v. tolomeo

11. Usque ad fontem Silari (Cluverio)

12. … Silerus amnis… (Pomponii Melae, de situ orbis, liber II cap. Iv)

13. Attraversato lo sbocco del Silaris, entriamo in Lucania (Strabone, Geografia libro vI,1)

14. …là ove, come si narra, e rami e fronde Silaro impetra con mirabil onde… (t. tasso, Gerusalemme Conquistata, Cant. 2)

15. … e proprio ai piedi della buia parete del monte Rotoli (Paflagone) è captata l’acqua per l’acquedotto.Ora sono polle non meno vive di prima,ma sepolte. Al loro posto dove formano lago a ferro di cavallo appare un prato, e da un lato nello stesso sfondo sorge su un salto un po-vero campanile distaccato dalla sua chiesa trasportata altrove.

(G. Ungaretti, Il deserto e dopo)

16. Bulla ex papiro expedita in anno 1107 per Gregorium

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Archiepiscopum compsanum manu Rufi Canonici compsani et Notarii commorante cum fratibus suis in domo S. Martini de Sylere per quam contenebatur quod quodam vinea cum olivis, quae est iuxta Sylerem recuperata ab Alferio de Montella habitante Capitis Sylaris teneretur ab eodem Alferio sua vita durante et reddere ecclesiae compsanae.

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“Nunc Silarus, quos nutrit acquisquo gurgite tradunt/

Duritiem lapidum mersis inolescere ramis”

(Silio Italico, lib. 8)

CUrIoSItà

Molti autori nel passato hanno attribuirono al Sele la proprietà di pietrificare qualunque oggetto ligneo im-merso per qualche tempo nelle sue acque. tra questi ari-stotele, Strabone e poeti come Silio Italico e tasso.

aristotele, il sommo filosofo greco vissuto nel Iv sec. a.C., scrisse: “dicono che questi luoghi siano tenuti dai Lu-cani e che vi sia in questi posti un fiume di nome Ceto - così egli chiamò il Sele - nel quale le cose che vi si gettano, in un primo momento galleggiano e poi si induriscono come pietre”. Il geografo Strabone a sua volta disse quasi la stessa cosa, chiamando il fiume col suo vero nome: “i virgulti (ramo-scelli) immersi nelle sue acque sassificano pur conservando la forma e il colore primitivo”.

Il naturalista Plinio fu più dettagliato nella sua pur breve notizia: “similmente nel fiume Sele oltre Salerno, si trasformano in pietra non solo i rami che vi si immergono, ma anche le foglie”. Con due bellissimi versi Silio Italico volle trasmettere ai posteri questo singolare fenomeno: “con quei che beon del Silaro che i rami, come si narra, entro ai suoi gorghi impietra”. e tasso l’ultimo grande poeta del rina-scimento, così cantò: “quivi insiem venìa la gente esperta/ del suol che abbonda di vermiglie rose,/ là ove, come si narra e

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rami e fronde/ Silaro impetra con mirabil onde”. Successiva-mente, Beckam, che commentò il libro di aristotele sulle mirabili “udizioni” (notizie), avvertì che la pietrificazio-ne non era altro che il deposito di particelle calcaree e tufacee, che alla periferia delle cose immerse generava una crosta lapidea.

Il geografo raffaele vollaterrano riferì che il fiume Sele, scorrendo dai monti Sanniti, (voleva forse dire lu-cani) aveva questa proprietà, che i rami in esso immersi, pietrificavano, mentre altri geografi come Giannattasio e Cluverio risero di queste antiche favole. agli inizi del ‘700 un ecclesiastico di Capaccio scrisse: “Il fiume Sele è quello, che dagli antichi, si Greci che Latini fu chiamato Silaro, di cui ha esperienza che cangi in pietra ciò che in esso si gitta, avverandosi quello che da Plinio, da Silio Italico, e da Aristote-le sotto il nome di Ceto si riferisce; checchè ne dica il contrario il Cluverio”.

L’ottimo barone antonini non si accontentò della no-tizia e volle sperimentare personalmente la cosa, venti-cinque anni dopo. In termini scientificamente validi per i suoi tempi egli riuscì a spiegare le reali dimensioni del fenomeno. non trovo di meglio che riferir per intero qui il suo discorso: “Ho voluto in varie maniere sperimentare, se ancora duri nelle acque del Silaro quella qualità, che da tanti attribuita gli viene di pietrificare i legni; ed ho in ciascuna vol-ta trovato non già pietrificarsi, ma che intorno ad essi attacchi una certa scorza, o sia crosta, che facendo più grosso il legno, niente al di dentro cangia la natura di quello. Ecco quel che in ciò io ho potuto riflettere: L’acqua del Silaro è sempre alquanto torbida; onde che seco trae un certo loto glutinoso, che attac-candosi al legno, quando poi è asciutto, lo fa parere come se fosse di pietra. Aggiungesi che un bastone stando nel fiume un mese di inverno (allorchè l’acque sogliano essere torbide) fa

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assai più che per tre mesi d’està. Ho provato ancora a far in un luogo stesso stare uniti due bastoni, uno liscio e senza scorza, e l’altro noderoso, crespo e non levigato: levatoli dopo alcun tempo dall’acqua, ho trovato, che al liscio s’era attaccata meno crosta dell’altro. L’acqua di questo fiume presa in tempo d’està, e quanto per pioggia non siasi intorbidata, posta in un vaso con un pezzo di legno dentro appena v’imprime il segno di cortec-cia. Quella fatta torbida per pioggia ve n’imprime moltissima, e quando depone nel fondo del vaso è così pesante e duro, che eguaglia i sassi, e il ferro. Ho similmente osservato, che questi legni stati nel fiume, e così pietrificati, tanto più duri diventa-no, quanto più s’asciugano, e l’acqua con l’umido si dissipa. Di tali cose non sono stato a credito a nessuno”.

(Brano tratto dal libro L’alta valle del Sele di amato Grisi)

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CaPoSeLe e L’aCQUedotto PUGLIeSe

(a.Q.P.)

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L’aCQUedotto PUGLIeSe

“Un’opera che sfida qualsiasi altra anche per bellezza”(Giuseppe Ungaretti, “Il deserto prima e dopo”)

Nessun dato, nessuna descrizione sarebbe sufficiente a dare l’idea chiara

non tanto della grandezza dell’opera quanto della bellezza di essa.

Di questo Caposele va fiera e ringrazia Iddio di averle

fatto dono di tanta ricchezza d’acqua, di tanta purezza.

Chiunque abbia avuto la gioia di ammirare l’opera alle sorgenti non ha potuto dire altro

se non che la mano dell’uomo e il genio della mente umana

si accostano a quelli di Dio e si fondono con Questo in una singolare opera

di sintesi creatrice, in cui si evidenziano i caratteri della bellezza pura e della suggestione.

(vincenzo Malanga “Caposele”)

di questa colossale opera di ingegneria idraulica re-alizzata anche con il concorso delle vigorose forze della gioventù caposelese del tempo, diamo una sintetica de-scrizione, rimandando gli interessati al sito del Comune di Caposele per ulteriori approfondimenti.

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I lavori per lo scavo della grande galleria dell’appe-nino, il primo importante tronco del condotto principale dell’acquedotto Pugliese, compresa la rete di diramazio-ni al servizio di molti centri abitati e per la quale furono adoperate in prevalenza condotte in cemento armato, al posto di tubature metalliche, andati all’appalto, furono assegnati alla ditta concorrente, la ditta erCoLe antI-Co, nel 1906.

La realizzazione dell’opera avvenne tra il 1906-7 e il 1914, sotto i governi di Giolitti, Sonnino, Luzzati e di nuovo Giolitti, essendo ministri dei Lavori Pubblici il Bertolini, il rubini, il Sacchi. Una imponente quantità di persone tra tecnici e maestranze, provenienti dal Pie-monte, dalla Liguria, la Calabria, la toscana, la Puglia, la Sardegna e le Marche, fu sistemata in alloggi provvi-sori costruiti per l’occasione; scuola, ospedale e pronto soccorso furono attrezzati per le nuove esigenze e non pochi benefici di ordine sociale e culturale ricaddero sul-la popolazione locale oltre a quelli di carattere igienico (un sistema fognario e un complesso di scolo delle acque bianche, acqua continua dalle fontane installate in tutte le strade e le piazze dell’abitato).

Inizialmente i lavori di allacciamento consistettero in una grande diga di sbarramento dello spessore di 2 metri, costruita attraverso la depressione sottostante alle sorgenti, ed in un canale collettore; quasi nel bel mezzo del bacino naturale di raccolta, al quale facevano capo, dei canali secondari o cunicoli di presa, che s’intesta-vano nella roccia, nei punti dove le acque scaturivano all’aperto.

I vuoti rimasti tra il canale collettore, i cunicoli e la roccia furono colmati con gettate di sassi di maggiori di-mensioni nello strato in fondo, in maniera da costituire

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un solo vespaio, attraverso il quale le acque delle sorgen-ti avevano libera circolazione ed uscita.

Il tutto venne coperto da una platea in cemento con pozzi di visita per eventuali verifiche e riparazioni; ed un muro di cinta fu elevato tutt’intorno e sul ciglio della roccia, per impedire alle sorgenti inquinamenti ed altri danni. al canale collettore, cioè l’arteria maggiore del si-stema di canalizzazione, fece seguito un canale di arrivo, un pozzo di raccolta ed infine le camere di manovra e di misura, che precedevano l’incile dal quale aveva inizio l’acquedotto. Secondo il progetto governativo, la porta-ta iniziale del canale principale doveva essere di 4 mc al minuto secondo.

La società concessionaria, prevedendo di poter uti-lizzare per i maggiori futuri bisogni delle popolazioni pugliesi, oltre le acque del Sele eccedenti i 4 mc. al se-condo, anche altre acque del pari ottime, di sua iniziati-va e a sue spese volle dare all’acquedotto una portata di mc. 5.5001. Il canale principale risulta oggi costituito da una serie di gallerie vere e proprie e di gallerie artificiali (canali in trincea e in rilevato), unite fra loro, da ponti e da sifoni per superare gli avvallamenti di terreno.

L’acquedotto supera in lunghezza tutti gli acquedotti costruiti nel mondo e in tutti i tempi, a partire dai cele-bri acquedotti di roma fino a quelli più recenti. Mentre

1 “… il lavoro nei primi anni svoltosi in buone condizioni, negli ultimi quattro si trovò contrari gli elementi naturali: gli scoppi di gas…causa-rono molti gravi infortuni. e così anche sulla “galleria” (come i vecchi di Caposele chiamano ancora oggi i tre cantieri) si proiettò l’ombra cupa degli scialli neri a ricordarci che le migliaia di vittime disseminate sui posti di lavoro…costituiscono le innegabili prove di una grande bat-taglia perduta dalla civiltà (da: …”tra filantropia e sindacalismo” di L. Malanga in “La Sorgente”.

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infatti il più lungo acquedotto di roma era lungo 93 Km circa, il gigantesco acquedotto del Catskill di new York (U.S.a.) 148 Km circa, quello di Los angeles (California) 378 Km, la lunghezza del solo canale principale dell’ac-quedotto Pugliese supera i 213 Km. da Caposele a San-ta Maria di Leuca l’intero sistema idrico corre in galleria per 97 Km, in trincea per 103 Km, sui ponti per 8,5 Km, e per più di 7 Km di discesa e risalita nei sifoni.

nel 1915 l’acqua del Sele giunse nel capoluogo pu-gliese ed in altri 27 comuni del barese; nel 1916 ad altri 6, oltre che a taranto e Grottaglie; nel 1917 furono serviti i comuni di noci, Bisceglie, trani nonché la frazione di Bari.

alla data del 30 giugno 1940, oltre alle opere di pri-mo impianto dell’acquedotto (canale principale) già si contavano 1933,6 Km di diramazioni primarie e secon-darie e di condotte esterne agli abitati; 1004,2 Km di ca-nalizzazioni interne agli abitati: 165 serbatoi; 29 impianti di sollevamento della potenza complessiva di 5960 KW; 4 centrali di produzione di energia elettrica; 36,45 Km di linee elettriche ad alta tensione; 1966,85 Km di linee telefoniche con 29 centralini e 262 posti di trasmissione; 71 case cantoniere e 273 Km di strade carreggiabili. La popolazione servita ammontava a 2.591.889 unità.

date le esigenze sempre complesse delle civili popo-lazioni, successivamente nel condotto principale della Galleria Pavoncelli, in attuazione del progetto rosalba, furono immesse le acque tributarie del fiume Calore2, (altre acque irpine dei comuni di Cassano e Montella),

2 Le acque del Sele e del Calore, insieme, hanno una portata media di circa 6500 mc al secondo, equivalente al massimo delle capacità addut-tive della stessa galleria Pavoncelli.

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mediante la costruzione di un’altra galleria lunga circa 15 Km che dalle sorgenti parte da Cassano Irpino e giun-ge ad ovest della galleria di Caposele.

CAPOSELE e l’A.Q.P.: Storia delle captazioni delle sorgenti del Sele

Con l’aiuto di documenti e tenendo presente il con-testo economico, sociale e politico del tempo (fine otto-cento-inizio novecento), a distanza di un secolo e più si è sentita la necessità di ripercorrere tutte le tappe che han-no segnato per sempre la storia e lo sviluppo del nostro territorio. In particolare si metteranno in luce gli aspetti oggettivi di quelle vicende che ancora oggi costituiscono motivo di discussione e di contrasto. di grande aiuto ci sono stati il resoconto fatto sulla storia della captazione delle sorgenti dal nostro concittadino vincenzo Malan-ga, autore, tra l’altro, del volumetto “Caposele” e la do-cumentazione consultata presso la sede municipale e/o reperita in biblioteche ed altre fonti.

nel Cd, già distribuito ai vari enti e cultori, sono ri-portati tutti i documenti di cui si è venuti in possesso. dal loro studio ognuno potrà entrare nei fatti, rendendo-si conto del clima socio-politico dell’epoca e ricavare un proprio giudizio sulla vicenda. La conoscenza dei fatti da parte soprattutto dei Caposelesi, potrà essere la base per una lotta da portare avanti, richiamando l’interven-to soprattutto della regione Campania, ente distratto su queste tematiche, per il riconoscimento di un ristoro al territorio, la sua salvaguardia e il suo sviluppo sostenibi-le. La compilazione del Cd ha inoltre lo scopo di far co-noscere a tutti la grossa realtà presente nel nostro paese,

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per stimolare un turismo naturalistico, purtroppo finora impedito ed ostacolato dai detentori delle nostre acque. Per tali motivi esso contiene anche foto, pagine di storia e un compendio sui lavori dell’acquedotto.

I fatti:

alla fine dell’ottocento, il problema della captazione delle sorgenti non era molto sentito dalla maggior parte dei Caposelesi, che attanagliati più dai problemi di mise-ria e fame, davano per scontata la presenza di acqua un po’ dappertutto sul territorio, potendola usare facilmen-te per il fabbisogno familiare. di certo comprendevano l’importanza dell’acqua e l’utilizzo della stessa per uso industriale e per irrigazione solo le poche persone ric-che e istruite dell’epoca presenti nel paese, tant’è che il principe di Caposele Luigi d’aragona, il duca di Castel-laneta, il marchese d’ayala e il sindaco antonio Pizza, tutti proprietari di trappetti, gualchiere e mulini, furono i soli a produrre in Prefettura formale protesta contro il convogliamento delle acque del Sele in Puglia.

risultò invece di più facile presa sull’animo genero-so dei cittadini di Caposele la necessità di convogliare le acque per soccorrere le popolazioni pugliesi, spesso flagellate da catastrofiche epidemie per la continua sic-cità di quelle terre. Ma come più volte avviene, lo spiri-to del mutuo soccorso, che nasce spontaneo tra la gente bisognosa, viene vissuto come una cosa dovuta, e così chi elargisce il bene porta sulla propria carne le cicatrici inferte dal momento del bisogno, mentre nell’animo dei beneficiati non rimane l’amore ricevuto tramite un gesto di carità.

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Per la particolare formazione geologica la regione pugliese, simile a quella del Carso, avente per base fon-damentale la roccia del periodo secondario, detto cre-taceo, che non consente accumuli e riserve d’acqua, ha avuto sempre un regime idrografico superficiale pove-ro3. tant’è che per secoli la “sitibonda” regione ha avuto problemi di siccità e di epidemie.

ripropostasi la necessità di approvvigionamento idrico per soddisfare il fabbisogno di tutta la popolazio-ne, nel 1847, sotto il governo di Federico II di Borbone fu nominata una commissione per studiare il modo più pratico per rifornire la Puglia di acqua. Fece parte della commissione il celebre fisico antoine Cesar Bacquerel, ma il problema risultò di difficile soluzione, considerate anche le ingenti spese da affrontare per la realizzazione di qualsiasi progetto.

Le esplorazioni circa le riserve d’acqua non furono, comunque, abbandonate e il problema dell’approvvi-gionamento, lasciati i confini del territorio comunale, divenne materia di dibattito nei Consigli Provinciali di Bari, Foggia e Lecce.

Il 3 ottobre 1861 il Consiglio Provinciale di Bari pose il problema del trasferimento dell’acqua per uso alimen-tare e irriguo all’attenzione del nuovo governo nazio-nale di torino, chiedendo un contributo al Ministero dell’agricoltura per studiare con dei tecnici la possibi-

3 a Sud dell’ofanto mancavano corsi d’acqua perenni e in provincia di Foggia i corsi d’acqua a regime torrentizio bagnavano il tavoliere solo in alcuni periodi dell’anno; tutta la zona delle Murge era poi priva di acqua, che si ritrovava, salmastra, nei pozzi della fascia litoranea; nelle province di Lecce, di taranto e di Brindisi si riscontrava infine scarsità di acqua potabile e non di provenienza superficiale.

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lità di presa e convogliamento delle sorgenti Irpine. nel luglio del 1865 l’amministrazione Provinciale di Bari e il Comune pubblicarono un “manifesto di concorso per conduttura delle acque”, stabilendo un premio di 11.150 lire. L’ingegnere de vincentiis vagheggiò l’esplorazione di numerosi pozzi artesiani; l’architetto Lerario suggerì l’uso di una trivella da lui inventata per estrarre l’acqua, ma il progetto fu dichiarato “non attendibile”.

nello stesso anno il Prefetto della Provincia di Fog-gia propose un progetto di irrigazione e fece stanziare la somma di un milione per la progettazione ed esecuzione dell’opera. Ma lo stanziamento fu ridotto a sole seimila lire da darsi a colui che “meglio delineasse risultamenti pratici sul modo di rinvenire l’acqua e utilizzarla per usi agricoli”.

Il premio fu vinto nel 1868 dall’ingegnere del Genio Civile Camillo rosalba, che suggerì di utilizzare le acque delle sorgenti dei fiumi dell’Irpinia in Campania, del Mo-lise e della stessa Puglia al fine di dare acqua potabile alle popolazioni e acqua, cioè ricchezza, alle terre arse. egli pensò alla captazione delle acque del Sele, del Calore, dell’ofanto e del Cervaro, ma soprattutto di quelle del Sele, per cui lo si può dire il vero ideatore della grandio-sa opera dell’acquedotto Pugliese. Il progetto prevede-va una grande conduttura in traforo fino a Conza della Campania, al fine di superare lo spartiacque appennini-co e un canale lungo la sponda dell’ofanto per portare l’acqua fino a Brindisi, volgendo però dopo andria, pri-ma a Corato, ruvo e Bitonto.

Ma in un primo momento il progetto rosalba, pur essendo l’unico valido per la soluzione dell’importante problema, sembrò essere un’utopia e quindi impossibile a realizzarsi. ad altre deliberazioni ed altre decisioni da

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parte degli enti interessati e alla presentazione di altri progetti, anche da parte di imprese nazionali ed estere, seguirono altri calcoli, altre previsioni, lotte professionali tra i vari tecnici impegnati nella soluzione del problema, tanto che la pratica finì con l’entrare in un vicolo cieco.

nel 1886-87, dopo quasi vent’anni da quando era ap-parso il progetto roSaLBa, giunse all’amministrazione Provinciale di Bari il progetto dell’ingegnere Francesco Zampari. Possessore di un vistoso patrimonio, questi, ispirandosi alla concezione roSaLBa, trovò che l’unica soluzione logica fosse quella di captare le acque del Sele e trattò per proprio conto la faccenda con il Comune di Caposele.

Il 23 maggio 1888 con rogito del notar Corona veni-vano così ceduti 3 mc/s delle sorgenti del Sele per 500mi-la lire, col patto che laddove entro il termine di trenta mesi i lavori del costruendo acquedotto non avessero avuto inizio, rimaneva in facoltà del Comune di scioglie-re l’atto di cessione con la sola scadenza del termine e senza obbligo di messa in mora, riservandosi, lo Zam-pari, il solo diritto di versare la somma pattuita all’inizio della domanda di rescissione per evitare gli effetti. alla conclusione dell’atto di cessione, dice il Santorelli vi fu gran festa in paese, suono di campane e sparo di morta-retti, nel mentre qualcuno dal vicino paese di Calabritto osservava: “hannu vennuto e sonano?”.

Il Cav. Zampari, che oltre all’acquisto delle acque si era premurato di chiedere ed ottenere la concessione governativa, pagando un canone annuo, nonostante le varie proroghe della concessione e tutti i pareri neces-sari per la costruzione dell’opera, boicottato forse da al-tri interessati non mantenne fede agli impegni assunti e il Comune di Caposele lo convenne in giudizio per la

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rescissione del contratto. di fronte alle sue incertezze finanziarie dopo l’abbandono delle società di banchie-ri inglesi e tedeschi, grandi co-finanziatori dell’opera, previa garanzia dello Stato degli interessi sul capitale necessario per la derivazione delle acque (125 milioni di lire), l’amministrazione Provinciale di Bari committente dei lavori, con delibera del 27/4/1896 dichiarò lo Zampari decadente da ogni diritto4.

nel frattempo era cambiato anche il clima politico delle province pugliesi diversamente orientate e si stabi-liva che un ente pubblico dovesse portare a compimen-to il progetto dell’acquedotto per la Puglia.

Già il 27/5/1896 il Ministro dei LL.PP., aveva nomi-nato intanto una commissione per studiare le acque po-tabili in generale e, in particolare, quelle del fiume Sele che avrebbero dovuto alimentare l’acquedotto pugliese. Prima ancora, ad avellino, capoluogo irpino, con il regio decreto del 19/05/1896 n. 332 era stato istituito l’Ufficio del Genio Civile per lo studio di fattibilità e la compila-zione del relativo progetto.

Con la Legge 5 maggio 1901 n°156, lo Stato dispo-se la spesa di un milione di lire per il “complemento” dell’acquedotto Pugliese e per l’accertamento quindi dell’effettiva portata delle sorgenti “Sanità” di Caposele, dichiarando opere di pubblica utilità l’allacciamento di tutte le sorgenti che sgorgavano nel territorio di Capo-sele e la costruzione della vasca di presa-carico. Lo Stato intervenne anche nel giudizio in corso tra il Comune di Caposele e il cav. Zampari, per l’interesse che esso ave-

4 La vertenza tra il cav. Zampari e il Comune di Caposele, composta bonariamente fu conclusa il 2/5/1905 con una transazione.

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va nel rimuovere qualsiasi ostacolo per l’inizio dei lavori dell’acquedotto.

Con la Legge del 26 giugno 1902 n°245 vennero dispo-sti la costruzione, la manutenzione e l’esercizio dell’ac-quedotto Pugliese attraverso l’istituzione di un consorzio tra lo Stato e le province pugliesi di Bari, Foggia e Lecce e si stabilì che la concessione avrebbe avuto la durata di 90 anni a partire dalla data del decreto di approvazione del collaudo definitivo dell’opera. Pavoncelli fu il primo presidente di questo Consorzio. a lui, più tardi, venne dedicata una lapide all’inizio della galleria, e, con riferi-mento alla grandiosità dell’opera, su essa venne iscritto, tra l’altro, “…di cui il Mondo non ricorda l’eguale”.

tra le tante prerogative la legge precedente del 1901 aveva previsto anche il completamento delle opere di rimboschimento del bacino del Sele e la loro manuten-zione, nonché il trasferimento in Puglia dell’acqua di al-tre sorgenti ricadenti in Irpinia. Come iniziarono gli stu-di di fattibilità della deviazione delle sorgenti del Sele si aprì la problematica sulla proprietà delle stesse.

Il Comune di Caposele, vantando da tempo imme-morabile un possesso non contrastato in quanto la falda sgorgava su proprietà comunale, si dichiarò proprietario delle acque, tant’è che nel 1888 ne aveva venduti 3 mc/s al cav. Ing. Francesco Zampari.

L’Intendenza di Finanza di avellino reclamò la de-manialità delle sorgenti. Il contenzioso trovò conclusione con la sentenza della seconda Corte di appello di napoli nel 1903; questa riconobbe che le sorgenti erano l’inizio del fiume e pertanto demaniali, ma altrettanto chiara-mente, riconobbe al Comune di Caposele una servitù at-tiva per il passaggio delle acque sul proprio territorio e il conseguenziale utilizzo delle stesse.

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Intanto, nel corso dello stesso 1903, venivano appro-vati con r.d. n. 214 del 5 aprile, il regolamento e il capi-tolato per l’esecuzione della legge L. 26 giugno 1902, suc-cessivamente abrogati con il regio decreto 17 novembre 1904 n. 619, ad eccezione delle disposizioni relative alla tutela della silvicoltura nel bacino del Sele. Con quest’ul-timo decreto venivano invece approvati il regolamento e il capitolato per la concessione della costruzione, ma-nutenzione, riparazione ed esercizio dell’acquedotto Pugliese.

2. Accordi successivi

Il 2 marzo del 1905, dopo una lunga diatriba sulla captazione delle sorgenti del Sele ed estenuanti trattati-ve venne siglato un accordo novantennale tra il Comune di Caposele e il delegato del Ministero dei Lavori Pubbli-ci per il trasferimento di gran parte delle acque delle sor-genti del Sele (circa i 9/10) verso la Puglia. L’atto entrava nella storia di ogni cittadino come sindrome di quelli che non avevano saputo valorizzare e tutelare l’enorme ric-chezza che madre natura aveva elargito al piccolo lembo di terra sito alle pendici del monte Paflagone e della col-lina di Materdomini.

In sostanza, la convenzione siglata riconosceva la demanialità delle acque in base anche alla sentenza del-la Corte di appello di napoli e prevedeva una forma di ristoro economico al Comune di Caposele da parte dello Stato.

ai Caposelesi veniva, inoltre, riconosciuta una servi-tù prediale sulle acque: cinquecento litri al secondo, se la portata delle sorgenti superava i 4mc/s e duecento litri nel

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caso di portata inferiore5. Come contropartita il Comune riceveva la somma di 700.000 lire in acquisto di rendita pubblica, che tra l’altro, in virtù del bando di gara vinto per i lavori a farsi, veniva erogata dall’impresa d’ercole, e non dal governo6. La forma di ristoro economico veni-va prevista senza alcun aggancio alla svalutazione della lira, per cui, a causa della forte svalutazione sopraggiun-ta subito dopo la prima guerra mondiale, ogni promessa risultò vanificata.

L’indennizzo avuto con la convenzione veniva inve-stito infatti in titoli di Stato nominativi al 3,50% con ren-dita annuale di 20.377 lire; con la svalutazione, a mala pena bastava per pagare un impiegato comunale. Inef-ficaci furono le tante richieste dei Sindaci pro-tempore degli anni venti e trenta per una nuova forma di ristoro economico, data la grande quantità di acqua incanalata verso la Puglia. tale presa, seppur giustificata e compre-sa nelle finalità, in effetti sconvolse per sempre non solo l’economia locale, ma limitò le potenzialità di qualsiasi tipo di sviluppo del territorio. all’epoca il nostro pae-

5 Il volume d’acqua veniva successivamente determinato in 363 litri al secondo, in base alla portata media delle sorgenti. tale portata d’acqua di esclusiva pertinenza del Comune e dei suoi abitanti veniva lasciata liberamente defluire nell’alveo del Sele. 6 dell’indennizzo, che comprendeva anche la facoltà di occupare le stra-de e i suoli comunale necessari alla costruzione dell’opera, 75.000 mila Lire al massimo dovevano essere impegnate dal Governo sia per i lavo-ri che nell’interesse pubblico il Comune avrebbe dovuto affrontare, sia per la ricostruzione delle case dei poveri contadine cadute o cadenti a causa delle frane, 25.000 Lire sarebbero state utilizzate dal Comune per pagare le spese legali sostenute per i giudizi contro Zampari e quello presso la Corte Costituzionale di napoli; le restanti 600.000 Lire come le 75.000 Lire convertite in titoli intestati al Comune con godimento della rendita (3,50%) dal 1 luglio 1904.

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se era un centro che vantava decine e decine di opifici (trappeti, mulini, gualchiere, etc) azionati dalla forza che l’acqua acquistava correndo a valle.

di questi solo una decina, grazie alla quota d’acqua riservata ai Caposelesi, potettero continuare la loro atti-vità, anche se in maniera più limitata. Considerato che le sorgenti erano e sono ancora situate nel centro urbano, al danno si aggiunsero le continue limitazioni idrogeo-logiche, e non solo, imposte ancora oggi al territorio per la salvaguardia delle sorgenti. di fatto si negò a Capose-le qualsiasi tipo di sviluppo, si impoverì il paese anche di valori immateriali quali viste panoramiche, amenità di vita etc. anzi, senza alcuna gratitudine da parte della regione Puglia e dello Stato, Caposele, la generosa, fu costretta ancora una volta a vivere un forte periodo di frustrazione morale e di difficoltà economica.

Intanto gli accresciuti fabbisogni della popolazione pugliese, in continuo e notevole incremento demogra-fico, inducevano i dirigenti dell’acquedotto Pugliese a fare richiesta al Comune delle acque residuali ad esso ri-conosciute con diritto d’uso dalla convenzione del 1905, al fine di integrare la portata dell’acquedotto stesso.

nel 1937 l’e.a.a.P.7 ne chiedeva al potere centrale di roma l’autorizzazione e nel 1938, senza nemmeno infor-mare il Comune di Caposele, organizzava una riunione di tecnici, presente anche il Prefetto di avellino, per stu-diare lo stato delle opere di presa delle sorgenti e la cau-sa dei movimenti franosi che interessavano l’abitato. Un

7 Con d.L. 19 ottobre 1919 n. 2060 il Consorzio costituito con la legge del 1902 era stato trasformato in “ente autonomo acquedotto Pugliese” (e.a.a.P.)

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vero e proprio sotterfugio per un’altra pirateria o colpo di mano. Il 29/11/1938 il Podestà di Caposele ne informò il Prefetto comunicandogli che la popolazione, gelosa delle sue acque, necessarie alla sopravvivenza propria e del fiume non era disposta a cederle bonariamente.

nella riunione successiva del 19 dicembre dello stes-so anno, i tecnici e geologi all’uopo convocati in sopra-luogo dai dirigenti dell’acquedotto Pugliese, come pre-visto, giudicavano le acque pericolose alla stabilità stessa delle opere di presa dell’acquedotto e dell’abitato di Ca-posele, già sottoposto ad importanti movimenti frano-si, e ne stabilivano la deviazione nel canale principale dell’acquedotto stesso.

di fronte alla impossibilità di resistere alla richiesta, anche in dipendenza della facoltà consentita al Gover-no con la legge sulle acque e gli impianti elettrici n°1775 dell’14/12/19338, dato il preminente uso alimentare riser-vato all’acqua, il Comune, munitosi di pareri legali in proposito, pareri che sconsigliavano qualsiasi resistenza, decise, suo malgrado, di non opporsi alla richiesta stessa. vero è che già con l’atto di transazione del 1905, Capose-le aveva riconosciuto la demanialità delle sorgenti Sani-tà, ma lo Stato, in compenso, gli aveva concesso il diritto d’uso perpetuo delle acque residuali nella misura di 363 l/s. Come al solito, però, le richieste del Comune non ve-nivano tutte accolte. In una riunione tenutasi presso il Ministero dei LL.PP. il 4 maggio 1939, alla presenza dei rappresentanti del Ministero, dell’eaaP e del Comune

8 La legge individuava come “pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali”, le quali […] acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse”.

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stesso, vennero stabilite in linea di massima, le modalità della cessione delle acque di spettanza del Comune e fis-sate le relative indennità a favore di quest’ultimo.

Le condizioni stabilivano in cambio della cessione un indennizzo forfettario di 1.500.000 lire, più altre 300.000 lire per i privati danneggiati nelle loro attività produtti-ve oltre alla promessa di lavori vari di pubblica utilità e la concessione della luce elettrica. Ma le conclusioni della riunione romana non furono bene accolte dalla popola-zione di Caposele.

