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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA TITOLO DELLA TESI Informazione e Azione nei siti web del Movimento. Un’analisi di alcuni casi esemplari Tesi di laurea (vecchio ordinamento) in Semiotica del testo Relatore Presentata da Prof. Giovanna Cosenza Oliver Panichi Sessione 1 Anno accademico 2004/2005

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA TITOLO DELLA TESI Informazione e Azione nei siti web del Movimento. Un’analisi di alcuni casi esemplari Tesi di laurea (vecchio ordinamento) in Semiotica del testo Relatore Presentata da Prof. Giovanna Cosenza Oliver Panichi Sessione 1 Anno accademico 2004/2005

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INDICE 1. Alcuni aspetti sociosemiotici delle testualità nel World Wide Web 1.1.La scelta del corpus 2 1.2. Il mediattivismo e Internet 1.2.1. Il mediattivismo 4 1.2.2. Una definizione di media chiusi e media aperti 5 1.3. Il paradosso dell’extratestuale dentro al testo: testo e discorso 8 1.4. Banner o non banner: una questione terminologica 11 2. Analisi del testo Retelilliput.org 2.1. La metafora narrativa 17 2.2. Semiotica della strategia e globalizzazione 21 2.3. Strategie e tattiche in Retelilliput.org 29 2.3.1. Le strategie 30 2.3.2. Le tattiche 44 2.4. L’interdiscorsività , il contagio, le pratiche sociali 46 2.5. Le nuove testualità della Rete e l’agire discorsivo 47 3. Oltre Retelilliput.org. Alcune osservazioni intorno al web 3.1. La teoria delle reti 49 3.2. Portali, rimediazione, regimi di enunciazione 53 3.3. Un tentativo di definizione: i siti inform-attivi 59 Bibliografia 62

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1. ALCUNI ASPETTI SOCIOSEMIOTICI DELLE TESTUALITA’ NEL

WORLD WIDE WEB.

1.1. LA SCELTA DEL CORPUS

Questa analisi semiotica si concentrerà principalmente sul testo costituito dal sito Web Retelilliput.org, cercando di indagare sui suoi meccanismi interni a partire da un’indagine sul contenuto verbale,visivo e plastico di alcune pagine del sito. Questi contenuti offriranno spunti di riflessione sugli aspetti semiotici dei concetti di strategia e tattica, sulla natura peculiare dei movimenti sociali rispetto alle logiche del partito politico tradizionale, sulle logiche di interdiscorsività tipiche nei panorami mediali contemporanei, su alcune problematiche relative all’enunciazione nei testi del Web e, last but not least, sulla struttura della Rete e sulla sua orizzontalità e democraticità comunicativa troppe volte data per scontata al punto da essere entrata nella vulgata comune. Vedremo infatti che la Rete offre al suo interno gerarchie, percorsi obbligati e punti topici; si parlerà del problema del sovraccarico informativo e dei linguaggi chiusi, soprattutto in relazione a quella tendenza alla liberazione della produzione e della fruizione informativa che è stata denominata mediattivismo.

La scelta del testo Retelilliput.org come principale oggetto d’analisi è essenzialmente frutto di queste motivazioni:

- interesse per il discorso sul fenomeno della globalizzazione all’interno del discorso politico e per i testi che questo discorso produce nel Web.

- intereresse per la tendenza contemporanea ad un’informazione e a una comunicazione mediale indipendente dalle logiche politico-economiche tradizionali.

- interesse per le nuove forme della testualità nell’ambiente comunicativo del World Wide Web.

- interesse per quella particolare tipologia testuale che è il portale Web. Nel corso dell’analisi si è sentita l’esigenza di provare una comparazione con altri

siti Web riferibili al movimento dei movimenti1. Data per scontata la sua natura multiforme e eterogenea, si è cercato di selezionare un corpus di testi Web che possa rendere conto almeno in parte di questi diversi orientamenti politici e ideologici, che sia cioè rappresentativo. Questo corpus si è costituito durante l’analisi di Retelilliput,

1 In merito alle possibili definizioni del Movimento dei movimenti, segnalo un articolo di Giuseppina Ciuffreda scritto per il Manifesto un mese prima del G8 di Genova 2001 e poi una intervista a un membro del consiglio internazionale del Social forum mondiale rilasciata a mò di bilancio dopo la sequenza Seattle-Porto Alegre-Genova-Firenze. Gli indirizzi web per reperire queste fonti sono rispettivamente: http://www.ilmanifesto.it/g8/versogenova/3b321892139d8.html http://www.oblo.fbesta.it/wozzup/delroyo.htm

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una volta che si è giunti alla consapevolezza che il genere di testo che ci interessava ci costringeva a mettere in primo piano la questione della pragmatica e dei vari tipi di efficacia (cognitiva, passionale, performativa). Siamo giunti dapprima a formulare il presupposto che Retelilliput.org è un testo che offre informazione organizzando azioni: in termini semiotici, diremo che si ha uno schema di modale che prevede un primo momento regolato da un /far-sapere/, quindi da una manipolazione di soggetti cognitivi e passionali, seguito da un /far-fare/ che organizza performanze di soggetti umani e da un /far-essere/ indirizzato a oggetti materiali. Si è poi passati alla considerazione intuitiva che questo schema sia presente anche in altri siti Web, che sono stati inseriti nel corpus al fine di verificare con l’analisi la fondatezza di tale presupposizione. Questi siti sono italy.Indymedia.org, Attac.org e Rekombinant.org.

Si vede chiaramente come la nostra scelta di testi da analizzare non sia stata data a priori ma sia giunta a concretizzarsi nel corso dell’analisi, in maniera tale che a un certo punto è avvenuta una trasformazione di oggetti empirici (i siti web) in oggetti semiotici (testi da analizzare con metodo semiotico)1. Questo movimento teorico si rende necessario una volta assodato che il metodo semiotico deve essere applicato2 a occorrenze testuali rappresentative poiché non ci è dato di raggiungere l’esaustività e la totalizzazione neanche all’interno di un campo semantico dai confini delimitati. Ci sono molte ragioni di ciò. A noi basta dire che:

- raggiungere la totalizzazione nella ricerca di occorrenze testuali è impossibile o quantomeno poco praticabile per motivi di tempo, spazio e limitatezza insita nella mente umana.

- un corpus di testi non può permettersi di essere totalmente aperto perché, se l’apertura permette un guadagno in varietà di elementi eterogenei, tuttavia provoca una perdita in capacità definitoria e quindi in valore euristico dell’analisi.

- come conseguenza del punto precedente, una volta che l’analista sceglie un corpus di testi chiuso, non può evitare di portarsi dietro le sue presupposizioni intuitive e le sue idiosincrasie teoriche e culturali, che lo influenzeranno nella ricerca delle pertinenze. In altre parole, una volta che si seleziona un corpus, si seleziona uno sguardo; in base a questo modo di vedere si costituirà poi l’oggetto di studio nella sua fenomenologia. ( cfr. Marrone 2004)

1 Come ha segnalato Marrone (2004), oltre alla rappresentatività, nel momento della costruzione di un corpus di

testi bisogna tenere presente un secondo aspetto, che è quello della paradossalità. Ciò vuol dire che la scelta dei testi non deve essere aprioristica ma deve andare di pari passo con l’analisi. Si tratta di una costruzione progressiva di oggetti semiotici a partire da una generica collezione di oggetti non-semiotici. Si troverà dopo ciò che si stava cercando prima.

2 Usiamo la nozione di applicazione nel senso in cui la intende Eco (1984: xi-xii), il quale come noto formula una distinzione basilare fra semiotica generale (costituita da una riflessione filosofica globale sul senso), semiotiche specifiche (grammatiche di particolari sistemi di segni) e semiotica applicata. All’interno di quest’ ultima troviamo quelle pratiche “interpretativo-descrittive” (ibidem) che servono alla comprensione di un testo per le quali non si devono porre questioni di scientificità ma solo di persuasività retorica . L’analisi di un testo viene a essere condivisibile e intersoggettivamente controllabile solo se segue dei principi di coerenza, semplicità e adeguatezza.

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1.2. IL MEDIATTIVISMO E INTERNET

1.2.1 Quello che è stato definito con un neologismo “mediattivismo”1 è un fenomeno di portata globale che ha come antecedente la “controinformazione” nata fra gli anni ‘60 e gli anni ’70. Nasce da una consapevolezza ormai generalizzata del potere sociale e politico dei mezzi di comunicazione e dall’esplosione tecnologica che ha portato alla cosiddetta “società dell’informazione”. La sua origine è principalmente legata al mondo anglosassone ed è stata fatta risalire approssimativamente alle manifestazioni di Seattle nel 1999. Se adottiamo una definizione rigorosa di multimedialità2, potremmo più precisamente parlare di “Multi-media attivismo”, poiché questa attitudine culturale interessa vecchi e nuovi media, ibridati e perciò ri-mediati. Le forme di comunicazione interessate vanno dall’audiovisivo (“Telestreet” o televisioni indipendenti di quartiere, produzioni video individuali in una logica no-copyight), alla radio (tramite lo streaming informatico), toccando la stampa e i suoi vari generi e formati (riviste periodiche, quotidiani) e persino la comunicazione pubblicitaria (le pratiche di cultural jamming e le simulazioni meta-linguistiche di spot famosi3).

