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Enrico valtellina 1990
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Università degli Studi di Milano
Corso di laurea in filosofia
Enrico Valtellina matr. 328391
a.a. 1990-91
Teoria del dialogo e strutturalismo in
Michail Bachtin
Relatore prof. Paolo D’Alessandro
Introduzione
Riscoperte negli anni sessanta dopo decenni di oblio, le opere di Michail
Bachtin hanno rivelato un autore di prima grandezza nel panorama culturale di
questo secolo, «il principale pensatore sovietico nel campo delle scienze umane,
e il massimo teorico della letteratura del xx secolo», secondo Tzvetan Todorov1,
superlativi cui fa eco Vittorio Strada, che definisce «miracolosa» l’apparizione di
Bachtin nel panorama culturale sovietico degli anni venti2. Malgrado tanta
deferente ammirazione, ben pochi sono stati i tentativi di analizzare e sviluppare
nel loro complesso le influenze e le implicazioni teoriche dei lavori di Bachtin,
alla ricerca di una spiegazione razionale del miracolo di cui parla Strada;
prevalentemente ci si è limitati ad assimilarne singole tematiche che, astratte
dal “sistema” complessivo della elaborazione teorica bachtiniana, finiscono per
perdere gran parte della loro forza.
Una serie di fattori immanenti e contingenti hanno compromesso la
possibilità di un'attiva influenza dell'opera di Bachtin sul pensiero con-
temporaneo. Tra i fattori contingenti è in primo luogo da segnalare la particolare
situazione storica in cui Bachtin è vissuto; formatosi nel fertile periodo
postrivoluzionario, venne travolto dalle purghe staliniane degli anni trenta e, se
1 Tzvetan Todorov, Michail Bachtin. Il principio dialogico, Torino, Einaudi,
1990.2 Vittorio Strada, introduzione a G.Lukàcs, M. Bachtin e altri, Problemi di
teoria del romanzo. Metodologia letteraria e dialettica storica, Torino, Einaudi,
1976.
pure riuscì a sopravviverne, rimase relegato ai margini della cultura accademica
e ufficiale fino alla pubblicazione della seconda edizione della sua opera su
Dostoevskij, a metà degli anni sessanta.
Tra i fattori immanenti all'opera bachtiniana che ne hanno ostacolato la
ricezione è da considerare la complessità di prospettiva; Bachtin si è occupato di
linguistica, semiotica, estetica, poetica storica, teoria della letteratura,
psicoanalisi, assiologia, sociologia e biologia, edificando un sistema teorico
unitario e complesso, difficilmente abbordabile globalmente dalle prospettive
parcellizzate delle scienze umane.
Una visione unitaria dell'opera è inoltre compromessa dalla forma
espositiva delle sue opere; pur conservando una straordinaria continuità di
interessi e prospettive nell'arco di più di mezzo secolo di produzione teorica,
Bachtin si è servito di "lingue" differenti: nel primissimo periodo utilizzò il
linguaggio della filosofia tedesca, in particolare quello del neokantismo
marburghese, nel periodo leningradese (1924-1929), a cui risalgono i testi
pubblicati sotto pseudonimo, viene utilizzato un linguaggio sociologico con
ampie concessioni allo stile della vulgata marxista dello stalinismo; solo in
seguito lo stile propriamente bachtiniano si stabilizza.
Uno dei problemi interpretativi più rilevanti posti dall'opera di Bachtin, di
cui egli stesso fa ammenda in uno scritto dell' ultimo periodo, è «una certa
incompiutezza interiore» di molte sue idee, a ciò si aggiunge «molta incom-
piutezza esteriore, incompiutezza non dell'idea, ma della sua espressione e
esposizione»3. Il pensiero di Bachtin si caratterizza per la sua fondamentale
apertura; la plurivocità, la multiaccentuatività che, secondo le sue analisi, sono
alla base di ogni concreta enunciazione, caratterizzano anche il suo stile
3 Michail Bachtin, Dagli appunti del 1970-71 in L'autore e l'eroe, Torino, Einaudi, 1988, p.374.
espositivo, rendendone difficile ogni schematizzazione forzata.
Ciò che nel presente lavoro si propone è un’analisi globale del pensiero di
Bachtin, e muoverà da un'indicazione di Carlo Prevignano, secondo cui «il
gruppo leningradese costituito da Volosinov, Medvedev e Bachtin (indicato
anche come «gruppo di Bachtin») sul finire degli anni venti utilizzava insieme
Marx, Freud e Saussure»4. Si cercheranno in sostanza nel rapporto tra Bachtin e
la linguistica strutturale, la psicoanalisi e il marxismo, le direttive fondamentali e
costanti della sua produzione teorica, ciò non limitatamente ai testi che a tali
discipline si riferiscono direttamente, ma con riguardo alla sua intera opera.
Tale rapporto è estremamente complesso, i testi dedicati da Bachtin al
freudismo e alla linguistica sono fortemente polemici; a prima vista, più che
integrarsi nella prospettiva bachtiniana, lo strutturalismo linguistico e la
psicoanalisi sembrano esserne esclusivamente bersaglio di una critica senza
appelli. È solo alla luce di un’analisi globale della sua produzione che appare la
rilevanza assoluta di tali contributi.
Ancora meno semplice è il rapporto tra Bachtin e il marxismo, ciò non
tanto a causa di ambivalenze reali rintracciabili nella sua opera, quanto per la
costante e feroce battaglia che su tale questione combattono i suoi critici di
opposta fede ideologica. Da un lato Bachtin viene esaltato come fondatore di
una semiotica e di una teoria della letteratura marxiste, dall'altro, contro ogni
evidenza, si nega qualunque influenza condizionante delle problematiche
marxiste sul suo pensiero5. In verità è innegabile una profonda influenza,
soprattutto sul piano metodologico, del pensiero di Marx su Bachtin, che pure
4 Carlo Prevignano, La semiotica nei paesi slavi, Milano, Feltrinelli, 1979, p.66.
5 Tali interpretazioni trovano ampio seguito in particolare presso i critici americani, in Italia sono state sostenute anche negli
articoli recenti di Vittorio Strada.
però, per la sua assoluta libertà di analisi, venne a trovarsi in costante
dissonanza con il marxismo di regime.
Contestualmente a tale trattazione verranno individuati e sviluppati i
legami, dichiarati o possibili, che collegano Bachtin alle tradizioni di pensiero che
in senso ampio possono essere considerate "strutturaliste"; in particolare il
formalismo russo, lo strutturalismo praghese, lo strutturalismo francese, la
culturologia e la semiotica strutturale sovietica, sino al poststrutturalismo e al
decostruzionismo. Sarebbe certamente forzato e fuorviante voler situare Bachtin
all'interno della tradizione strutturalista, egli stesso più volte ha ribadito la sua
distanza da questa6, è comunque certamente evidente l'affinità di temi e
impostazione che lega il suo pensiero alle analisi strutturaliste. Sostenere con
Julia Kristeva che Bachtin ha prodotto una «dinamizzazione dello strut-
turalismo»7, non è in sostanza erroneo, offre anzi la possibilità di un raffronto
tematico produttivo.
Il lavoro muoverà dall'analisi dei fondamenti semiotico-linguistici che
sostengono l'intera opera di Bachtin e del suo tentativo di fondazione di una
psicologia oggettiva, che si trovano esposti sistematicamente negli scritti
pseudonimici degli anni trenta, di seguito si cercherà di sviluppare un itinerario
attraverso i testi teorici e di critica letteraria tale da porre in luce i cardini teorici
del pensiero bachtiniano. Si tratterà quindi di enucleare il tentativo di Bachtin di
fondare una teoria critica dell'enunciato, una translinguistica (o come preferisce
Todorov8 una «pragmatica»), privilegiandone gli elementi e le implicazioni di
6 «Non si può attribuirmi a una determinata tendenza (allo strutturalismo)», Michail Bachtin, Dagli appunti del 1970-71, in
L’autore e l’eroe, p.374.
7 Julia Kristeva, La parola, il dialogo e il romanzo, in Augusto Ponzio (a cura di), Michail Bachtin. Semiotica, teoria della
letteratura e marxismo, Bari, Dedalo, 1977, p.106.
8 Tzvetan Todorov, Michail Bachtin, p.38.
maggiore rilevanza filosofica, quali la teoria ermeneutica, la teoria del dialogo e
le implicazioni logiche e epistemologiche.
Ciò che in sostanza questo lavoro propone è un itinerario nel pensiero di
Bachtin, tale da evidenziarne ad un tempo l’unità e la complessità, guidato dalla
ricerca di nessi e correlazioni con le prospettive di analisi sia di autori che per
impostazione o interessi teorici sono prossimi allo studioso sovietico, sia di
autori che al primo sguardo non paiono assimilabili alla prospettiva bachtiniana;
si vedrà come sia proprio la teoria del testo elaborata da Bachtin a giustificare
tali accostamenti, giacché è proprio attraverso il confronto con altri testi e la
trasposizione in altri contesti che il senso può venire in luce e arricchirsi.
1 Teoria del segno e ideologia
1.1 Semiotica e ideologia negli scritti pseudonimici del periodo le-
ningradese
Ad accostare in primo luogo il pensiero di Bachtin alla tradizione strut-
turalista è la presenza, alla base della sua teoria critica, di una analisi scientifica
dei fenomeni linguistici, che ne costituisce il fondamento metodologico
essenziale e imprescindibile. La trattazione sistematica del suo pensiero
linguistico risale al periodo leningradese (1924-29) ed è contenuta in Marxismo e
filosofia del linguaggio, pubblicato nel 1929 a nome di V. N. Volosinov e in una
serie di articoli apparsi sotto il medesimo pseudonimo. Leningrado era allora un
luogo privilegiato per gli studi linguistici, vi era attiva la scuola Kazan', che fa-
ceva capo a Ivan A. Baudouin de Courtenay, linguista polacco stimato anche da
Ferdinand de Saussure, e vi si svolgeva un serrato confronto con le avanguardie
teoriche occidentali, dopo lo sprono dato agli studi sul linguaggio dagli esponenti
del movimento formalista. Attraverso l’analisi critica dei vari approcci allo studio
dei fenomeni linguistici, Bachtin giunge ad una sintesi teorica di grande
originalità.
1.1.1 Il problema dell’attribuzione.
Prima di analizzare la linguistica di Bachtin, è opportuno verificare le
ragioni della pubblicazione sotto pseudonimo di tre libri fondamentali9 e di
molteplici articoli10. Fino alla fine degli anni sessanta non era stato rilevato il
legame tra queste opere e gli scritti di Bachtin, allora il semiologo russo
Vjaceslav V. Ivanov11 avanzò l'ipotesi che l' ispirazione fondamentale di quei testi
fosse da attribuire a un unico autore. Ricerche successive confermarono tale
ipotesi, senza per altro giungere ad una soluzione univoca sul problema
dell'attribuzione. L’ispirazione fondamentale degli scritti è unica e viene
riconosciuta a Bachtin, pareri contrastanti si ritrovano invece nella critica
bachtiniana su quanta parte abbiano avuto nella loro progettazione e redazione
Pavel Medvedev e Valentin Volosinov. Benché la concordanza sui punti teorici
qualificanti tra gli scritti bachtiniani e i testi pseudonimici sia assoluta, questi si
caratterizzano per lo stile fortemente polemico (i tre testi in questione sono una
stroncatura in nome del materialismo dialettico della linguistica strutturale e
humboltiana, della psicoanalisi e del formalismo russo) e per il dichiarato
allineamento con le posizioni della vulgata staliniana del marxismo. Secondo
alcuni critici, Bachtin avrebbe pubblicato sotto pseudonimo non volendo
apportare alcune modifiche imposte per la stampa, modifiche che i colleghi e
9 Michail Bachtin, Marxismo e filosofia del linguaggio, Leningrad, 1929,
trad. it. Bari, Dedalo, 1976, e Freudismo, Leningrad, 1927, trad. It. Bari, Dedalo,
1977, pubblicati a nome del poeta, musicologo e linguista Valentin N. Volosinov,
e Il metodo formale nella scienza della letteratura, Leningrad, 1928, Trad. It.
Bari, Dedalo, 1977, pubblicato da Pavel N. Medvedev, giornalista e burocrate
culturale.10 Raccolti in: Valentin N. Volosinov, Il linguaggio come pratica sociale,
Bari, Dedalo, 1980.11 Vjaceslav V. Ivanov, Significato delle idee di M. M. Bachtin sul segno,
l’atto di parola e il dialogo per la semiotica contemporanea, in Augusto Ponzio,
(a cura di) Michail Bachtin Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, Bari,
Dedalo, 1977, nota 101, p.253.
amici Medvedev e Volosinov avrebbero accettato di addossarsi, secondo altri si
sarebbe trattato di motivazioni banalmente pratiche; muovendosi Bachtin al di
fuori di qualsiasi struttura istituzionale, avrebbe incontrato molte più difficoltà a
pubblicare dei prestanome, meglio inseriti negli apparati culturali del regime. In
conclusione, benché il problema dell’attribuzione sia oggetto di disputa tra i
critici di Bachtin, la perfetta concordanza teorica tra le tesi sostenute nei testi
pseudonimici e le opere pubblicate a suo nome12, permette di considerare in
modo unitario la produzione bachtiniana, anche e soprattutto alla luce delle il-
luminanti posizioni di Bachtin circa il carattere sociale e intrinsecamente
dialogico della parola, di cui si dirà oltre, che permettono di relativizzare ed in
ultima istanza di porre in secondo piano il problema dell’autore13.
1.1.2 Il segno ideologico
In Marxismo e filosofia del linguaggio, Bachtin si propone di abbozzare
«l’orientamento fondamentale del pensiero marxista sul linguaggio e i capisaldi
12 Jean Peytard in Sur quelques relation de la linguistique a la semiotique
litteraire (de Greimas a Bakhtine), evidenzia come i testi pseudonimici siano il
presupposto teorico indispensabile alla comprensione degli studi bachtiniani di
critica letteraria.13 Sul problema dell’attribuzione degli scritti pseudonimici, in particolare:
Vjaceslav V. Ivanov, Significato delle idee di M. M. Bachtin sul segno, l’atto di
parola e il dialogo per la semiotica contemporanea, in Augusto Ponzio, (a cura
di) Michail Bachtin Semiotica, teoria della letteratura e marxismo; Augusto
Ponzio, Michail Bachtin. Alle origini della semiotica sovietica, Bari, Dedalo, 1980,
p.13-14; Nicoletta Marcialis, Bachtin e la sua cerchia, in Il linguaggio, il corpo, la
festa. Per un ripensamento della tematica di Michail Bachtin, Milano, Franco
Angeli, 1983, p.104-124; Tzvetan Todorov, Michail Bachtin, Torino, Einaudi, 1990,
p.13-20; Katerina Clark, Michael Holquist, Michail Bachtin, Harvard University
Press, 1984, p.146-171.
metodologici sui quali questo pensiero deve far leva per impostare concreti
problemi di linguistica»14. Per realizzare tale compito, è indispensabile indicare in
modo univoco i principi sui quali deve svilupparsi lo studio propriamente
marxista dei fenomeni ideologici, essendo questi strettamente legati ai problemi
della filosofia del linguaggio. Caratteristica di ogni prodotto ideologico è, rispetto
a ogni altro corpo fisico, la peculiarità di «riflettere e rifrangere anche un'altra
realtà esterna ad esso. Tutto ciò che è ideologico possiede significato:
rappresenta, raffigura o sta per qualcosa che si trova fuori di esso. In altre parole
è un segno. Senza segni non c'è ideologia» (MFL p.57-58). Per Bachtin, tutto ciò
che è ideologico possiede un valore semiotico, il campo dell' ideologia coincide
col campo dei segni. Benché ogni campo della creatività ideologica si orienti
verso la realtà e la rifranga in modo relativamente autonomo, benché ambiti
ideologici differenti svolgano funzioni particolari nella vita sociale, tutti i
fenomeni ideologici si definiscono in base al loro carattere segnico e sono
interamente prodotti sociali. Ogni oggetto fisico può convertirsi in segno
(Bachtin porta ad esempio il pane e il vino nelle funzioni religiose e la falce e il
martello come simboli del comunismo); se ciò si realizza l’oggetto viene caricato
di una nuova valenza, assume una connotazione socialmente e storicamente
determinata.
1.1.3 Materialità del segno ideologico
Il segno ideologico è sempre concreto in un materiale, «sia esso suono,
massa fisica, colore, movimento del corpo o qualcosa di simile» (MFL p.60). Si
14 Michail Bachtin, Marxismo e filosofia del linguaggio, p.49.
Per le successive citazioni si utilizzerà la sigla MFL, seguita dal numero di
pagina.
può parlare di una duplice materialità del segno ideologico15, in primo luogo il
segno è materiale in quanto corpo fisico, in questo senso è soltanto veicolo
dell’ideologia, è il suo strumento di trasmissione, di circolazione. Il segno è però
materiale anche in quanto prodotto storico-sociale, questo è l’aspetto che lo
qualifica propriamente come segno e da questo punto di vista coincide
completamente con l’ideologia. La realtà del segno è dunque pienamente
oggettiva e si presta a uno studio oggettivo, unitario e monistico. «Un segno è
un fenomeno del mondo esterno. Sia il segno stesso sia tutti gli altri effetti che
esso produce […] avvengono nell’esperienza esterna» (MFL p.60). Bachtin
insiste particolarmente sull’aspetto materiale e oggettivo del segno; anche ne Il
metodo formale nella scienza della letteratura scrive: «Il primo principio dal
quale deve partire la scienza marxista delle ideologie è il principio della
concretizzazione materiale e della totale realtà oggettiva di tutta la creazione
ideologica»16.
Porre l’accento sul carattere materiale del segno, significa mettere fuori
gioco le posizioni idealiste e psicologiste, che collocano l’ideologia nella
coscienza. Per gli idealisti e gli psicologisti, la componente materiale del segno è
solo un mezzo per l’effettuazione del fenomeno interno della comprensione; ciò
facendo si trascura il fatto che la comprensione può avvenire solo attraverso il
reciproco rimando di un segno a altri già noti, che la catena di creatività e di
comprensione ideologica è salda e ininterrotta e che la coscienza stessa può
sorgere e sussistere solo incarnandosi nel materiale dei segni. «La coscienza di-
venta coscienza soltanto una volta che è stata riempita di contenuto ideologico,
15 Augusto Ponzio, Michail Bachtin, p.159. 16 Michail Bachtin, Il metodo formale nella scienza della letteratura, p.64.
Per le successive citazioni si utilizzerà la sigla MFSL, seguita dal numero
di pagina.
(segnico), di conseguenza soltanto nel processo di interazione sociale» (MFL
p.61). Per Bachtin, la coscienza individuale non può servire per spiegare nulla,
essa stessa deve invece essere spiegata, in quanto fenomeno socio-ideologico,
in base alla logica della comunicazione ideologica, dell’interazione segnica di un
gruppo sociale. Lo studio delle ideologie non deve quindi basarsi sulla psicologia,
è semmai la psicologia a doversi fondare sullo studio delle ideologie. «La
coscienza individuale non è l’architetto della sovrastruttura ideologica, ma sol-
tanto un locatario che alloggia nell’edificio sociale dei segni ideologici» (MFL
p.63)17.
1.1.4 Il segno verbale
I segni ideologici, in quanto materializzazioni delle comunicazioni sociali,
trovano la loro espressione più pura nel linguaggio. «La parola è il fenomeno
ideologico per eccellenza» (MFL p.64). L’intera realtà della parola è assorbita dal
suo esser segno, non contiene nulla di indifferente alla funzione comunicativa,
Bachtin parla della «purezza semiotica» del segno verbale, che lo rende
strumento privilegiato nello studio delle forme della comunicazione sociale.
Altra caratteristica peculiare del segno verbale è la neutralità rispetto alle
differenti funzioni ideologiche. Mentre ogni altro segno è creato in funzione di un
uso specifico all’interno di un ambito ideologico e non ne fuoriesce, la parola è
17 Nella prefazione all’edizione francese del Dostoevskij, (Una poetica in
rovina, in L’immagine riflessa. Saggi su Bachtin, p.65) Julia Kristeva rimprovera a
Bachtin l’uso di termini mutuati dal linguaggio teologico, in particolare di « co-
scienza »; alla luce di quanto detto tale critica non pare pertinente, giacché il
termine assume in Bachtin una valenza totalmente in contrasto col suo uso
teologico. « La coscienza individuale è un fatto socio ideologico » e ancora: « Se
privassimo la coscienza del suo contenuto ideologico, segnico, non rimarrebbe
assolutamente niente ». MFL, p.62-63.
assolutamente neutrale, «può compiere funzioni ideologiche di qualsiasi genere
— di tipo scientifico, estetico, etico, religioso» (MFL p.65), si caratterizza quindi
rispetto agli altri segni per la sua maggiore duttilità semantico-ideologica. In
virtù di ciò la parola si trova implicata in «quell’immensa area di comunicazione
ideologica che non può essere legata a nessuna sfera ideologica particolare:
l’area della comunicazione nella vita umana, nel comportamento umano» (MFL
p.65); questo fondamentale genere della comunicazione viene definito da
Bachtin come «ideologia quotidiana».
Un’altra proprietà di estrema importanza della parola è il suo ruolo come
materiale segnico della vita interna; il materiale segnico di cui è costituita la
coscienza è la parola interna; tale affermazione indica le direttive portanti di
tutto il tentativo di Bachtin di fondare una psicologia oggettiva, di ciò si dirà
oltre, per ora basta trarne un’ultima funzione caratterizzante della parola,
ovvero la sua ubiquità sociale. «È grazie a questo ruolo esclusivo della parola
come strumento della coscienza che la parola funziona come componente
essenziale che accompagna qualsiasi creatività ideologica. La parola
accompagna e commenta ogni atto ideologico» (MFL p.66). In perfetta
consonanza con tale affermazione è Roland Barthes allorché afferma che il
semiologo «incontrerà prima o poi sulla propria strada il linguaggio (quello vero),
non solo a titolo di modello, ma anche a titolo di componente, di elemento
mediatore o di significato»18. Ciò non significa che il linguaggio verbale possa
sostituire qualsiasi segno ideologico (non esiste un sostituto verbale adeguato
neppure per il gesto più semplice), ma che ogni segno ha un supporto nelle
parole ed è accompagnato da esse. « Nessun segno culturale, una volta
18 Roland Barthes, Elementi di semiologia, p.14. Un’analisi approfondita
delle affinità tematiche tra Barthes e Bachtin verrà sviluppata successivamente.
introdotto e dotato di significato, rimane isolato: esso diventa parte dell’unità
della coscienza costituita verbalmente » (MFL p.66). I caratteri individuati del
segno verbale: «la sua purezza semiotica, la sua neutralità ideologica, la sua
implicazione nella comunicazione quotidiana, la sua capacità di diventare una
parola interna e, infine, la sua presenza obbligatoria, come fenomeno di ac-
compagnamento, in qualsiasi atto conscio» (MFL p.67), lo rendono l’oggetto
principale di studio della scienza delle ideologie . Il metodo sociologico marxista,
per cogliere i meccanismi delle rifrazioni ideologiche, deve di conseguenza
operare «sulla base della filosofia del linguaggio come filosofia del segno
ideologico» (MFL p.67).
1.1.5 La funzione del segno verbale nel rapporto dialettico tra base e
sovrastrutture ideologiche
Le proprietà peculiari della parola, in particolare la sua ubiquità sociale, la
rendono per Bachtin l'indice più sensibile dei mutamenti sociali e pertanto lo
strumento più adatto all'analisi del problema, fondamentale per il marxismo,
dell'interdipendenza tra base economica e sovrastruttura ideologica; ovvero di
«come l'esistenza reale (la base) determini il segno e come il segno rifletta e
rifranga l'esistenza nel suo processo di generazione» (MFL p.73). Essendo il
segno, in particolare il segno verbale, un costrutto tra persone socialmente
organizzate nel processo della loro interazione, dipenderà per la sua forma
dall'organizzazione sociale dei parlanti coinvolti, oltre che dalle circostanze
immediate della loro interazione; si troverà quindi come mediatore tra sistemi
ideologici già regolarizzati e completamente definiti dalla struttura socio-
economica e le forme di ideologia non ufficiale e i mutamenti ideologici in stato
nascente. Il linguaggio verbale, si realizza di necessità in una serie di generi del
discorso quotidiano che riflettono le forme fluide di interazione sociale in cui si
trova coinvolto. Una tipologia delle forme della comunicazione segnica è per
Bachtin un compito urgente e imprescindibile per il marxismo, che nel realizzarlo
deve attenersi a tre presupposti metodologici fondamentali:
1) L'ideologia non può essere separata dalla realtà materiale del segno
2) Il segno non può essere separato dalle forme concrete del rapporto
sociale
3) La comunicazione e le forme della comunicazione non possono essere
separate dalla base materiale (MFL p.75-76)
1.1.6 Funzione rifrangente e multiaccentuatività sociale del segno
ideologico
Bachtin ribadisce che l'esistenza del segno non è semplicemente riflessa,
bensì rifratta, distorta a causa dei differenti orientamenti degli interessi sociali
delle diverse classi coesistenti in una comunità segnica, ovvero a causa della
lotta di classe. «La classe non coincide con la comunità segnica, […] così classi
diverse utilizzeranno la stessa lingua»(MFL p.78)19. Pertanto ogni segno
ideologico sarà carico di accenti differentemente orientati. «Il segno diventa un
campo della lotta di classe» (MFL p.78). Questa "multiaccentuatività" sociale del
segno è per Bachtin un aspetto cruciale, in quanto causa fondamentale della sua
vitalità e della sua possibilità di sviluppo; ciò che rende il segno ideologico vitale,
19 Bachtin prende qui le distanze su un punto fondamentale dalla teoria lin-
guistica di N.A.Marr, fatta propria da Stalin e divenuta, dagli anni trenta agli anni
cinquanta, l'unica teoria linguistica ammessa dal regime. Marr affermava decisa-
mente il carattere unilateralmente classista della lingua, negando quindi che
classi diverse potessero utilizzare la stessa lingua.
è ad un tempo ciò che lo rende rifrangente e distorcente. «La classe dominante
si sforza in ogni modo di assegnare un carattere eterno, al di sopra delle classi,
al segno ideologico, per soffocare o per contenere la lotta tra giudizi sociali di
valore che ricorrono in esso, per rendere il segno uniaccentuativo» (MFL p.78-
79)20. Ciò malgrado, il segno manifesta la sua dialettica interna, che finisce per
estrinsecarsi pienamente nei periodi di crisi sociale o di mutamento
rivoluzionario.
1.2 Analisi critica delle correnti linguistiche contemporanee
L’analisi linguistica di Bachtin, si propone in primo luogo di indicare il suo
oggetto di indagine; tale compito non è di facile soluzione, ogni tentativo di
delimitare il linguaggio, di ridurlo a un complesso materiale di dimensioni
definitive e verificabili finisce per snaturarne l’essenza stessa, la sua natura
semiotico-ideologica. In linguistica si tende a privilegiare l’analisi di singoli
momenti dell’interazione verbale, lo studio fonologico, lo studio dell’aspetto
fisiologico della verbalizzazione o ancora quello psicologico della sua ricezione;
in tal modo si finisce per perdere di vista la globalità del fenomeno linguistico.
Per giungere a una definizione dell’oggetto reale della filosofia del linguaggio,
Bachtin ritiene necessario porre al vaglio le soluzioni a tale questione proposte
20 Esiste una profonda analogia tra quanto sostenuto da Bachtin al riguardo
della multiaccentuatività sociale del segno ideologico e le tesi focaultiane sul
lussureggiare e il proliferare del discorso, così come analoga è l’analisi delle
“procedure di esclusione”; «in ogni società la produzione del discorso è insieme
controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di
procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di
padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile
materialità.» Michel Foucault, L’ordine del discorso, p. 9.
dalle diverse correnti della linguistica contemporanea, riconducibili a due
orizzonti metodologici fondamentali, definiti l’uno come «soggettivismo
individualistico», l’altro come «oggettivismo astratto».
1.2.1 Critica del «soggettivismo individualistico»
La prima tendenza fondamentale nello studio del linguaggio pone l’atto
creativo individuale del discorso come oggetto della propria indagine; il
linguaggio è ritenuto prodotto dalla psiche individuale secondo processi creativi
analoghi alla creatività artistica. Bachtin individua in quattro punti i principi
fondamentali del soggettivismo individualistico:
1) Il linguaggio è attività, un processo incessante di creazione (energeia)
realizzata in atti di parola individuali;
2) Le leggi della creatività del linguaggio sono le leggi della psicologia
individuale;
3) La creatività del linguaggio è creatività significativa, analoga all’arte
creativa;
4) La lingua come prodotto confezionato (ergon), come sistema stabile
(lessico, grammatica, fonetica), è, per così dire, la crosta inerte, la lava indurita
della creatività del linguaggio, di cui la linguistica fa un costrutto astratto ai fini
dell’insegnamento pratico della lingua come strumento costituito. (MFL p.109)
Questo indirizzo nello studio della lingua venne inaugurato da Wilhelm von
Humboldt e ad esso sono riconduci i lavori di Potebnja21, Steinthal, Wundt,
21 Aleksandr Afanas’evic Potebnja, linguista, filologo e culturologo ucraino
(1835-91), un’analisi del suo pensiero, di grande rilevanza nella cultura sovietica
Vossler e Croce; sorto nel romanticismo dall’esigenza di uno studio filologico
della lingua materna, il soggettivismo individualistico considera come proprio
oggetto di studio l’atto di parola monologico22, e gli si rapporta dal punto di vista
della persona che parla e si esprime, la sua categoria fondamentale è quella
dell’espressione. La categoria dell’espressione presuppone un dualismo tra
elementi interni ed esterni, con precedenza ontologica e supremazia dei primi,
giacché ogni oggettivazione muove dall’interno verso l’esterno; è quindi conse-
guente che le teorie riconducibili al soggettivismo individualistico siano fondate
su basi idealistiche e spiritualistiche e che nel movimento di comprensione, in-
terpretazione e spiegazione dei fenomeni ideologici seguano un percorso inverso
rispetto a quello dell’espressione, alla ricerca del loro senso originario nella
mente del loro enunciatore. La critica bachtiniana al concetto di espressione,
cardine della tendenza soggettivista nello studio del linguaggio, muove dalla
riaffermazione del carattere materiale del segno; non è possibile parlare di una
differenza qualitativa tra elemento interno ed esterno in quanto l’esperienza non
può esistere al di fuori di un’incarnazione nei segni.
Secondo la teoria bachtiniana, non è neppure corretto sostenere che il
centro organizzativo dell’espressione sia all’interno del soggetto parlante; ogni
atto di parola è determinato dalla situazione sociale immediata in cui viene
pronunciato, dai rapporti reali che legano l’emittente al destinatario (reale o
immaginato), non ci può essere un destinatario neutro; «la parola è un atto a
due facce. È determinata ugualmente dal di chi è la parola e per chi è intesa.
Come parola, è precisamente il prodotto della relazione reciproca tra il parlante
successiva, è in La cultura nella tradizione russa del XIX e XX secolo, a cura di
D’Arco Silvio Avalle, Torino, Einaudi, 1980, p.135-167 e p.391-395.22 Viene qui introdotta la dicotomia «monologico-dialogico» centrale nel
pensiero di Bachtin, che sarà ampiamente tematizzata successivamente.
e l’ascoltatore, tra il mittente e il destinatario» (MFL p.159). La parola è quindi
«un ponte gettato tra me ed un altro», esprime una relazione e non può
appartenere esclusivamente al parlante, se non limitatamente all’atto fisiologico
della sua effettuazione. Considerando la parola in quanto segno, la questione
della sua proprietà diventa estremamente complicata, giacché le parole
vengono prese in prestito dalla riserva sociale dei segni disponibili e il loro uso
concreto è completamente determinato dalle relazioni sociali in cui sono
coinvolte. «L’immediata situazione sociale e il più ampio ambiente sociale
determinano interamente — e determinano dall’interno, per così dire — la strut-
tura di un atto di parola» (MFL p.160)23. Solo in un orizzonte sociale determinato
un’espressione ha un senso, il suo centro organizzativo è nell’ambiente sociale
che circonda l’individuo, non ha senso far riferimento, come i linguisti
soggettivisti, all’atto di parola individuale come oggetto ultimo di analisi, perché
in tal modo si perde di vista la sua natura essenzialmente sociale.
1.2.2 Critica dell’oggettivismo astratto
La seconda tendenza fondamentale nello studio del linguaggio, si
costituisce su direttive di ricerca completamente differenti; oggetto privilegiato
di studio non è più l’espressione individuale ma il sistema linguistico come
sistema delle forme fonetica, grammaticale e lessicale del linguaggio. Ciò che
viene cercato oltre il flusso degli atti del discorso sono le identità normative che
ne costituiscono lo sfondo costitutivo. La lingua è quindi una norma
23 Appare ora evidente come la pubblicazione sotto pseudonimo fosse
perfettamente in linea con le posizioni bachtiniane sulla proprietà del discorso.
Scomparsa ormai la figura dell’autore-demiurgo, Bachtin si porrà il compito di
verificare le forme socialmente determinate di interrelazione tra autore,
destinatario e “eroe” che strutturano il discorso.
incontestabile che sta di fronte all’individuo e che può essere solo accettata. Le
leggi specifiche dei fenomeni linguistici sono arbitrarie e autosussistenti, non
hanno legami con la realtà ideologica della comunità linguistica e non seguono
nel loro sviluppo alcuna legge logica; esiste quindi una discontinuità fon-
damentale tra il sistema della lingua e la sua storia. La lingua si evolve in virtù di
spostamenti accidentali regolati dal principio dell’errore per analogia. Lo stato di
lingua attuale è incapace quindi di entrare in reciproca comprensibilità con la
storia della lingua. Mentre per il soggettivismo individualistico l’essenza della
lingua è nella sua storia, essendo questa un processo di generazione continuo
(energeia), l’oggettivismo ritiene che il sistema di forme identiche (ergon) in un
dato momento sia l’oggetto reale dello studio del linguaggio e che le espressioni
individuali siano elementi residuali che in nessun modo possono render conto
della realtà della lingua. Bachtin schematizza in quattro punti i principi
fondamentali dell’oggettivismo astratto:
1) La lingua è un sistema stabile, invariabile di forme linguistiche
normativamente identiche che la coscienza individuale trova costituito e che per
questa coscienza è incontestabile.
2) Le leggi della lingua sono leggi specificamente linguistiche di
connessione tra i segni linguistici in un dato sistema linguistico chiuso. Queste
leggi sono oggettive rispetto a qualsiasi coscienza soggettiva.
3) Le connessioni specificamente linguistiche non hanno niente in comune
con i valori ideologici (artistici, conoscitivi o altri). I fenomeni della lingua non si
fondano su motivi ideologici. Tra la parola e il suo significato non si stabilisce
nessuna connessione di tipo naturale e comprensibile per la coscienza, o di tipo
artistico.
4) Gli atti individuali del parlare, sono, dal punto di vista della lingua,
rifrazioni e variazioni semplicemente fortuite, o pure e semplici alterazioni di
forme normativamente identiche. […] Non c’è nessuna connessione, nessuna
compartecipazione di motivi, tra il sistema della lingua e la sua storia. Sono
estranei l’uno all’altra. (MFL p.120-21)
Se la linguistica soggettivista è nata nel romanticismo, la linguistica
oggettivista affonda le radici ne razionalismo del XVII e del XVIII secolo, queste
radici risalgono a posizioni cartesiane e trovarono una prima espressione nella
concezione leibniziana di una grammatica universale. Tipica del razionalismo è
l’idea della convenzionalità e dell’arbitrarietà del linguaggio, così come lo è il
paragone tra la lingua e il sistema dei segni matematici, che permette di
considerare i segni linguistici come un sistema chiuso, trattabile in modo
esauriente senza far riferimento ai significati ideologici che sostanziano i segni.
La formulazione più compiuta e esauriente della teoria oggettivista nello
studio del linguaggio si deve a Ferdinand de Saussure e ai suoi discepoli Charles
Bally e Albert Sèchehaye. Saussure muove dalla distinzione di tre aspetti della
lingua, langage, langue e parole e individua come oggetto di studio la langue, il
sistema della lingua, trascurando l’analisi degli atti espressivi individuali (parole)
e l’insieme dei fenomeni fisiologici e psicologici implicati nell’attività verbale;
inoltre Saussure oppone nettamente la storia della lingua alla lingua come sis-
tema sincronico, essendo la storia dominata dalla parole, con la sua individualità
e casualità.
La critica di Bachtin all’oggettivismo astratto si rivolge in primo luogo alla
nozione di sistema della lingua, domandandosi quale realtà gli si debba
attribuire; sostenere la realtà, l’oggettività non mediata della lingua come
sistema di forme normativamente identiche, come fanno i linguisti oggettivisti,
significa assumere un atteggiamento astraente e ipostatizzante24. In realtà i
parlanti non hanno in nessun caso a che fare con la lingua intesa come sistema
di forme normativamente identiche, il loro interesse è completamente assorbito
dalla concreta espressione che stanno producendo, «il centro di gravità non si
trova nell’identità della forma ma in quel significato nuovo e concreto che essa
acquisisce nel contesto particolare» (MFL p.133). Il fenomeno della com-
prensione non si attua nel riconoscimento di una forma verbale, ma nel
comprenderla in un contesto reale particolare, ciò che è rilevante è la sua no-
vità, non la sua identità. L’uso pratico del linguaggio impegna sempre
necessariamente sul piano del comportamento e dell’ideologia, la lingua come
sistema si raggiunge per astrazione e presuppone lo svuotamento del suo
contenuto ideologico, perdendo così di vista il carattere multiaccentuativo e la
vitalità del segno; pertanto, per Bachtin, «la separazione della lingua dal suo
riempimento ideologico è uno degli errori più gravi dell’oggettivismo astratto»
(MFL p.137). Alla basa dell’opzione oggettivista negli studi linguistici, Bachtin
ritiene si trovi «una concentrazione teorica e pratica dell’attenzione sullo studio
di lingue straniere, morte, conservate in documenti scritti» (MFL p.138); sarebbe
quindi la filologia la madre della linguistica. Guidata da necessità filologica, la
linguistica pertanto avrebbe assunto come oggetto privilegiato di studio
l’espressione monologica compiuta. Il linguista filologo si rapporta ad un singolo
frammento del linguaggio astratto dalla catena ininterrotta delle espressioni
linguistiche, pertanto si trova condannato ad una sua comprensione inadeguata,
passiva, «che esclude, in anticipo e per principio, la risposta attiva» (MFL p.141).
24 Questo è secondo Bachtin il caso di Saussure, altri, come Meillet sono più
cauti e ammettono il carattere convenzionale del sistema linguistico.
La linguistica sarebbe nata quindi da esigenze interpretative ed educative che
ne marcano tuttora le direttive e i limiti. Bachtin articola in otto punti (MFL
p.146) la sua critica alla corrente oggettivista:
1) «Si privilegia il fattore dell’auto-identità permanente nelle forme
linguistiche rispetto alla loro mutabilità».
2) «Si privilegia l’astratto rispetto al concreto». Assumendo ad oggetto
l’espressione isolata e monologica, si strappano i legami che saldano
un’espressione alla effettiva concretezza del suo processo di generazione
storica.
3) «Si privilegia la sistematizzazione astratta rispetto alla realtà storica». Il
pensiero sistematico, formale della lingua è incompatibile con la viva
comprensione storica della lingua, dal suo punto di vista, la storia appare solo
una serie di trasgressioni accidentali.