L’ulteriore presa d’acqua cadeva sulla loro testa an-cora una volta con decisioni prese dall’alto e sconvolge-va del tutto la loro esistenza, basata su un’economia già in difficoltà.

al malumore dei primi giorni, alle varie riunioni te-nute per manifestare la totale disapprovazione, sfidando la reazione delle autorità - si era nel periodo di maggior consenso degli Italiani al regime fascista, quando le adu-nate e le manifestazioni di popolo in pubblico erano se-veramente proibite - seguì una vera e propria sommossa popolare al punto da impedire al Prefetto di avellino e alle altre autorità convenute di partecipare alla riunione che il Prefetto stesso aveva indetto per il 27/5/1939 sul Municipio di Caposele perché si siglasse l’atto conclusi-vo di cessione delle acque residuali.

tra la folla che dimostrava il suo dissenso al grido di “l’acqua non si vende” e i carabinieri, diverse donne, in-curanti delle conseguenze a cui sarebbero andate incon-tro, si interposero per impedire l’arresto dei loro uomini e degli organizzatori della rivolta.

tra questi ultimi l’ufficiale in pensione, mutilato di guerra, Pasquale Ilaria, che coerentemente ai suoi sacri sentimenti morali e patriottici gridava e riconfermava

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solennemente, esplicitamente, insistentemente, per ol-tre due ore consecutive, facendosi portatore dei senti-menti di tutti i cittadini di Caposele, di non voler cedere, nemmeno per tutto l’oro del mondo, all’ente autono-mo acquedotto Pugliese o ad altra persona fisica, i diritti acquisiti sulle acque delle Sorgenti del Sele col pubblico atto di transazione del 1905.

Passò qualche giorno e le autorità, per sedare la ri-volta, procedettero all’arresto delle persone che più si erano esposte nella manifestazione. Sottoposti a giudi-zio, Pasquale Ilaria fu condannato al domicilio coatto alle isole tremiti (poté rientrare a Caposele solo dopo la ca-duta del fascismo), mentre Giovanni Benincasa, maestro elementare e rocco Iannuzzi subirono pene più lievi.

Indifferente alla sorte dei nostri concittadini e sempre più determinato nei suoi scopi, l’e.a.a.P. nel novembre del 1940 rivolse al Ministro della Guerra una ulteriore richiesta: a titolo precauzionale la provvisoria deviazio-ne notturna delle stesse acque residuali perché, fluenti nell’alveo del fiume, con i riflessi della luce lunare avreb-bero potuto attirare sulle opere di presa delle sorgenti, - quest’ultime, tra l’altro, già mimetizzate -, eventuali in-cursioni aeree.

L’11 maggio1942 con r.d. il Governo concedeva all’e.a.a.P. l’uso delle acque residuali delle sorgenti del-la Sanità.

Per risarcire il paese di quest’ultima presa veniva siglata in Prefettura, una convenzione valida per set-tant’anni, che riconosceva al Comune un parziale ristoro per i danni e i limiti imposti dall’ulteriore prelievo.

La nuova concessione non solo finì di impoverire Ca-posele e il suo territorio, ma tolse tutta l’acqua delle sor-genti al fiume, senza tener conto che già alla fine dell’800

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una commissione del Senato per la presa delle acque di Serino aveva parlato di “minimo flusso vitale di un fiu-me”. Chiusero i pochi opifici ancora funzionanti dopo la prima captazione, con conseguente perdita di posti di lavoro e si pregiudicò anche il possibile sviluppo che tali attività avrebbero potuto esercitare sul territorio.

nel 1943 con la scusa che bisognava rifornire d’acqua le truppe italiane che al porto di Brindisi si imbarcavano per l’africa, la deviazione notturna delle acque divenne anche diurna.

La convenzione del 1942, in scadenza nel 2012, veni-va successivamente aggiornata nel 1970.

In considerazione della situazione determinatasi a seguito del sisma del 23/11/1980 sorgeva poi l’esigenza di rivedere ed aggiornare la convenzione del 10/5/1970 “al fine di fare meglio corrispondere la portata ai rapporti instauratisi tra le parti”9.

Il 3 febbraio 1997, dopo 27 anni fu trovato un accordo tra le parti sulla interpretazione degli articoli della con-venzione del 1942 e fu approvato un nuovo documen-to.

Intanto, la prima convenzione, valida per 90 anni, dovrebbe essere già scaduta. tra le ultime cose c’è da dire che solo poco tempo fa, l’autorità di Bacino del Sele ha imposto il rilascio nel fiume di una minima quantità d’acqua per l’equilibrio del bilancio idrico.

9 Con la convenzione stipulata tra il Comune di Caposele e L’ente auto-nomo acquedotto Pugliese il 10/5/1970 venivano regolati i rapporti na-scenti tra le parti dalla cessione all’eaaP dei diritti vantati sulle residue acque riservate al Comune con la convenzione del 2/3/1905.

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Nuovi trasferimenti di acqua in Puglia

La prima richiesta di prelievo delle acque del Calo-re per integrare la portata dell’acquedotto pugliese fu avanzata nel 1902: ma non seguì alcun provvedimento.

dopo il 1915, quando le acque del Sele raggiunse-ro Bari, e precisamente nel 1926, scartata la possibilità di utilizzare per lo scopo anzidetto le sorgenti di Cala-britto e Senerchia, alla destra del Sele, avendo costata-to la difficoltà di sollevamento che esse presentavano, per essere ad una quota altimetrica inferiore rispetto al canale principale dell’acquedotto di Caposele, l’e.a.a.P. rinnovò l’istanza di prelevamento delle acque del Calore al Governo centrale; nel marzo del 1949 ne ripropose la richiesta per l’intera portata delle sorgenti, 3.140 litri, e nel 1950 il progetto per il loro allacciamento fu incluso nella programmazione delle grandi opere della Cassa per il Mezzogiorno da poco istituita. Spesa complessiva: 4 miliardi e 100 milioni di lire.

Solo con il decreto ministeriale n° 2354 del 10 apri-le 1958 venne comunque concessa l’autorizzazione alla presa delle acque e alla costruzione della nuova galle-ria, previa riserva di 600 litri al secondo alla Camera di Commercio di avellino e al Comune di Benevento per alimentare l’acquedotto al servizio dei comuni di dette province.

nel 1964 le acque del Calore vennero immesse nel canale principale di Caposele attraverso una galleria di 15 Km. L’acquedotto Pugliese era autorizzato a preleva-re una quantità d’acqua da un massimo di 4.000 litri al secondo ad un minimo di 1.400 litri al secondo con una portata media di 2.540 litri al secondo.

Più tardi, alle acque prese dalle sorgenti di Cassano

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Irpino e Montella si aggiunsero quelle della diga di Con-za della Campania sì da alimentare tre Consorzi: Con-sorzio di Bonifica terre d’apulia e Consorzio di Bonifica Capitanata in territorio pugliese, e Consorzio di Bonifica vulture alto Bradano in territorio Lucano.

Considerazioni

da cittadino caposelese in primis posso solo rilevare che la generosità dimostrata nei confronti della popola-zione pugliese non è stata mai contraccambiata, tanto nel tempo per un senso di giustizia, quanto nel momen-to del dolore e dello sconforto, durante i terribili giorni dell’evento sismico che nel novembre 1980 scosse il ter-ritorio di Caposele.

ritengo che probabilmente le nuove generazioni pu-gliesi non sappiano neppure da dove arriva l’acqua che bevono, considerato che, tra le tante cose portate via con l’imposizione, anche il nome di quell’acquedotto nato come “acquedotto delle sorgenti del Sele per le Province di Bari, Foggia, e Lecce”, per la gestione della rete idrica della distribuzione dell’acqua trasferita in Puglia da Ca-posele, nel 1919 veniva trasformato in ente autonomo dell’acquedotto Pugliese (e.a.a.P.), società parastatale con personalità giuridica (che, il più delle volte, per Sta-tuto, col saldo attivo poteva far investimenti e/o dividere gli utili fra i propri dirigenti).

Una volta avuta l’acqua, le sorti di Caposele, di cui prima della captazione si voleva fare la Svizzera italia-na, e le vicissitudini dei suo abitanti scomparivano dalla mente e dal cuore di tutti quelli che beneficiavano di un tesoro così grande per le loro terre. Le stesse istituzioni

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provinciali e regionali campane non si interessavano più di tanto.

Grande cura mostrava, invece, lo Stato per la salva-guardia del bacino idrologico, facendo ad intervalli rego-lari decreti Legge per finanziare i lavori di riforestazione e risanamento del territorio del bacino. Grandi assenti, sempre, la politica e la regione Campania.

Basti dire che nel 1942, l’ente pugliese di sua inizia-tiva unilateralmente ed arbitrariamente da-va corso alla concessione delle acque residuali, senza preventivamen-te regolarizzare i rapporti contrattuali col disciplinare. Indipendentemente dalla forma non osservata, l’e.a.a.P. distribuiva e vendeva la nostra acqua ricavandone un utile fin dal 1942, e non sentiva il dovere di rendere la concessione operativa anche per gli obblighi che da essa provenivano nei confronti del Comune (riconoscimento del ristoro per le nuove acque incanalate). Come si po-teva perciò, a distanza di 10 anni e con la svalutazione monetaria in atto accettare l’offerta tra l’altro verbale e forfettaria del Presidente on. Caiati, basata su un inden-nizzo di 50 milioni a tacitazione completa di ogni diritto di Caposele sull’acqua? Considerato ad es. che il feudo di Buoninventre veniva rivenduto in lotti alla cifra di circa 100 milioni di lire e che l’allora modesto bilancio annuale del Comune si aggirava sui 15 milioni, mentre, solo per la vendita annuale dei tagli boschivi i paesi limi-trofi realizzavano ben più di 50 milioni, l’offerta, irrisoria ed offensiva, era pertanto inaccettabile.

Come non si può oggi chiedere all’acquedotto Pu-gliese l’indennizzo per l’uso che finora ha fatto delle ac-que e non pensare, nei limiti del diritto e dell’onestà, ad un indennizzo definitivo oltre che al rispetto integrale di tutte le condizioni stabilite nello schema di conven-

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zione proposto nelle riunioni tenute presso il Ministero dei LL.PP. il 4/9/1939 e presso la Prefettura di avellino il 21/2/1940, approvato dal Comune con deliberazione del 20/10/1941 e confermato nel decreto di concessione dell’11 maggio 1942?

Come non chiedere che sia lasciata a disposizione del Comune e quindi dei suoi abitanti tutta l’acqua necessa-ria agli usi pubblici e privati anche in rapporto agli svi-luppi futuri della popolazione? Come non chiedere per l’impegno non mantenuto, il rimborso del canone della pubblica illuminazione pagato finora dal Comune?

Col passare degli anni Caposele non ha avuto più voce in capitolo ed ha dovuto subire e vivere, a danno del destino che l’aveva ben dotata, le tanti limitazioni imposte al proprio territorio.

Il paese è stato per un secolo e, purtroppo, lo è anco-ra, un enclave della regione Puglia. tutto ciò malgrado le nuove leggi emanate in materia, che regolano diver-samente le competenze sull’acqua e che espressamente tengono conto di altri aspetti, anche di tipo immateriale, che nel secolo scorso per una diversa sensibilità verso l’ambiente non erano considerati.

nel 1999 l’acquedotto Pugliese è stato trasformato da ente autonomo in società per azioni (aQP Spa)10 e nel 2002 con l’art. 25 della Legge Finanziaria le quote azionarie dell’ e.a.a.P sono state trasferite dal Ministero del tesoro alle regioni Puglia e Basilicata per la privatiz-zazione.

10 L’ultimo bilancio dell’acquedotto Pugliese Spa e delle previsioni dei ricavi è pari a 459 milioni di euro per il 2012, come riportato dal quoti-diano “Libero”.

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tra l’altro, fra la regione Basilicata e Puglia è stato siglato un accordo di programma per il trasferimento in-terregionale delle acque ai sensi dell’art. 17 della legge n° 36 del 5/01/1994. tale articolo prevede 2 centesimi a mc a ristoro per l’ambiente e per la risorsa e/o le mancate op-portunità in ossequio della direttiva europea n° 60/2000 considerazione n° 38.

ai Caposelesi non resta che la nostalgia per quelle acque fresche e rumorose, che prima di prendere forza per correre giù verso l’alveo del fiume, si riunivano in un laghetto circolare dove la luna, sorridente, specchian-dosi, diventava testimone dei tanti innamoramenti tra i ragazzi.

non vedremo più il Sele definitivamente convoglia-to nel grandioso acquedotto Pugliese, “con lui sono scom-parsi la più dolce poesia, il nido dell’amore più puro, la più bella e pittoresca espressione del nostro panorama, la salubrità del clima, la ubertosità della valle, la ciclopica costruzione del-le nostre industrie e la imponente ricchezza idroelettrica che era riservata alla moderna generazione nostra. Ricorderemo il serotino e allegro via vai delle nostre donzelle, che dalle anfore in testa andavano per prendere acqua alla Sorgente; il popo-lo tante volte festante abbandonato al tradizionale godimento delle luminarie e dei plenilunii d’estate che si rispecchiavano nelle cerulee onde: il grande concorso dei popoli vicini alla Fie-ra della Sanità, desiderosi di rivedere con sempre rinnovata meraviglia la grandezza del nostro fiume, la grandiosità delle sue cascate. Tutte queste cose non possono sfuggire alla nostra memoria, perché sono indimenticabili rimembranze di una età da poco trascorsa, destinata solo a scomparire davanti alla ne-cessità di un grande popolo assetato, che invano chiedeva acqua da secoli”. (avv. orazio Petrucci, Sindaco di Caposele, sessio-ne straordinaria del C.C. 19/06/1924)

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Accordi e promesse non mantenuti

tra le tante promesse fatte nel corso di tutta la vicen-da della derivazione delle acque va senz’altro ricordata quella dell’Impresa d’ercole antico, che, per iniziare la costruzione della galleria senza problemi, si impegnò a trasformare Caposele in una “piccola Svizzera italiana” con nuove abitazioni, con fontane pubbliche, con l’uffi-cio postale ed anche la ferrovia. Il tutto fu invece dimen-ticato appena iniziarono i lavori.

Per la concessione della costruzione e dell’esercizio e manutenzione dell’acquedotto Pugliese non fu realiz-zato l’edificio commemorativo previsto dall’art. 60 del Capitolato.

venne altresì disatteso sia quanto previsto dai piani di coltura e di conservazione dei boschi e terreni com-presi nel bacino idrologico delle sorgenti del Sele (ap-provati dal Ministero dell’agricoltura con provvedimen-to 18 aprile 1904 n. 10982, in esecuzione dell’art. 104 del regolamento 5 aprile 1903 n. 214), inclusa la salvaguar-dia del bacino idrogeologico con sistematiche opere di risanamento idrogeologico e di forestazione, sia quanto previsto dal regio decreto n° 606 del 17 giugno 1909 che istituiva un corpo speciale di guardie forestali con rego-lamento e divisa per vigilare il bacino che alimentava le sorgenti.

Caposele fu privato della fonte energetica, cosa ne-cessaria ed indispensabile per uno sviluppo del territo-rio, e fu gravemente danneggiato con la chiusura dei numerosi opifici. La produzione di energia elettrica sul posto avrebbe costituito, certamente, il principale moto-

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re per alimentare l’economia locale e creare così le condi-zioni favorevoli per attrarre anche investimenti da fuori paese. Inoltre, mediante una canalizzazione per l’irriga-zione si sarebbe potuta sviluppare una intensiva produ-zione agricola.

riuscire ad intuire come sarebbero andate le cose senza la deviazione delle acque è lavorare di fantasia, ma dato certo è il mancato sviluppo del nostro territorio e la povertà che ne è seguita, sicché Caposele da paese privilegiato dalla natura ha subito la stessa sorte tocca-ta ai paesi dell’entroterra irpino. nessuno negli anni ha voluto considerare gli effetti disastrosi di tale grande ri-nunzia, dato il trascurabile peso politico che ha sempre avuto un piccolo Comune come Caposele e la continua prevaricazione di chi, più forte, riesce sempre ad impor-re la sua volontà.

eppure questo paese non ha mai rinunciato alle sue antiche rivendicazioni. oggi, più che mai, urge la neces-sità di aprire un accordo di programma tra le regioni Campania e Puglia in virtù della legge n. 36/1994 (Legge Galli) e del d.Lgs n. 112 del 31/03/1998, in quanto, attual-mente, sono disattesi quasi tutti gli articoli. non risulta il pagamento di alcun canone per la captazione delle ac-que delle sorgenti del Sele, non esiste alcuna quota di tariffa per la gestione delle aree di salvaguardia, né tanto meno esiste un servizio di controllo territoriale e un la-boratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa.

Il prossimo Consiglio regionale della Campania deve affrontare la tematica e dare risposte credibili e condivise dagli enti locali sui cui territori sono presenti le sorgenti. In caso contrario non resta che lottare con

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ogni mezzo per essere ascoltati e far valere i propri diritti nel rispetto delle leggi.

Caposele vedrà riconosciuti i suoi diritti?In tutti gli accordi intervenuti sono stati concessi de-

gli indennizzi parziali, non a riconoscimento dell’impo-verimento di Caposele o per sostenere uno sviluppo so-stenibile del territorio, quale onere dovuto moralmente, ma solo come un mezzo per tacitare la proteste e per raggiungere lo scopo di portarsi via le acque.

e dire che già la sentenza del due marzo del 1903 della seconda Corte di appello di napoli giustamente riconosceva una servitù prediale in favore del Comune di Caposele.

oggi il clima politico nell’affrontare tali temi è del tutto cambiato, anche per il diverso peso politico che hanno i Comuni; è di norma risarcire quei Comuni dove si prelevano delle materie prime, cosa, ad esempio, che la regione Basilicata ha fatto valere e per il petrolio in val d’agri e per l’acqua, con la deliberazione della Giun-ta della Basilicata n° 1321 del 22 luglio 2002. Il tutto è motivato con i vincoli, le restrizioni e le rinunce a cui un territorio è sottoposto, e per salvaguardare la risorsa e il suo prelievo.

La gente di Caposele conosce le tante restrizioni e divieti imposti per la salvaguardia delle sorgenti, ed ha assistito all’assenza totale di un’azione che preservasse la sua unica ricchezza, il suo unico orgoglio: l’acqua.

tanta ricchezza vuol certamente essere condivisa, ma con altrettanta fermezza necessita sostenere, con ri-sorse ed iniziative, lo sviluppo del luogo “produttore” del bene.

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2011: Ultimi sviluppi e nuove polemiche

La galleria Pavoncelli, realizzata nei primi anni del ‘900 venne danneggiata in seguito al terremoto del no-vembre 1980 e allora fu deciso di realizzare una nuova condotta, la Pavoncelli bis, parallela alla prima, affinché la flessibilità nell’uso dell’una e dell’altra consentisse le operazioni di manutenzione, senza interruzione del ser-vizio. I lavori, avviati nel 1990, furono però sospesi nel 1992 a causa delle difficoltà derivanti dall’elevato flusso d’acqua.

Il cantiere poi non fu mai riaperto a causa delle com-plesse vicende amministrative e giudiziarie insorte. an-cora oggi le polemiche non si sono placate e più compat-to è il fronte contrario alla realizzazione della Pavoncelli bis. non solo i comuni irpini e salernitani, ma anche il Parco dei Monti Picentini, il WWF, Legambiente e l’ato che considerano l’opera un danno per l’ambiente circo-stante e per le stesse acque del fiume Sele, in attesa della valutazione di impatto ambientale da parte del Ministe-ro dall’ambiente, sono intenzionati a continuare la bat-taglia.

C’è da premettere che il 6 novembre del 2009 il Con-siglio dei Ministri, in seguito alle numerose segnalazio-ni presentate alle istituzioni competenti dall’assesso-re pugliese amati, seguite dalla richiesta dello stato di emergenza da parte della Giunta regionale pugliese, ha dichiarato lo stato di emergenza in relazione alla vul-nerabilità sismica della galleria Pavoncelli e che, succes-sivamente, dopo lo scontro con gli enti irpini nelle va-rie sedi in cui la vicenda è stata affrontata, ha concesso all’acquedotto Pugliese la proroga di un anno di detto decreto.

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Intanto nel maggio 2011 presso la sede del Commis-sario straordinario per la Pavoncelli bis a Bari si è insedia-to un Comitato tecnico consultivo, composto dall’asses-sore regionale alle opere Pubbliche e Protezione Civile Fabiano amati, un tecnico del Ministero delle Infrastrut-ture ed un consulente finanziario.

dibattiti, interviste ed approfondimenti si sono an-che intensificati sulla delicata situazione dei trasferimen-ti idrici dalla Campania in Puglia, sulla scadenza della convenzione settantennale del 1942; sulle esigenze ge-nerali del territorio, la individuazione dei meccanismi di compensazione e sull’allargamento del tavolo istitu-zionale dell’accordo di programma ai Comuni detentori delle risorse idriche.

Finché i ruderi resisteranno al tempo, a noi dovrà re-stare solo il nostalgico ricordo dei mulini da cereali, delle macine delle olive, delle gualchiere, dei trappeti, delle tintorie, di una ubertosa valle?

Quando l’insaziabile “sitibonda” Puglia cui con pri-vazione nostra, abbiamo dato igiene, pulizia, salute, salu-brità, ricchezza, energia, irrigazione delle sue aride terre, fermerà il depauperamento delle acque irpine, restituirà dignità a se stessa e speranza di sviluppo ai Comuni ap-portatori di un bene così grande?ARCHIV

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terra di Caposele,

“non terra di battaglie, ma ancora di pace, di lavoro, tesa a difendere la sua autonomia economica, gli scambi com-merciali con le genti lungo il fiume, le conquiste sociali proprie, a respingere i soprusi da qualsiasi parte venisse-ro, non con azioni bellicose e reazionarie, come gli Irpini autentici, ma con senso di democrazia e con fermezza di intenti”.

(vincenzo Malanga)

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Caposele, anno 1269

Leggere nel registro angioino, presso l’archivio di Stato di napoli, gli ordini che Carlo d’angiò inviava al giustiziere del Principato, di cui faceva parte Caposele, è una magia che riesce a farci rivivere quel tempo e quei luoghi tanto da sollecitare la penna a scrivere una pa-gina sulla vita della povera gente che non troviamo nei libri di storia.

Febbraio 1269. Caposele è un villaggio abitato da un centinaio di persone (17 fuochi) che, per ripararsi soprat-tutto dalle scorribande dei Saraceni, hanno costruito le loro abitazioni intorno al castello, presidiato da balestrie-ri e fanti.

La tipologia delle case con muri perimetrali in pietra e tetto in paglia è una diretta conseguenza dell’anda-mento del terreno, abbastanza acclive: di solito vi sono un piano terra (spesso adibito a pertinenza agricola) e una scala esterna per accedere al primo piano.

Il buio scende presto, nei giorni d’inverno, nascon-dendo la vista dell’ ubertosa valle solcata dal letto del fiume Sele.

Uno dei tanti abitanti, Pietro, sta rientrando a casa con tutta l’attenzione per non scivolare sulla coltre di neve, caduta qualche giorno prima, ed ora diventata una lastra di ghiaccio; a fine giornata porta con sé non solo la fatica e le preoccupazioni di una vita piena di stenti ed incertezze, ma anche le riflessioni su una strofetta che ha ascoltato da Giovanni, suo amico, a cui ha fatto visita.

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apre la porta ed entra in casa: una stanza dove il fo-colare acceso riscalda l’ambiente, dalla parte opposta un misero giaciglio di paglia ed al centro un tavolo con delle sedie.

Sul fuoco una pentola con della verdura e la moglie Maria in un angolo che carda la lana.

Pietro prende una sedia e si accosta al fuoco per ri-scaldarsi i piedi, ma nella sua testa continua a rimbom-bare la strofa udita dall’amico: “o re Manfredi, come ti giudicammo male e ora come ti rimpiangiamo! ti crede-vamo un lupo rapace tra le pecorelle di questo regno, ma purtroppo a paragone degli odierni dominatori, che noi, incostanti, desiderammo, ci accorgiamo che tu eri man-sueto agnello. ora sì che riconosciamo quanto mite fosse il tuo governo, paragonato alle tristezze presenti! noi ci lamentavamo che una parte dei nostri averi ci fosse tolta e data a te ed ora dobbiamo constatare che non solo tutti i nostri beni, ma perfino la nostra persona sono preda degli stranieri”.

C’è da premettere che malgrado le tante difficoltà dei contadini, spesso al limite della sopravvivenza, il nuovo re Carlo ha imposto nel regno numerose gabelle e queste, senza alcuna intenzione, si snocciolano come si fa con i grani di un rosario nella mente di Pietro: i diritti di dogana, per il banco del macello, per l’affida-tura, per l’erbaggio, per il plateatico, per la difesa, per le foreste, per le taverne, per il cambio, per le opere dei villani in denaro, per i poliedri, ed ancora per le pene, per i bandi, per le multe di terraggio, per le decime sulle case, per le terre, per le vigne, e poi per i giardini, per gli orti, per il vino, per l’olio, per tutto quello che produce la terra, ed infine per le professioni, per le arti, i mestieri e l’industria.

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davvero troppe, non se ne può più.a cena, per tirarsi un po’ su col morale, Pietro beve

qualche bicchiere di vino in più e così, sotto l’euforia dell’alcol, si addormenta vestito.

L’indomani è svegliato dal rumore dei colpi inferti alla sua porta da un grosso bastone che ha aiutato il mili-te a camminare sulla neve nel tragitto dal castello a casa sua.

apre subito la porta e invita il milite ad entrare.Considerato che tale visita è inusuale, Pietro inizia a

preoccuparsi e si precipita a chiedere all’uomo a cosa è dovuta la sua visita.

riscaldato da un buon bicchiere di vino gentilmen-te offertogli da Maria il milite informa Pietro che il re Carlo ha ordinato a tutti i conti, baroni, feudatari, sot-to pena della confisca dei feudi, di recarsi bene armati e con cavalli a Lucera per combattere i Saraceni. e non solo. ogni famiglia deve inviare un uomo armato, il più adatto alla guerra; se sprovvisti d’armi e della possibilità di comprarle devono portare con sé strumenti necessari per danneggiare il nemico: picconi, vanghe, zappe. tutti si devono trovare nella città di troia il giorno 5, dopo l’imminente festività della resurrezione del Signore.

Il milite va poi via e Pietro chiude la porta convinto che il nuovo re va effettivamente combattuto. Con tale determinazione esce di casa per recarsi di nuovo da Gio-vanni. anche lui ha ricevuto l’ordine ed è in piena agita-zione. I due in sintonia d’intenti cominciano ad impreca-re contro il re ed ognuno dice all’altro i propri propositi. Sbollita la rabbia, cominciano a pensare come mettersi in contatto con gli altri ribelli, seguaci di Corradino Svevo che con i suoi soldati scorazza in alcune zone del regno liberandole dal potere degli angioini.

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Prima di lasciarsi Giovanni confida a Pietro che il re Carlo nella sua crudeltà ha anche ordinato la cattura delle mogli e dei figli di tutti i ribelli che già affollano le carceri.

Malgrado questo, i due salutandosi si impegnano a non ubbidire e quindi a non recarsi al ritrovo in troia.

Con l’arrivo del mese di aprile le giornate diventano più calde. e il calore è il segnale misterioso per il risve-glio della natura. La valle è una meraviglia: alberi in fio-re, pascoli di un verde intenso, il fiume col suo luccichio sembra un nastro d’argento su una striscia di verde, do-vuto alle foglie dei pioppi e delle betulle.

Pietro si alza di buon’ora al mattino. Col suo asino e le poche pecore e capre, che di notte restano chiuse nel vano terraneo, si avvia verso i campi dove passa la gior-nata eseguendo i lavori agricoli della stagione.

Quando il sole inizia a calare dietro la montagna la-scia tutto e si reca al fiume per pescare o meglio catturare (ogni mezzo è buono) qualche trota da poter consumare a cena.

I tempi sono duri e molti stentano a procurarsi il cibo quotidiano.

Il 9 aprile i cittadini di ogni dove e quindi anche i Caposelesi, su ordine di re Carlo, sono convocati ad un generale parlamento per poter scegliere quattro cittadini probi che devono vigilare affinché ognuno mantenga la quantità di vettovaglie necessarie alla propria famiglia e porti il superfluo in piazza per distribuirlo ai meno fortunati che ne sono sprovvisti; nessuno deve mancare del cibo di sussistenza.

I probi vengono investiti anche del potere di inquisi-re e di confisca nei riguardi di chi fa monopolio nascon-dendo i viveri.

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Pietro, che ha una dispensa ben fornita di vino, car-ne salata, formaggi, olio, fave, ceci, grano e orzo, è titu-bante, non sa decidere se ubbidire o no all’ordine del re. difronte, però, alla miseria di tanti paesani prevale in lui la compassione, dettata dal suo cuore; porta in piazza le vettovaglie superflue, sperando in un raccolto abbon-dante nei mesi successivi per far fronte all’inverno.

a maggio le messi nei campi cominciano a imbiondi-re e al tempo stesso comincia la paura che esse vengano bruciate dai Saraceni. Il re Carlo, per far fronte a tale pe-ricolo, fa presidiare tutte le strade e i passi del reame da militi e da cavalieri.

anche i contadini di Caposele, su incitamento di Pie-tro, si organizzano facendo dei turni di guardia nei cam-pi. Passano i giorni e quando il grano è maturo inizia la mietitura. La mattina partono tutti con la propria falce e rientrano a casa stanchi all’imbrunire.

dalla finestra di casa Pietro guarda soddisfatto il suo campo laggiù, che da verde è diventato color oro e poi dopo la mietitura, è tornato color terra.

Ha riempito il suo granaio e ha la sicurezza di poter passare un altro inverno.

In agosto arriva a Caposele fra Bonaventura dell’or-dine dei Minori, inquisitore destinato dalla Santa Sede contro gli eretici. La sua fama ha preceduto la sua venu-ta; infatti si è saputo che a Guardia dei Lombardi ha fatto catturare come eretici Giovanni ed angelo orso e ne ha confiscato i beni devolvendoli alla regia Corte.

I Caposelesi, intimiditi, seguono i passi di fra Bona-ventura, mostrandosi uomini fedeli alla dottrina della chiesa.

Con l’arrivo della fine dell’anno il re Carlo promulga l’indizione delle tasse e Pietro e Giovanni si accorgono

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che il rifiuto di recarsi a combattere a Lucera contro i Sa-raceni non è passato inosservato. rispetto agli altri loro sono costretti a pagare il doppio delle tasse.

Così… alla fine, i due si ritrovano più poveri ed im-pauriti di non farcela a passare il lungo inverno.

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1494: Caposele gode non pochi dirittidel Municipium

In un libro manoscritto in pergamena di indiscusso valore storico, consultato da nicola Santorelli, ma andato perduto perché non si trova più nell’archivio comunale, aleggia tutto lo spirito civico del Comune di Caposele.

Sintomo chiaro del progresso e della concezione mo-derna del diritto amministrativo dei Comuni e della loro autonomia, il manoscritto, intitolato “StatUtI, PLe-BISCItI e ConSUetUdInI a MeMorIa dI UoMo eSIStentI Per LIBera ed eSPreSSa voLonta’ dI tUttI e SInGoLI CIttadInI, StaBILItI” e “antICHe IMMUnIta’ e FranCHIGIe” è sanzionato ed approva-to con firma autentica da alfonso II d’aragona nel suo primo anno di regno e dal suo segretario Giovanni Pon-tano.

Si compone di 107 Statuti Municipali, riguardanti il regolamento di igiene pubblica, i provvedimenti riguar-danti l’edilizia locale, le consuetudini e le proibizioni re-lative ai fitti, alle mezzadrie e alle “proibizioni agrarie” in genere, la polizia urbana ed ecclesiastica. degni di nota, secondo il Santorelli, sono i capitoli 95, 35 e 36 di detti Statuti.

nel cap. 95 viene contemplato il divieto ai cittadini di donare, per qualsiasi ragione, a persone ecclesiastiche beni immobili che non siano destinati ad esclusiva pro-prietà della Chiesa. nel cap. 35 si esime il Comune dal concedere contributi agli Ufficiali di Governo; nel cap. 36 il Comune si riserva di nominare periti propri circa la soluzione di vertenze e la corresponsione di indennizzi

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per danni eventualmente subiti, ma le determinazioni ultime sono comunque adottate insieme ai periti nomi-nati dal Governo.

ai capitoli seguono le IMMUnIta’ e FranCHIGIe fra cui risultano importanti la 3, l’11 e la 14. nella 3 si dice che i cittadini non sono tenuti a dare alcuna cosa “né mobili” agli Ufficiali di Governo; nell’11 che se costoro “estorcono suppellettili dai cittadini” non solo devono restituirle, ma devono essere immediatamente rimossi dal loro incarico. Più notabile di tutte è la 14 in cui si afferma che “gli assessori e i Luogotenenti Governativi, devono sottostare al Sindacato del Comune”. nel testo gli statuti vengono chiamati Plebisciti dando così digni-tà e prestigio al Comune, “Universitas” che in tal senso tende a conservare la sua autonomia, cioè ad “emanci-parsi da alcune leggi governative e a stabilirne altre a sé proprie”.

tutto questo avvalora il fatto che i Caposelesi non sono mai stati “progenie di avi pigri e servili” e che Ca-posele è stata sempre “popolata da animi di amor patrio e di civiche libertà ingentiliti”.

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Anno 1656: la peste

nel febbraio 1656 in una casa napoletana lungo la stradina sopra il mercato grande la morte improvvisa raggiunge sette persone. I decessi, limitati se raffrontati alla grande popolazione della città, sono decisamente sottovalutati ed il morbo che ha colpito non è stimato per tale. In città tutto continua normalmente, gli assembra-menti mercatali e quelli per la preghiera fanno sì che nei mesi di aprile e maggio l’epidemia di peste che debilita e consuma gli uomini determini numerose vittime.

La malattia si manifesta con febbre e successiva com-parsa di bubboni tanto al di fuori del corpo quanto al di dentro; essi, il più delle volte, si presentano sotto le orec-chie, alla gola, sotto le ascelle e all’inguine.