La “rete di reti” Internet e il World Wide Web, in quanto “sistemi multimediali di media”, appaiono oggi come il principale contesto d’azione per queste pratiche mediali innovative, anche a causa dell’entusiasmo tipico degli anni novanta riguardo alla struttura reticolare e all’ipertesto (cfr. Cosenza 2004:111, anche riguardo alla distinzione oramai sfumata fra ipertesto reticolare e forma-libro sequenziale ). Insomma, tenendo conto della dialettica fra enfasi ottimistica e rischio di smarrimento effettivo per gli utenti, bisogna prendere con le molle affermazioni come questa di Pasquinelli (a cura di, 2002 :12):

(Il mediattivismo) E’ una nuova attitudine, un modello culturale, una forma mentis che consideriamo centrale nell’umanesimo del mondo a venire (…) Fare media come metafora,

1 Il testo di riferimento è Pasquinelli (a cura di) 2002; pubblicato all’indomani di Genova G8 2001, risente

indubbiamente di un’atmosfera di generale entusiasmo intorno a fenomeni quali il “movimento dei movimenti” ed “il popolo di Seattle”. Tuttavia mi sembra ancora oggi un tentativo apprezzabile di sistemazione teorica delle nuove pratiche di consumo e produzione mediale, anche se per diretta ammissione dei protagonisti il Movimento anti-globalizzazione sta affrontando un periodo di stasi. Come rilevato peraltro nell’introduzione da Pasquinelli, la questione della comunicazione indipendente non è esclusivo appannaggio dell’ambito “movimentista”, ma è una preoccupazione di tutta la società globale. In un momento storico di crisi e svuotamento di senso dei partiti politici e delle istituzioni della democrazia rappresentativa, la “guerriglia semiotica” si trova di fronte un attore sociale inedito, soprattutto per le proporzioni che ha raggiunto ed il suo grado di concentrazione economica: il monopolio mediatico “statuale-commerciale”. Appare invece quantomeno discutibile la tesi filosofica di origine post-operaista (P. Virno, Bifo, Hardt e Negri ecc.) circa la diffusione di un “pensiero unico” contagiato dai media mainstream al servizio dell’”Impero”. In realtà, l’avvento di Internet e di tecnologie di comunicazione low-cost hanno dato una forte propulsione a nuove forme di comunicazione mediatica indipendente proveniente da molteplici settori sociali e da diverse estrazioni politico-filosofiche, non soltanto “movimentista”. Anche l’Impero usa i nuovi media per nuove pratiche di senso.

2 Su questo concetto, cfr. Cosenza (2004 : 9-18) 3 Famoso è il caso dei canadesi di Adbusters, collettivo che ha come scopo esplicito quello di svelare le logiche del

branding e della pubblicità multinazionale tramite operazioni di straniamento di origine situazionista.

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modello, rispecchiamento, tappa fondamentale del fare società e di tutte le altre forme di attivismo e organizzazione. (Pasquinelli: 12,corsivo dell’autore). I media “dal basso” hanno sicuramente una notevole importanza come fenomeno culturale e come laboratorio di innovazioni nella politica e nei generi mediali, però certi toni troppo utopici rischiano di forgiarne un’immagine di panacea di tutti i mali. Ecco dei motivi per giustificare questa affermazione: - l’esistenza del digital divide, cioè il fatto che permangono ancora troppi divari notevoli (generazionali, economici, intra e inter nazionali) nell’alfabetizzazione all’uso delle nuove tecnologie e alle pratiche interpretative su di esse. (Cfr. ad esempio Bentivegna 2002) - i media mainstream terranno ancora per molto tempo il loro primato nella traduzione della realtà per una fetta consistente della popolazione. E ciò non solamente per il loro potere diffusivo dato dall’essere parti di conglomerati economici multinazionali in continua concentrazione: il fatto è che questi operatori mediali sono tuttora quelli a cui molti sono più abituati. - Un panorama mediale sempre più affollato di testi –informativi, di entertainment, di edutainment, etc.- produce inevitabilmente un effetto di smarrimento cognitivo e percettivo. Molti testi, anche se meritevoli, possono non giungere mai al focus d’attenzione degli utenti o addirittura permanere sconosciuti. Altri testi, come vedremo, presentano linguaggi iper-specializzati o autoreferenziali, e scoraggiano l’utente medio. Forse nel futuro prossimo, almeno nel Web, assisteremo alla creazione di macro-generi, segmentati in base alle tipologie di utenti, sempre più mutamente esclusivi. L’esatta dis-topia dell’utopia della Rete.

1.2.2. UNA DEFINIZIONE DI MEDIA CHIUSI E MEDIA APERTI Caratteristica comune di molti siti web di informazione indipendente e “di

comunità” è la nodalità: si tratta del fatto che questi testi costituiscono forme mediali ibride, inedite in quanto a forme dell’espressione e forme del contenuto. La loro natura ipertestuale favorisce questa commistione di generi comunicativi e contenuti. La nodalità è una possibile denominazione della forma dell’espressione di questi testi, che può rendere conto della loro organizzazione topologica, delle dinamiche verticali-orizzontali nelle interazioni fra gli utenti ed i siti ed anche degli stili enunciativi. Per quanto riguarda i contenuti, cioè i sotto-testi all’interno dei siti, un livello d’analisi interessante è quello della meta-medialità. Non è solo il fatto che questi siti abbiano esplicitamente e dichiaratamente una funzione per così dire di Watch-dog sui media tradizionali. Il punto è che questo controllo è esercitato anche in forma indiretta tramite l’uso di testi provenienti da siti d’informazione mainstream,

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“attaccati” sulla pagina o solamente linkati1 tramite un meccanismo di macro-rimandi intertestuali. La nodalità a livello di contenuto indica perciò il fatto che questi siti sono –con modalità diverse– collettori di informazione originale e di informazione “citata” proveniente da altri serbatoi. L’informazione “originale” comprende tutti quei contenuti concepiti appositamente per la determinata situazione comunicativa - semplici messaggi, risposte e controrisposte in modalità chat, ma anche minisaggi più o meno articolati e corposi- mentre i testi provenienti da fonti esterne spesso vengono posti in pagina da uno o più utenti del sito. Insomma, una radicale modifica del tradizionale concetto di gruppo di redazione. Ciò è reso possibile dall’ open publishing2.

Vallauri (2002 : 44) dopo aver sottolineato quanto questa nodalità “sfilacci l’agenda tradizionale dei media”, riporta l’attenzione su un aspetto principale dell’intera questione: il pericolo di sovraccarico informativo. Nel mediascape3 globale, e a maggior ragione in Internet, “le energie dei singoli tendono a disperdersi se non riprese (quindi linkate, riscoperte, rilanciate) da altri” (ibidem). Nel testo citato si parla dei blog e della loro estetica, ma sono considerazioni estendibili anche a presenze in rete più complesse: la dialettica in gioco è fra una condivisione inedita di informazione (controinformazione, informazione alternativa), e un affollamento semiotico di informazione entropica, che tende al disordine e crea disordine in utenti scoraggiati e marginalizzati, sia dalla mole di dati, sia da un linguaggio a volte poco accessibile.

Silvano mcsilvan Cacciari (2002) sembra onesto nell’affermare che non sempre i media “chiusi” coincidono con i vecchi media tradizionali (che seguono la logica del broadcasting, cioè di una comunicazione uno-a-molti), mentre invece i nuovi media reticolari sarebbero media “aperti” tout court. Una volta fatto presente che apertura/chiusura sono la cifra della possibilità di accesso al medium e della comprensibilità dei suoi contenuti (nonché delle “forme di socializzazione” che il medium stesso rende possibili), Mcsilvan dice:

1 I quotidiani on-line più citati mi sembrano, ad un primo sguardo, Repubblica.it e il manifesto.it. 2 L’open publishing è cifra della presenza di informazione “dal basso”: tuttavia, come nel caso di Indymedia, esso

può essere fonte di vari inconvenienti (non controllo delle fonti, turpiloquio, “infiltrazioni” di provocatori esterni al sito). La natura aperta della Rete può dunque essere anche causa di problemi comunicativi.

3 . Il Mediorama (è questa è la traduzione italiana più appropriata del termine inglese) è uno di quei “flussi culturali globali” di cui parla Appadurai (1996: 52). Fuori dalla singolarità di questa prospettiva, “Mediascape” è parola che dissemina le sue tracce perlopiù in testi di riflessione teorica –non è ancora di uso comune e quotidiano– e nelle discussioni sulla comunicazione indipendente e il mediattivismo, spesso via web. Se si visita www.newbrainframes.org oltre ad un utile vocabolario che definisce ad esempio “infosfera” o “informazione critica”, leggiamo la seguente definizione di mediascape: “Panorama costituito dalle emittenti che producono informazione e influenzano l'immaginario e la mente sociale”. Appadurai, oltre alle emittenti, fa rientrare nel mediascape globale anche giornali, riviste, film al cinema e in cassetta o DVD. Credo che vada evitata una connotazione esclusivamente “visiva” del mediascape, che privilegi quindi le forme di comunicazione per immagini; a maggior ragione oggi, nel momento in cui fenomeni come la convergenza dei media (Van Dijk, 1999) hanno reso sfumati confini fino a ieri ben definiti. Il mediascape è oggi popolato da creature ibride, mutanti e soprattutto mutate rispetto a pochi anni fa. Si stanno modificando i confini e le distanze fra gli abitanti di questo spazio, all’interno di fenomeni come la “ri-mediazione”, di cui si parlerà in seguito.