4) «Si privilegiano le forme degli elementi rispetto alla forma del
complesso». Limitando la sua indagine all’espressione monologica compiuta,
l’oggettivismo astratto si preclude la possibilità di analizzare le entità
linguistiche più complesse; la struttura di una frase complessa, di un periodo, è il
limite estremo e invalicabile dell’analisi linguistica oggettivista, ciò che
trascende tale limite, viene rimandato alla competenza di altre discipline, la
retorica e la poetica.
5) «Reificazione dell’elemento linguistico isolato in quanto si trascura la
dinamica del linguaggio».
6) «Singolarizzazione del significato e dell’accentuazione della parola in
quanto si trascura la sua viva polivalenza semantica e accentuativa».
Dall’oggettivismo astratto, la molteplicità dei significati delle parole è percepita
come un insieme di sfumature occasionali di un unico e rigido significato; la
multiaccentuatività caratteristica del segno viene trascurata in quanto collegata
all’espressione individuale, la parole.
7) «La nozione della lingua come prodotto già pronto, trasmesso per
tradizione da una generazione all’altra». Sostenere che la lingua venga
tramandata, è per Bachtin scorretto, gli individui non ricevono la lingua come
prodotto finito, ma si gettano nel flusso linguistico e solo in tal modo la loro
coscienza può cominciare ad operare. La lingua materna non si accetta, in
quanto è proprio dentro la propria lingua che si giunge per la prima volta alla
consapevolezza.
8) «Incapacità di tematizzare il processo generativo interno di una lingua».
In conclusione, tutti i limiti e i fraintendimenti della corrente oggettivista
sono riconducibili all’esclusione dal territorio di indagine dell’espressione viva,
dell’atto linguistico contestualizzato, in quanto ritenuta qualcosa di individuale;
in realtà l’atto di parola è sociale quanto la lingua. Ritenere, separando langue e
parole, di aver separato ad un tempo ciò che è sociale da ciò che è individuale, è
assolutamente erroneo, «l’atto di parola, l’espressione (parole) è un fenomeno
sociale» (MFL p.154).
1.2.3 Bachtin e Saussure
Dopo aver esposto schematicamente le critiche bachtiniane alla linguistica,
è opportuno approfondire e dare una collocazione storica al rapporto di Bachtin
con la linguistica di Saussure. La critica bachtiniana formulata in Marxismo e
filosofia del linguaggio, appare immediatamente parziale, ciò nei due sensi del
termine: parziale in primo luogo perché trascura molteplici aspetti del pensiero
del linguista ginevrino che non si accordano con la sua analisi critica, e che in
alcuni casi sono in netto contrasto con essa, parziale inoltre perché di parte, ciò
che interessa a Bachtin è corroborare le sue posizioni, non svolgere un’analisi
filologica del pensiero di Saussure.
I rilievi critici di Bachtin sono per un verso pertinenti e anticipatori, Louis-
jean Calvet vi intravede «una critica della linguistica strutturale che non esiste
ancora ( siamo nel 1929, l’anno di pubblicazione delle tesi del circolo di Praga ) e
della linguistica generativa i cui prolegomeni saranno enunciati in U. S. A. trenta
anni più tardi»25, per altro, come rileva Jean-louis Houdebine, Bachtin sembra
«ampiamente sottostimare le capacità di analisi propria della problematica
saussuriana»26. Alcune indicazioni bachtiniane si sono rivelate decisamente an-
ticipatrici, l’analisi dei fenomeni d’enunciazione, delle condizioni di produzione
dei discorsi introdotte da Benveniste nel dibattito linguistico contemporaneo
presentano molteplici punti di contatto con la problematica bachtiniana,
rispondono alle stesse esigenze teoriche27 e svolgono una critica analoga della
ristrettezza del concetto saussuriano di “atto di parola” (parole). Bachtin
trascura invece in Saussure tutto ciò che diversi studiosi vi troveranno di
radicalmente innovatore, ovvero
la liquidazione di un modello della significazione stabilito per referenza
diretta a una realtà materiale. Egli glissa su tutto quello che, nel Corso di lin-
guistica generale — i concetti di: arbitrario, punto di vista, differenza, valore,
25 Louis-jean Calvet, Pour et contre Saussure, Paris, Payot, 1975, p.94.26 Jean-louis Houdebine, Langage et marxisme, Paris, Klincksieck, 1977,
p.167.27 Su Benveniste in particolare: Vjaceslav V. Ivanov, Significato delle idee
di M. M. Bachtin sul segno, l’atto di parola e il dialogo per la semiotica
contemporanea, in Augusto Ponzio, (a cura di) Michail Bachtin Semiotica, teoria
della letteratura e marxismo, pp.74-78, e Jean-Louis Houdebine, Langage et
marxisme, p.169.
pertinenza — fornirà gli elementi per una gnoseologia antipositivista28;
la sua definizione del fonema è estremamente parziale, viene definito
come entità identica a se stessa, isolata e con valore normativo per il locutore,
se tale definizione è accettabile sul piano fonetico, non lo è certamente su quello
fonologico, e finisce per occultare un aspetto fondamentale del pensiero di
Saussure, ovvero lo statuto strettamente differenziale delle unità fonologiche,
che le rende «innanzi tutto delle entità oppositive, relative e negative», principio
che non è valido nel solo ambito fonologico, ma per tutte le unità significanti nel
sistema della lingua29.
Certamente la conoscenza che Bachtin poteva avere nel 1929 del lavoro di
Saussure (necessariamente limitata alla prima edizione del Corso di linguistica
generale), è ben diversa da quella disponibile oggi, dopo settant’anni di ricerche
specialistiche e i lavori di Godel, De Mauro, Engler e Starobinski ma, come nota
28 Marc Angenot, Bachtin critico di Saussure, in Saggi su Bachtin,
L’immagine riflessa, Genova, Tilgher, 1984, pp.106-7. L’autore fa qui riferimento
in particolare alla semiotica della comunicazione di Luis Prieto e alla sua ripresa
della « grande enunciazione oracolare e antipositivista: “E il punto di vista che fa
l’oggetto”» , ivi p.111.29 Questo fraintendimento, secondo Houdebine, conduce Bachtin ad
indirizzare critiche ingiustificate a Saussure, come l’accusa di far prevalere gli
elementi del sistema sul sistema in quanto tale ( vedi il punto 4 della critica
all’oggettivismo astratto ), mentre è proprio il principio generale di una totalità
formale che regola i rapporti tra gli elementi che la costituiscono il punto chiave
della sua concezione della lingua, e soprattutto ad occultare quanto in questa
problematica fondamentale contribuirà « alla costituzione di una teoria del
soggetto: la chiarificazione di un’istanza dei significanti, da cui le reti
differenziali, la « batterie » ( Lacan ), che costituisce ad un tempo tanto il
contrassegno dell’emergere quanto dello scomparire del soggetto nel suo pro-
prio discorso cosciente» Jean-Louis Houdebine, Langage et marxisme, p.172.
Houdebine30, può stupire che Bachtin non abbia considerato la possibilità di una
dialettica tra punto di vista sincronico e diacronico non in contraddizione con
l’insieme della problematica saussuriana. Probabilmente ciò è da porre in
relazione all’intenzione critica di Bachtin: non tanto Saussure era in questione
quanto l’uso effettivamente astraente e antistorico che della linguistica struttu-
rale faceva il formalismo russo31.
30 Ivi, p.168.31 Il formalismo russo è stato un movimento teorico di grande rilevanza per
gli studi di linguistica e poetica.
Nato in reazione alle poetiche simboliste di fine ottocento e come
controparte teorica delle avanguardie futuriste nel 1917 con la formazione
dell’Opojaz (società per lo studio del linguaggio poetico), ebbe come membri
fondatori personalità come Viktor Sklovskij, Boris Ejchenbaum, Roman Jakobson,
Jurij Tynianov, Osip Brik e Boris Tomasevskij. Le elaborazioni teoriche del
formalismo russo furono ampiamente debitrici alla linguistica saussuriana e alla
filosofia tedesca contemporanea, in particolare alla critica husserliana allo
psicologismo contenuta nelle Ricerche logiche.
Benché gli autori del movimento formalista seguissero nei loro lavori
strategie personali e non si possa in definitiva parlare di un «metodo»
formalista, si possono indicare alcuni principi generali che costituiscono le
direttive fondamentali della loro ricerca. Il punto di partenza delle loro analisi è
la ricerca dell’ ambito specifico dello studio della letteratura, tale ricerca muove
dalla distinzione fondamentale tra linguaggio quotidiano e linguaggio poetico, il
primo sarebbe “automatizzato” ed eterotelico, il secondo invece autotelico e
sarebbe prodotto da meccanismi di “straniazione” (il concetto di straniazione
nell’arte venne ripreso e fatto cardine della propria teoria del teatro da Berthold
Brecht, e per suo tramite è giunto nelle teorie estetiche contemporanee). La
“letterarietà” è dunque il loro oggetto d’indagine, e venne indagata nel suo
aspetto di “materiale” e come “procedimento”, trascurando qualsiasi riferimento
al contenuto, ritenuto semplicemente un elemento occasionale ed accessorio
nella realizzazione dell’opera letteraria.
Caratteristica del movimento formalista è la concezione dell’evoluzione
Nei lavori successivi a Marxismo e filosofia del linguaggio, i riferimenti alla
linguistica di Saussure sono costanti e indicano un mutamento di prospettiva;
ora viene pienamente riconosciuto il valore scientifico delle analisi saussuriane
della lingua, l’attenzione è rivolta ad un piano qualitativamente differente dei
fenomeni linguistici definito a partire dal Dostoevskij32 (1929) come
“metalingvistika”, tradotto da Julia Kristeva33 con il termine “translinguistica”
ovvero l’analisi «pragmatica»34 degli atti del discorso. Secondo Todorov, in
Marxismo e filosofia del linguaggio, Bachtin «tende a dire che la (futura) translin-
della letteratura come avvicendamento di scuole, motivato da fattori immanenti
e non socialmente determinati: ad una corrente letteraria ne seguirebbe un’altra
con caratteri opposti allorché la prima esaurisce la spinta propulsiva che l’aveva
generata. Il formalismo russo si differenziò molto nella sua evoluzione
distanziandosi progressivamente dalle sue premesse originarie e si dissolse con
l’irrigidimento della politica culturale staliniana all’inizio degli anni trenta. Alcuni
formalisti di spicco (Jakobson, Karcevskij) furono in seguito animatori del circolo
linguistico di Praga.
Vengono considerati strettamente legati all’esperienza formalista anche i
lavori di Viktor Vinogradov, Vladimir Propp e dello stesso Bachtin, che al forma-
lismo dedicò una critica “immanente” (MFSL) e che rielaborò per i propri fini
alcuni concetti fondamentali del movimento. Sul formalismo russo in particolare:
Ignazio Ambrogio, Formalismo e avanguardia in Russia, Roma, Editori Riuniti,
1974; Tony Bennett, Formalism and marxism, London, Routledge, 1989; Victor
Erlich, Il formalismo russo, Milano, Bompiani, 1969; Hans Günther, Marxismo e
formalismo, Napoli, Guida, 1975; Peter Steiner, Il formalismo russo, Bologna, Il
Mulino, 1991; Tzvetan Todorov, I formalisti russi, Torino, Einaudi, 1968. 32 Dostoevskij.Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1968.
Per le citazioni successive si utilizzerà la sigla DPS, seguita dal numero di
pagina.33 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio (a cura
di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.111.34 Il termine è di Tzvetan Todorov, che considera Bachtin l’iniziatore di
questa disciplina, Tzvetan Todorov, Michail Bachtin, p.38.
guistica deve soppiantare la linguistica, poiché uno degli oggetti di conoscenza è
più reale dell’altro, o più importante, o più legittimo»35 mentre in altri scritti
ritiene legittima e necessaria una distinzione tra il piano della lingua,
analizzabile mediante la linguistica strutturale e quello della translinguistica che
ha per oggetto il discorso concreto. In tale prospettiva è legittimata l’astrazione
linguistica criticata in Marxismo e filosofia del linguaggio:
La linguistica, nel costruire i concetti di lingua e dei suoi elementi —
sintattici, morfologici, lessicali, ecc. — astrae dalle forme di organizzazione degli
atti di parola concreti e dalle loro funzioni socio-ideologiche. […] Questa
astrazione è assolutamente legittima, necessaria, ed è dettata dagli scopi pratici
e conoscitivi della linguistica stessa. Senza di essa non si potrebbero costruire i
concetti della lingua in quanto sistema. (MFSL p.198)36
e ancora
noi intendiamo la parola, cioè la lingua nella sua viva e concreta totalità, e
non la lingua come oggetto specifico della linguistica, ottenuto facendo
astrazione, con un procedimento assolutamente legittimo e necessario, da
alcuni aspetti della vita concreta della parola. […] La linguistica e la
metalinguistica studiano uno stesso fenomeno concreto, assai complesso e
multiforme, la parola, ma lo studiano sotto aspetti diversi e da diversi angoli
35 Ivi, p.38.36 Si può notare una differenza tra le posizioni di Bachtin-Medvedev in
MFSL, e quelle di Bachtin-Volosinov, pur risalendo al medesimo periodo, gli scritti
apparsi sotto differenti pseudonimi presentano valutazioni differenti circa la
legittimità dell’astrazione linguistica.
visuali. Esse debbono completarsi a vicenda, ma non confondersi. (DPS p.235)
Da quanto detto, accettando cioè la prospettiva di Todorov che pare
ritenere sovrapponibili, per metodi e fini teorici, le ricerche svolte in Marxismo e
filosofia del linguaggio e i successivi studi di translinguistica, sembrerebbe
scorretto analizzare separatamente i due gruppi di testi; a mio parere a
legittimare una trattazione separata è il carattere e le finalità strettamente
linguistiche delle ricerche di Marxismo e filosofia del linguaggio. Ciò che è in
questione in tale opera è la realtà dei fenomeni linguistici, non le forme e le
dinamiche della loro interazione; alla fine del volume, i risultati della ricerca
svolta vengono messi a frutto in un’analisi di concreti problemi di sintassi,
Bachtin rimane quindi in un ambito specificamente linguistico. Certamente
esiste un legame profondo tra Marxismo e filosofia del linguaggio e le altre
opere di Bachtin, giacché è qui che vengono tematizzati i fondamenti semiotico-
linguistici che sostengono i lavori successivi.
1.2.4 Sintesi della teoria linguistica bachtiniana
Conclusa la digressione sui rapporti tra Bachtin e Saussure, si cercherà ora
di verificare le conclusioni cui giunge l’analisi dei fenomeni linguistici sviluppata
in Marxismo e filosofia del linguaggio.
La critica alla teoria dell’espressione alla base del soggettivismo lin-
guistico, ha portato Bachtin ad individuare come centro organizzativo di
qualsiasi espressione ed esperienza l’ambiente sociale che circonda l’individuo;
l’atto di parola, differentemente dall’opinione dei linguisti oggettivisti, è
interamente un fenomeno sociale. «La conformazione stilistica di un atto di
parola è una conformazione di tipo sociale, e lo stesso flusso verbale di atti di
parola, che è ciò a cui equivale effettivamente la realtà del linguaggio, è un
flusso sociale» (MFL p.171). Attraverso l’analisi critica delle correnti linguistiche
contemporanee, Bachtin giunge quindi ad una risposta al quesito circa l’oggetto
reale degli studi sul linguaggio:
La realtà effettiva del linguaggio non è il sistema astratto delle forme
linguistiche, né l’atto di parola monologico e isolato, e neanche l’atto
psicofisiologico della sua effettuazione, ma è l’evento sociale dell’interazione
verbale compiuto in uno o più atti di parola . (MFL p.172)
L’interazione verbale è dunque la realtà fondamentale della lingua, forma
tipica dell’interazione è il dialogo, inteso sia nel senso ristretto del termine,
come interazione verbale diretta, sia e soprattutto in senso ampio, come
comunicazione, verbale o non, di qualsiasi tipo.
Porre ad oggetto di studio l’atto di parola, genera il problema dello studio
della connessione tra la concreta interazione verbale e la situazione
extraverbale, cioè del processo generativo reale dell’espressione, giacché «la
lingua acquista vita e si evolve storicamente proprio qui, nella concreta
comunicazione verbale, e non nel sistema astratto di forme linguistiche, né nella
psiche individuale dei parlanti» (MFL p.174). Uno studio linguistico adeguato al
suo oggetto, deve quindi per Bachtin riuscire a seguire la lingua nel suo
processo generativo e pertanto si impone una tripartizione metodologica che
dovrebbe essere: 1) studio delle forme e dei tipi di interazione verbali in
connessione con le loro condizioni concrete 2) studio dei generi dell’atto di
parola nei singoli ambiti della creatività ideologica e 3) «riesame, su questa
nuova base, delle forme linguistiche nella loro usuale presentazione linguistica»
(MFL p.174). L’ordine metodologico proposto segue l’effettivo processo generati-
vo della lingua, dal rapporto sociale generato dalla base socio-economica
all’interazione e la comunicazione verbale, in cui si generano le forme degli atti
di parola; quindi questo processo generativo è riflesso nel mutamento delle
forme linguistiche.
Dopo aver esaminato il processo generativo della lingua, Bachtin formula il
suo punto di vista sulla lingua in cinque proposizioni:
1) La lingua come sistema stabile di forme normativamente identiche è
semplicemente un’astrazione scientifica, produttiva soltanto in connessione con
certi particolari scopi pratici e teoretici. Questa astrazione non è adeguata alla
realtà concreta della lingua.
2) La lingua è un processo generativo continuo realizzato nell’interazione
socio-verbale dei parlanti.
3) Le leggi del processo generativo della lingua non sono affatto le leggi
della psicologia individuale, ma neppure possono essere separate dall’attività
dei parlanti. Le leggi della generazione della lingua sono leggi sociali.
4) La creatività linguistica non coincide con la creatività artistica né con
qualsiasi altro tipo di creatività ideologica specializzata. Ma, allo stesso tempo,
la creatività linguistica non può essere compresa indipendentemente dai
significati e dai valori ideologici che la riempiono. […]
5) La struttura di un atto di parola è una struttura puramente sociale.
L’atto di parola, come tale, si stabilisce tra due parlanti. L’atto di parola
individuale (nel senso stretto della parola « individuale ») è una contradictio in
adiecto. (MFL p.178)
1.3 Il ruolo dell’ideologia in Bachtin
La nozione di ideologia è centrale, come si è visto, nell’opera di Bachtin,
non solo negli scritti sociologici del periodo leningradese, ma in tutta la sua
produzione; è opportuno pertanto soffermarsi ad analizzare la valenza e il ruolo
che il termine viene ad assumere nel complesso dell’opera bachtiniana. Di
seguito, si cercherà di verificare l’esistenza di affinità tematiche tra Bachtin e
Roland Barthes e Louis Althusser muovendo dalla tematica dell’ ideologia,
centrale nel pensiero dei tre autori.
Benché Bachtin utilizzi frequentemente il termine in tutte le sue opere, una
definizione esauriente dell’ideologia non si trova in nessun luogo, se si eccettua
un passo dell’articolo Che cos’è il linguaggio?, in cui scrive: «Per ideologia
intendiamo tutto l’insieme dei riflessi e delle interpretazioni della realtà sociale e
naturale che avvengono nel cervello dell’uomo e sono espresse e fissate per
mezzo di parole, disegni, schizzi e altre forme segniche»37; tale definizione
schematica non esaurisce assolutamente la valenza semantica del termine e
indica esclusivamente una traccia per una ricerca ulteriore.
Ideologia è per Bachtin innanzitutto espressione concreta dei rapporti
materiali tra gli uomini, tale caratteristica è stata ampiamente tematizzata
nell’analisi del segno ideologico. Si è visto come ogni fenomeno ideologico possa
essere compreso esclusivamente mediante il suo riferimento al campo ideo-
logico a cui appartiene, in quanto tali sistemi sovrastrutturali (l’arte, il diritto, la
religione, l’etica, la conoscenza scientifica e le diverse forme della cultura)
37 in Michail Bachtin, Il linguaggio come pratica sociale, p.249, nota 5.
Per le successive citazioni si utilizzerà la sigla LPS, seguita dal numero di
pagina.
possiedono una relativa autonomia e leggi proprie. Il problema fondamentale
della scienza marxista delle ideologie è dunque quello della specificazione38, che
richiede l’analisi delle modalità di relazione tra significato e materiale segnico in
cui è concreto in ogni singolo campo ideologico.
Di grande importanza per la scienza delle ideologie è la nozione di am-
biente ideologico, ovvero dell’anello compatto dei fenomeni ideologici che
circonda l’uomo sociale, costituito «da oggetti segni di tipi e categorie diversi:
parole nelle più diverse forme, ossia sonore, scritte o di altro tipo, affermazioni
scientifiche, simboli e credenze religiose, opere d’arte, ecc.» (MFSL p.75).
L’ambiente ideologico è la coscienza sociale di una data collettività ed è
determinato dalla realtà economica della comunità stessa. Nell’ambiente
ideologico si determina la coscienza individuale, che si può realizzare solo «nelle
forme ideologiche dell’ambiente che gli vengono date: la lingua, il gesto
convenzionale, l’immagine artistica, il mito, ecc.» (MFSL p.76). Nell’ambiente
ideologico ciascuna collettività articola in un costrutto unitario sintetico la
scienza, l’arte, la morale e le altre ideologie; l’ambiente ideologico rappresenta
quindi l’episteme di una comunità determinata. Secondo Bachtin, il concetto di
ambiente ideologico possiede un grande significato teorico e metodologico;
essendo questo determinato oltre che dalla creatività ideologica individuale e
sociale anche dalle forme di azione organizzata sulla strutturazione sociale (po-
litica dell’istruzione e dell’educazione sociale e propaganda culturale), che
presuppongono la conoscenza delle leggi che lo regolano, rappresenta una
38 Il problema della specificazione era stato sollevato dai formalisti russi, i
quali individuarono come oggetto della scienza della letteratura la “letterarietà”,
ovvero la specifica modalità intenzionale che caratterizza il linguaggio letterario.
Bachtin, nella sua critica immanente del formalismo riconosce l’importanza
della specificazione e la estende dall’arte a tutti i campi ideologici, MFSL, p.55.
chiave interpretativa privilegiata di tutto il mondo ideologico. Un errore
frequente della critica marxista nasce dalla sottovalutazione dell’importanza
dell’ambiente ideologico e accade allorché si riporta un singolo fatto ideologico
alla base economica in modo meccanico, senza riferimento appunto
all’ambiente ideologico che l’ha generato e che media ogni relazione tra la base
socio-economica e i singoli atti ideologici.
Un’altra nozione implicata nella tematica dell’ideologia, per certi versi
legata a quella di ambiente ideologico, è quella di «ideologia quotidiana», di cui
Bachtin si serve per definire «l’insieme delle sensazioni quotidiane — quelle che
riflettono e rifrangono la realtà sociale oggettiva — e le espressioni esteriori
immediatamente legate ad esse» (LPS p.87). L’ideologia quotidiana è
l’atmosfera di «discorso interno» ed esterno non sistematizzato che rende
significativo ogni comportamento e ogni azione conscia. È inoltre il sostrato su
cui si edificano i grandi sistemi ideologici, i quali a loro volta interagiscono con
l’ideologia quotidiana, determinando la sua dominante. Ciò che rende
particolarmente importante la nozione di ideologia quotidiana all’interno del
discorso critico bachtiniano, è il suo ruolo di mediatore nella ricezione, da parte
di una comunità, dei prodotti ideologici:
l’ideologia quotidiana fa entrare l’opera in una certa particolare situazione
sociale. L’opera si combina con l’intero contenuto della coscienza di coloro che
la percepiscono e trae i sui valori appercettivi soltanto dal contesto di questa
coscienza. È interpretata nello spirito del particolare contesto della coscienza ( la
coscienza di chi percepisce ) e ne è di nuovo illuminata. Questo è ciò che
costituisce la vitalità di una produzione ideologica. (MFL p.167-68)
L’ideologia quotidiana non è qualcosa di monolitico e definito, in essa
bisogna distinguere molteplici strati, dai più bassi, costituiti da pensieri confusi,
disarticolati e inutili fino a quelli più elevati, il cui limite superiore è confinante
con i sistemi ideologici strutturati. Se gli strati inferiori dell’ ideologia quotidiana
sono privi di qualunque logica, essendo costituiti da esperienze prive di
articolazione, casuali e futili, gli strati superiori, confinanti e collegati ai sistemi
ideologici, sono di grande importanza, giacché sono più seri, vitali ed hanno
carattere creativo. Questi strati, più fluidi e sensibili di ogni ideologia costituita,
trasmettono rapidamente e vividamente i mutamenti che avvengono a livello
strutturale, nella base socio-economica: «È precisamente qui che nidificano
quelle energie creative attraverso la cui azione avviene una ristrutturazione
parziale o radicale dei sistemi ideologici» (MFL p.169). È in questi strati che
trovano espressione ideologica nuove forze sociali, ed è qui che si innesca la
lotta per l’affermazione di ideologie alternative a quelle istituzionalizzate che
sostengono le istanze della classe egemone.
È ricorrente e fondamentale in Bachtin la distinzione tra due livelli
dell’ideologia, da un lato si trovano le forme istituzionalizzate dell’ideologia,
definite «ideologia ufficiale» che rappresentano la concrezione degli interessi
della classe dominante, di contro si da un’ «ideologia non ufficiale» in cui rien-
trano gli orientamenti devianti degli individui, gli strati dell’inconscio e del
discorso censurato39, così come gli orientamenti sociali alternativi alla classe
egemone.
La distinzione tra ideologia ufficiale e ideologia non ufficiale svolge un
39 Di ciò si parlerà diffusamente nel capitolo successivo dedicato alla teoria
psicologica di Bachtin.
ruolo di primo piano nel Rabelais40, dove il carnevale, mediante la sua logica
ambivalente e sovversiva, fondata sul rovesciamento dei ruoli dell’ideologia uffi-
ciale, crea la possibilità di un’ affermazione precaria delle utopie sociali e della
manifestazione delle istanze rimosse degli individui.
Già da quanto detto appare la distanza tra la nozione marxiana di ideologia
e quella bachtiniana: ideologia non è intesa in nessun modo come falsa
coscienza della classe dominante interessata al mantenimento della divisione in
classi della società e all’occultamento delle contraddizioni reali interne al
sociale, ma nel senso ampio che il termine assume all’interno del marxismo a
partire da Lenin, per cui si può parlare tanto di “ideologia borghese” quanto di
“ideologia proletaria” e di “ideologia scientifica”. Augusto Ponzio ritiene valida
per Bachtin la definizione data da Adam Schaff, secondo cui:
l’ideologia è un sistema di concezioni che è determinato da interessi di un
certo gruppo sociale, di una classe, e che in base ad una serie di valori
condiziona atteggiamenti e comportamenti sia dei soggetti del gruppo in
questione sia di quelli di altri gruppi sociali quando essa assurga ad ideologia
dominante.41
L’ideologia, in Bachtin, non indica esclusivamente una visione del mondo;
a causa della funzione attiva dei segni ideologici nell’orientamento della prassi,
della funzione costitutiva dei segni ideologici nei confronti del discorso interno
(la “coscienza reale-pratica”), del suo ruolo nella dialettica base-sovrastruttura,
40 Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale
e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Mosca, 1965, trad. it. Torino,
Einaudi, 1979.41 Citato in Augusto Ponzio, Michail Bachtin, Bari, Dedalo, 1980, p. 155.
l’ideologia diviene anche «progettazione sociale»42. L’ ideologia, come
progettazione sociale, può assecondare sia le forze centripete che tendono a
riprodurre, a “naturalizzare” l’ordine sociale esistente, sia le forze centrifughe
che tendono a porre in discussione, a sovvertire i rapporti esistenti. Come si era
visto analizzando i principi della semiotica bachtiniana, tale dialettica si realizza
all’interno dell’universo segnico, in virtù della peculiare multiaccentuatività
sociale del segno ideologico, dei differenti orientamenti generati dalla rifrazione
socialmente determinata del segno.
L’affermazione del carattere rifrattivo del segno e conseguentemente
dell'ideologicità di ogni discorso, non conduce Bachtin all’accettazione di un
relativismo soggettivistico e alla negazione della possibilità di giungere a verità
obiettive; ciò che è fondamentale di un’idea, non è la sua neutralità, ma proprio
la sua ideologicità, l’essere generata da interessi sociali concreti:
…un’idea è forte, certa e significativa se ha saputo toccare aspetti
essenziali della vita di un dato gruppo sociale, se ha saputo legarsi alla posizione
di questo gruppo nella lotta di classe, anche se il creatore di questa idea non ne
è affatto cosciente. L’efficacia della significatività dei pensieri è direttamente
proporzionale alla loro fondatezza di classe, al loro essere fecondate dalla realtà
socioeconomica di un determinato gruppo. 43
Le diverse forme ideologiche non possiedono la medesima validità, ciò che
ne determina la legittimità e il valore conoscitivo e pratico è, come si è detto, la
fondatezza di classe.
42 Ivi, p.155. 43 Michail Bachtin, Freudismo, p.76.
Una distinzione forte tra la scienza e le altre produzioni ideologiche si può
trarre da un passo marginale ma significativo; in un’intervista venne chiesto a
Bachtin se considerasse Dostoevskij un filosofo; egli rispose «faccio una rigorosa
distinzione tra il pensatore e il filosofo. Il filosofo è uomo di scienza, uno
specialista, e la filosofia è una scienza rigorosa. In questo senso Dostoevskij non
è stato un filosofo»44. Ciò che determina la scientificità di una disciplina è la
profondità e l’articolazione dell’analisi, ciò non vuol dire che una ricerca possa
sfuggire ai condizionamenti ideologici che necessariamente orientano il lavoro,
tanto nelle “scienze dello spirito” quanto in quelle naturali.
L’assunzione acritica del termine nell’accezione marxiana ha motivato
alcuni rilievi critici al lavoro di Bachtin. Wladimir Krysinski gli rimprovera «un
certo feticismo dell’ideologia»45, una tentazione panideologica, Donatella Ferrari-
Bravo lo accusa di mutuare il termine ideologia dal gergo del “marxismo
volgare”46, tali critiche non paiono pertinenti in quanto trascurano il ruolo e
l’articolazione del termine in Bachtin. Nel suo articolo Krysinski trova che
nell’uso di Bachtin l’ideologia sia «una sovrastruttura indistinta, immobile e
unitaria, un ombrello mentale che protegge contro pensieri troppo individualisti
e critici»47, rimanda per ulteriori chiarificazioni del termine ai lavori di Lukács,
Korsch e Mannheim, autori che effettivamente utilizzano la nozione di ideologia
nell’accezione marxiana, ciò al fine di criticare il ruolo subalterno, nella teoria
44 Riportata in appendice a Michail Bachtin, Tolstoj, Bologna, Il mulino,
1986, p.138.45 Wladimir Krysinski, Della sindrome ideologica in Bachtin, in Saggi su
Bachtin.L’immagine riflessa, Genova, Tilgher, 1984,p.128.46 Donatella Ferrari-Bravo, Il concetto di parola in Bachtin e Florenskij, in
«Strumenti critici »,n°2, 1988, p.225.47 Wladimir Krysinski, Della sindrome ideologica in Bachtin, p.130.
bachtiniana, dell’individuo alla realtà socio-economica (ovvero affermazioni
come: «La coscienza individuale non è l’architetto della sovrastruttura
ideologica, ma soltanto un locatario che alloggia nell’edificio sociale dei segni
ideologici» (MFL p.63)) e di contrapporvi l’idea dell’autore-creatore e del critico
dell’ideologia neutrale. Ho riportato tali considerazioni perché sono
emblematiche della ricezione che il pensiero di Bachtin ha avuto soprattutto nel
mondo anglosassone; se da un lato vengono accolti molti spunti del suo lavoro,
dall’altro vengono sistematicamente rifiutati tutti quegli aspetti che non sono in
sintonia con i presupposti ideologici del liberalismo borghese. Una simile
interpretazione ideologica risulta assolutamente parziale e inadeguata.
1.3.1 Critica ideologica e linguaggio in Roland Barthes e Bachtin
Può sembrar bizzarro accostare l’opera di due autori tanto differenti come
Bachtin e Barthes, l’uno vissuto fino agli ultimi anni di vita ai margini della vita
culturale sovietica, l’altro protagonista della scena culturale parigina, critico
mondano per eccellenza e docente al Collège de France, massima istituzione
culturale francese; eppure sono molteplici le affinità tematiche e le intuizioni su
punti teorici qualificanti che permettono un raffronto produttivo tra le opere dei
due pensatori.
L’esposizione di tale raffronto si svilupperà secondo tre direttive
fondamentali, in primo luogo si analizzerà il lavoro di Barthes mitologo, critico
dell’ideologia, con riferimento privilegiato alle prime opere critiche, di seguito si
cercheranno le affinità tra il “metodo” proposto da Barthes per l’indagine
semiologica, in particolare nel Sistema della moda e negli Elementi di
semiologia, e le direttive metodologiche proposte dalla semiotica bachtiniana, in
conclusione si proporrà un raffronto tra gli autori sulle nozioni chiave di “testo” e
di “intertestualità”, che costituiscono le tracce di un’influenza diretta di Bachtin.
Barhes ebbe infatti la possibilità di conoscere i lavori di Bachtin molto prima
della loro divulgazione in occidente attraverso Julia Kristeva, che intervenne su
suo invito entusiastico al suo seminario dell’anno1966-67 all’École pratique des
Hautes Études, dove relazionò le opere di Bachtin, in particolare il Dostoevskij e
il Rabelais48.
La nozione chiave di tutto l’itinerario critico di Barthes è quella di
connotazione; implicita ne Il grado zero della scrittura, in cui si manifesta “in
assenza” nella «scrittura bianca», divenne il principio cardine dell’analisi del
segno quotidiano sviluppata nei Miti d’oggi, dopo la lettura e la reinterpretazione
dei lavori di Louis Hjelmslev. Il meccanismo di connotazione si attua allorché un
segno diventa il significante di un altro segno49; tale è la pratica che genera il
mito, segno alla seconda potenza, che si insinua tra la realtà e la percezione che
ne abbiamo. Il mito è lo strumento della distorsione ideologica, esprime la verità
48 Louis-Jean Calvet, Roland Barthes, Paris, Flammarion, 1990, p.194-95, e
Stephen Heath, L’analisi sregolata: lettura di R. Barthes, Bari, Dedalo, 1977,
p.95.49 Umberto Eco rileva come Barthes abbia ampliato la nozione di
connotazione ben al di là della valenza che questa aveva in origine: «Hjelmslev
aveva offerto a Barthes non una nozione “forte” di semiotica connotativa come
semiotica il cui piano dell’espressione è una semiotica soggiacente, ma una
nozione assai “debole” di cosa fosse questa sopraelevazione semiotica. Gli
esempi che Hjelmslev dà di connotazione riguardano per esempio il fatto che
una pronuncia può connotare l’origine regionale. Nulla del concetto “forte” poi
manipolato da Barthes, dove attraverso la lettura delle connotazioni si delinea la
possibilità di leggere le tracce dell’ideologia, e il modo in cui una società fa
circolare in modo altamente persuasivo i segni più apparentemente innocui.» La
maestria di Roland Barthes, in Mitologie di Roland Barthes, Parma, Pratiche
Editrice, 1986, p.301.
di una ideologia. Barthes si propone di disvelare l’inganno prodotto dal mito
attraverso un’ampia fenomenologia di forme di comunicazione, di oggetti
culturali e quotidiani, che si rivelano come prodotti ideologici della piccola bor-
ghesia, indici del suo peculiare modo di rapportarsi al reale. La borghesia è il
luogo di emissione e fruizione del mito, il luogo della distorsione del senso,
all’interno della sua prospettiva di classe, tale distorsione è occultata, non pone
problemi, anche in virtù della modalità di pensiero che le è caratteristica, ovvero
il pensare per tautologie: «ho già segnalato la predilezione della piccola
borghesia per i ragionamenti tautologici»50. Il progetto di Barthes si configura
quindi come una «semiologia generale del nostro mondo borghese», come uno
svelamento dell’inganno occultato nella prassi segnica propria della borghesia,
come critica quindi della doxa, come guerra al «ciò-che-va-da-sé», al
«verosimile» dietro cui si occultano i meccanismi di autoperpetuazione della
classe egemone.
Nella postfazione ai Miti d’oggi, vengono indicati i principi teorici che
sostengono l’indagine; la forma del mito è determinata, come detto, dalla
connotazione, «il mito ha quindi come forma un senso preliminare (ovvero un
50 Roland Barthes, Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1974, p.58. Accanto alla
tautologia, Barthes individua una serie di espedienti e di strategie di pensiero
che sostengono l’interpretazione ideologica del reale propria del mito; essi sono
“il vaccino”, «che consiste nel confessare il male accidentale di una istituzione di
classe per mascherarne meglio il male principale», “la privazione di storia”,
“l’identificazione”, per cui il borghese, incapace di immaginare l’Altro, deve
negarlo o trasformarlo a sua immagine, “il neneismo”, «figura mitologica che
consiste nello stabilire due contrari e nel soppesarli l’uno con l’altro in modo da
rifiutarli ambedue», “la quantificazione delle qualità” e la “constatazione”, il ri-
fiuto di uscire dalla sua propria visione del mondo, al cui interno tutto è coerente
e giustificato. Ivi, p.230-33.
segno, un discorso, ecc.)»51; in quanto ogni sistema di connotazione è insieme
parassita e ladro del parlare, la funzione del mito è già inclusa nella sua forma, il
mito deforma, distorce «la sua funzione è di deformare, non di far sparire»52. Il
mito inoltre tende ad eternizzare il suo senso, «il mito si costituisce attraverso la
dispersione della qualità storica delle cose: le cose vi perdono il ricordo della loro
fabbricazione»53, il mito vuole porsi come naturale, si finge fuori dalla storia e
dalla dialettica di classe. Un’altra caratteristica del mito in quanto linguaggio
connotativo è il suo essere emesso da una collettività, ciò pone gli individui
nell’impossibilità di entrarvi in dialogo, gli individui possono rispondere esclusi-
vamente sul piano della denotazione, del senso primo dei segni, è loro preclusa
qualsiasi incidenza sul piano della connotazione54.
Salta all’occhio la profonda affinità tra la visione di Barthes del rapporto
segno-ideologia e quella bachtiniana, come nota Louis-Jean Calvet, «questo può
essere l’aspetto più innovativo dei testi di Barthes: l’idea che, attraverso la
connotazione, l’ideologia si manifesta sempre nel segno. Curiosamente, questa
ipotesi è già presente nell’opera del linguista sovietico Volosinov»55 (pseudonimo
di Bachtin, come detto), secondo Bachtin il segno è sempre creato nella pratica
comunicativa, in un orizzonte ideologico determinato che lo forgia e lo
determina, quindi non c’è ideologia senza segni. «Aggiungiamo a ciò che non c’è
segno senza ideologia, e ci ritroveremo prossimi ai presupposti teorici di Barthes
51 Louis-Jean Calvet, Roland Barthes. Uno sguardo politico sul segno, Bari,
Dedalo, 1978, p.107.52 Roland Barthes, Miti d’oggi, p.104.53 Ivi, p.223.54 Questo aspetto fondamentale è posto in luce da Louis-Jean Calvet,
Roland Barthes. Uno sguardo politico sul segno, p.114.55 Louis-Jean Calvet, Pour et contre Saussure, p.91.
delle Mythologies»56. Per Bachtin come per Barthes, il segno (il mito) è es-
senzialmente distorcente, e tale distorsione è mascherata dalla prospettiva di
classe, si rende evidente esclusivamente al prezzo di abbandonare l’orizzonte
segnico ideologico della classe egemone. Attraverso il controllo e la
manipolazione della comunicazione segnica, la classe dominante cerca di
perpetuarsi, negando sia la sua natura di classe «la borghesia si definisce come
la classe sociale che non vuole essere nominata»57, sia il suo carattere storico;
compito del mitologo (per Barthes), del semiologo, studioso delle ideologie (per
Bachtin) è mostrare il carattere storico determinato delle forme della comunica-
zione segnico-ideologica, cercando di determinare i meccanismi che sottendono
la loro formazione.