Il panico avvolge la città e viene messo in opera tutto il necessario per contenere il morbo. Fra la gente si dif-fonde la credenza che quanto è accaduto sia dovuto a gente nemica che ha posto polveri e altri magisteri nelle fonti dell’acqua benedetta delle chiese. L’opinione della stessa Chiesa si basa sul “Propter peccata veniant adver-sa”; (i peccati mortali commessi dagli uomini attirano su di sé il castigo di dio), per cui bisogna pregare ed im-plorare il perdono.

Intanto la morte continua a visitare ogni casa, portan-do via le persone care, lasciando grossi vuoti affettivi e tanta paura.

Per paura la gente comincia a fuggire per trovare rifu-gio presso amici all’ esterno della città. verificatesi senza troppi controlli, le fughe, a qualunque titolo avvengono non fanno altro che accendere altri focolai del morbo.

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Qualcuno di questi, non si potrà mai sapere perché, arri-va anche a Caposele e la violenza dell’epidemia, in quasi un anno, porta via circa seicentocinquanta persone su un totale di circa milleduecento abitanti. resta invece in-denne qualche paese vicino come Calitri, dove eviden-temente non ci è stato alcun contatto con i portatori del morbo.

non è difficile immaginare la facilità con cui la malat-tia si diffonde nel nostro paese, arroccato come è intorno al castello dove le falde pendenti dei tetti delle case qua-si si toccano l’una con l’altra a causa della presenza di strade strettissime e per l’estrema povertà in cui la gente vive. da tutte le case si innalzano lamenti e invocazioni d’aiuto.

di fronte a tanta tragedia un frate eremita, Francesco Masucci da volturara, lascia il proprio eremo sito alla contrada Boiaro e scende in paese per portare aiuto e conforto a tutti gli sventurati, senza alcuna riserva. Fulg-ido esempio di carità cristiana, per amore del prossimo il frate dona la sua vita morendo egli stesso di peste.

Come l’epidemia scema, per ringraziare il Signore che ha inviato l’angelo Salvatore viene realizzata una croce viaria in pietra, la croce dell’angiolo, attualmente ancora al suo posto in via ogliaro, una dei punti più an-tichi del paese. trattasi di una colonna in pietra locale poggiata su un basamento quadrangolare alla base; scol-pita nella pietra e deturpata poi da mani ignote, l’arma civitatis del comune1 (tre gigli, la testa d’aquila da cui sgorga un profluvio d’acqua e tre cime di monti, mentre non sono evidenti i bisanti); alla sua sommità svetta una

1 Probabilmente lo stemma originale del paese.

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grande croce2, con una particolarità: sul lato antistante la strada, alla vista dei passanti, è raffigurato, con tecnica ad alto rilievo, Gesù agonizzante in croce e, dalla parte opposta, sempre con la stessa tecnica vi è raffigurato un angelo orante con mani giunte in chiaro atteggiamento di ringraziamento a dio per aver posto fine ai dolori del popolo di Caposele.

2 Pare che detta croce fosse trasportata da Pasano (derivato forse dalla voce Qua Sano), località di Caposele, dove sono state rinvenute tombe e dove forse vi era una necropoli.

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I terremoti del 1694 e del 1732

a Giustino Fortunato, bambino, uno zio insegnava che malaria, terremoto e frana sono i tre “legati eredita-ri” del Sud Italia.

nelle fonti è rimasta ampia memoria dei sismi che hanno scosso l’Irpinia, ma in tale documentazione non sono stati sempre riportati i danni subiti da Caposele. I terremoti che hanno afflitto la nostra terra, hanno invece sottoposto gli abitanti a prove dolorose ed hanno cancel-lato la memoria storica di quelle cose da essi realizzate che non possono più parlare a chi vuol conoscere il pro-prio passato.

Se però è vero che l’aspetto di un terremoto, che nessuno riesce a descrivere completamente, la lacera-zione dei rapporti affettivi, lo svuotamento delle proprie sicurezze, ancorate psicologicamente alla stabilità della terra che tutti i giorni calpestiamo, e il vuoto improvvi-so che ne consegue imprimono sensazioni e sentimenti che accompagnano per una vita intera, al tempo stesso la memoria di eventi così disastrosi, in effetti, fortifica e chiarisce il percorso delle nostre aspirazioni, ci fa sentire legati da vincolo di orgoglio e di affetto alla terra e alla propria comunità.

I terremoti, i “terremuoti” che uccidono, sono tutti uguali. Per Caposele i sismi più distruttivi di cui trovia-mo memoria scritta sono però quelli del 1694, quello del 1732, del 1853 e del 1980.

Caposele, 8 settembre 1694, ore 17,45, il sottosuolo

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sprigiona un enorme energia (magnitudo 6,7-intensità X grado), accumulata negli anni, devastando il paese con forti onde sussultorie ed ondulatorie. attimi di terrore, di convulsione, di fuggi fuggi generale al termine dei qua-li si contano 150 case crollate, alcune chiese distrutte, le rimanenti case rese inabitabili e, quello che più conta, la morte di 40 compaesani ed una sessantina di feriti, tante famiglie private affettivamente del sostegno dei propri cari.

Le perdita in vite umane è limitata dall’orario, dal momento che molte persone stanno ancora lavorando nelle campagne. Se si considera che Caposele nell’anno 1691 conta 1185 abitanti e che una famiglia tipo è nor-malmente composta da 5 persone, possiamo, presumi-bilmente, stimare in 237 le case che costituiscono il pa-trimonio edilizio del paese. Quindi, con il crollo, il 63% delle case. Il paese è quasi tutto raso al suolo, conside-rate la forza d’urto e le tecniche costruttive dell’epoca utilizzanti solai in legno e pietra, malta confezionata con la calce per i muri perimetrali. In tal senso si possono meglio comprendere gli effetti prodotti dalla terribile frustata terrestre già preannunciatasi con la scossa veri-ficatasi qualche mese prima il mattino del 3 marzo, alle ore 4,00.

I poveri Caposelesi rimasti illesi dal terremoto si trovano costretti a vivere nell’aperta campagna con un clima che va irrigidendosi con l’approssimarsi dell’in-verno. ognuno vaga in cerca di un rifugio, una grotta, un pagliaio per passarvi le notti, ripararsi dalla pioggia, dalla neve e dal freddo. Ma le sofferenze non finiscono qui. tutti iniziano a patire anche la fame. I raccolti, frutto di duro lavoro, sono per lo più andati perduti sotto le macerie. nei giorni successivi i sopravvissuti iniziano il

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recupero di quello che si è salvato, scavando con le mani nude tra le pietre che prima li hanno riparati dalle in-temperie.

Qui si fermano le notizie ricavate dalle fonti di me-moria scritta.

29 novembre 1732. Il terremoto è terribile; nella sola provincia di avellino si contano 1778 morti e oltre 1000 feriti; per i paesi vicini come Conza, S. andrea si trova-no notizie documentate sui danni. Caposele non viene citato, ma si può senz’altro supporre che il nostro paese non viene risparmiato dalle stesse sofferenze arrecate ai paesi limitrofi.

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7 dicembre 1747

La Chiesa S. Maria Mater domini, concessa al Capi-tolo di Caposele nel 1527 viene ceduta ai redentoristi. Sottoscrive l’atto il Clero locale, personalmente costitui-to da: d. Francesco Margotta, procuratore di Monsignor nicolai, arcivescovo di Conza e i MM.r.r arciprete d. vincenzo Fungaroli, Primicerio d. domenicantonio Sturchio, d. domenico Corona, d. domenico Sturchio, dr. d. Giuseppe Bozio, d. antonio de Masi, d. Gen-naro Salvatoriello, d. rocco rosa, d. angelo d’elia, d. rocco Hilaria, d. Francesco Hilaria, d. angelo Pallante, d. Lorenzo Bozio, dr. d. nicolò vitamore e d. France-sco Ceres. Intervengono all’atto il Mr. Padre d. Cesare Sportelli, procuratore del M.r.P. Sig. d. alfonso Liguori rettore Maggiore della Congregazione, e l’adunanza dei Preti Missionari nominata del SS. Salvatore.

Questa la procura per l’accettazione della Chiesa fat-ta da d. alfonso Liguori a Ciorani il 24 novembre 1749: “Io qui sottoscritto d. alfonso Liguori, come Superiore dei sacerdoti nominati del SS. Salvatore, per il presente mandato di procura per epistula, confidato alla fede ed integrità del rev. Procuratore d. Cesare Sportelli nostro compagno, costituisco mio Procuratore, concedendogli tutta la potestà bastante e necessaria…”.ARCHIV

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1726-1755: Gerardo Maiella;una vita meravigliosa

nato il 6 aprile 1726 a Muro Lucano, ridente e popo-loso paese della Lucania, dove il padre, domenico Ma-iella, sarto, si è trasferito in cerca di lavoro e ha sposato Benedetta Galella, Gerardo ultimo di cinque figli, vive i primi anni di spensierata fanciullezza nel quartiere Pianello del paese natio tra le amorevoli cure della sua famiglia, modesta nei mezzi di sostentamento, laborio-sa e dotata di molta fede in dio. Già da piccolo è solito costruire in casa altarini e imitare le funzioni sacre che si svolgono in chiesa.

Una sera di primavera irrompe in casa e, gridando alla madre: “Mamma, guarda!” mostra un bianco pani-no, a suo dire, regalatogli dal bambino di una bella si-gnora. L’episodio si ripete ancora per molte volte. da re-ligioso a deliceto dirà alla sorella Brigida che quel bam-bino era Gesù, che non ha bisogno di ritornare a Muro, perché dovunque sta potrebbe rivederlo. desideroso di ricevere la comunione, si accosta fanciullo all’altare, ma è troppo piccolo e il prete passa oltre. Il mattino seguen-te confida a Caterina Zaccardo che, dopo il rifiuto del parroco, l’arcangelo San Michele gli ha portato la comu-nione nella notte.

Morto il padre quando ha appena dodici anni, Ge-rardo deve dedicarsi al lavoro per portare pochi spiccioli in casa. apprende il mestiere di sarto presso la bottega di mastro Pannuto e sempre, al lavoro responsabilizza-to, unisce la preghiera e l’imitazione perfetta a Gesù. a sedici anni va a Lacedonia in qualità di cameriere di

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mons. Claudio albini, uomo di grande erudizione, ma di carattere intransigente. Il palazzo vescovile invece è testimone di un Gerardo servizievole e dolce, silenzio-so e dimesso. Un giorno, nell’attingere acqua, la chiave dell’episcopio gli sfugge di mano e cade nel pozzo. Lui non si scoraggia. Prende una statuina di Gesù Bambino la cala nel pozzo…tira la corda…alla manina pende la chiave. Sarà chiamato il “pozzo di Gerardiello”.

nell’aprile del 1749 quattro sacerdoti della congre-gazione del SS.mo redentore, fondata da pochi anni da alfonso de Liguori predicano una missione nella catte-drale di Muro. Gerardo, attratto dallo stesso ideale, chie-de insistentemente di farne parte. “questa vita è troppo dura, non è per te”, replica il padre Cafaro, superiore della missione, “sei troppo gracile e poi devi pensare alla tua famiglia”.

alla partenza dei missionari il giovane viene chiuso in casa dalla mamma, ma lui non resiste. Con le lenzuola fa una corda e si cala dalla finestra, lasciando un bigliet-to: “mamma, vado a farmi santo”. raggiunge i missio-nari. “ricevetemi” prega, insiste; “mettetemi alla prova”; supplica di nuovo. Il padre Cafaro, scorgendo un segno del cielo, davanti alla sua insistenza, lo accetta inviando-lo a deliceto, ove è stato costruito il terzo convento della nascente congregazione.

È il 17 maggio 1749. Gerardo ha quasi 23 anni.“Che bel regalo ci ha fatto il padre Cafaro!”, ironiz-

za il superiore scrutando la sua debole salute. Il nuovo arrivato, invece, sotto lo sguardo materno della Mam-ma della Consolazione e col cuore calamitato dall’amore dell’eucarestia sbalordisce i religiosi. Infaticabile ad ogni lavoro, cammina verso la perfezione riproducendo in sé l’immagine di Cristo. Il suo cuore vive di amore di dio,

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è alimentato dalla preghiera, vive nella sofferenza. Sof-frire per amore di dio, soffrire per Gesù, soffrire come Gesù. È il suo programma.

Il 17 luglio 1752, nella chiesa della Madonna della Consolazione emette i voti religiosi di povertà, castità, obbedienza, perseveranza nella vocazione religiosa.

ormai professo, inizia la sua vita apostolica seguen-do i sacerdoti nelle missioni, oppure in cerca di fondi per il poverissimo Istituto.

dai tre centri ove vive: deliceto, napoli, Materdomi-ni, Gerardo irradia il suo amore a dio. egli passa facen-do del bene, come Gesù, scuotendo anime e cuori, se-minando grazie e miracoli e trascinando col suo fascino, per città e contrade, folle avide di vederlo, di sentirlo, di essere guidate nella via della perfezione.

“andate a parlare con fratel Gerardo”, dicono i mis-sionari ai peccatori più recalcitranti. e i peccatori vengo-no trasformati in felici penitenti.

riconosciuta la sua innocenza, dopo la calunnia or-dita ai suoi danni da una certa nerea Caggiano, viene mandato a napoli in compagnia del padre Margotta, procuratore della congregazione, per sbrigare delle pra-tiche.

Si può così dedicare maggiormente alla preghiera e a un apostolato più intenso. egli stesso, scrivendo una lettera dirà: “Io mi trattengo, qui a napoli, ed ora più che mai me la scialo col caro mio dio”. Comincia a prodi-garsi visitando gli ammalati all’ospedale degli Incurabili. dall’ospedale passa ai marciapiedi delle strade: incontra i poveri e li solleva dalla loro miseria.

dai marciapiedi passa alle botteghe degli artigiani e si fa artista anche lui presso una bottega di via S. Biagio dei Librai: modella crocifissi esercitando il suo apostola-

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to. Con la stessa naturalezza e con lo stesso ideale sale nei palazzi dei nobili e guarisce la figlia della signora duchessa di Maddaloni. La sua fama cresce di giorno in giorno finché raggiunge la vetta per un miracolo strepi-toso. Una barca di pescatori non riesce a raggiungere la riva. dal lido, temendo la tragedia, le donne piangono disperate. Gerardo si fa un segno di croce e si butta in mare, raggiunge la barca, l’afferra con due dita e la porta sulla riva.

È verso la fine di giugno del 1754 che Gerardo arriva a Materdomini (Madre del Signore). Qui ritrova sotto un altro titolo la vergine della Consolazione che ha lasciato a deliceto. Gli restano pochi mesi di vita. Ha di preferenza l’ufficio di portinaio, un incarico che ama più degli altri perché gli dà la possibilità di venire in aiuto dei poveri.

durante l’inverno, per le abbondanti nevicate, molti operai, rimasti senza lavoro e senza pane, ingrossano le fila dei poveri abituali, bussando alle porte del convento. ai poveri in portineria Gerardo fa trovare grandi bracieri accesi, poi dispensa il cibo e, conversando, parla loro di dio e li rimanda a casa, rifocillati nel corpo e nello spiri-to. Si commuove per i poveri vergognosi e per le ragaz-ze tentate di barattare il proprio onore per un pezzo di pane. Si commuove per i malati abbandonati nelle luride stamberghe e moltiplica la sua presenza per giungere a tutti. In tanta miseria vuota guardaroba, dispensa, cuci-na. dio manifesta la santità del suo servo con miracoli: moltiplicando i viveri. Sarà chiamato in Caposele “Padre dei poveri”.

Senerchia, Buccino, S. Gregorio Magno, auletta, oli-veto Citra (questa sarà la sua “cara” terra), vietri di Poten-za e altri paesi ancora sono testimoni della sua carità.

Minato dalla tubercolosi si consuma sul letto divenu-

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to per lui un altare su cui si sacrifica per la salvezza del mondo.

Sulla porta della sua celletta fa apporre una scritta: “Qui si fa la volontà di dio, come vuole dio e per tutto il tempo che vuole dio”.

Sorridendo alla Madonna che gli è apparsa ed escla-mando: “oh la Madonna! Quanto è bella!” la sua anima vola al cielo.

Sono circa le due del mattino del 16 ottobre 17551.

1 Il sommo Pontefice Leone XIII ne decretò la beatificazione il 29 gen-naio 1893.

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Caposele 19.06.1750Un bacio scatena la follia dei Caposelesi

Giacomo, un ragazzo di diciannove anni, vive alla macchia nei boschi di Balvano. La sua vita è stata pre-destinata dall’ambiente familiare in cui è cresciuto. Suo padre, un tipo prepotente, vive di espedienti al di fuori della legalità; datosi alla macchia, ha formato una ban-da che costituisce la maggiore preoccupazione dei pos-sidenti della zona. Il ragazzo, sensibile, è invece portato ad essere di aiuto per coloro che soffrono.

L’ingiustizia sociale che vive sulla sua pelle, la man-canza d’istruzione e di altri rapporti sociali oltre quello della famiglia ne fanno un vagabondo che viola spesso le leggi dell’epoca, senza far male ad alcuno. eppure a vederlo, alto, esile, con un un viso contornato da tanti riccioli corvini e con quegli occhi di un verde scuro che trasmettono serenità, nessuno lo prenderebbe per un fuorilegge.

In effetti le giornate che il giovane passa nei boschi lo aiutano a riflettere per la scelta di una vita alternativa, ma il senso dell’onore e di appartenenza alla sua fami-glia alla fine prendono il sopravvento e tutto resta im-mutato; così Giovanni passa le giornate intervallate da qualche scorreria per vendicare un sopruso o per dare una lezione a qualche prepotente, forte del suo rango e tutelato dalla legge.

È primavera inoltrata dell’anno 1749. Le battute nel bosco da parte dei gendarmi della regia udienza della provincia Principato Ultra diventano sempre più fre-

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quenti e Giacomo fatica non poco per trovare nuovi ri-fugi. di giorno in giorno si sente meno sicuro su quella terra. Una notte che non riesce a prendere sonno, mette la sella al suo cavallo e parte alla ricerca di una nuova zona dove non è conosciuto.

Cammina di notte al chiarore della luna e si ferma di giorno per evitare spiacevoli incontri. Si dirige verso nord con l’intenzione di sconfinare in una zona apparte-nente alla provincia del Principato Ultra.

dopo i boschi della sua terra attraversa quelli di Ca-stel Grande con una grande apprensione ogni qual vol-ta sente un rumore diverso da quello del calpestio degli zoccoli del suo cavallo che riconosce ad occhi chiusi a seconda di ciò che calpestano.

dopo alcuni giorni e dopo aver attraversato il terri-torio di Laviano, il giovane, trovatosi nella valle del Sele, decide di risalire, sempre di notte, le sponde del fiume.

arriva così a Caposele, che, oltre ad essere paese di confine fra le due Provincie, ha nelle vicinanze boschi e montagne e, ritiratosi nella zona San Biagio dove si sente abbastanza sicuro, decide di fermarsi.

I giorni successivi scende in paese e sosta alla cantina della Portella soprattutto per conoscere un po’ di gente e bere un po’ di vino. Ma nessuno lo degna di attenzio-ne. Per giorni continua a frequentare la cantina ed una sera mentre, seduto al suo tavolo, sta a guardare distrat-tamente svuotarsi, man mano che riempie il suo bicchie-re, il caratteristico recipiente a forma di bottiglia ma col collo che termina allargandosi, entra nella cantina Gio-vanni, detto “lu mpisu”, vagabondo e dedito a faccende poco chiare.

Con la sua solita tracotanza questi chiede a Giacomo chi sia e come risposta ha l’invito a sedersi al tavolo a

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bere un bicchiere di vino. Inizia così l’amicizia tra i due che, proprio perché isolati dagli altri uomini, avvertono maggiormente la voglia di stare insieme.

nei giorni successivi i due si vedono spesso insieme, anzi Giacomo sosta pure di giorno in paese.

Una mattina, mentre si reca a casa di Giovanni, spo-sato con Carolina, lungo una viuzza intorno al castello, il giovane incontra una ragazza che lo colpisce per la sua bellezza; fermatosi perché la strada è molto stretta, in-crocia il suo sguardo e riceve dagli occhi di apollonia, così si chiama la ragazza, una sconfinata dolcezza che lo fa fremere di passione.

tutte le mattine, alla stessa ora, Giacomo rifà lo stes-so percorso nella speranza di incontrare di nuovo la fan-ciulla; sono momenti di tenera dolcezza quando ciò av-viene ed in tale stato egli resta per ore intere.

nei primi incontri apollonia dà segni di gradimen-to per le attenzioni di quello sconosciuto, ma quando sa che il giovane è compagno di Giovanni “lu mpisu” non lo vede più con gli occhi del cuore ma con quelli della ra-zionalità, che le consigliano di non dare corda a un poco di buono. ad ogni nuovo incontro ella deve affrontare un duro combattimento tra il cuore e la ragione. e per paura di cedere al suo cuore innamorandosene decide di non uscire più di casa; solo così riuscirà ad essere lucida e pronta alle motivazioni apportate dalla sua mente. ed è così che dopo alcuni mesi, conquistata dalle motivazio-ni sociali e del perbenismo dell’epoca, riesce a cancellare in sé qualsiasi traccia di simpatia per il forestiero.

Frattanto Giacomo, preso dal pensiero e dalla voglia di rivedere la ragazza, passa tutte le giornate in paese e si comporta da persona perbene, gli è passata pure la voglia di delinquere.

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nella sua mente come nel suo cuore c’è posto solo per quell’amore non corrisposto.

ormai sono mesi che non riesce a vedere e a incon-trare apollonia.

Si è prossimi alla giornata della festa della Pentecoste che nell’anno 1750 cade la domenica quattro del mese di giugno e Giacomo decide, pur di rivedere apollonia, di stazionare davanti alla porta della chiesa di S. Lorenzo in mezzo alla gente, mettendo in pericolo la sua libertà, ma si sa al cuore non si comanda e se lo si lascia fare porta su sentieri irrazionali che conducono alla felicità.

Il linguaggio dei sentimenti è senz’altro più appa-gante di quello della convenienza che ci crea la società. del resto così si fa emergere il linguaggio che ci viene donato alla nascita dal Buon Creatore.

Pentecoste, giorno di festa, e, come tutti, anche apol-lonia si prepara per recarsi a messa. Con accortezza si tira i capelli all’indietro sistemandoli in una lunga treccia che arriva sul fondo schiena, dal comò tira fuori i bellis-simi orecchini, dono della nonna, e indossa un bellissi-mo vestito di colore blu che fa spiccare il colore olivastro della sua pelle.

esce di casa alla volta della chiesa madre, è uno splendore.

Quando sbuca dal vicolo che immette sulla piazza, guardando verso l’entrata della chiesa, si accorge della presenza di Giacomo, i loro sguardi si incrociano per un attimo. Giacomo entra in uno stato ipnotico e sente il forte battito del suo cuore alle tempie. apollonia gli pas-sa accanto, e lui come un uomo in trance, le si avvicina e le dà un bacio. apollonia cerca di scansarsi, ma non vi riesce. di fronte a tale fatto subito intervengono dei gio-vani caposelesi per allontanare in malo modo Giacomo e

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per dichiararsi pronti alla testimonianza in un eventuale processo.

Impaurita per il trambusto, apollonia si mette a cor-rere e torna a casa.

I genitori, sentito l’accaduto, presentano immediata-mente denunzia alla Curia Conzana, alla stessa si rivolge anche Giacomo chiedendo la dispensa per sposare apol-lonia e riparare al fatto.

In paese la notizia si diffonde velocemente con un efficace porta a porta, i giovani soprattutto iniziano a riunirsi tra loro per decidere cosa fare. L’onta subita da apollonia, ma sentita anche come un’onta fatta a tutti i Caposelesi, va ad ogni costo lavata.

Col passare delle ore la rabbia prende il sopravven-to. I tanti che affollano la strada dove abita il primicerio sono esagitati e vogliono immediata vendetta.

Così, alle sette di sera, si aprono le porte del-l’abita-zione del parroco per interrogare Giacomo, rimasto lì dal mattino, e trovare una giusta ed equa soluzione al problema.

Ma i giovani caposelesi, appena sono di fronte a Gia-como gli saltano addosso e lo percuotono ferocemente; nella colluttazione i più violenti Giu-seppe e Lorenzo, fratelli, e Paolo estraggono un coltello e lo colpiscono più volte. Giacomo cade a terra e muore.

all’improvviso e contemporaneamente si sente il ru-more degli zoccoli di tanti cavalli che battono sul fondo pietroso della strada. Un attimo di smarrimento, ma su-bito i primi due cavalieri dichiarano di essere venuti per assistere al matrimonio e per partecipare al convivio nu-ziale del loro figlio Giacomo. non hanno modo di termi-nare di parlare che tra la folla i più facinorosi si precipita-no verso loro e li accoltellano, il padre in modo grave e la

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madre lievemente. di fronte a tutta la folla di caposelesi gli altri cavalieri, seppur dei banditi, non osano attaccare e presi i due feriti scappano fuori dal paese.

Giuseppe, Lorenzo e Paolo, quelli che hanno guidato la folla, sembrano degli invasati con il sangue agli occhi, ormai preda della follia omicida. appena vedono la fuga dei cavalieri si precipitano nella canonica e decapitano il povero Giacomo. Come ulteriore oltraggio pongono la sua testa in mezzo alla strada pubblica, denominata “ la Croce vecchia”.

dopo tre ore di tale oscenità, su ordine del principale della Curia, il corpo del giovane insieme alla testa taglia-ta viene trasportato nella Casa Comunale, sita in piazza, e viene predisposta la custodia continuata da parte di sei persone.

Il giorno seguente, alle ore 17.00, i congiunti degli uccisori, armati di coltelli e con grande impeto, entrano nella Casa Comunale e portano via la testa. evidente-mente la sete, spropositata, di vendetta non si è placata né è diminuita dopo un giorno. Il corpo, previo parere della Curia e del regio rappresentante, viene inuma-to il giorno sei nella chiesa di San Lorenzo in un fosso quanto più vicino possibile alla porta d’ingresso, data la testimonianza del primicerio che afferma di aver senti-to Giacomo, prima dell’ultimo respiro, chiedere pietà e protezione alla Madonna del Carmelo.

testimone impotente a tale violenza è stato Giovan-ni, l’unico amico di Giacomo. egli, anche se avvezzo ai soprusi e alla violenza, è rimasto inebetito dal dolore della perdita del suo amico e dalla truce violenza con cui essa si è verificata.

La sera dell’uccisione, rientrato a casa, è scoppiato a piangere tra le braccia della moglie intenta a consolarlo.

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Giovanni assiste alla tumulazione col cuore affranto e trattenendo a fatica le lacrime; quando la prima man-ciata di terra inizia a coprire il corpo dell’amico esce improvvisamente dal torpore che lo ha avvolto e con mente lucida giura davanti al corpo di Giacomo che lo vendicherà, a tutti i costi.

nei giorni successivi, nella cantina della Portella, mezzo ubriaco dichiara davanti ai presenti che un gior-no o l’altro ucciderà Giuseppe, Lorenzo e Paolo.

Questi ultimi, venuti a conoscenza del desiderio di vendetta di Giovanni, cominciano ad uscire sempre in-sieme e sempre armati di coltello.

ogni giorno che passa Giovanni diventa sempre più smanioso di consumare la sua vendetta, ma è cosciente che da solo contro tre è cosa troppo difficile. tutto ciò lo intimorisce e una sera, in preda a questa smania, pensa che se ha con lui qualcosa di sacro le sue forze e il suo coraggio si moltiplicheranno. Solo così potrà raggiunge-re il suo obiettivo.

ormai è deciso, deve procurarsi dell’olio santo ed una particola consacrata nella chiesetta dedicata a Santa Lucia, sita al vico Sant’elia, aperta la mattina, per per-mettere ai passanti di fare le proprie orazioni, e chiusa la sera.

verso l’imbrunire Giovanni entra nella cappella e si nasconde in un piccolo vano dietro l’altare; all’ora stabi-lita passa l’addetto che, senza accorgersi di nulla, chiude la porta. durante la notte Giovanni ha tutto il tempo per mettere un po’ d’olio santo in una boccettina di vetro e prendere dal tabernacolo un’ostia che con cura ripone tra due pezzi di carta.

all’indomani, una volta aperta la porta della chieset-ta, sta attento a non farsi vedere e si allontana.

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Con il suo gesto, con l’olio e l’ostia si sente invinci-bile e pronto ad affrontare qualsiasi pericolo. Si reca a casa dove la moglie, spaventata, lo ha aspettato tutta la notte.

Senza dare alcuna spiegazione mangia del pane e formaggio accompagnato da alcuni bicchieri di vino e poi si addormenta.

Si sveglia verso sera con l’idea che di lì a poco affron-terà i suoi nemici.

Si arma di un grosso coltello dalla lama affusolata e tagliente ed esce.

Gira per le strade del paese, ma non incontra nessu-no dei tre uccisori e, quando verso le ventidue ha ormai deciso di rientrare, vede Giuseppe, Lorenzo e Paolo che scendono verso il Piano. La sua mano corre ad afferrare il coltello e lui comincia con aria minacciosa ad andare incontro ai suoi nemici. Giuseppe, Lorenzo e Paolo sen-tendosi minacciati, decidono di prendere l’iniziativa ed accelerano il passo. Quando sono vicini, Giuseppe salta addosso a Giovanni, che dimenandosi, sembra avere la meglio. alle grida di aiuto, Lorenzo fratello di Giuseppe interviene e con il bastone di sambuco che ha portato con sé assesta dei colpi sulla testa di Giovanni.

Sotto i colpi questi crolla a terra, allora i tre lo trasci-nano sotto il Piano e lo sgozzano. Così termina la vita terrena di “lu mpisu”. È la sera del 19 giugno del 1750.

Benché sera inoltrata sul posto arriva tanta gente tra cui il Governatore Principale della zona che fa traspor-tare il corpo nella casa comunale. Qui viene ordinata la perquisizione del defunto e, quando nella tasca del-la giacca vengono rinvenuti l’olio santo e la particola, i presenti all’unisono esclamano “Pro dolor”, increduli e addolorati.

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Interviene il parroco che, deposti nel battistero della chiesa l’olio e l’ostia, stende una relazione da inviare subito alla Curia Conzana.

Il vicario del vescovo ingiunge che Giovanni non deve essere sepolto in luogo sacro, che l’olio deve essere bruciato e le sue ceneri conservate in chiesa e che l’ostia deve essere posta con le altre nel tabernacolo.

Solo il giorno 22 l’autorità civile dà l’assenso alla se-poltura e così, verso le dieci di sera, il corpo di Giovanni viene messo su due assi per essere trasportato al luogo dell’inumazione. di tutti i presenti, però, nessuno, un po’ per il fetore e un po’ per timore della vicenda, accetta di trasportarlo, anche dietro compenso monetario.

Solo il giorno dopo, vigilia di San Giovanni, delle persone, non a conoscenza dell’accaduto, accettano di portare il corpo nel bosco pubblico ed ivi seppellirlo.

Per colui che ha pianto la morte del suo amico non vi è alcuna pietà…

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La terribile carestia dell’anno 1764

Caposele, ultimi giorni di ottobre, anno 1763.Pietro è da poco rientrato dalla campagna. appog-

giato al portale in pietra della sua casa, sita al quartiere Melogna, la parte alta del paese, guarda con preoccupa-zione le finestre delle abitazioni che, ad intervalli non regolari, vengono illuminate dal fuoco acceso per prepa-rare il pasto serale.

L’oscurità sta avvolgendo celermente il paese e laggiù verso Laviano le montagne hanno la cima bianca, per la prima neve. Già, la neve! negli ultimi anni è stata la ben-venuta perché con essa si è rinnovato il grande miracolo - “sotto la neve pane”- e con la dispensa piena è iniziato un periodo di serenità da vivere con tutta la famiglia, facendo in casa qualche lavoretto prima di riprendere le attività agricole col ritorno delle belle giornate. ora è temuta ed è fonte di grande preoccupazione per Pietro. egli sa bene che la neve, con la dispensa vuota, apre una porta verso l’aldilà non solo alla sua famiglia, ma a tanti Caposelesi.

Il suo volto, scuro di colore per il troppo sole preso durante l’estate nei campi, è pieno di rughe profonde; di tanto in tanto, volgendo lo sguardo amorevole, egli se-gue i gesti della moglie che si dà da fare dinanzi al foco-lare per far stare tranquilli i bambini e badare alla cottura della “minestra” (tipo di verdure) “asciata” (raccolta) nei campi. Questo lo rende ancora più inquieto perché teme di non poter proteggere, nei prossimi mesi, la sua fami-glia.

eppure non si è risparmiato nel lavoro per assicura-

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re un tranquillo inverno ai suoi. Ha coltivato il proprio campicello e con la moglie ha lavorato come bracciante nei campi del principe rota.

tanto lavoro, fino ad esaurirsi, ma la natura non è stata benevola per la produzione di granaglie e legumi. e, ultimamente, una forte grandine ha distrutto anche l’uva.

Maria, la moglie, lo invita ad entrare perché la cena è pronta, ed egli, per mettere fine ai suoi gravosi pensieri, invoca l’aiuto del Signore perché faccia trovare loro il necessario per superare l’inverno. a tavola resta muto ed offre ai figli l’unico tozzo di pane di orzo presente sul-la tavola. Maria non chiede niente, è come se sapesse ciò che frulla nella testa del marito; il suo silenzio, che vuole essere un segno d’intesa, sta a significare che anch’essa è preoccupata e disposta a lottare per la sopravvivenza dei propri figli. addormentati i bambini e trovatisi l’una accanto all’altro nel letto, Maria abbraccia il marito fa-cendogli sentire tutto l’amore di donna innamorata e di madre; si sa, la forza dell’amore tutto vince e Pietro, ras-serenato, si addormenta.