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Potevano definirsi radio e televisione dei media aperti? Sì, perché la loro capacità di funzionare da agenzia di socializzazione oltrepassava qualsiasi firewall linguistico e comportamentale, qualsiasi protezione semantica di pratiche discorsive di ceto sociale”. (Cacciari, 2002).

Si sentono gli echi di una sociologia dei media ottimista, come per esempio quella di Meyrowitz (1985) quando parla con un certo determinismo tecnologico della Tv come “propulsore” della modernità, che diffonde conoscenza negli strati meno acculturati, svelando retroscena sociali prima inimmaginati e permettendo una democratica e trasversale condivisione di saperi e informazioni: saperi comportamentali e simbolici, ma anche informazioni e immagini di tempi e spazi “altri”, che creano una comunità globale che va oltre il senso del luogo (è questa la traduzione del titolo “No sense of space”).

Comunque, ciò che qui conta dire è che l’avvento della Rete Internet non segna una cesura definitiva fra un prima segnato dalla chiusura e un dopo all’insegna dell’apertura: al contrario, l’apertura di un media va vista come categoria analitica alla luce della quale osservare sia un sito web di informazione alternativa o “di movimento”, sia un canale di Tv generalista. Il medium chiuso è specializzato1, si rivolge ad un bacino di utenti ristretto, usa codici e linguaggi difficili e/o autoreferenziali; il medium aperto invece si propaga all’interno di una comunità reale/virtuale inclusiva al massimo grado (anche questa caratteristica, come si vedrà, può essere causa di disguidi e distorsioni).

Gli ottimismi esagerati sulle nuove tecnologie devono fare i conti con questa realtà: chi naviga nella Rete può incontrare perigli semiotici e arenarsi in fondali linguistici, cioè può incontrare siti chiusi davanti a cui si sente marginalizzato. Un media è chiuso in quanto utilizza un linguaggio autoreferenziale; anche se utilizza forme di comunicazione orizzontale che potrebbero far pensare ad una situazione di ideale partecipazione comunicativa, tuttavia tratta contenuti specialistici usando un linguaggio che a molti può risultare incomprensibile. La specializzazione insomma è altro dalla pura verticalità2. Citando una ricerca della e-zine sociologica “Cybersociology” del periodo ‘97-’99 (www.socio.demon.co.uk/magazine/magazine.html), Mcsilvan rileva come “le pratiche discorsive dei movimenti in rete si riproducano secondo dinamiche di chiusura autoreferenziale e non solo quindi attraverso i codici di orizzontalità che destrutturano i dispositivi di chiusura dei media tradizionali” (ibidem: 51).

1 La specializzazione del linguaggio adottato da un media non ha nulla che vedere con la sua diffusione

“orizzontale”, cioè secondo un modello molti-a-uno o molti-a-molti. 2 La verticalità mediatica per antonomasia è quella della “vecchia” TV generalista: il flusso comunicativo segue una

dinamica top-bottom , o uno-a-molti.

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1.3. IL PARADOSSO DELL’EXTRATESTUALE DENTRO IL TESTO: TESTO E DISCORSO

Le nozioni di testo e di discorso sono in stretto rapporto tra loro, secondo

dinamiche descritte diversamente da vari autori. Il concetto di discorso sta senz’altro ad indicare qualcosa che sta aldilà del testo, alla stessa maniera in cui il concetto di testo è chiamato in causa per poter compiere analisi su di un oggetto pratico e teorico che inglobi in una unità coerente parole, sintagmi e frasi –nel linguaggio verbale- o formanti plastici, cromatici ecc. nei linguaggi visivi: è pacifico che la “chiusura” del testo sia un preliminare indispensabile al corretto svolgimento di un’analisi semiotica (Pezzini 2001).

Questo aldilà del testo, nelle parole di Marrone (2001: xxiii), sarebbe di tipo “eminentemente contestuale, dato dalle attività produttive –sia emissive sia ricettive- che rendono possibile l’esistenza dei testi stessi”. Detto in questi termini, il concetto di discorso potrebbe evocare il famoso “contesto” delle teorie sociologiche, se non fosse per il fatto che gli studi afferenti a questo campo negano la semioticità del contesto, lo trattano come realtà sociale esclusivamente materiale, come un fatto empirico dato una volta per tutte, non come un effetto di senso sempre in divenire. La semiotica invece non fa differenza fra sistemi di segni e azione, fra forme di comunicazione e comportamenti umani concreti, fra linguaggi e situazioni sociali. La scienza del senso si è dunque trovata a fare i conti con un paradosso: se da una parte tutta la scuola generativa poteva dire che “fuor dal testo non v’è salvezza” negando apparentemente la pertinenza all’extratestuale, proprio questo extratestuale buttato dalla porta rientrava dalla finestra. La semiotica infatti ha superato la diffidenza verso il contesto inteso unicamente come variabile sociologica non pertinente per i processi di significazione, ed ha iniziato ad interessarsi, diciamo così, dell’azione che sta nel linguaggio (teorie degli atti linguistici, oppure Barthes che studia la frase “io ti amo” come enunciato performativo1) e del linguaggio che sta nell’azione (per esempio gli studi di Floch sull’andare in metropolitana, o la semiotica dello spazio, degli oggetti).

Si è sentita la necessità di andare oltre al testo come “scatola chiusa”in cui “tout se tient”, tutto si regge nell’immanenza delle relazioni interne. L’extratestuale è ri-diventato pertinente: ciò vuol dire che il motto greimasiano è stato tradito? Oppure invece vuol dire che il testo non è un’entità chiusa sterilmente in sé, ma è qualcosa di aperto (in entrata e in uscita, verso altri testi e altre semiotiche) e che in quanto tale è naturalmente portato a “uscire fuori di sé”? Bisogna propendere per la seconda ipotesi: la macchina testuale che studiamo è in una certa misura autosufficiente, nel senso che traccia al suo interno le linee della sua significazione2, però ad un altro livello andare “fuori dal testo” non è tradire il testo stesso, perché questo “fuori” in 1 Il secondo esempio è tratto da. Marrone (2001: xxv) 2 L’atteggiamento cosiddetto testualista, che ha in Greimas il capofila, è stato criticato da più parti, soprattutto per quanto riguarda l’analisi di testi letterari e poetici: tuttavia, come rileva la Pozzato, “Greimas stesso ha affermato più volte, del tutto onestamente, che ridurre il testo letterario alle strutture semio-narrative avrebbe costituito un impoverimento estremo e inopportuno dell’oggetto” (Pozzato 2001:144).

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realtà è dentro il testo stesso. Il “contesto dei sociologi” sta veramente fuori dal testo, perché è una realtà ad esso incommensurabile, di un altro ordine di grandezza, e il suo studio comporta l’uso di strumenti di una diversa natura. La nozione di discorso, invece, prende luce dalla nozione di testo e permette di illuminarla a sua volta: permette di allargarne la portata e lo sguardo, limitando quelli che potrebbero essere i vizi teorici di chi vede testi dappertutto, scambiandoli per entità già date ontologicamente e non invece costruite ai fini di un’analisi efficace. Il testo perde la sua irreale natura di “scatola chiusa”, estraneo dal sociale, avulso dalla vita concreta o piuttosto dalla rappresentazione che ci diamo di essa.

L’ExtraTestuale, prima aborrito, diventa così qualcosa di pienamente semiotico e quindi pertinente per l’analisi di diverse forme di testualità. Il discorso è proprio questo E.T. con cui dobbiamo venire ad avere un incontro ravvicinato: parafrasando Marrone, diremo che se siamo abituati a vedere il testo come un prodotto, allora dovremo abituarci a vedere il discorso come produzione, enunciazione1, effettivo funzionamento di un sistema di segni in un’evenienza concreta, che ha come immediata conseguenza il dispiegarsi di una testualità e il costituirsi di una o più soggettività (individuali, collettive). La discorsività è la strada della testualità, nel senso che fa percorrere all’automobile dell’enunciazione le direzioni più consone al sistema di regole in cui esso si viene a trovare e alla meta che deve raggiungere. Certo, una strada può essere percorsa con prudenza, velocemente, zig-zagando…. Fuor di metafora:

Il discorso, in tal modo, è sia un’entità linguistica sia un processo sociale, è l’insieme delle regole del linguaggio (di

qualsiasi linguaggio) che vengono concretamente vissute, esperite, e dunque si affermano all’interno di spazi intersoggettivi più o meno ampi, siano quelli di una conversazione a due o quelli di un’intera organizzazione culturale. Ma il discorso è anche, cambiando punto di vista, l’insieme delle costrizioni socioculturali che, per così dire, agiscono sulla lingua, la permeano e la ricostituiscono, con tutto il peso delle entità consolidate dagli usi semiotici condivisi e ripetuti, di quegli stereotipi che rimodellano i codici linguistici limitando la libertà espressiva del singolo individuo. (Marrone 2001, p. xxv, corsivi miei)

Ha importanza evidenziare il fatto che si stia parlando di regole riferibili a

qualsiasi tipo di linguaggio, per sgombrare l’equivoco che relega la nozione di discorso al solo campo del linguaggio verbale. Le regole della discorsività agiscono sul livello sintagmatico (processuale) del linguaggio e ciò vale sia per le pratiche linguistiche (comportamenti verbali) sia per le pratiche non linguistiche, ossia i comportamenti somatici significanti, manifestati attraverso gli ordini sensoriali (Greimas e Courtés, voce “discorso” del Dizionario)2. Nel campo delle pratiche linguistiche queste regole “prescrivono” ad esempio la linearità del significante. Come processo sociale, invece, il discorso va a essere definito come insieme di

1 Per E. Benveniste, l’enunciazione costituisce la “messa in discorso della lingua” 2 I due autori, nella stessa pagina, dicono anche che, rispetto alle pratiche linguistiche, il termine discorso è sinonimo di testo mentre, rispetto alla linguistica, è sinonimo di enunciato. Tra breve vedremo che Marrone non è d’accordo, preferendo mantenere separati questi concetti per renderli entrambi operativi.