Si era accennato precedentemente all’impossibilità per i singoli individui di
entrare in dialogo con i sistemi di comunicazione connotativi, essendo la
connotazione un prodotto socialmente determinato, si situa al di fuori del raggio
di incidenza dei singoli, che si trovano nella condizione di subire il mito, finendo
così per esserne determinati; Barthes giunge così a conclusioni analoghe a
quelle di Bachtin, secondo cui l’ideologia determina completamente la coscienza
individuale, per cui questa è «soltanto un locatario che alloggia nell’edificio
sociale dei segni ideologici» (MFL p.63).
Nella prospettiva di un rapporto tra Barthes e Bachtin, assume
un’importanza considerevole il tentativo di dare una espressione sintetica ai
principi teorici della semiologia intrapreso da Barthes negli Elementi di
semiologia. Muovendo dalla constatazione che ogni sistema semiologico
complesso si trova in una situazione di implicazione o di dipendenza dal
56 Ivi, p.91.57 Roland Barthes, Miti d’oggi, p.219.
linguaggio:
La sostanza visiva, per esempio, conferma le sue significazioni facendosi
accompagnare da un messaggio linguistico (come avviene per il cinema, la
pubblicità, i fumetti, la fotografia giornalistica, ecc.), cosicché almeno una parte
del messaggio iconico si trova in un rapporto strutturale di ridondanza o di
ricambio con il sistema della lingua. Dal canto loro, gli insiemi d’oggetti (vestito,
cibo) non accedono allo statuto di sistema se non passando attraverso la
mediazione della lingua58
Barthes propone di ribaltare la prospettiva saussuriana che considerava la
linguistica una parte della semiologia, intesa come scienza generale dei segni,
per affermare che «viceversa la semiologia è una parte della linguistica: e
precisamente quella parte che ha per oggetto le grandi unità significanti del
discorso»59. Dal momento che «il linguaggio umano non è solo il modello del
senso, ma anche il suo fondamento»60, il semiologo, «anche se in partenza
lavora su sostanze non linguistiche, incontrerà prima o poi sulla propria strada il
linguaggio (quello «vero»), non solo a titolo di modello, ma anche a titolo di
componente, di elemento mediatore o di significato»61. Tuttavia, precisa Barthes,
58 Roland Barthes, Elementi di semiologia, Torino, Einaudi, 1966, p.14.
Partendo da questi presupposti, Barthes distinguerà, nella sua analisi strutturale
della moda contenuta nel Sistema della moda, il vestito reale dal vestito-
immagine e dal vestito scritto, e limiterà l’indagine a quest’ultimo, ovvero alle
didascalie che accompagnano e commentano le immagini dei capi di vestiario e
che costituiscono la Moda come sistema sincronico puro. 59 Roland Barthes, Elementi di semiologia, p.15.60 Roland Barthes, Sistema della moda, Torino, Einaudi, 1970, p.XV. 61 Roland Barthes, Elementi di semiologia, p.14.
questo linguaggio è differente da quello dei linguisti, è un linguaggio secondo,
non più costituito da monemi o fonemi, ma da «frammenti più estesi del
discorso che rinviano a oggetti o episodi»62, ciò lo porta a prevedere che la
semiologia finirà per essere assorbita da una
trans-linguistica, la cui materia sarà costituita ora dal mito, dal racconto,
dall’articolo giornalistico, ora dagli oggetti della nostra civiltà, nella misura in cui
essi sono parlati (attraverso la stampa, il volantino, l’intervista, la conversazione
e forse anche il linguaggio interiore, di ordine fantasmatico). 63
Si era visto come anche Bachtin individuasse il ruolo privilegiato del
linguaggio nell’analisi dei fenomeni ideologici, in effetti, benché tematizzate in
modo meno esplicito, si ritrovano in Barthes le stesse proprietà della parola
proprie della caratterizzazione del linguaggio proposta da Bachtin, «la sua
purezza semiotica, la sua neutralità ideologica, la sua implicazione nella
comunicazione quotidiana, la sua capacità di diventare una parola interna e,
infine, la sua presenza obbligatoria, come fenomeno di accompagnamento, in
qualsiasi atto conscio» (MFL p.67).
È inoltre sorprendente come il progetto semiologico di Barthes, destinato a
risolversi in una trans-linguistica, sia sovrapponibile all’analisi degli atti di
discorso inaugurata da Bachtin nel Dostoevskij, denominata metalingvistika e
intesa come lo «studio, non ancora organizzato in determinate singole discipline,
di quegli aspetti della vita della parola che esulano — del tutto legittimamente —
dall’ambito della linguistica» (DPS p.235); Julia Kristeva, cogliendo tale affinità e
62 Ivi, p.14.63 Ivi, p.14.
per evitare confusioni con la nozione linguistica di metalinguaggio, propone la
traduzione di metalingvistika con translinguistica64.
Nella seconda metà degli anni sessanta Barthes torna a dedicarsi all’analisi
strutturale dei testi letterari, l’apparato teorico di cui dispone ora è molto più
evoluto rispetto a quello che sosteneva le analisi de Il grado zero della scrittura.
Come si è detto, ad influenzare gli orientamenti dell’analisi testuale di Barthes,
fu anche la conoscenza dell’opera di Bachtin, recepita attraverso
l’interpretazione di Julia Kristeva. Non avendo ancora affrontato la teoria
bachtiniana del testo, limiterò la trattazione a semplici accenni, per riprendere
successivamente l’argomento. Barthes, in opere come S/Z e Il piacere del testo,
insiste sul carattere plurale, polifonico del testo, sul movimento dei testi, «a
Barthes piace molto ricordare che «testo», in latino «textus», vuol dire
«tessuto», «trama»»65, da cui l’idea di una “ifologia”, da hyphos (ragnatela), per
designare la teoria del testo, essendo questo «un intreccio perpetuo»66.
L’analisi della novella Sarrasine di Balzac che costituisce S/Z, svolta
attraverso la divisione del testo in unità di lettura (lessie) e l’utilizzo di cinque
codici interpretativi (proairetico, ermeneutico, semico, simbolico e culturale)67,
64 Julia Kristeva, Le mot, le dialogue et le roman, in Shmeiwtikh.
Recherches pour une sémanalyse, Paris, Éditions du Seuil, 1969, p.149.65 Stephen Heath, L’analisi sregolata: lettura di R. Barthes, p.88.66 Roland Barthes, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975, p.41.67 Il codice proairetico è quello delle sequenze d’azioni narrative, che
determina lo svolgimento del racconto, il codice ermeneutico è il codice della
verità, che si nasconde per essere poi svelata, secondo un ritmo di attesa e di
risoluzione, il codice semico è il codice dei significati caratteriali, psicologici,
atmosferiali, delle connotazioni. Il codice simbolico è il campo delle articolazioni
simboliche del testo, secondo la regola della metonimia, implica una logica della
trasgressione, il codice culturale, infine, rimanda all’insieme delle referenze di
un testo, al sapere sul quale il testo si appoggia.
vuole render conto dell’intrecciarsi nel testo di una pluralità di codici, di voci, di
citazioni e di altri testi, in una parola dello spazio intertestuale che vi si
manifesta. Tale lavoro vuole restituire il testo nella sua differenza, «il che non
vuol dire nella sua ineffabile individualità, perché questa differenza è «tessuta»
in codici conosciuti… Il testo è preso in una rete aperta, che è l’infinito stesso del
linguaggio, esso stesso strutturato senza chiusura»68.
La nozione di intertestualità serve a Barthes per illustrare l’apertura fon-
damentale del testo, il suo essere necessariamente compromesso con la vita
testuale precedente e successiva, «è questo l’intertesto: l’impossibilità di vivere
al di fuori del testo infinito — sia questo testo Proust, o il giornale quotidiano, o
lo schermo televisivo: il libro fa il senso, il senso fa la vita»69, «grado a grado, un
testo può entrare in contatto con qualunque sistema: l’intertesto non ha altra
legge se non la infinità delle sue riprese»70. Un sorprendente ampliamento della
nozione di intertestualità spinge Barthes a non limitare l’influenza più o meno
diretta su un testo alle opere che lo hanno preceduto, ma ad ipotizzare un’inter-
testualità “retrospettiva”, «in ciò che si chiama l’intertestuale, bisogna includere
i testi che vengono dopo: le fonti di un testo non sono solamente prima di esso,
ma anche dopo. È il punto di vista adottato in modo molto convincente da Lévi-
Strauss, quando dice che la versione freudiana del mito di Edipo fa parte del
mito di Edipo: se si legge Sofocle, bisogna leggerlo come una citazione di Freud;
e Freud come una citazione di Sofocle»71.
68 Roland Barthes, La lotta con l’angelo: analisi testuale di Genesi 32. 23-
33. in L’avventura semiologica, Torino, Einaudi, 1991, p.166.69 Roland Barthes, Il piacere del testo, p.36.70 Roland Barthes, S/Z, p.191.71 Roland Barthes, L’analisi strutturale del racconto.A proposito degli Atti
degli Apostoli 10-11, in L’avventura semiologica, p.149.
Come detto, si riprenderà il raffronto tra Bachtin e Barthes sulle nozioni di
“testo” e “intertestualità” in un momento successivo, allorché si analizzeranno
le valenze che queste vengono ad assumere nell’opera di Bachtin.
1.3.2 L’analisi strutturale dell’ideologia in Louis Althusser
La tematica dell’ideologia svolge un ruolo centrale nell’elaborazione
teorica di Louis Althusser, autore che ad essa ha dedicato in particolare uno
scritto del 1969, Ideologie e apparati ideologici dello stato72; si esporrà ora il
nucleo delle argomentazioni di Althusser per poi individuare i punti di contatto
con le teorizzazioni bachtiniane.
La problematica dell’ideologia si inserisce nell’analisi marxiana della
riproduzione dei rapporti di produzione, e in particolare della forza-lavoro, del
capitale variabile; tale riproduzione richiede oltre la possibilità del
sostentamento, garantito dal salario, anche la possibilità della riqualificazione
della forza-lavoro; ad adempiere tale compito sono le istituzioni scolastiche, che
assicurano anche un’altra condizione imprescindibile al mantenimento dei
rapporti di produzione esistenti: la riproduzione della sottomissione alle regole
dell’ordine costituito. Secondo Althusser,
la riproduzione della forza lavoro fa apparire, come una conditio sine qua
non non soltanto la riproduzione della sua «qualificazione», ma anche la
riproduzione del suo assoggettamento all’ideologia dominante, o della «pratica»
di questa ideologia, con questa precisazione: che non basta dire «non soltanto
ma anche», perché è chiaro che è nelle forme e sotto le forme
72 Si farà riferimento alla traduzione parziale contenuta in Louis Althusser,
Freud e Lacan, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp.65-124.
dell’assoggettamento ideologico che viene assicurata la riproduzione della
qualificazione della forza-lavoro.73
Rispetto alla topica marxiana struttura-sovrastruttura, il luogo
dell’ideologico è il piano sovrastrutturale, l’ideologia e gli apparati delegati alla
sua produzione sono quindi determinati «in ultima istanza» dalla struttura, dalla
base economica, ma possiedono una «autonomia relativa» nei riguardi di questa
e un’azione di ritorno, una capacità di influenza retroattiva sulla base. Secondo
Althusser, la topica marxiana permette un’esemplificazione adeguata e
pienamente descrittiva delle dinamiche operanti nel sociale, ma per cogliere
nello specifico i meccanismi propri delle sovrastrutture è necessario porsi sul
piano della riproduzione, si potranno in tal modo chiarire i caratteri peculiari a
queste, e in particolare agli ambiti ideologici.
L’ideologia viene individuata da Althusser come lo strumento attraverso
cui agiscono prevalentemente gli apparati ideologici dello stato (AIS), strutture
che affiancano gli apparati repressivi dello stato e che con questi son delegati al
mantenimento dei rapporti di soggezione all’ordine esistente. Gli AIS sono
istituzioni (religiose, scolastiche, familiari, giuridiche, politiche, sindacali,
dell’informazione, culturali) che si differenziano dalle strutture repressive dello
stato giacché «funzionano (prevalentemente) con l’ideologia» anziché con la
violenza, e funzionano comunque sulla base dell’ideologia dominante, quella
della classe egemone. La loro funzione all’interno dell’economia gestionale del
potere è enorme, dal momento che «nessuna classe può detenere il potere di
stato in modo duraturo senza esercitare nello stesso tempo la sua egemonia
73Ivi, p.71.
sugli e negli apparati ideologici dello stato»74. Gli AIS sono non solo la posta, ma
anche il luogo della lotta di classe, in essi possono manifestarsi, attraverso
l’emergere di contraddizioni latenti nell’ideologia egemone o con la lotta di
classe, istanze alternative allo stato di cose esistente, al cui mantenimento essi
sono delegati.
La lotta di classe si esprime dunque e si esercita nelle forme ideologiche, e
quindi anche nelle forme ideologiche degli AIS. Ma la lotta delle classi travalica
largamente queste forme, ed è proprio per questo che la lotta delle classi
sfruttate può esercitarsi anche nelle forme degli AIS, e ritorcere quindi contro le
classi al potere l’arma dell’ideologia.75
Ciò è da porre in relazione alla relativa autonomia che caratterizza gli AIS
che, pur unificati dal comune riferimento all’ideologia egemone, sono suscettibili
di far emergere le istanze ideologiche alternative.
Negli stati capitalistici avanzati, il ruolo di apparato ideologico dominante
spetta all’istituzione scolastica, in quanto luogo principe deputato alla
riproduzione della qualificazione della forza-lavoro e conseguentemente alla
riproduzione dei rapporti di produzione.
Definito il ruolo degli AIS, si tratta di specificare il significato dell’ideologia,
dello strumento attraverso cui gli AIS agiscono. Malgrado la nozione di ideologia
svolga un ruolo assolutamente centrale nell’opera marxiana, Marx non sviluppa
compiutamente una teoria dell’ideologia adeguata al suo uso. Althusser ritiene
fondamentale l’elaborazione di una teoria generale dell’ideologia, e ritiene che
74 Ivi, p.84.75 Ivi, p.85.
tale teoria sia ipotizzabile in quanto l’ideologia non ha storia. Dire che l’ideologia
non ha storia non significa affermare che non abbia una realtà (come pare
sostenere un’analoga affermazione marxiana dell’Ideologia tedesca, che
Althusser rigetta in quanto positivista), ma che possiede una struttura
metatemporale, onnistorica, passibile d’essere individuata e approfondita
scientificamente. L’ideologia è eterna esattamente come l’inconscio freudiano,
«questo è il motivo per cui mi credo autorizzato, almeno presumibilmente, a
proporre una teoria della ideologia in generale, nel senso in cui Freud ha
presentato una teoria dell’inconscio in generale»76.
L’ideologia77 rappresenta il rapporto immaginario degli individui con le
proprie condizioni di esistenza reali,
ogni ideologia rappresenta, nella sua deformazione necessariamente
immaginaria, non i rapporti di produzione esistenti (e gli altri rapporti che ne
derivano), ma prima di tutto il rapporto (immaginario) degli individui rispetto ai
rapporti di produzione e ai rapporti che ne derivano. Nell’ideologia si trova
rappresentato non il sistema dei rapporti reali che governano l’esistenza degli
individui, ma il rapporto immaginario di questi individui coi rapporti reali nei
quali vivono.78
Inoltre l’ideologia ha un’esistenza materiale, è sempre concreta in pratiche,
le «idee» dei soggetti esistono negli atti che questi compiono; per un soggetto
76 Ivi, p.99.77 Per “ideologia”, Althusser indica l’ideologia in generale, sovrastorica,
differenziata dalle singole ideologie che al contrario sono profondamente
vincolate alla situazione storica che le ha prodotte.78 Ivi, p.102.
«l’esistenza delle idee della sua fede è materiale, in quanto le sue idee sono i
suoi atti materiali inseriti in pratiche materiali regolate da rituali materiali, essi
stessi definiti dall’apparato ideologico materiale che produce le idee di questo
soggetto»79.
Emerge il legame profondo tra la nozione di soggetto e quella di ideologia,
per Althusser: «1) non vi è pratica che per opera e sotto un’ideologia; 2) non vi
è ideologia che per opera del soggetto e per dei soggetti»; tali considerazioni lo
portano a formulare la tesi centrale di tutta la sua teoria dell’ideologia, secondo
cui «l’ideologia interpella gli individui in quanto soggetti», da cui segue che
non vi è ideologia che per opera del soggetto e per i soggetti. […] La
categoria di soggetto è a fondamento di ogni ideologia, ma […] la categoria di
soggetto non è a fondamento di ogni ideologia, se non in quanto funzione di
ogni ideologia (funzione che la definisce) è quella di «costituire» individui
concreti quali soggetti.80
L’ideologia è ovunque, agisce ad ogni livello, è concreta in ogni pratica
significante, è la base imprescindibile di ogni evidenza e trova compimento nelle
due funzioni attraverso cui agisce: il riconoscimento e il misconoscimento.
L’ideologia interpella gli individui e in tal modo li assoggetta, li coinvolge e
li determina come soggetti; «l’esistenza dell’ideologia e l’interpellare gli individui
come soggetti sono la stessa ed unica cosa»81. Gli interpellati non sono coscienti
del carattere ideologico del riconoscimento, si realizza quindi «la negazione
79 Ivi, p.106.80 Ivi, pp.107-8.81 Ivi, p.112.
pratica del carattere ideologico dell’ideologia mediante l’ideologia», uno degli
effetti più caratteristici dell’ideologia, che conduce a ciò che Barthes chiama il
processo di enominazione della classe egemone (la borghesia è la classe che
non vuole essere nominata).
Come ha dimostrato Freud, l’assoggettamento realizzato dalle ideologie è
addirittura precedente alla nascita, si realizza già nel rituale ideologico che
circonda l’attesa della nascita; secondo Althusser l’uomo è quindi prima ancora
soggetto che individuo, l’individuo è anzi ottenuto per astrazione dal soggetto.
Come nel caso esemplare dell’ideologia religiosa cristiana, esiste sempre
un centro (dio) attorno cui si orienta l’ideologia, un ordinatore teleologico che
interpella e svolge il ruolo di garante rispetto a quanti rispondono alla chiamata,
che a tale ordinatore si assoggettano. Si determina così una struttura speculare
raddoppiata caratteristica di ogni ideologia che
assicura allo stesso tempo: 1) l’interpellare gli «individui» come soggetti;
2) il loro assoggettamento al Soggetto [l’ordinatore]; 3) il mutuo riconoscimento
tra i soggetti e il Soggetto, e tra i soggetti stessi, e finalmente il riconoscimento
di se stesso da parte del soggetto ; 4) la garanzia assoluta che tutto è proprio
così, e che a condizione che i soggetti riconoscano ciò che sono e si comportino
di conseguenza tutto andrà bene: «E così sia».82
Ciò che in tale meccanismo catartico è misconosciuto è il fine reale, ovvero
la funzione di garantire in ultima istanza la riproduzione dei rapporti di
produzione e dell’ordine sociale che ne deriva.
82 Ivi, p.118.
Dalle argomentazioni althusseriane sono emersi molteplici spunti comuni
anche alla impostazione bachtiniana della scienza delle ideologie; come Bachtin,
Althusser pone l’accento sulla «relativa autonomia» che caratterizza i singoli
ambiti ideologici, oltre la teoria generale dell’ideologia, l’analisi delle singole
ideologie deve articolarsi settorialmente, è quindi fondamentale la problematica
della specificazione, centrale, come si è detto, nell’analisi bachtiniana.
Tanto Bachtin quanto Althusser insistono sul carattere materiale
dell’ideologia:
l’esistenza materiale dell’ideologia in un apparato e nelle sue pratiche,
naturalmente, non si esprime nello stesso modo in cui si esprime l’esistenza
materiale di un pavé o di un fucile. A rischio di farci trattare da neoaristotelici
(facciamo notare che Marx aveva una grande stima di Aristotele), diremo che «la
materia si dice in vari sensi» o piuttosto che esiste in varie modalità, tutte
radicate in ultima istanza nella materia «fisica».83
Anche per Bachtin il segno ideologico è sempre concreto in un materiale,
«sia esso suono, massa fisica, colore, movimento del corpo o qualcosa di simile»
(MFL p.60); muovendo da premesse analoghe, i due autori giungono a
conclusioni coincidenti, allorché Althusser afferma che «i linguisti, e coloro che
chiamano in aiuto la linguistica per fini diversi, incespicano spesso in difficoltà
che sono dovute al fatto che essi misconoscono il gioco degli effetti ideologici in
tutti i discorsi, discorsi scientifici compresi»84, affermazione che espone il nucleo
tanto della critica bachtiniana della linguistica, tanto della critica ideologica di
83 Ivi, p.104.84 Ivi, p.109.
Roland Barthes.
Un ulteriore punto di contatto tra la scienza delle ideologie di Bachtin e
l’analisi strutturale dei fenomeni ideologici proposta da Althusser riguarda il
legame tra la problematica fondamentale della lotta di classe e l’ideologia. Si è
detto come per Althusser la lotta di classe si esprime e si esercita nelle forme
ideologiche, ciò è perfettamente consonante con le affermazioni bachtiniane
secondo cui i segni ideologici sono una rete in cui si intersecano le accentuazioni
differentemente orientate delle diverse classi, per cui «il segno (ideologico) di-
venta un campo della lotta di classe» (MFL p.78).
2 Psicologia
2.1 Psicologia oggettiva e marxismo
Accanto all’analisi semiotico-linguistica, Bachtin, negli scritti pseudonimici,
si propone di sviluppare anche una teoria psicologica compatibile con le direttive
teoriche del materialismo dialettico, ovvero una psicologia “oggettiva”, una
psicologia basata su principi sociologici, non fisiologici o biologici. Alla
trattazione delle tematiche psicologiche sono dedicati il terzo capitolo della
prima parte di Marxismo e filosofia del linguaggio (Filosofia del linguaggio e
psicologia oggettiva), e Freudismo85, opera del 1927 in cui vengono criticati i
principi della teoria analitica freudiana.
2.1.1 Caratterizzazione della coscienza
Analizzando la semiotica bachtiniana era emerso il carattere socio-
ideologico della coscienza individuale86; contro le pretese della psicologia
oggettiva (di tipo biologico, comportamentista e riflessologico), Bachtin ritiene
scorretto far derivare la coscienza dalla natura, così come non è possibile far
derivare l’ideologia dalla coscienza, come fanno gli idealisti e il positivismo
psicologico. La coscienza prende quindi forma e sostanza dal materiale segnico
85 Michail Bachtin, Freudismo, Leningrad, 1927, ed. it. Bari, Dedalo, 1977.
Di seguito sarà citato nel testo con la sigla F, seguita dal numero di
pagina.86 Vedi a p.6.
prodotto da un gruppo sociale organizzato, riflette le leggi e la logica dei sistemi
segnici che la sostanziano; conseguentemente «la psicologia oggettiva deve
basarsi sullo studio delle ideologie» (MFL p.63).
Bachtin muove dall’affermazione del carattere socio-ideologico della psiche
cosciente, ciò esclude a priori la possibilità di una sua analisi mediante metodi
fisiologici o di qualsiasi altra scienza naturale.
La psiche soggettiva non è qualcosa che può essere ridotto ai processi che
avvengono nei confini dell’organismo animale naturale. I processi che
fondamentalmente definiscono il contenuto della psiche avvengono non dentro
ma fuori dell’organismo individuale, pur comportando la sua partecipazione.
(MFL p.81)
La psiche soggettiva è oggetto della comprensione ideologica e
dell’interpretazione socio-ideologica, una volta compreso e interpretato, un
fenomeno psichico diventa spiegabile soltanto in relazione alle condizioni reali
che modellano la vita concreta dell’individuo.
Secondo Bachtin la realtà della psiche interna è la realtà stessa del segno,
essa va collocata sulla linea di demarcazione tra l’organismo e il mondo esterno:
l’organismo e il mondo esterno si incontrano qui nel segno. L’esperienza
psichica è l’espressione segnica del contatto tra l’organismo e l’ambiente
esterno. Ecco perché la psiche interna non è analizzabile come una cosa, ma
può essere soltanto compresa e interpretata come un segno. (MFL p.82)
Come detto, la psiche può sussistere solo nel materiale segnico, qualsiasi
esperienza, in quanto esprimibile, è necessariamente concreta nel materiale
segnico, il materiale che più adeguatamente si presta alla significazione psichica
è la parola, il discorso interno87. Anche se è sempre accompagnata da reazioni
motorie che hanno valore semiotico, la parola costituisce il fondamento,
l’intelaiatura della vita interna. Nel segno verbale, Bachtin distingue:
1) Il fenomeno fisico del suono delle parole pronunciate;
2) i processi fisiologici che hanno luogo nel sistema nervoso e negli organi
della fonazione e della percezione;
3) un gruppo speciale di fenomeni e di processi corrispondenti al
“significato” della parola e al “modo di comprendere” questo significato da parte
di un altro (o di altri). (F p.70)
Oggetto dell’analisi psicologica è la terza componente della reazione
verbale, non analizzabile dalla fisiologia o dalla reattologia in quanto es-
senzialmente sociologica, presa in relazione all’organismo individuale.
2.1.2 Psicologia e filosofia del segno ideologico
Una sorta di avvicendamento periodico sembra aver luogo, secondo
Bachtin, tra uno psicologismo di fondo che impregna le scienze ideologiche e un
antipsicologismo che a questo si contrappone e che priva la psiche di ogni
contenuto. In particolare alla prevalenza dell’antipsicologismo caratteristica
dell’inizio del secolo, riscontrabile nelle opere di Husserl, dei fenomenologi e del
87 Analizzando nel capitolo precedente le peculiarità della parola, si era già
avuto modo di segnalare il ruolo del segno verbale come materiale della vita
interna.
neokantismo marburghese e friburghese, è seguito un rigurgito psicologista
riscontrabile nella “Lebensphilosophie”. Sul terreno della filosofia borghese non
si è tentata nessuna sintesi dialettica tra i due orizzonti di pensiero, ciò ha
precluso la soluzione dei problemi fondamentali della psicologia e dell’ideologia.
Secondo Bachtin le basi per la soluzione dei problemi della psicologia e
dell’ideologia devono essere stabilite simultaneamente e in connessione, nella
convinzione che la medesima «chiave apre un accesso obiettivo a entrambi le
sfere. Questa chiave è la filosofia del segno (la filosofia della parola come il
segno ideologico per eccellenza)» (MFL p.91). Una delimitazione tra psicologia e
ideologia deve muovere dall’individuazione del segno ideologico come territorio
comune tanto alla psiche quanto all’ideologia, territorio materiale, sociologico e
significativo. «Dal punto di vista del contenuto, non c’è alcuna divisione
fondamentale tra la psiche e l’ideologia: la differenza è solo di grado» (MFL
p.92), il contenuto di entrambe è di natura segnica, ogni contenuto ideologico si
presta ad essere compreso, può quindi essere riprodotto nel materiale dei segni
interni. Ogni fenomeno ideologico in formazione passa attraverso la psiche come
stadio necessario al processo creativo «ogni segno ideologico esterno, di
qualsiasi tipo, viene inghiottito e sommerso dai segni interni — dalla coscienza»
(MFL p.92).
A complicare la distinzione tra psiche e ideologia, è secondo Bachtin
l’erronea determinazione che usualmente assume il concetto di individuo.
Solitamente si contrappone il sociale all’individuale; ciò è scorretto:
il termine di correlazione del sociale è il «naturale» e in questo modo
l’«individuale» non è inteso nel senso di persona, ma «individuale» come
esemplare biologico, naturale. L’individuo, come possessore dei contenuti della
propria coscienza, come autore dei propri pensieri, come personalità
responsabile dei propri pensieri e dei propri sentimenti, — un individuo simile è
un fenomeno puramente socio ideologico. Perciò il contenuto della psiche
«individuale» è, per sua stessa natura, sociale tanto quanto l’ideologia (MFL
p.93).88
È importante per Bachtin tenere distinti i concetti di «individuo» inteso
come esemplare biologico e il concetto di «individuo» che si presenta come una
sovrastruttura ideologico-semiotica e che perciò è un concetto sociale, concetti
che vengono comunemente confusi.
Ogni segno, in quanto segno è sociale, sia esso segno interno (coscienza) o
segno esterno, anche la marca dell’individuo creatore di un prodotto ideologico è
completamente sociale.
2.1.3 L’unità della psiche. Distinzione tra psiche e ideologia
Malgrado psiche e ideologia siano sostanziate dal medesimo materiale
segnico, è importante per Bachtin determinare un’unità speciale distinguibile
dall’unità dei sistemi ideologici peculiare dello psichico, unità concepibile
compatibilmente con la concezione sociologica e ideologica della psiche. Ogni
pensiero, pur essendo determinato da un sistema ideologico e governato dalle
sue leggi, appartiene contemporaneamente ad un altro sistema «che è
ugualmente un’unità ed è ugualmente in possesso della propria serie di leggi —
il sistema della psiche» (MFL p.94). L’unità del sistema psichico è determinato
88 Bachtin è qui perfettamente in consonanza con Marx, che nei Grundrisse
afferma il carattere socio-ideologico dell’individuo, che solo nel sociale può
trovare il luogo della sua distinzione.
sia dalla unità dell’organismo biologico, sia dalle condizioni reali di vita
dell’organismo stesso.
È lungo le linee di questa unità organica del mio io e di queste condizioni
specifiche della mia esistenza che lo psicologo studierà il mio pensiero. Questo
stesso pensiero interesserà l’ideologo soltanto nei termini del suo contributo
oggettivo ad un sistema di conoscenza. (MFL p.94-95)
Lo psicologo si trova ad analizzare un’unità reale e determinata; l’unità
psichica risulterà stratificata secondo la maggiore o minore compiutezza e
universalità dei segni interni, negli strati inferiori si situeranno i contenuti
maggiormente condizionati da fattori biologici e biografici, in quelli superiori i
contenuti prossimi alle formulazioni ideologiche compiute.
2.1.4 I meccanismi di comprensione del segno interno. L’introspezione
A differenziare la psiche dall’ideologia sono inoltre i meccanismi di
comprensione propri del segno interno (dell’esperienza) e del segno ideologico.
Nel primo caso, comprendere significa riferire un particolare segno interno
ad un’unità di altri segni interni, percepirlo nel contesto di una particolare
psiche. Nel secondo caso, comprendere significa percepire il segno nel sistema
dell’ideologia appropriata ad esso. (MFL p.95)
Il segno interno è accessibile soltanto tramite l’auto-osservazione,
l’introspezione, che, come ogni tipo di comprensione, procede in una certa
direzione ideologica; lo psicologo deve rapportarsi all’introspezione come alla
comprensione di un’esperienza particolare nel contesto di altri segni interni,
focalizzati sull’unità della vita psichica: «l’introspezione illumina i segni interni
con l’aiuto cognitivo dei segni psicologici: sottopone l’esperienza a
chiarificazione e a differenziazione, mirando ad un’esatta spiegazione
psicologica» (MFL p.97). L’introspezione tende a dare al segno interno la
massima definizione, il suo limite si raggiunge quando l’oggetto dell’introspezio-
ne è interamente compreso, quando cioè può diventare oggetto dell’osserva-
zione semiotico-ideologica ordinaria e oggettiva.
Nella pratica è impossibile, per Bachtin, tracciare una demarcazione chiara
e definitiva tra segni interni e segni esterni, tra introspezione e osservazione
esterna, dal momento che i segni interni vengono continuamente influenzati e
condizionati dai commenti semiotici e empirici che ne permettono la
comprensione:
L’orientamento della propria anima (l’introspezione) è nella realtà
inseparabile dall’orientamento nella particolare situazione sociale in cui avviene
l’esperienza. In questo modo qualsiasi approfondimento dell’introspezione può
avvenire soltanto in connessione ininterrotta con una comprensione
approfondita dell’orientamento sociale. (MFL p.98)
2.1.5 Il discorso interno
Si è in precedenza affermato il carattere verbale del segno interno, ciò lo
rende pertanto oggetto di competenza della filosofia del linguaggio, intesa come
filosofia del segno. Bachtin cerca ora di analizzare le forme in cui il discorso
interno si effettua; tutte le categorie elaborate dalla linguistica per l’analisi del
segno esterno risultano immediatamente inadeguate all’analisi del discorso
interno, che risulta costituito da «certe entità intere, qualcosa che assomiglia ad
un brano di discorso monologico o ad intere espressioni. Ma soprattutto asso-
migliano alle battute che si alternano in un dialogo» (MFL p.99). Il discorso
interno è dunque costituito da entità intere, non risolvibili in elementi gramma-
ticali, definite da Bachtin «impressioni totali»89 delle espressioni, unite l’una
all'altra non secondo le leggi della logica o della grammatica, ma «secondo le
leggi della corrispondenza valutativa (emotiva), dello svolgimento dialogico,
ecc., in stretta dipendenza dalle condizioni storiche della situazione sociale e
dell’intero andamento pragmatico della vita».
Soltanto con la determinazione delle forme di espressioni intere e,
particolarmente, delle forme del discorso dialogico, può, secondo Bachtin, esser
fatta luce anche sulle forme del discorso interno e sulla logica peculiare della
loro concatenazione nel flusso del discorso interno.
Appare ora la rilevanza e la portata teorica del progetto bachtiniano;
attraverso l’analisi globale dei fondamenti semiotici comuni alla psicologia e
all’ideologia, giunge ad indicare nel progetto di uno studio dell’espressione
concreta socialmente e storicamente determinata la soluzione dei problemi
fondamentali delle scienze umane, in una prospettiva unitaria determinata dal
continuo rimando dialettico tra i diversi piani interagenti nel sociale.
In tale prospettiva, anche la contraddizione tra psicologismo ed an-
tipsicologismo viene superata dialetticamente; «l’antipsicologismo ha ragione di
89 Il termine «impressioni totali» è preso in prestito da Gompertz, e significa
«l’impressione ancora indifferenziata della totalità di un oggetto — l’aroma della
sua totalità, per così dire, che precede ed è alla base della conoscenza chiara
dell’oggetto […] . Secondo Gompertz, le impressioni totali hanno una grande
importanza epistemologica. Sono gli equivalenti psichici delle forme dell’intero e
dotano l’intero della sua unità.» (MFL nota 15, p.267-68)
rifiutare di far derivare l’ideologia dalla psiche» (MFL p.100), giacché è la psiche
che deve essere fatta derivare dall’ideologia, tuttavia anche lo psicologismo ha
ragione, non c’è segno esterno senza segno interno. «Il segno ideologico è reso
possibile dal suo completamento psichico esattamente quanto il completamento
psichico è reso possibile dal suo compimento ideologico» (MFL p.100).
Psiche e ideologia si trovano quindi in una situazione di permanente
rimando dialettico: «la psiche si cancella, o viene obliterata, nel nel processo in
cui diventa ideologia, e l’ideologia si cancella nel momento in cui diviene
psiche» (MFL p.100)90
2.1.6 Bachtin e Vygotskij
Al fine di collocare storicamente le intuizioni che sorreggono l’analisi
psicologica bachtiniana, si procederà ora a un raffronto tra Bachtin e lo psicologo
sovietico Lev S. Vygotskij (1886-1934), autore la cui opera, fortemente
90 Secondo Bachtin, l’analisi più profonda di questa dialettica è stata
realizzata da Georg Simmel, per il quale si configura come dialettica tragica tra
vita e forme, come tragedia della cultura.
Per Simmel esiste una discrepanza inconciliabile tra psiche e ideologia,
ciò lo conduce a una visione tragica della vitale contraddizione dialettica tra il
mondo psichico e quello ideologico. Solo il riconoscimento del segno ideologico
come materiale comune alle due sfere permette di cogliere nel processo
oggettivo e unitario del rapporto sociale le modalità della compenetrazione
dialettica tra psiche e ideologia.
È a mio parere da segnalare la notevole influenza su Bachtin del pensiero
di Georg Simmel, in particolare per ciò che riguarda il prospettivismo che
caratterizza la scienza delle ideologie bachtiniana, la finezza dell’analisi
dialettica e l’idea dell’interrelazionalità fondamentale tra tutti i fenomeni. Sono
frequenti e significativi i riferimenti al sociologo tedesco nelle prime opere di
Bachtin, che pure prendono le distanze dagli esiti metafisici dell’ultima
speculazione simmeliana, legata alla filosofia della vita.
innovativa e geniale, venne rimossa e dimenticata durante il regime staliniano
per essere riscoperta in occidente e in URSS solo a partire dagli anni sessanta.
Ad accostare le teorie psicologiche di Bachtin e Vygotskij è in primo luogo il
compito fondamentale che gli autori intendevano perseguire: superare gli
angusti limiti delle concezioni psicologiche correnti alla ricerca di un approccio
alla psicologia compatibile con il materialismo dialettico e, al contempo,
superare il meccanicismo che al tempo caratterizzava gli orientamenti marxisti
dell’indagine psicologica.
I due autori dividevano interessi comuni in ambiti disciplinari diversi come
la semiotica, la scienza dell’arte e della letteratura, la filosofia del linguaggio e la
psicologia e giunsero ad elaborare strategie d’indagine sotto molteplici aspetti
analoghe, ciò anche a causa delle molteplici influenze condizionanti comuni.
Dopo una breve e schematica analisi dei principi teorici fondamentali della
psicologia di Vygotskij, si individueranno i punti di contatto tra i due autori.
Nella sua opera principale, Pensiero e linguaggio91, lo psicologo e linguista
Lev S. Vygotskij elaborò una serie di ipotesi concettuali che formano quella che
viene chiamata la «dottrina del carattere mediato dell’attività dell’uomo»92; ciò
che distingue questa impostazione dalle concezioni riflessologiche behavioriste,
è l’importanza accordata dallo psicologo sovietico all’attività sociale e alle
istanze storico-culturali nella formazione dei sistemi di mediazione attraverso cui
sono filtrati e registrati gli stimoli del mondo esterno. Tali sistemi di mediazione
sono i sistemi di segni, strumenti psicologici attraverso i quali l’uomo stabilisce il
91 Lev S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Mosca-Leningrado, 1934, ed. it.
Bari, Laterza, 1990. L’opera di Vygotskij è analizzata da Luciano Mecacci in La
psicologia sovietica 1917-1936, Roma, Editori Riuniti, 1976, e Edoardo Ferrario in
Teorie della letteratura in Russia 1900-1930, Roma, Editori Riuniti, 1977. 92 Edoardo Ferrario, Teorie della letteratura in Russia 1900-1930, p.204.
proprio rapporto con la realtà esterna e la vita sociale; tra questi il più
importante è il linguaggio. Il ‘rispecchiamento’ del reale prodotto dai sistemi di
segni, realizza un processo di generalizzazione e di astrazione.
Essendo implicato in tutti i processi psichici superiori in quanto mediatore,
il pensiero verbale viene ad essere, per Vygotskij, al centro dell’indagine
psicologica, della psicologia sociale, in quanto «non è una forma naturale, innata
di comportamento, ma è determinato da un processo storico culturale ed ha
leggi e proprietà specifiche che non si trovano nelle forme naturali del pensiero
e del linguaggio»93.
Nell’analisi del pensiero verbale, Vygotskij distingue tra un’analisi per
elementi (pensiero da una parte e parola dall’altra) e un’analisi per «unità»,
centrata sul «significato della parola», unità che coinvolge sia il pensiero, sia i
rapporti sociali, sia il campo delle «affettività» e la «sfera delle motivazioni», in
quanto strettamente connessi con ogni espressione verbale e con tutti gli atti di
pensiero; l’analisi per unità sarebbe più adeguata a render conto dei rapporti tra
pensiero e linguaggio.