Il mattino seguente scende in paese per incontrare altri compaesani e discutere sul da farsi, sperando che qualcuno abbia l’idea giusta per vivere meno trepida-mente quei giorni.

Frattanto la moglie, salutatolo, si avvia in campagna con i figli per cercare altre erbe selvatiche da cucinare la sera.

arrivato in piazza, Pietro trova numerosi compaesa-ni che commentano come usurai e grossisti accumulano beni alimentari e fanno lievitare fortemente i prezzi sic-ché solo i ricchi possono accedere alle derrate alimentari. Sistema perverso, che porterà a morte sicura i poveri.

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dopo ore di riunioni il contadino convince tutti gli altri che bisogna andare a napoli dal principe rota per fargli il quadro della situazione e chiedere il suo inter-vento ed aiuto. all’unanimità i compaesani decidono di inviare proprio lui, che, tra l’altro, è in possesso di una buona parlantina e non si fa intimidire facilmente.

a sera, a tavola, davanti alla solita minestra, Pietro racconta a Maria quanto è successo durante la giornata e le comunica la decisione di recarsi a napoli dal principe rota. nell’ascoltare le parole del suo uomo così decise e ferme a Maria sorridono gli occhi. Il marito ha iniziato la lotta della sopravvivenza.

Caposele è un paese isolato dal resto del regno, sic-ché giorni dopo, di buon mattino, con alcuni ducati in tasca, Pietro si avvia a piedi verso eboli, qui potrebbe trovare un mezzo per raggiungere napoli. Il freddo è pungente e l’uomo, conscio dell’importanza della sua missione, affretta il passo; solo verso l’imbrunire, nelle vicinanze di Campagna, si ferma per consumare il tozzo di pane con un po’ di lardo che la moglie gli ha prepa-rato e inserito nella tasca della giacca. entrato in paese si reca in canonica e chiede ospitalità per la notte al parro-co. Soltanto dopo aver ascoltato le motivazioni del suo viaggio questi, conscio che la situazione dei suoi parroc-chiani non è molto diversa, per senso di solidarietà fra sventurati gli offre una stanza per trascorrere la notte. appena coricato, la stanchezza e il calore dato dalle co-perte fanno addormentare velocemente Pietro.

L’indomani il suono della campana lo sveglia di buon’ora; l’uomo scende le scale della canonica in fretta per recarsi in chiesa e partecipare alla messa. durante la consacrazione del pane, con gli occhi rivolti al crocifisso presente sull’altare, egli invoca la benedizione su di sé

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e la sua famiglia e la protezione per quel viaggio che lo conduce in una grande città sconosciuta e piena di peri-coli. al termine della messa entra in sagrestia, ringrazia e saluta il parroco dopodiché si incammina verso eboli. Il sole è ormai alto quando all’ingresso della cittadina in-contra dei carrettai; fra un saluto e l’altro, il contadino di Caposele viene a sapere che essi sono diretti proprio a napoli. e’ un bel colpo di fortuna. Senza alcun timore egli chiede di potersi aggregare a loro per raggiungere il capoluogo del regno.

Il capo carrettiere, tipo allegro e simpatico, si assesta con la mano la coppola in testa e gli risponde che è gra-dita la sua compagnia, ma deve arrangiarsi a viaggiare sul carro in mezzo alle botti piene di vino.

adesso il viaggio non è più faticoso. Con grande cu-riosità Pietro guarda i luoghi attraversati e la compagnia degli altri uomini lo fa sentire poco preoccupato e sicuro di raggiungere napoli quanto prima.

a sera i carrettieri si fermano vicino ad una taverna. dopo aver sciolto i cavalli ed averli inviati verso la stalla, si ritrovano tutti a familiarizzare intorno ad un tavolo e davanti a un buon bicchiere di vino, ma, malgrado l’eu-foria dovuta al vino aumenti, il contadino di Caposele resta pensieroso; a tardi, quasi ubriaco, perde la sua na-turale riservatezza e racconta a tutti le sue preoccupazio-ni e quanto dipenda da quel suo viaggio la sorte della sua famiglia e quella dei suoi compaesani. Il sonno lo coglie poi all’improvviso…

L’indomani mattina, con un mal di testa post-sbornia, Pietro sale sul carro; ad un accenno del capo-carrettieri tutti i carri si muovono prendendo la strada per napoli e dopo poco, il carrettiere dalla cassetta di guida indica a Pietro una montagna dalla cima “calva” cioè senza vege-

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tazione. “e’ il vesuvio, - gli grida - il vulcano che di tanto in tanto impaurisce i napoletani”. Pietro lo guarda at-tentamente ed un senso di paura si impadronisce di lui, ricorda di aver sentito da alcuni vecchi che in passato, durante le eruzioni più violente, anche Caposele si era oscurata sotto una pioggia di cenere, tant’è che il par-roco ed i residenti, spaventati, non capendo cosa stesse succedendo, avevano organizzato una processione per le vie del paese pregando intensamente perché tutto tor-nasse alla normalità, cosa che era avvenuta dopo alcune ore. assorto in questi pensieri il contadino è portato a fare anche delle considerazioni sulla precarietà e sulla vulnerabilità degli uomini. noi tutti sappiamo che la no-stra esistenza è in stretta relazione alla Madre terra e che nei momenti che questa diventa matrigna si spezza il filo amorevole con la natura che ci aiuta a crescere ed a vivere, ed allora sono guai. Proprio questo Pietro pa-venta per i prossimi mesi, allorquando la neve coprirà la terra di Caposele e dei paesi vicini.

La vista del mare lo distoglie poi dai suoi pensieri e l’estensione di tanta acqua lo impressiona. Ha sentito parlare del mare, ma mai avrebbe immaginato una diste-sa d’acqua così grande. da una meraviglia ad un’altra, ecco le prime case grandi e a multipiani della città. ogni cosa che vede per lui è una novità.

I carrettieri fermano i carri a piazza Mercato. Pietro scende dal carro, è contento di essere giunto a napoli. Prende il suo sacco, ringrazia e saluta tutti e su indicazio-ne di un napoletano si avvia verso via tribunali, dove sa trovarsi il palazzo del principe rota. Le strade sono ru-morose a causa delle tantissime carrozze e molta gente è in giro alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti a casa. anche qui la carestia fa sentire i suoi effetti. ad

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un tratto l’uomo vede una folla rumorosa che si accalca davanti ad un palazzo e istintivamente si avvicina per vedere cosa succede. Subito viene informato che di lì a poco un gendarme distribuirà le pagnotte cotte nel for-no.

nel momento in cui il gendarme consegna il primo panetto uno spingi spingi si trasforma in un attimo in calca. ognuno vuole avere la pagnotta prima che esse si esauriscano e ben presto la calca degenera in una ris-sa generale. alcuni vengono selvaggiamente calpestati e rimangono a terra. Impaurito, Pietro scappa via pen-sando che la fame è davvero una brutta bestia. Chiede indicazioni ad una persona per giungere a via tribunali e questa si dichiara disponibile ad accompagnarlo. Così, man mano che avanzano lungo le strade, Pietro viene informato che, malgrado i bandi emessi dal re per evita-re i monopoli di derrate alimentari, la fame in città cresce sempre di più. addirittura alcuni fornai aggiungono alla farina polvere di marmo ed altre diavolerie per cui non pochi napoletani hanno gravi problemi intestinali.

Secondo il suo accompagnatore sarebbe molto più semplice e utile informare i commercianti esteri e fare arrivare sulla piazza grandi quantità di grano, il che cal-mierebbe il suo prezzo e renderebbe il suo acquisto ac-cessibile a tutti.

Il contadino ascolta con grande interesse e trova sen-sato quello che dice il napoletano. Poi si mette subito alla ricerca del portone di casa rota riconoscibile dallo stemma del casato: un’aquila con le ali spiegate, con co-rona in capo e uno scudo, a forma di cuore, sul petto. Si porta da un portone all’altro e finalmente trova il porto-ne con lo stemma a lui noto. Ci siamo. appena varcato il portone viene fermato da un uomo al quale presenta

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la richiesta di voler incontrare il principe di Caposele. L’uomo si allontana e ritorna poco dopo, riferendo che il principe lo riceverà il mattino seguente; nel frattempo potrà sistemarsi in una stanzetta al piano terra per pas-sarvi la notte.

La notte per Pietro è un continuo dormiveglia; egli pensa a quali parole usare per presentare la richiesta di aiuto e soprattutto a come convincere il principe ad in-tervenire concretamente.

L’indomani viene chiamato dallo stesso uomo della sera precedente e, dopo aver salito una scalinata talmen-te ampia da incutere timore, viene introdotto nel salone. Una volta che l’accompagnatore si è congedato con un “il principe arriva presto”, Pietro resta solo. tante cose lo colpiscono in quella stanza, soprattutto i dipinti del soffitto, ed è con il naso all’insù che il principe lo trova entrando nel salone.

Il contadino repentinamente si ricompone ed ac-cenna ad un segno di riverenza. Senza aspettare alcuna domanda si presenta e riferisce della drammatica situa-zione dei suoi braccianti e di tutti i Caposelesi. Lo fa con tanta passione e partecipazione che il principe si rattrista a tal punto che una lacrima fa capolino nei suoi vecchi occhi. dopo aver tanto ascoltato, il rota resta in silen-zio. a Pietro sembra un tempo interminabile. Il principe con voce roca si rammarica di non aver fondi da poter destinare alla causa; per quanto si senta partecipe della tragedia che si sta consumando sulle sue terre, anche il suo casato si trova in gravissime difficoltà. Il volto di Pie-tro diventa allora cereo ed addolorato. Il principe resta pensieroso per qualche minuto poi riprende a parlare e a dire che qualcosa comunque va fatto. Si avvicina ad una scrivania e presa una penna e un foglio inizia a scri-

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vere, poi piega il foglio e lo chiude in una busta sulla quale scrive “all’attenzione del Superiore di Materdomi-ni Padre Gaspare Caione”. Consegna la lettera a Pietro, dicendogli di avere fiducia perché ha un buon rapporto con la comunità dei padri redentoristi e lo congeda.

Pietro scende le scale in uno stato di trance, non riesce a focalizzare se quella lettera avrà i suoi frutti. Quando è entrato in casa del principe ha immaginato di tornare a Caposele con qualcosa di più concreto. Così continua quell’incertezza del domani che lo ha accom-pagnato durante tutto il viaggio. Cammina tra la gente, ma niente e nessuno lo distoglie dal suo unico pensiero: servirà quella lettera? Passando per piazza Mercato e ve-dendo dei legumi in vendita pensa di acquistarne per portarli a casa, ma appena chiede il prezzo, molto alto, si rende conto che con quei pochi soldi che ha in tasca non riesce a comperare alcunché. riprende la strada del ritorno e dopo un paio di giorni entra in Caposele. dato uno sguardo alla sua casetta, lassù in alto sotto la mon-tagna, decide di salire a Materdomini per consegnare la lettera al Superiore, così può dare risposte più precise a Maria e ai compaesani che lo aspettano speranzosi. Gli bastano pochi minuti per percorrere la vecchia stradi-na, battuta in passato anche da San Gerardo, e trovarsi davanti alla funicella della campana della portineria del convento. Un paio di tirate ed il rumore della campanel-la avverte il frate portinaio, che apre dopo qualche mi-nuto. Il contadino viene accompagnato da padre Caione per consegnare la lettera. Il Superiore la apre e la legge, dopo rassicura Pietro dicendo che incrementerà l’ aiuto per soccorrere i poveri Caposelesi.

In realtà, nella comunità dei redentoristi, c’è Padre andrea Morza di Caposele che, sebbene minato nella sa-

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lute, instancabilmente fa opera di persuasione per por-tare aiuto ai bisognosi, non solo nella propria comunità, ma anche presso tutte le famiglie più facoltose. e non è raro che, dopo una sua visita, la famiglia interessata presti soccorso ai poveri del proprio quartiere. Per Padre andrea è più forte la sofferenza di non poter rispondere alle richieste di aiuto che gli pervengono attraverso lo sguardo dei bambini macilenti, mal vestiti, denutriti che incontra nelle sue uscite che la sofferenza che vive sul proprio corpo in preda alla tisi.

ormai conclusa la sua missione Pietro, infreddolito e stanco, rientra a casa. vicino al fuoco si riscalda e si gode la gioia dello stare insieme alla propria famiglia.

dopo una magra cena a base di erbe selvatiche e lambascioni, Maria si siede accanto al marito e gli rac-conta che in quei giorni che è mancato si sono avuti dei decessi. a morire sono stati degli anziani per mancanza di cibo e quei bambini, le cui mamme avevano le mam-melle vuote.

La situazione di certo peggiorerà nei giorni a venire, visto che la neve scenderà a quote sempre più basse. Le notizie ascoltate riportano Pietro alla triste realtà e la gio-ia lascia posto nel suo cuore alla tristezza accompagnata da un senso d’impotenza.

nei giorni successivi i Padri redentoristi, dando fon-do alle proprie casse, comprano dai monopolisti grandi quantità di alimentari che vengono distribuiti tra i pove-ri e che, se pure non riescono a soddisfare tutti, limitano la portata della tragedia.

tutti i giorni e più volte al giorno le campane del campanile avvertono della dipartita in cielo di Capose-lesi.

anche Pietro ormai, con i campi coperti di neve, non

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riesce ad andare avanti, è da più giorni che tocca poca roba, preferendo lasciare quel po’ di cibo a Maria e ai propri figli.

Passa del tempo e Pietro vede che il viso di Maria diventa sempre più scarno, anche se ella non si lamen-ta. ogni volta che torna a casa a mani vuote il pianto dei figlioli per la fame lo fanno sentire una nullità. Solo la morte può cambiare quello stato di cose. Le mamme, si sa, soffrono in maniera ancora più profonda quando non possono sfamare i propri figli e Maria, dio solo lo sa, quanto soffre.

Una sera in cui fatica a prender sonno, la donna pensa che l’unica cosa possibile è quella di riunire tutte le mamme ed organizzare una processione, col parroco, per chiedere perdono al Signore e il sollievo del popolo dalla mortale afflizione. dopo alcuni giorni una proces-sione di donne con croci sulle spalle e corone di spine sulla testa, a piedi nudi, percorre la strada della Portella, coperta di neve. Qui sono riuniti degli uomini per discu-tere sul da farsi e a quella vista calde lacrime solcano le loro guance. La disperazione ormai gravita nel paese. La tragedia ora colpisce davvero tutti.

Col freddo e la carestia si diffonde anche una febbre tifoidea che va a colpire pure i ricchi che hanno accapar-rato derrate alimentari.

Il parroco seppellisce i morti solo con una benedizio-ne, visto l’alto numero dei decessi giornalieri.

dopo natale, Pietro si rende conto che ormai la sua famiglia è allo stremo e passare gennaio e febbraio, i mesi più rigidi dell’anno, è impresa impossibile.

Senza consultarsi con Maria si reca da don Pasquale e gli propone in vendita la sua casetta. dopo un’este-nuante trattativa la cede ad un prezzo molto al di sotto

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del valore reale. riesce solo a strappare l’impegno di la-sciare la casa con l’arrivo dell’estate.

Presi i soldi, parte immediatamente verso oliveto Citra, dove non c’è neve, e lì riesce a comprare fagioli e fave secche, poi, col sacco sulle spalle riprende la strada per Caposele. Maria intanto sull’uscio di casa è dispera-ta, all’interno i bambini piangono e all’esterno il marito non si vede. e’ sera inoltrata quando Pietro arriva a casa e, dopo brevi spiegazioni, seduto, resta estasiato dal bor-bottio che proviene dalla pignatta posta vicino al fuoco per cuocere i fagioli.

nei giorni successivi va di paese in paese per com-prare qualcosa e la sua dispensa diventa sempre più piena. Una sera, addolorato per la morte di un suo caro amico, decide, insieme a Maria, di mettere da parte le derrate che garantiscono la sopravvivenza della famiglia fino all’estate e di distribuire la restante parte ai poveri. entrambi provano una gioia, mai assaggiata prima, nel dare quando loro rimane, svincolati da qualsiasi forma di egoismo.

I mesi successivi sono tremendi e a Caposele si con-tano 363 morti.

Il 5 agosto 1764 anche Padre andrea Morza, in odo-re di santità, rende l’anima al Signore, quasi a sancire la fine della tragedia.

Con l’arrivo dell’estate Pietro con moglie e figli va ad abitare nel pagliaio sito sul suo appezzamento di terreno, ma è comunque contento di aver saputo salvaguardare la propria famiglia; le giornate di sole gli rinnovano le energie, sicché può riprendere a lavorare sodo nei campi e provvedere ai bisogni della sua famiglia.

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Anno 1799: Il sogno di libertà ed uguaglianzadella repubblica napoletana

reperire da fonti scritte notizie sulla vita di Capose-le e dei Caposelesi al consumarsi del tempo e con esso degli avvenimenti che non sono solo quelli riportati dai libri di storia è impresa ardua, pressoché impossibile. In paese, escluso nicola Santorelli, nessuno ha scritto sulle vicende del suo tempo anche perché non erano molti quelli che erano in grado di leggere e scrivere. Per questo la notizia reperita sul registro dei morti dell’anno 1799 è una preziosa eccezione, dovuta alla mano tremula del curato dell’epoca che forse, per paura di compromet-tersi, nel fare delle annotazioni sui fratelli Ilaria, ad un certo momento, si pente di quello che pensa essere una sua esternazione e con scarabocchi ne cancella qualche riga. Il tutto è ben comprensibile se ricordiamo di essere nel periodo delle feroci vendette da parte dei Borboni su quanti scrivono, partecipano o semplicemente simpa-tizzano per la repubblica napoletana. Sulla base di det-te annotazioni è d’uopo riconoscere che i fratelli Ilaria chiusero i loro occhi su un sogno di libertà e uguaglianza che si sarebbe avverato molto tempo dopo e che il loro sangue senz’altro ha marcato indelebilmente le menti e i cuori dei Caposelesi.

Le annotazioni del curato così recitano:

1 - Magnifico D. Vincenzo Ilaria Professore di Legge mor-to nelle carceri di Salerno a dì 1° g. di Dicembre 1799, perché avea fatto mandare alle stampe uno scritto contro il benigno Governo del nostro Ferdinando quarto, per così guadagnarsi

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la benivoglienza de’ Francesi… della città di Napoli, di tutto il Regno…

2 - Rev. Sacerdote D. Giambattista Ilaria, Germano del sopradetto D.Vincenzo morto ancora nelle sopradette carceri a dì 21 dello stesso mese, perché in questo paese volle comparire colla fascia francese, perché destinato Commissario della stessa Nazione, benché dopo rinunziato alla carica se ne fusse pentito, come egli dicea.

di fronte a siffatti episodi ogni casa del paese, secon-do la propria cultura, cerca di capire e comprendere il motivo e soprattutto la fonte da cui trarre il coraggio per andare incontro alla morte per qualcosa che ai più sem-bra incomprensibile e rivoluzionaria.

L’entrata in napoli di Championnet a fine mese di gennaio 1799, favorita dagli studenti e dai letterati ed ostacolata dalla plebe, ha aperto una stagione di speran-za: i valori della rivoluzione francese possono impiantar-si anche nel regno delle due Sicilie. L’attesa non porta però frutti.

nei mesi successivi l’opinione politica del popolo che non è pronto a questa nuova visione sociale fa resisten-za, provocandone il fallimento. al contrario di quanto successo a napoli, la rivoluzione è scoppiata in Francia dopo tre anni di discussioni e sommosse, per cui il popo-lo ha sentito propri gli ideali di libertà, di uguaglianza e fraternità e per essi è disposto ad immolarsi.

nel regno delle due Sicilie la plebe, abituata a più di settecento anni di governo assolutistico del re, alle ga-belle feudali, e a mantenere lo stato sociale della nascita, in un primo momento non accetta queste nuove idee e le combatte. Successivamente, interpretando a suo modo

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gli ideali di libertà e uguaglianza, comincia ad entrare nelle riserve di caccia dei baroni, a coltivare e a piantare alberi in terreni non propri e a non corrispondere più le gabelle del feudalesimo.

Le notizie provenienti dalla Francia provocano nel regno grossa confusione sicché viene inviato e/o scel-to in ogni paese un Commissario per spiegare le nuove idee dei francesi.

a Caposele le veci del Commissario sono svolte dal Sacerdote Giambattista Ilaria che, in contatto col fratello vincenzo, professore di legge a napoli, manda alle stam-pe un opuscolo a favore della repubblica napoletana. È proprio lui uno dei delegati del vaglio di Caposele che si battono a napoli con successo affinché alla costituente Guardia nazionale possano partecipare tutti, anche ai più alti gradi, senza tener conto dei legami di nobiltà.

Per le strade di Caposele il Sacerdote Giambattista chiarisce il vero senso della parola libertà e uguaglianza; libertà è nascere liberi di poter, secondo le proprie capaci-tà intellettuali e intellettive, costruirsi il proprio avveni-re svincolato da qualsiasi laccio di appartenenza sociale, uguaglianza è da intendere come uguaglianza politica, cioè di avere tutti gli stessi diritti di rappresentanza per la scelta di qualsiasi forma di governo. Ma considerati il grosso tasso di analfabetismo dei Caposelesi dell’epoca e il fatto che in più occasioni il popolo di Caposele, viene definito “freddo” pochi partecipano alla nuova iniziativa del sacerdote. tutta la restante parte del clero di Capo-sele e Materdomini resta sulle posizioni dei Borboni, im-paurita dalle intenzioni dei repubblicani di espropriare i beni della chiesa e limitarne i privilegi.

Solo pochi parroci aderiscono alla repubblica napo-letana e, prendendo a spunto i passi della Bibbia esal-

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tanti l’uguaglianza politica fanno grosse prediche sulle piazze pubbliche1.

La guerra civile, tra pro e contro la repubblica, ter-mina a giugno col ritorno a napoli del re Ferdinando. Questi, contrariamente a quanto promesso, inizia a ven-dicarsi con tribunali farsa di tutti quelli che a qualsiasi titolo hanno appoggiato la repubblica napoletana. e così anche i fratelli Ilaria pagano nel carcere di Salerno con la propria vita.

Le notizie si fermano qui, ma possiamo immaginare anche le torture fisiche e psicologiche a cui furono sotto-posti i nostri compaesani; per tutto ciò essi dovrebbero essere additati come esempio di eroismo alle future ge-nerazioni caposelesi.

1 In essi possiamo vedere i precursori della teologia della liberazione afferma-tasi in america latina negli anni settanta.

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Primi anni del 1800:La ruota per gli “esposti”

Scrivere la pagina dei neonati abbandonati, i cosid-detti “esposti” o “projetti”, è sempre doloroso; non si ri-escono mai a comprendere appieno i sentimenti strug-genti che devastano la mamma che, per povertà lascia il proprio infante in un cespuglio o davanti al portone di una chiesa o di un convento. Parimenti si può solo immaginare la trepida attesa con cui ella cerca di vedere chi raccoglie il proprio bimbo per assicurargli un futuro più benevole.

Il distacco è di un tale dolore che muta l’anima di chi lo compie anche perché si tratta di un gesto innaturale. ogni mamma desidera, infatti, stringere a sé il proprio bambino, allattarlo, vederlo crescere e lasciarlo uomo in tarda età con la propria benedizione, per fargli ben con-tinuare il viaggio su questa terra.

I testi consultati ci fanno intendere che il fenomeno dell’abbandono è già di una certa portata verso la fine del sedicesimo secolo. Per quanto riguarda il regno di napoli, verso il 1785, la media annuale degli esposti am-monta a circa 25000.

Le cause del problema sono molteplici, riconducibili soprattutto all’indigenza e all’onore. I sacerdoti predica-no e raccomandano nelle istruzioni domenicali, catechi-stiche e quaresimali di non abbandonare gli infanti e, se in casi di necessità lo si deve fare, di lasciarli in luoghi preposti o preparati a riceverli.

Gli stessi parroci invitano i fedeli a meditare sulla

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perdizione eterna dei bambini deceduti senza battesi-mo, istruiscono le ostetriche al rituale del battesimo e si accertano che ciascuna di esse ne conosca bene la for-mula e sappia recitarla senza sbagliare. Ciò chiaramente è utile anche per quei bimbi che nascono in pericolo di vita.

Questo ci spiega l’uso di lasciare sull’infante abban-donato una “schedula” riportante generalmente il nome e la notizia che il bambino è stato o non battezzato. a vol-te la mamma, sul cartellino o sugli stracci in cui è avvolto l’infante, escogita qualche segno particolare, nella spe-ranza che in seguito potrà richiedere il figlio indietro.

a partire dai primi mesi del 1801 si inizia a legiferare in materia, prescrivendo la presenza di almeno una ruo-ta in ogni Comune, al fine di evitare i molti infanticidi, e l’obbligo da parte delle amministrazioni a contribuire alla pubblica beneficenza.

La ruota, in legno, gira intorno ad un asse verticale; la parte verso l’esterno è predisposta per poggiare l’in-fante, dalla stessa parte c’è una cordicella legata ad una piccola campana, sita all’interno. La cordicella viene tira-ta per avvertire col suono della campanella l’abbandono di un neonato. Una donna all’interno dell’edificio rac-coglie l’infante e lo consegna alla presidente dell’asso-ciazione dei bimbi abbandonati per l’affido o per le cure di una nutrice.

La mancanza dell’affetto e delle cure di una vera mamma non possono essere sostituite da una nutrice a pagamento. a volte, per povertà e per ricavare qualcosa in più, la nutrice prende più bambini contemporanea-mente, sicché l’incidenza mortale dei bimbi, già alta per le condizioni di povertà, aumenta di molto per l’insuffi-cienza di latte.

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Per i sopravvissuti dopo il terzo anno, finita l’assi-stenza della balia, inizia un nuovo calvario per trovare un’adozione.

Questa è più facile per i maschi, individuati come braccia lavoro in una famiglia; le ragazze, al contrario, molte volte sono, dalle condizioni esterne, costrette a fare le meretrici. dunque essere abbandonati, per quan-to ingiusto e doloroso, apre solo una porta per una vita di dolore e stenti.

nei registri parrocchiali di Caposele troviamo casi simili che hanno lacerato le anime di tante povere mam-me. ad esse non può andare che il nostro affetto. Poiché molti abbandoni nella nostra terra risultano privi della famosa schedula, l’ostetrica o la direttrice assegnano un nome al bimbo in piena libertà, usando a volte la fanta-sia; a volte danno anche un cognome, legato al luogo o al periodo di ritrovamento, onde evitare di far prendere il cognome classico esposito o Projetto.

di solito, però, l’amore incommensurabile della mamma per la propria creatura viene manifestato nel nome che ella scrive sulla “schedula”, alcuni di questi sono qui riportati lasciando al lettore le proprie conside-razioni: amassai, amadio, amorosino, Belfiore, Bellez-za, Bellosguardo, Pecerillo, Formosa.

Ci sono anche mamme, le cosiddette ragazze madri della nostra epoca, che con coraggio, considerata l’epoca e la situazione culturale nei riguardi di tale tema, accet-tano pubblicamente la maternità, dando il proprio co-gnome al neonato e pagando di persona il loro sbaglio. a tale proposito, per rendere vive siffatte situazioni si riportano due episodi trascritti nei registri di nascita par-rocchiali, lasciando ad ogni lettore, a seconda della pro-pria sensibilità, le proprie impressioni.

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Primo episodio

È comparso Antonio Ruglio di anni cinquanta di profes-sione muratore domiciliato a Caposele strada San Francesco ed ha dichiarato che in questo stesso giorno (24.03.1813) a circa le ore nove essendo uscito di sua casa pochi passi lungi dalla Chie-sa alla via San Francesco, per i suoi bisogni, ha inteso piangere un fanciullo per cui ha chiamato sua moglie chiamata Teresa Farina di anni quarantacinque, faticatrice domiciliata con lui ed avendo fatto accendere il lume si son portati sul luogo ove sentivasi il pianto ed ha trovato avanti la porta di detta chiesa un fanciullo tale come ci si presenta involto in alcuni cenci con cartellino in petto nel quale trovasi scritto la seguente leggen-da Maria Fortunata battezzata; dopo aver visitato il fanciullo abbiamo riconosciuto che era femmina dell’età apparente di un mese. Abbiamo indi ordinato che si fusse consegnata a Maria Del Buono, vicedirettrice dei Projetti a cui si è dato il nome di Maria Fortunata Moretti, cognome imposto dalla deputazione dei Projetti.

Secondo episodio

E’ comparso Lorenzo Rosalia di anni quarantuno di pro-fessione bracciale domiciliato a Caposele strada Pietraquaresi-ma ed ha dichiarato che in questo stesso giorno (23.07.1813) a circa le ore dieci essendosi recato nel suo territorio sito alla Serra campana per travagliare ha inteso piangere un fanciullo per cui ha chiamato il suo fratello Luigi di anni trentotto do-miciliato a Caposele medesima strada e riunito allo stesso ha preso il fanciullo davanti la porta di un magliaro ivi esistente, involto in alcuni cenci, con cartellino in petto, sciolto vi ci è ve-duto la seguente leggenda non battezzato. Dopo aver visitato il fanciullo abbiamo riconosciuto che era maschio dell’apparente età di giorni due. Abbiamo ordinato che si fusse consegnato a

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Maria del Buono, vicedirettrice dei projetti cui si è dato il nome di Silvio Maria Serra, cognome imposto dalla deputazione dei projetti.

due esempi significativi su come la deputazione dei projetti assegna a volte i cognomi, nel primo caso pro-babilmente il bimbo, essendo di pelle bruna, assume il cognome di Moretti, nel secondo caso per il nome si fa prevalere il fatto di averlo trovato in aperta campagna e per il cognome si attribuisce quello della località del ritrovamento.

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“Già di lato alla cima del monte Paflagone spunta Espero per ispecchiarsi nelle acque delle fonti del Sele, quando le donzelle di

Caposele del medio e del basso ceto corrono ad attinger l’acqua dove rampolla il fiume…

piegato il grembo per riempir le anfore, si miran nelle sorgenti, e nuovo brio par che

venga su le loro sembianze…Fan vista di riposar, ma non è che amorosa tardanza.

Attendono i loro amanti, talchè, venuti colà gli innamorati, si fanno i primi

ricambii di amore spesso preannunzii dei futuri loro sponsali: però alcune volte

quell’occhieggiar va fuor dei confini, o tiene un non so che d’agguato e di insidia.

E se vi siano licenziosi giovinastri, la cosa può uscire a fine non lieto…”

(nicola Santorelli)

Anni 1813-14: La rapina al procaccioe il ratto delle Caposelesi

e’ una torrida giornata d’agosto e la gente cerca di combattere la canicola restando all’ombra dei grandi al-beri d’acero. Il bandito Quagliarella con i suoi compagni, una ventina di uomini, sosta in una zona alberata sita tra le montagne di Caposele e Bagnoli.

tra un pisolino e l’altro alza lo sguardo verso il pro-

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montorio per vedere se la sentinella fa qualche cenno per avvertirlo dell’avvicinamento di uomini a cavallo.

L’attesa lo rende nervoso. Quando il sole scompare nella valle tra i due monti che gli stanno di fronte l’uomo comincia a preoccuparsi e, per non darlo a vedere ai suoi compagni, ordina che si vada a cercare della legna secca per poter arrostire le lepri prese la mattina presto.

accesa la legna e infilzate le lepri, tutti cercano un posto accanto al fuoco perché la temperatura col cala-re della sera è diventata fresca. Poi ognuno si abbando-na ai propri pensieri più intimi, mentre fissa le fiamme danzanti del fuoco. restano tutti in silenzio, avvertendo nell’aria lo strano comportamento di Quagliarella. Il si-lenzio viene interrotto dal fischio dell’uomo di guardia. tutti sussultano e prendono le armi, Quagliarella velo-cemente raggiunge la postazione di guardia. Il buio di fronte non è penetrabile, ma si sente sempre più forte il battere di zoccoli sul terreno.

Il bandito ordina ai suoi di stare pronti, ma di non sparare, perché è da mezzogiorno che attende la banda di Milone, costituita da oltre venti uomini, tutti del paese di Muro Lucano. Sgattaiolando, avanza, mantenendosi di lato alla direzione da dove proviene il rumore e atten-de il passaggio dei cavalli. Poco dopo riconosce Milone, alla testa della fila, lo avverte della sua presenza e subito ordina ai suoi uomini di ritirarsi.

Le due bande riunite iniziano a gozzovigliare. Gli uomini sono allegri di ritrovarsi ancora una volta insie-me e tra un racconto e l’altro tracannano del buon vino.

Quagliarella, appartatosi con Milone, spiega il moti-vo della chiamata: c’è da fare una rapina al procaccio nei pressi di eboli. Confortato dalla notizia della grossa cifra in ballo, Milone si rende subito disponibile a partecipa-

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re all’azione. Si avviano verso i compagni e vi arrivano mentre rocco, uomo di Muro, racconta di quella volta che insieme alla banda del prete amelio di Lioni e quella del prete Giuseppe Paterna di San Gregorio pianificaro-no una razzia durante lo svolgimento della fiera che si teneva davanti al convento dei redentoristi a Materdo-mini il giorno 8 settembre del 1809. era tutto pronto, le bande erano riunite sui monti di Laviano quando la sera precedente furono avvertiti che la compagnia dei fucilie-ri di stanza a Laviano si era portata a Caposele.