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vincoli1 alla libertà espressiva di un individuo all’interno della sua realtà socioculturale. Questi vincoli derivano dagli usi che sono venuti a sedimentarsi all’interno della prassi accettata in una qualsiasi semiotica.

Se prima si parlava di regole basilari, quasi fisiche, come ad esempio la planarità del discorso pittorico bidimensionale, adesso si tratta di regole che influiscono su di un secondo piano del linguaggio, che concerne valori e connotazioni dei testi. In questa seconda accezione, spunta fuori il tanto dibattuto problema dei generi di discorso e ci si sposta dal piano sintattico al piano semantico e assiologico. Infatti qui si impone la separazione teorica fra testo e discorso: i testi nel mondo si distinguono fra di loro perché appartengono a generi diversi, e non solo perché trasmettono contenuti differenti. Semplificando, si può dire che ogni testo fa parte di almeno un discorso, mentre non è detto che ogni discorso informi di sé dei testi. Possono esserci discorsi che ancora non si sono attualizzati in testi esistenti, discorsi “inediti e futuri”, che forse non possiamo neanche immaginare, ma che non possiamo escludere a priori: prima di Copernico e Galileo, ad esempio, il discorso scientifico come lo conosciamo oggi era inimmaginabile.

Comunque, come dice Marrone (2001), il fatto che un testo venga classificato in un genere di discorso piuttosto che in un altro fa sì che esso si trovi ad avere funzionalità semantiche molto diverse2. Per Greimas e Courtés, in una terza accezione di discorso come “campo semiotico relativo ad un contesto culturale dato”, l’analisi della connotazione sociale dovrebbe precedere l’analisi sintattica e semantica: “la tipologia dei discorsi, suscettibile di essere elaborata in questa prospettiva, sarà dunque connotativa, propria a un’area culturale geograficamente e storicamente circoscritta, senza rapporto con lo statuto semiotico dei discorsi stessi” (Dizionario :109)3. Marrone, in maniera un po’ diversa, ribadendo quanto la discorsività sia da intendere come nozione semantica, sottolinea che, se stiamo analizzando un tipo di discorso, possiamo relativamente trascurare il piano dell’espressione dei testi su cui stiamo lavorando, cioè lo “statuto semiotico” di cui parla Greimas. Ciò che conta sono i temi e le configurazioni discorsive, le peculiarità con cui si organizzano spazio, tempo e

1 Preferisco la parola “vincoli” rispetto a “costrizioni”, perché in realtà non c’è nessuno che punta la pistola alla testa a coloro che –per scelta o meno– si sottraggono al peso di un discorso semioticamente (e socialmente) accettabile. Non siamo veramente “costretti” a limitare la nostra libertà espressiva, neanche nel caso limite in cui il linguaggio che usiamo abbia le caratteristiche dell’idioletto, o nel caso in cui le nostre connessioni semiosiche prendano strade inesplorate. Il peggio che ci possa capitare è di essere presi per pazzi –e magari, successivamente, per grandi artisti– e risultare incomprensibili all’utente medio del sistema semiotico in questione. Preferisco l’idea di vincolo, da intendere piuttosto (ad esempio) con l’immagine dell’uomo mentre cammina: nulla, tranne la scomodità, impedisce (a chi ci riesce) di deambulare sulle braccia invece che sulle gambe, però camminiamo sulle gambe, perché così riusciamo meglio a compiere le azioni della nostra quotidianità. Ciò non toglie che, con molta abitudine e sforzo, un giorno Tizio possa riuscire a mangiare il gelato a testa in giù: allora il vincolo della postura eretta sarebbe in parte risolto e, se Caio imita Tizio, questo strano atteggiamento potrebbe diventare uso diffuso e poi anche consolidarsi. Cambierebbe così il paradigma discorsivo del camminare, in barba alle precedenti costrizioni ineluttabili. Nulla impedisce realmente di creare inedite connessioni sintattiche o escogitare sistemi semantici inconsueti. Al limite, possiamo anche inventare (ad es.) lessemi arbitrari. Non lo facciamo perché siamo vincolati ai lessemi “ordinari”, che ci sono convenienti, e non perché siamo costretti alla non-invenzione.

2 A pag. xxvii di “Corpi sociali”, c’è un illuminante esempio riguardo la famosa campagna pubblicitaria Benetton di Oliviero Toscani, con i suoi contenuti politico-sociali inseriti appunto in un discorso pubblicitario.

3 Greimas, in “Per una sociologia del senso comune” (1970), studia le connotazioni sociali nella lingua naturale, individuando quattro zone o campi di contenuto connotato.

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attori. Comparando testi che usano differenti sostanze1 espressive, la strada migliore da seguire è considerare il discorso specifico che questi testi svolgono presi nella loro globalità, a prescindere dalle unità di manifestazione prese nella loro località. Non è possibile “paragonare una parola a un’immagine, un fotogramma a un accordo musicale, ma possiamo comparare un intero romanzo a un intero film, l’episodio di un poema epico a un quadro, una poesia a un balletto” (Marrone 2001: xxiv).

Ferraro si trova sulla stessa linea, affermando che “il senso risieda soprattutto nel disegno globale, non realizzato a livello locale dai singoli testi ma rintracciabile attraverso e al di là di questi” (Ferraro 2003, corsivi dell’autore). E’ in ballo l’idea classica di intertestualità vista ancora come “evento di dimensione locale”, che trascura il fatto che “la totalità del testo, e di qualsiasi testo, richieda un riferimento alla rete di relazioni che lo collega ad altri testi” (corsivo mio). L’interessante articolo di Ferraro verrà ripreso più avanti, in quanto contiene spunti di rilievo per lo studio delle forme di testualità peculiari contenute in quello che egli chiama “l’universo non isolante del Web”.

In definitiva, si può dire che, fermo restando la non-identificazione fra i concetti di testo e discorso, ad una visione “allargata” del testo corrisponda una altrettanto larga e aperta visione della discorsività. Cosa significa ciò? Significa che i discorsi sociali (forse il vero oggetto di studio della sociosemiotica) non sono fermi e statici ma si rigenerano continuamente, informano testi che a loro volta tracciano linee di senso verso altri testi appartenenti ad altri discorsi. Lo spazio globale in cui avvengono questi passaggi è stato definito da Y. Lotman semiosfera (culturale), il meccanismo che li regola è stato chiamato traduzione (testuale e discorsiva), gli esiti possibili di questi scambi rientrano nella definizione di “tradimento”: un tradimento che però, se può scatenare gelosie, scatena anche ulteriori testi e discorsi. Insomma, un tradimento più o meno fecondo, che smuove le acque della cultura2 di una società.

1.4.BANNER O NON BANNER: UNA QUESTIONE TERMINOLOGICA Come è noto, il banner rappresenta attualmente la forma di pubblicità più diffusa

del Web (cfr. Polidoro 2002). In questi termini, dunque, sarebbe lecito parlare di banner solo per quelle cornici (fisse, in movimento, orizzontali, verticali etc.)

1 Nel senso in cui ne parla L.Hjelmslev. 2 Riportiamo una delle più recenti definizioni di cultura per mano di Umberto Eco, che mi sembra pertinente in

questo discorso sul discorso: “La cultura, quel complesso di idee, nozioni, dati, memorie che chiamiamo Enciclopedia, è la somma di tutte le cose che una data società (o l'umanità nel suo complesso) ha deciso di ricordare. Ma essa non agisce solo da contenitore. Agisce anche da filtro. La cultura è anche capacità di buttar via ciò che non è utile o necessario. La storia della cultura e della civiltà è fatta di tonnellate di informazioni che sono state seppellite (….) In un certo senso, però, questo è servito alle diverse culture per ringiovanirsi partendo da zero, per poi recuperare gradualmente il perduto.”( La bustina di Minerva , L’espresso numero 50 2004) Forse sono proprio i discorsi sociali a fare da filtri nel mare culturale, selezionando l’utile.

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contenenti messaggi pubblicitari e/o link ipertestuali ai siti delle aziende o dei prodotti pubblicizzati. Sarebbe dunque una forzatura terminologica usare questa denominazione per definire quegli spazi testuali di una pagina web che contengono il titolo del sito e che come da generale consuetudine si trovano in alto alla pagina e in posizione centrale. Poiché qui stiamo analizzando un ristretto corpus di “siti del movimento”, riserveremo questa apparente forzatura ai “titoli” di questi siti web, senza pretendere nessuna generalizzazione oltre il campo di pertinenza di questa analisi. La nostra ipotesi consiste nell’adottare le categorie d’analisi introdotte nello studio dei banner pubblicitari e provarne l’efficacia su una classe di oggetti distinta, quale ad esempio la classe che comprende i “titoli” sottostanti.

fig.1

fig. 2

Fig. 3

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Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Dopo aver analizzato questi mini-testi, ci si renderà conto che avremo trovato una denominazione più elegante e soprattutto più pertinente rispetto ad altre, quali ad esempio “titoli” o “testata”. Questa denominazione sarà per l’appunto “Banner”, sebbene bisogna riconoscere che questi esempi costituiscano una sotto-classe (Banner “di movimento”?) all’interno della macro-classe dei Banner pubblicitari. Andiamo con ordine, vedendo a quali pagine del sito Retelilliput.org corrispondono i banner che mostriamo:

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Sezione del sito Figure del mondo riconoscibili Fig. 1: Prima pagina, Economia solidale,

Vita da rete un numero indefinito di

manifestanti, striscioni della pace, per la Justicia, uno stendardo con l’iscrizione “Drop the debt”

Fig. 2: Ambiente prati verdi, colline, fumi di ciminiera industriale

Fig. 3: Non violenza manifestazione (pacifista?), stretta di mano fra una donna e un personaggio di cui si vede solo il braccio destro, la famosa immagine dello studente cinese a piedi contro il carro armato durante gli scontri di Piazza Tien An Men del 1989.