Una parola non si riferisce ad un singolo oggetto ma ad un gruppo o ad
una classe di oggetti. Ogni parola è già, di conseguenza una generalizzazione.
La generalizzazione è un atto verbale del pensiero e riflette la realtà in modo
diverso dalla percezione e dalla sensazione. […] Si può a ragione supporre che la
distinzione qualitativa tra sensazione e pensiero consista nella presenza, in
quest’ultimo, di una riflessione generalizzata della realtà, che è pure l’essenza
del significato della parola; e conseguentemente che il significato sia un atto di
pensiero nel pieno senso del termine. Ma, nello stesso tempo, il significato è una
93 Lev S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, p.109.
parte inalienabile della parola come tale, e pertanto appartiene al regno del
linguaggio come a quello del pensiero. […] Poiché il significato della parola è
tanto pensiero che linguaggio, in esso troviamo l’unità del pensiero verbale che
stiamo cercando.94
L’unità del pensiero verbale, è per Vygotskij la chiave per comprendere la
natura della coscienza umana.
L’«analisi per unità», che pone il problema del senso come mediatore tra
pensiero e linguaggio, permette inoltre di recuperare le condizioni stesse del
processo di enunciazione, cioè il contesto comunicativo nel suo complesso.
L’importanza e il ruolo del contesto nella determinazione della forma e del senso
dell’enunciazione era stata ampiamente riconosciuta nei lavori della scuola
bauduiniana di Kazan, in particolare da Scerba e Jakubinskij; oltre a questo
aspetto, Vygotskij rielabora in modo originale altri due aspetti centrali della
«linguistica di Kazan»: la teoria della «plurifunzionalità del linguaggio» e la tesi
della priorità del «dialogo» sul «monologo».
La tesi della priorità del dialogo viene ripresa in rapporto al problema del
«linguaggio interno», che si pone, secondo Vygotskij, nel momento in cui si
analizza il rapporto tra pensiero e linguaggio.
Il problema del linguaggio interno era stato tematizzato nei lavori di
Jakubinskij sul linguaggio dialogico e negli studi del formalista Boris Ejchenbaum
sul cinema. Il linguaggio interno si presenta tanto in Ejchenbaum quanto in
Bachtin e Vygotskij come un’attività linguistico-discorsiva specifica, che richiede
modalità di effettuazione e condizioni formali specifiche e differenti da quelle
proprie del linguaggio esterno.
94 Ivi, p.25.
I nostri esperimenti ci hanno convinto che il discorso interno deve essere
considerato non come un discorso senza suono, ma come una funzione del
discorso interamente separata. Il suo principale tratto distintivo è la sua
peculiare sintassi. Confrontato con il discorso esterno il discorso interno appare
sconnesso e incompleto.95
Secondo Vygotskij, il linguaggio interno ha origine per differenziazione dal
linguaggio comunicativo, come interiorizzazione del dialogo. Sviluppando
criticamente alcune indicazioni di Piaget sul linguaggio egocentrico infantile, lo
psicologo russo vede in questa particolare attività linguistica la forma originaria
del linguaggio interno.
Vygotskij individua una specificità strutturale del linguaggio interno;
mentre nel discorso esterno, affinché si realizzi una comunicazione, gli
interlocutori devono possedere un comune contesto implicito, nel discorso
interno, data la coincidenza in una sola persona del locutore e dell’interlocutore,
il contesto è assolutamente implicito. Ciò determina alcune specificità
caratteristiche del discorso interno, ovvero la tendenza all’abbreviazione, alla
condensazione e alla predicazione assoluta.
Nel significato, che media e unifica, nel pensiero verbale, pensiero e
linguaggio, interagiscono due piani distinti reciprocamente condizionanti: il
piano formale e grammaticale e il piano semantico. In ogni enunciazione si
realizza così «una interdipendenza dinamica tra la sintassi dei significati e la
sintassi verbale, una trasformazione della grammatica del pensiero in
grammatica delle parole, e un mutamento che investe tutta la struttura
95 Ivi, p.375.
semantica all’atto del suo incorporarsi nelle parole».96
Vygotskij, oltre alla tendenza alla predicazione assoluta, individua altre
caratteristiche distintive del linguaggio interno; esse sono la «riduzione
dell’aspetto fasico», l’«agglutinazione delle unità semantiche», l’«influenza dei
sensi» e l’idiomatismo. Le ultime tre caratteristiche derivano da un aspetto più
generale del linguaggio interno: la supremazia del «senso» sul «significato».
Il «senso» della parola è per Vygotskij «l’insieme degli eventi psicologici
risvegliati nella nostra coscienza dalla parola […] una formazione dinamica e
complessa, con molte zone di ineguale stabilità»97, il significato è «una di queste
zone, e precisamente la più costante, la più stabile e precisa»98, è ciò che rimane
costante anche quando si verificano mutamenti del senso in corrispondenza a un
mutamento del contesto.
Nel linguaggio interno i sensi possono «agglutinarsi» riunendo in una
parola un concetto complesso e possono interagire profondamente tra di loro
ampliando illimitatamente i confini del significato. Questa tendenza propria del
linguaggio interno ad accavallare tra loro i sensi è causa della creazione di
significati individuali, di idioletti inesprimibili nel linguaggio esterno.
Trasponendo sul piano del discorso poetico le conclusioni dell’analisi del
linguaggio interno, Vygotskij avanza in Psicologia dell’arte, la tesi
dell’intraducibilità endolinguistica del discorso poetico99, giacché porterebbe
inevitabilmente alla distruzione del senso. Vygotskij giunge a mettere in
discussione «la possibilità di identificazione di «linguistica» e «poetica» o, forse,
più drasticamente, la pertinenza stessa di un’analisi linguistica della poesia,
96 Ivi, p.235.97 Ivi, p.386.98 Ivi, p.386.99 Edoardo Ferrario, Teorie della letteratura in Russia 1900-1930, p.215.
nell’esigenza di una teoria translinguistica del senso e della produzione del
senso del discorso poetico»100
Già dall’esposizione schematica del pensiero di Vygotskij sono emerse
affinità profonde con il pensiero di B.; si cercherà ora di evidenziare ed
approfondire alcuni nuclei teorici comuni ai due pensatori.
Bachtin era certamente a conoscenza sia del lavoro di Vygotskij, sia di
quello dei suoi collaboratori Aleksander R. Lurija e Aleksej N. Leontjev
(appartenenti alla scuola «storico-culturale»101), giacché li cita in Freudismo102,
Luciano Mecacci, nella sua introduzione a Pensiero e linguaggio, sostiene che
Vygotskij «leggeva e usava […] le opere di Bachtin-Volosinov»103, esiste dunque
la testimonianza di un’influenza reciproca tra i due autori; a determinare le
profonde convergenze tematiche riscontrabili tra le loro opere sono però
soprattutto l’influenza determinante dei lavori della scuola formale, con tutto il
suo retroterra filosofico-linguistico (A. Potebnja, Baudouin de Courtenay,
Saussure e Husserl) e il comune orientamento marxista.
100 Ivi, p.216.101 Vedi Augusto Ponzio, Marxismo, scienza e problema dell’uomo,
Verona, Bertani, 1977, p.65. La scuola «storico-culturale» muove dalle
affermazioni vygotskijane sul carattere socialmente determinato della psiche,
testo di partenza della scuola è il saggio di Vygotskij La coscienza come
problema della psicologia del comportamento, del 1925, citato in Freudismo
anche da Bachtin.102 Bachtin cita, come detto, un articolo di Vygotskij, La coscienza
come problema di psicologia del comportamento e critica il tentativo di Lurija di
interpretare la psicanalisi in chiave marxista intrapreso nell’articolo Psicoanalisi
come sistema della psicologia monista. 103 Lev S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, introduzione di Luciano
Mecacci, p.IX.
Nell’elaborazione di una psicologia e di una semiotica marxiste, sia Bachtin
sia Vygotskij fanno propria l’esigenza teorica fondamentale dei formalisti di
un’analisi volta a cogliere la ‘specificità’ dell’oggetto studiato, nel tentativo di
andare oltre le concezioni meccaniciste proprie della maggior parte delle teorie
psicologiche che si richiamavano al marxismo. Ciò conduce i due autori a
evidenziare il carattere mediato del rapporto struttura-sovrastruttura e a
ricercare i meccanismi intermedi, i termini di mediazione tra base e
sovrastruttura in relazione ai singoli campi ideologici presi ad oggetto
d’indagine.
In particolare insistono sulla specificità della struttura della psiche umana,
che
va ricondotta alla specificità della prassi umana, che consiste nel fatto di
essere un’attività materialmente e socialmente mediata. Tale mediazione è data
dagli strumenti prodotti e impiegati entro forme sociali determinate, fra i quali
vanno considerati anche gli strumenti prodotti in funzione dei bisogni della
comunicazione sociale: i segni, e innanzitutto il linguaggio verbale.104
La specificità della psiche umana è data, per Bachtin e Vygotskij, dal suo
carattere mediato, e ciò che media è il segno, la cui natura è sociale. I due autori
ritengono conseguentemente che il ruolo fondamentale della psicologia consista
nell’analizzare il riflesso soggettivo delle condizioni reali di esistenza degli
individui attraverso il materiale della psiche, il «linguaggio interno».
Pur interpretando il contesto psichico come meccanismo intermediario,
come radice delle ideologie, è necessario, per Bachtin e Vygotskij, non
104 Augusto Ponzio, Marxismo, scienza e problema dell’uomo, p.66.
confonderlo con i prodotti ideologici concreti. Secondo Vygotskij «il vero compito
della psicologia sta nell’indagare la miscela allo stato fluido, la realtà psichica di
una società, non già la sua ideologia»105. Assegnando alla psicologia il compito di
penetrare nel «laboratorio sociale in cui le ideologie si creano e si formano»
(MFSL p.80),
non solo si individua il punto di congiunzione tra psicologia e scienza
dell’arte […] e si evidenzia l’importanza e il senso di una psicologia dell’arte,
visto che proprio da questo «laboratorio», da questa «miscela allo stato fluido»
l’arte attinge il proprio materiale — «l’artista sente le ideologie in statu
nascendi, partecipa alla loro ricerca di realizzazione, avverte il loro agitarsi nelle
viscere della cosiddetta “psicologia sociale”» (MFSL p.81) —; ma si creano anche
le premesse di un movimento di convergenza fra studio della vita psichica e
studio dei segni.106
Un altro punto di contatto fondamentale tra l’impostazione delle analisi
linguistiche e psicologiche dei due autori consiste nella consapevolezza della
necessità di un approccio al materiale segnico capace di render conto della sua
valenza globale; anziché limitare l’analisi a singoli aspetti del segno, Bachtin e
Vygotskij, ritengono necessario rendere contemporaneamente conto, attraverso
l’«analisi per unità», sia del carattere materiale del segno, sia dell’insieme delle
condizioni socialmente determinate della sua attuazione. Il segno appare allora
come «entimema sociale»107, determinato nella sua forma e nel suo orienta-
105 Citato in Augusto Ponzio, Segni e contraddizioni. Fra Marx e
Bachtin, Verona, Bertani, 1981, p.167.106 Ivi, p.167.107 In logica l’entimema è un sillogismo in cui una premessa è
mento dal contesto della sua effettuazione.
Si è già detto, esponendo le posizioni dei due autori, dell’affermazione
della dialogicità del linguaggio interno, si è visto come, sviluppando le
indicazioni del formalista Jakubinskij, questi avessero posto in luce la rilevanza
del carattere dialogico del materiale della coscienza; ciò li motiva alla ricerca di
un approccio metodologico adeguato a tale oggetto di indagine e al rifiuto di
ogni metodologia riduzionistica. Da ciò scaturiscono i rilievi critici che sia Bachtin
sia Vygotskij muovono alle correnti linguistiche contemporanee, e l’esigenza es-
pressa da entrambi di una translinguistica capace di rapportarsi adeguatamente
allo studio dell’interazione dialogica, sia interpsichica, sia intrapsichica.
Analizzando alcune indicazioni contenute in Pensiero e linguaggio, si era
tematizzata la distinzione vygotskijana tra «senso» e «significato», una
distinzione analoga si trova in Marxismo e filosofia del linguaggio, tra «segno» e
«segnale»; il segno può essere compreso, il segnale può solo essere
riconosciuto. Il segnale
è qualcosa di interamente stabile, singolare, che non sta di fatto per
nient’altro, né riflette o rifrange qualche cosa, ma è semplicemente un mezzo
tecnico per indicare questo o quell’oggetto (qualche oggetto stabile o definito)
oppure questa o quell’azione (altrettanto stabile e definita). (MFL p.134)
Il segno al contrario si caratterizza per la sua multiaccentuatività, per il suo
orientamento sociale.
sottintesa . Il segno è un «entimema sociale» perché in esso è sottinteso il
contesto in cui viene effettuato. Secondo Bachtin il contesto è particolarmente
determinante nell’ambito della comunicazione quotidiana; pur essendo sempre
presente il suo ruolo è minore ad esempio nella comunicazione scientifica.
2.2 Bachtin e la psicoanalisi
Il rapporto che lega Bachtin alla psicoanalisi è per molti versi analogo a
quello intrattenuto con la linguistica saussuriana: per un verso ne prende le
distanze in modo netto e inequivocabile in Freudismo, opera aspramente critica
nei confronti del complesso dell’opera di Freud e della sua scuola, per un altro è
rintracciabile e profonda l’influenza sull’opera bachtiniana di alcune intuizioni
fondamentali della teoria psicoanalitica.
Si svilupperà ora l’analisi dell’interpretazione bachtiniana dell’opera di
Freud contenuta in Freudismo, per cogliere successivamente i legami impliciti
tra la teoria bachtiniana e la psicoanalisi.
2.2.1 Critica del freudismo
La critica bachtiniana alla psicoanalisi si inserisce nel dibattito aperto negli
anni venti sullo statuto scientifico e sulla compatibilità col marxismo delle teorie
freudiane. A differenza della maggior parte degli interventi su tale questione,
che si limitavano a prender parte senza una reale analisi dei problemi teorici in
gioco, Bachtin sviluppa un’analisi estremamente articolata dell’intera produzione
freudiana, ciò gli permette di evidenziare alcuni nodi teorici di notevole
interesse.
Il tono dell’esposizione bachtiniana in Freudismo tende spesso ad eccedere
nell’enfasi critica e nella semplificazione; ben più che in Marxismo e filosofia del
linguaggio, si riscontrano concessioni stilistiche alla vulgata staliniana del
marxismo; si cercherà, analizzando il testo in questione, di evidenziarne
esclusivamente gli spunti critici più interessanti e rilevanti.
Freudismo si apre con la citazione del passo delle Tesi su Feuerbach in cui
Marx afferma: «l’essenza umana non è qualcosa che sia immanente all’individuo
singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali»108; come si avrà
modo di verificare, è dall’assunzione determinante di tale indicazione marxiana
che Bachtin muove e articola tutta la sua critica alla teoria psicanalitica.
Bachtin si propone innanzitutto di determinare il motivo ideologico
fondamentale del freudismo; nata come semplice metodo terapeutico dai lavori
sull’isteria di Freud e Breuer, la psicanalisi si trasformò prima in una teoria
psicologica generale, quindi generò una filosofia della cultura. La fortuna
straordinaria e l’evoluzione della psicoanalisi sono, secondo Bachtin, da porre in
relazione al suo essere l’«espressione più precisa e profonda dei tratti
fondamentali della realtà borghese europea» (F p.54). «Qualunque corrente
ideologica, […] contiene sempre un motivo fondamentale, una dominante
ideologica che ne determina il successo e l’affermazione» (F p.55), secondo
Bachtin il motivo ideologico fondamentale del freudismo è il seguente:
il destino dell’uomo, tutto il contenuto della sua vita e della sua attività, è
determinato: il contenuto della sua arte, se è un artista, delle sue teorie
scientifiche, se è uno scienziato, dei suoi programmi politici e delle sue azioni, se
è un politico, tutto è totalmente determinato dalle vicende dell’impulso sessuale
e solo da esso. Tutto il resto non è che una variazione musicale della potente
108 La sesta tesi su Feuerbach viene citata da Bachtin nell’erronea
traduzione russa di Plechanov, che traduce “Menschlichen Wesen” con “essenza
umana” anziché con “essere umano”. Questo errore ha fornito in tempi più
recenti l’occasione per un dibattito sull'”umanesimo” di Marx tra Adam Schaff,
Lucien Sève e Louis Althusser. Si veda Augusto Ponzio, Marxismo, scienza e
problema dell’uomo, Verona, Bertani, 1977.
sinfonia degli impulsi sessuali. (F p.56)
Dell’uomo vengono trascurati dalla psicoanalisi, secondo Bachtin, tutti gli
aspetti che ne definiscono il posto e il ruolo nella storia, cioè la classe, la
nazione, l’epoca storica a cui appartiene, per considerare essenziale solo il sesso
e l’età; la coscienza dell’uomo viene così determinata dalla sua essenza
biologica, dalla sessualità, e non già dalla sua essenza storica. Questo è secondo
Bachtin il motivo ideologico del freudismo.
Nei periodi di crisi, quando la classe egemone ha esaurito la sua spinta
propulsiva, si assiste costantemente ad un richiamo all’animalità dell’uomo; la
nascita, il coito e la morte, i tre avvenimenti fondamentali della vita animale
dell’uomo, divengono il centro gravitazionale dell’ideologia, fino a diventare un
surrogato della storia. Questa tendenza, individuata da Bachtin nei grandi
periodi storici di crisi e avvicendamento rivoluzionario109, si manifesta anche
nell’epoca della decadenza della borghesia. La tendenza a trovare sicurezza al di
là di tutto ciò che è storico e sociale, la sfiducia nella ragione e la centralità
dell’individuo organico sono il sintomo della disgregazione e del crollo
dell’universo borghese e si manifestano in modo particolarmente chiaro nella
teoria psicanalitica.
109 «Il motivo dell’onnipotenza e della saggezza della natura
(soprattutto della natura dell’uomo, delle sue pulsioni biologiche) e
dell’impotenza del vuoto e dell’inutile avvicendarsi della storia — risuona alla
stessa maniera, sia pure con sfumature e toni emozionali diversi, in fenomeni
come l’epicureismo, lo stoicismo, la letteratura del crollo di Roma (per esempio
nel Satyricon di Petronio) e nella filosofia scettica degli aristocratici francesi della
fine del XVII secolo e del XVIII. Il timore della storia, la valutazione eccessiva dei
beni della vita personale e privata, il primato del biologico e del sessuale
nell’uomo sono i tratti comuni di questi fenomeni ideologici». (F p.59)
Analizzando i principi della teoria psicologica bachtiniana si era individuato
nella reazione verbale lo strumento di indagine privilegiato dell’indagine
psicologica, ciò a patto che la reazione verbale venisse considerata
sociologicamente.
La formazione di reazioni verbali è possibile solo se esiste un ambiente
sociale. Il complesso apparato dei nessi verbali esiste e si produce solo in un
lungo processo, organico e plurivoco, di socializzazione tra organismi.La
psicologia non può fare a meno di metodi oggettivi e sociologici. La psicologia
deve studiare con metodi oggettivi il comportamento materialmente manifesto
dell’uomo in un ambiente naturale e sociale. (F p.72)
Anche Freud ritiene di aver sviluppato l’unico tentativo di costruire
un’autentica psicologia oggettiva, naturalistica. In effetti, l’analisi del lavoro di
Freud porta l’attenzione sul problema fondamentale della psicologia, il problema
cioè «delle reazioni verbali e del loro significato all’interno del comportamento
dell’uomo». (F p.73) «Tutti i fenomeni psichici e tutti i conflitti, proposti dalla
psicoanalisi alla nostra attenzione, non sono altro che reazioni complesse e
conflittuali tra reazioni verbali e non verbali dell’uomo»(F p.73). La teoria
freudiana coglie e analizza il carattere conflittuale dei rapporti tra discorso
esterno e discorso interno e delle stratificazioni del discorso interno, definito
nella terminologia psicoanalitica come conflittualità tra conscio e inconscio. La
forza e il valore della teoria freudiana sta nell’aver posto con grande acutezza
questi problemi, il suo limite sta nel non aver colto la natura essenzialmente
sociologica delle reazioni verbali. «Egli spiega processi che per loro natura sono
sociali secondo l’ottica della psicologia individuale».
Freud inoltre trascura il carattere completamente ideologico del contenuto
della psiche; egli fa sì che tutta la serie di fenomeni ideologici, «dal pensiero più
confuso e dal desiderio più indistinto ed indefinito, fino ad un sistema filosofico,
o ad una complessa forma politica, […] sembri svilupparsi dagli elementi più
semplici della psiche individuale in un’atmosfera socialmente vuota». (F p.74)
Bachtin analizza il complesso della produzione teorica freudiana suddi-
videndolo in tre periodi: nel primo periodo (1890-97), vengono poste le basi
della ricerca psicoanalitica con gli studi di Freud e Breuer sull’isteria, nel secondo
periodo (1897-1914), si definiscono i tratti fondamentali e caratteristici dello
studio freudiano sull’inconscio, nel terzo periodo Freud, secondo Bachtin a causa
dell’influenza dei suoi discepoli ed in particolare di Otto Rank, si dedica a
speculazioni sempre più filosofiche. Di seguito, Bachtin analizza le maggiori
categorie della psicoanalisi e la loro evoluzione nei diversi periodi della
speculazione freudiana (la prima topica, il metodo catartico, la rimozione, la
censura, la teoria delle pulsioni, le tappe della sessualizzazione infantile, il
complesso edipico, il transfert, la seconda topica, la pulsione di morte,
l’identificazione), per poi esporre i suoi principi metodologici (con riferimento
particolare all’interpretazione dei sogni).
Conclusa l’esposizione della teoria psicoanalitica, Bachtin comincia ad
argomentare la sua interpretazione critica. In primo luogo, viene presa in esame
la pretesa della teoria freudiana di presentarsi come una scienza nuova e
oggettiva.
Non si è mai tentato da parte degli esponenti della scuola psicoanalitica un
raffronto con le altre tendenze teoriche dell’indagine psicologica, nella
convinzione della radicale novità delle intuizioni freudiane, secondo Bachtin
invece, «il freudismo ha trasferito nelle sue teorie tutti i principali limiti della
psicologia soggettiva ad esso contemporanea» (F p.132). Innanzitutto, il
freudismo avrebbe fatto propria la vecchia distinzione dei fenomeni mentali,
introdotta da Tetens e ripresa da Kant, in «volontà (desideri, aspirazioni),
sentimento (emozioni, affetti) e conoscenza (percezioni, rappresentazioni, idee)»
(F p.133); Freud non fa altro, secondo Bachtin, che trasferire questi elementi
psichici nel campo dell’inconscio: «anche in esso troviamo desideri, sentimenti,
rappresentazioni». (F p.133) Ma la scomposizione della psiche nei suoi elementi,
nelle vecchie teorie psicologiche soggettiviste, muoveva dall’identificazione
dello psichico con il conscio e si realizzava in base al metodo introspettivo;
Bachtin ritiene che nulla autorizzi a strutturare l’inconscio in analogia con la
coscienza, ciò lo porta a sostenere che «Freud cerca di ottenere dai vecchi
mattoni soggettivi un edificio totalmente nuovo, quasi-oggettivo, della psiche
umana. Che cosa è infatti il “desiderio inconscio” se non lo stesso vecchio
mattone, semplicemente rivoltato dall’altra parte?» (F p.134) Nel trasportare
nell’inconscio i meccanismi del conscio, Freud «conserva in essi tutta la pienezza
della loro differenziazione oggettiva e della loro chiarezza logica» (F p.135);
l’inconscio e i suoi meccanismi (ad esempio la censura e il transfert)
manifestano per la psicoanalisi un’enorme competenza e un’acuta accortezza
ideologica, eseguono una scelta perfettamente logica, etica e estetica tra le
emozioni vissute. Nei “meccanismi” inconsci, secondo Bachtin, di effettivamente
meccanico non c’è nulla, giacché essi sono integralmente ideologici.
L’introduzione dell’analisi dell’inconscio non aiuta la psicanalisi a superare
il dualismo esterno-interno, soggettivo-materiale già operante nella psicologia
della coscienza.
Avendo assunto una posizione soggettiva, la psicoanalisi si è privata di un
approccio diretto e immediato alla materia. Con essa non ci sono vie di mezzo, si
deve o ignorarla del tutto o incorporarla nella psiche. Infatti Freud e i suoi
discepoli non si imbattono mai direttamente nel contenuto materiale e nei
processi materiali dell’organismo corporeo; essi cercano soltanto l’immagine
riflessa del somatico nella psiche, cioè in ultima analisi, sottopongono l’organico
ai metodi dell’introspezione, lo psicologizzano. (F p.136)
Questo processo di psicologizzazione si evidenzia ad esempio nello studio
freudiano delle zone erogene, in cui vengono analizzati soltanto gli equivalenti
psichici delle parti sessualmente eccitabili del corpo, cioè «il ruolo che le
rappresentazioni e i desideri soggettivi connessi a queste zone giocano nella vita
psichica dell’uomo, secondo l’ottica della sua introspezione interiore» (F p.136).
Per Bachtin da ciò deriva una duplicazione delle zone erogene: il loro sviluppo
nella psiche appare completamente indipendente dal loro sviluppo chimico-fisico
e biologico nell’organismo materiale.
Secondo Freud, le zone erogene definiscono il carattere e le azioni
dell’uomo; infatti, il carattere è indivisibile dalla sua espressione materiale nel
comportamento dell’uomo, senza che c’entri affatto il corpo o la costituzione
fisica né qualunque altro tipo di ambiente materiale. (F p.137)
Freud realizza coerentemente, secondo Bachtin, una prospettiva sog-
gettivista, «in ultima analisi, tutta la realtà esterna è per lui soltanto un
“principio” psichico “di realtà”, che egli mette sullo stesso piano del “principio di
piacere”» (F p.138).
Alcuni sostenitori della teoria psicoanalitica, facendo riferimento alla teoria
delle pulsioni, ritengono che la sua base oggettiva sia la biologia; Bachtin ritiene
che ciò sia assolutamente infondato, a causa della psicologizzazione e della
soggettivizzazione del biologico realizzata da Freud. Analizzando le pulsioni
dell’“Io”, Bachtin ne rileva il carattere assolutamente soggettivo: «perfino i
vitalisti non ammettono mai chiaramente che la biologia possa avere a che fare
con l’“Io”» (F p.139). Quanto poi alla teoria delle pulsioni dell’ultimo periodo,
Bachtin ritiene che queste abbiano un carattere chiaramente metafisico, l’eros
privato di qualsiasi fonte somatica finisce per diventare un analogo dell’Élan
vital di Bergson o della Volontà schopenhaueriana. In conclusione, «la
psicoanalisi rimane in tutto fedele al principio dell’esperienza interna
soggettiva» (F p.139).
Pur rivelandosi come una variante delle teorie psicologiche soggettive, la
psicoanalisi si distacca da queste per la sua caratterizzazione della dinamica
psichica; la psicologia pre-freudiana aveva una visione pacificata e ottimista
della vita psichica, Freud rompe radicalmente con questo ottimismo psicologico
cogliendo nella dinamica delle pulsioni il carattere travagliato e “tragico”
dell’accadere psichico.
Secondo Bachtin, l’intera teoria psicologica di Freud è solo una particolare
interpretazione del racconto verbale dell’uomo, e solo su questo si basa. Pur non
cercando le motivazioni immediate della coscienza, nel tentativo di penetrare gli
strati più profondi della psiche, egli «non cerca l’aspetto oggettivo di questi
racconti, non ne cerca le radici fisiologiche e sociologiche, ma si sforza di trovare
in essi le vere motivazioni del comportamento: il malato stesso deve riferirgli
sulle profondità dell’“inconscio”» (F p.143). Freud cerca di dare un nuovo
orientamento all’introspezione, cerca di farle penetrare gli strati più profondi
della psiche, ma considera il metodo introspettivo l’unico in grado di verificare la
realtà dei fenomeni psichici, anche l’inconscio deve essere analizzato attraverso
l’introspezione. La dinamica psichica viene analizzata dunque dalla psicoanalisi
attraverso l’espressione verbale cosciente, «è data nella luce ideologica della
coscienza, per cui di conseguenza, non è dinamica di forze psichiche, bensì
soltanto di motivazioni diverse della coscienza» (F p.144). L’inconscio non è
altro, in tale prospettiva, che una delle motivazioni della coscienza, una delle
maniere ideologiche di interpretare il comportamento. Si è detto che per Bachtin
la coscienza dell’uomo singolo non è altro che l’ideologia del suo compor-
tamento, come le ideologie concrete, espressioni di una prospettiva di classe,
può essere analizzata solo penetrando il gioco delle forze oggettive materiali che
la determinano. Lo psicologo oggettivista
non presta fede a nessun discorso verbale, a nessuna motivazione o
spiegazione che il soggetto, sulla base della sua esperienza interna, dà del suo
comportamento; cerca invece di chiarire le radici oggettive sia del
comportamento che delle espressioni verbali dell’uomo. (F p.145)
Lo psicologo oggettivista considera le espressioni verbali riflessi delle
condizioni oggettive, fisiologiche e socio economiche, del comportamento.
«Dietro la “dinamica psichica” e la lotta delle motivazioni, lo psicologo
oggettivista scoprirà la dialettica materiale della natura e della storia» (F p.145).
Freud, anziché procedere in questo modo, si lascia prendere dalla lotta delle
motivazioni soggettive della coscienza, egli si limita a scegliere tra le
motivazioni quelle inconsce e ad analizzarle in un modo particolare.
Secondo Bachtin, le forze psichiche individuate da Freud (l’“Io”, l’“Es” e il
“Super Io”) sono una costruzione arbitraria, con cui egli tenta di render conto
della reale lotta delle motivazioni che si traduce nelle espressioni verbali. La
teoria psicoanalitica è a suo parere una proiezione nella psiche di alcune reazioni
oggettive del mondo esterno, in particolare in essa si esprimono le complesse
interrelazioni sociali tra malato e medico. Il setting analitico comporta una
situazione socialmente molto strutturata; il paziente desidera nascondere certe
sue emozioni al medico e tenta di fargli accettare le sue opinioni sulla sua
malattia, il medico cerca di imporre al paziente la sua autorità spingendolo ad
accettare una corretta visione della malattia, ciò si realizza in una situazione in
cui i ruoli sociali sono definiti, così come lo sono le situazioni gerarchiche e
contingenti (età, professione, sesso, posizione sociale), che ugualmente contri-
buiscono a determinare la forma dell’interazione verbale. Freud pone alla base
della sua teoria i racconti del paziente, ma nella realtà «non una sola
espressione verbale può essere accreditata soltanto a colui che la esprime: essa
è il prodotto dell’interazione dei parlanti o, più in generale, è un prodotto di tutta
la complessa situazione sociale nella quale l’espressione è nata» (F p.146). La
parola è un “entimema sociale”, come si è detto, è un “atto a due facce”, non
può in nessun caso essere attribuito esclusivamente al suo emittente. Secondo
Bachtin, come si è in precedenza accennato, è la complessa situazione sociale in
cui il parlante si trova coinvolto che determina completamente la scelta delle
parole attraverso cui questo si esprime, le stesse “emozioni psichiche vissute”,
in cui si cerca il movente e il referente interno delle espressioni, sono soltanto
una interpretazione unilaterale e semplificata di un complesso fenomeno so-
ciale.
Avviene in esse un particolare tipo di “proiezione” mediante il quale
accumuliamo (proiettiamo) sull’“animo individuale” la complessa totalità dei
rapporti sociali. La parola è quasi uno scenario sul quale si rappresenta la
socializzazione più recente durante il cui processo essa è nata, e questa
socializzazione è a sua volta un momento di una più vasta socializzazione del
gruppo sociale cui il parlante appartiene. (F p.147)
Per comprendere adeguatamente questo scenario, è necessario per
Bachtin riportare alla memoria tutte le complesse interrelazioni sociali di cui
l’espressione verbale rappresenta la rifrazione ideologica.
Ciò che è stato detto riguardo al discorso esterno vale anche nel caso del
discorso interno, ugualmente prodotto di una socializzazione e ugualmente
indirizzato verso un potenziale ascoltatore. Tutte le espressioni verbali del
paziente, su cui si basa la psicoanalisi, sono scenari dell’immediato micro-evento
sociale in cui si sono generate, cioè della seduta psicoanalitica, in esse non si
riflette la dinamica dell’animo individuale, ma la dinamica sociale delle relazioni
tra medico e paziente. La costruzione psicoanalitica proietta, secondo Bachtin,
sulla psiche individuale del paziente tutta la dinamica determinata
dall’interrelazione tra medico e paziente.
Bachtin rivolge una critica argomentata ad un’altro aspetto centrale della
costruzione psicoanalitica, ovvero alla strutturazione dell’inconscio nell’età
infantile. A suo parere tutta la teoria dei complessi infantili è ottenuta con
metodo retrospettivo, si fonda interamente sull’interpretazione dei ricordi degli
adulti, sull’ «interpretazione del passato secondo il punto di vista del presente»;
tale metodo non permette di giungere a nessuna conclusione reale e oggettiva,
dal momento che «non si può parlare di un ricordo oggettivo delle nostre
emozioni interne vissute nel passato» (F p.149-50).
“L’attrazione sessuale verso la madre”, “il padre-avversario”, “l’odio per il
padre”, “il desiderio che egli muoia”: se si toglie a questi “avvenimenti” il
significato pregnante, il tono valutativo, il peso ideologico che essi acquistano
soltanto nel contesto del nostro presente “adulto” cosciente, che cosa ne
rimane? (F p.150)
Da una serie eterogenea di fatti oggettivi (l’eccitabilità precoce degli
organi sessuali e di altre zone erogene, la difficoltà di svezzamento del bambino
e il suo legame esclusivo con la madre), Freud elabora la grandiosa costruzione
del complesso edipico in modo assolutamente arbitrario; «la teoria del
complesso edipico non è altro che una manifesta deformazione ideologica,
proiettata sull’animo infantile, il complesso edipico non è affatto l’espressione
chiara e genuina di fatti fisiologici oggettivi» (F p.152). Il carattere arbitrario di
alcune elaborazioni freudiane, si trova amplificato fino al paradosso nei lavori di
alcuni seguaci di Freud, in particolare Bachtin critica la «costruzione totalmente
mostruosa “del trauma della nascita”» di Otto Rank110, il quale muovendo dalla
constatazione del trauma fisiologico dell’organismo al momento della nascita,
elabora una teoria psicologica, paradossale e riduzionista in modo insostenibile,
che pretende di riportare ogni accadimento psichico all’esperienza “tragica”
della nascita.
Della dinamica psichica, una volta esclusi gli aspetti inaccettabili della
teoria psicanalitica, rimangono secondo Bachtin soltanto «i conflitti all’interno
110 Il titolo dell’opera, Freudismo, è indicativo di come più che alla
teoria freudiana, la critica bachtiniana intendesse rivolgersi alle degenerazioni
teoriche dei seguaci di Freud, all’ideologia psicoanalitica nei suoi eccessi,
riduzionistici fino al paradosso.
del comportamento verbalizzato dell’uomo: una lotta di motivazioni e non una
lotta di forze materiali» (F p.152), dietro tale lotta ideologica si nascondono
processi oggettivi e materiali, ma il freudismo si preclude a priori la possibilità di
una loro analisi; per coglierli è di fatti necessario uscire dai limiti di ciò che gli
uomini possono raccontare di sé stessi, solo la metodologia elastica del materia-
lismo dialettico è in grado, per Bachtin,di far luce su tali conflitti.
Freud critica a ragione la psicologia della coscienza, in nessun caso la
motivazione cosciente che l’uomo dà delle sue azioni può spiegarle
scientificamente, ma neppure le motivazioni dell’inconscio spiegano il
comportamento, non essendo l’inconscio che un’altra forma di coscienza, una
sua diversa espressione ideologica. Le motivazioni inconsce portate alla luce
nella seduta psicoanalitica sono, come le motivazioni coscienti, reazioni verbali,
si distinguono da queste soltanto per il loro contenuto ideologico; Bachtin
propone di chiamare “coscienza non ufficiale” l’inconscio freudiano, per
distinguerlo dalla normale coscienza “ufficiale”. Per la psicologia oggettiva, le
motivazioni della coscienza ufficiale sono date nel discorso esterno e interno in
modo assolutamente identico a quelle della coscienza non ufficiale, ed entrambe
sono completamente definite da fattori oggettivo-sociali.
Si è detto come Bachtin insista nell’affermare la mancanza di un diritto di
proprietà dei singoli sulla parola,
tutto il verbale (allo stesso modo, sia il discorso interno che quello esterno)
nel comportamento umano non può in nessun caso essere attribuito ad un
soggetto individuale isolatamente preso: esso non è una sua proprietà privata
ed esclusiva, ma appartiene al suo gruppo sociale (al suo ambiente sociale). (F
p.156)
Qualunque motivazione, di qualunque tipo essa sia, o presa di coscienza di
sé (l’autocoscienza è per Bachtin sempre verbale, si riduce alla scelta di un
determinato complesso verbale), implica l’assoggettarsi a una norma sociale,
l’inserirsi in un orizzonte ideologico. «L’autocoscienza in ultima istanza ci porta
sempre a una coscienza di classe, di cui è il riflesso e la specificazione in tutti i
momenti fondamentali, essenziali. Qui si trovano le radici oggettive anche delle
reazioni verbali più personali e intime» (F p.157). Solo i metodi oggettivi
elaborati dalla scienza marxista delle ideologie sono in grado di studiare queste
radici oggettive.
Alla coscienza censurata freudiana, corrispondono per Bachtin quegli
aspetti dell’ideologia quotidiana che riflettono i momenti più costanti e
dominanti della coscienza di classe, in questi strati ideologici il discorso interno
può esternarsi senza difficoltà essendo in sintonia con l’ambiente ideologico
circostante. Gli altri strati, corrispondenti all’inconscio freudiano, testimoniano
una frattura nel legame del singolo con l’ambiente ideologico, un’instabilità delle
motivazioni ideologiche coerenti.
Il contenuto e la composizione degli strati non ufficiali dell’ideologia
quotidiana sono condizionati, come anche gli strati già censurati (le ideologie
concrete, morale, diritto, concezioni del mondo), dall’epoca e dalla classe:
per esempio, le passioni omosessuali dell’antica classe dominante ellenica
non creavano nessun conflitto nella loro ideologia quotidiana, per cui passavano
liberamente nel discorso esterno e trovavano perfino un’espressione ideologica
formalizzata (ricorderemo il Simposio di Platone). (F p.161)
Nelle epoche successive, la condanna morale e religiosa dell’omofilia ne
rese impossibile la tematizzazione verbale, se non in quella ‘pattumiera’ del
linguaggio che sono le espressioni ingiuriose111.
La caratteristica natura conflittuale della psiche nella teoria freudiana, è
per Bachtin da porre in relazione al legame del freudismo con le istanze
ideologiche della borghesia, classe in disfacimento e ideologicamente
disgregata. In tale situazione di frattura necessaria tra coscienza ufficiale e
coscienza non ufficiale, le istanze devianti non trovano possibilità di espressione,
perdono il loro carattere verbale trasformandosi in un “corpo allogeno” nella
psiche. Si amplia in tal caso la sfera dell’animalità dell’uomo a scapito della sua
essenza sociale112.