La notizia fece desistere dal colpo ed ogni banda ri-tornò nel proprio territorio d’azione.

trascorre intanto del tempo e quando è notte fonda, vinto dalla stanchezza e dai fumi dell’alcool ognuno, co-prendosi alla meglio, prende sonno.

Un poco prima del sorgere del sole Quagliarella dà la sveglia e ordina di prepararsi alla partenza.

e’ l’alba del giorno 14 agosto.appena pronti, i briganti iniziano a muoversi in co-

lonna.Un pastore, che ha menato le pecore a pascolare so-

pra un promontorio, nota la lunga fila di uomini che a spron battuto si dirige nella direzione sud-est verso la piana di eboli e, a sera, rientrato a Bagnoli, avverte le au-torità, che, a loro volta, informano il Generale dell’abban-dono del territorio da parte della comitiva di Quagliarel-la. Il generale a sua volta ordina che vengano avvertiti il Sotto Intendente di Campagna e il Capitano Ferrari di eboli. Il sotto intendente ringrazia della notizia, ma ri-sponde che, a suo giudizio, essa sembra poco veritiera: non è pensabile che nell’attuale stagione i briganti pre-feriscano l’afa della piana alla frescura della montagna. nella sua superficialità egli omette di allertare i cittadini

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armati di eboli. anche il Capitano Ferrari, trascurando completamente l’informazione ricevuta il giorno 15, non prende alcun provvedimento cautelativo. Frattanto gli oltre quaranta uomini delle due bande riunite si avvi-cinano ad eboli. e’ la sera del 16, a buio inoltrato essi si nascondono in una delle grotte site vicino alla Fontana del Fico, lungo la strada che porta verso la Calabria. La notte quasi nessuno riesce a prendere sonno e di questo sono tutti consapevoli, poiché non si sente alcuno russa-re o respirare pesantemente. Infatti sono tutti tesi imma-ginando quello che potrà accadere l’indomani mattina. ogni soluzione è possibile, anche quella di lasciare la propria vita sul posto.

La posta in gioco è alta, ma la miseria e la fedeltà ai propri compagni condizionano la scelta, sicché tut-ti restano convinti che il rischio va affrontato. La luce del nuovo giorno, che squarcia il buio della notte, trova ognuno pronto all’azione, acquattato a ventre in giù con le armi spianate e pronte a far fuoco.

e’ la mattina del giorno 17.I briganti non devono attendere molto; ecco, prece-

duta dal rumore, l’arrivo della carrozza del procaccio. Una pioggia di pallottole si abbatte sugli uomini di scor-ta e un gendarme ausiliario rimane ucciso. I superstiti, vista la grossa mole di fuoco, scappano via. Gli assalitori, rotte le casse, portano via il denaro, circa 8000 ducati, e prendono la via verso la montagna di Campagna di S. erasmo. tre Campagnesi, che stanno lavorando nella zona vengono con la forza costretti a fare loro da guida fino al Polveracchio. di qui gli uomini delle due bande prendono la direzione del Principato Ultra, cercano di andare veloci e nello stesso tempo di provare a intuire la reazione dei gendarmi alla notizia della rapina. Il co-

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lonnello Belleli è a Caposele quando sulla rapina arriva il rapporto del Sottotenente di Campagna. Il Generale lo fa partire immediatamente con la gente disponibile verso il Polveracchio. Frattanto il sottointendente, rice-vuta la notizia, ordina al tenente Mantenga, il capo dei cittadini armati, di dirigersi con i suoi uomini di Campa-gna e i legionari verso la montagna di S. erasmo. e’ una decisione sbagliata perché dovrebbe dirigerli alla località Crocecchia, per farli trovare innanzi ai banditi e non in-dietro.

e così, per la seconda volta, la fortuna aiuta Quaglia-rella e i suoi.

dopo alcune ore di corsa trafilata, i briganti si ferma-no per dividersi il bottino; poi Milone e i suoi uomini si separano e si avviano verso le terre di Muro Lucano.

Quagliarella chiama a raccolta i suoi uomini e dopo qualche minuto di riflessione comunica che è oltremo-do pericoloso tornare sulle montagne di Bagnoli perché è proprio lì che probabilmente li andranno a cercare, meglio sarebbe rifugiarsi tra le montagne di Senerchia e passarvi il tempo necessario per far calmare le acque. tutti la ritengono una proposta sensata e si rimettono in cammino.

dopo un giorno di marcia, arrivati nel tenimento di Senerchia, in una zona impervia e poco trafficata tro-vano delle grotte carsiche e lì si nascondono. Inizia un lungo periodo alla macchia. I briganti prendono ogni accorgimento per non essere visti quando escono dal nascondiglio per andare a caccia di selvaggina e di cin-ghiali. Prendono contatti con un uomo di Senerchia che, dietro lauta ricompensa, si rende disponibile, di tanto in tanto, a rifornirli di pane, legumi e fave secche, oltre che a portare notizie sui movimenti dei gendarmi.

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I mesi trascorrono, ma la mobilitazione delle forze dell’ordine per la loro ricerca e cattura non scema. Così arriva l’inverno con la neve ed il gelo. Gli uomini sono stanchi e Quagliarella deve imporsi più volte con la for-za su qualcuno che vuole abbandonare il covo per un rifugio più confortevole e più vicino a casa.

egli conforta i suoi uomini dicendo che con l’ arrivo della primavera torneranno verso Bagnoli e con i soldi del bottino potranno dimenticare le sofferenze di quei giorni; “bisogna resistere, pena la cattura e con essa l’ad-dio agli agi sognati”, questo il capo dei malviventi ripete ogni giorno per evitare che qualcuno ceda in preda al freddo o alla solitudine.

arriva la primavera e con essa il buon umore de-gli uomini, che si preparano a rientrare verso Bagnoli. Passano per il tenimento di Calabritto e da qui vanno verso Caposele. e’ il pomeriggio del 4 aprile dell’anno 1814. Man mano che le case di Caposele si avvicinano gli uomini di Quagliarella diventano sempre più irrequie-ti. L’invito del capo di evitare, per sicurezza, di entrare in paese non viene accettato anche perché gli uomini, dopo tanti mesi passati alla macchia, desiderano la com-pagnia di una donna. di fronte a tanta determinazione Quagliarella li convince a non attraversare il paese, ma a passare sulla parte alta e a scendere poi a valle in corri-spondenza delle sorgenti del Sele. Qui sicuramente po-tranno trovare delle donne.

Infatti, come d’abitudine, le donne caposelesi rien-trano qualche ora prima del tramonto dalle campagne per preparare la cena. e la prima necessità è rifornirsi d’acqua. Quindi, dopo la calata del sole, ogni donna esce di casa con il barile in testa per andare alla fonte. Lì, in attesa del proprio turno, esse parlano tra di loro raccon-

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tandosi i loro problemi e i loro sogni, dopo una giornata di duro lavoro passata in silenzio.

Quando giungono alle sorgenti del fiume i briganti vedono tra le donne anche due belle fanciulle, sorelle, Catarina e Carmela, mandate a prendere l’acqua dalla mamma che è rimasta a casa per allattare l’ultimo arriva-to. Le ragazze non hanno i problemi delle donne anziane e sbirciano continuamente in ogni dove con la speranza di vedere i loro corteggiatori.

Ben si concilia quel loro stato d’animo con lo spetta-colo che offre lì la natura: decine di fessure nella roccia calcarea spillano tanta acqua limpida e sulla stessa roccia manciate di terra fanno fiorire bellissimi fiori multico-lori.

L’incantesimo viene rotto all’improvviso con l’arrivo dei briganti che spaventano le donne. e’ un continuo di urla e fuggi fuggi, ma due uomini raggiungono le due sorelle e le costringono a seguirli. Quagliarella, agitato e preoccupato della reazione dei Caposelesi, ordina ai suoi di dirigersi velocemente verso il tenimento di Lioni. Le donne, intanto, avvertono dell’accaduto chiunque in-contrano prima di arrivare a casa.

dopo una decina di minuti i cittadini armati di Ca-posele uniti ai legionari e ai gendarmi si mettono all’in-seguimento dei banditi e dopo qualche ora, arrivati in prossimità del tenimento di Lioni, trovano le due ragaz-ze già liberate. Si mettono alla ricerca dei banditi e poco dopo li scoprono e li attaccano. vengono scambiati colpi di fucile per circa due ore, ma non ci sono feriti in en-trambi gli schieramenti, probabilmente per la notevole distanza. Calata la sera, ai Caposelesi non resta che rien-trare in paese.

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Nicola Santorelli, un uomo fornito “di ingegno e convinzioni”

nasce a Caposele il 10 agosto 1811, da raffaele e Ca-milla vitamore. Frequenta in paese le scuole elementa-ri e, poi, a Calabritto, nell’Istituto Cirelli, segue gli studi medi. Cresciuto in un ambiente familiare aristocratico e religioso, di molta intelligenza e di sorprendente memo-ria passa a napoli dove con impegno segue le lezioni di matematica e fisica nello studio di Giuseppe eboli, quel-le di filosofia con Pasquale Galluppi e quelle di medicina e chirurgia con vincenzo Lanza. Laureatosi in medicina nel 1833, supera il concorso per l’ospedale degli Incura-bili di napoli. Si specializza nello studio delle epidemie dopo aver letto thomas Sydhenham, il più rappresen-tativo esponente inglese della scienza medica del XvII sec., e, con i medici del Giudice, Corbi e Giannattasio, lavora instancabilmente nell’ospedale della Pace per gli epidemici di napoli.

nel 1834 scopre nei pressi di oppido, tra Caposele e Lioni, una lapide dedicata al dio Silvano, risalente al tempo dell’imperatore domiziano (81-96 dell’era volga-re) ed apprezzata per la sua importanza da valenti ar-cheologi. Comincia a tenere conferenze sulle epidemie nell’accademia Medico-Chirurgica di napoli. richiama-to a Caposele, dove come a Calabritto e a Santomenna infierisce il colera nell’autunno del 1837, si dedica alla cura degli ammalati del proprio paese e di quelli sparsi nei casolari della valle del Sele. nel giugno dello stesso anno viene chiamato da antonio ranieri a torre del Gre-co per curare Giacomo Leopardi affetto dal colera.

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nel novembre 1838 viene nominato medico straor-dinario dell’ospedale della Pace di napoli e, per i suoi studi sulle epidemie del 1834 e 1837, ottiene un premio di seconda classe. approfondisce i suoi studi prediletti e si spinge nella bassa pianura del Sele, specie a Pesto e Capaccio, curando i malati con carità e competenza. Qui scrive una memoria intitolata “agronomici, idraulici provvedimenti onde arrestare il maleficio della malaria” che lo rende vero precursore delle opere di bonifica rea-lizzate nella piana del Sele solo negli anni cinquanta.

“Medico animato da assai buon volere, fornito di in-gegno e convinzioni”- come lo definisce il Semmola - nel 1844 entra per meriti alla Università di napoli ricopren-do la cattedra di medicina, dopo aver pubblicato un’ope-retta sulle perniciose. nello stesso anno scrive un’opera inedita, ritrovata nell’archivio di Stato di Salerno, intito-lata “Prime linee d’istoria delle principali epidemie, epi-zoozie, endemie, enzoozie e morbi pestilenti con tenta-tivi di ragionamento” che, presentata e approvata dalla regia accademia delle Scienze di napoli, lo fa nominare socio corrispondente. Successivamente viene nominato anche socio di varie accademie: quella medico-chirurgi-ca della Pontaniana (1842), quella della Cosentina (1846), quella delle scienze di Palermo, quella di tropea e quella di noto (1847).

Uomo di studi, libero da impegni di una famiglia propria, nel 1844 si laurea a napoli in Lettere e Filosofia con il celebre Galluppi. tiene conferenze sulle epidemie e i conseguenti contagi nel Congresso degli Scienziati in napoli 1845 e porta avanti una tesi originale sulla validi-tà dei piccoli ospedali per il fatto che in essi gli infermi possono essere più vigilati e meglio amministrati rispet-to ai grandi ospedali sparsi nelle regioni delle grandi cit-

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tà, dove gli ammalati sono più concentrati ed esposti al contagio. varia e vasta l’attività svolta presso la Scuola Medica salernitana.

dal 1848 al 1861 insegna al Liceo di Salerno, quale professore interino di medicina forense e farmacologia. Lo ascoltano anche illustri medici esteri e viene tenuto in grande considerazione in riviste parigine. nel 1851, sem-pre a Salerno, improvvisa una lezione in latino al me-dico inglese o’Loston, presenti i professori Mastelloni, Cerenza e Zottoli. Per le sue ricerche studia manoscritti della biblioteca di napoli e della scuola medica salerni-tana. Coopera anche alla riforma degli studi medici nei licei universitari del regno delle due Sicilie, tanto che il suo piano di miglioramenti viene accettato e tradotto in pratica. nell’ottobre 1855 cade gravemente ammalato; guarito, ritorna ai suoi studi e all’insegnamento, ammi-rato dai colleghi Lauro e villanova.

Incurante dei pericoli, accorre a napoli, Salerno, Caposele, dove infierisce nuovamente l’epidemia. a La-viano, dove muore il Parroco d’Urso, introduce contro l’epidemia l’uso del chinino, quanto mai salutare. nel 1856 pubblica l’opera “osservazioni e ricerche su le feb-bri continue dell’indole delle intermittenti”. a Salerno, dove parecchi studenti dell’Università di napoli si reca-no per ascoltare le sue lezioni, legge la sua ultima confe-renza dal titolo in latino “de rebus in nostro Gymnasio gestis”, dopodiché la scuola, nonostante la sua vibrata opposizione al dicastero della Pubblica Istruzione, cui sono preposti emilio Imbriani e Luigi Settembrini viene chiusa (14 aprile 1861).

ritorna a Caposele, ma, ben presto, si trasferisce a napoli. Qui tiene un corso di anatomia patologica nello studio del professor Lauro; stringe amicizia con il prof.

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ramagna; frequenta circoli di alta cultura medica e poi si dà all’esercizio della libera professione. ripresi gli studi letterari, illustra in versi e prosa le origini e le glorie del Sele e dei suoi dintorni, pubblicando l’opera “Il fiume Sele e i suoi dintorni” nel 1879. “Guidato dalla luce del vero e cristiano spirito” nel 1892 pubblica a napoli un poema lirico “Satana” che è un canto di vittoria per la Chiesa Cattolica e nel 1896 dà alle stampe il suo “Catto-licesimo e libero pensiero” dedicandolo all’arcivescovo di Conza antonio Buglione. nello stesso anno, ancorché malato e sofferente, pubblica i suoi “Ultimi di mia vita pensieri ed affetti”. La morte lo coglie all’età di 88 anni, il primo giorno di marzo 1899, mentre sta correggendo le bozze del suo “Manuale di preghiere”.

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Maggio 1834:La scoperta della Stele votiva al dio Silvano

Come documento della ormai consolidata presenza romana nella zona prossima alle sorgenti va interpreta-ta la Stele del dio Silvano, risalente all’età dell’impera-tore domiziano (81-96 d.C.)1. Con il nome di “Silvano”, nell’antica roma, si venerava nel culto privato il dio che nel culto pubblico si chiamava “Fauno”, abitante dei bo-schi e protettore delle attività con esso connesse.

nel maggio 1834 giunge da roma notizia che alle fal-de del monte oppido possono trovarsi importanti resti di antichi insediamenti, sicché lo studioso nicola Santo-relli con molti villani forniti di zappe e picconi si reca sul luogo anticamente chiamato Pareta2, oggi Preta, non lon-tano dalle sorgenti del Sele e lì, iniziati gli scavi, rinviene una stele dedicata al dio Silvano. attualmente la stele si trova nel museo provinciale irpino con l’indicazione di “Stele di oppido vetere” di Lioni, anche se essa è stata rinvenuta, come si è detto, alla località Preta, territorio di Caposele, che si trova nelle vicinanze dell’altura su cui era situato oppido ai tempi dei romani. nel luogo sono ancora visibili le mura ciclopiche costruite dai Sanniti e distrutte dai romani nel corso della terza guerra sanniti-ca. In passato vi sono state trovate anche monete e fibule di epoca romana.

1 domiziano successe a suo fratello tito nell’anno 81 dell’era volgare.2 Così chiamata probabilmente per la presenza nel luogo di una mura-glia, cioè dei resti di un antico edificio.

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La stele è a forma di parallelepipedo, scolpita in pie-tra, venata nel mezzo e alta cinque piedi ed otto pollici (poco meno di due metri). di grandissima importanza agli occhi del Santorelli perché fa luce sul passato della nostra terra, il reperto porta sul fronte una iscrizione la-tina che, tradotta in italiano, così recita:

“Sacro a Silvano adempiendo un voto fatto per la salute di Domiziano nostro Augusto Imperatore, Lucio Domizio Fa-one, a scopo di culto e per provvedere in ogni tempo futuro ha affidato a coloro che attualmente fanno parte del collegio (di sacerdoti) di Silvano e a coloro che in seguito gli subentreranno i suoi fondi Giuniano3, Lolliano, Percenniano e Statulliano con le fattorie esistenti entro i loro confini.

Ha stabilito che con la rendita dei fondi predetti, il giorno delle calende di gennaio4, il terzo giorno avanti le idi di feb-braio5 (anniversario della nascita di Domizia nostra augusta imperatrice), il quinto giorno avanti le calende di luglio6 (con-sacrazione del tempio a Silvano), il secondo giorno avanti le ca-lende di luglio7 (feste Rosali), il nono giorno avanti le calende di novembre8 (anniversario della nascita di Domiziano nostro Augusto Imperatore) si faccia secondo il tempo un sacrificio. Al banchetto interverranno anche coloro che fanno parte del collegio e i presidenti di ciascun anno baderanno che nella cosa

3 Junianum (Giuniano): qualcuno, cultore di storia locale, ipotizza che dal nome di questo fondo derivi il toponimo Lioni.4 Il giorno delle calende di gennaio = 1 gennaio.5 Il terzo giorno avanti le idi di febbraio = 11 febbraio.6 Il quinto giorno avanti le calende di luglio = 27 giugno.7 Il secondo giorno avanti le calende di luglio = 20 giugno.8 Il nono giorno avanti le calende di novembre = 24 ottobre.

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non vi sia inganno e che le cerimonie prescritte si svolgano regolarmente.

Resta chiaro che i fondi sopra indicati sono stati consacrati per la salute del nostro ottimo principe e signore e che i giorni dei sacrifici siano fra loro collegati. Vi sarà inoltre un luogo che apparterrà a Silvano e cioè quella parte di campo e di bosco che si trova nella riserva e che è delimitata dai termini posti in-torno al tempio. La via di accesso al Tempio di Silvano passerà attraverso il fondo Siciano e sarà aperto a tutti. Per la legna e per l’acqua necessarie ai sacrifici ci si potrà servire indifferen-temente sia del fondo Galliciano sia della riserva. Che queste cose siano fatte senza inganno. Così ha voluto e reso possibile Lucio Domizio Faone, al quale più volte questo luogo ha por-tato fortuna”.

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9 aprile 1853:“Il tremuoto di Caposele”

di solito le conseguenze di un terremoto vengono sempre associate alla perdita di vite umane ed ai danni subiti dal tessuto edilizio. a tale stereotipo risponde la lucida e commovente descrizione fatta per il terremoto del 1853 da nicola Santorelli che qui si riporta, essa è idonea a descrivere quelle che sono le tragiche conse-guenze di un sisma ed una sua lettura ci catapulta con una facilità estrema negli avvenimenti raccontati, tanta è la forza narrativa del nostro concittadino.

“I monti che coronano il paese sono oscurati da folta neb-bia sino alle ore 10 del mattino e corre per l’aria un fremito di vento, come per imminente tempesta! Più tardi le nebbie s’ad-densano a foggia di colonne. Poco stante tace il vento, splende il sole, l’aria di tratto diviene assai calda. Verso il meriggio la temperatura s’abbassa e sfuria terribile vento. Comincia una pioggia, ma immantinente si converte in orrida bufera.

Il letto delle acque delle sorgenti del Sele s’abbassò circa un palmo pria del tremuoto e le acque si resero calde. La quale sal-dezza fu tanto più notabile in quanto queste acque sono sempre freddissime. E se è vero quel che molti accertarono, che innanzi al tremuoto alcuni vampi momentanei apparirono sul monte Oppido, si vicino al Sele, si dovrebbe inferirne, che il tremuoto che seguì dovea stare in alcun rapporto con quei fenomeni.

L’orologio batte le due pomeridiane, e, previo un sotterra-neo muggito che pareggiò lo scoppio simultaneo di più cannoni, il suolo trema con moto vario e continuo per circa 15 secondi! Le scosse verticali e orizzontali nei primi istanti, si mutarono

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negli ultimi in circolari e giranti, e furono di maggiore rovina al paese che fu centro della scossa; onde il tremuoto fu detto di Caposele.

Sconvolti gli embrici dei tetti e smossi i tavolati e i soffitti, un orrendo scroscio precede l’eccidio! Il suolo or s’alza or cala, or va qua e là, e quel che è peggio, negli ultimi momenti fa vortice! Le mura spaccate e divise dagli angoli si dimenan per l’aria, e, in men che accenna il dito, le arcate si spezzano, le travi e, i tetti cadono o restano spenzolati sopra smossi pilastri! Non si vede dapprima che polverulenta nube, la quale si leva da pietre, tegole, brani di mura e pavimenti che crollan sul capo degli abitatori! Ad un tempo s’udivan strida e alti lamenti, chi chiama a nome i figliuoli, chi la sposa e chi invoca aiuto da Dio! Alcuni tentano fuggir dalla porta, altri slanciarsi dalla fine-stra, altri raggiunger le scale; ma lo spavento stringe il cuore, impaccia il piede, e rende ansante e difficile il respiro! In questo udivansi grida di femmine, pianti di fanciulli, clamori da per tutto. Con querula voce chi cerca i genitori, chi i figli, chi la consorte! Molti sollevan le mani al cielo, chè credono imminen-te la morte. Al posar della terra, essendo incerto il posar delle mura, molti si diedero gran fretta per giungere alle strade più aperte e mettersi in salvo. Ed oh qual triste veduta nel volger-si indietro! In mezzo a gran polverio qua pietre e travi usciti fuor di spezzate finestre, là muri caduti o penzoloni con tetti collabenti. Era un orrore il vederli!, ma spettacolo più crudo e miserando vien poi dinnanzi!

Un Sacerdote che discorrea dal balcone con fido amico che si trattenea di sotto, al crescere le scosse, tentò per salvarsi il disperato salto. Entrambi furon ricoperti da pietre, travi e cal-cinacci; ma il prete mostrava scoverto del capo il solo cucuzzolo in chierica. Due padri di famiglia, al cominciar del tremuo-to, s’affrettano di scappar via dalla bottega di un barbiere, ove trattenevansi come a diporto; ma in questo, caduto il soffitto

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della casa e sprofondatone il pavimento, precipitarono in un forno che vi ardea di sotto! Ai figli che, non curando abbruciar-si, corsero a sterrarli, il fumo adiposo diè segno che i genitori eran schiacciati ed arsi! Onde quel luogo fu detto il forno dei morti.!

Né qui finiva la ferale rovina.Una giovane madre, corre a far schermo ad una sua figliu-

olina che era in culla, e rimane pestata (oh quali affetti non le corsero al cuore!) su la sua bambina che non so come le soprav-visse! Due donne usciron di casa, e credendosi in salvo, tra gli abbracci di consolazione furono colte dalle mura delle case che in quel momento, sebbene cessato il tremuoto, pur rovinarono. Non reggo a tali racconti, di che feci ai miei versi ed a quei del Germano, sì triste preludio!

Scosso il seno della terra, ancora il suolo ondulava, quando parve i semivivi susurrasser parole sotto le orrende macerie! Nell’orribile dubbio, i cittadini corsero in ansia a trarre quei che mancavano di sotto le mura e i tetti caduti. Ma invano condussero l’orecchio al suolo per udir alcun lamento! Quando li scavarono erano ancor caldi, e chi lor sfibbia le giubbe, chi ad alta voce li chiama, alcuni li stropiccian con calde lane, altri se li addossan su gli omeri per trasportarli in casa; ma per quan-te arti scegliesse l’ingegno onde rivocarli in vita, tutte furon vane!

In mezzo di tali angosce venne la notte che più spaventosa resero altre scosse; ma all’alba del giorno appresso, poiché le mura eran quasi tutte fendute e i tetti malsicuri, una folla di cittadini uscì dalle case. Alcuni si rifugiarono negli orti vicini, altri, non trovando simile ospizio, sul colle di Materdomini, molti ramingavan per le campagne! Chi può dirne le mutue lacrime nel mestissimo incontro chi le parole quando il pianto ebbe sciolto in parte quel duolo, che tenea chiuse le vie della favella?

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Diroccò circa la sesta parte del paese, non poche case furo-no adeguate al suolo, e le più sode mostraron larghe fenditure. Undici Caposelesi furon pria sepolti che morti!

Alla notizia del disastro accorsero sul luogo i Reggitori della Provincia, e, scelta la pianura di S. Caterina a qualche distanza dal paese, vi fecero piantar case di legno e disporle a strade intermedie, in guisa di paesetto.

E poiché il tremito della terra non cessava, e molti per non lasciar la casa restavano esposti a rischio, continuo, fecero de-creto, e lo fecero pubblicare per bando, che i rimasti in case pericolanti dovean uscirne al più presto.

Dopo il 9 aprile, seguitavan ogni giorno ed a brevi inter-valli gli scuotimenti; ma l’8 maggio ne seguì uno sì violento che di poco non raggiunse l’impeto del primo; la terra divenne fallace al fuggente piede! Pel corso di sei mesi non passava un giorno che non sentivansi scosse. S’avvicinava il triste anni-versario, e i cittadini che tuttora rimaneano in quelle tende e baracche, oh quante volte bagnavan gli occhi di lagrime in guardar le loro case cadute o cadenti! ma presi da timore non osavan murare nuove abitazioni. Decorsi altri mesi, non mi-sero più tempo in mezzo, né ebbero per grave ogni fatica e di-spendio, qua per rialzare l’antica casa, là per fabbricarne una nuova. Il che vedendo gli altri si volsero non solo ad imitarli, ma a gareggiare nell’opera, sì che il nuovo caseggiato riuscì più solido e di migliore aspetto dell’antico.

Tutti non vollero dipartirsi, come da luogo sacro, dalla cer-chia, dall’ordine e dalla foggia delle pristine abitazioni; ma non incontrò lo stesso esito la chiesa parrocchiale.

Anche prima del tremuoto le mura erano si spostate che si dovè diroccarle, serbando il pavimento per rispetto ai sepolcri e per una edicola laterale, che più tardi fu slargata ed intitolata a S. Maria delle Grazie.

Per le quali cose il Garrucci dettò la iscrizione che segue:

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POPULUS CAPUT SILARENSISDILABENTES MUROS

ECCLESIAE PAROCHIALISEXCIDIT

ET PAVIMENTO OB RELIGIONEMSEPULCRORUM

SERVATOIN EO AEDEM MARIAE DOMINAE

GRATIARUMRESTITUENDAM CURAVIT

ANNO MDCCCLVIII

Avvedutisi a tempo i Caposelesi che, per continuare l’im-presa di rifabbricare il paese, e per condurla a buon termine, do-vean pensare anzi ogni altro alla casa di Dio, scelsero all’uopo la chiesa degli Antoniani. La dilatarono di due navi, l’estesero in lunghezza annettendovi l’atrio che le si apriva innanzi, e vi aggiunser di lato una chiesetta, giovandosi dell’antico re-fettorio di quei frati. Aggrandita così questa chiesa e menata a termine, fu addetta alla parrocchia, e tornò in onoranza come la primiera.

Le quali cose fatte, i cittadini si disposero a lasciar le tende e le baracche, e a far ritorno in paese.

Ed oh come fu dolce mirar i reduci dall’esilio imposto dalla sciagura, che rientravano nelle rinnovate abitazioni! Più dolci sensi inducean nell’animo le madri coi bambini al seno, che liete del ritorno, acceleravano il passo al tetto natale e ne rende-ano a Dio quelle grazie che sapean maggiori. Né andò guari che anche la mia famiglia lasciò l’ospizio di legno, che aveasi fatto costruire su la pianura del colle di Materdomini, e circondata da un drappello di giovanetti e donzelle discese la stradicciuola che costeggia le pendici di quel monte.

Le care mura rinnovate, e le onde del Sele che più chiare

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brillavano intorno, parve che di fresca gioventù ravvivassero i reduci”.

dalla descrizione dello stesso terremoto fatta da Gennaro Maria Pagi si apprende che ulteriore e grossa apprensione per i Caposelesi fu il rotolamento di grossi macigni che scendevano dal versante del monte sovra-stante Caposele.

Con una ricerca sui registri parrocchiali ed anagra-fici si sono anche riscontrate le generalità delle undici vittime di quel terremoto di cui il Santorelli ha descritto le circostanze del decesso: Corona Salvatore di anni 30, il sacerdote che si lanciò dal balcone; russomanno Sal-vatore di anni 26, possidente, con buona probabilità il compagno di sventura; le due donne, che uscite di casa pensavano di essere salve e vennero coperte dal crollo dello spezzone di un muro, le cognate Pizza vincenza, faticatrice di anni 36 e Petrucci Susanna, panettiera di anni 51; la mamma che trovò la morte per proteggere il suo bimbo, quasi sicuramente, Freda Marianna, fatigatri-ce di anni 26; quelli che scappando dalla bottega del bar-biere trovarono la morte, Fusco Giovanni, legale di anni 60 e Cetrulo Francesco, sarto di anni 45; le altre vittime il gendarme Miele amato nato a Lioni, Freda Lucia, fatica-trice di anni 51, russomanno Mariantonia, faticatrice di 42 anni e russomanno Marianna di anni 10.

1857 - 22 dicembre: la terra trema di nuovo; nel ten-tativo di fuggire un uomo ed un bambino si ritrovano con le gambe rotte.

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16 maggio 1863:morte di Lorenzo Santorelli

di questo fratello Sacerdote il prof. nicola ha un vero e proprio culto, tanto da piangerlo per tutta la vita, an-che perché muore piuttosto giovane. Umile e rispetto-so, di costumi semplici, rigidi e modesti, don Lorenzo usa un vestito povero ed è solito dormire su un duro letticciuolo, spesso fugando il sonno con la lucerna e con i libri. Sobrio ed astinente, propenso al silenzio ama grandemente gli infermi e i poveri cui consacra il resto del suo tempo, dopo aver assolto i suoi doveri di sacer-dote. Li conforta, li consola, e ha “in delizia servirli in cose abbiette e faticose”. e’ poeta dalla facile vena e un autentico cantore delle bellezze naturali di Caposele1. Il sacerdote incanta con la sua persona. nel suo sguardo, nelle parole e nell’atteggiamento vi è qualcosa di sacro per cui è amato e stimato da tutti. “Snello di persona, fronte ampia e serena, occhi lucidi e lincei, ma cauti e dimessi, il candore dell’animo gli infervora di cristiana carità le gote”. È il 16 maggio 1863. negli estremi suoi respiri, - ha 42 anni quando le forze lo abbandonano - il popolo di Caposele si bea “del suo morire, perché più viva vedea risplendere nel suo viso la luce della sua vita. anziché venirne in pianto, pare goderne, perché lo guarda in dio, cioè nella bellezza dell’anima che solleva il cuore alla Bontà infinita, che la dispensa”.

1 Scrisse anche qualcosa “Sulla caduta e il risorgimento del paese natio e del cenobio, ove fiorirono due uomini di tante virtù, che la Chiesa li accolse nel numero dei Celesti” (S. alfonso e S. Gerardo).

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Cittadinanza onoraria all’ing. F. Zampari

anno 1888: il Sindaco e i Consiglieri Comunali in carica consegnano le chiavi della città e la relativa cit-tadinanza onoraria all’Ing. Francesco Zampari, nato a Cividale (provincia di Udine) e domiciliato a napoli. La cerimonia avviene presso la sede comunale sita alla via Bovio prospiciente la piazza antistante l’ex palazzo di Masi.

Incoraggiato dalle popolazioni di Puglia e legato all’idea di convogliare parte delle acque delle sorgenti del Sele verso tale regione per dissetare i paesi delle pro-vince di Bari e di Foggia, l’ing. Zampari nel 1886 aveva presentato al Ministero dei Lavori Pubblici, insieme ad un progetto di massima, la domanda di concessione per derivare tre mc/s di acqua delle sorgenti site alla zona detta Sanità.

Bene accolto dai Caposelesi quando arriva in paese per trattare l’acquisto delle acque egli promette in cam-bio il risanamento dell’abitato, afflitto da movimenti fra-nosi, la costruzione di un ufficio postale, la realizzazio-ne di strade, di quattro fontane pubbliche e una grossa somma di denaro.

Per captare la benevolenza dei Caposelesi fa elargi-zioni ai poveri e inoltre promette di acquistare a buon prezzo le cantine site intorno alle sorgenti.

Come attestato di benemerenza l’amministrazione Comunale subito decide con i lavori a farsi di intitolargli la piazza che dovrà sorgere intorno alle sorgenti e la strada necessaria per accedervi.