Fig. 4: Commercio monete di varie dimensioni, banconote sovrapposte, viso di George Washington (quindi si tratta di dollari americani)

Fig. 5: Diritti assemblea (ONU?, FAO?), mani che stringono pugni di riso e altri cereali

Fig. 6: In movimento si tratta del minitesto che presenta il più alto grado di astrazione – o, il che è lo stesso, il più basso grado di figuratività– all’interno del gruppo che stiamo considerando. Si intravede la scritta “Forum social mundial” sulla destra, mentre la metà sinistra è occupata da piccole figure lontanamente antropomorfe (degli omini In movimento, appunto). Il forum social mundial è presumibilmente quello di Porto Alegre, uno dei primi eventi mondiali che hanno dato visibilità off-line al movimento lillipuziano.

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Già ad un primo sguardo intuitivo ci rendiamo conto di una analogia per certi versi sorprendente fra questi minitesti del portale1 Retelilliput ed una particolare classe di banner pubblicitari oggi molto diffusa, analizzata in dettaglio da Polidoro (2002).La prima caratteristica di questa classe –all’interno di un universo molto vasto, come è quello dei banner appunto- è la sua struttura ternaria, cioè il fatto che nei suoi esemplari si ha alternanza di tre diversi momenti, che corrispondono di solito a tre slides (anche se esistono banner in cui uno di questi "momenti", o termini, può essere composto da più slides). All’interno di questa classe a struttura ternaria, Polidoro ha individuato una sotto-classe caratterizzata dalla presenza di questi tre elementi ricorrenti (schema tratto dal sito web di Piero Polidoro):

brand: ha la funzione di visualizzare il marchio (cioè l'insieme di nome e logo, il brand appunto) del prodotto o della società che si vuole reclamizzare;

topic: comunica l'argomento della pubblicità, rispondendo alla domanda "Cosa posso fare con questo prodotto? A cosa mi serve?". Essendo la parte più pratica dell'annuncio deve attenersi strettamente alle massime conversazionali;

accento: è l'elemento destinato ad attirare l'attenzione. Solitamente è costituito da uno slogan (headline, in gergo pubblicitario), ma può essere anche una struttura domanda-risposta, o ancora una semplice domanda a cui risponde il brand.

Ci pare di rintracciare la presenza di questi tre elementi anche all’interno degli oggetti del nostro piccolo corpus, sebbene nel nostro caso non si ha successione di slides bensì una loro compresenza sulla stessa superficie. Infatti:

Brand: sebbene Retelilliput.it non sia un sito di un’azienda, è possibile rintracciare nelle sue pagine la funzione comunicativa “Marchio” (riconoscibilità, identità etc.). Il nome è retelilliput, il logo è il disegno composto dalla sfera (…mondo, pianeta..) e dalle due piccole ali bianche ai suoi lati. Anche fuori dall’ambito del discorso pubblicitario, ci sembra che si possa ugualmente parlare di brand, in quanto visualizzazione grafica di un’identità collettiva differenziata da altre identità. Ciò che cambia è il contratto comunicativo ed enunciazionale fra la marca e l’enunciatario-fruitore del testo.

Accento: “Per un’economia di giustizia” costituisce uno slogan presente su tutte le pagine del sito, un vero e proprio leit-motiv, paragonabile all’headline dei testi pubblicitari per la sua presenza pervasiva. Inoltre non è difficile vedere questo slogan

1 Questa è la prima volta che poniamo il testo Retelilliput.it nella tipologia dei portali. In seguito forniremo delle motivazioni più esatte per questa collocazione e per le conseguenze che essa comporta. Per adesso, basta dire che il portale è una delle tipologie di siti web oggi più diffuse, caratterizzato da un aspetto visivo abbastanza costante (linee rette e perpendicolari, forme rettangolari, colori fondamentali e saturi) e da dispositivi (cornici, linee, piccoli sfondi colorati) che hanno la funzione di organizzare i testi più brevi che compongono la pagina. (cfr. Polidoro 2002, Polidoro sito web personale)

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anche sotto le vesti di una risposta ad alcune domande: “Cosa esalta questo sito? Qual è il valore profondo del suo agire comunicativo?”. La risposta è appunto “un’economia di giustizia”. La presenza di questo meccanismo comunicativo è una spia in più che rivela ulteriori affinità con il discorso pubblicitario.

Topic: si tratta dell’aspetto maggiormente peculiare del nostro corpus e che merita una riflessione maggiore. Come evidenziato sopra, i sei oggetti del nostro corpus sono legati ad altrettanti sezioni del sito web (Prima pagina, Ambiente, Non violenza etc.). E non si tratta di un legame casuale –come potrebbe esserlo? – ma di un’associazione motivata su basi iconografiche, tematiche e simboliche. Monete e banconote fanno chiaramente parte del medesimo campo semantico “commercio”, così come prati e colline per il campo “ambiente”. Nel caso dell’immagine dello studente di Piazza Tien An Men l’associazione è meno motivata, oserei dire che siamo di fronte ad un rapporto quasi-simbolico: il lettore abbastanza competente inferirà correttamente la comune cornice valoriale fra lo studente cinese e la non-violenza (e ciò gli potrà aprire il cammino per ulteriori e meno scontate inferenze). Il lettore meno competente rimarrà un po’ spiazzato, per lui l’associazione potrà risultare arbitraria –perché no?. E’ come per la colomba segno di pace: in termini peirceani, questo segno costituisce un simbolo, in quanto la relazione fra significante e significato è arbitraria e convenzionale, stabilizzata dall’uso e dall’habitus. Se nel testo pubblicitario il topic è la risposta alla domanda “cosa posso fare con questo prodotto?”, qui la domanda è “di cosa parla questo testo?” (che poi sarebbe qualcosa di molto vicino alla definizione stessa di topic-token, Eco 1979). Il topic è dunque l’argomento della pagina. Ciò che qui conta è il fatto che siamo di fronte ad un topic grafico, visivo, cosa del resto comune anche ad alcuni messaggi pubblicitari. Se in testi non-sincretici, come ad esempio un testo letterario stampato nella forma di libro non illustrato, il topic può essere dato dal titolo o esplicitato lessicalmente, qui è l’immagine che con il suo potere evocativo stabilisce i contorni ed evidenzia i tratti semantici salienti. Ad esempio, nella sezione “Diritti” potremmo aspettarci di trovare svariate figure e/o motivi, invece vediamo delle mani piene di cereali e comprendiamo che la pagina non parla, che so, di diritto alla casa o allo studio, bensì di quello che per molti è il diritto primario e inalienabile dell’uomo, il diritto al cibo. Nella sezione “In movimento”, noi non possiamo pensare al movimento fisico (sic) o a qualsiasi tipo di movimento, ma siamo invitati a pensare al Forum social mundial, un referente dai connotati ben precisi. Questi topic grafici sono se vogliamo delle mini-narrazioni che organizzano sintagmaticamente spazi, attori e relazioni interattoriali: un’ulteriore conferma di ciò è la compresenza di due o più oggetti distinti, che “sfumano” fra loro nel piano dell’espressione della cornice, quasi a voler suggerire rapporti causali sul piano del contenuto e relazioni profonde (narrative, appunto) fra le situazioni compresenti. Questi topic grafici violano le massime conversazionali? Credo di no, forse l’unica massima ad essere violata è quella del Modo (in particolare “evita l’oscurità di espressione”), in quanto le figure del mondo testualizzate, se pur riconoscibili nei loro tratti specifici principali, possono a volte permanere oscure in alcuni loro tratti secondari (ad esempio, a quali specifiche

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manifestazioni per la Justicia e per la pace ci si sta riferendo? Dove sono accadute?). Ma forse questo aspetto non è molto importante, l’effetto di senso previsto dall’enunciatore rimane garantito. Non è come per quei banner pubblicitari in cui non si capisce neanche qual è il prodotto che si sta promuovendo1. Anzi, forse qui una certa indeterminatezza comporta certi effetti emotivo-passionali nel fruitore del sito, influenzando positivamente la sua efficacia comunicativa. Non ci occuperemo di questi tratti estesici e patemici, anche se sarebbe molto interessante.

In definitiva, l’individuazione di questi topic visivi ci ha reso ancora più convinti di quello che è un assunto di base di qualsiasi ricerca sui siti web, e cioè che nel funzionamento di questi testi sincretici (e spesso multimediali) la componente visiva e grafica è determinante nella costituzione di una configurazione discorsiva e nella modulazione degli effetti di senso, in particolare quelli legati al registro passionale ed affettivo.