Non tutti i motivi che entrano in conflitto con l’ideologia ufficiale sono
destinati, secondo Bachtin,a degenerare in un discorso interno torbido e a
morire; in una società classista, se le motivazioni inconsce sono radicate negli
interessi materiali di un gruppo sociale sufficientemente ampio e la loro presa di
coscienza si realizza come coscienza di classe, rendendo così possibile una
collaborazione e un’organizzazione in prospettiva di vantaggi comuni a tutti gli
appartenenti alla classe, le motivazioni della coscienza non ufficiale possono
entrare consapevolmente in conflitto con l’ideologia ufficiale ed affermarsi come
111 Questo aspetto è stato analizzato da Louis-Jean Calvet nell’ultima
parte di Pour et contre Saussure.112 Bachtin è qui in piena consonanza con le indicazioni marxiane
dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 in cui si sostiene che nella società
capitalista «l’uomo (il lavoratore) si sente ormai libero soltanto nelle sue funzioni
bestiali, nel mangiare, nel bere, nel generare, […] Il bestiale diventa l’umano e
l’umano il bestiale. Il mangiare, il bere, il generare, ecc. , sono in effetti anche
schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell’astrazione che le separa dal
restante cerchio dell’umana attività e ne fa degli scopi ultimi e unici».
ideologia rivoluzionaria.
Un tratto del freudismo particolarmente indicativo del suo rapporto con la
disgregazione ideologica della borghesia è la totale sessualizzazione della
famiglia e dei rapporti familiari che si realizza nel complesso edipico.
La famiglia — questo pilastro e caposaldo del capitalismo —
evidentemente ha già uno scarso valore economico e sociale e dice poco al
cuore; perciò è possibile la sua totale sessualizzazione, quasi una nuova
denotazione, uno “straniamento”, come direbbero i nostri formalisti. Il
complesso edipico è effettivamente un magnifico straniamento della cellula
familiare. Il padre non è il padrone dell’impresa né il figlio è un erede: il padre è
solo un amante della madre e il figlio è il suo rivale!
Con lo steinerismo e il bergsonismo, il freudismo appare a Bachtin uno dei
tentativi di fondare il mondo al di là del sociale e dello storico, realizzati
mediante differenti surrogati: la magia, l’istinto e la sessualità. «Quando sono
chiuse le vie creative della storia, rimangono solo i vicoli ciechi del superamento
individuale di una vita divenuta insulsa».
La psicoanalisi appare a Bachtin un prodotto della disgregazione ideologica
della borghesia europea, egli ritiene impossibile separare dal suo guscio
ideologico un nocciolo razionale compatibile col marxismo e ogni tentativo in tal
senso è destinato a fallire, pertanto Bachtin conclude la sua opera dedicata alla
teoria freudiana con una critica dei tentativi di coniugare la psicoanalisi
freudiana con la reattologia, la psicologia oggettiva e in generale il marxismo
intrapresi negli anni venti in Russia.
2.2.2 Bachtin e la psicoanalisi. Oltre la critica
La critica bachtiniana della psicoanalisi viene aspramente contestata da
Jean-Louis Houdebine, che vi scorge la reazione di un “partigiano dell’ordine”,
realizzata con gli strumenti degli «ideologhi più ottusi del marxismo-leninismo
degli anni 1920-30»113, alla rivoluzionaria scoperta freudiana. L’errore
fondamentale dell’interpretazione di Bachtin della psicoanalisi consiste secondo
Houdebine nell’avere trascurato la divisione interna al soggetto a vantaggio
della dimensione sociale del verbale.
Tale è il limite di un dialogismo che, se valorizza le divisioni relative al
discorso nelle condizioni stesse della sua produzione sociale intersoggettiva
(emittente/destinatario), si rivela al contempo incapace di cogliere l’altra
divisione da cui è segnata altrettanto fondamentalmente la lingua, e nella sua
stessa materialità […]. In altri termini, la cecità massima riguarda l’alterità di
base, la Spaltung inscritta all’interno del soggetto […] questa alterità è
costantemente considerata da Bachtin esterna al soggetto parlante.114
Bachtin si trova nell’impossibilità di cogliere i fenomeni linguistici messi in
causa nell’analisi altrimenti che in termini di coscienza e di milieu sociale; la
problematica del soggetto (nel senso freudiano del termine) gli è in tal modo
preclusa. Houdebine critica inoltre il rigetto “banalmente reazionario”
dell’importanza del fattore sessuale nell’analisi freudiana e la definizione della
psicoanalisi come “psicologia di declassati”, che portano a suo parere il pensiero
113 Jean-Louis Houdebine, Langage et marxisme, p.220.114 Ivi, p.221. Houdebine riprende qui la critica all’occultamento
dell’istanza dei significanti già avanzata analizzando la critica bachtiniana della
linguistica di Saussure (vedi nota 21 p.18).
di Bachtin verso conclusioni reazionarie e antilibertarie.
Certamente tali critiche sono in gran parte pertinenti e sono da porre in
conto alla situazione storica particolare in cui il libro venne pubblicato, al
riguardo della negazione della Spaltung del soggetto, Julia Kristeva (che pure si
muove in un ambito ideologico prossimo a quello di Houdebine) pare di parere
opposto, allorché afferma, riferendosi al libro di Bachtin su Dostoevskij:
pur senza menzionare Freud (il libro non comporta alcun riferimento alla
psicoanalisi), Bachtin studierà la “parola”, cioè il discorso […] come un terreno
su cui si confrontano delle istanze discorsive, degli “io” che parlano. Dialogismo
sarà il termine che designa questa doppia appartenenza del discorso a un “io” e
all’altro, questa Spaltung del soggetto che la psicoanalisi stabilirà con
circospezione scientifica, questa topologia del soggetto nei confronti del “tesoro
dei significanti” (Lacan) al di fuori di lui.115
E ancora:
il dialogo non è soltanto il linguaggio assunto dal soggetto, ma è una
scrittura nella quale si legge l’altro (senza alcuna allusione a Freud). Così il
dialogismo bachtiniano designa la scrittura ad un tempo come soggettività e
come comunicatività, o per meglio dire, come intertestualità; di fronte a tale
dialogismo, la nozione di “persona-soggetto della scrittura” comincia a sfumare
per cedere il posto ad un’altra, a quella dell’“ambivalenza della scrittura”.116
115 Julia Kristeva, Una poetica in rovina, p.70.116 Julia Kristeva, La parola, il dialogo e il romanzo, in Augusto Ponzio
(a cura di), Michail Bachtin. Semiotica, teoria della letteratura e marxismo,
p.111.
È dunque possibile individuare nel pensiero di Bachtin, oltre la critica di
Freudismo, le tracce di un’influenza diretta della teoria freudiana e alcune
significative convergenze tematiche con questa.
Prima di abbandonare Freudismo, è opportuno segnalare un’intuizione
particolarmente rilevante dell’analisi bachtiniana, ovvero la centralità dell’analisi
linguistica all’interno della prospettiva freudiana.
La lettura che in Freudismo si propone di Freud è rivolta a evidenziare la
struttura linguistica dell’inconscio. La conflittualità fra conscio e inconscio
consiste in complesse relazioni tra reazioni verbali e non verbali, in conflitti fra
discorso interno e discorso esterno nell’ambito dello stesso comportamento
verbale dell’uomo ed inoltre tra le diverse stratificazioni del discorso interno.117
C’è in Bachtin la chiara consapevolezza di quanto soprattutto Lacan a
proposito di Freud ha contribuito a dimostrare: «A qualunque livello, quando
compie un’analisi dell’inconscio, Freud fa sempre un’analisi di tipo linguistico»118,
da cui la proposta di «ricondurre l’esperienza psicoanalitica alla parola e al
linguaggio come ai suoi fondamenti»119.
Augusto Ponzio individua diversi punti di contatto tra la prospettiva
117 Augusto Ponzio, Michail Bachtin. Alle origini della semiotica
sovietica, p.62-63.118 Jaques Lacan, Conversazione con P. Caruso, in Conversazioni con
Levi-Strauss, Foucault, Lacan, a cura di P. Caruso, Milano, Mursia, citato in
Augusto Ponzio, Michail Bachtin. Alle origini della semiotica sovietica, p.63.119 Jaques Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in
psicoanalisi, in La cosa freudiana e altri scritti, Torino, Einaudi, 1972.
bachtiniana e quella di Jacques Lacan: la considerazione del linguaggio non
come semplice strumento di comunicazione, ma come materiale di cui è fatta
l’esperienza stessa del parlante, l’affermazione che la significazione si realizza
attraverso una catena salda e ininterrotta di rimandi da segni a segni che rende
impossibile qualsiasi fuoriuscita di significato dal materiale segnico, oltre
l’intuizione dell’importanza dell’analisi del linguaggio verbale nella teoria
freudiana e della natura linguistica dell’inconscio, di cui si è già detto120. Tali
convergenze non sono casuali e vanno messe in relazione alla comune influenza
subita dai due autori della linguistica strutturale, della psicoanalisi e del marxis-
mo.
L’interesse di Bachtin per la psicoanalisi non si esaurisce con la critica di
Freudismo, si possono trovare riferimenti espliciti ad esempio negli scritti
dell’ultimo periodo, in cui traspare, se non un mutamento di prospettiva, un
approfondimento dell’analisi, soprattutto dell’opera di Carl Gustav Jung, al
tempo di Freudismo conosciuto solo di nome come seguace di Freud121:
tentativo di comprendere il rapporto di interazione con la parola altrui
attraverso la psicoanalisi e l’«inconscio collettivo». Quello che gli psicologi (e
soprattutto gli psichiatri) portano alla luce è esistito un tempo. Non si è però
conservato nell’inconscio (sia pure collettivo), ma è cristallizzato nelle memorie
delle lingue, dei generi, dei riti e da qui penetra nei discorsi e nei sogni
(raccontati, ricordati coscientemente) degli uomini (che hanno una determinata
costituzione psicologica e si trovano in una particolare condizione. Ruolo della
120 Augusto Ponzio, Marxismo, scienza e problema dell’uomo, p.215-
224.121 Jung viene citato solo in una nota in Freudismo, in un contesto
che denuncia l’ignoranza al riguardo dell’autore.
psicologia e della così detta psicologia della cultura).122
Un’analisi approfondita della psicoanalisi, analoga a quella svolta in
Freudismo, non si trova negli scritti tardi di Bachtin, ciò limita le possibilità di
cogliere in modo esplicito un cambiamento nel suo orientamento nei confronti di
questa; ciò che indubbiamente traspare dai lavori degli ultimi anni è un interesse
costante e un continuo approfondimento degli studi sulla teoria freudiana.
Alcuni critici si sono esercitati nella ricerca di spunti tematici comuni sia a
Bachtin sia a autori legati al pensiero psicanalitico, Gian Carlo Belletti analizza le
affinità tra la figura del trickster studiata da Jung123, l’analisi freudiana svolta in
Grande è la Diana degli efesini124 e le immagini del carnevale analizzate nel
Rabelais125, Augusto Ponzio utilizza uno scritto freudiano per illustrare il concetto
di dialettica in Bachtin:
122 Michail Bachtin, Dagli appunti del 1970-71, in L’autore e l’eroe,
Torino, Einaudi, 1988, p.362. Gli appunti in questione sono, come altri scritti
dell’ultimo periodo, brevi notazioni frammentarie, spesso della massima
rilevanza teorica ma scritti di getto, senza nessuna cura e sistemazione; ciò ne
rende spesso problematica l’interpretazione.123 Carl Gustav Jung, Contributo allo studio psicologico della figura
del briccone, in P. Radin, C. G. Jung, K. Kerényi, Il briccone divino, Milano, 1956.124 Sigmund Freud, Grande è la Diana degli efesini, in Totem e tabù e
altri saggi di antropologia, Roma, 1974.125 Gian Carlo Belletti, Bachtin-Freud. Motivi di un incontro, in Saggi
su Bachtin. L’immagine riflessa, Genova, Tilgher, 1984, p.335. Anche V. V. Ivanov
individua un legame tra i lavori di Bachtin e di Jung e sostiene la «vicinanza
delle idee di Bachtin alle riflessioni sugli archetipi di Jung e anche di Frye», in
Significato delle idee di Michail Bachtin sul segno, l’atto di parola e il dialogo per
la semiotica contemporanea, in Augusto Ponzio (a cura di), Michail Bachtin.
Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.253 nota 1.
la plurivocità caratteristica del segno, che trova la massima espressione
nelle lingue più antiche, dove una stessa parola poteva essere usata per
esprimere nozioni diametralmente opposte, si ripresenta nella forma della
opposizione, della ambivalenza dei simboli onirici. È singolare che tanto Bachtin
che studia la plurivocità del segno verbale, sia Freud che studia la tendenza del
lavoro onirico a esprimere «mediante lo stesso mezzo raffigurativo un elemento
contrario» si richiamino all’ambivalenza delle parole delle lingue più antiche,
riscontrata per esempio nei geroglifici egiziani. L’originario significato opposto
delle parole, dice Freud, costituisce il «meccanismo precostituito» che viene
ripreso nel sogno e che «viene sfruttato, per vari intenti , dal lapsus verbale per
cui si dice il contrario».126
Oltre questi esercizi esegetici, che fanno spesso riferimento a testi e a temi
marginali rispetto all’opera degli autori in questione, di notevole rilevanza
teorica sono i tentativi di coniugare la prospettiva bachtiniana e quella
psicoanalitica nell’indagine estetica e critico-letteraria; tra questi di particolare
rilievo sono i lavori di Francesco Orlando127, di Mario Lavagetto128 e soprattutto
degli autori strutturalisti e poststrutturalisti francesi, in particolare di Julia
Kristeva129 e di Tzvetan Todorov.
126 Augusto Ponzio, Segni e contraddizioni. Fra Marx e Bachtin, p.244.
Le citazioni da Freud sono da Über den Gegensinn der Urworte, trad. it.
Significato opposto delle parole primordiali, in Freud, Opere, VI, Torino,
Boringhieri, 1975. 127 Francesco Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura,
Torino, Einaudi, nuova edizione ampliata, 1987.128 Mario Lavagetto, Freud la letteratura e altro, Torino, Einaudi,
1985.129 Si è già detto dell’importanza delle analisi della Kristeva e di
Molteplici analogie profonde legano inoltre l’impostazione teorica di
Bachtin a quella dello psicanalista e psichiatra cileno Ignacio Matte Blanco; data
la rilevanza delle implicazioni epistemologiche coinvolte in tale rapporto, se ne
rimanda la trattazione al capitolo conclusivo, dedicato all’analisi delle tematiche
bachtiniane in relazione all’epistemologia.
come queste abbiano condizionato la ricezione del pensiero di Bachtin
nell’Europa occidentale; per suo tramite le tematiche bachtiniane sono
penetrate nel dibattito sullo statuto scientifico delle scienze umane e hanno
influenzato i lavori di Roland Barthes, Gerard Genette, Algirdas Julien Greimas e
di molteplici altri autori di analoga ispirazione teorica.
3 Translinguistica
Teoria dell’enunciato e metodologia critica
3.1 Metalinguistica. L’analisi pragmatica del discorso
Le analisi semiotico-linguistiche e psicologiche elaborate negli scritti
pseudonimici degli anni venti costituiscono la base teorica dei lavori successivi
di Bachtin, individuano gli orientamenti fondamentali dei suoi studi di estetica e
critica letteraria, in particolare delle monografie su Dostoevskij e Rabelais. In
queste opere il pensiero bachtiniano si organizza in un progetto profondamente
originale, le cui direttive sono determinate dalla proposta bachtiniana di
un’analisi scientifica dell’enunciato capace di coglierne la valenza globale, oltre i
limiti dell’analisi linguistica denunciati in Marxismo e filosofia del linguaggio.
Viene così delineandosi il progetto di una «metalinguistica, intendendo con ciò lo
studio, non ancora organizzato in determinate singole discipline, di quegli
aspetti della vita della parola che esulano — del tutto legittimamente — dall’am-
bito della linguistica» (DPS p.235)130.
In questo capitolo si cercherà di enucleare i cardini teorici su cui tale studio
si articola, individuando di alcune categorie bachtiniane la valenza e le modalità
di funzionamento.
130 Julia Kristeva propone di tradurre ‘metalingvistika’ con
‘translinguistica’, per evitare confusioni con la nozione linguistica di
metalinguaggio, Tzvetan Todorov ritiene che il progetto bachtiniano non sia che
un’analisi ‘pragmatica’ del discorso, e ritiene Bachtin l’iniziatore di questa
disciplina.
3.1.1 Teoria dell’enunciato
Il limite della linguistica contemporanea era stato individuato da Bachtin
nella sua incapacità di tematizzare l’enunciato nella sua completezza, nel suo
tendere l’attenzione esclusivamente all’aspetto verbale decontestualizzato del
discorso (da cui la critica alla linguistica astraente e ipostatizzante di Marxismo e
filosofia del linguaggio), anche quando prende in considerazione gli elementi
extraverbali (come il ‘contesto’ per la scuola di Kazan), la linguistica li considera
fattori accessori, che non determinano dall’interno l’enunciato. Si tratta quindi in
primo luogo per Bachtin di cercare di individuare le componenti reali dell’enun-
ciato, in quanto è questa datità primaria che la translinguistica deve indagare.
Un primo tentativo in tal senso si trova in un articolo firmato da Volosinov,
Il discorso nella vita e il discorso nella poesia, del 1926, in cui vengono cercate
nel linguaggio quotidiano le basi e le potenzialità della forma artistica letteraria.
La parola nella vita viene creata in un contesto extraverbale, cui rimane
inscindibilmente legata. I giudizi (conoscitivi, etici, politici, estetici), vanno oltre
ciò che è contenuto nell’elemento specificamente linguistico, verbale
dell’enunciazione, «essi insieme alla parola colgono anche la situazione
extraverbale dell’enunciazione» (LPS p.27-28). Si tratta dunque di determinare
le componenti di tale contesto e il loro ruolo costitutivo nel linguaggio
quotidiano. Secondo B.,
Il contesto extraverbale dell’enunciazione si compone di tre elementi: 1)
l’orizzonte spaziale comune ai parlanti (unità del visibile) […], 2) la comune
conoscenza e comprensione della situazione ed, infine, 3) la comune valutazione
di questa situazione. (LPS p.29)
L’enunciazione si basa quindi sul “visto insieme”, sul “conosciuto insieme”
e sul “valutato concordemente”. L’enunciazione quotidiana ha un ruolo
organizzativo sul piano pratico e collega i partecipanti in modo attivo, li
coinvolge in quanto “copartecipanti”. «L’enunciazione, di conseguenza, si basa
sulla loro reale, materiale appartenenza ad una stessa fetta di realtà oggettiva,
dando a questa comunanza materiale un’espressione ideologica ed un ulteriore
sviluppo ideologico» (LPS p.30). Lungi dall’agire dall’esterno come una forza
meccanica, «la situazione entra a far parte dell’enunciazione in quanto parte
costituente necessaria del suo contenuto semantico» (LPS p.30).
L’enunciazione, basandosi sulla comunanza delle valutazioni, ha un
carattere completamente sociale,
le emozioni individuali possono accompagnare il tono fondamentale della
valutazione sociale solo come armoniche: l’«io» può realizzarsi nella parola
soltanto basandosi sul «noi». In tal modo ogni enunciazione quotidiana è un
entimema oggettivo sociale. […] Chi non conosce il contesto della vita prossimo
a queste enunciazioni non può comprenderle. (LPS p.31)
Un ruolo particolarmente importante nel linguaggio quotidiano spetta
all’intonazione, che costituisce un tramite, un legame tra la parola e il contesto
extraverbale. L’intonazione si situa al confina tra il verbale e il non verbale,
porta la parola a contatto con la vita, è pertanto eminentemente sociale. «La
comunanza delle valutazioni principali sottintese è il canovaccio sul quale il vivo
discorso umano ricama i motivi dell’intonazione» (LPS p.35).
Uno stretto legame unisce “la metafora data dall’intonazione” con la
“metafora espressa dal gesto”; entrambi hanno bisogno dell’appoggio corale dei
circostanti, «d’altro canto il gesto, così come l’intonazione, allarga la situazione,
introduce un terzo partecipante-eroe» (LPS p.38).
Ciascuna intonazione si orienta in due direzioni, verso l’ascoltatore e verso
l’oggetto dell’enunciazione, in quanto terzo vivo partecipante; questo duplice
orientamento sociale, che determina e dà un senso a tutti gli aspetti
dell’intonazione, è comune a tutti gli elementi dell’enunciazione verbale.
Dunque qualunque parola effettivamente pronunciata (o intenzionalmente
scritta), che cioè non giaccia addormentata nel vocabolario, è espressione e
prodotto dell’interazione sociale di tre elementi: il parlante (l’autore),
l’ascoltatore (il lettore) e colui (o ciò) di cui si parla (l’eroe). (LPS p.39)
In linea di principio, ciò che si è detto per il linguaggio quotidiano, vale
anche per il linguaggio artistico; malgrado sia necessaria in letteratura una
maggiore esplicitazione del contesto per renderne possibile la comprensione, è
comunque sempre necessario un completamento del suo orizzonte ideologico da
parte del lettore, che entra così come elemento strutturante nel racconto.
Il destinatario dell’opera copartecipa alla sua creazione, determina la
scelta dell’eroe (di ciò di cui si parla) e delle modalità di esposizione, pertanto
Bachtin sostiene che «“lo stile è l’uomo”, ma noi possiamo dire che lo stile
rappresenta perlomeno due uomini e più esattamente l’uomo e il suo gruppo
sociale» (LPS p.56).
La teoria dell’enunciato abbozzata in questo articolo viene approfondita
durante tutta la produzione teorica successiva di Bachtin, ad esempio in uno
scritto del 1959-61, Il problema del testo nella linguistica, nella filologia e nelle
altre scienze umane, scrive:
l’enunciato (come totalità verbale) non può essere riconosciuta quale unità
di ultimo, supremo livello o piano della struttura linguistica (al di sopra della
sintassi), poiché essa entra in un mondo di rapporti totalmente diversi
(dialogici), non comparabili coi rapporti linguistici degli altri livelli. (Da un certo
punto di vista è possibile soltanto il raffronto dell’intera enunciazione con la
parola). L’intera enunciazione non è più un’unità della lingua (e non è un’unità
del “flusso verbale” o della “catena verbale”), ma un’unità del flusso verbale che
ha non un significato, bensì un senso.131
In questi passi appare chiaramente che rispetto alla prospettiva
translinguistica, tutto ciò che è verbale, linguistico è soltanto materiale, mezzo
dell’effettuazione dell’enunciato.
L’enunciato è sempre strutturato in funzione del suo ruolo nella prassi
comunicativa, ciò ne determina i “confini”, la sua compiutezza è
l’aspetto interiore dell’alternanza dei soggetti del discorso: questa
alternanza è possibile proprio perché il parlante ha detto (o scritto) tutto ciò che
in un certo momento o in certe condizioni voleva dire. Ascoltando o leggendo,
avvertiamo distintamente la fine di un’enunciazione, quasi sentissimo il dixi
conclusivo del parlante.132
131 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe, Torino, Einaudi, 1988,
p.316. Della distinzione bachtiniana fondamentale tra senso (tema) e significato
si dirà successivamente.132 Michail Bachtin, Il problema dei generi del discorso (1952-53), in
Tale compiutezza è definita da particolari criteri, il primo è la possibilità di
rispondere, di assumere nei riguardi dell’enunciazione una posizione responsiva;
a una proposizione linguistica isolata non si può rispondere, la si può solo
comprendere, mentre un’enunciazione impegna sul piano semantico e
assiologico. La sua compiuta totalità, che come detto garantisce la possibilità
della comprensione responsiva, è determinata, secondo Bachtin, da tre momenti
(o fattori), indissolubilmente legati nel tutto organico dell’enunciazione: 1)
l’esaustività di oggetto e di senso; 2) il progetto ovvero la volontà di discorso del
parlante; 3) le forme tipiche di composizione e di genere del compimento.133
I primi due momenti sono legati tra loro, l’esaustività dell’oggetto e del
senso possono variare di grado in relazione al progetto, alla volontà di discorso
del parlante; tale fattore determina conseguentemente l’orizzonte tipico
dell’enunciazione, la scelta di un determinato genere del discorso.
Secondo Bachtin il linguaggio si organizza in un’ampia serie di generi, più o
meno strutturati, più o meno vincolanti per il parlante, che adeguano al contesto
ideologico in cui l’enunciazione è prodotta il progetto del parlante.
Al parlante, dunque, sono date non soltanto le forme, per lui obbligatorie,
della lingua comune (il lessico e la grammatica); ma anche le forme, per lui non
meno obbligatorie, dell’enunciazione, cioè i generi del discorso, che sono
necessari per la reciproca comprensione tanto quanto le forme del linguaggio.134
L’autore e l’eroe, p.263. 133 Ivi, p.263-64.134 Ivi, p.68. La teoria bachtiniana dei generi del discorso trova un
notevole sviluppo nell’analisi delle forme concrete nella produzione artistica dei
generi discorsuali, nell’analisi dei generi letterari.
Rispetto alle norme linguistiche, i generi del discorso sono molto meno
rigidi, sono più mutevoli, elastici, ma per il parlante sono ugualmente normativi,
non sono creati da lui, ma gli sono dati.
Una singola enunciazione non può in nessun caso essere quindi
considerata una combinazione assolutamente libera di forme del linguaggio,
come ritiene ad esempio Saussure135; la scelta del genere, determinata dalle
condizioni reali dell’effettuazione dell’enunciazione, impronta globalmente la
totalità dell’espressione. Il genere scelto detta in modo vincolante i tipi e le
connessioni compositive dell’enunciazione.
3.1.2 Tema e significato
La teoria bachtiniana dell’enunciato evidenzia una differenza qualitativa
irriducibile tra l’enunciato e la proposizione, che li determina rispettivamente
come oggetto della translinguistica e della linguistica tassonomica. A supportare
tale differenziazione tra significato nel discorso e significato nella lingua, sta la
distinzione semantica tra “tema” e “significato”.
“Tema” di un atto di parola, è il senso unitario di un’intera espressione; il
tema è individuale e irriproducibile quanto l’atto di parola, è l’espressione della
situazione storica, concreta in cui l’enunciazione si è generata. Il tema di un’
espressione è determinato dal contesto extraverbale ed è completamente
135 Bachtin rimprovera a Saussure l'ignoranza dei generi del discorso,
che lo porta a ritenere l’enunciazione, la parole, una combinazione
assolutamente libera delle forme grammaticali in vista dell’espressione del
proprio pensiero personale da parte del parlante. «Saussure trascura il fatto che,
oltre alle forme della lingua, esistono anche le forme delle combinazioni di
queste forme, cioè trascura i generi del discorso», Ivi, p.268.
vincolato a questo.
Il tema di un atto di parola è concreto — tanto concreto quanto l’istante
storico a cui appartiene l’atto di parola. Soltanto un atto di parola considerato
nel suo pieno e concreto campo d’azione come un fenomeno storico possiede un
tema. Questo è ciò che si intende per tema di un atto di parola. (MFL p.180)
Insieme al tema si dà necessariamente il “significato” di un atto di parola.
Per significato, Bachtin intende tutti gli aspetti riproducibili e identici a se stessi
in caso di ripetizione dell’enunciazione. Il significato, assimilabile alla langue di
Saussure, è ottenuto per astrazione dalle concrete espressioni, è isolato
artificialmente e non possiede un’esistenza autonoma. Mentre il tema è
essenzialmente indivisibile, il significato di un’espressione si scompone in una
serie di significati che appartengono a ciascuno dei vari elementi linguistici di cui
questa consiste.
Il tema è un sistema dinamico e complesso di segni che cerca di essere
adeguato ad un momento dato del processo generativo. Il tema è una reazione
da parte della coscienza nel suo processo generativo al processo generativo
dell’esistenza. Il significato è l’apparato tecnico per l’effettuazione del tema.
(MFL p.181)
Naturalmente non è possibile distinguere rigorosamente tema e significato,
dal momento che si presentano sempre connessi e interrelati; anche l’analisi
linguistica del significato, facendo riferimento ad espressioni concrete, non può
astrarre completamente dal tema.
Secondo Bachtin tema e significato sono i due poli estremi del linguaggio;
il tema è il suo limite superiore, in realtà solo il tema significa qualcosa di
definito, il significato è il limite più basso dell’espressione linguistica, non
significa nulla, possiede solo la potenzialità della significazione.
La distinzione tra i due piani della lingua rimane una costante di tutta la
produzione teorica bachtiniana, la si ritrova esplicitata in uno dei suoi scritti più
tardi:
l’intendimento-riconoscimento degli elementi iterabili del discorso (cioè
della lingua) e l’intendimento produttore di senso dell’enunciazione non
ripetibile. Ogni elemento del discorso è percepito su due piani: sul piano della
ripetibilità linguistica e sul piano dell’enunciazione non ripetibile. Attraverso
l’enunciazione la lingua partecipa alla non ripetibilità storica e alla totalità
incompiuta della logosfera.
La parola come mezzo (lingua) e la parola come produttrice di senso. La
parola produttrice di senso appartiene al regno dei fini. La parola come fine
ultimo (supremo).136
Ciò che negli scritti pseudonimici viene chiamato tema, negli scritti più
tardi viene indicato col termine più usuale di “senso”.
In tutti i casi abbiamo a che fare non con una parola isolata come unità
della lingua e non col significato di questa parola, ma con una compiuta
enunciazione e con un senso concreto, cioè col contenuto della data
136 Michail Bachtin, Dagli appunti del 1970-71, in L’autore e l’eroe,
p.351.
enunciazione; il significato di una parola concerne qui una determinata realtà
effettiva in determinate condizioni effettive della comunicazione verbale.137
Il senso si caratterizza per il suo carattere “responsivo”, il senso è sempre
inserito in un orizzonte dialogico, «ciò che non è risposta a qualcosa ci sembra
insensato, avulso dal dialogo»138, il significato è ottenuto per astrazione dal
dialogo in modo intenzionale e convenzionale.
Il senso possiede potenzialità infinite,
ma può attualizzarsi soltanto se entra in contatto con un altro (altrui)
senso, sia pure con una domanda nel discorso interiore del comprendente. Ogni
volta esso deve entrare in contatto con un altro senso per svelare nuovi
momenti della propria infinità (come la parola svela i propri significati solo nel
contesto). Il senso attuale appartiene non a un solo (solitario) senso, ma
unicamente a due sensi, che si sono incontrati e sono entrati in contatto.139
In sostanza, ciò che determina la distinzione fondamentale tra i due piani
del linguaggio, tra il senso (tema) e il significato, è la modalità della loro
ricezione, della loro comprensione.
3.1.3 La comprensione attiva
Per afferrare il significato di una proposizione, è sufficiente una
137 Michail Bachtin, Il problema dei generi del discorso, in L’autore e
l’eroe, p.274.138 Michail Bachtin, Dagli appunti del 1970-71, in L’autore e l’eroe,
p.363.139 Ivi, p.364.
comprensione passiva, che esclude di principio la risposta, il tema di un’enun-
ciazione, al contrario, può essere colto esclusivamente con la comprensione
rispondente, attiva. Tale comprensione implica un orientamento del destinatario
nei confronti dell’espressione, che si realizza attraverso l’inserimento
dell’enunciato in un contesto corrispondente adeguato.
Ad ogni unità verbale significante l’interlocutore contrappone nella
comprensione attiva un discorso ideologicamente articolato che ne costituisce la
risposta, reale o possibile. «Qualsiasi vera comprensione è di natura dialogica.
La comprensione sta all’espressione come una battuta di un dialogo sta alla
successiva. La comprensione si sforza di accoppiare la parola del parlante ad
una parola contraria» (MFL p.184). È pertanto scorretto sostenere che il
significato appartiene alla parola in quanto tale, esso appartiene alla parola nel
suo effettivo impiego nella comunicazione tra parlanti, è realizzato soltanto nella
comprensione attiva, rispondente. «Il significato è l’effetto dell’interazione tra
parlante e ascoltatore prodotto attraverso il materiale di un particolare
complesso sonoro». (MFL p.184)
I linguisti esemplificano spesso l’interazione verbale con un parlante e un
ricevente puri (uno schema analogo si trova anche nel Corso di linguistica
generale di Saussure), tale visione dello scambio verbale è una finzione
scientifica; in realtà l’ascoltatore, percependo e comprendendo il significato
(linguistico) di un discorso, assume nei riguardi di questo una posizione
responsiva attiva.
Ogni comprensione d’un discorso vivo, d’una viva enunciazione ha un
carattere attivamente responsivo (anche se il grado di questa attività può
variare assai); ogni comprensione è pregna di una risposta e, sotto una forma o
sotto un’altra, la genera immancabilmente: l’ascoltatore diventa il parlante.140
La comprensione responsiva non produce necessariamente una replica
immediata, ma può essere “ad azione ritardata”; prima o poi ciò che si è sentito
o attivamente compreso rieccheggia nei discorsi successivi e nel
comportamento dell’uditore. I generi della comunicazione culturale complessa,
secondo Bachtin, hanno per lo più come fine proprio questa comprensione
attivamente responsiva ad azione ritardata.
Questo atteggiamento di comprensione responsiva coinvolge anche il
parlante, egli non si attende una comprensione passiva, una ricezione mec-
canica, «ma risposta, consenso, obiezione, esecuzione, ecc.»141. Bachtin ritiene
che ogni parlante sia in un certo modo un rispondente, egli si inserisce nel
mondo già strutturato della comunicazione sociale, che gli offre sia lo strumento
per l’effettuazione della comunicazione (la lingua, le forme stereotipate
dell’interazione linguistica, i generi discorsuali), sia l’orizzonte ideologico che
determina il progetto della comunicazione. Qualsiasi parlante agisce in reazione
a
enunciazioni anteriori — proprie e altrui —, con le quali la sua enunciazione
entra in determinati rapporti (si appoggia su di esse, polemizza con esse, le
presuppone semplicemente come già note all’ascoltatore). Ogni enunciazione è
un anello di una catena di altre enunciazioni organizzata in modo molto
complesso.142
140 Michail Bachtin, Il problema dei generi del discorso, in L’autore e
l’eroe, p.254.141 Ivi, p.255.142 Ivi, p.255. Muovendo da queste indicazioni, Julia Kristeva elabora
È solo nella risposta, dunque che matura, secondo Bachtin la compren-
sione; comprensione e risposta sono dialetticamente fuse e si condizionano
reciprocamente, tanto che l’una è impossibile senza l’altra. La comprensione
attiva, fondendo gli orizzonti di ciò che è compreso e del comprendente
«stabilisce una serie di complesse relazioni, assonanze e dissonanze con ciò che
è compreso e lo arricchisce di nuovi momenti»143. È nella comprensione
responsiva, come processo selettivo di assimilazione delle parole altrui, che sta
la possibilità stessa di un'evoluzione ideologica dell’uomo.
Nell’ultimo scritto di B.144, viene distinta la comprensione in quattro singoli
atti, ciascuno dotato di un’ideale autonomia di senso, essi sono:
1) La percezione psicofisiologica del segno fisico (parola, colore, forma
spaziale).
2) Il riconoscimento del segno (come conosciuto o sconosciuto). La
comprensione del suo significato ripetibile (generale) nel linguaggio.
3) La comprensione del suo significato nel contesto dato (in quello
la nozione di intertestualità, che verrà analizzata successivamente.143 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
Torino, Einaudi, 1979. Saltano all’occhio i possibili collegamenti di queste
affermazioni con le prospettive teoriche dell’ermeneutica contemporanea, in
particolare con la teoria del dialogo di Hans Georg Gadamer; non esiste alcun
riferimento diretto di Bachtin a tale corrente di pensiero (se si escludono alcune
note di apprezzamento per l’ultimo Heidegger contenute negli appunti degli
ultimi anni), le convergenze di pensiero si possono porre in relazione
all’influenza del pensiero di Dilthey e del prospettivismo di Nietzsche su Bachtin.144 Michail Bachtin, Per una metodologia delle scienze umane, in
L’autore e l’eroe, p.374. Questo scritto è la rielaborazione, realizzata nel 1974,
un anno prima della morte di Bachtin., di uno scritto degli anni trenta.
prossimo e in quello più remoto).
4)La comprensione dialogico-attiva (contrasto-consenso). L’inclusione nel
contesto dialogico.
Tale partizione tira le fila di tutta l’elaborazione bachtiniana della
distinzione tra linguistica e translinguistica, attribuendo alla linguistica la
competenza sul secondo punto e alla translinguistica sul terzo e sul quarto.
Il compito della comprensione attiva viene assolto in due momenti distinti,
una comprensione diretta al contesto autorale (corrispondente al terzo punto) e
una comprensione che trascende tale contesto per rapportarsi alla posizione
reale dell’interpretante (corrispondente al quarto punto), tale è la vera
comprensione responsiva, capace di coinvolgere l’interpretante nel processo
ermeneutico, di porlo in questione. Accade secondo Bachtin in tal caso un
processo analogo a ciò che accade nell’osservazione in microfisica, in cui
l’osservatore interagisce, mediante i suoi mezzi di osservazione, con l’evento
osservato.
Chi comprende diventa egli stesso partecipe del dialogo, anche se ad un
livello particolare (a seconda dell’orientamento e della ricerca). Analogia con
l’inserimento dello sperimentatore nel sistema sperimentale (come sua parte) o
dell’osservatore nel mondo osservato nella microfisica (teoria dei quanti).
L’osservatore non ha una posizione esterna rispetto al mondo osservato, e la
sua osservazione entra come parte costitutiva nell’oggetto osservato.145
145 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe, p.316.
In un altro scritto viene approfondita la distinzione tra i due momenti della
comprensione; i due momenti vengono distinti più chiaramente, il primo consiste
nel capire l’opera così come poteva capirla l’autore stesso, significa calarsi
nell’orizzonte ideologico in cui l’opera si è generata, «la soluzione di questo
problema è molto difficile e richiede di solito l’impiego di un materiale
immenso»146, si tratta dell’ermeneutica ricostruttiva, realizzata con intenti
filologici. Il secondo problema è utilizzare «la propria extralocalità temporale e
culturale»147 per inserire l’opera nel nostro contesto, estraneo all’autore. «La
prima fase è la comprensione […], la seconda è lo studio scientifico (la descri-
zione scientifica, la generalizzazione, la localizzazione storica)»148. E ancora:
comprendere un testo così come lo comprendeva l’autore di questo testo.
Ma la comprensione deve essere migliore. La creazione, possente e profonda,
per molti aspetti è inconscia e polisensa. Nella comprensione essa è completata
dalla coscienza, e si rivela la varietà dei suoi sensi. Quindi la comprensione
completa il testo: essa è attiva ed ha un carattere creativo. La comprensione
creativa completa la creazione e moltiplica la ricchezza artistica dell’umanità. La
co-creazione dei comprendenti.149
146 Michail Bachtin, Dagli appunti del 1970-71, in L’autore e l’eroe,
p.363.147 Ivi, p.363.148 Ivi, p.363.149 Ivi, p.360. Queste indicazioni, di grande rilevanza teorica, sono
solo abbozzate in una serie di appunti, non trovano in nessun luogo una
sistematizzazione e uno sviluppo. Si può rilevare un’affinità tra queste e le
indicazioni metodologiche di Louis Althusser che costituiscono la base della
“lettura sintomale”, strumento di indagine scientifica proposto da Althusser nel
Per Marx. Data la scarsità delle indicazioni bachtiniane non è possibile un
Bachtin ipotizza dunque una “ermeneutica integrativa”, in grado di es-
plicitare le potenzialità inesplorate del senso, di manifestare ciò che nella
creazione letteraria («per molti aspetti inconscia e polisensa») è latente. Il senso
possiede potenzialità infinite, la comprensione responsiva (lo studio scientifico,
produttore di senso) sonda le possibilità di una sua attualizzazione entrando in
dialogo con esso. «La parola, se non è proprio notoriamente falsa, è senza
fondo»150, il criterio guida delle scienze umane è quello della ‘profondità’.