Il clima di attesa, di grandi cambiamenti e di migliora-

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menti si tramuta però in cocente delusione allorquando nel 1891, trascorsi i trenta mesi, lo Zampari, non avendo trovato finanziatori dell’opera, non può dare inizio ai lavori previsti nell’atto di compravendita di parte delle acque delle sorgenti, stilato lo stesso anno 1888.

Inizia così ad essere osteggiato dai cittadini pugliesi e dai loro parlamentari che lo vedono come un grande speculatore.

Uno schema di legge per la realizzazione del grande acquedotto viene presentato allora da parte dello Stato, dopo di che i rapporti con Caposele e con i Caposelesi si incrinano in male modo; il tutto sfocia in una vertenza giudiziaria portata avanti dagli eredi dello Zampari, che intanto ha dilapidato tutti i suoi beni per il suo progetto e lasciato i familiari in grandi ristrettezze economiche. niente essi riescono ad ottenere nei vari gradi di giudi-zio.

Il testo della delibera di giunta qui riportata trasmet-terà al lettore il clima della cerimonia a cui prima si è fatto cenno.

ricavato dagli atti comunali del 1888-rubricato al n°232

oggetto: Cittadinanza onorariaal Cavaliere Sig. Francesco Zampari.

Sono intervenuti i Consiglieri Benincasa nicola, Fiore vincenzo, Ila-ria Francesco e trillo Leopoldo. Su di che aperta la discussione il Sin-daco Presidente nel proporre che questo consesso dia la cittadinanza onoraria di questo Comune all’illustre Cav. Francesco Zampari, non fa che renderci interpreti dei desideri già espressi in private riunioni dai signori consiglieri, i quali sono unanimi nel tributare a lui i sensi della maggiore stima e referenza, sia per la magnanimità con cui ha trattato l’acquisto di parte delle Sorgenti del nostro fiume Sele,

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sia per gli alti meriti che adornano la sua persona. Per grazia del Cavalier Zampari nel parco orizzonte di questo disgraziato paese, privo di rendite patrimoniali, oltremodo gravato dai balzelli locali per sopperire alle spese obbligatorie, e per il paesello minacciato da una frana devastatrice, vedesi oggi spuntare un nuovo sole fulgidis-simo, che, come per incanto fa sparire i succitati malanni, e ci apre la via ad un benessere insperato infondendo una corretta vita econo-mica e commerciale al paese medesimo, tale da renderlo invidiato dagli altri Comuni della Provincia. tutti i signori Consiglieri sanno con quanta liberalità e condiscendenza il Cavalier Zampari accettò tutte le pretese affacciate da questa rappresentanza Municipale, sic-chè alla detta vendita di parte delle cessate sorgenti non farà estin-guere le obbligazioni esistenti, e con l’impiego delle somme residue ne acquistò dei titoli di vendita tutti i balzelli saranno tolti, si avrà altresì la tanto sospirata bonifica delle frane ed il paese sarà abbellito ed arricchito di nuove strade, piazze e fontane. oltre ciò con i lavori che saranno eseguiti per lo impianto dell’acquedotto Pugliese, tut-te le diverse classi sociali del nostro paese avranno a vantaggiare, di tale chè il nome del Cavalier Francesco Zampari rimarrà solen-nemente scolpito nei nostri cuori a caratteri indelebili, ed al nostro paese di tramandarlo ai posteri, come quello di emerito benefattore. Molti Consiglieri facendo pieno plauso alla proposta del Presidente. concordamente dichiarano di appoggiare, tributando, sincero enco-mio al Cavalier Francesco Zampari nel modo magnanimo, con cui ha proceduto nelle sue trattative con questa amministrazione per l’acquisto delle acque del Sele. Chiusa la discussione il Presidente invita il consesso a votare l’ordine del giorno così formulato.

Il Consiglio

sentita la proposta del Presidente e la fatta discussione Considerato che il Cavalier Zampari si è reso meritevole dell’affetto, stima e considerazione dell’intera popolazione per gli immensi van-taggi materiali ed economici che apporterà a questo paese la costru-zione del grandioso acquedotto Pugliese da lui progettato. Considerato che nelle trattative espletate per lo acquisto di parte delle Sorgenti del Sele, il cavalier Zampari è stato largo di condi-scendenza a pro di questa amministrazione.

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Considerato che atto di civile saviezza tributare gratitudine ed omaggio a coloro che si rendono benemeriti del paese, e tramanda-re ai posteri benedetto il loro nome

deliberaoffrire all’illustre Cavalier Francesco Zampari la cittadinanza di questo comune, il quale si ritiene oltremodo onorato di annume-rarlo fra i suoi cittadini. tale ordine del giorno viene ad unanimità e per acclamazione approvato dal consiglio.Il verbale in seguito alla lettura ed approvazione viene firmato dal Presidente, dal Consigliere anziano e dal Segretario. Il Presidente Corona Il Segretario Ilaria Il Consigliere anziano Ceres

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La frana del 1899

È il 16 dicembre 1899: dopo mesi di pioggia, scivola a valle parte del costone che si trova ai piedi della Basili-ca di S. Gerardo a Materdomini, e grossi danni vengono provocati alle abitazioni.

Il Sele ingrossatosi a dismisura trasporta tronchi d’al-beri che al ponte si dispongono, sotto la furia dell’acqua, a mo’ di diga. tutto ciò provoca anche l’erosione della zona sovrastante, detta Costa; intere abitazioni scivola-no giù nell‘acqua. Il loro arrivo rompe lo sbarramento che si è creato e il ponte viene trasportato via.

Il bollettino servizio geologico -Bolletino del r. Co-mitato Geologico parte ufficiale r. decreto 10 marzo 1901- così riporterà:

“L’ing. Baldacci ebbe a fare anche varie escursioni nel de-corso anno per i seguenti incarichi del Min. dei Lavori Pub-blici: visita alle frane che devastano l’abitato di Caposele da lungo tempo e che diventarono disastrose dopo le grandi piogge dell’autunno 16.12. 1899”.

tra le autorità arrivate nel paese anche il Prefetto di avellino al quale i senza tetto chiedono di essere aiuta-ti. Ma malgrado l’impegno del rappresentante eletto nel distretto e in seno al consiglio Provinciale e in Parlamen-to, alla fine arriveranno solo i soldi della Provincia per la ricostruzione del ponte.ARCHIV

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Gerardo Grasso (1860-1937):un uomo con un destino migliore

nell’estremo sud dell’America meridionale

1868. L’Italia vive pienamente il suo processo di uni-ficazione dopo un intenso periodo di lotte e di sangue. Ciò nonostante il Sud incorporato al nuovo stato man-tiene ancora vive le secolari caratteristiche borboniche e non riesce a trovare alcun giovamento con la nuova situazione. La miseria è molta per cui la carovana di emi-granti riprende il suo viaggio verso le terre lontane che possono offrire migliori possibilità per lo sviluppo delle personali doti di intelligenza, di ingegno naturale e di disposizione al lavoro fecondo e produttivo.

tra quelli che “vanno a fare l’america” e che si im-barcano per il nuovo mondo vi sono Stanislao Grasso di anni 33, musicista diplomato al conservatorio “San Pie-tro a Maiella” di napoli, e sua moglie rosina Zappale di anni 32, nati entrambi a Chiusano (av) e stabilitisi a Caposele1, distretto giudiziario di Calabritto, dove Sta-nislao, artista di accurata sensibilità fa il direttore della banda Municipale. Con amara tristezza lasciano il pae-se che, anche se povero, è carico di amate vecchie tra-dizioni ed ineguagliabili bellezze naturali, molto proba-bilmente per non più ritornarvi, vista l’enorme distanza che li separerà dall’Italia e la precarietà dei mezzi marit-timi esistenti. dato l’addio agli amici più cari, ai parenti

1 La famiglia abitava nei pressi della chiesa madre, in via San Francesco, molto probabilmente la stradina sulla destra che fiancheggia la chiesa stessa prima di arrivare al castello.

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e all’unico figlio di otto anni, il piccolo Gerardo2, lasciato per il momento ai familiari più stretti, sognano un de-stino migliore anche se avventuroso nell’estremo sud dell’america meridionale del quale hanno sentito dire che lì ha combattuto Garibaldi, lì c’è abbondanza di car-ne, ci sono immense estensioni di terra fertile e vergine e c’è bisogno di braccia forti per lavorarla.

Quando arrivano a Montevideo, capitale del-l’Uru-guay, una piccola nazione giovane che non ha ancora definito il suo destino, sono felici e pieni di speranza. Il nascente stato esce invece da una rivolta per entrare in un’altra, per cui colui che viene da fuori, il “gringo” deve lottare accanitamente per trovare un posto degno nella nuova società che lo riceve. In un ambiente di mi-litari e combattenti, che però non rifuggono il contatto con la musica, Stanislao si fa strada affannosamente con la sua arte, riuscendo così ad ottenere il posto di musi-co maggiore di bande militari dei reggimenti 2° e 5° dei Cacciatori. ed è in questa carica che lo trova nel 1874 il suo amato figliolo Gerardo quando arriva finalmente a Montevideo.

Il giovane, avviato dall’amore e dalle conoscenze paterne, non più separato dalla famiglia, comincia a studiare musica e solfeggio col genitore ormai perfet-tamente adattatosi alla nuova terra. aiutato anche dal maestro antonio Frank dal quale trae il dominio tecnico del flauto e del flautino, il disciplinato studente dimostra di avere delle capacità veramente notevoli tant’è che i

2 Il piccolo Gerardo alfonso Maria, era nato a Caposele il 3 agosto 1860 ed era stato battezzato nella chiesa madre di San Lorenzo Martire quat-tordici giorni dopo, tra la gioia di parenti ed amici.

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progressi si vedono ben presto. Il 10 ottobre 1875 entra come musico con contratto nella banda del reggimento di artiglieria diretta dal maestro Giuliano Silva.

al tempo stesso continua i suoi studi di composizione, pianoforte e strumentazione col noto musico milanese Giuseppe Streghelli, compositore, strumentista e diret-tore di opera. diventato virtuoso del flauto viene spesso invitato da numerose bande e gruppi orchestrali, tra cui quello del teatro Solis. Ben presto il giovane occupa un posto di rilievo tra i musicisti più distinti della città. nel 1879 la banda di musica della Scuola d’arte dell’Uru-guay legittimamente si vanta di avere due ottimi musici: Stanislao Grasso, clarinetto, e suo figlio, flauto. Il gruppo però si scioglie un anno dopo. Gerardo, come maestro di musica e solfeggio riesce a formare una banda di va-lore tale che per i successivi sei anni viene considerata la migliore di rio de la Plata, cioè di Montevideo e Buenos aires.

nel 1882 la banda, ormai famosa ed arricchita col potente coro della Scuola composto da 140 persone, si presenta alla esposizione Continentale Sudamericana a Buenos aires, sotto la direzione alterna di Gerardo Gras-so e di Gioacchino Salvini. Il successo è totale.

Il presidente uruguayano Massimo Santos è profon-damente entusiasta e orgoglioso, come pure il grande Presidente argentino domingo Faustino Sarmiento che suggerisce al suo collega la formazione di una grande or-chestra alla Scuola d’arte dell’Uruguay. nel febbraio del 1883 la nuova orchestra, diretta da Gerardo Grasso, fa il suo debutto. Porta il nome di “domingo Faustino Sar-miento” in omaggio a chi l’ha ideata e come espressione di fratellanza tra i popoli de la Plata. La banda, conosciu-tissima a Montevideo e condotta agilmente dal maestro

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Grasso, si presenta in tutti gli eventi importanti facen-do sentire marce militari, tarantelle e canzoni e l’intero pubblico uruguayano rende il suo omaggio di ammira-zione al bravo maestro italiano. Poco dopo arriva anche l’immancabile riconoscenza ufficiale sotto la forma di un decreto emesso da Santos, per mezzo del quale viene concesso a Grasso “in attenzione ai suoi meriti e servizi e a partire dal 18 febbraio 1886 l’incarico di 1° tenente di Fanteria”. Il giovane direttore vive indubbiamente i migliori momenti della sua vita. La sua figura elegante è familiare a Montevideo. veste correttamente e usa di solito abiti scuri che gli danno particolare distinzione as-sieme al suo cappello di feltro.

La sua cute bianca e i suoi capelli e baffi castano scuro mettono in risalto la chiarezza dei suoi occhi azzurri. a 26 anni, ottenuti già un prestigio ed una posizione invi-diabile, sposa la signorina Luisa Morelli di appena 16, colla quale formerà felicissima famiglia.

Siamo ormai nel 1887 e sembra che i governi militari in Uruguay arrivino alla fine. Il nuovo presidente gene-rale Massimo tajes si propone di ristabilire le istituzioni, e purtroppo tra le prime misure di economia e risparmio viene ordinata la dissoluzione dell’orchestra “domingo Faustino Sarmiento”, si salva appena la banda, miraco-losamente tenuta in piedi da Grasso. Ma al di fuori di questi eventi, un fatto importantissimo avviene nella vita del nostro maestro, fatto che si ripete in ogni emi-grante assimilato che arriva ad ospitali sponde, l’unione nel campo etnico (ed anche in quello sensibile) realiz-zata tra l’emigrante che arriva e l’elemento umano già da tempo stabilito nel paese, che ci trasforma in quello che siamo, con tutte le nostre virtù e tutti i nostri difetti. Grasso, che ha dato abbondantemente del suo alla terra

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d’adozione, d’accordo con la sua origine, la sua forma-zione, la sua etnia, la sua ricca personalità e la sua ani-ma meridionale piena di dolci ed appassionate melodie, instancabilmente, e forse inconsapevolmente diffuse nel suo nuovo ambiente, realizza che è arrivato il mo-mento di saldarsi alla terra sentita prima così diversa e così distante. e questo avviene in modo quasi casuale. Il colonnello Julio Murò, nuovo direttore della Scuola d’arte, pur essendo un grande ammiratore del giovane maestro, sente verso di lui una quasi antipatia dovuta al fatto che Grasso suona soltanto arie e canzoni straniere e che manca assolutamente nel suo repertorio tutto quel-lo che possa essere musica o motivi nazionali tanto cari alla sensibilità del popolo uruguayano. “non li conosco” risponde ingenuamente Grasso quando il colonnello gli rimprovera questa mancanza. Per ovviare a ciò Murò fa venire dalla vicina città di Canelones un gruppo di chitarristi nativi che nella sala di musica della Scuola si mettono a suonare delle melodie tipiche alla presenza di un selettivissimo pubblico composto dai Grasso, padre e figlio, i maestri oscar Falleri, Josè orlando, Juliàn Silva ed alcuni invitati speciali.

Il nostro irpino si sente profondamente commosso nel penetrare in un mondo per lui sconosciuto. tra tut-to quello che sente è soprattutto colpito da un motivo contadino, un ballo di “gauchos” conosciuto come il “pe-ricòn”, il cui ritmo è quello che più si adatta alla sua for-mazione ed alla sua modalità musicale. appena uscito dal concerto porta perciò con sé la ferma decisione di comporre il suo “pericòn”. La composizione viene rea-lizzata in breve tempo e giunge come nessun altro “pe-ricòn” alla categoria necessaria a permettere a tutto un popolo il potersi personalizzare ed identificare, fino al

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punto che verrà riconosciuto non come un “pericòn” in più, ma come il Pericòn nazionale non solo in Uruguay ma anche in argentina.

non è segreto per nessuno l’enorme influsso della canzone sull’anima dei popoli. essa possiede di solito un elevato valore descrittivo, sentimentale, evocativo, è un elemento costitutivo di nazionalità e concede persona-lità a quelli che hanno la felice opportunità di compor-la, come a tutti quelli che attraverso i tempi si dedicano a interpretarla. rappresenta una base di coesione sen-timentale e d’identificazione al di sopra di epoche e di frontiere. Come avverrà molti anni più tardi colla famo-sa “Cumparsita” che sarà la rappresentante più genuina dell’anima cittadina del rio de la Plata, così questo Peri-còn di Grasso sarà simbolo del “gaucho” e del contadino e la sua interpretazione parlerà per sempre dei segreti più reconditi dell’anima uruguayana e dell’essenza stes-sa del paesaggio americano.

Il “Pericòn nacional” composto dall’artista in meno di un mese e registrato in partitura per pianoforte, poco dopo, su richiesta del colonnello Murò viene strumen-tato da Grasso per banda, in modo che il nuovo pezzo acquista di giorno in giorno la più grande diffusione. Il 3 agosto 1887, quando il maestro compie i suoi 27 anni, il presidente tajes visita la Scuola d’arte per sentire il Pericòn. La banda è composta da quattro flautini, due clarinetti, due cornette, otto sassofoni, sei bombardini, otto tromboni, tre bassi, due batterie e due grancasse: 37 allievi in tutto diretti dall’autore.

L’opera soddisfa pienamente il presidente che subito autorizza il colonnello Murò a farla stampare nell’offici-na di litografia della Scuola diretta da un altro italiano, angelo Sommaschini, agli scopi di distribuirla tra tutte

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le bande militari dell’Uruguay. È importante accennare che questa è la prima partitura che viene stampata in Uruguay. Si consacra così definitivamente il più tipico dei balli3 uruguayani composto da un italiano nato a Ca-posele con appena 12 anni di residenza nel nuovo pae-se. È grazie all’attore genovese ventiseienne Giuseppe Podestà, grande amico di Grasso, importante nella for-mazione del teatro rioplatense, che il Pericòn nacional guadagna una grande popolarità.

Quando Peppino Podestà recita nel suo circo il dram-ma nativo “Juan Moreira”, introduce alla fine un motivo musicale campagnolo, di solito il ballo nominato “il gat-to”. Su sua richiesta Grasso sostituisce questo ballo con il Pericòn al quale si aggiungono poi le cosiddette “rela-zioni”, cioè dialoghi delle coppie che ballano, a seconda dell’argomento sviluppato.

da questo momento in poi non ci è più nessun dramma locale che non finisce col Pericòn nacional. La nuova danza tarda un anno a farsi popolare nella sua terra d’origine, dopo aver trionfato pienamente in ar-gentina. Poi la sua popolarità è incontenibile sia in città che in campagna. L’incisione fatta in cera dalla compa-gnia “victor” nel 1911 è un altro fatto che aiuta alla più grande diffusione.

nella celebrazione del “Centenario del 1930” il Peri-còn è cantato al teatro artigas per la Corale nativista e nell’inaugurazione dello Stadio “Centenario”; lo stesso anno è danzato dal Ballett del teatro Colòn di Buenos aires; nel 1934 è cantato dalla Corale “Guarda e Passa”

3 La composizione era in principio intitolata “Ballo nazionale Urugua-yano”.

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all’inaugurazione del monumento di Josè Pelloni “La Carretta”. L’inconfondibile opera, la più genuina delle composizioni native, la carta d’identità del popolo uru-guayano raggiunge l’esito pieno e assoluto.

dopo il Pericòn, il maestro dedica altri 50 anni al suo lavoro musicale in Uruguay, formando generazioni di musici destinati ad arricchire il patrimonio culturale e musicale nazionale. Grasso arrangia l’Inno nazionale Uruguayano per canto e pianoforte e la versione viene dichiarata l’unica ufficiale.

Il conservatorio “La Lira” l’onora con medaglia d’oro per il suo lavoro come maestro di flauto. egli si dedica all’insegnamento con profonda vocazione, avendo avu-to la cattedra di musica al conservatorio “La Lira” e alla “Scuola Italiana di Montevideo”. È per 25 anni professo-re e direttore alla Scuola d’arte dell’Uruguay. È il 1937. Montevideo si dispone a celebrare i 50 anni del Pericòn nacional. vecchio e ammalato a 76 anni, Grasso ha appe-na finito di comporre la sua Marcia Funebre. Il 7 maggio muore improvvisamente il suo diletto figlio Stanislao. Gli viene nascosta la terribile notizia, ma successivamen-te, leggendo per sbaglio un vecchio giornale, viene a sa-pere la verità. Il suo dolore non ha limiti ed egli trova che la sua vita non ha più scopo. Si spegne il 18 giugno 1937 poco prima di arrivare a 77 anni ed è sepolto al sepolcro n° 24 del secondo corpo del Cimitero Central di Monte-video dove ancora oggi riposa. Suo padre era morto il 5 settembre del 1900.

oltre al Pericòn il grande M° Gerardo Grasso, è auto-re di moltissime composizioni che mettono in rilievo la sua doppia sensibilità italo-uruguayana: Carino (valzer), Delicia (polka), Elvira (mazurka), Confidencia (polka), El

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elegante (Schottisch), La infancia (mazurka), Il mazzettino di rose (mazurka), Los treinta y tres (marcia militare), Se-ducciòn (mazurka), Miss Helvett (quadriglia), Diana (pol-ka militare), The Monevideo Post (marcia), Sueno de amor (valzer Boston), All’ersercito uruguayano (marcia milita-re), Stella (gavotta), Panchito flor de pago (tango), Postal 2a (polka militare), El hijo de Panchito (tango creolo), Flor de Azahar (minuetto), Estudiantina (marcia), Rimembranze (valzer), Palpitando (tango), Lazo de amor (valzer), Pesca-dores del Este (marcia popolare), El abuelito (tango), Entre nous (pavana), Himno a la Virgen de los Treinta y Tres (sere-nata romantica), e Himno de los Cadetes.

nel concorso di bande militari del 1894 organizza-to dall’ateneo di Montevideo è incaricato dal giurato di strumentare per banda l’opera vincitrice del concorso, l’ouverture Paragraph di von Suppè.

nel 1902 compone per la Società Boer, con parole di Felix Saenz, una gande Fantasia per coro e Banda.

(da una conferenza che il dr. Corrente Spanò4 tenne l’8 ottobre 1987 all’Istituto Italiano di Cultura

di Montevideo, pubblicata su “Campania nel Mondo”, 1996 n°08 pagg. 6-7).

4 dante Corrente Spanò: nato in Uruguay il 12/12/1920, da famiglia ci-lentana ivi emigrata, cattedratico di diritto romano, esperto in diritto della navigazione aerea, avvocato dell’ambasciata Italiana a Montevi-deo, costruttore edile, degno rappresentante dell’ingegno, della volon-tà e del valore di tanti campani che lavorando con onore e fede in tutti i mestieri, professioni ed attività hanno contribuito in modo non indif-ferente alla grandezza dei paesi che li hanno accolti.

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Anno 1917: La rapina del procaccio

21 novembre 1917, località tonzo nel circondario di Postiglione, il vetturino del carro del procaccio incita ad andare più veloci i cavalli sulla regia strada di Calabria per giungere quanto prima ad eboli. Il buio lo rende ansioso e timoroso, malgrado gli uomini di scorta, cir-ca una ventina. Sarebbe stato certamente meglio per lui trovarsi a casa a cenare intorno al focolare con la propria moglie e i propri figli. Immerso in questi pensieri egli sprona di più i cavalli, ma all’improvviso, dal margine del bosco, limitrofo alla strada, escono più di quaranta uomini armati che si mettono a sparare. La gragnola di colpi uccide lui e un gendarme e ferisce altri due fuci-lieri. Il resto della scorta, disorientata e impaurita dalla mole del fuoco, si dà alla fuga.

I malviventi si lanciano sulle casse, con delle gros-se asce le aprono e cominciano a riempire i loro sacchi. dopo una decina di minuti, accortisi del ritorno della scorta, riprendono a sparare nella direzione da cui sen-tono il calpestio dei cavalli, il che convince definitiva-mente alla fuga gli uomini della scorta. Completato lo svaligiamento delle casse, ogni malvivente, con un sacco in spalla, inizia a ritirarsi verso il fiume Sele. vi arrivano in due gruppi e ognuno sceglie di attraversare il fiume, tra l’altro ingrossato dalle piogge degli ultimi giorni, in due punti differenti.

Il gruppo di cui fa parte antonio, originario di Lioni, optando per un posto in cui la corrente dell’acqua è più forte di quanto previsto, si trova in difficoltà in mezzo al

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guado. non trovando alcun appiglio e non potendo ri-cevere aiuto dai compagni, antonio viene trascinato via. Gli amici per un po’ di tempo cercano di ripescarlo, poi, non riuscendovi, lo abbandonano al proprio destino.

Una volta al di là del fiume i due gruppi si avviano a risalire la valle del Sele.

antonio, trascinato dalla furia dell’acqua e poi impi-gliato fra le radici di un grosso pioppo, a fatica riesce a svincolarsi e a risalire la sponda del fiume. Inizia a vaga-re cercando di trovare la strada del ritorno.

verso le due di notte si trova vicino alla masseria di Francesco Parisi, sita alla contrada olivola. Intirizzito dal freddo perché completamente bagnato abbandona ogni remora e contro ogni senso di prudenza bussa alla porta svariate volte. Francesco il proprietario, accertatosi che la persona è sola, apre e si trova davanti un uomo tre-mante dal freddo, senza cappello, con un piede scalzo e un sacco sulle spalle; lo fa entrare, lo fa riscaldare vicino al fuoco e per trattenerlo gli offre qualcosa da mangiare. Ha capito chi è l’uomo che si trova di fronte e di nascosto invia il figlio maggiore ad avvertire i gendarmi in paese.

alla stessa ora, intanto, il tenente generale riceve rapporto dell’accaduto. e’ l’ennesima scorribanda di una banda che dopo ogni colpo sembra volatilizzarsi. Malgrado gli sforzi messi in campo il tenente non è mai riuscito a venirne a capo. egli è della convinzione che della banda faccia parte anche gente istruita, capace di pianificare le varie mosse da attuare. Per cercare di tro-vare elementi utili alle indagini e, se più fortunati, cat-turare i malviventi, invia dei gendarmi sul posto dove i ladri hanno attraversato il fiume.

La mattina presto, antonio, consegnato da France-sco, viene portato da un gendarme al cospetto del te-

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nente Generale e questi ordina di interrogarlo subito. Il malvivente racconta di essere stato inviato come corriere da don nicola di Lioni a don vincenzo di Campagna e di essersi trovato sul luogo della rapina mentre era di ritorno. Si fanno i dovuti accertamenti e, alla contesta-zione che non esistono i due personaggi da lui riferiti, l’uomo si chiude nel più assoluto silenzio. Il tenente non riuscendo a farlo parlare e non potendolo torturare fa chiamare il sig. Costa di eboli, uomo con grosse cono-scenze a napoli e a cui tutto viene permesso.

di fronte al continuo ed ostinato silenzio di antonio il Costa non si perde d’animo. armato di un coltellaccio lo ferisce ad una coscia, ma come risultato ottiene ancora un prolungato silenzio. allora lo ferisce alla gola e man-ca poco per sgozzarlo; il dolore è tanto forte che antonio decide di confessare tutto quello che sa.

Così Costa viene a sapere che la banda è composta da oltre quaranta uomini, tra essi due sacerdoti, di Cala-britto, due persone di Caposele, tra cui un certo aniello il calzolaio, e altri uomini di acerno, torella, Lioni, S. an-gelo dei Lombardi. La banda non si dà alla macchia per l’età avanzata dei suoi componenti per cui, dopo ogni colpo, i suoi membri ritornano alle proprie attività senza destare sospetti. Le informazioni tra loro vengono assi-curate da corrieri e le decisioni sono prese da due galan-tuomini di Lioni, don tobia e don vitale.

Il sig. Costa informa allora il tenente Generale e si porta al quartier Generale di Caposele dove organizza la cattura di aniello, il calzolaio.

Saputo che egli si trova a casa della sua amante, i gendarmi vi si recano in compagnia di un suo amico. Questi lo chiama dall’esterno, aniello esce e viene cat-turato.

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Il Costa, che prende alloggio nel soppresso Conven-to dei Conventuali, fattosi portare aniello, gli lega le mani ai testicoli e lo fa appendere. In un primo momen-to aniello riesce a resistere al dolore. I gendarmi di tanto in tanto escono e vanno dallo speziale don vincenzo a comprare liquori. Quest’ultimo, che è un membro della banda, chiede loro in continuazione se il prigioniero ha parlato. Quando il dolore diventa insopportabile aniello ammette di aver partecipato alla rapina, confessa che la sua parte è nascosta nella sua stalla. e di lì a poco 150 scudi vengono ritrovati nel posto da lui indicato.

don vincenzo lo speziale, appena sentito dal gen-darme, che è andato da lui per bere un liquorino, che aniello ha finalmente confessato, chiude bottega e si precipita a Calabritto per avvertire i membri della banda di quel luogo.

Costa arriva a Calabritto, non riesce a trovare nessu-no perché si son dati tutti alla macchia e al loro posto fa arrestare i loro familiari.

Comincia così una lunga trattativa col papà del prete don Michele, il quale, in cambio dell’amnistia dei pro-pri familiari, tradisce gli altri componenti della banda. Questi vengono tutti uccisi a colpi di fucile in contrada vallone del fiume.

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Consiglio Comunale: seduta del 24.2.1924

viene conferita cittadinanza onoraria al Cav. Bal-dassare Giovanni, inviato dal prefetto al comune di Ca-posele in seguito a segnalazioni di cose poco chiare sul bilancio comunale e incaricato, dopo le dimissioni del Sindaco, commissario prefettizio. (In verità non si com-prende come un normale lavoro d’ufficio diventi bene-merito per tutta la cittadinanza!)

Per la soddisfazione di qualsiasi curiosità viene ri-portato qui di seguito uno stralcio del testo della delibe-ra dalla quale risulta che per acclamazione, sempre nella stessa seduta, viene acclamato cittadino onorario anche Benito Mussolini.

verBaLe ConSIGLIo CoMUnaLeSeduta 24.02.1924

Il Consigliere Corona Lorenzo propone la cittadinanza onoraria per il Cav. Baldassarre Giovanni Commissario Prefettizio (incaricato nel 1915 di eseguire inchiesta sull’amministrazione comunale diventa Commissario Prefettizio dopo le dimissioni del sindaco) che viene concessa per applauso con delibera di dare alle stampe la relazione del Commissario a spese del comune.

Il consigliere Caprio armando propone la cittadinanza al beneama-to duce del fascismo Benito Mussolini.Il Consiglio plaude alla proposta e l’approva per acclamazione una-nime. Si grida “viva Mussolini -eia,eia, eia, alalà”.ARCHIV

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22.07.1938:S.A.R. Umberto di Savoia a Caposele

In occasione della visita di S.a.r. a Caposele la bam-bina Gaetana Monteverde, rivolge un’affettuosa poesia al principe nei locali dove si trova oggi il bar “wake up”. tutti i giovani partecipano alla preparazione dell’evento con grande trasporto e la popolazione in festa accoglie il principe con vibrante entusiasmo.

L’articolo pubblicato sul Corriere dell’Irpinia che qui si riporta descrive i momenti salienti di quella visita.

Caposele 22.07.1938 L’ardente desiderio di questa popola-zione ripetutamente espresso è stato finalmente appagato. Il Principe di Piemonte si è degnato di accogliere l’invito fattogli da questo commissario Prefettizio a nome della popolazione e dopo aver visitati gli accampamenti militari nei vicini paesi di Calabritto e Laviano è venuto a Caposele ove tutto il popolo in festa lo ha accolto con manifestazioni di vibrante entusiasmo.

Tutte le finestre tutti i balconi del paese erano imbandie-rati, le più belle coperte policrome, i più ricchi panni e drappi erano esposti per onorare degnamente l’Augusto visitatore. In-finiti manifestini di saluto e di omaggio tappezzavano le mura e tappeti di fiori coprivano le strade ove il Principe è passato. Il principe all’ingresso del paese è stato ricevuto dalle Autorità cittadine e dal popolo festante; dopo aver passato in rassegna l’imponente schieramento di popolo e delle organizzazioni delle GIL (Gioventù Italiana del Littorio) è salito sulla casa comu-nale affacciandosi al balcone centrale per assistere alla grandio-sa manifestazione vivamente compiaciuto. Dopo aver ricevuto l’omaggio di fiori da una Piccola Italiana e da un folto gruppo

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di Massaie Rurali in costume seguito dalla folla acclamante, si è accomiatato promettendo di ritornare per onorare con la Sua Augusta presenza la prossima inaugurazione dell’acquedotto rurale per la frazione Materdomini che è in costruzione.

Il principe, prima di visitare questo capoluogo si è fermato lungamente alla Basilica di S. Gerardo Maiella, nella frazione Materdomini ricevuto dalla Comunità dei Redentoristi.

(Corriere dell’Irpinia 23 luglio 1938)

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12 febbraio 1941: OPERAZIONE COLOSSUS(Commando britannico contro l’acquedotto pugliese)

nei primi giorni di febbraio, l’undici e il dodici, per la città di avellino si sparge la voce che un commando inglese, non si capisce se sbarcato o paracadutato, ha tentato di avvelenare l’acquedotto pugliese. La questio-ne si chiarisce qualche giorno dopo grazie alle precisa-zioni del comunicato dell’agenzia di stampa Stefani e al bollettino del Quartiere Generale delle Forze armate; in effetti un commando di paracadutisti inglesi è riuscito a far brillare una mina sotto una condotta d’acqua, provo-cando però lievi danni.

al termine del conflitto, è stato possibile ricostruire dettagliatamente le vicende del raid britannico in Irpi-nia, denominato in codice Colossus, e dei componenti del Commando, designato come “X troop”.

“Il reparto era composto da 36 uomini, al comando del maggiore Trevor Pritchard, per metà genieri e da truppe scelte, addestrate ai colpi di mano; dei suddetti militari tre parlavano correttamente l’italiano: un capitano della Raf, che aveva sog-giornato a lungo in Italia, un londinese di origine italiana, Ni-col Nastri, già militare aggregato al commando per l’occasione come interprete, e un antifascista, ex cameriere d’albergo, in-ternato allo scoppio del conflitto e dichiaratosi disponibile per qualsiasi azione sulla Penisola, il fiorentino Fortunato Picchi, scelto per il medesimo motivo.