Dopo tutto questo discorso, perché dunque non chiamare banner queste cornici testuali? Proveremo a vedere se, dopo analisi di altri siti “del movimento”, sarà possibile coniare una denominazione per questi strumenti testuali (banner “sociali”?, banner “di comunità”?). Ciò che sottolineiamo ora è che usare la denominazione di banner per gli oggetti del presente corpus non ci ha creato problemi né incoerenza, anzi ci ha facilitato la via per l’indagine e ci ha illuminato su alcuni meccanismi comunicativi che riteniamo comuni a tipi di discorsi sociali anche molto distanti fra loro (es. il discorso pubblicitario ed il discorso politico non tradizionale, o “movimentista”). Ci ha insomma fatto capire a maggior ragione quanto il meccanismo dell’intertestualità (cfr. Ferraro 2003) sia determinante nei panorami testuali del World Wide Web. Anche da qui passa la sfida al concetto di testo. Per concludere, l’ultimo motivo di questa sfida terminologica è il seguente: “esportare” l’uso del termine Banner a diversi tipi di cornici testuali del web può essere utile in vista del raggiungimento di un linguaggio descrittivo (e operativo) della testualità dei nuovi media, il più possibile comune e condiviso, sia da chi produce i testi, sia da chi li interpreta navigando, sia da chi li studia con occhio semiotico.

1 Polidoro (2002) cita esempi del genere, all’interno di un’indagine sulle migliori tattiche comunicative per rendere

un banner (e anche un portale) il più efficace possibile in relazione agli scopi comunicativi che l’enunciatore si è preposto.. Un esempio della operatività della semiotica nella progettazione e produzione di testi (pubblicitari).

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2. ANALISI DEL SITO RETELILLIPUT.ORG

2.1. LA METAFORA NARRATIVA

L’enunciato nella cornice è chiaramente diviso in due parti, che si distinguono per dimensioni del carattere e tinte cromatiche. E’ una distinzione che possiede valore semantico, in quanto /retelilliput/ indica il nome del sito, mentre /per un’economia di giustizia/ rappresenta per così dire la ragione sociale: un po’ come nei quotidiani abbiamo la testata e sotto una denominazione che può specificare l’organo di riferimento del giornale, la sua collocazione ideologica o politica. Ad esempio “Il Manifesto”, “quotidiano comunista”. Si tratta di un’ulteriore conferma del fatto che ci troviamo di fronte a un caso di ri-mediazione di generi comunicativi, come vedremo in seguito. Credo che la testata /Retelilliput/ possa essere analizzata come un micro-testo condensato, il cui contenuto ci può dare molte informazioni importanti riguardo al testo nella sua interezza. Ritengo che possa essere produttivo vedere questo micro-testo come una metafora, sebbene di un tipo un po’ particolare.

Sulla metafora esiste una bibliografia vastissima, all’interno della riflessione filosofica, retorica, letteraria, psicologica, semiotica. Solo marginalmente però, e per lo più in questo secolo, ci si è interrogati sulla sua natura euristica e dunque sulla sua portata cognitiva (cfr. Lorusso 2005: 7). Nella teoria semiotica di Umberto Eco (cfr. Eco 2005, in cui l’autore aggiorna le sue posizioni esposte precedentemente in Eco 1984) il potere cognitivo della metafora sta nel farci conoscere meglio il mondo in cui viviamo: si badi bene però che per “mondo” non si intende un insieme di proprietà reali o ontologiche ma un insieme di proprietà culturali organizzate in forma di Enciclopedia (cfr. Eco 1984). Per cultura si intende il modo in cui ci rappresentiamo il mondo in cui viviamo. All’interno di questa rappresentazione, la metafora è quel processo conoscitivo per cui si viene a costruire un insieme inattesamente adeguato (Eco 2005: 271) di proprietà culturali relative al contenuto di espressioni distinte (cfr. Eco 2005: 258, 275, 284-289).

Paolo Fabbri ci offre una definizione di metafora chiara e accessibile, che offre interessanti spunti di riflessione: una metafora si presenta come un enunciato che mette in collegamento una parola1 con un’altra grazie ad alcune proprietà che hanno in comune (Fabbri 2001). Il modello classico di metafora è una frase del tipo “Quella

1 Occorre precisare che non esistono solo metafore verbali, ma anche metafore visive e musicali. Anche alle

metafore di genere non verbale si potrebbe ascrivere una dimensione conoscitiva (cfr. Lorusso 2005: 19), tuttavia gli studi in merito si trovano ancora agli esordi.

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donna è una rosa”; si tratta di un procedimento retorico che ha importanti implicazioni cognitive perché apporta un incremento di informazione sul significato delle due parole, e quindi un incremento di conoscenza per chi la interpreta correttamente e anche per chi la produce nel suo discorso. In realtà, nel linguaggio verbale ordinario esistono le cosiddette metafore “morte”, rese trite dall’uso1, che usiamo senza accorgercene. Da queste formule consuete non ricaviamo un grande apporto conoscitivo, soprattutto perché vengono usate automaticamente, senza rifletterci su. Ci accorgiamo del vero potenziale della metafora quando incontriamo o produciamo accostamenti inconsueti, enunciati inediti che mettono alla prova il nostro senso comune e il nostro discorso ordinario. In queste evenienze comunicative ci accorgiamo della vera forza della metafora, che ci conduce su strade di senso inesplorate regalandoci un occhio nuovo con cui vedere la realtà o con cui costruirla tramite il linguaggio. Se dico /Piero è una pecora/ abbiamo una metafora del primo tipo, se invece dico /Agnese è una sigaretta/, probabilmente dobbiamo compiere un numero maggiore di inferenze, sia su Agnese che sulla sigaretta, per poter vedere cos’hanno in comune in realtà. Potrebbe essere che Agnese sia bionda, che sia magra e sottile, che faccia male alla salute, ed altro ancora. Possiamo pensare a metafore ancora più spiazzanti: teoricamente non abbiamo nessun limite.

Tornando a /Retelilliput/,si potrebbe dire che non si tratta di metafora perché le due parole non sono collegate da un verbo. Guardando la cosa un po’ più in profondità, si potrebbe invece pensare in termini di enunciazione, dicendo per esempio che l’istanza di enunciazione di questo testo Web si rivolga al suo enunciatario dicendo “io, il testo che tu hai di fronte, sono la rete di lilliput”. Non importa che “io” sia un pronome. Come nota Fabbri (2001), si possono dare metafore pronominali anche se la nostra tradizione retorica accetta l’idea di metafora solo quando i due termini sono due veri e propri nomi; anzi, queste metafore sono particolarmente interessanti per la semiotica, in quanto indicano che “all’interno di testi molto diversi, l’istanza della soggettività può essere trattata metaforicamente”(ibidem: 58).

Seguendo la definizione di Fabbri, ritengo che /Retelilliput/ sia una metafora narrativa. Vediamo perché.

Ci troviamo qui di fronte qualcosa che va oltre il mero collegamento fra due parole, cioè una metafora lessicale. Non si tratta neanche di una metafora enunciazionale, o almeno non si tratta solamente di questo.2

La testata /Retelilliput/ possiede valenze distinte nell’economia semiotica di questo testo. In primo luogo, svolge per così dire una funzione referenziale in quanto lì fuori, nel mondo off-line, esiste qualcosa, un’entità, che si chiama Rete di Lilliput. Il testo Web che abbiamo di fronte ne costituisce la proiezione nello spazio informatico del World Wide Web. La presenza di una testata “ci garantisce” che quello che appare sullo schermo del nostro PC è il sito –la traccia di presenza online– della realtà Retelilliput e non di un altro movimento, che so, Indymedia. Di conseguenza, la

1 In termini tecnici, il processo di incorporazione di una metafora nel linguaggio ordinario si chiama catacresi. 2 Una metafora enunciazionale potrebbe essere quella che compie una donna un po’ vanitosa dicendo “io sono una

rosa”.

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testata svolge una funzione di primo simulacro dell’istanza di enunciazione (débrayage enunciazionale): l’enunciatore Rete di Lilliput –che narrativamente è un attante collettivo– “guarda” l’enunciatario –l’utente del sito– e gli dice che interagire con questo testo è un modo per conoscere la realtà “vera” del movimento lillipuziano. Qui scatta il primo livello metaforico, che ci ha fatto dire che questa è in parte anche una metafora enunciazionale. Appunto, l’enunciatore dice “io, movimento Retelilliput, sono la rete con cui nel romanzo i piccoli lillipuziani imprigionano il gigante Gulliver”. Ma non basta. Non si ha solo un accostamento tra due figure, per quanto complesse e variegate. Quello che c’è è un accostamento fra due storie, quella reale del movimento new-global e quella letteraria scaturita dalla fantasia di Swift.

La storia del movimento chiamato Rete lilliput è una metafora della storia fantastica dei lillipuziani e della loro lotta impari ma vincente contro un gigante. Secondo Fabbri (2001), quando una metafora ha una taglia di tipo narrativo, essa rientra nel genere di discorso detto parabola, anche se è bene tenerne un’accezione allargata, non limitata al classico esempio delle parabole della Bibbia. In realtà secondo Fabbri la parabola è un fenomeno semiotico di ricorrenza molto frequente, il cui funzionamento è essenzialmente metaforico. Ciò porta a estendere il campo della metafora da uno spazio esclusivamente lessicologico ad uno spazio narrativo. Esistono, e sono anche molto frequenti nella nostra cultura, narrazioni che rinviano ad altre narrazioni e narrazioni che sono metafore l’una dell’altra. Però una stessa metafora narrativa può avere diversi esiti interpretativi, a seconda di cosa le chiediamo e di cosa speriamo di “leggerci” dentro. Ad esempio, nella metafora narrativa di Lilliput potremmo addirittura vedere i lillipuziani come piccoli batteri che insidiano il corpo dell’uomo Gulliver e dare così a questa metafora il contenuto (aberrante) di infezione batterica.