Non ci sono né la prima, né l’ultima parola e non ci sono confini al contesto
dialogico […]. Persino i sensi passati, nati cioè nel dialogo dei secoli trascorsi,
non possono mai essere stabiliti (compiuti, definiti una volta per sempre), ma
muteranno sempre (rinnovandosi) nel corso del successivo, futuro sviluppo del
dialogo. In ogni momento dello sviluppo del dialogo esistono enormi, illimitate
moltitudini di sensi dimenticati, ma, in determinati momenti dello sviluppo del
dialogo, nel suo corso, essi di nuovo saranno ricordati e rinasceranno in forma
rinnovata (in un nuovo contesto). Non c’è nulla di assolutamente morto: ogni
senso festeggerà la sua resurrezione.151
3.1.4 Exotopia
Si è detto come la comprensione attiva, creativa non rinunci al suo proprio
raffronto più articolato tra le due impostazioni teoriche. 150 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe, p.318.151 Michail Bachtin, Per una metodologia delle scienze umane, in
L’autore e l’eroe, p.387.
punto di vista, alla propria cultura; per Bachtin l’“extralocalità”152 del
comprendente, il suo “trovarsi fuori” nel tempo nello spazio, nella cultura,
rispetto a ciò che egli vuole creativamente comprendere è un momento di
fondamentale importanza.
L’uomo non può veramente vedere e interpretare nel suo complesso
neppure il proprio aspetto esteriore e non c’è specchio e fotografia che lo possa
aiutare; il suo vero aspetto esteriore lo possono vedere e capire soltanto gli altri,
grazie alla loro extralocalità spaziale e grazie al fatto di essere altri.
Nel campo della cultura l’extralocalità è la più possente leva per la
comprensione.153
Solo agli occhi di un’altra cultura una cultura si svela nel modo più
completo e profondo (anche se mai in modo esaustivo). Noi poniamo ad una
cultura estranea nuove domande che essa non si poneva e a cui risponde
svelandoci nuovi aspetti, nuove profondità di senso.
L’empatia è solo un momento preliminare della comprensione,
l’extralocalità è la condizione stessa della produzione di senso, che si realizza
attraverso la fusione e l’integrazione degli orizzonti ideologici, socialmente e
storicamente determinati, del parlante (del testo) e dell’interprete.
La nozione di extralocalità svolge un ruolo importante anche in un altro
luogo della teoria estetica bachtiniana; l’extralocalità dell’autore rispetto all’eroe
152 Il neologismo “extralocalità” , “exotopia” è stato introdotto dai
traduttori per tradurre il neologismo russo creato da Bachtin vnenachodimost’,
che letteralmente significa “trovarsi fuori”. 153 Michail Bachtin, Risposta ad una domanda della redazione del
«Novyj mir», in L’autore e l’eroe, p.347-48.
(ciò di cui si parla) è la condizione stessa della possibilità di unificare l’eroe, di
dargli un’unità di senso. «Questo trovarsi fuori (che non è indifferentismo)
permette all’attività artistica di unificare, organizzare e compiere dall’esterno
l’evento»154.
L’autore può organizzare la forma artistica in virtù della sua exotopia
rispetto all’eroe, e ciò si realizza mediante i momenti “trasgredienti”155 costitutivi
dell’opera.
3.1.5 Gli orizzonti della temporali della comprensione. Il tempo grande
Oltre che l’extralocalità spaziale, culturale, Bachtin analizza il problema
della extralocalità temporale, della distanza temporale tra la produzione di un
testo e la sua riattualizzazione attraverso la comprensione attiva. Se non si può
studiare un’opera al di fuori della cultura dell’epoca in cui venne prodotta, è
altrettanto impossibile segregarvela, limitando la sua analisi al presente della
sua creazione e al passato e al futuro ad essa più prossimi. Secondo Bachtin le
opere affondano le loro radici nel lontano passato, sono il prodotto di secoli di
evoluzione culturale, per coglierne il valore profondo non si deve trascurare
l’analisi dei legami che affrancano l’opera alla produzione e alle manifestazioni
culturali che l’hanno preceduta temporalmente, anche di molti secoli.
154 Michail Bachtin, Il problema del contenuto, del materiale e della
forma nella creazione letteraria, in Estetica e romanzo, p.28.155 I momenti trasgredienti sono ciò che costituisce dall’esterno
l’opera, sono dei “trascendentali”rispetto alla creazione artistica e individuano
l’autore come funzione strutturante dell’opera, essi sono ad esempio
l’eccedenza di visione, di sapere e di valutazione dell’autore. Queste indicazioni
si trovano negli scritti giovanili, precedenti il periodo delle opere sociologiche
pseudonimiche; qui il linguaggio e gli orientamenti di Bachtin sono fortemente
legati all’estetica tedesca e al neokantismo.
Se ci si chiude dentro un’epoca, anche la vita futura dell’opera nei secoli
successivi riesce incomprensibile e sembra un paradosso. Le opere spezzano le
frontiere del loro tempo e vivono nei secoli, cioè nel tempo grande, e spesso (e
le grandi opere sempre) di una vita più intensa e piena che nell’età loro
contemporanea.156
L’opera non può vivere nei secoli futuri se non ha assorbito in sé in qualche
modo anche i secoli passati, l’inserimento nella storia avviene attraverso il
collegamento alla tradizione precedente, a generi letterari e orizzonti assiologici
tipici.
Nel corso della loro vita postuma, le opere si arricchiscono di nuovi
significati, di sensi che trascendono i limiti dell’epoca della loro creazione.
Possiamo dire che né Shakespeare, né i suoi contemporanei conoscevano
il «grande Shakespeare» che noi adesso conosciamo. Comprimere nell’età
elisabettiana il nostro Shakespeare è assolutamente impossibile. […] Egli è
diventato se stesso grazie a ciò che effettivamente c’era e c’è nelle sue opere,
ma che né lui, né i suoi contemporanei potevano percepire e valutare
consapevolmente nel contesto della cultura della loro epoca.157
Il senso può manifestare il suo potenziale in contesti favorevoli, spesso in
epoche anche molto distanti da quella di redazione dell’opera. I “tesori” di senso
156 Michail Bachtin, Risposta ad una domanda della redazione del
«Novyj mir», in L’autore e l’eroe, p.344.157 Ivi, p.345.
sono celati nel linguaggio, letterario e popolare, nei generi della comunicazione
verbale, nelle forme della cultura ufficiale e popolare, nelle forme tipiche della
comunicazione verbale e letteraria, in cui sono sedimentati nel corso dei
millenni.
L’autore è prigioniero della sua epoca, del suo orizzonte ideologico, «i
tempi successivi lo liberano da questa prigionia e gli studi letterari sono chiamati
ad aiutare questa liberazione»158. Ciò non significa che il tempo piccolo, la
contemporaneità, vada trascurata, essa è della massima importanza, ma è nel
tempo grande che l’opera rivela la sua pienezza di senso. «Il tempo piccolo (il
presente, il passato più prossimo e il futuro prevedibile [auspicato] e il tempo
grande costituiscono un infinito e incompibile dialogo, in cui nessun senso
muore»159.
3.1.6 Testo e intertesto
Il problema del testo, viene indagato in una serie di appunti del 1959-61 (Il
problema del testo nella linguistica, nella filologia e nelle altre scienze umane160),
che costituiscono probabilmente il progetto di stesura di un’opera teorica che in
seguito non venne sviluppata. Come la maggior parte degli scritti teorici della
maturità, questi appunti sono assolutamente privi di qualunque sistemazione
organica e sviluppo, ma contengono intuizioni estremamente profonde e
geniali161.
158 Ivi, p.346.159 Michail Bachtin, Per una metodologia delle scienze umane, in
L’autore e l’eroe, p.386.160 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe. 161 In particolare sono altrettanto disorganici e frammentari e
Il testo (scritto e orale) è qui individuato come la datità primaria di tutte le
discipline umanistico-filologiche, come realtà immediata sulla quale queste
possono fondarsi: «dove non c’è testo non c’è neanche oggetto di ricerca e di
pensiero» (p.291). La nozione di testo non trova in Bachtin una definizione
univoca; in un senso ristretto testo corrisponde all’opera materiale, oggetto della
linguistica (a ciò che Roland Barthes indica come feno-testo162), in senso ampio
Bachtin intende con testo qualsiasi complesso segnico coerente, che si costi-
tuisce come oggetto di comprensione rispondente (il geno-testo). Inteso in
questa seconda accezione, il testo appare l’oggetto della translinguistica, il dato
reale generale dell’indagine che nell’ambito verbale si rivolge all’atto di parola,
all’enunciazione.
Il testo si muove tra due poli, due condizioni limite: la riproducibilità della
lingua e l’irriproducibilità del senso. «Questo polo è connesso non con gli
elementi (ripetibili) del sistema della lingua (dei segni), ma con altri testi
(irripetibili) da particolari relazioni dialogiche (e dialettiche, in caso di divergenza
dell’autore)»163. Tra questi due poli si collocano tutte le possibili discipline uma-
nistiche. Sorge il problema, secondo Bachtin, se la scienza possa avere a che
fare con entità irripetibili, uniche:
naturalmente la scienza può. In primo luogo, punto di partenza di ogni
altrettanto fondamentali per comprendere le posizioni teoriche di Bachtin gli
scritti Dagli appunti del 1970-71 e Per una metodologia delle scienze umane, già
più volte citati, contenuti nella raccolta L’autore e l’eroe.162 La distinzione tra feno-testo (codice regolare della
comunicazione) e geno-testo (luogo della significanza), si trova ne Il piacere del
testo, opera in cui traspare chiaramente l’assimilazione dell’opera bachtiniana.163 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe, p.294.
scienza sono le unicità irripetibili, e in tutto il suo cammino essa è sempre stata
legata ad esse. In secondo luogo, la scienza, e innanzitutto la filosofia, può e
deve studiare la forma specifica e la funzione di questa individualità.164
Queste indicazioni evidenziano come Bachtin sia rimasto fedele all’idea
‘forte’ della scientificità delle discipline umanistiche (delle “scienze dello spirito”,
e in particolare della filosofia) che avevamo visto caratteristica degli scritti
pseudonimici165; ciò che deve essere indagato scientificamente è la funzione che
il testo viene ad assolvere all’interno dell’articolazione globale della ‘logosfera’.
Analizzando lo spazio testuale nella configurazione che viene ad assumere
nelle analisi bachtiniane, Julia Kristeva vi individua tre dimensioni, tre elementi
in dialogo: il soggetto della scrittura, il destinatario e i testi esteriori, che
interagendo realizzano tutte le potenziali combinazioni semiche. Le relazioni tra
le tre dimensioni si strutturano su due piani:
a) sul piano orizzontale: la parola nel testo appartiene sia al soggetto della
scrittura che al destinatario; e
b) sul piano verticale: la parola nel testo è orientata verso il corpus
anteriore o sincronico.166
I due assi sono interagenti, in quanto il destinatario, incluso esclusi-
vamente in quanto discorso nel testo (a), si fonde col discorso dell’altro testo (b)
in relazione a cui l’autore scrive il proprio. Questo interagire e fondersi dei due
164 Ivi, p.297.165 Vedi p.28.166 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio
(a cura di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.107.
assi, corrispondenti secondo la Kristeva a ciò che Bachtin chiama dialogo e
ambivalenza, rivela il fatto fondamentale che «la parola (il testo) è un incrociarsi
di parole (di testi) in cui si legge almeno un’altra parola (testo)». In Bachtin i due
assi non sono mai chiaramente distinti, lungi dall’esser ciò dovuto a una
mancanza di rigore, è indice di una
scoperta, che Bachtin per primo introduce nella teoria letteraria: ogni testo
si costruisce come mosaico di citazioni, ogni testo è assorbimento e
trasformazione di un altro testo. Al posto della nozione di intersoggettività si
stabilisce quella di intertestualità.167
In questa prospettiva il testo media tra il modello strutturale e l’ambiente
culturale, regola la trasformazione della diacronia in sincronia (in struttura
letteraria).
Una costante della elaborazione bachtiniana è il rifiuto della segregazione
del testo, il quale nasce e vive solo nella continua interazione con i motivi
ideologici e con gli altri testi in cui questi son concreti.
Il fatto che l’opera letteraria sia definita anzitutto e direttamente dalla
letteratura stessa non può e non deve turbare lo storico marxista. Il marxismo
ammette senza riserve una ben determinata influenza delle altre ideologie sulla
letteratura. Ancora di più: esso ammette l’influenza opposta delle ideologie sulla
base stessa. Di conseguenza, a maggior ragione, esso può e deve ammettere
l’influenza della letteratura sulla letteratura stessa. (MFSL p.101)
167 Ivi, p.107-8.
L’introduzione della nozione di intertestualità ha avuto un impatto notevole
negli studi di semiotica e critica letteraria, tanto da divenire una dimensione
imprescindibile dell’analisi testuale168.
Bachtin insiste a più riprese sul carattere costitutivo e onnipresente
dell’interazione tra i testi, l’essenza del “principio dialogico”, individuato lungo
tutto l’arco della sua produzione teorica come elemento direttivo dell’analisi,
trova la sua manifestazione concreta più evidente a livello della produzione
testuale.
Il testo vive soltanto venendo a contatto con un altro testo (con un
contesto). Soltanto nel punto di questo contatto di testi si accende una luce che
illumina avanti e indietro e rende un testo partecipe al dialogo. […] Questo
contatto è un contatto dialogico tra i testi (enunciazioni) e non un contatto
meccanico di «opposizioni», possibile soltanto nell’ambito di un solo testo.169
La dimensione intertestuale170 è presente in ogni raffronto tra enunciati,
ma anche all’interno stesso di qualunque enunciato e di ogni parola; già negli
scritti pseudonimici, Bachtin afferma che la parola è saturata ideologicamente,
attraversata da intenzioni altrui, il parlante trova il linguaggio già abitato, già
168 Appare ora chiaramente il legame tra le elaborazioni teoriche
della maturità di Roland Barthes e gli studi bachtiniani, cui si era accennato nel
primo capitolo.169 Michail Bachtin, Per una metodologia delle scienze umane, in
L’autore e l’eroe, p.378.170 Tzvetan Todorov propone di indicare col termine “dialogico” i casi
particolari di relazione intertestuale, come lo scambio di battute tra interlocutori,
e con “intertestualità” le relazioni dialogiche in senso ampio, le interrelazioni
testuali di qualsiasi tipo. Tzvetan Todorov, Michail Bachtin, p.85.
percorso da una molteplicità di sensi, che ne determinano la caratteristica
multiaccentuatività. Già nella parola, nell’unità significante minima (del piano
dell’analisi translinguistica), la dimensione intertestuale assume un carattere
costitutivo; tale struttura dialogica fondante si articola in modo sempre più com-
plesso nell’allargarsi progressivo della complessità e della rilevanza culturale
dell’entità significante, ma è sempre presente: «tutta la vita della lingua, in
qualsiasi settore del suo impiego (nella vita quotidiana, negli affari nella scienza,
nell’arte, ecc.), è penetrata di rapporti dialogici» (DPS p.237). La differenza tra i
vari livelli della significazione, dalle enunciazioni più banali del linguaggio
quotidiano, ai prodotti più evoluti della produzione artistica, sino all’insieme
della cultura, è esclusivamente di grado, i meccanismi dialogici costitutivi della
parola sono attivi ad ogni livello e articolano qualunque struttura significante.
Potrebbe sembrare in contraddizione con tale affermazione dell’onnipre-
senza della dimensione intertestuale la distinzione fondamentale nella teoria del
romanzo di Bachtin tra generi letterari monologici e dialogici (esemplificata nella
contrapposizione tra epopea-genere monologico e romanzo-genere dialogico)171.
In realtà, benché la dimensione dialogica sia sempre presente, essa entra
consapevolmente come dimensione costitutiva, strutturante, solo nei generi
letterari dialogici, caratterizzati dal contrapporsi e intersecarsi di piani
discorsuali, di ideologemi, mentre i generi monologici sono strutturati in
relazione ad un ordinatore assiologico e ideologico, e conseguentemente
tendono ad occultare la loro natura dialogica.
171 Si approfondirà tale tematica successivamente, anche in relazione
alle implicazioni logiche e epistemologiche riscontrate da Julia Kristeva in tale
contrapposizione.
3.1.7 Forze centrifughe e centripete
Il campo della parola ideologicamente saturata, dell’enunciazione reale, è il
campo di azione di due forze contrarie, espressioni di due orientamenti
ideologici opposti. Da un lato agiscono le forze centripete, «queste forze sono le
forze dell’unificazione e della centralizzazione del mondo ideologico-verbale»172,
forze che trovano un’espressione esemplare nella categoria della lingua unitaria,
intesa come obiettivo limite da raggiungere, che si oppone all’effettiva
pluridiscorsività, all’eterologia173 caratteristica del linguaggio. La lingua unitaria è
un sistema di delimitazione del linguaggio realizzato attraverso una serie di
norme linguistiche, di meccanismi di interdizione delle potenzialità espressive
della lingua, guidato da necessità culturali, ideologiche o storiche.
La lingua unitaria esprime le forze della concreta unificazione e
centralizzazione ideologico-verbale, che si svolge in un indissolubile legame coi
processi della centralizzazione politico-sociale e culturale. La poetica aristotelica,
la poetica di sant’Agostino, la poetica medievale ecclesiale dell’«unitaria lingua
della verità», la poetica cartesiana del neoclassicismo, l’astratto universalismo
grammaticale di Leibniz (l’idea della «grammatica universale»), il concreto
ideologismo di Humboldt, pur con tutte le loro differenze e sfumature, esprimono
le stesse forze centripete della vita linguistico-sociale e ideologica e servono allo
172 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
p.78.173 «Per indicare questa diversità irriducibile dei tipi di discorso,
Bachtin introduce un neologismo, raznorecie, che traduco (letteralmente, ma
ricorrendo a una radice greca) con eterologia, termine che viene ad inserirsi fra
altri due neologismi paralleli, raznojazycie, eteroglossia, o diversità delle lingue,
e raznogolosie, o diversità delle voci (individuali)».Tzvetan Todorov, Michail
Bachtin, p.80-81.
stesso compito della centralizzazione e unificazione delle lingue europee.174
Di fatto, però, le forze centripete della vita linguistica, incarnate nella
lingua unitaria, agiscono in un ambiente eterologico, pluridiscorsivo. La lingua è
stratificata in una serie di dialetti linguistici e soprattutto di «lingue ideologico-
sociali: di gruppo sociale, «professionali», di «genere», di generazione, ecc.»175 in
continua interazione e sviluppo: «accanto alle forze centripete si svolge
l’incessante lavoro delle forze centrifughe della lingua, accanto alla
centralizzazione e unificazione ideologico-verbale avvengono ininterrottamente
processi di decentralizzazione e disunificazione»176. Ogni concreta enunciazione è
un punto di applicazione sia di forze centripete sia di forze centrifughe, parte-
cipa sia alla lingua unitaria sia all’eterologia sociale e storica.
Muovendo da questa analisi delle forze agenti nel linguaggio, Bachtin
elabora la distinzione fondamentale tra generi monologici, in cui prevalgono le
forze centripete, accentratrici, e generi dialogici, caratterizzati dal prevalere
dell’effettiva dialogicità ed eterologia del linguaggio.
Mentre la poesia nei ceti dirigenti ideologico-sociali ufficiali risolveva il
compito della centralizzazione culturale, nazionale e politica del mondo
ideologico-verbale, nei ceti inferiori, sul palco dei saltimbanchi e delle fiere
risuonava la pluridiscorsività buffonesca, si rifaceva il verso a tutte le «lingue» e
i dialetti, si sviluppava la letteratura dei fabliaux e degli schwanken, delle
canzoni da trivio, dei proverbi, delle storielle: lì non c’era alcun centro
174 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
p.79.175 Ivi, p.80.176 Ivi, p.80.
linguistico, si giocava vivacemente con le «lingue» dei poeti, dei dotti, dei
monaci, dei cavalieri, ecc., tutte le lingue erano maschere e non c’era un volto
linguistico autentico e indiscutibile.177
Da un lato stanno i generi monologici, poesia, epica e complessivamente
tutti i generi ‘alti’, dall’altro i generi dialogici, che secondo Bachtin trovano una
prima espressione nei dialoghi socratici e nelle scuole socratiche minori, per poi
svilupparsi nella satira menippea (con Luciano di Samosata, Apuleio, Petronio)
fino ai generi “carnevalizzati” del medioevo, a Rabelais e al romanzo moderno,
che giunge alla massima espressione e consapevolezza della sua dialogicità
costitutiva con Dostoevskij.
Il valore dell’individuazione delle due forze agenti nel linguaggio trascende
di molto l’uso che di tale scoperta viene fatto nella teoria bachtiniana del
romanzo, finisce per marcare il complesso delle sue ricerche. Ad ogni livello
dell’analisi del reale si possono individuare in Bachtin due forze agenti in senso
opposto che individuano due poli contrapposti e mediano tra questi. Nel loro
sviluppo, le analisi bachtiniane individuano sempre nel campo d’indagine delle
contrapposizioni binarie; in questo momento dell’analisi si può cogliere
un’affinità metodologica rilevante con la tradizione strutturalista. Come rileva il
semiologo strutturalista russo Vjaceslav Ivanov:
Una delle caratteristiche principali del libro di M. M. Bachtin sulla cultura
carnevalesca178, caratteristiche che lo rendono indiscutibilmente strutturale negli
177 Ivi, p.81.178 Il riferimento è ovviamente a L’opera di Rabelais e la cultura
popolare.
orientamenti fondamentali, è il fatto che questo libro è costruito sull’analisi di
alcune fondamentali contrapposizioni binarie, e in particolare della
contrapposizione alto-basso, considerata contemporaneamente su diversi piani
— sociale, gerarchico, spaziale, materiale, ecc.179
3.2 Principi di teoria del romanzo
179 Vjaceslav V. Ivanov, Significato delle idee di M. M. Bachtin sul
segno, l’atto di parola e il dialogo per la semiotica contemporanea, in Augusto
Ponzio, (a cura di) Michail Bachtin Semiotica, teoria della letteratura e marxismo,
p.97.
Ivanov in particolare individua alcuni punti di contatto tra l’impostazione
bachtiniana e quelle di Lévi-Strauss. In primo luogo, i due autori sarebbero
accomunati dell’utilizzo di opposizioni binarie come principi esplicativi, quindi
dalla «immedesimazione» dell’autore con la tradizione arcaica (mitologica in
Lévi-Strauss; carnevalesca in Bachtin), «ma oltre a questa caratteristica unione
fra la rigida base concettuale strutturale del libro e linguaggio artistico figurato,
corrispondente all’oggetto stesso d’analisi, i libri di Bachtin e di Lévi-Strauss
mostrano di avere molto in comune nel modo di intendere il carattere del
funzionamento delle opposizioni nel rituale e nel carnevale, che storicamente
rientra nel rituale: per Lévi-Strauss, scopo principale del rituale e del mito è la ri-
cerca di un anello intermedio (mediazione) tra le contrapposizioni duali; per
quanto riguarda Bachtin, l’analisi strutturale dell’ambivalenza della «parola da
piazza» e dell’immagine figurata lo ha condotto (indipendentemente
dall’antropologia strutturale, e prima del suo fondatore) a concludere che
«l’immagine carnevalizzata si sforza di comprendere e di unire in sé ambedue i
poli del divenire, ovvero i due membri dell’antitesi: nascita-morte, giovinezza-
vecchiaia, alto-basso, viso-deretano, lode-dileggio»». Ivi, p.97-98.
Il Rabelais ha influito in modo determinante sugli studi dei semiologi
strutturalisti contemporanei, in particolare della scuola di Tartu e Mosca
(Lotman, Uspenskij, Ivanov, Toporov, Gasparov); uno studio sul carnevale di
Ivanov (The semiotic theory of carnival as the inversion of bipolar opposites) è
esplicitamente dedicato «all’eterna memoria di M. M. Bachtin».
Conclusa l’analisi dei principi teorici fondamentali della translinguistica
bachtiniana, si volgerà ora l’attenzione all’applicazione e agli sviluppi che questa
ha avuto nel campo della teoria del romanzo.
3.2.1 Il genere come principio di classificazione
Già dall’analisi bachtiniana dell’enunciato era emersa la centralità della
problematica del genere, delle forme tipiche in cui il linguaggio si articola; lo
studio dei generi del discorso permetteva a Bachtin di superare i problemi
usualmente posti dall’analisi stilistica («la stilistica è priva di una visione
filosofica e sociologica dei propri problemi. […] La stilistica ha a che fare non con
la parola viva, ma con un suo preparato istologico, con l’astratta parola
linguistica al servizio del magistero individuale dell’artista»180), spostando
l’indagine dal piano grammaticale a quello storico-sociale. Accanto agli elementi
prescrittivi della lingua (grammatica, sintassi e nel complesso ciò che
corrisponde alla langue saussuriana), Bachtin individua i generi discorsuali, le
modalità tipiche della comunicazione, come momenti costitutivi
dell’enunciazione. Si era visto come i generi del discorso fossero vincolanti per il
parlante (che attraverso questi si inserisce in un orizzonte comunicativo de-
terminato), pur essendo meno rigidi delle altre componenti iterabili della lingua,
e come attraverso la scelta del genere si realizzi la connessione
dell’enunciazione con l’orizzonte storico e ideologico in cui la comunicazione ha
luogo.
Bachtin distingue tra generi primari, generi cioè del discorso quotidiano e
180 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
p.67.
ideologico, forme stereotipiche del linguaggio condizionate dalla posizione
socialmente e storicamente determinata dei locutori e dalle situazioni
contingenti, contestuali, in cui si realizza l’enunciazione, e generi secondari,
strutturati sulla articolazione convenzionale dei generi del discorso primari181.
I generi del discorso secondari (complessi) — romanzi, drammi, lavori
scientifici d’ogni tipo, generi pubblicistici di ampie dimensioni, ecc. —, sorgono
all’interno di una più complessa e relativamente sviluppata e organizzata
comunicazione culturale (soprattutto scritta): letteraria, scientifica, socio-
politica, ecc. Nel corso della loro formazione essi assorbono e rielaborano vari
generi primari (semplici), formatisi all’interno della comunicazione verbale
immediata.182
Assorbiti nelle forme complesse della comunicazione, i generi primari
(semplici) del discorso, vengono trasformati e perdono il loro collegamento
immediato con la realtà, diventano fenomeni della vita letteraria e non di quella
quotidiana; lo studio dell’enunciazione deve muoversi conseguentemente su
entrambi i piani:
181 Si può cogliere un legame diretto tra queste indicazioni
bachtiniane e la distinzione fondamentale introdotta a livello metodologico dai
semiologi sovietici della scuola di Tartu e Mosca tra sistemi di modellizzazione
primaria (la lingua naturale) e sistemi di modellizzazione secondaria, che si
elaborano a partire dai sistemi primari. Sui sistemi di modellizzazione in
particolare si soffermano Jurij Lotman, La struttura del testo poetico, Milano,
Mursia, 1990; Id., La semiosfera, Padova, Marsilio, 1985 e Jurij Lotman, Boris
Uspenskij, Ricerche semiotiche, Torino, Einaudi, 1973.182 Michail Bachtin, Il problema dei generi del discorso, in L’autore e
l’eroe, p.247.
sono l’interrelazione dei generi primari e secondari e il processo di
formazione storica di questi ultimi a gettare luce sulla natura dell’enunciazione
(e, prima di tutto, sul problema complesso dell’interrelazione tra la lingua e
l’ideologia, la concezione del mondo).183
La problematica dei generi secondari del discorso, e in particolare della
produzione letteraria, costituisce uno dei cardini dell’elaborazione teorica della
critica testuale bachtiniana e trova uno sviluppo nell’arco di tutta la sua
produzione.
Fin dall’opera sulla scuola formale nella scienza della letteratura (MFSL),
l’articolazione della problematica dei generi appare come un momento centrale
della critica bachtiniana, Bachtin rimprovera ai formalisti russi di aver trascurato
l’importanza dei generi letterari, di prescindere dai generi nell’elaborazione della
loro teoria, mentre
la poetica […] deve partire proprio dal genere. Infatti il genere è la tipica
forma dell’opera intera, dell’atto di parola intero. Un’opera è reale solo quando
prende la forma di un determinato genere. Il significato costitutivo di ciascun
elemento può essere compreso solo in riferimento al genere. (MFSL p.281)
Il genere produce l’opera in quanto fenomeno unitario, solo nel genere si
determina la peculiare entità unitaria compiuta che costituisce l’atto di parola
artistico. Tra tutti i campi della creatività ideologica, solo nell’arte si realizza la
compiutezza di un atto di parola, di un’opera, negli altri ambiti, ad esempio nella
183 Ivi, p.247-48.
divulgazione scientifica, ogni contributo esaurisce solo in senso convenzionale il
suo oggetto, la scienza non si divide in una serie di opere compiute e
indipendenti, è un processo continuo, e ciò vale anche per ogni altro campo
dell’ideologia.
In tutti i campi della creazione ideologica è possibile solo una compiutezza
compositiva dell’atto di parola, non è invece possibile la sua effettiva
compiutezza tematica. […] La compiutezza è la caratteristica che distingue l’arte
da tutti gli altri campi dell’ideologia. (MFSL p.282-83)
Il genere realizza questa unità compositiva peculiare dell’arte, è un
particolare modo di costruire e rendere compiuta essenzialmente, tema-
ticamente l’opera artistica. Questa entità unitaria artistica si orienta in modo
duplice rispetto al reale, orientamento che determina il suo ‘tipo’, ossia il suo
genere. Tale orientamento è primariamente rivolto ai suoi fruitori e a
determinate condizioni di esecuzione e di percezione, in secondo luogo è rivolto
alla vita, «ciascun genere si orienta tematicamente in maniera particolare nei
confronti della vita, dei suoi avvenimenti, problemi, ecc.» (MFSL p.284). Il primo
orientamento determina compositivamente l’opera, le modalità della sua
effettuazione in relazione ai ricettori, il secondo orientamento, rivolto alla vita
reale, determina ideologicamente l’oggetto artistico. Le molteplici combinazioni
possibili dei due orientamenti individuano le possibili tipologie degli oggetti
artistici, i loro generi.
Ciascun genere è capace di padroneggiare soltanto determinati aspetti
della realtà, gli sono tipici determinati principi di selezione, determinate forme di
visione e di concezione di questa realtà, determinati gradi di ampiezza di visione
e di profondità di penetrazione. (MFSL p.285)
Come i generi primari permettono la comprensione del reale secondo un
angolo prospettico, secondo principi di articolazione determinati
ideologicamente, i generi secondari artistici delimitano le possibilità espressive
ai loro peculiari vincoli immanenti, determinati dall’orientamento del genere nei
confronti del reale. L’artista è colui che è in grado di vedere il reale con gli occhi
del genere, «si possono comprendere determinati aspetti della realtà soltanto in
relazione con determinati metodi che servono ad esprimerla» (MFSL p.291). Tra-
spare da quanto detto il legame profondo del genere con la realtà sociale che
questo esprime, l’analisi delle forme compositive proprie di un’epoca rivela la
forma dell’orientamento verso il reale dominante in quel periodo, il genere
rappresenta l’insieme dei metodi di orientamento collettivo diretti alla
compiutezza, all’articolazione in opere artistiche tematicamente compiute, «il
genere forma dunque un sistema paradigmatico che propone un simulacro del
mondo»184.
Ulteriori indicazioni sulla problematica dei generi secondari si trovano
nell’opera su Dostoevskij, dove viene chiarita la dinamica immanente ai generi e
alla loro evoluzione. I generi letterari riflettono le tendenze più stabili dello
sviluppo della letteratura, conservano le tracce della loro evoluzione, anche gli
elementi distintivi propri dell’età arcaica; pur essendo in continua evoluzione: «il
genere è sempre questo e altro, è sempre nuovo e vecchio
contemporaneamente» (DPS p.139). Il genere rinasce e si rinnova con ogni
opera che in esso si inserisce, pur conservando la peculiarità dei suoi tratti,
184 Tzvetan Todorov, Michail Bachtin, p.114.
questa è la vita del genere, in cui gli orizzonti più remoti, le componenti più ar-
caiche vivono di nuova vita rinnovandosi perpetuamente, «il genere vive del
presente, ma ricorda sempre il suo passato, il suo principio» (DPS p.139). Il
genere può pertanto garantire l’unità e la continuità nello sviluppo letterario, per
intendere correttamente il genere è quindi necessario, secondo Bachtin, risalire
alle sue origini, alle sue fonti anche remote. Per comprendere le peculiarità
stilistiche di un’opera è dunque fondamentale analizzare la storia del genere a
cui più o meno consapevolmente l’autore fa riferimento; ciò è esattamente ciò
che Bachtin fa a proposito di Dostoevskij nel suo saggio critico185.
Ogni nuova varietà, ogni nuova opera del dato genere è sempre qualcosa
che arricchisce e aiuta il perfezionamento del linguaggio del genere stesso. Per
185 Bachtin analizza la storia dei generi “carnevalizzati” nel quarto
capitolo del Dostoevskij. Lo studio dell’opera di Dostoevskij intrapreso da
Bachtin evidenzia alcuni caratteri che la accostano metodologicamente allo
strutturalismo: in primo luogo viene sviluppata un’analisi sincronica, volta a
cogliere le peculiarità stilistiche dello scrittore russo. Viene evidenziato il
carattere profondamente “dialogico” e “polifonico” del romanzo di Dostoevskij,
viene analizzata la relazione che strutturalmente lega l’autore e i personaggi
delle sue opere, quindi, dopo aver collocato Dostoevskij nella tradizione dei
generi carnevalizzati, Bachtin procede ad un’analisi diacronica, allo studio della
stratificazione degli elementi compositivi che nei secoli hanno strutturato il
moderno romanzo polifonico. Oltre alla strutturazione dell’analisi sui due assi
sincronico e diacronico, accosta il lavoro di Bachtin su Dostoevskij agli studi
strutturalisti il prescindere dai contenuti dei romanzi e dall’orientamento
dell’autore rispetto a tali contenuti (posizioni etico-religiose). In riferimento a ciò
Julia Kristeva inserisce a pieno titolo Bachtin nella tradizione strutturalista e gli
riconosce il merito di aver “dinamizzato” lo strutturalismo, (cfr. Julia Kristeva, La
parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio (a cura di) Michail
Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.106).
ciò è importante conoscere le fonti possibili di genere del dato autore,
l’atmosfera letteraria di genere in cui si è realizzata la sua creazione. Con tanta
maggiore pienezza e concretezza conosciamo i contatti di genere dell’artista,
con tanta maggiore profondità possiamo penetrare nelle particolarità della sua
forma di genere e comprendere con tanto maggiore giustezza l’interazione della
tradizione e della novazione che vi è portata. (DPS p.206)
In un altro scritto, Bachtin ribadisce come «i grandi destini storici della
parola artistica» siano determinati dai «destini del genere»186, nella storia del
genere e nelle sue possibilità latenti sono da ricercare le direttive attraverso cui
le opere artistiche possono prender forma ed inserirsi nel processo evolutivo
della letteratura.
Un posto particolare nella teoria bachtiniana dei generi spetta al romanzo,
genere in cui l’eterologia raggiunge la forma espressiva più compiuta, genere
della modernità per eccellenza, che si contrappone decisamente ai generi
monologici a causa della sua pluridiscorsività costitutiva. Nel Dostoevskij, la
matrice del romanzo viene individuata in tre fonti principali: l’epopea, la retorica
e il carnevale (DPS p.142). A seconda del predominio di una di queste tre fonti si
determinano le tre correnti fondamentali del romanzo europeo: l’epica, la
retorica e il genere carnevalesco. In questa terza corrente si inserisce il romanzo
di Dostoevskij. In La parola nel romanzo e Epos e romanzo questa terza variante
viene individuata come la sola che conduce, attraverso lo sviluppo che subisce
nella storia dell’evoluzione della letteratura, al romanzo; l’epopea e la retorica
sono rigettate come fonti del romanzo. Soltanto la variante carnevalesca può
186 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
p.67.
essere il rappresentante di tutte le voci socio-ideologiche, può rappresentare la
pluridiscorsività costitutiva del romanzo. Nel romanzo polifonico moderno (il cui
massimo rappresentante è, come detto, Dostoevskij) le forze centrifughe del
sociale e della lingua agiscono al massimo grado, la sua peculiarità è di
trascendere i vincoli del genere, di essere «pluridiscorsività sociale di lingue»187,
ciò che lo definisce rispetto agli altri generi è il suo contrapporsi a questi, in
quanto determinati da forze unificanti, centripete. Il romanzo assume allora uno
statuto particolare rispetto agli altri generi, è un anti-genere, che
convive male con gli altri generi letterari […]. Il romanzo parodia gli altri
generi (proprio in quanto generi), smaschera la convenzionalità delle loro forme
e del loro linguaggio, soppianta alcuni generi e ne introduce altri nella sua
propria struttura, reinterpretandoli e riqualificandoli.188
Un esame approfondito viene dedicato nell’opera bachtiniana alle
coordinate spazio-temporali su cui si articolano i generi in quanto sistemi
paradigmatici; ad ogni singolo genere corrisponde un peculiare orizzonte spazio-
temporale, definito da Bachtin “cronotopo”.
3.2.2 Il cronotopo. Lo spazio-tempo nei generi letterari
Allo studio del cronotopo in letteratura, Bachtin dedica uno scritto del
1937-38, ripreso e ampliato nel 1973, pubblicato col titolo Le forme del tempo e
del cronotopo nel romanzo.
187 Ivi, p.71.188 Michail Bachtin, Epos e romanzo, in Estetica e romanzo, p.447.
La nozione di cronotopo venne introdotta nelle scienze matematiche e in
fisica sul terreno della teoria della relatività, la possibilità di una sua
generalizzazione agli ambiti delle scienze dell’uomo è legata all’interpretazione
che ne diede il fisiologo sovietico Aleksej Aleksejvic Uchtomskij189; gli studi
bachtiniani sono stati influenzati direttamente dalle sue ricerche sul cronotopo in
biologia.
La letteratura ha codificato nella sfera dei generi le modalità attraverso
cui, nei vari momenti dello sviluppo storico, la realtà ha trovato un’espressione
artistica; il cronotopo è
l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la
letteratura si è impadronita artisticamente. […] A noi non interessa il significato
che esso ha nella teoria della relatività e lo trasferiamo nella teoria della
letteratura quasi come una metafora (quasi, ma non del tutto); a noi interessa
che in questo termine sia espressa l’inscindibilità del tempo e dello spazio (il
tempo come quarta dimensione dello spazio).190
Il cronotopo in letteratura viene inteso da Bachtin come una categoria de-
terminante rispetto alla forma e al contenuto dell’opera, rappresenta la fusione
189 L’intera prospettiva bachtiniana è ampiamente debitrice al lavoro
degli scienziati sovietici A. A. Uchtomskij e V. I. Vernadskij. Nel capitolo seguente
si analizzeranno i singoli momenti di tale influenza. È Bachtin stesso a dichiarare
il proprio debito nei confronti del lavoro di Uchtomskij, indicando in nota al suo
studio sul cronotopo: «L’autore di queste righe presenziò, nell’estate del 1925,
alla lettura della relazione di A. A. Uchtomskij sul cronotopo nella biologia; nella
relazione furono toccati anche problemi di estetica», Michail Bachtin, Le forme
del tempo e del cronotopo nel romanzo, in Estetica e romanzo, p.231. 190 Ivi, p.321.
in un’unità dotata di senso delle coordinate spaziali e temporali, nel cronotopo
artistico si intersecano i piani spaziali e temporali, «il tempo si fa denso e
compatto, […] lo spazio si intensifica e si immette nel movimento del tempo,
dell’intreccio, della storia»191.