Il commando venne portato sull’obiettivo da sei aerei Whitley, messi a disposizione dalla Raf, mentre due aerei del

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medesimo modello si portavano su Foggia per un bombarda-mento, in un’azione diversiva. I velivoli, partiti da Malta tra le 17,40 e le 18, dopo aver sorvolato la Sicilia orientale e puntato la prua verso il massiccio del Vulture, arrivarono scaglionati all’appuntamento sulla condotta, che scavalca il Traggino, un affluente dell’Ofanto, nei pressi di Calitri; il primo gruppo di sei uomini si lanciò con il paracadute alle 21,42. Li seguirono gli altri aerei che scaricarono i sabotatori, i genieri e i conteni-tori con mille chili di esplosivo.

Già con l’arrivo delle prime due squadre, il tenente Deane Drummond, dopo aver raccolto gli uomini, prese l’iniziativa di inviarli a coppie a rastrellare gli abitanti delle case circostanti, che poi radunarono sotto la sorveglianza di due uomini in un solo edificio. Venne bloccato anche il capostazione di Calitri, che si avviava a prendere servizio in bicicletta nel pieno della notte.

Con l’arrivo dei ritardatari, il maggiore Trevor Pritchard contò gli uomini e si accorse che all’appello mancava il grup-po del capitano Daly, l’esperto di esplosivi che avrebbe dovuto guidare le operazioni di minamento della condotta e dei pilastri che la reggevano. La responsabilità di far saltare la condotta passò al sottotenente Paterson, del corpo dei genieri, ma con minore esperienza del suo superiore assente. In fretta si pas-sò al recupero dei contenitori di esplosivo, ricerca resa difficile dal buio e dal mancato funzionamento delle lampadine a luce intermittente che dovevano accendersi con l’impatto al suolo; infatti dei mille chili paracadutati se ne ritrovarono appena tre-centocinquanta; costituirono delle amare sorprese anche i due pilastri, che non erano in mattoni, come previsto, ma in calce-struzzo, e si trovavano nell’acqua alta e gelida per la stagione, del Traggino.

Il sottotenente Paterson decise di minare un solo pilastro e di porre una carica anche sotto il ponticello che scavalcava

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il torrente. Il lavoro di posizionamento dell’esplosivo terminò poco dopo la mezzanotte, quando, messi a riparo i genieri, si decise di far brillare le mine. Al fragore dell’esplosione fece eco subito dopo lo scroscio d’acqua che fuoriusciva dalla condotta squarciata dallo scoppio, e i militari inglesi, dopo aver accertato che la deflagrazione non aveva fatto accorrere né militari, né i contadini delle case più lontane, lanciarono tre volte il grido di hurrà, convinti di aver portato al successo la missione “Colos-sus”, nome in codice dato all’Acquedotto Pugliese.

A questo punto il maggiore Pritchard divise gli uomini in tre squadre, formate rispettivamente le prime due da undici uomini, al comando dello stesso maggiore e del capitano Lea, e di sette uomini agli ordini del tenente Iowett la terza, con l’intento, come era previsto nel piano, di dirigersi scaglionati, per avere più possibilità di sfuggire alle ricerche, alla foce del Sele, dove per due giorni avrebbe stazionato il sommergibile Triumph per raccoglierli; inoltre lasciò di sentinella il caporale Boulter (che si era spezzato la caviglia nell’impatto troppo ve-loce con il terreno e non poteva camminare), con l’incarico di bloccare la fuga dei contadini raccolti nel casolare, ed impedire così che dessero subito l’allarme.

Il compito era abbastanza facile perché nel casolare con gli uomini c’erano anche donne e bambini. Il primo gruppo arrivò solo nei pressi di Teora, dove, imbattutosi in contadini, si rifu-giò in una grotta; per primo li bloccò un intrepido cacciatore, Rocco Renna. Poco dopo, assediato da numerosi contadini e da una pattuglia di carabinieri, preferì saggiamente di arrender-si. In questo primo gruppo si trovavano anche l’italo-inglese Nicol Nastri e l’antifascista di nazionalità italiana Fortunato Picchi. Il secondo gruppo agli ordini del capitano Lea, aveva raggiunto il Sele e ne stava seguendo il corso, quando si imbat-té in civili e militari che lo cercavano; non aveva scampo e capi-tolò. Intanto il caporale Boulter non era riuscito ad impedire la

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fuga del capostazione che, calatosi da una finestra retrostante la casa, con la bicicletta aveva raggiunto la stazione di Calitri e dato l’allarme.

Il terzo gruppo, al comando del tenente Iowett, era quasi arrivato alla foce del Sele quando si trovò circondato da civili e qualche militare; e all’ordine di arrendersi, rispose sparando. Due persone rimasero uccise e quattro ferite. Gli uomini e le donne inferociti li disarmarono e stavano per fucilarli sul posto, quando provvidenzialmente arrivò una compagnia dell’eserci-to che li sottrasse alla pur giusta indignazione dei contadini.

Il mattino del 13 febbraio i 19 uomini del commando “X Troop” vennero portati alla stazione di Calitri per essere con-dotti a Napoli sotto scorta e rinchiusi nel carcere di Poggiore-ale; lì si riunirono al caporale Boulter e al gruppo del capita-no Daly, che per errore era stato paracadutato tre chilometri lontano dal punto convenuto, e il giorno dopo, sfinito dalla stanchezza, si era arreso ad una pattuglia dell’esercito. Nelle carceri di Poggioreale iniziarono subito gli interrogatori dei prigionieri e sia Nastri che Picchi vennero immediatamente identificati, nonostante avessero fornito false generalità; ma mentre a Nicol Nastri venne riconosciuta la nazionalità britan-nica, Fortunato Picchi, come italiano in armi contro il proprio Paese, fu processato per alto tradimento e condannato a morte. La sentenza venne eseguita la domenica delle Palme del 1941, correttamente secondo le leggi internazionali, ma iniqua per la palese sproporzione tra il reato consumato e la pena, peraltro perpetrata nel giorno sbagliato.

I ventotto componenti il commando vennero rinchiusi nel campo di concentramento di Sulmona, dove rimasero fino al conflitto. Gli inglesi inizialmente erano convinti che il colpo di mano fosse fallito, perché da ricognizioni fatte da aerei e dalle fotografie effettuate dall’alto la condotta appariva integra. Gli esiti reali li appresero dai comunicati della Stefani, l’ANSA

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dell’epoca, e dai Bollettini del Quartiere Generale dell’Esercito, che denunziarono l’esatta entità del danno provocata dall’esplo-sione, danno che venne riparato immediatamente, senza che la Puglia rimanesse nemmeno un minuto priva del prezioso liquido. La stampa e i comandi militari inglesi, ritenendo che i comunicati italiani minimizzassero volutamente i danni per non avvilire l’opinione pubblica, esaltarono l’impresa facendo-ne un’epopea.

Da allora sino ad oggi sono stati pubblicati diversi libri, che ancora propongono una epica versione della vicenda. L’allo-ra tenente Deane Drummond, che fece carriera fino a diventare generale di brigata, su quell’avventura scrisse un libro, “Re-turn Ticket”, cioè “Biglietto di Ritorno”, pubblicato nel 1952 per l’editore Collins, in cui sosteneva che il commando aveva fatto saltare l’Acquedotto Pugliese.

C’è da ricordare che il secondo aereo Whitley, bimotore da bombardamento, che doveva effettuare un’incursione su Fog-gia, fu costretto ad un atterraggio forzato proprio alla foce del Sele, per i danni riportati da un colpo dell’artiglieria contraerea di Battipaglia, secondo il Bollettino n° 249 delle Forze Armate Italiane, per noie ai motori a dire dalla RAF.

Nelle intenzioni della stato maggiore inglese la distruzione completa di un tratto dell’Acquedotto Pugliese avrebbe dovuto conseguire due scopi: creare un grande disagio con la mancan-za di acqua potabile nelle provincie pugliesi, che costituivano le immediate retrovie del fronte greco-albanese, già sull’orlo del collasso; infatti solo il sei aprile truppe naziste evitarono all’Italia fascista di precipitare nel ridicolo, dopo la perentoria quanto inane minaccia di Mussolini: “Spezzeremo le reni alla Grecia!”.

Come secondo obiettivo il raid inglese si prefiggeva di non fare arrivare rifornimenti idrici ai porti di Bari e Brindisi, dove le navi cisterna italiane si rifornivano per soddisfare il bisogno

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vitale di acqua dei trecentomila soldati che combattevano in Libia.

In conclusione, si deve dire che se il commando inglese non riuscì negli scopi prefissati, comunque provocò, soprattutto nella popolazione meridionale, una diffusa psicosi da paraca-dutisti, e poi dimostrò a tutta l’opinione pubblica la vulnera-bilità del territorio nazionale, aperto a tutte le incursioni, non solo per la debolezza delle forze armate ma in particolare per l’enorme estensione delle coste”.

(vittorio Sellitto, eConoMIa IrPIna,anno XXXvII -n. 3-4-1999)

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30 gennaio 1944:Morte di Donna Alfonsina Santorelli

La famiglia Santorelli, molto pia e religiosa, ha man-tenuto sempre buoni rapporti con i Padri redentoristi, vero è che un Santorelli medico, nonno di nicola, si prendeva cura della salute di Gerardo, fratello redento-rista, oggi acclamato Santo, e che nei registri parrocchia-li si trova anche annotato che alla morte, i Santorelli, benché vivessero a Caposele, venivano seppelliti nella chiesa di Materdomini.

L’ultima dei Santorelli, donna alfonsina, nipote del famoso dott. nicola Santarelli, autore del libro “Il fiume Sele e i suoi dintorni”, è morta proprio a Materdomini nella casa sita alla via Santuario, poi lasciata in eredità ai Padri redentoristi e ancora oggi individuata come casa Santorelli.

alla sua morte il Corriere dell’Irpinia pubblica un ar-ticolo che qui si riporta per proporre a tutti l’esempio di una vita interamente vissuta nella fede.

Materdomini. Il 30 gennaio 1944 si spegneva a Materdo-mini nella tarda età di 88 anni, la preziosa esistenza della N.D. Alfonsina Santorelli nipote del celebre patologo dello Studio Medico Salernitano. La sua vita, splendente in virtù e d’eroi-smi, ha creato dopo la sua morte, nella coscienza di coloro che la conobbero in vita, un monumento di imperitura bellezza.

Tutti ricordano ancora la mite vergine della Valsele, av-volta nelle penombre dell’umiltà e della modestia: il modello di un’attività spirituale e materiale tutta dedita all’esercizio

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esteriore di carità, il tipo della donna forte: costante nella fede, esemplare nei costumi, prontissima nei doveri cristiani.

Bimba privilegiata, nei suoi primi albori, non vide che il cielo, non conobbe che Iddio.

Il suo tramonto fu simile all’alba: radioso e sereno. Appena spirata, il popolo accorse in folla a visitare la sua salma.

I due funerali, celebrati a Materdomini e Caposele, furono trionfali.

Al cimitero, prima della inumazione, i vestiti della defunta furono letteralmente tagliuzzati dai fedeli e conservati come reliquie.

Possa da quella tomba germinare una fioritura di grazie, che preparino la grande ora della Provvidenza, indicando al mondo, aureolata della gloria dei Santi, la casta eroina della Valsele.

(Cellino Belfiore)

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29 dicembre 1945:Crollo di una vecchia casa

alla fine della seconda guerra mondiale Caposele ha un patrimonio edilizio poco curato, questo perché la povertà non permette nemmeno di eseguire le riparazi-oni più necessarie. In tal quadro le intense piogge del dicembre 1945 provocano il crollo di una casa seppel-lendo una donna. L’evento è così riportato sul Corriere dell’Irpinia.

Caposele. Al rione Castello vi è un vicolo cieco, composto di poche case dirute, che ebbero già molto a soffrire nel periodo bellico.

Sull’imbrunire del 29 dicembre, una di queste catapecchie crollò trascinandosene altre tre e seppellendo sotto le macerie la ventenne Giovannina Iannuzzi di Raffaele.

Accorsero il Commissario Prefettizio dottor Del Tufo col Segretario Comunale dr. Carfagno, il Maresciallo Fiorito e moltissimi cittadini. Dopo due ore di febbrile lavoro fu tratta dalle macerie la povera Iannuzzi già cadavere. Gli ingegneri del Genio Civile di Avellino hanno ordinato l’abbattimento di tutte le altre case pericolanti e tuttora si procede alla demolizione.

(dal Corriere dell’Irpinia - dicembre 1945)ARCHIVIO

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“…pensando a mio nonno, credo che lui abbia avuto il destino ingrato di tutta la sua

generazione e di molte altre, quello cioè di doversi sobbarcare per intero il carico della fatiche

e delle mille battaglie combattute nel nome di tutti. Lui, insieme a tanti altri, ha dovuto assumere sulle proprie spalle un fardello pesantissimo e

se molti di noi non hanno mai conosciuto la guerra a mai la conosceranno

è solo per il loro sacrificio e il loro esempio”.

(da “Quel che rimane” di antonio ruglio)

FerItI, CadUtI e deCoratI dI GUerra

ogni guerra, combattuta per qualsiasi ragione, è sempre una tragedia perché costringe l’uomo a privar-si della sua umanità e a diventare un crudele animale. Se da una parte il mondo è tanto cambiato, l’evoluzione psichica dell’uomo non ha fatto grandi progressi.

Inalterata è rimasta la sua capacità di resistere alla psicosi dell’odio, della sopraffazione e della distruzione. e questo continua a generare sempre nuovi conflitti che immancabilmente si risolvono quasi sempre con le armi. e’ la strada più spiccia, per la quale in ogni modo si paga un prezzo molto alto, che sconvolge intimamente la psi-che dell’uomo fino, a volte, a farlo impazzire.

e’ cronaca di questi giorni di soldati americani rien-

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trati dai luoghi di guerra come l’Iraq e l’afganistan che non riescono a ritornare a vivere la loro normalità.

Le generazioni, come la mia, che hanno avuto la for-tuna di non essere coinvolti in grandi conflitti come le guerre mondiali combattute dai nostri avi, devono es-sere grati a chi ha lasciato la propria vita sui campi di battaglia col pensiero rivolto lontano ai propri cari, alla propria casa.

e queste pagine su cui si riportano i loro nomi de-vono tramandare alla memoria dei giovani caposelesi il coraggio ed il triste destino dei compaesani, vittime della barbarie scatenata dall’uomo.

PrIMa GUerra MondIaLe

Morti:

CaPrIo erneSto fu Camillo e Sepe Giuseppina, stu-dente di ingegneria, Sottotenente nel 40° artiglieria. Morto a S. Iacobbe (quota 693) il 25 giugno 1915,in segui-to a ferite.

CarUSo nICoLa di Salvatore e Colatrella Maria anto-nia, contadino, nato il 27 febbraio 1883, Soldato nel 15° Bersaglieri. Morto nell’ospedale da campo 053 il 12 di-cembre 1916, in seguito a ferita al capo.

CaSaLe PaSQUaLe enrICo di angelomaria e Malan-ga antonia, contadino, nato il 14 aprile 1892, Soldato nel 1° Genio. Morto a val Piana il 28 dicembre 1917, in segui-to a ferita di granata all’addome.

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CetrULo raFFaeLe di alessio e tobia Grazia, conta-dino, nato il 29 agosto 1915, Soldato nel 157° Fanteria. Morto a Monte virsic il 20 agosto 1915, in seguito a ferita d’arma da fuoco.

CetrULo vInCenZo di Gaetano e turo rosaria, con-tadino, nato il 21 marzo 1885. Sergente nel 153° Fanteria. Morto il 22 agosto 1917, in seguito a ferita di granata alla regione lombare.

CUrCIo SaLvatore di Giovanni e Carrione Serafina, contadino, nato il 24 dicembre 1883, Soldato nell’8° alpi-ni. Morto nell’ospedale di Marano vicentino il 5 agosto 1918 in seguito a pleuro polmonite.

daMIano roCCo di antonio e fu Paulercio Celeste, contadino, nato il 22 gennaio 1881, Soldato nella 10ª Compagnia di Sanità. Morto all’ospedale militare di avellino il 27 luglio 1918, in seguito a tubercolosi.

FarIna Gerardo di rocco e russomanno Grazia, contadino, nato il 20 agosto 1894, soldato nel 93° Fante-ria. Morto all’ospedale militare di avellino il 29 maggio 1916, per malattia contratta in servizio.

FarIna PIetro fu Incoronato e d’auria Concetta, cal-zolaio, nato il 27 febbraio 1887, Soldato nel 10° Fanteria. Morto a Monte Cappuccio il 29 giugno 1916, per intossi-cazione da gas asfissiante.

FarIna toMMaSo di Salvatore e nisivoccia anna Maria, falegname, nato il 20 dicembre 1891, Soldato di Fanteria. Morto nel manicomio di nocera Inferiore il 25 febbraio 1918.

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GervaSIo roCCo di Giuseppe e russomanno Maria, contadino, nato il 2 novembre 1893, Soldato nel 37° Fan-teria. Morto a Zangara il 5 marzo 1916, in seguito a feri-ta.

MaGLIa eManUeLe di Carlo e Marsico Carmela, mi-natore, nato il 1889, Soldato nel 1° Granatieri. Morto a Caposele il 25 novembre 1915 in seguito a bronco alveo-lite.

MaLanGa GIUSePPe fu alfonso e di Casale Girolama, contadino, nato il 25 gennaio 1886, Soldato nel 56° Ber-saglieri. Morto sul Monte S. Michele il 24 ottobre 1915, in seguito a ferita d’arma da fuoco.

MaLanGa raFFaeLe fu alfonso e Ceres elisabetta, contadino, nato il 27 ottobre 1883, Soldato nel 125° Fan-teria. Morto a Monte Interrotto il 26 luglio 1916, in segui-to a ferita.

MaLanGa SaLvatore fu alfonso e Casale Girolama, contadino, nato il 13 febbraio 1891, Soldato nel 136° Fan-teria. Morto a Monte Scibusi l’8 agosto 1915, in seguito a scoppio di granata.

MeroLa Gerardo di Michele e Farina Maria nicola, contadino. Morto nell’ospedale da campo n°060 il 7 ago-sto 1917, in seguito a ferite per scoppio di bombe.

MeroLa MICHeLe di alfonso e La Fera Filomena, con-tadino, nato il 2 ottobre 1879, Soldato nella 13ª Sezione di sussistenza. Morto nell’ospedale di durazzo il 10 ottobre 1918 per tetano.

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MeroLa SaLvatore di Ferdinando e Malanga alfon-sina, calzolaio, nato il 1° gennaio 1897, Caporal Maggiore 28° reparto d’assalto. Morto nelle vicinanze di romanzio-li il 30 ottobre 1919, in seguito a ferita d’arma da fuoco.

PaLLante SaLvatore di alfonso e russomanno Ma-ria antonia, contadino, nato il 14 aprile 1890, Soldato nel 64° Fanteria. Morto sul Monte Scibusi il 1° agosto 1915, per ferita alla fronte.

PetrUCCI GIovannI fu daniele e Farese Giuseppa nato il 4 settembre 1885, Capitano medico nel 91° fante-ria. Morto nell’ospedale da campo n°61 presso S. apolli-nare (treviso) il 29 novembre 1917, in seguito a ferita di granata. decorato.

roSanIa GIUSePPe di alfonso e Salvatoriello agata, contadino, nato il 13 marzo 1886, Soldato nel 216° Fante-ria. Morto all’ospedale da campo n°60 il 4 giugno 1917, in seguito a cancrena per ferita alla coscia.

rUBIno PIetro fu Ignazio e Lacialmella Grazia, capo cantiere, nato il 26 maggio 1881, Sergente Maggiore nella 122ª compagnia Zappatori. Morto a Zagara il 3 agosto 1917, per ferite di granata. decorato.

SantaMarIa Gerardo di Francesco e Maria Conforti, saponaro, nato il 1° novembre 1895, Soldato nel 139° fan-teria. Morto all’ospedale da campo n°148 il 6 giugno 1916, per ferita di pallottola alla regione sopraclavicolare.

StUrCHIo raFFaeLe di Giuseppe e Ciccone teresa, contadino, nato il 4 giugno 1891, Soldato di fanteria.

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Morto a Caposele il 30 marzo 1918, in seguito all’ampu-tazione di ambo le gambe.

vetroMILe Gerardo di nicola e Mattia Maria nato il 29 marzo 1896, Soldato nella Compagnia radiotelegra-fisti volontari italiani. Morto per tifo nell’ospedale mili-tare di tripoli il 20 novembre 1916.

roMano FILIPPo morto per malattia contratta in guerra nel 1918.

Mutilati, invalidi e feriti:

CaPrIo aLFonSo di Giuseppe e Malanga Giovanni-na, Sottotenente nel 132° Fanteria ferito al basso ventre e mutilato di un piede. decorato

CaPrIo doMenICo di Salvatore e donatiello elisa, nato il 6 novembre 1894, tenente nel 79° Fanteria. Ferito all’avambraccio destro. decorato.

CUoZZo vInCenZo di Lorenzo e Cuozzo anna, nato il 18 settembre 1892, Sergente Maggiore nel 157° Fante-ria. Monco della mano destra. decorato.

Freda GIovannI di angelo e Pizza Giovannina, nato il 29 gennaio 1894, tenente nel 73° Fanteria. Ferito al braccio destro e al petto.

ILarIa PaSQUaLe di Michele e Cioffari antonia, nato il 10 maggio 1891. Sottotenente nel 39° Fanteria. Mutilato dell’occhio sinistro. decorato.

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MeroLa aLFredo di Pietro della classe 1882, Soldato nel 1° Granatieri. Invalido di guerra per tubercolosi.

StUrCHIo roCCo di Giovanni della classe 1895, Sol-dato nell’8° Bersaglieri. Mutilato del braccio destro.

Motivazioni per i decorati:

CaPrIo aLFonSo Sottotenente (Ferito). Medaglia di bronzo (d.L. 25 luglio 1918)Inviato col plotone di rincalzo di una compagnia rima-sta priva di ufficiale, rianimava i soldati, rimettendo in funzione una mitragliatrice e dando prova di calma, di coraggio e di iniziativa. Peteano 31 ottobre 1915.

CaPrIo doMenICo tenente (Ferito). Medaglia di bronzo (r.d. 8 aprile 1920)Comandante di una compagnia, in difficili condizioni, con calma, fermezza e coraggio, tenne saldi sulle posi-zioni i suoi uomini durante un attacco a fondo di forze avversarie preponderanti, sotto violento bombardamen-to, effettuato anche con gas venefici, e sotto il tiro di mi-tragliatrici nemiche che producevano ingenti perdite nel suo reparto, finché sopraffatto e ferito cadeva prigionie-ro. velika (altopiano di Bainsizza) 25 ottobre 1917.

CUoZZo vInCenZo Sergente Maggiore (Ferito). af-frontava risolutamente e volontariamente una pattuglia nemica di cinque uomini riuscendo da solo a metterla in fuga, dopo averne ferito gravemente e fatto prigioniero il comandante. distintosi già altre volte per atti di valori. vollastaro 10 giugno 1916.

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Freda Gaetano di angelo e Pizza Giovannina nato il 10 luglio 1892. Sottotenente nel 2° Genio. Medaglia di bronzo (d.L. 13 marzo 1917)durante due giornate di un violento bombardamento, si adoperava molto efficacemente con la propria squadra, alla riattivazione delle comunicazioni telefoniche, per-correndo e soffermandosi più volte in zone intensamen-te battute dal fuoco nemico di artiglieria e mitragliatrici, dando bell’esempio di profondo sentimento del dovere e di sprezzo del pericolo. Monte Cavetto 15-16 giugno 1916.

ILarIa PaSQUaLe, Sottotenente (Ferito). Medaglia di bronzo al valor militare (d.L. 16 novembre 1916)adempì costantemente e con esemplare fermezza il pro-prio dovere tutte le volte che il reggimento fu impegnato in prima linea, uscendo dalla trincea per dirigere pat-tuglie in difficili ricognizioni ed esponendosi coraggio-samente ad ogni sorta di pericoli, fino al giorno in cui dovette lasciare il reggimento per una ferita che gli pro-dusse la perdita di un occhio. Sabatino 29 aprile 1916.Ilaria Pasquale fu Michele e della fu antonietta Cioffari, nato in Caposele (av)diplomato geometra fu perseguitato dal fascismo ed allontanato dall’esercito dove prestava servizio attivo come tenente colonnello.MaLanGa PaSQUaLe di Francesco e Merola angioli-na nato il 21 novembre 1892. tenente nel 3° artiglieria di campagna. Medaglia di bronzo (r.d. 7 settembre 1919).durante un’azione di fuoco della batteria, rimasto grave-mente ferito il proprio comandante con un altro ufficiale e con parecchi militari di truppa, assunto prontamente il comando del reparto, con l’esempio della propria calma

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e del proprio valore ristabiliva prontamente l’ordine e, sempre sotto il tiro nemico, riprendeva l’azione di fuoco già iniziata dal suo comandante. Montello 19-23 giugno 1918.

Patrone aMato di antonio e Giardiniello rosina, nato il 25 novembre 1891, Soldato nel 3° Genio telegrafi-sti. Medaglia di bronzo (d.L. 25 giugno 1916).durante bombardamenti notturni, sprezzante del peri-colo, provvedeva, quale guardafili al riattamento di li-nee telefoniche sotto il fuoco dell’artiglieria nemica, me-ritandosi l’ammirazione dei compagni che ne seguivano l’esempio. Monfalcone 25-27 settembre 1915.Medaglia di bronzo (d.L. 3 dicembre 1916).Incaricato della sorveglianza dei guardafili, bello esem-pio di fermezza e coraggio recatosi più volte a riparare linee ed a stenderne delle altre sotto il violento fuoco nemico. essendo stato ferito un suo compagno, sotto il fuoco lo raccoglieva e lo trasportava al posto di medi-cazione, tornando poi a riparare una linea. Monfalcone 15-16 maggio 1916.

PetrUCCI GIovannI Capitano medico (Morto) Me-daglia d’argento (d.L. 18 settembre 1918)durante due giorni d’intenso bombardamento, in un posto di medicazione soggetto al tiro di artiglieria, con animo serenamente calmo, con lena ammirevole e con sprezzo del pericolo, attendeva alla sua opera, medican-do e sgombrando numerosi feriti che incessantemente affluivano dalle linee di combattimento. Fulgido esem-pio di coraggio e di alto sentimento del dovere, ferito gravemente, moriva nell’ospedale da campo.Monte la Catella 19-20 novembre 1917.

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rUBIno PIetro, Sergente Maggiore (Morto). Meda-glia d’argento (r.d. 25 agosto 1919)Comandava il proprio plotone allo stendimento di un reticolato durante un’azione di sorpresa, era di mirabile esempio per atti civili, calma e coraggio. In una delle not-ti successive, mentre compiva l’opera di rafforzamento, sferratosi un attacco nemico prendeva parte valorosa-mente al combattimento, impegnatosi e colpito a morte cadeva incitando fino all’estremo i suoi soldati e mante-neva la posizione. Britto 31 luglio 1917.

SISta Gerardo di Lorenzo e Mollica Caterina nato il 10 settembre 1896, Sergente nel 215° fanteria. Medaglia d’argento (r.d. 4 gennaio 1920)Sempre primo in ogni circostanza dove vi fosse maggio-re bisogno di coraggio e di ardimento. da solo penetrava in una galleria catturando prigionieri e materiali. risolu-tamente si lanciava contro una posizione nemica difesa da numerosi mitragliatrici ed impediva la fuga a nuclei nemici che tentavano ritirarsi. esempio ai soldati di ardi-re e disprezzo del pericolo.val delle Zocche, 29 ottobre. Col Collesci, 31 ottobre 1918.

SeConda GUerra MondIaLe

Feriti, morti, dispersi:

aUrIeMMa SaLvatore di antonio nato a Caposele il 1922, marinaio, disperso in data 09.09.1943 a seguito

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dell’affondamento della r. nave roma. riceve diploma relativo ad encomio solenne, pubblicato al Bollettino d.v. n.106 allegato 1 in data 24.09.1946 e recante n. d’or-dine 669.

CaPrIo LorenZo fu Lorenzo. Colonnello caduto a Gondar luglio 1941. riceve la medaglia d’argento al valor militare con Bollet. Uff. 1947 dispensa 18 con la seguente motivazione: Comandante di Battaglione effettuava un ripiegamento superando forti difficoltà e vincendo, per diversi giorni, la resistenza avversaria. Schierato il suo reparto manteneva la linea per lungo periodo di tempo, opponendosi accanitamente all’attacco dell’avversario. Mentre, rotto il contatto, si accingeva a raggiungere nuo-ve posizioni, veniva attaccato a tergo da rilevanti forma-zioni ribelli; incurante di ogni pericolo, con calma e peri-zia, guidava egli stesso la retroguardia finchè il piombo nemico ne stroncava la nobile esistenza. Bello esempio di coraggio e di alto sentimento del dovere. ambò.Mon-te amara.(Lechemtì) 5 aprile-5 giugno 1941.

CarUSo anGeLoMarIa nato a Caposele l’11. 12.1914, soldato, scomparso in occasione di un intervento milita-re a rodi-egeo dal 25.01.1944.

CaSaLe SaLvatore di raffaele nato a Caposele il 22.02.1916, già segnalato disperso in occasione del com-battimento avvenuto il 18.12.1942 in russia, rimpatriato dalla prigionia in russia il 17.12.1945.

CaSCIano Gaetano di Giuseppe classe 1920, dece-duto il 9.06.1943 per deperimento organico nella Mace-donia occidentale (Grecia).

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CereS PaSQUaLe di Pietro nato a Caposele il 8.04.1908, soldato, scomparso in occasione del combattimento del 16.02.1943 in Croazia.

CHIaravaLLo nICoLa di alfonso nato a Caposele l’1.03.1923, soldato, deceduto il 2.02.1944 in prigionia in Germania.

CIBeLLIS nICoLa di rocco nato a Caposele il 20.11.1915. soldato diede le sue ultime notizie il 25.12.1943, tramite la Croce rossa. Sotto tale data deve ritenersi disperso mentre si trovava prigioniero dei tedeschi ed internato in Grecia.

CICCone FranCeSCo fu Francesco, nato a teora il 25.10.1910 Caporale Maggiore, morto nell’ospedale da campo n. 341 in Grecia il 25 luglio 1943.

CICCone vInCenZo di Pasquale nato a teora il 9.09. 1916, soldato, disperso.

CoLatreLLa SaLvatore di rocco, soldato, scompar-so in mare il 2.12.1942 nel canale di Sicilia.

CoLatreLLa vIto di Francesco, soldato, disperso dal 29.05.1942.

CordaSCo antonIo fu Gerardo, soldato, disperso dal 4.11.1942.

CoZZareLLI donato fu Salvatore, classe 1909, di-sperso nel gennaio 1943.

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CUoZZo MICHeLanGeLo di angeloMaria, nato a Caposele l’8.05.1919, soldato, deceduto il 06.04.1943 nella zona di Fatnassa in seguito a sfracellamento da granata nemica, sepolto nella zona di Fatnassa.

CUratoLo anGeLoMICHeLe di antonio nato a Quaglietta il 6.09.1914, fante, morto in seguito a ferite alla schiena da mitragliatrice aerea nemica il 2.02.1941.

CUrCIo antonIo di Giuseppe nato a Caposele il 6.01.1909, soldato, disperso dal 25.01.1943 sul medio don (russia).

dattoLI SaLvatore fu orlando e Gizzi Pasqualina, nato a Caposele l’1.01.1920, sergente maggiore morto in combattimento in russia il 21.11.1942.

d’eLIa Leonardo di Luigi, disperso dal 25.01.1943 in russia.

del MaLandrIno GIUSePPe soldato, disperso dal 5.02.1941.

del GUerCIo GIUSePPe di Gerardo classe 1921, solda-to, deceduto sul fronte russo il 21.01.1943.

FarIna Gerardo di Lorenzo, soldato, disperso dal 29.05.1942.

Ferrara vInCenZo di Pasquale nato a teora il 14. 11.1919, soldato, disperso sul fronte russo il 19.01.1943.

GaLdI vInCenZo di alfonso nato il 18.06.1911, solda-

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to, deceduto in un campo di prigionia al villaggio Her-bia (Palestina) il 25.01.1945, in seguito a ferite d’arma da fuoco alla tempia. Sepolto al cimitero militare ramlech (Palestina) Quadr. 14 fila B. tomba 8 il 28.01.1946.

GervaSIo aMato di Giuseppe classe 1924, deceduto il 23.07.1944 in prigionia in Germania per malattia.

GervaSIo antonIo di Giuseppe, soldato, disperso dal 16.07.1942.GIoLIttI vItaLe nato a Caposele il 3.09.1911, soldato, disperso dal 5.02.1941 durante i fatti d’armi di agedabia (Cirenaica).

GraSSo GIUSePPe di Pasquale nato a Caposele il 10.02.1922, soldato, scomparso in occasione del combat-timento avvenuto nel dicembre 1942 in russia.

LUonGo CarMIne di Francesco classe 1911, soldato, deceduto in combattimento il 12.12.1942 in russia.