Fabbri, riprendendo Bateson, ritiene che le inferenze che noi facciamo di fronte a una metafora narrativa siano da considerare abduzioni, non nel senso Peirceano, ma nel senso di approfondimento laterale del contenuto. Decidendo di vedere Gulliver come metafora del neolìberismo, estendiamo lateralmente le qualità della storia di Swift, per vedere se ciò risulta produttivo per la nostra conoscenza. E questo ragionamento si rivela alla fine produttivo, se riconosciamo che la parabola dei piccoli lillipuziani uniti contro il gigante presenta una relazione (metaforica) con la narrazione dei movimenti della società civile che lottano per imprigionare il gigante della globalizzazione e del neoliberismo mondiale.

La produttività di questa metafora narrativa può aumentare se la metafora stessa incanala chi la interpreta verso altre narrazioni affini per contenuto e investimento valoriale. Ad esempio, la lotta di Davide contro Golia, di Gandhi contro lo stato coloniale britannico, dei primi cristiani contro l’impero romano. Ciò che conta è rilevare una volta di più il potenziale cognitivo di un uso intelligente dei procedimenti metaforici. La cultura, anche quella scientifica, spesso avanza non solo tramite inferenze logiche, ma anche per merito di estensioni laterali della conoscenza dovute a fenomeni metaforici e parabolici.

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2.2. SEMIOTICA DELLA STRATEGIA E GLOBALIZZAZIONE

Cliccando su /Chi siamo/ all’interno della cornice arcobaleno della home-page, si apre un menu in cui la prima voce è “La strategia Lillipuziana”. Come rilevato in Veltri (2005), l’ispirazione riguardo al nome e al concetto di Lilliput proviene da due sindacalisti statunitensi, Jeremy Brecher e Tim Costello, fin dal 1996 impegnati nella lotta contro le multinazionali, per i quali le strategie lillipuziane erano il modo ideale per collegare "gli interessi individuali con quelli collettivi, il globale con il locale, i produttori con i consumatori, le piccole associazioni con le grandi..." (Brecher J. e Costello T., “Contro il capitale globale. Strategie di resistenza”, Milano, Feltrinelli, 1996, citato in Veltri 2005). Ritengo che scendere nei meandri semantici del termine “strategia” possa chiarire certi aspetti che terrò presente nel mio lavoro, quindi adesso ci si soffermerà su di essi, mentre si tratterà più avanti il rimando intertestuale costituito da Lilliput e lillipuziani.

Dunque, la parola “strategia” appartiene sia al linguaggio quotidiano sia a metalinguaggi specifici di alcune discipline, come fa notare Landowski (“Esplorazioni strategiche”, 1989, in Fabbri, P., Marrone, G., 2000)1. Nella sua accezione classica, il termine appartiene al lessico militare, mentre linguisti e studiosi di pragmatica della comunicazione hanno parlato di “strategie discorsive”, “cognitive”,”enunciative”2; in ambiti commerciali ed economici si parla di strategie di marketing, di sviluppo e d’impresa; in un laboratorio si parla di strategie di ricerca scientifica. Sta di fatto che proprio dagli studiosi di strategia militare si è avuta la spinta teorica più forte verso una “strategica generalizzata”, ossia una scienza delle forme dell’agire umano che comprenda campi eterogenei come conflitti bellici e pratiche di marketing (per una ricognizione su questo fenomeno nella cultura del ‘900 e sui suoi rapporti con la semiotica, cfr. Montanari 2004 :201-204, il quale vede un legame fra l’ampliamento del concetto di strategia e l’avvento della guerra globale permanente come presenza ipertrofica nello spazio e nel tempo del mondo attuale).

Landowski si chiede giustamente quale sia il nucleo comune di questa diversità di impieghi, la nozione unitaria che può essere più o meno distante dai suoi usi particolari, ma che permette però di ricostruirli deduttivamente. Se, ad esempio, ammettiamo che c’è’ diversità fra una semplice passeggiata (in cui l’andamento è casuale, senza un obiettivo preciso) ed un percorso preordinato in cui può intravedersi l’ombra di un programma, ciò che fa la differenza non può che essere la “competenza strategica”, nucleo della costruzione dei programmi d’azione. Landowski usa categorie della grammatica narrativa greimasiana per costruire un modello che comprenda tutte le varianti concettuali e le sfumature che partecipano alla rete di significati definibile come “pensiero strategico”. Il dizionario privilegia l’isotopia

1 Il brano si trova originariamente in Landowski (1989 :227-241). 2 Alla voce “strategia” del loro Dizionario, Greimas e Courtès tracciano i contorni dell’uso di questo termine in semiotica, e affermano che bisogna distinguere fra strategia discorsiva, legata al soggetto dell’enunciazione e alla messa in discorso, e strategia narrativa, legata sia alla costruzione di programmi narrativi complessi sia alla sintassi dei rapporti interattanziali.

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guerriera, cioè quegli usi canonici del termine1, secondo i quali sono strategici quei comportamenti orientati al mantenimento o al raggiungimento di uno stato B, migliore rispetto allo stato A; presupposto di questa trasformazione deve essere una situazione di confronto, se non di scontro, fra due entità, quelli che in semiotica narrativa sono gli attanti, cioè organizzazioni di figure e programmi d’azione. Per Landowski, la nozione semiotica di confronto interattanziale, da sostituire a quella di scontro fra avversari/nemici, si trova al livello di generalità sufficiente per fungere da base comune da cui poi vengono a differenziarsi le configurazioni particolari e settoriali: si tratta di una struttura sintattica profonda, variamente modulabile a livello di strutture narrative di superficie. Tuttavia, la semplice coesistenza di due forze ipotizzate come antagoniste non può mai dare vita a una strategia se, da un lato o dall’altro, non vi è un soggetto cognitivo che riconosca la forza avversaria assegnandole un significato determinato: minaccia da evitare, forza da rendersi amica per la realizzazione del proprio programma etc. (…..) Occorre perciò scendere necessariamente di un altro gradino: perché ci sia confronto e poi, nel caso, strategia, occorre che lo stratega potenziale cominci a costruire sia la relazione…che lo unisce e nello stesso tempo lo distingue dall’altra parte, sia la figura, essenzialmente modale, dell’opponente o dell’anti-attante con cui deve da quel momento fare i conti. (Landowski, 1989, corsivo dell’autore)

Per il soggetto cognitivo è dunque essenziale la coscienza, di sé e dell’Altro, per trascendere la mera competenza pragmatica e poter definire la situazione di confronto. Una coscienza che è a sua volta una conoscenza. Infatti un attante (e l’attore/gli attori che lo incarnano a livello di sintassi narrativa di superficie) può essere definito “semioticamente competente” se è capace di quell’atto cognitivo che gli permette di costruire o ricostruire la situazione di confronto interattanziale in cui è immerso, la relazione logica profonda con l’Altro e la definizione di questo Altro in termini narrativi (es. come anti-soggetto).

Il confronto fra gli attanti è dunque un rapporto fra entità che si interdefiniscono reciprocamente: una volta ancora, il senso nasce dalla differenza. Nel caso di Liiliput.it, vedremo come i mini-testi che compongono il sito si mantengano in uno stato di costante tensione verso un fuori, un esterno (narrativizzato dagli effetti deteriori di una certa globalizzazione ), e che questo confronto con le figure antagoniste2 contribuisca a definire l’identità di Lilliput e al contempo dell’anti-Lilliput.

Per Landowski, i tipi elementari di condotta strategica sono due e ciò che li distingue è il diverso modo in cui ogni singolo attore si costruisce e si rappresenta il simulacro dell’ “altro”, ossia l’anti-Soggetto. Sono reciproche interpretazioni e attribuzioni di significato, che non sono completamente al riparo da errori. Fra Soggetto e anti-Soggetto, dunque, si instaura un rapporto di comunicazione se e solo 1 Il Petit Robert francese dice: “Insieme di azioni coordinate, di manovre in vista di una vittoria”, mentre il nostro Zingarelli pone come terza definizione: “Abilità nel raggiungere lo scopo voluto, specialmente in situazioni non facili”. 2 Banche, industrie d’armi, multinazionali, decisioni di impronta neo-liberista da parte di qualche istituzione o governo : come si vedrà in seguito, sono queste le figure dell’anti-attante che di volta in volta il testo Retelillipput.org viene a costruire.

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se ognuno dei due attribuisce all’altro (o alla rappresentazione che egli si dà dell’altro) quel tipo di competenza semiotica che permette di istituire come “conflitto” la situazione di riferimento. Se si crea questo tipo di relazione significativa, i movimenti strategici dell’attante interpretano ed anticipano le eventuali contro-strategie dell’anti-attante, il quale è a tutti gli effetti partner di relazione sul medesimo piano cognitivo. Ciò non vuol dire necessariamente che ognuno dei due abbia in egual misura informazioni sull’altro, ma indica almeno il fatto che “gareggiano” sul medesimo terreno di gioco. Inoltre, come anticipato sopra, il soggetto del “fare strategico” può incorrere in interpretazioni sbagliate, fallaci, che generano illusioni e distorsioni della realtà; Landowski nota acutamente che con ogni probabilità nell’animo di ogni vero stratega possa essere presente un eccesso di zelo interpretativo verso l’ avversario, abbinato ad uno stato di “sconfinata paranoia”.