L’analisi bachtiniana cerca di individuare le peculiarità cronotopiche di
una serie di generi precursori del romanzo moderno, verificando i legami tra
forme cronotopiche della rappresentazione artistica e forme storicamente
determinate di percezione del reale, dal romanzo d’avventure e di prove greco,
al «romanzo d’avventure e di costume» di Petronio e Apuleio, al romanzo
biografico antico, sino al cronotopo folclorico, che sorregge la rappresentazione
del mondo di Rabelais.
Secondo Todorov, la nozione di cronotopo viene intesa da Bachtin in senso
ampio, «non si riferisce semplicemente all’organizzazione del tempo e dello
spazio, ma anche e altrettanto all’organizzazione del mondo»192, pertanto i
termini cronotopo e genere diventano sinonimi.
È a mio parere possibile individuare delle differenziazioni evidenti che
rendono non sovrapponibili i due termini. Nella letteratura il cronotopo è
profondamente legato al genere, «si può dire senza ambagi che il genere
letterario e le sue varietà sono determinati proprio dal cronotopo, con la
precisazione che il principio guida del cronotopo letterario è il tempo»193, ma
individua un momento dell’analisi differente; il genere è un sistema di
modellizzazione culturale, i generi sono la memoria storica della letteratura, il
cronotopo diversamente articola strutturalmente l’opera, unifica in forme tipiche
191 Ivi, p.231-2.192 Tzvetan Todorov, Michail Bachtin, p.115.193 Michail Bachtin, Le forme del tempo e del cronotopo nel
romanzo, in Estetica e romanzo, p.232.
gli elementi dell’intreccio, in base alle coordinate spazio-temporali che son loro
peculiari. Ogni racconto si compone di una stratificazione di modelli cronotopici:
«noi qui parliamo soltanto dei grandi cronotopi onnicomprensivi e essenziali. Ma
ogni cronotopo di questo tipo può racchiudere in sé una quantità illimitata di
piccoli cronotopi: ogni motivo, infatti, può avere il suo cronotopo particolare»194.
Oltre la cronotopicità generale dell’opera si trovano cronotopi che formano
l’intreccio, che possono essere peculiari ad un genere e quindi fortemente
caratterizzanti, oppure generici; ad un livello ancora inferiore, «cronotopica è la
lingua come tesoro di immagini. Cronotopica è la forma interna della parola, cioè
il tratto mediatore grazie al quale gli originari significati spaziali sono trasferiti ai
rapporti temporali (nel senso più ampio)»195.
Qualunque unità significante è dunque essenzialmente cronotopica, tutti
gli elementi significanti
per entrare nella nostra esperienza (e si tratta di esperienza sociale),
devono assumere un’espressione spazio-temporale, cioè assumere forma
segnica, udibile e visibile da noi (il geroglifico, la formula matematica,
l’espressione linguistico-verbale, il disegno, ecc.). Senza questa espressione
spazio-temporale è impossibile persino il pensiero più astratto. Quindi ogni
ingresso nella sfera dei significati avviene soltanto attraverso la porta dei
cronotopi196.
In questa accezione generale, il cronotopo indica la dimensione costitutiva
194 Ivi, p.399.195 Ivi, p.398.196 Ivi, p.405.
spazio-temporale di qualunque segno, dimensione che rende possibile la
significazione.
Alcuni cronotopi tipici individuati da Bachtin nelle opere analizzate sono: il
cronotopo dell’incontro, della strada, della soglia, della crisi e della svolta, tali
cronotopi individuano situazioni tipo che determinano l’intreccio del romanzo;
più che allo studio dei generi, una simile analisi cronotopica è assimilabile ai
tentativi di analisi strutturale dei racconti quali l’analisi per codici di Barthes e
l’analisi attanziale di Greimas.
3.2.3 Ambivalenza e carnevalesco
Il moderno romanzo polifonico197, è secondo Bachtin il prodotto
dell’evoluzione dei generi letterari che danno espressione al “principio dialogico”
costitutivo di qualunque forma di interazione. Una fenomenologia di tali generi
precursori del romanzo moderno è sviluppata nel Dostoevskij; nel ripercorrerla si
cercherà di porre in evidenza la valenza dei termini chiave di “carnevalesco” e di
“ambivalenza”, nozioni che trovano un’ulteriore approfondimento nell’opera
bachtiniana dedicata a Rabelais.
Tra i generi precursori del romanzo, Bachtin individua come matrice
originaria i generi appartenenti al settore della letteratura denominato dagli
antichi «spoudogelaion», serio-comico, settore in cui confluivano i mimi di
197 Come si è detto, la massima espressione del romanzo polifonico,
genere della modernità per eccellenza, in cui si fronteggiano gli ideologemi in un
ambiente assolutamente eterologico, si è avuta con Dostoevskij; secondo Julia
Kristeva nel medesimo genere rientrano le opere limite di questo secolo, autori
come Lautréamont, Kafka, Proust, Joyce, che radicalizzano i principi strutturali
del romanzo polifonico (cfr. Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in
Augusto Ponzio (a cura di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e
marxismo, passim).
Sofrone, il dialogo socratico (inteso come genere particolare), i libelli, la più
antica memorialistica, la poesia bucolica, la satira menippea (come genere
particolare) e altri generi minori. Ciò che accomunava generi tanto eterogenei
era il loro contrapporsi ai generi alti, seri come l’epopea, la retorica classica, la
tragedia, la storia, ciò che li univa era dunque il loro legame con il folclore
carnevalesco, il loro essere permeati da uno specifico sentimento carnevalesco
del mondo, da un’atmosfera di gaia relatività. Il settore serio-comico della
letteratura antica è stato il primo ad aver risentito dell’influsso del folclore
carnevalesco, è stato il primo esempio di «letteratura carnevalizzata». Bachtin
individua tre particolarità dei generi serio-comici:
1) un nuovo rapporto con la realtà, presa ad oggetto nella sua
“scottante”contemporaneità; mentre nei generi alti l’oggetto era sempre ad una
distanza epica, del mito o della leggenda, nei generi serio-comici viene
contemporaneizzato.
2) I generi serio-comici non si fondano sulla tradizione ma coscientemente
sulla esperienza e sulla libera invenzione.
3) Una voluta pluralità di stili e di voci. Caratteristica in tali generi è il
rifiuto del monostilismo, l’uso di una pluralità di toni nel racconto, la mescolanza
del serio col ridicolo, del sublime con l’infimo. Per la prima volta appare accanto
alla parola raffigurante, la parola raffigurata, ciò crea un rapporto nuovo con la
parola come materiale della composizione letteraria.
Dei generi serio-comici dell’antichità, Bachtin analizza particolarmente il
dialogo socratico e la satira menippea. Il dialogo socratico era un genere
ampiamente diffuso nell’antichità; anche se a noi sono giunti solo i dialoghi di
Platone e Senofonte, si ha notizia di dialoghi socratici scritti da Antistene,
Eschine, Fedone, Euclide, Alassamene, Glaucone, Simmio, Cratone (DPS p.143).
Nato come genere memorialistico, si emancipò ben presto dal legame col
Socrate storico, conservando solo il metodo socratico di scoprimento dialogico
della verità. Le caratteristiche peculiari di questo genere carnevalizzato
individuate da Bachtin sono:
1) L’esser fondato sull’idea socratica della natura dialogica della verità e
della riflessione umana su di essa. La verità non è determinata a priori ma va
cercata tra gli uomini, mediante il metodo maieutico socratico.
2) «I due procedimenti fondamentali del «dialogo socratico» erano la
sincrisi (sunkrisiV) e la anacrisi (anakrisiV). Per sincrisi si intendeva il confronto
tra differenti punti di vista su una determinata materia. […] Per anacrisi si
intendevano i modi atti a suscitare e provocare le parole dell’interlocutore, per
costringerlo ad esprimere il suo pensiero e ad esprimerlo fino in fondo. […]
L’anacrisi è la provocazione della parola con la parola (DPS p.145)». La sincrisi e
l’anacrisi dialogizzano il pensiero, lo associano alla comunione dialogica tra gli
uomini.
3) I personaggi dei dialoghi socratici, a cominciare da Socrate stesso, sono
degli ideologi, sono portatori di istanze ideologiche.
4) L’intreccio contribuisce a determinare, con l’anacrisi, lo sviluppo del
dialogo; spesso il dialogo si svolge in situazioni limite, che spingono gli
interlocutori alla sperimentazione della verità; è la prima forma di dialogo
sull’estrema soglia (schwellendialog), che avrà un notevole sviluppo fino al
rinascimento e alla riforma.
5) «L’idea del «dialogo socratico» si lega organicamente con l’immagine
dell’uomo che ne è il portatore (DPS p.146)». La sperimentazione dell’idea è al
contempo sperimentazione dell’uomo che la rappresenta.
Dalla disgregazione del dialogo socratico e dalla sua fusione con lo spirito
folclorico-carnevalesco nasce, secondo Bachtin l’altro genere dialogico
fondamentale dell’antichità, la «satira menippea».
Questo genere prende il nome da Menippo di Gadara, che gli diede la
forma classica, ma risale ai dialoghi socratici di Antistene; satire menippee
furono scritte da Eraclide Pontico, da Bione Boristenita, da Varrone, da Seneca (il
Ludus de morte Claudii, ovvero Apokolokyntosis, cioè «zucchificazione» DPS
p.147). Una satira menippea in forma di romanzo è il Satyricon di Petronio; satire
menippee sviluppate sono pure le opere di Luciano di Samosata e di Apuleio. La
satira menippea ebbe una influenza notevole sulla letteratura paleocristiana e
bizantina, e continuò ad esercitare la sua influenza nel medioevo, nel rinasci-
mento e nell’età moderna198.
Bachtin individua anche per la satira menippea una serie di particolarità di
genere che la differenziano dal dialogo socratico, esse sono:
1) Un accentuato senso comico, benché la rilevanza di questo elemento
vari molto; è molto presente ad esempio in Varrone e s’indebolisce
considerevolmente in Boezio.
2) La menippea, completamente libera dai residui del memorialismo
caratteristico del dialogo socratico, è caratterizzata da una «eccezionale libertà
di invenzione narrativa e filosofica» (DPS p.149).
3) «La particolarità più importante del genere della menippea è che la più
198 Oltre che nella letteratura, la satira menippea ha esercitato
un’influenza considerevole anche sulla filosofia, Bachtin include nelle satire
menippee anche la Consolazione della filosofia di Boezio, tracce di
carnevalizzazione e di spirito menippeo si possono a mio parere trovare anche in
Erasmo e nei Dialoghi italiani di Bruno. Riferimenti espliciti ed apprezzamenti di
autori di satire menippee (Petronio, Luciano), si trovano anche in Nietzsche; il
“dionisiaco” nietzscheano presenta del resto notevoli affinità con lo spirito
menippeo.
audace e sfrenata fantasia è qui internamente motivata, giustificata, illuminata
da un fine puramente filosofico-ideale: quello di creare situazioni eccezionali per
provocare e sperimentare l’idea-parola filosofica, la verità» (DPS p.149).
4) Nella menippea si combinano organicamente la libera fantasia, il
simbolismo e talvolta l’elemento mistico-religioso con un estremo e grossolano
“naturalismo sordido”. Le avventure si svolgono in situazioni sordide, in prigioni,
lupanari, orge erotiche dei culti segreti, nelle piazze e nei mercati, l’idea viene
sperimentata nella degenerazione e nella bassezza estreme; questa
combinazione di sublime e infimo è una delle peculiarità più caratteristiche della
menippea.
5) Nella satira menippea la libera invenzione della fantasia si combina con
un eccezionale universalismo filosofico, «è il genere delle «questioni ultime». In
essa si sperimentano le posizioni filosofiche ultime» (DPS p.150-51).
Caratteristica è la sincrisi, il raffronto tra le posizioni ultime sul mondo.
6) La menippea si svolge su una struttura a tre piani, l’azione si trasferisce
dalla terra all’Olimpo e agli inferi.
7) L’osservazione degli eventi avviene spesso da una prospettiva asso-
lutamente inconsueta, tale da far mutare radicalmente l’usuale percezione della
vita, che appare in tal modo straniata.
8) Nella menippea compare la “sperimentazione psicologico-morale”, la
raffigurazione di stati psicologici inconsueti o patologici: la follia di qualsiasi tipo,
lo sdoppiamento della personalità, la fantasticheria sfrenata, le passioni
esasperate fino alla follia, i sogni strani, il suicidio.
Le visioni oniriche, le fantasticherie, la follia rompono l’integrità epica e
tragica dell’uomo e del suo destino: in lui si scoprono le possibilità di un altro
uomo e di un’altra vita, egli perde la sua definitezza e univocità, cessa di
coincidere con se stesso. (DPS p.152)
Questa scissione dell’uomo favorisce anche il dialogo dell’uomo con se
stesso, che fa la sua comparsa appunto nella menippea.
9) Altra caratteristica di genere della menippea è la presenza di scene di
scandali, di comportamenti eccentrici, di discorsi e interventi inopportuni, «di
ogni specie di violazioni del corso generalmente accettato e consueto degli
avvenimenti, delle norme stabilite di comportamento e di etichetta, compresa
quella del linguaggio (DPS p.153)». Caratteristica della menippea è la “parola
inopportuna”, inopportuna o per la sua cinica franchezza o per il suo profanante
smascheramento del sacro, che straccia le trame dell’etichetta, mostrandone il
vuoto di senso.
10) La menippea è piena di stridenti contrasti e combinazioni, «ama
giocare con i bruschi trapassi e mutamenti, con alti e bassi, slanci e cadute,
improvvisi accostamenti di ciò che è lontano e separato, con mésalliances di
ogni genere (DPS p.154)».
11) Una componente utopistica viene spesso a trovarsi organicamente in
combinazione con gli altri elementi del genere, gli elementi di utopia sociale
sono introdotti spesso in forma di visioni oniriche, viaggi sulla luna e in paesi
sconosciuti.
12) Nella menippea si trovano spesso inseriti altri generi: novelle lettere,
orazioni, simposi, è caratteristica la mescolanza di discorso in prosa e in versi; i
generi inseriti presentano sempre un certo grado di parodismo, soprattutto le
parti in versi.
13) La presenza di molteplici generi produce la caratteristica pluralità di
stili e toni, si stabilisce un nuovo rapporto con la parola, di cui viene
rappresentato il carattere dialogico costitutivo.
14) Ultima peculiarità della menippea individuata da Bachtin è il suo ca-
rattere pubblicistico d’attualità, il suo essere una specie di genere «giornalistico»
dell’antichità. Un legame profondo con la realtà storica e ideologica
contemporanea si trova in Luciano, Petronio, Varrone, Apuleio; «il carattere
giornalistico, pubblicistico, feuilletonistico, la scottante attualità caratterizzano in
maggiore o minore misura tutti i rappresentanti della menippea (DPS p.155)».
Questi sono i caratteri fondamentali e costanti della satira menippea;
benché questi siano molto diversi tra di loro, si trovano profondamente integrati
nella menippea, ne determinano la logica interna e il fondamentale ruolo
nell’evoluzione della prosa romanzesca europea.
L’interpretazione di Julia Kristeva pone in risalto il carattere profondamente
ambivalente della struttura della menippea, che contiene le due tendenze della
letteratura occidentale: la rappresentazione mediante il linguaggio quale messa
in scena e l’esplorazione del linguaggio come sistema correlativo di segni.
Nella menippea il linguaggio è nello stesso tempo rappresentazione di uno
spazio esterno ed “esperienza produttrice del proprio spazio”. In questo genere
ambiguo si ritrovano sia le premesse del realismo (attività secondaria in
rapporto al vissuto, nella quale l’uomo si descrive dando spettacolo di sé per
finire col creare “personaggi” e “caratteri”), sia il rifiuto di divenire un universo
psichico (attività nel presente, che si caratterizza mediante immagini, gesti e
parole-gesti, attraverso le quali l’uomo vive i suoi limiti nell’impersonale)199.
199 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio
(a cura di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.130.
Questo secondo aspetto accomuna la struttura della menippea a quella del
sogno, della scrittura geroglifica e del teatro della crudeltà a cui pensava Artaud,
in quanto rappresentazione non della vita individuale, ma di «una specie di vita
liberata, che spazza via l’individualità umana e nella quale l’uomo non è più che
un riflesso»200. Come il teatro di Artaud, la menippea non è catartica, è una festa
della crudeltà, «non trasmette altro messaggio che quello d’essere essa stessa
“la gioia eterna del divenire”»201 e si esaurisce nell’atto e nel tempo presente. La
menippea si costituisce nell’ambivalenza di due spazi, quello della scena e
quello del geroglifico, quello della rappresentazione mediante il linguaggio e
quello dell’esperienza mediante il linguaggio, il romanzo, e in particolare il mo-
derno romanzo polifonico erediteranno tale ambivalenza.
L’analisi della menippea, primo genere letterario carnevalizzato, ha
rivelato alcuni aspetti dell’ambivalenza carnevalesca; all’analisi del riflesso del
carnevale sulla letteratura, Bachtin ha dedicato studi di notevolissima
importanza, che hanno determinato gran parte dell’interesse dei critici per la
sua opera; si cercherà ora di enucleare schematicamente alcuni spunti teorici
fondamentali rintracciabili nelle ricerche bachtiniane sulla problematica del
folclore carnevalesco, al fine di enuclearne la struttura e la logica peculiare che
lo caratterizza.
Il carnevale è una forma di spettacolo sincretistica di carattere rituale
estremamente complessa, che ha elaborato un linguaggio di forme simboliche;
«questo linguaggio esprimeva in modo differenziato, si può dire articolato (come
qualsiasi linguaggio) un unico (ma complesso) senso carnevalesco del mondo,
200 Ivi, p.131.201 Ivi, p.131.
che penetrava tutte le sue forme» (DPS p.159). La trasposizione di questo
linguaggio nella letteratura ha prodotto i generi letterari carnevalizzati, in primo
luogo, come detto, la satira menippea.
Il carnevale è uno spettacolo senza ribalta in cui sono coinvolti al
medesimo titolo tutti i partecipanti, chi vi partecipa è ad un tempo attore e
spettatore;
perde la sua coscienza di persona per passare attraverso lo zero
dell’attività carnevalesca e sdoppiarsi in soggetto dello spettacolo e oggetto del
gioco. Nel carnevale il soggetto è annichilito: là trova compimento la struttura
dell’autore come anonimato che crea e si vede creare, come me e come altro,
come uomo e come maschera.202
Tutti prendono parte alla vita carnevalesca assecondando le sue leggi
fintanto che queste sono in vigore. «Ma la vita carnevalesca è una vita tolta dal
suo normale binario, è in una certa misura una «vita all’incontrario», un «mondo
alla rovescia» («monde à l’envers»)» (DPS p.160).
Le categorie fondamentali del carnevale individuate da Bachtin sono
quattro, legate profondamente tra di loro e costitutive della logica peculiare di
tutti i fenomeni collegati al carnevalesco.
202 Ivi, p.123.
La Kristeva prosegue affermando: «bisognerebbe paragonare il dio-
nisismo nietzschano con il cinismo di una tale scena carnevalesca che distrugge
un dio per imporre le sue leggi dialogiche. Avendo esteriorizzato la struttura
della produttività letteraria riflessa, il carnevale mette in luce l’inconscio che
sottende questa struttura: il sesso, la morte. Tra di loro si organizza un dialogo,
da cui provengono le diadi strutturali del carnevale: l’alto e il basso, la nascita e
l’agonia, il cibo e l’escremento, l’elogio e l’imprecazione, il riso e le lacrime».
1) Durante il carnevale gli ordinamenti coartanti sono aboliti, e con le leggi
viene meno qualsiasi gerarchia stabilita e le forme di devozione e riverenza ad
essa collegate. Le distanze tra gli uomini sono abolite ed entra in vigore «una
particolare categoria carnevalesca, il libero contatto familiare tra gli uomini»
(DPS p.160).
2) Ai rapporti gerarchico-sociali stabiliti si sostituiscono nuove modalità di
relazione tra gli uomini, liberati dai vincoli della posizione gerarchica (di ceto, di
censo, di età, di proprietà), il comportamento, il gesto e la parola dell’uomo
divengono eccentrici, inopportuni, estranei alla logica della vita
extracarnevalesca; «l’eccentricità è una categoria particolare del senso
carnevalesco del mondo, organicamente legata alla categoria del contatto
familiare» (DPS p.160-61).
3) La familiarizzazione dei rapporti conduce anche ad una terza categoria
del carnevale, le mésalliances carnevalesche; il carnevale unisce ciò che
normalmente è diviso e isolato, collega il sacro e il profano, il sublime e l’infimo,
il grandioso e il meschino, il saggio e lo stolto.
4) La perdita della distanza gerarchica finisce per produrre un abbas-
samento, uno svilimento del sacro, produce la profanazione, caratteristica del
carnevale, manifesta nei sacrilegi carnevaleschi, nell’oscenità del linguaggio del
carnevale, nei riadattamenti parodici dei testi e della liturgia sacri.
Bachtin insiste nell’affermare il carattere concreto-sensibile delle categorie
carnevalesche, non si tratta di idee astratte sulla libertà e l’uguaglianza, ma di
forme rappresentative rituali e spettacolari «formatesi e conservatesi nei
millenni in seno alle più larghe masse popolari dell’umanità europea». (DPS
p.161)
Accanto alle caratteristiche ora descritte Bachtin individua una serie di
azioni tipiche del carnevalesco, di rappresentazioni rituali in cui lo spirito
carnevalesco trova espressione.
«La principale azione carnevalesca è probabilmente la burlesca inco-
ronazione e successiva scoronazione del re del carnevale» (DPS p.162),
cerimonia ricorrente in tutte le festività carnevalesche, dai saturnali alle feste
dei folli e a tutte le manifestazioni del carnevale europeo.
Alla base dell’atto rituale della incoronazione e scoronazione del re è il
nucleo stesso del senso carnevalesco del mondo, il pathos delle sostituzioni e
dei mutamenti, della morte e del rinnovamento. Il carnevale è la festa del tempo
che tutto distrugge e tutto rinnova. Così si può esprimere il pensiero
fondamentale del carnevale. (DPS p.162)
L’incoronazione-scoronazione è un rito profondamente ambivalente,
esprime la gaia relatività dello spirito carnevalesco, chi viene incoronato è
solitamente uno schiavo o un buffone, conformemente ai dettami del “mondo
alla rovescia” carnevalesco, che viene insignito in un rituale che parodizza le
incoronazioni autentiche, di tutti i simboli del potere reale, simboli che
acquistano una caratteristica ambivalenza (che ovviamente non hanno nella loro
vita extracarnevalesca, in cui sono monovalenti, assoluti e monoliticamente
seri). Questa ambivalenza è comune a tutti i simboli del carnevale, «essi
racchiudono sempre in sé la prospettiva della negazione (della morte) o
viceversa. La nascita è pregna della morte, la morte di una nuova nascita» (DPS
p.163). Il carnevale celebra la sostituzione, l’avvicendamento, non ciò che viene
sostituito, nell’incoronazione carnevalesca è già compresa la scoronazione, in cui
il cerimoniale è rovesciato, il re carnevalesco viene ora dileggiato, privato dei
simboli del potere, senza che ciò assuma un carattere univocamente negativo,
«il carnevale non conosce assoluta negazione, così come non conosce assoluta
affermazione» (DPS p.163), è profondamente ambivalente in ogni sua manifesta-
zione. Tutte le immagini carnevalesche sono profondamente ambivalenti,
sono uniche e duplici al tempo stesso, esse uniscono in sé ambedue i poli
dell’avvicendamento e della crisi: nascita e morte (l’immagine della morte
pregna di vita), la benedizione e la maledizione (le benedicenti maledizioni
carnevalesche con l’augurio contemporaneo di morte e di rinascita), la lode e
l’ingiuria, la gioventù e la vecchiaia, l’alto e il basso, il volto e il deretano, la
stoltezza e la saggezza (DPS p.164).
caratteristiche del carnevale sono gli accoppiamenti per opposti, la
giustapposizione dei contrari e dei simili (gemelli, sosia), così come lo sono le
inversioni d’uso degli oggetti (pratica riconducibile alla categoria carnevalesca
della eccentricità). Ambivalente è l’immagine del fuoco, che
contemporaneamente distrugge e rinnova il mondo, esemplare è il rito dei
«moccoli» del carnevale romano, descritto da Goethe nell’Italienische Reise:
Goethe, cercando di scoprire dietro le immagini carnevalesche il loro senso
più profondo, cita una scenetta profondamente simbolica: durante il rito dei
«moccoli» un ragazzo spegne la candela di suo padre con l’allegro grido
carnevalesco «Sia ammazzato il signor padre!» (DPS p.165)203.
203 Il riferimento a questo aneddoto di Goethe, citato anche nel
Rabelais, permette di cogliere un’influenza diretta delle analisi freudiane
sull’interpretazione bachtiniana del carnevale, che appare come il luogo della
soddisfazione fantasmatica delle istanze rimosse della psiche.
Profondamente ambivalente è anche il riso carnevalesco, legato di-
rettamente alle antichissime forme del riso rituale. Il riso rituale si rivolgeva a
qualcosa di superiore, al sole, agli dei, per costringerli a rinnovarsi e rigenerarsi,
era legato alla morte e alla riproduzione, reagiva alla crisi della vita della
divinità, del mondo e dell’uomo (riso funebre).
Il riso carnevalesco è anch’esso diretto verso l’alto, all’avvicendamento dei
poteri e delle verità, all’avvicendamento degli ordinamenti del mondo. Il riso
invade e comprende ambedue i poli dell’avvicendamento, la stessa crisi.
Nell’atto del riso carnevalesco si uniscono morte e resurrezione, negazione
(derisione) e affermazione (riso di giubilo). È questo un riso profondamente
penetrato di una concezione del mondo universale (DPS p.166).
Il riso carnevalesco è profondamente perturbante, malgrado l’idea che se
ne ha nella società moderna, in cui
si segue la tendenza ad occultare l’aspetto drammatico (micidiale, cinico,
rivoluzionario nel senso di una trasformazione dialettica) del carnevale, […]. Il
riso del carnevale non è semplicemente parodistico; non è più comico che
tragico; è le due cose insieme; è, se si vuole, serio ed è soltanto così che la sua
scena non è né quella della legge, né quella della sua parodia, ma il suo altro. 204
204 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio
(a cura di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.125.
«La scrittura moderna presenta diversi esempi lampanti di una tale scena
generalizzata che è legge ed altro, e sulla quale il riso tace perché non è
parodia, ma assassinio e rivoluzione (Antonin Artaud)».
La parodia è comunque un elemento presente in tutte le manifestazioni del
carnevale e lo si ritrova trasposto in tutte le forme della letteratura car-
nevalizzata. La parodia è la creazione di un sosia scoronizzante, ed è sempre
ambivalente. Una componente parodica si trova ad ogni livello nelle immagini e
nei rituali carnevaleschi, è un elemento che relativizza e disassolutizza le
manifestazioni “alte” della vita extracarnevalesca, senza esserne una mera
negazione.
La piazza, luogo di incontro per eccellenza, è il luogo privilegiato della
rappresentazione carnevalesca, «giacché il carnevale per la sua stessa idea
comprende tutto il popolo ed è universale, e tutti debbono essere partecipi del
contatto familiare» (DPS p.167), e la piazza è il simbolo di questa universalità
popolare. Nella letteratura carnevalizzata, la piazza è il luogo principale
dell’azione, vi si struttura l’intreccio del racconto, anche gli altri luoghi (vie,
traverse, strade, bagni, tolde di navi) assumono i caratteri della piazza
carnevalesca nel momento in cui diventano luogo di incontro e contatto tra
persone di diverso genere.
La metamorfosi carnevalesca si manifesta in modo particolare nel
linguaggio, in particolare nel linguaggio familiare-plebeo, che ancor oggi è pieno
di relitti carnevaleschi nelle sue manifestazioni ingiuriose e canzonatorie. Il
linguaggio carnevalizzato eleva alla massima potenza l’ambivalenza costitutiva
del linguaggio, è consapevolmente plurisenso, eccentrico, saturo di sensi spesso
opposti tra loro e profondamente parodico.
Sulla scena generalizzata del carnevale il linguaggio fa la parodia di se
stesso e si relativizza, rigettando il suo ruolo di rappresentazione (il che provoca
il riso), senza arrivare tuttavia a distaccarsene. L’asse sintagmatico del
linguaggio si esteriorizza in questo spazio e, in un dialogo con l’asse sistematico,
costituisce la struttura ambivalente che il carnevale trasmetterà al romanzo.205
Le analisi bachtiniane seguono lo sviluppo dei generi letterari carne-
valizzati nella storia, individuando le forme specifiche che questi assumono in
relazione alle condizioni storiche di cui sono il prodotto, dalla Grecia antica
all’ellenismo, al medioevo e al rinascimento (ciò in particolare ne L’opera di
Rabelais e la cultura popolare, in cui la fenomenologia del carnevale viene
approfondita e chiarita mediante le immagini del Gargantua e Pantagruel, opera
carnevalizzata quant’altre mai), all’illuminismo fino all’età moderna (a
Dostoevskij). Ciò che l’analisi del carnevale permette di individuare, oltre il pur
notevole valore che gli studi bachtiniani hanno per la storia della letteratura, è la
specificità del fenomeno, la sua logica peculiare, “altra” rispetto alla vita
extracarnevalesca;
si può dire (con certe riserve, naturalmente) che l’uomo medievale viveva
due vite: una ufficiale, monoliticamente seria e accigliata, sottomessa ad un
rigoroso ordine gerarchico, piena di paura, dogmatismo, devozione e pietà, e
un’altra carnevalesca, di piazza, libera, piena di riso ambivalente, di sacrilegi,
profanazioni, degradazioni e oscenità, di contatto familiare con tutto e con tutti.
(DPS p.169)
La vita carnevalesca possiede una logica sua propria, una propria modalità
205 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio
(a cura di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.125.
nel rapportarsi al reale, questa «logica dell’alogismo»206 sarà oggetto d’analisi
nel capitolo successivo.
206 Così viene definita da Bachtin la logica che sottende l’opera
rabelaisiana, e per esteso il complesso delle rappresentazioni carnevalesche.
Michail Bachtin, Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo, in Estetica e
romanzo, p.319.
4 Epistemologia
4.1 Bachtin e l’avanguardia scientifica in Russia negli anni venti
In tutta la produzione teorica bachtiniana è costante un riferimento e un
confronto con le avanguardie teoriche delle scienze naturali; spesso la stessa
impostazione del lavoro di Bachtin rimanda a specifiche teorie scientifiche, così
la rivoluzione del linguaggio del romanzo realizzata da Dostoevskij è paragonata
a quella realizzata da Einstein in fisica. Il romanzo polifonico dostoevskijano è
espressione dell’apertura dialogica al mondo affermatasi nella scienza
contemporanea.
La coscienza scientifica dell’uomo contemporaneo ha imparato ad
orientarsi nelle difficili condizioni dell’«universo probabilistico», non si lascia
turbare da nessuna «indeterminazione», ma ne sa rendere conto e sa tenerne
conto. A questa coscienza è ormai da tempo divenuto abituale il mondo
einsteiniano con la sua pluralità di sistemi di riferimento e altrettanti concetti.
[…] È necessario staccarsi dalle adusate esperienze monologiche per
acclimatarsi nella nuova sfera artistica che Dostoevskij ha scoperto e orientarsi
nel modello artistico del mondo, incomparabilmente più complesso, che egli ha
creato. (DPS p.355)
Questa attenzione per le scienze naturali è da porre in conto
all’affermazione bachtiniana della comune matrice ideologica di tutte le
produzioni segniche, che determina la fondamentale consonanza tra le
evoluzioni cui queste son sottoposte. Un esempio di tale parallelismo di
tendenze in ambiti ideologici differenti è l’analogia tra il passaggio nel Ri-
nascimento dalla concezione tolemaica a quella galileiana e il passaggio da una
concezione monolinguistica e monologica al plurilinguismo con la nascita del
romanzo moderno.
La funzione del plurilinguismo nel processo di morte del mito e di nascita
della lucidità romanzesca è enorme. Nel processo di attiva illuminazione
reciproca delle lingue e delle culture la lingua diventò qualcosa di
completamente diverso e a mutare fu la sua stessa qualità: invece di un mondo
linguistico tolemaico isolato unico e unitario comparve il mondo galileiano
aperto di numerose lingue che si illuminano a vicenda.207
Il mutamento dell’orizzonte storico e ideologico si riflette in modo analogo
in tutti gli ambiti della produzione ideologica, in quanto questi sono tra loro
profondamente interrelati e in continuo adeguamento tra loro.
All’epoca delle grandi scoperte astronomiche, matematiche e geografiche,
che avevano distrutto la finitezza e l’isolamento del vecchio Universo, la
finitezza della grandezza matematica e che avevano allargato i confini del
vecchio mondo geografico, all’epoca del Rinascimento e del protestantesimo,
che avevano distrutto la centralizzazione ideologico-verbale del medioevo, a
207 Michail Bachtin, Dalla preistoria della parola romanzesca, in
Estetica e romanzo, p.428-29.
questa epoca poteva essere adeguata soltanto la coscienza linguistica
galileiana, incarnata nella parola romanzesca.208
È chiara allora la ragione dell’interesse di Bachtin per la scienza con-
temporanea e dei suoi tentativi di trasporre nella sua teoria estetica alcuni
principi guida delle avanguardie scientifiche del suo tempo.
In particolare la teoria bachtiniana del romanzo è debitrice al lavoro di due
scienziati sovietici, Vladimir Ivanovic Vernadskij e Aleksej Aleksejevic
Uchtomskij, personalità di grande rilievo i cui studi, che spaziano dalla geofisica
all’estetica, dalla biologia all’etica, influenzarono in modo determinante le
cultura russa del loro tempo.
4.1.1 A. A. Uchtomskij. La dominante e il cronotopo
Il debito contratto da Bachtin per le ricerche sul cronotopo con Uchtomskij
è rilevante e da egli stesso ammesso in nota a Le forme del tempo e del
cronotopo nel romanzo209, notevoli sono anche gli spunti e i riferimenti al
neurofisiologo russo non dichiarati nel complesso della sua produzione teorica,
tanto da far ritenere fondamentale l’influenza di Uchtomskij su Bachtin.
La formazione di Uchtomskij è estremamente eterogenea, spazia at-
traverso discipline distanti come teologia, filosofia, biologia, geologia e fisica;
anche se i suoi studi son rivolti in primo luogo alla fisiologia, egli cerca
costantemente di cogliere collegamenti ed elementi per corroborare i risultati
208 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
p.222. (Corsivo mio).209 Michail Bachtin, Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo,
in Estetica e romanzo, p.231. Di ciò si è già detto a proposito della trattazione
bachtiniana del cronotopo, a P.102
delle sue ricerche nell’ambito delle scienze umane; atteggiamento che del resto
è comune a buona parte dell’intelligentija russa della prima metà del secolo, a
Bachtin che scrive di freudismo e biologia, a Vygotskij che scrive d’arte e ai
teologi Florenskij e Askol’dov, che avevano una formazione scientifica.
Uno dei risultati più rilevanti delle ricerche di Uchtomskij è la teoria della
dominante, elaborata coniugando le teorie del fisiologo inglese C. S. Sherrington
e del russo Vvedenskij con le concezioni di Einstein e Minkovskij relative al
tempo e allo spazio nella relatività210. Dominante è un centro nervoso che in virtù
di una elevata eccitabilità e di una capacità di mantenersi attivato anche dopo la
cessazione dello stimolo (inerzia) è in grado di determinare la reazione
dell’organismo agli stimoli esterni. La dominante si trova a tutti i livelli del
sistema nervoso,
ai livelli più bassi la dominante si esprime nel fatto che un dato organo sia
sempre pronto al lavoro e possa conservare a lungo questo stato di all’erta.
Risalendo invece ai livelli superiori del sistema nervoso arriviamo alla dominante
corticale, che costituisce la base fisiologica di tutta una serie di fenomeni
psichici, tra cui per esempio l’attenzione, e che Uchtomskij definisce un «organo
di comportamento».211
210 Eviterò per quanto possibile i riferimenti e gli approfondimenti
eccessivamente specialistici, limitandomi all’esposizione di quanto nella teoria di
Uchtomskij serve ad approfondire l’analisi dell’opera di Bachtin. Indicazioni più
approfondite si trovano in: Silvano Tagliagambe, L’origine dell’idea di cronotopo
in Michail Bachtin, e Nicoletta Marcialis, Michail Bachtin e Alekseij Uchtomskij,
saggi contenuti in Bachtin teorico del dialogo, Milano, Franco Angeli, 1986.211 Nicoletta Marcialis, Michail Bachtin e Alekseij Uchtomskij, in
Bachtin teorico del dialogo, p.83.
Orientandosi il comportamento verso il mondo circostante, si può
individuare nella dominante corticale l’organo che sovraintende all’elaborazione
di un sistema di coordinate spazio temporali attraverso cui l’organismo
recepisce il mondo al fine di reagire ad esso. La relazione tra il cronotopo (l’unità
spazio-temporale) e la dominante era l’argomento della conferenza di
Uchtomskij a cui Bachtin afferma di aver presenziato212.
La teoria del cronotopo di Uchtomskij si trova, come detto, trasposta nella
elaborazione bachtiniana sullo spazio-tempo in letteratura (in Le forme del
tempo e del cronotopo nel romanzo), un parallelo si può cogliere tra la nozione
di dominante, nella valenza che riceve in Uchtomskij, e la nozione bachtiniana di
punto di vista, che individua le direttive attraverso cui si determina la relazione
col mondo e che è sovrapponibile a ciò che negli scritti pseudonimici veniva
indicato con ideologia.
La dominante è il risultato dell’informazione sugli avvenimenti e sugli
oggetti nel tempo e nello spazio, così come il punto di vista si forma sotto
l’influenza dell’ambiente esterno; ma nello stesso tempo la dominante esprime il
modo di porsi dell’animale rispetto all’ambiente, il suo orientamento nella
percezione degli oggetti e degli avvenimenti biologicamente importanti e
interessanti, e comporta il soffocamento di tutte le reazioni incompatibili con la
dominante in questione: questo significa che la dominante coordina i mecca-
nismi dell’omeostasi, ma significa anche, e lo sottolinea Uchtomskij a più
riprese, che la dominante può essere causa di pregiudizi, di rigidità e chiusura
mentale.213
212 Vedi nota 189.213 Nicoletta Marcialis, Michail Bachtin e Alekseij Uchtomskij, in
Un’analogia si può cogliere anche tra la dominante e il genere letterario,
come l’una è, sul piano dell’organismo individuale, una sorta di memoria
fisiologica non conscia, così l’altro è una memoria collettiva storica.