LUonGo FeLICe di Pietro classe 1921,soldato, dece-duto in combattimento il 17.07.1942 sul fronte della Ci-renaica.

LUonGo SaLvatore fu Felice, soldato, deceduto il 23.01.1941Il Corriere dell’Irpinia del 22.02.1941così scriveva:Caposele 21. E’ caduto sul fronte greco, in seguito a ferite il giovane fante Salvatore Luongo fu Felice, della classe 1916, nativo del limitrofo comune di Teora e qui residente, con la famiglia, da vari anni.Questo paese che lo annovera tra i suoi figli prediletti, ha ap-

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preso la notizia con la fascista fierezza ed ha inciso il suo nome dopo quello degli altri due Caduti, nei cuori di tutti e nel mar-mo che ricorderà alle generazioni future la giovinezza immola-ta per la grandezza della Patria. La partecipazione dell’eroica morte è stata fatta alla madre ed ai congiunti con espressioni di fraterna ed affettuosa solidarietà da questo Podestà che, in-sieme con le altre autorità del luogo, si è recato espressamente nella lontana contrada ove abita la famiglia Luongo.

MaLanGa GeLSoMIno di Carmine nato a Caposele il 17.04.1911, disperso in russia il 18.12.1942.

MaLanGa Gerardo di Carmine classe 1917, morto nell’ospedale militare di asti il 11.02.1943.

MaLanGa Gerardo di antonio, aviere di governo, deceduto il 06.08.1941 alla stazione ferroviaria di rho in seguito ad incidente occorsogli mentre si recava in licen-za.

MaLanGa LorenZo fu Leonardo nato a Caposele il 03.12.1920, carabiniere, scomparso a seguito all’affonda-mento della motonave neptunia il 18.09.1941.

MartIno vIto di raffaele nato a teora il 13.10.1921 soldato, scomparso in russia nel 1942.

MeroLa aLFonSo di donato nato a Caposele il 13.02.1918, soldato, deceduto il 5.12.1040 ad alì ralabà per ferite nell’ospedale da campo 576.

MeroLa Gerardo di donato, Geniere, disperso dal 14.04.1941.

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MeroLa Gerardo fu vincenzo nato a Caposele il 14.03.1912, già segnalato disperso, poi risulta vivente e residente in Stoccarda (Germania).

MeroLa GIovannI di alfonso nato a Caposele il 21.07.1920 deceduto in rimini il 28.09.1943 per malattia.

MeroLa MICHeLe di vincenzo classe 1916,deceduto il 30.12.1940 per ferite in albania.

nISIvoCCIa Gaetano fu emilio nato a Caposele il 02.10.1919, deceduto in africa settentrionale per ferite il 28.05.1942.

PaLLante CaSIMIro di Pietro, nato a Caposele il 06.08.1920, caporale maggiore, scomparso a Creta in con-seguenza degli eventi bellici dell’armistizio il 31.08.1943.

PaLLante vIto di Pietro, aviere allievo motorista, ap-partenente alla 277ª squadriglia, caduto in combattimen-to aereo a Presbari (albania) il 3 dicembre 1940.

PaLMIerI GIUSePPe di Paolo, soldato, morto nel 1942.roSanIa CoSIMo di raffaele nato a Caposele il 30.10.1908, soldato, scomparso il 22.12.1942.

rUGLIo aLFonSo soldato, deceduto nel combatti-mento del 15.07.1941, in seguito a ferita d’arma da fuoco alla testa e all’addome e sepolto nel Montenegro, Xan Masanovica, in un cimitero provvisorio di guerra, tomba n. 14.Corriere dell’Irpinia del 25.08.1941Caposele, 24.

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E’ caduto da prode, in combattimento sul fronte albanese il gio-vane Alfonso Ruglio. Questo suo paese ha appreso la notizia con fiero dolore ed ha inciso il suo nome a caratteri di fiam-ma, accanto ai nomi degli altri sette caduti dell’attuale grande guerra.Il contributo di sangue, notevolmente alto, che questo picco-lo paese rurale ha dato finora a questa guerra di giustizia e di civiltà, costituisce un titolo un privilegio ed orgoglio. Sono stati celebrati oggi solenni funerali con la partecipazione delle autorità cittadine, delle organizzazioni del regime e dei reparti militari in armi.Alla madre, alla giovane moglie ai due teneri figlioletti ed alle sorelle, che hanno offerto in olocausto alla Patria tutto quanto avevano, giunga la parola di conforto e l’espressione dell’affet-tuosa solidarietà di tutti i concittadini.

rUGLIo GIUSePPe di Carmine, soldato, disperso dal 6.11.1942.

SaBatIno GIUSePPe di Pietro, caporale, scomparso il 24.05. 1941 in seguito all’affondamento del piroscafo Conte rosso. SaLvatorIeLLo GIUSePPe soldato, morto in Cire-naica il 13.02.1943.

SoZIo antonIo di Salvatore soldato, deceduto il 22. 01.1941 in albania.

SoZIo LorenZo fu Giovanni nato a Caposele il 21.11.1913, già segnalato disperso, rimpatriato dalla pri-gionia Marocco Francese il 4.03.1946.

SoZIo vIttorIo fu donato, Sergente, scomparso il

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24.05.1941 in seguito all’affondamento del piroscafo Conte rosso.

vItIeLLo eUGenIo nato a Caposele il 29.03.1922, ca-poral maggiore, deceduto presso l’ospedale militare di Caserta il 7.10.1942.

Partigiani:

CaPrIo aLFonSo, di Giuseppe e Giovanna Malanga; nato il 15/9/1893 a Caposele (av). nel 1943 residente a Gradisca d’Isonzo (Go). Licenza elementare. Fu mem-bro del CUMer. riconosciuto partigiano dall’1/10/43 alla Liberazione.

CaPrIo GIUSePPe, di alfonso e Carmelina d’auria; nato l’1/1/1926 a Gaeta (Lt). nel 1943 residente a Gradi-sca d’Isonzo (Go). Studente. Fu attivo nel CUMer. ri-conosciuto patriota.

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Anno 1970: cittadinanza onorariaall’avv. Vincenzo Caruso da Trani

Uomo di grande sensibilità, militante da giovane nel partito socialista in difesa sempre di una giustizia socia-le più equa per i suoi conterranei e per tutti i lavoratori d’Italia. Secondo me unico uomo di Puglia che, in più di un secolo di trasferimento delle acque delle nostre sor-genti, ha manifestato senso di gratitudine e riconoscen-za verso Caposele la generosa.

Il suo destino si intreccia con quello del nostro pa-ese negli anni sessanta, allorquando facendo parte del Consiglio dell’ente autonomo acquedotto Pugliese egli deve interessarsi della lite fra il nostro Comune e l’ente di cui faceva parte; la questione - ricorderete - si trascina-va dal 1940, anno in cui erano state incanalate nel “fiu-me sotterraneo“, che vedeva e vede di nuovo la luce in terra di Puglia, i restanti 363 l/s di acqua destinati con la convenzione siglata nel 1905 ai fabbisogni civili e indu-striali di Caposele.

all’epoca un accordo stipulato in Prefettura pre-vedeva, tra l’altro, un ristoro economico stimato in L. 1.500.000 da versare al comune di Caposele prima della presa dell’acqua.

nei fatti, però, si incanalava l’ulteriore prelievo d’ac-qua senza attuare quanto stabilito nell’accordo. a Capo-sele non restava che chiedere l’attuazione delle condi-zioni stabilite nel patto siglato.

Il consiglio dell’e.a.a.P. con la solita noncuran-za nei confronti dei soggetti deboli contrastava in vari

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modi l’istanza, più volte ripetuta, dagli amministratori dell’epoca.

Solo di fronte ad azioni legali cominciava a dare ri-sposte anche se insoddisfacenti e dichiarava di non vo-lere assolutamente rivalutare la somma pattuita nel 1942 e mai versata nelle casse comunali.

Sul finire degli anni sessanta il consigliere Caruso, anche se isolato, si batte, affinché vangano riconosciuti i diritti dei Caposelesi. Quando alla fine la spunta si trova-no le condizioni necessarie per la sigla dell’accordo del 1970, e si pone fine a decine di anni di lite. riconoscente, l’amministrazione comunale di Caposele conferisce la cittadinanza onoraria1 al benemerito avvocato Caruso e questi negli anni mantiene sempre vivi i rapporti e l’af-fetto con il nostro Comune fino agli ultimi giorni in cui lui ci lascia per sempre.

Poco prima della sua dipartita, sebbene sofferente, egli si fa accompagnare dai familiari a Caposele, prende alloggio in un albergo di Materdomini per trovare mo-tivo di consolazione ed incontrare amici ed amministra-tori. Quale prova migliore del suo amore per il nostro paese?

al suo funerale la cittadinanza partecipa in forma uf-ficiale col gonfalone listato a lutto, confermando il lega-me di amicizia e di stima che lo ha legato al benemerito avvocato.

né si possono poi dimenticare le parole di saluto pro-

1 L’ultima cittadinanza onoraria è stata conferita nel 2008 alla scrittrice dacia Maraini per i suoi meriti letterari dopo la sua partecipazione qui a Caposele ad un incontro culturale.In una seconda occasione la scrittrice ha anche presentato il suo ultimo lavoro.

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nunciate dal Sindaco pro-tempore nel periodo del sisma del 1980, avv. antonio Corona, l’accorato ringraziamen-to per tutto quanto fatto in favore del nostro paese, l’af-fettuosa vicinanza e gli aiuti sollecitati e organizzati nella città di trani e inviati da Caruso a Caposele nel funesto periodo del dopoterremoto.

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Calamità naturali: la frana del 1963

L’avvenimento del 1899, sebbene rimasto nella me-moria di qualche anziano, non è stato comunque divul-gato abbastanza alle giovani generazioni. nuove abita-zioni sono state edificate nella zona a valle del vecchio smottamento. Ma il 23 di febbraio 1963, dopo mesi di pioggia e neve, la frana si riattiva provocando il crollo di case e spazzando via il tratto della strada provinciale, unico accesso al paese. L’evento viene riportato da raI 3 nel telegiornale della notte. Caposele resta isolato per alcuni mesi; unica soluzione possibile: il rifacimento del nuovo tratto di strada più giù verso il fiume.

negli stessi giorni si paventa anche il pericolo del distacco della pietra dell’orco sopra il paese tant’è che l’esercito interviene piazzando potenti fari, alla località Madonna delle Grazie per tenere illuminata notte e gior-no la grossa pietra e l’on. Sullo, Ministro dei Lavori Pub-blici, giunto sul posto, fa, su suo interessamento, mettere la pietra in sicurezza con delle imbracature.

Il rischio frane rimane, comunque, sempre alto per il territorio di Caposele, non solo per l’andamento orogra-fico, ma anche per la ricchezza d’acqua che caratterizza la zona.

negli anni numerose frane hanno interessato il cen-tro urbano che, trovandosi alle pendici di una catena montuosa riceve attraverso impluvi naturali tutta l’ac-qua che scende a valle. Molti ricordano, del resto, che fino ad alcune decine di anni fa i due raggruppamen-

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ti di case, quello di Capo di fiume e quello intorno al Castello, erano separati da una zona franosa, chiamata appositamente le Lavanghe, attraversata da un vallone che, accogliendo a monte altre aste d’acqua, scaricava la sua intera portata di acqua e terriccio nel letto del fiume Sele.

né si può dimenticare l’imponente frana, quiescen-te, attivatasi dopo vari anni con la forte scossa sismica del 23.11.80 nella contrada di Buoninventre.

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Il sisma del 1980

Caposele 23 novembre 1980 ore 19:35. È una calda domenica pomeriggio, la funzione religiosa nella chiesa dedicata a S. Lorenzo è appena terminata. I fedeli avan-ti nell’età si sono incamminati verso casa per la cena e quelli più giovani hanno preso la strada principale del paese per unirsi ad altri coetanei, fare un po’ di “stru-scio” (passeggiare), chiacchierare, raccontare i propri sogni agli amici e mostrare le proprie simpatie amoro-se a qualcuno. nei bar alcuni si stanno intrattenendo a sorseggiare qualche bibita, altri nell’angolo, di tanto in tanto, danno un’occhiata ai giocatori di carte, indecisi se fermarsi a guardare gli amici o rientrare per la cena. I giovani appassionati di calcio sono seduti davanti alla tv per seguire le sorti della squadra del cuore e vedere le immagini dei goal dei propri beniamini. anche le sezioni di partito sono affollate da chi è desideroso di parteci-pare alle decisioni della vita politica locale ed ascoltare le ultime direttive dei dirigenti nazionali, o semplicemente da chi vuole trascorrere qualche oretta in compagnia.

Una scossa (magnitudo 6,9 della scala richter, inten-sità decimo grado della scala Mercalli), senza alcuna pie-tà, colpisce il nostro territorio; come una belva inferocita si placa solo dopo 33 secondi, lasciando il paese avvolto in una grossa nube polverosa che tutto nasconde e nella quale si odono solo lamenti e gemiti.

Passato l’effetto sorpresa, dopo aver realizzato di essere indenni, il primo istinto è quello di mettersi al riparo in un luogo aperto e di cercare di unirsi ai propri

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familiari. In piazza Sanità ed in altri spazi aperti comin-ciano a ricomporsi le famiglie con la gioia momentanea di chi si ritrova intorno sani e salvi tutti i familiari e con la straziante attesa di chi si accorge della mancanza di un proprio caro. nel buio inizia la ricerca nei posti dove si sarebbero potute trovare le persone assenti. a chi si incontra si ripete con angoscia la stessa domanda “ hai visto mio …?”. La risposta rallenta il battito di un cuo-re in ansia o lo accelera tanto da sentirlo scoppiare alle tempie. Grande la gioia di chi riesce a trovare in vita il proprio familiare, lacerato il cuore di chi viene a sapere che un congiunto è finito sotto le pietre di quelle case che fino a qualche ora prima erano luogo di sicurezza e di unioni affettive.

Pochi, al buio, ignari del pericolo, cominciano a sca-vare con le proprie mani tra le macerie nella speranza di trovare ancora in vita le persone care, un figlio, una madre, un proprio amico, ma verso le undici una scossa di replica fa stramazzare al suolo altri muri pericolan-ti. Si ferma così anche la ricerca e i più si avviano verso zone aperte per passare la notte. Con l’arrivo dell’alba iniziano di nuovo le ricerche e la raccolta dei cadaveri; si comincia a concretizzare l’idea che è stato un terre-moto devastante che ha fatto crollare e/o danneggiato più dell’ottanta per cento del patrimonio edilizio e che numerose sono le perdite di vite umane.

di fronte a tale devastazione le sole mani nulla pos-sono e si attendono i soccorsi con impazienza per cerca-re di scavare lì dove ancora si ode qualche lamento, ogni giorno sempre più flebile. Caposele e i Caposelesi si sen-tono isolati con le linee telefoniche interrotte; man mano che passano le ore ed i giorni si realizza l’idea che l’area devastata è molto grande e tanti paesi sono stati rasi al

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suolo. di fronte a tale situazione anche lo Stato centrale si trova del tutto impreparato. e così a Caposele gli aiuti arrivano solo dopo qualche giorno e in maniera inade-guata, vista la triste realtà che si presenta ai soccorritori.

nei giorni a seguire si mobilitano anche tanti Stati europei per portare aiuto nelle zone terremotate; a Ca-posele arrivano i soldati tedeschi che installano il campo base nella zona cosiddetta Petazze. arrivano anche tan-ti volontari, inviati dai tanti Comuni d’Italia per porta-re solidarietà ed aiuti alla popolazione. nel parcheggio del Santuario di Materdomini si installa un ospedale da campo.

Le vittime sono 63 e per la morte di ognuno la fatalità è stata in agguato; si sono riproposte molte delle situazio-ni descritte dal Santorelli per il terremoto del 1853. Come in una gigantesca antologia i cronisti raccontano le storie morte sotto le macerie. a Caposele un gruppo di amiche sono state seppellite dal crollo di un muro mentre sta-vano passeggiando lungo la strada principale del paese. Una persona è morta investita dal crollo di un cornicione mentre usciva scappando dal bar, tutte le altre rimaste all’interno del locale si sono invece salvate. due amanti hanno trovato la morte nell’unico torrione del vecchio castello dove si erano dati appuntamento. Una coppia di fidanzati è morta nell’auto, schiacciata dal crollo del-la palazzina in costruzione, dove al piano terra si erano appartati. È crollata la sede del partito comunista, sep-pellendo i frequentatori, le loro speranze politiche di co-struire un paese migliore e le loro aspettative di vita più giusta ed egualitaria per tutti. tanti sono morti nel crollo della propria abitazione. Un fratello redentorista ha per-so la vita nel crollo del cenobio di Materdomini costrui- to da S. alfonso Maria dei Liguori.

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Una ragazza, sorella maggiore, portatasi a Lioni per prendere i due fratellini che erano andati con lo zio a vedere la partita di calcio dell’avellino ha trovato la mor-te nelle scale del palazzo insieme ai fratelli. Il loro papà qualche mese dopo, non reggendo al dolore, si è tolta la vita con un colpo di fucile alla testa. Qualcun altro non è sopravvissuto nelle strette strade vicino alla chiesa ma-dre e al Castello, colpito a volte solo dalle pietre poste sui tetti per fermare lo scivolamento dei coppi di coper-tura delle case.

Una donna di Caposele, che si trovava nell’ospedale di S. angelo dei Lombardi per aver partorito, ha trova-to la morte per il crollo dell’ospedale ma dopo qualche giorno i soccorritori hanno ritrovato viva e sana la sua bimba e le hanno dato il nome di Fortunata.

a ricordo delle vittime si riporta qui l’elenco dei cit-tadini deceduti.

1. Barbarossa Giovanni nato a Caposele il 13.04. 19632. Castagno angiolina nata a Caposele il 04.05. 19463. Ceres Franco nato a oliveto Citra il 10.02. 19774. Cetrulo alfonso nato a Caposele il 03.05.19105. Cetrulo Giuseppe nato Caposele il 02.05.19576. Cetrulo Maria nato a Caposele il 03.02.18997. Cibellis raffaele nato a Caposele il 24.10.19058. Cibellis rosina nata a Caposele il 10.07.19039. Ciccone elia nata a Caposele il 05.05.196610. Ciccone rosa nata a Caposele il 25.02.196211. Colatrella Carmela nata a Caposele il 02.04. 196112. Corvino Messalina nata a Caposele il 28.08. 196413. Casentino Giuseppe nato S. andrea Ionio il 12.10.

189914. del Buono Maria nicola nata a Conza il 19.10.1906

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15. di Marco delia nata ad acropoli il 01.04.192916. donatiello Pasqualina nata a teora il 10.07. 192617. Fabio vincenzo nato a vietri di Potenza il 18.04. 195818. Farina Maria teresa nata a Caposele il 16.12. 188419. Gervasio rosetta nata a Caposele il 12.04.196320. Iannuzzi alfonsina nata a Caposele il 19.01. 196321. Iannuzzi Maria nata a Caposele 27.10.195822. Liloia Carla nata a Caposele il 27.01.193823. Luongo Gerarda a. nata a Laviano il 06.10. 193624. Malanga angiola nata a Caposele il 03.10.190225. Malanga elisa nata a Caposele 09.11.192426. Malanga Maria nata a Caposele il 23.03.190627. Mariniello Lorenzo nato a Caposele il 08.08. 192628. Megaro Giovannina nata a Caposele il 16.12. 196929. Megaro Maria nata a teora il 12.01.192630. Megaro Pasquale nato a Caposele il 03.12. 197631. Meo Giuseppe nato a Caposele il 12.01.192432. Merola antonio nato a Caposele il 06.04.191433. nesta Gerardo nato a Caposele il 06.11.190434. nesta Giuseppe nato a Caposele il 06.02.192135. nesta Pasquale nato a Caposele il 08.01.193036. nesta rocco nato a Caposele il 01.11.197237. nesta rosa nato a Caposele il 07.04.196538. Pallante Carmela nato a Caposele il 19.11. 189839. Proietto Giuseppe nato a Caposele il 04.07. 190540. Quagliariello amedeo nato a Lioni il 28.05. 197441. rosalia Pasquale nato a Caposele il 31.03.190442. rosalia Pasqualina nata a Caposele il 30.08. 195443. rubino Pierina nata a Caposele il il 30.01.191844. ruglio alfonsina nata a Caposele il 24.11.190445. russomanno Gerardo nato a Caposele il 19.12. 193246. Salvatoriello Gerardo nato a Caposele il 11.02. 190147. Sena Gelsomina nata a Caposele il 27.02.1934

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48. Sista Benito nato a Caposele il 22.01.193849. Sista Gerardina nato a Caposele il 07.09.191350. Spatola rocco nato a Caposele il 14.01.193551. Sturchio rosa nato a Caposele il 25.10.195952. Cozzo vincenzo nato a Caposele il 17.05.1962 dece-

duto in Lioni53. Cozzo Carmela nata a Caposele il 22.11.1958 decedu-

ta in Lioni54. Cozzo alfonsina nata a Caposele il 23.08.1965 dece-

duta in Lioni55. Palmieri antonella nata a Caposele il 19.09.1967 de-

ceduta presso l’ospedale di eboli56. Casciano nicola nato a Caposele il 13.07.1966 dece-

duto in teora57. Martino Lidia nata a Caposele il 04.08.1961 deceduta

in teora58. Sena Gerardina nata a Caposele il 15.06.1936 dece-

duta in teora59. Farese Filomena nata a Caposele il 20.09.1971 dece-

duta presso un ospedale di napoli60. Malanga angiolina nata a Caposele il 20.07.1893 de-

ceduta presso l’ospedale di vallo della Lucania61. Cordasco nicola nato a Caposele il 18.05.1893 dece-

duto presso l’ospedale di Benevento62. Sena Carmela nata a Caposele il 10.07.1886 deceduta

in Calabritto63. Cordasco Gerardo nato a Caposele il 10.08.1957 de-

ceduto in teora.

Per il terremoto si verifica anche un altro fenomeno, pure descritto dal Santorelli per il sisma del 1853: l’ab-bassamento della portata delle sorgenti del Sele.

Il freddo arrivato nei giorni successivi complica di

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molto la situazione. Parecchi costruiscono baracche di fortuna, pur di non lasciare il paese, restano “a far la guardia alle macerie”; lì sotto hanno tutto, le poche cose d’oro della moglie e dei figli, qualche risparmio, gli at-trezzi per lavorare, etc…altri vengono sistemati negli alberghi di Paestum e di agropoli o altrove, altri ancora, che hanno un fratello o un figlio lontano, partono per le americhe.

Il sindaco pro-tempore antonio Corona fa costruire una baracca in legno in piazza Sanità e la adibisce a sede comunale.

Col passare dei giorni arrivano le roulottes e succes-sivamente si costruiscono i villaggi con prefabbricati in legno alla c/da S. Caterina, ai Piani e alle Fornaci. In tal modo si dà un alloggio provvisorio ma abbastanza con-fortevole a tutti.

Inizia, poi, l’attesa della ricostruzione, avvenuta dopo lunghi ed estenuanti incontri tra chi vuole costru-ire così come era il paese e tra chi cerca di adeguarlo alle nuove esigenze abitative dei cittadini. Con i primi buoni-contributo emessi nell’anno 1985 anno anche del-la consultazione elettorale e della vittoria dei sostenitori della prima ipotesi si avvia il grosso della ricostruzione. Molti Caposelesi nel centro urbano, vedendo le case ri-costruite assolate e dotate di ogni confort nei piani di zona di Piani, Pianello e Materdomini si pentono della scelta fatta.

a distanza di anni si realizza comunque, che per il nostro paese si è persa l’occasione, viste le grosse rimes-se per la ricostruzione da parte dello Stato, di infrastrut-turare il territorio con opere pubbliche di supporto allo sviluppo economico del territorio stesso.

oggi restano le immagini indelebili di quell’immane

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disastro e l’amara considerazione conclusiva su quanto sia stato sprecato per rimettere in piedi una realtà come quella irpina, a cui il dopo terremoto ha inferto colpi an-cora più duri della sciagura naturale, dovuti a sprechi, ruberie, malaffari legati alla ricostruzione.

Con il mutamento culturale avvenuto dopo il si-sma si assiste ad un declino delle sicurezze esistenziali e alla scomparsa con tutti gli aspetti positivi e negativi della cultura di villaggio e dei sostanziali valori comu-nitari, legati ai valori arcaici del mondo contadino. La gente, nonostante i tentativi di riconnettere le tradizioni, gli usi, i costumi, con la trasformazione sismica del suo paesaggio e dei centri vitali della propria esistenza si è trasformata essa stessa e, per contingenze e motivazioni logistiche, storiche e politiche, persa la tradizionale istin-tività gregaria e solidale si è trovata con tanta incertezza “a metà del guado dl processo di traghettamento verso una società tardo-industriale” che ancora non riesce ad affermarsi.

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teStI ConSULtatI

Catalogo dei feudi e dei feudatari, art. 702, A.S.N.Catalogo dei Baroni NormanniRegest. 1339 et 1340 . B. fol.IArchivio di Conza fatto da Bardars, foglio 26 dell’inventarioVita di Giordano Bruno di Vincenzo Spampanato “Campania, l’habitat tradizionale” di S. Rossi“Caposele, una città di Sorgente” di Nicola Conforti e Alfonso Mero-la, 1994, Elio Sellino Ed.“Delle Antichità Estensi ed Italiane”, trattato di Ludovico Antonio Muratori“Memorie Storiche del Sannio” di Gio. Vincenzo Ciarlante“Catalogo dei feudi e feudatari della provincia napoletana sotto la dominazione normanna” di Bartolomeo Capasso edito da ArnaldoCorriere dell’Irpinia 17 gennaio 1942, Mario Giordano“Inediti Valselesi” di Giuseppe Chiusano, Poligrafica Irpina - Lioni“Il mese di agosto a Maria SS. Della Sanità” del Sac. Arsenio Dott. Caprio, Rettore di S. Maria della Sanità. Stabilimento tipografico Silvio Marano, Napoli 1913.“L’alta valle del Sele” di Amato Grisi“La Ruota sulle Rive dei Fiumi, guida alla storia e alla tecnica degli antichi mulini e delle gualchiere, coop “Basi 85” Progetto “Museo Vivo” - Poligrafica Irpina, Nusco, 1990”Vincenzo Malanga “Caposele”, casa editrice S. Gerardo Maiella - Materdomini Storia della captazione delle sorgenti, brano tratto dal libro del no-stro concittadino Vincenzo Malanga “Devi chiuderti nell’amore”La Cronista Conzana di Antonio CastellanoGreat tribulation or things coming on the earth di John Cumming

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Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò dal 1252 al 1270 di Camillo Minieri RiccioDella città di Napoli dal tempo della sua fondazione sino al presente di Francesco Ceva GrimaldiCronaca del convento di Sant’Arcangelo a Bajano. Estratta dagli ar-chivi di NapoliDiplomi de’ diplomi dell’archivio Pignatelli di Palermo di Giuseppe Pipitone FedericoCastelli angioini, aragonesi nel regno di Napoli di Lucio Santoro Istoria civile del regno di Napoli di Pietro GiannoneDescritione del regno di Napoli di D’Engenio-CaraccioloDescrizione del regno di Napoli di O. BeltranoDella descrizione del regno di Napoli di S. GazzellaIstoria de feudu de regno delle due Sicilie di qua dal faro di Erasmo RoccaDelle antichità estensi ed italiane di Ludovico Antonio MuratoriSul catalogo dei feudi e dei feudatari delle province napoletane sotto la dominazione normanna di Bartolomeo PapassoMemorie storiche di Antonio StassanoIl regno di Napoli diviso in dodici provincie di Bacco EnricoVita di Jacobo Sannazaro di Erasmo PercopoRacconto della sollevatione di Napoli di Tutini CamilloRegesto delle pergamene di Castelcapuano di Jole MazzoleniIl Masaniello salernitano nella rivoluzione di Salerno e del salerni-tano di Crucci CarloVita di Giordano Bruno di Spampanato VincenzoArchivio storico delle province napoletane di deputazione napoleta-na di storia patria. NapoliDescrizione del tremuoto avvenuto in Caposele e nei limitrofi Comu-ni in aprile 1853 di Gennaro Maria PaciIl fiume Sele e i suoi dintorni di Nicola Santorelli

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Dissertazione storico-critica fino al 1880 su Caposele di Vincenzo MalangaDocumenti inediti per la storia di Caposele di Giuseppe ChiusanoRelazione del Commissario Prefettizio Giovanni Baldassarre letta al ricostruito Consiglio Comunale nella seduta del 24 febbraio 1924 di Baldassarre GiovanniAnnate storiche del Corriere dell’IrpiniaRegistri parrocchiali di nascita e morteRegistri dell’anagrafe del Comune di CaposeleDe situ orbis di Dionysus Afer I Borboni di Napoli di Alexander DumasProsopografica di una famiglia feudale normanna: Balvano, di Er-rico CuozzoBreve storia del Santuario Gerardino di Oreste GregorioMemorie storiche del regno (1799-1821) di Antonio StassanoL’alta valle del Sele tra tardo Antico ed Alto Medioevo di Nicola Fi-lipponeStoria del reame di Napoli di Pietro CollettaGente della mia terra di Alfonso Maria Farina

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IndICe

premessa.............................................................................................................................pag. 7Cronistoria di Caposele.................................................................................................11storia di muri e fondamenta....................................................................................33Caposele oggi..........................................................................................................................35Materdomini (600 m s.l.m.): un luogo che è più di una frazione....................................................................37Cenni storici su Materdomini.................................................................................38Caposele: le origini............................................................................................................42l’arma Civitatis del Comune di Caposele..............................................55Il castello di Caposele.....................................................................................................58

Notizie storiche: note chiarificatrici................................................................63Folco d’este a Caposele?............................................................................................651322: anno di partecipazione alle crociate?..........................................65Iacopo sannazzaro a Caposele?...........................................................................671879: Morte della duchessa Filomena de Mari...................................71nel castello di Caposele?.............................................................................................71

note di approfondimento............................................................................................751748-1900: nomi e cognomi nei registri parrocchialie in quello dell’anagrafe civile.............................................................................80Cenni storici sulla prodigiosa immaginedi Maria ss. della sanità.............................................................................................99le sorgenti del sele.......................................................................................................106Il corso del fiume Sele................................................................................................109

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Il fiume Sele: l’etimologia e le varianti del suo nome..........................................................................................................................113“Fantasticando alle sorgenti del sele”.......................................................115Citazioni del sele nel passato.............................................................................124Curiosità.....................................................................................................................................127

Caposele e l’acquedotto pugliese (a.Q.p.).........................................131l’acquedotto pugliese...............................................................................................133Caposele e l’a.Q.p.: storia delle captazioni delle sorgenti del sele..................................................................................................137I fatti...............................................................................................................................................1382. accordi successivi....................................................................................................144nuovi trasferimenti di acqua in puglia.....................................................151Considerazioni....................................................................................................................152accordi e promesse non mantenuti..............................................................156Caposele vedrà riconosciuti i suoi diritti?.............................................1582011: Ultimi sviluppi e nuove polemiche..............................................159Terra di Caposele..............................................................................................................161

stagioni di vita....................................................................................................................163Caposele, anno 1269.....................................................................................................1651494: Caposele gode non pochi diritti del Municipium..................................................................................................................171anno 1658: la peste.......................................................................................................173I terremoti del 1694 e del 1732.........................................................................1767 dicembre 1747..............................................................................................................1791726-1755: Gerardo Maiella;una vita meravigliosa...................................................................................................180Caposele 19.06.1750Un bacio scatena la follia dei Caposelesi...............................................185

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la terribile carestia dell’anno 1764.............................................................194anno 1799: Il sogno di libertà ed uguaglianzadella repubblica napoletana..................................................................................205primi anni del 1800:la ruota per gli “esposti”.........................................................................................209anni 1813-14: la rapina al procaccioe il ratto delle Caposelesi.........................................................................................214nicola santorelli, un uomo fornito“di ingegno e convinzioni”....................................................................................225Maggio 1834: la scoperta della stelevotiva al dio silvano.....................................................................................................2219 aprile 1853: “Il tremuoto di Caposele”...............................................22816 maggio 1863: morte di lorenzo santorelli..................................234Cittadinanza onoraria all’ing. F. Zampari..............................................235la frana del 1899.............................................................................................................239Gerardo Grasso (1860-1937): un uomo con un destinomigliore nell’estremo sud dell’america meridionale...............240anno 1917: la rapina del procaccio.............................................................249Consiglio Comunale: seduta del 24-2-1924........................................25322-07-1938: s.a.R. Umberto di savoiaa Caposele................................................................................................................................25412 febbraio 1941: operazione Colossus.................................................25630 gennaio 1944:Morte di donna alfonsina santorelli.........................................................26229 dicembre 1945:Crollo di una veccha casa.......................................................................................264

Feriti, caduti e decorati di Guerra..................................................................265

prima Guerra Mondiale.............................................................................................266

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Morti..............................................................................................................................................266Mutilati, invalidi e feriti............................................................................................270Motivazioni per i decorati......................................................................................271

seconda Guerra mondiale.......................................................................................274Feriti, morti, dispersi....................................................................................................274partigiani...................................................................................................................................282

anno 1970: cittadinanza onorariaall’avv. Vincenzo Caruso da Trani.................................................................283Calamità natuali: la frana del 1963...............................................................286Il sisma del 1980...............................................................................................................288

Testi consultati....................................................................................................................296

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Page 306: TERRA DI CAPOSELE - Gerardo Montverde

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