La dominante corticale nell’accezione data al termine da Uchtomskij, di
griglia attraverso cui si media il rapporto col mondo, non ricade nell’errore
fondamentale individuato da Bachtin alla base della psicologia oggettiva e della
reattologia, non prescinde dalla concreta realtà sociale in cui si trova ad agire,
ne è anzi determinata. Secondo Uchtomskij,
il fisiologo constata il processo dominante, studia il modo in cui esso si
forma negli elementi nervosi, ne coglie le leggi e le conseguenze a livello di
organismo individuale. Ma i motivi necessari e sufficiente di questo processo
diventano chiari solo dopo che al posto dell’astrazione «l’organismo e il suo
ambiente» il fisiologo prende in considerazione le radici della vita e del
comportamento dell’individuo cercandole nel suo genere e nella società, e
ricorda che l’«ambiente» dell’organismo comprende, oltre al resto, anche il
genere e la società.214
Un comune interesse per l’opera di Dostoevskij lega inoltre Bachtin a
Uchtomskij, che proprio nei romanzi dello scrittore russo cerca un riscontro e una
esemplificazione della sua teoria fisiologica. La dominante agisce tra due
situazioni limite: l’autismo, condizione in cui l’individuo è condizionato da una
Bachtin teorico del dialogo, p.85.214 A. A. Uchtomskij, citato in Nicoletta Marcialis, Michail Bachtin e
Alekseij Uchtomskij, in Bachtin teorico del dialogo, p.87.
dominante centrata su di se, e la massima apertura all’altro, che produce
la capacità di non rimanere ancorato alla propria astrazione e di essere
pronto in ogni momento ad anteporre ad esso la realtà vivente, la capacità, cioè,
di entrare concretamente in contatto con ogni singolo uomo, di penetrare nel
suo guscio, di comprendere i sui punti di partenza, che lo condizionano, di capire
i suoi dominanti. […] Soltanto laddove si afferma un dominante centrato sulla
persona dell’altro può essere superata per la prima volta la maledizione del
rapporto individualistico con la vita.215
Per esemplificare queste condizioni limite, Uchtomskij utilizza due
personaggi di Dostoevskij, il Sosia, che rappresenta l’incapacità patologica di
concepire l’altro (Uchtomskij afferma «questo racconto di Dostoevskij altro non è
che un trattato filosofico-psichiatrico sul solipsismo e sull’autoaffermazione
come tratti fondamentali di un tipico rappresentante della cultura europea»216) e
Zosima, lo starec dei Fratelli Karamazov, che possiede secondo Uchtomskij una
dominante orientata verso il prossimo217. Una tale condizione di apertura al
mondo, una dominante centrata sull’altro, permette il superamento degli
orizzonti ideologici e la coesistenza di punti di vista diversi in dialogo.
Uchtomskij può essere considerato quindi al pari di Bachtin un teorico del
215 A. Uchtomskij, Dominanta (il dominante), in Silvano Tagliagambe,
L’origine dell’idea di cronotopo in Michail Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo,
p.50.216 Citato in Silvano Tagliagambe, L’origine dell’idea di cronotopo in
Michail Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, p.52.217 Nicoletta Marcialis, Michail Bachtin e Alekseij Uchtomskij, in
Bachtin. teorico del dialogo, p.87.
dialogo; per entrambe i pensatori è dall’interazione tra prospettive differenti che
a tutti i livelli si verifica una crescita di conoscenza.
4.1.2 V. I. Vernadskij. La biosfera
I meccanismi dinamici indagati in neurofisiologia da Uchtomskij e trasposti
nell’ambito delle scienze umane da Bachtin, sono oggetto delle ricerche del
geofisico Vladimir Ivanovic Vernadskij, autore di grande rilevanza i cui studi
fortemente innovativi erano conosciuti da Bachtin, che li cita negli Appunti del
1970-71218.
Le ricerche dello scienziato sovietico coprono campi scientifici diversi, ma
sono unificate da una serie di motivi conduttori comuni, in particolare dalla
ricerca del rapporto tra un sistema e l’ambiente in cui è immerso.
Vernadskij, muovendo da ricerche in mineralogia, giunge all’elaborazione
delle nozioni di geosfera e di biosfera, che svolgono un ruolo centrale nelle sue
costruzioni teoriche. «Le geosfere sono involucri terrestri determinati tra i quali
avviene la migrazione degli elementi chimici»219, gli elementi che si trovano nelle
singole geosfere dan luogo a composti ad esse peculiari in condizioni specifiche,
218 In L’autore e l’eroe, p.357. L’opera di Vernadskij è analizzata da
Silvano Tagliagambe in L’origine dell’idea di cronotopo in Michail Bachtin, in
Bachtin teorico del dialogo, e da Simonetta Salvestroni in Il dialogo, il confine, il
cronotopo nel pensiero di Michail Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, in I
meccanismi spazio temporali nei testi artistici e nei processi creativi della
psiche, «Strumenti critici», VI 1991, in Michail Bachtin fra la cultura sovietica
degli anni venti e la semiotica e l’epistemologia contemporanee, «Il ponte», n°3
(1984) e nell’introduzione a Jurij M. Lotman, La semiosfera, Venezia, Marsilio,
1985. 219 Silvano Tagliagambe , L’origine dell’idea di cronotopo in Michail
Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, p.58.
nel passaggio ad altre geosfere questi si dissolvono e dan luogo ad altri
composti. In prossimità della crosta terrestre i processi di migrazione degli
elementi chimici sono condizionati dalla presenza degli esseri viventi, tale
constatazione condusse Vernadskij a elaborare il concetto di biosfera, che indica
l’insieme della materia viva che si trova sulla superficie terrestre in condizione di
profonda interazione con il sistema planetario. La biosfera si caratterizza per la
fondamentale interconnessione tra tutti gli organismi viventi, legati da scambi
continui con l’ambiente, che ne sono la condizione di esistenza. Questa
interrelazionalità fondamentale tra tutti i fenomeni che han luogo nella biosfera
detta la necessità di rapportarsi a questa come ad un organismo: «Si osserva la
vita come un fenomeno casuale sulla terra e non ci si occupa delle relazioni… Di
solito si studiano i fatti particolari, ma non il meccanismo nel suo complesso… La
biosfera non è stata ancora osservata come un unico insieme»220; la biosfera
presenta un’unità funzionale che la individua al di sopra delle stratificazioni e
diversificazioni di livello tra gli organismi viventi, è un macrosistema al di fuori
del quale non è possibile la vita di nessun organismo.
È impossibile analizzare un sottosistema determinato in relazione al
sistema-ambiente giacché, pur essendo la biosfera un sistema definito, si trova
in relazione ad un contesto dal quale non può esser separata; al suo limite
inferiore, essa sfocia nelle geosfere e al suo limite superiore sfuma verso un
terzo macrosistema, la noosfera, l’ambito dell’elaborazione dell’ambiente da
parte dell’uomo, della trasformazione mediante la scienza e la tecnica.
L’involucro geologico superficiale della Terra, quello occupato dagli
220 V. I. Vernadskij, Biosfera, citato in Silvano Tagliagambe , L’origine
dell’idea di cronotopo in Michail Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, p.59.
organismi viventi, e cioè la biosfera, si trasforma rapidamente in un nuovo stato,
la noosfera, e questa radicale modificazione geologica avviene sotto la spinta
della ragione umana orientata e diretta dalla scienza. L’uomo diventa così una
forza geologica (planetaria), e ciò si verifica in forme e proporzioni del tutto
inaudite e senza precedenti.221
In questa prospettiva, trovandosi l’uomo in un ambiente dal quale dipende
completamente e verso cui retroagisce, perde ogni senso la distinzione tra
scienze dell’uomo e scienze naturali, l’uomo aqisisce il ruolo di forza geologica
anche «attraverso la crescita di quelle parti delle discipline umanistiche, che
sono legate alle scienze che si occupano della natura»222.
Il legame profondo che unisce le geosfere, la biosfera e la noosfera, rende
necessaria la ricerca di metodi di analisi globali, capaci di render conto delle
interconnessioni tra i sistemi in gioco; diventa fondamentale in questa
prospettiva la nozione di confine, indicante il luogo della separazione, della
transizione e dell’interconnessione tra i macrosistemi. Il confine è ad un tempo il
luogo estremo, che delimita un sistema e il punto di contatto con l’ambiente,
con quanto al sistema in questione è esterno; il ruolo del confine come luogo
dello scambio è chiarito da Vernadskij con riferimento alla biosfera, in cui le
sostanze viventi sussistono solo in virtù del flusso biogenico continuo tra queste
e le sostanze inerti, realizzato nelle funzioni vitali (respirazione, nutrizione,
riproduzione ecc.).
Anche in Bachtin la nozione di confine svolge un ruolo fondamentale, già in
221 Ivi, p.61.222 V. I. Vernadskij, La struttura chimica della biosfera della terra e di
ciò che la circonda, citato in Silvano Tagliagambe , L’origine dell’idea di
cronotopo in Michail Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, p.61.
uno scritto del 1924, Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella
creazione letteraria, se ne trova una concettualizzazione forte:
la sfera culturale non ha un territorio interno: essa è tutta disposta ai
confini, i confini passano dappertutto, attraverso ogni suo momento; l’unità
sistematica della cultura si estende dagli atomi della vita culturale e, come un
sole, si riflette in ogni sua goccia. Ogni atto culturale vive essenzialmente ai
confini: in questo sta la sua serietà e importanza; distolto dai confini, esso perde
terreno, diventa vuoto e borioso, degenera e muore.223
In La parola nel romanzo, Bachtin afferma che «la parola sembra vivere al
confine del contesto suo con quello altrui»224 e che «la lingua come vivente
concretezza ideologico-sociale, come opinione pluridiscorsiva si trova, per la
coscienza individuale, al confine del proprio e dell’altrui»225, a ribadire la
centralità della problematica del confine all’interno della sua impostazione
teorica, nozione che assume caratteri marcatamente analoghi a quelli datele da
Vernadskij, di luogo delimitante ma non invalicabile.
La complessità dell’ambiente e delle dinamiche delle sfere in cui si articola,
è per Vernadskij il prodotto dell’estrinsecarsi di forze di senso contrario, da un
lato agiscono le forze centrifughe, tendenti alla differenziazione, che, agendo
all’interno dei tre macrosistemi geologici, determinano una molteplicità di
sottoinsiemi dotati di proprie strutture logiche e cronotopiche e producono la
223 Michail Bachtin, Il problema del contenuto, del materiale e della
forma nella creazione letteraria, in Estetica e romanzo, p.20.224 Michail Bachtin, La parola nel romanzo, in Estetica e romanzo,
p.92. 225 Ivi, p.101.
stratificazione che in ogni momento caratterizza la globalità del sistema,
dall’altro agiscono le forze centripete, tendenti all’unificazione e
all’omogeneizzazione, che realizzano sistemi connettivi tra i sottoinsiemi. Le
forze centripete trovano una realizzazione nella noosfera, il pensiero umano
unifica la molteplicità delle logiche in una logica unitaria e la molteplicità dei
cronotopi nell’idea di un ambiente unitario.
Si è visto (al punto 3.1.7) come la dinamica tra forze centrifughe e
centripete si trovi completamente trasposta nella teoria bachtiniana; non è
forzato allora sostenere «che i meccanismi biologici, individuati da Vernadskij,
costituiscano l’ossatura che è servita a Bachtin per costruire la sua concezione
della cultura e dei suoi microtesti come un tutto organico e vivo»226.
Anche la categoria teoretica fondamentale di Bachtin, quella di dialogo,
presenta un analogo nei lavori del geofisico sovietico. Questo, muovendo dalle
ricerche di fisica molecolare di Pasteur e Pierre Curie, centra l’attenzione sulla
presenza, nello spazio e nel tempo biologici, di strutture simmetriche
enantiomorfe227. Strutturalmente, nelle forme enantiomorfe, i piani simmetrici si
neutralizzano, mentre diventano fondamentali quelli asimmetrici; questa
caratteristica rende possibile la presenza congiunta di eterogeneità e
omogeneità, di differenza e identità, che è la condizione e il presupposto
fondamentale affinché si instauri un dialogo, giacché l’identità assoluta lo
renderebbe superfluo e la differenza assoluta lo renderebbe impossibile. Bachtin
226 Simonetta Salvestroni, Il dialogo, il confine, il cronotopo nel
pensiero di Michail Bachtin, in Bachtin teorico del dialogo, p.23.227 Le forme enantiomorfe sono caratterizzate da una simmetria
speculare, che le rende ad un tempo uguali ma non sovrapponibili, tipico
esempio di struttura enantiomorfa è il cervello umano composto da due emisferi
uguali ma funzionalmente differenziati.
stesso chiarisce questa caratteristica dell’interazione dialogica proprio facendo
riferimento alle strutture enantiomorfe.
La lingua e i rapporti discorsuali (nello scambio dialogico di atti di parola)
non possono mai identificarsi. È impossibile l’identità assoluta di due o più
proposizioni (sovrapponendole l’una all’altra, come due figure geometriche,
coincidono), di più, dobbiamo supporre che qualsiasi proposizione, anche
complessa, possa ripetersi nell’illimitato flusso discorsuale un numero illimitato
di volte in forma assolutamente identica; ma come atto di parola (o come parte
di un atto di parola) nessuna proposizione, anche di una sola parola, può mai
essere ripetuta: si tratta sempre di un nuovo atto di parola (anche se è una
citazione).228
4.2 La logica del dialogo
La distinzione tra monologismo epico e dialogismo carnevalesco nella
teoria del romanzo bachtiniana marca una differenziazione profonda tra i
meccanismi logici che sottendono le due pratiche di scrittura, differenza che si
può rintracciare più in generale in ogni sfera della cultura: da un lato sta la
logica del linguaggio codificato, prodotto e strumento della cultura egemone,
dall’altro la logica sovversiva del carnevale, espressione della effettiva
plurivocità del linguaggio e della relatività delle determinazioni.
L’ambivalenza del testo dialogico, il suo presentarsi come una trama di
relazioni, lo esclude dalla possibilità di essere oggetto di analisi da parte di «un
228 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe, p.296-97.
sistema logico con base zero-uno (falso-vero, niente-notazione)»229, quali sono i
sistemi logici elaborati in occidente da Aristotele fino alla logica moderna (di
Frege, Peano, Lukasiewicz), la parola dialogica, poetica, «è almeno doppia (non
nel senso della diade significante-significato, ma nel senso di una e altra)»230, si
estende da zero a due, l’uno, la determinazione, la verità, è negato, non esiste.
Julia Kristeva rileva la necessità di indagare le dinamiche di una tale logica, che
avrebbe trovato una prima espressione nell’analisi bachtiniana dell’ambivalenza
carnevalesca:
una semiotica della letteratura va elaborata a partire da una logica
poetica, nella quale il concetto di potenza del continuo ingloberebbe l’intervallo
da zero a due, un continuo in cui lo zero denota e l’uno è implicitamente
superato. In questa “potenza del continuo” dallo zero al doppio specificamente
poetico, ci si rende conto che l’ “interdetto” (linguistico, psichico, sociale) è l’uno
(dio, la legge, la definizione) e che l’unica pratica che “sfugge” a questo divieto
è il discorso poetico.231
Il monologismo è subordinato al codice dell’uno, è necessariamente
religioso, dogmatico, mentre al discorso dialogico e carnevalesco è peculiare
una logica onirica capace ad un tempo di trasgredire le convenzioni linguistiche
229 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Augusto Ponzio
(a cura di) Michail Bachtin.Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, p.112-
13. Le analisi di questo paragrafo seguono le intuizioni esposte dalla Kristeva nel
suo studio della logica del carnevale in Bachtin, e in generale della logica della
parola poetica.230 Ivi, p.112.231 Ivi, p.113.
e quelle sociali;
in realtà, questa “trasgressione” del codice linguistico (logico, sociale) nel
carnevale è possibile ed efficace solo in quanto si dà una legge diversa. Il
dialogismo non è affatto “la libertà di dire tutto”: è si uno “scherzo”
(Lautréamont), ma drammatico, è un imperativo diverso da quello dello zero.
Bisognerebbe insistere su questa particolarità del dialogo come trasgressione
che si dà una legge.232
Il dialogo , il carnevalesco, è fuori dalla sfera delle trasgressioni previste
dalla legge e che ne costituiscono una compensazione (avanguardie, testi
trasgressivi), implica una lacerazione della normatività non riassorbibile e non
riconducibile all’intervallo zero-uno. Secondo la Kristeva, il termine bachtiniano
di dialogismo,
come complesso semico italiano implicherebbe: il doppio, il linguaggio ed
una logica diversa. A partire da questo termine che la semiotica della letteratura
può adottare si delinea un nuovo approccio ai testi poetici. La logica che il
«dialogismo» implica è ad un tempo:
1) Una logica di distanza e di relazione tra i differenti termini della frase o
della struttura narrativa, che indica un divenire — in opposizione al livello di
continuità e di sostanza che obbediscono alla logica dell’essere e che saranno
designati come monologici.
2) Una logica di analogia e di opposizione non esclusiva, in opposizione al
livello di causalità e di determinazione identificante che sarà designato come
232 Ivi, p.114.
monologico.
3) Una logica del “transfinito”, concetto che attingiamo da Cantor e che a
partire dalla “potenza del continuo” del linguaggio poetico (zero-due) introduce
un secondo principio di formazione, e cioè: una sequenza poetica è
“immediatamente superiore” (non dedotta causalmente) a tutte le sequenze
precedenti della successione aristotelica (scientifica, monologica, narrativa).233
La logica del carnevale appare quindi orientata in modo radicalmente
opposto alla logica aristotelica, alla logica di sostanza e inferenza sostituisce una
logica correlazionale e sintagmatica, che presenta caratteri di affinità con altri
sistemi logici non occidentali, come nella filosofia cinese, in cui «al posto di dio si
vede dispiegarsi il “dialogo” Yin-Yang»234. Secondo la Kristeva, il dialogismo, più
del binarismo è la base della struttura intellettuale della nostra epoca, ciò pare
confermato dalle ricerche di molteplici autori contemporanei, che in discipline di-
verse hanno elaborato teorie scientifiche e epistemologiche centrate sui
meccanismi dialogici che presentano notevoli analogie con le elaborazioni
bachtiniane.
4.3 Bachtin e l’epistemologia contemporanea
Le analisi svolte in questo capitolo hanno permesso di enucleare alcune
direttive che sorreggono l’impostazione teorica bachtiniana.
In primo luogo si è individuata la prospettiva olistica, ereditata dai lavori di
Vernadskij, conseguenza della consapevolezza dell’interrelazionalità tra tutti i
233 Ivi, p.115.234 Ivi, P.113.
fenomeni, tanto nelle scienze naturali quanto nelle scienze umane.
Si è poi posta in luce la distinzione tra due modalità logiche, una dividente
e ipotattica corrispondente alla logica aristotelica, a base zero-uno, caratteristica
del pensiero occidentale, strutturante tutte le forme espressive monologiche e i
paradigmi scientifici riduzionisti, l’altra unificante, paratattica e onirica, a base
zero-due, essenzialmente sovversiva, antiteologica e antigerarchica, che trova
espressione nelle manifestazioni carnevalesche e in alcune patologie psichiche.
Queste due logiche radicalmente opposte si trovano sempre profondamente
interrelate in ogni espressione e rappresentano due modalità limite.
La presenza di un momento asimmetrico, legato alla seconda modalità
logica, è la condizione indispensabile per la produzione del senso, per la crescita
della conoscenza.
Il principio comico e la percezione carnevalesca del mondo, che sono alla
base del grottesco, distruggono la serietà unilaterale e tutte le pretese di
significato e di certezza al di fuori del tempo, e liberano la coscienza umana, il
pensiero e l’immaginazione, che diventano disponibili a nuove possibilità. Ecco
perché una certa «carnevalizzazione» della coscienza precede sempre,
preparandoli, i grandi capovolgimenti, persino in campo scientifico.235
Si procederà ora ad un raffronto tra le intuizioni bachtiniane e i lavori di
alcuni autori contemporanei, alla ricerca di spunti teorici comuni.
In primo luogo intendo soffermarmi sui lavori dei semiologi sovietici della
235 Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Torino,
Einaudi, 1979, p.58.
«scuola di Tartu e Mosca», e in particolare di Jurij Lotman, che all’opera di
Bachtin si riferiscono esplicitamente e che possono essere considerati i
continuatori ideali dell’opera bachtiniana.236
In La semiosfera, Lotman riprende le indicazioni contenute negli studi di
Vernadskij al fine di superare la prospettiva della semiotica saussuriana,
vincolata alla nozione di segno autosussistente, prodotto dall’unione di un
significante con un significato, ipotizzando, in analogia alla biosfera di
Vernadskij, una semiosfera, come il luogo al di fuori del quale non è possibile la
significazione e in cui tutti i segni sono a qualche livello interrelati.
L’universo semiotico può essere considerato un insieme di testi e di
linguaggi separati l’uno dall’altro. In questo caso l’edificio apparirà formato da
singoli mattoni. È però più feconda l’ impostazione opposta. Tutto lo spazio
semiotico si può considerare infatti come un unico meccanismo (se non come un
organismo). Ad avere un ruolo primario non sarà allora questo o quel mattone,
ma il grande sistema chiamato semiosfera. La semiosfera è quello spazio
semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi.237
236 Negli ultimi anni di vita, Bachtin ebbe modo di conoscere e di
apprezzare gli sviluppi della nascente semiotica sovietica, gli unici appunti critici
che mosse ai giovani studiosi era riguardo al carattere marcatamente logico-
analitico delle loro ricerche, prodotto dell’influenza determinante di autori quali
Roman Jakobson e Vladimir Propp e dell’orientamento spiccato verso discipline
come la cibernetica e la linguistica strutturale.
Si vedano Michail Bachtin, Risposta a una domanda della redazione del
«Novij mir», e Id., Per una metodologia delle scienze umane, in L’autore e l’eroe,
p.342-43 e p.386-87.237 Jurij Lotman, La semiosfera, p.58.
Viene introdotto nella semiotica il principio olistico di analisi che
caratterizza la visione bachtiniana della cultura, in cui i testi sono neces-
sariamente interrelati e si illuminano a vicenda e in cui conseguentemente il
tutto è più dei singoli componenti. L’influenza di Bachtin, chiaramente alla base
delle teorizzazioni lotmaniane, traspare allorché l’autore afferma che
lo scambio dialogico tra i testi (in senso ampio) non è un fenomeno che
può verificarsi o non verificarsi nel processo semiotico. L’utopia di un Robinson,
che vive nell’isolamento, creata nel XVIII secolo, si contrappone all’idea
contemporanea secondo la quale la conoscenza nasce dallo scambio di
informazioni: da quello che si sviluppa fra gli emisferi del cervello umano a
quello tra le culture. La conoscenza non è possibile senza comunicazione. In
questo senso si può dire che il dialogo precede il linguaggio e lo genera. Proprio
questo è alla base dell’idea della semiosfera.238
Lotman riprende gli studi di Vernadskij sulla simmetria, la dissimmetria e
l’enantiomorfismo, le coniuga con la teoria del dialogo bachtiniana e le traspone
in ambito semiotico.
Se le comunicazioni dialogiche sono alla base della formazione del
pensiero, le divisioni enantiomorfe dell’unità e le somiglianze del diverso sono
alla base della correlazione strutturale fra le parti nel congegno generatore di
senso. […] Poiché il meccanismo speculare, che crea coppie simmetrico-
asimmetriche, si trova con estrema frequenza in tutti i meccanismi generatori di
senso, esso si può definire universale e appare capace di abbracciare sia il livello
238 Ivi, p.68.
molecolare e le strutture generali dell’universo, sia le creazioni universali dello
spirito umano. Esso funziona senza dubbio per tutti i fenomeni abbracciati dal
concetto di «testo».239
La centralità della problematica dell’asimmetria strutturale e del dialogo
nel pensiero di Lotman, motivata dall’influenza del pensiero di Vernadskij e
Bachtin, viene corroborata dalle ricerche sugli emisferi cerebrali del
neurofisiologo Balonov che, attraverso la soppressione temporanea della
funzionalità di uno dei due emisferi, è riuscito a determinarne le specifiche
modalità di reazione. Il cervello appare allora come struttura enantiomorfa
esemplare, in cui i due emisferi in dialogo producono un integrazione reciproca
di conoscenza. Trasposte in ambito semiotico, le considerazioni sulle strutture
enantiomorfe conducono Lotman ad individuare nel funzionamento semiotico dei
congegni intellettuali più semplici due poli, uno continuo e l’altro discreto, così
caratterizzati:
Polo continuo:
1) Il testo è in maggiore evidenza rispetto al segno e costituisce rispetto a
questo la realtà primaria.
2) Il segno ha un carattere iconico.
3) Le unità semiotiche sono orientate verso la realtà extrasemiotica ed ha
uno stretto rapporto con questa.
4) Le unità semiotiche sono legate in modo immediato al comportamento.
5) Da un punto di vista «interno» sono interpretate come «non segni».
Polo discreto:
239 Ivi, p.70, 74.
1) Il segno è espresso chiaramente e costituisce la realtà primaria. Il testo
è secondario rispetto ai segni.
2) Il segno ha un carattere convenzionale.
3) Le unità semiotiche tendono alla massima autonomia rispetto alla realtà
extrasemiotica ed acquistano senso in virtù del rapporto reciproco che si
sviluppa tra loro.
4) Le unità semiotiche sono autonome rispetto al comportamento.
5) La segnicità è riconosciuta soggettivamente e coscientemente
accentuata.240
Per Lotman «la reale esperienza umana della struttura del mondo si basa
su un sistema permanente di traduzione e di movimento dei testi all’interno di
un campo strutturale di tensione fra il polo continuo e quello discreto»241. Viene
immediato il rimando alle due modalità logiche individuate da Bachtin, che
svolgono un ruolo strutturalmente analogo in sistemi isomorfi alla semiotica
lotmaniana; tale isomorfismo caratterizza tutte le sfere culturali e gli ambiti
conoscitivi e giustifica l’estensione dei meccanismi interpretativi a discipline
differenti da quella per cui furono elaborati.
Le ricerche sovietiche sull’enantiomorfismo cerebrale trovano conferma
negli studi della scuola di Palo Alto. Paul Watzlawick riprende ed estende le
considerazioni circa l’esistenza di due distinte modalità di funzionamento
peculiari ai due emisferi cerebrali; l’emisfero destro sarebbe caratterizzato da
una prevalenza di ciò che Lotman chiama «polo continuo», da una logica
240 Ivi, p.105-6.241 Jurij Lotman, Testo e contesto, Bari, Laterza, 1980.
unificante, quello sinistro da una logica dividente, analitica. Le prove
sperimentali lo conducono a ritenere che alcune patologie psichiche siano da
porre in relazione a uno scompenso tra i due emisferi, con la prevalenza di
quello destro. Gli studi sulla dissimmetria cerebrale portano Watzlawick a
individuare l’esistenza di
due tipi di lingue. L’una […] dà delle definizioni, è obiettiva, cerebrale,
logica, analitica; è la lingua della ragione, della scienza, dell’interpretazione e
della spiegazione e dunque la lingua della maggior parte delle terapie. L’altra,
[…] è molto più difficile da definire, appunto perché non è la lingua della
definizione. La si potrebbe chiamare la lingua dell’immagine, della metafora,
della pars pro toto, forse del simbolo, in ogni caso della totalità (e non della
scomposizione analitica). […] È notorio che la psicologia del pensiero opera una
distinzione analoga fra il cosiddetto pensiero diretto e non diretto. Il primo segue
le leggi della logica della lingua, e dunque la grammatica la sintassi e la se-
mantica, il secondo invece ha alla sua base i sogni, le fantasie, le vicende del
mondo interiore e via dicendo.[…] Anche nella linguistica e nella ricerca sulla
comunicazione esiste una bipartizione quasi identica: si tratta della distinzione
tra modalità digitali ed analogiche.242
Nel delineare le peculiarità della seconda lingua, propria dell’emisfero
destro, Watzlawick ripropone le caratteristiche della logica carnevalesca, anche
il fondamentale carattere rituale del carnevale viene individuato come prodotto
242 Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento, Milano, Feltrinelli,
1980.
della logica dell’emisfero destro del cervello.
È bensì vero che esistono ancora dei rituali, come per esempio il carnevale
brasiliano, molti sono però diventati vuota forma: si pensi all’equivalente
europeo del carnevale […]. Il rituale è stato represso nel sottosuolo,
restringendo così considerevolmente il contributo dell’emisfero destro alla
soluzione di problemi concreti, o, altrimenti, minaccia l’ordine razionale del
mondo con l’oscura, orfica violenza che è tipica di tutto ciò che è represso.243
Il principio dell’interrelazionalità fondamentale tra tutti i fenomeni è anche
alla base dei lavori di Gregory Bateson, così come il principio dialogico che
media e connette ad ogni livello tra i fenomeni; gli esempi portati dallo studioso
inglese sono tratti dalla fisica e dalla biologia (la visione binoculare, il
funzionamento del lampeggiatore astronomico, la sommazione sinoptica dei
neuroni), ma illustrano i medesimi meccanismi dinamici illustrati da Bachtin
nell’ambito delle scienze umane. Bateson giunge alla conclusione che
«l’aggregato è più della somma delle parti, poiché la combinazione delle parti
non è una semplice addizione, ma possiede la natura di una moltiplicazione o di
un frazionamento o della creazione di un prodotto logico»244. In Mente e natura,
l’analisi dei meccanismi produttori di un incremento di conoscenza è finalizzato
243 Ivi, p.148.244 Simonetta Salvestroni, La teoria del dialogo bachtiniana e il
mondo scientifico e umanistico contemporaneo: un dialogo aperto, in Bachtin
teorico del dialogo, p.187. Simonetta Salvestroni ha dedicato al medesimo
argomento anche i seguenti articoli: I meccanismi spazio-temporali nei testi
artistici e nei processi creativi della psiche, «Strumenti critici», n° 3 (1991) e
Michail Bachtin fra la cultura sovietica degli anni venti e la semiotica e
l’epistemologia contemporanee, «Il ponte», n°3 (1984).
alla chiarificazione delle modalità di integrazione di tutto l’universo, della
«struttura che connette»245.
Il mio modo di procedere sarà quello di chiedere quale sia l’incremento
immediato in ciascun caso, ma il mio scopo ultimo è un’indagine sulla più ampia
struttura che connette […]. Mentre scrivevo la mente è diventata per me un
riflesso di vaste e numerose proporzioni del mondo naturale esterno all’essere
pensante […]. Io mi attengo al presupposto che l’avere noi perduto il senso
dell’unità estetica246 sia stato semplicemente un errore epistemologico.247
È possibile individuare un’altra analogia tra le impostazioni di Bateson e
Bachtin: per entrambe è fondamentale la nozione di punto di vista, inteso come
sguardo prospettico che orienta l’azione e la ricerca degli individui.
L’epistemologia è il sovrappiù che si ottiene combinando gli elementi di
comprensione offerti da ciascuna di queste scienze genetiche. Ma
l’epistemologia è sempre e inevitabilmente personale. La punta della sonda è
sempre nel cuore dell’esploratore. […] Io mi abbandono alla convinzione
fiduciosa che il mio conoscere è una piccola parte di un più ampio conoscere
integrato che tiene unita l’intera biosfera o creazione.248
245 Gregory Bateson, Mente e natura, Milano, Adelphi, 1984, p.21.246 Per “estetico”, Bateson intende «sensibile alla “struttura che
connette”».247 Gregory Bateson, Mente e natura, p.17, 34-35, 96.248 Ivi, p.121-22.
La distinzione tra due modalità logiche è alla base delle teorie dello
psichiatra cileno Ignacio Matte Blanco, autore di L’inconscio come insiemi infiniti,
opera in cui viene intrapresa una rielaborazione della teoria psicoanalitica nel
tentativo di rifondare tale disciplina mediante un’integrazione con apporti logico-
matematici. Anche Matte Blanco rileva come il pensiero occidentale abbia
privilegiato, nel corso della sua storia, l’analisi degli aspetti divisibili del mondo.
Si è in tal modo privilegiata la logica che egli chiama bivalente, corrispondente
alla logica aristotelica, logica che:
a) opera o svolge i suoi ragionamenti per mezzo della distinzione tra le
diverse cose o oggetti di pensiero, in modo che ognuno ha, per questa logica,
una propria individualità. […] b) Riconosce due e soltanto due valori di verità,
cioè vero e falso. c) Rispetta il principio di contraddizione, secondo il quale
un’affermazione e la sua negazione non possono essere simultaneamente vere
sullo stesso argomento.249
Tale logica corrisponde alla logica a base zero-uno individuata dalla
Kristeva; questa non è però l’unica modalità attraverso cui il mondo si riflette
nell’uomo, riprendendo le indicazioni di Wittgenstein, del Tractatus logicus
philosophicus, Matte Blanco rileva l’esistenza di un secondo modo, secondo il
quale il mondo è una totalità omogenea indivisibile. A tale modalità di
rappresentazione corrisponde una logica peculiare, definita logica simmetrica,
caratterizzata dal principio di simmetria.
249 Ignacio Matte Blanco, La torre di Babele e le logiche dell’uomo, in
Bachtin teorico del dialogo, p.102.
Diciamo che in un dato ragionamento vale il principio di simmetria (PS) se
ogni relazione è trattata come se avesse la proprietà simmetrica, cioè, ogni
relazione è trattata come se fosse identica alla sua inversa. […] Dove vale il PS
non si conosce lo spazio. […] …scompare anche il tempo. […] Detto in termini
più generali: il PS è incompatibile con il concetto di ordine totale. […] (dove vale
il PS) non si può distinguere tra parte e tutto. […] In certi casi (non sempre),
dove vale il PS non vale il principio di contraddizione. Se prendiamo insieme tutti
gli «effetti» del PS, troviamo che essi configurano un mondo radicalmente
diverso dal mondo che conosciamo per mezzo della logica normale.250
Le due modalità logiche si trovano sempre intrecciate e dan luogo a
molteplici strutture bi-logiche (Matte Blanco ne individua dodici).
La logica simmetrica scopre e rileva i meccanismi sotterranei
dell’inconscio, è alla base dei processi che si rilevano nel sogno e nella
schizofrenia; l’inconscio tratta come simmetriche relazioni che nella logica
scientifica non sono considerate tali. Da queste considerazioni, Matte Blanco
muove verso la riformulazione della teoria psicoanalitica; per lo psichiatra cileno
come per Bachtin, il punto di partenza è la comune distinzione tra le due
modalità logiche, la logica bivalente e la logica simmetrica, il monologismo e la
logica carnevalesca.
250 Ivi, p.103.
Osservazioni conclusive
Giunti alla conclusione dell’itinerario attraverso l’opera di Michail Bachtin,
si rende necessaria una breve giustificazione delle scelte che hanno orientato la
ricerca.
Ciò che in primo luogo si è cercato di evidenziare è la dimensione filosofica
dell’opera di Bachtin; ciò che sorregge e orienta i suoi saggi di critica letteraria è
una prospettiva filosofica complessa e unitaria che, se pure non viene esposta
sistematicamente in nessuna singola opera, emerge come struttura portante del
complesso della sua produzione. Non si può forse parlare di un “sistema”
bachtiniano, Bachtin è anzi l’opposto del pensatore sistematico, ma certamente
si ritrovano nel suo lavoro una serie di opzioni teoriche forti, che vengono
trasposte in ambiti d’indagine differenti e che, dall’analisi del complesso della
sua opera, emergono come articolate in un pensiero omogeneo e unitario. Egli
stesso del resto afferma:
la nostra analisi può essere definita filosofica innanzitutto in base a
considerazioni di carattere negativo: non è infatti né un’analisi (una ricerca)
linguistica, né un’ analisi filologica, né un’analisi critico-letteraria, né alcun altro
tipo di analisi specialistica. In positivo diciamo solo che la nostra ricerca si snoda
in sfere limitrofe, cioè lungo i confini di tutte le discipline citate, sui loro punti di
contatto e di intersezione.251
251 Michail Bachtin, Il problema del testo nella linguistica, nella
Nel tentativo di cogliere la dimensione filosofica del pensiero di Bachtin, si
è quindi scelto un itinerario tangente tutte le sfere teoriche in cui questo si è
esercitato, subordinando alla ricerca di connessioni tra le diverse prospettive
l’approfondimento specialistico di singole tematiche. In particolare si è evitato di
insistere sugli aspetti più frequentati del pensiero bachtiniano, ovvero sulle
analisi di critica e storia della letteratura, che, pur essendo straordinariamente
interessanti e suggestive, non offrono spunti di particolare interesse per i fini del
presente lavoro.
Assecondando le indicazioni della teoria del testo bachtiniana, si è cercato,
ovunque trasparivano delle possibilità di raffronto, di verificare le possibili
affinità tematiche tra le trattazioni bachtiniane e altri autori, indipendentemente
dall’esistenza di un legame diretto tra questi e Bachtin. Si è strutturato quindi il
lavoro contemporaneamente su due piani: l’esposizione del pensiero
bachtiniano, attraverso l’analisi dei testi e la ricerca delle influenze dirette che lo
hanno forgiato, e il raffronto contestuale con autori che si sono soffermati sulle
medesime tematiche o che presentano un approccio metodologico affine. Tali
raffronti permettono di scandagliare le potenzialità del testo bachtiniano,
giacché «il testo vive soltanto venendo a contatto con un altro testo» e «soltanto
nel punto di questo contatto di testi si accende una luce che illumina avanti e in-
dietro e rende un testo partecipe al dialogo»252.
A seguito dell’esposizione dei fondamenti semiotico-linguistici delle analisi
bachtiniane si è quindi cercato di chiarirne alcuni punti chiave attraverso il
filologia e nelle altre scienze umane, in L’autore e l’eroe, p.291.252 Michail Bachtin, Per una metodologia delle scienze umane, in
L’autore e l’eroe, p.378.
raffronto con l’opera di Roland Barthes e Louis Althusser, nella convinzione che il
forzare la trasposizione in ambiti storicamente e culturalmente differenti di un
pensiero possa servire alla sua chiarificazione; la scelta è caduta in questo caso
su due autori che, per il comune riferimento ad autori che hanno influito
direttamente anche su Bachtin (Marx, Freud e Saussure), possono essere
ricollegati idealmente alla impostazione teorica del pensatore russo. La
digressione attraverso l’opera di Barthes e Althusser ha permesso in primo luogo
di chiarire le dinamiche specifiche dell’ideologico e di definirne la struttura
sincronica (implicita in Bachtin, esplicitata dall’analisi di Althusser), quindi di
definire le valenze che nel discorso bachtiniano assume il termine “ideologia”,
differenziandolo dalle accezioni che questo ha ricevuto nell’ambito del
“marxismo volgare” e conseguentemente di ridimensionare le critiche rivolte su
questo punto a Bachtin.
Nel capitolo successivo, per chiarire e collocare storicamente il pensiero
psicologico di Bachtin, si è proposta una digressione attraverso l’opera di Lev
Vygotskij, autore accomunabile per molti aspetti a Bachtin; in questo caso, più
che di convergenza tematica si è in presenza di una sovrapponibilità di orizzonti
di ricerca, motivata anche dalla reciproca influenza tra i due autori.
Un ulteriore tentativo di raffronto tra il pensiero bachtiniano e quello di altri
autori viene intrapreso nel capitolo conclusivo; in primo luogo viene considerata
la rilevanza dell’influenza dell’avanguardia scientifica russa sulle elaborazioni
bachtiniane, quindi, in conclusione del lavoro, viene valutata la possibilità di un
raffronto con alcuni scienziati ed epistemologi contemporanei. Questa analisi
muove dall’astrazione dal complesso dell’opera bachtiniana di alcune opzioni
fondamentali, che permettono di cogliere in Bachtin una strategia di pensiero
che si discosta radicalmente dalle tendenze dominanti nel pensiero occidentale
e che si ritrova a fondamento del lavoro degli autori considerati. Pur avendo
limitato l’indagine a un’analisi schematica e intenzionalmente non approfondita,
per non travalicare gli obiettivi del lavoro in corso, da tale raffronto sono
comunque emersi alcuni motivi di notevole interesse che, oltre che approfondire
lo studio dei fondamenti teorici del pensiero bachtiniano, permettono di
coglierne il carattere innovativo e l’attualità.
Dalle analisi svolte è emersa la figura di un pensatore estremamente
eclettico, di grande profondità e coerenza; forse proprio la straordinaria
poliedricità che lo caratterizza e che determina l’impossibilità di ridurne il
pensiero entro formule e schemi angusti è alla base della scarsa e inadeguata
presenza di Bachtin nel dibattito culturale contemporaneo. Paradossalmente il
massimo teorico del dialogo di questo secolo si è sempre trovato preclusa la
possibilità di giocare un ruolo adeguato alla sua statura teorica nella cultura
contemporanea; bisogna muovere dalla rivalutazione e dall’attualizzazione della
sua opera nel suo complesso affinché il dialogo possa cominciare.
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