Una volta che si viene a stabilire un rapporto di comunicazione fra soggetto e anti-soggetto, le rispettive condotte possibili di interazione saranno basate su strategie di manipolazione1; le proiezioni interpretative riguardo il comportamento del partner con cui ci si confronta sono attendibili solo fino ad un certo punto, poiché non ci si trova di fronte ad una materia inerte di cui si conoscano leggi fisiche e regolarità di comportamento, bensì ad un soggetto semioticamente competente, incarnato da figure antropomorfe, capace di agire e reagire.

Si parlerà invece di condotte basate su strategie di manovra nel caso in cui la parte avversaria “è intesa come un attante dotato solamente della competenza pragmatica, come una pura forza senza coscienza, di se stessa e dell’altro” (Landowski, 1989, op.cit.). L’anti-attante è qui definito come una cosa, un oggetto, un’entità senza competenza cognitiva, che non compie azioni consapevoli ma le subisce; non gli viene attribuita una coscienza e perciò l’interazione con questo tipo di “avversario” si basa sulla conoscenza e lo sfruttamento di criteri convenzionali, che siano essi le regole di un gioco (es. gli scacchi) oppure le leggi chimiche e fisiche della natura. Una volta individuate a livello profondo queste due possibilità di razionalità strategica, è possibile individuarne le espressioni di superficie all’interno di differenti universi semantici. Nella sfera politica, ad esempio, strategie di manipolazione e strategie di manovra generano l’opposizione fra “governo degli uomini” e “amministrazione delle cose”. Landowski organizza un quadrato semiotico che rappresenta i grandi tipi di “fare strategico” e le razionalità profonde che essi figurativizzano: 1 Alla voce “strategia” in Greimas, Courtés, (1986), la manipolazione viene definita come “esercizio del far-fare che conduce gli anti-soggetti a costruire i programmi narrativi voluti in realtà dai soggetti” . In altri termini, si può parlare di Destinante che convince un Soggetto Destinatario circa l’opportunità di intraprendere un determinato programma narrativo (Pozzato, 2001).

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FARE POLITICO FARE TECNOLOGICO “manipolare gli uomini” “manovrare le cose” Strategie fiduciarie Strategie operazionali (cognitive) (pragmatiche) FARE MAGICO FARE TECNOCRATICO “manipolare le cose” “manovrare gli uomini” (come degli uomini) (come delle cose)

Si tratta di una griglia che ha solo valore indicativo e che non può esaurire un’analisi: Landowski stesso fa notare che è illusorio attendersi una corrispondenza precisa e sistematica fra una configurazione del fare strategico e una condotta x presa in esame. Del resto, nella maggior parte dei casi avremo a che fare con pratiche di interazione che combinano due o più di questi principi di razionalità. Ciò che conta in questo modello è che mette in evidenza un fatto cruciale per la teoria semiotica della strategia: le azioni e il calcolo delle azioni non vengono compiute soltanto su attori umani, ma anche su attori materiali. La sociologia e la psicologia hanno spesso tralasciato che nelle situazioni di confronto e interazione strategica hanno grande importanza gli oggetti e le tecnologie, che per la semiotica non sono inanimati visto che sono dotati di competenze e programmi d’azione. Per la semiotica, questi “delegati tecnologici”1 sono degli attori a tutti gli effetti, essi partecipano ad un’azione o ad una storia conferendo programmi d’azione (spesso complessi) ai soggetti umani: inoltre li rivestono di figure e forme modali, non solo il “potere”, ma anche il “sapere” ed il “sapere di sapere”.

Sia in una partita a scacchi che in una interazione fra soggetti parlanti, dunque, troveranno posto allo stesso tempo sia le strategie cognitive che le strategie pragmatiche, insieme alle rispettive sintassi narrative. Nel caso degli scacchi, si ha a che fare in un primo momento con un “fare tecnologico”, dato che i movimenti dei pezzi nel gioco devono essere conformi a regole (geometriche e scacchistiche) le quali, a livello formale, sono simili alle leggi (fisiche e chimiche) della materia, le quali governano il principio tecnologico di azione sulla natura. Allo stesso modo, l’interazione conversazionale fra S1 e S2 si trova ad essere basata ugualmente su di un sistema di regole prescrittive, in questo caso le massime conversazionali; ad un primo livello di strategie pragma-linguistiche, i due attanti intervengono l’uno

1 Per i soggetti dell’interazione in Rete la tecnologia tcp/ip (e i suoi derivati) non costituisce solo un mediatore tecnologico che funge da protesi in uno spazio virtuale. Questa tecnologia è un attore semiotico a tutti gli effetti, che entra in concatenamenti narrativi e che produce macro-enunciati: per convincersi di ciò, basta vedere l’enfasi autoreferenziale con cui in certi siti si decantano le possibilità comunicative della Rete. Già ad un primo livello di superficie, sembra che si profili un’esistenza quasi mistica di uno “spirito connettivo dei computer”, un’ anima mundi telematica che aiuterà l’uomo migliorando il suo presente e il suo futuro.

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sull’altro in base alla rispettiva abilità nel trarre vantaggio da queste regole fondamentali.

Inoltre, al di là del “mossa dopo mossa” scacchistico e del “parola dopo parola” conversazionale, il confronto S1-S2 si gioca anche su di un piano ulteriore, quello della manipolazione e delle strategie cognitive1. Le mosse sulla scacchiera, una volta che se ne accetta la conformità alle regole, hanno valore perché producono effetti di senso, nella misura in cui i giocatori sono soggetti che si osservano e si “sentono”. I colpi scambiati hanno un valore di discorso, ricevono il loro senso da interpretazioni di colpi precedenti e orientano le interpretazioni successive.

S1 dunque, mentre interagisce con S2 per influenzarne l’azione, può compiere due tipi distinti di intervento, in base allo statuto sintattico che attribuisce a S2. Siamo così giunti ad un punto cruciale: la differenza semiotica fra strategia e tattica.

Andiamo con ordine: partiamo dal caso in cui il confronto con l’anti-attante S2 (identificato come oggetto) si svolge solo sul piano delle strategie operazionali/pragmatiche. Il programma narrativo (parziale o globale) di cui S2 è l’esecutore è definibile come un programma virtuale, sottoposto al determinismo di regole o di leggi. Siamo ancora nella configurazione di cui si parlava poco sopra a proposito dell’interazione conversazionale e delle costrizioni delle “massime” linguistiche e discorsive. Se S1 vuole “manovrare” S2, deve far sì che il programma narrativo dell’anti-attante rimanga nel modo di esistenza semiotica virtuale2, ovvero che, mutatis mutandis, venga evitato-ritardato-scatenato il raggiungimento delle condizioni di attualizzazione del programma considerato. Da ciò, secondo Landowski (1989), consegue la definizione semiotica di tattica come scienza delle manovre attualizzanti. Va precisato che (…) non esiste propriamente parlando alcuna relazione intersoggettiva disposta sotto questo regime, poiché l’effetto interazionale deriva dal solo controllo, da parte di S1, delle circostanze “oggettive” del fare di S2. (corsivo mio)3

Abbiamo visto che si può dare un altro caso, nel quale S2 è un anti-soggetto dotato di una propria competenza interpretativa, grazie alla quale può assumere delle proprie decisioni e nello stesso tempo essere influenzato e influenzare sul piano cognitivo-passionale l’anti-attante.

1 Seguendo Landowski, poniamo per ipotesi S1 come “soggetto manipolatore”, che cerca di influenzare l’azione di

S2. E’ chiaro che sarebbe perfettamente identico porre S2 come soggetto manipolatore. 2 Esistono tre modi di esistenza semiotica –dette anche forme di esistenza del senso– denominati virtuale, attuale e

realizzato (Pozzato 2001, p. 51). 3 Il concetto di tattica così articolato, preso in senso stretto, non può dunque dar ragione di una relazione

intersoggettiva, ma solo di una relazione attanziale “non equilibrata ” fra un soggetto operatore ed un oggetto, nella quale la manovra tecnologica e/o tecnocratica è determinata solo da regole pragmatiche. Come si vedrà fra breve, il concetto di strategia ricopre invece una relazione attanziale fra due soggetti “calcolanti”.

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Rimane il fatto che S2 –come anche S1- non può sfuggire completamente a certi determinismi che ne regolano il fare pragmatico e perciò non è sempre completamente padrone delle sue azioni e reazioni. Quindi:

Da ciò consegue questa possibile definizione: mentre la tattica era attualizzante, la strategia (in senso stretto) opera al livello della virtualizzazione dei programmi narrativi manipolando la competenza decisionale, ovvero cognitiva, dell’anti-soggetto. (Landowski, 1989, corsivi dell’autore). Si parlerà dunque di decisioni strategiche e di mosse tattiche, di calcolo interpretativo e di performance sul terreno di gioco. Per l’autore de “La società riflessa”, ha senso questa proporzione: tattica : strategia = discorso enunciato : atto enunciativo fondante Il pensiero strategico sta alla performance tattica così come l’istanza dell’enunciazione sta all’atto effettivo di enunciazione, cioè all’enunciazione enunciata1.

Gli attanti che si confrontano –che vengano essi attorializzati come giocatori di scacchi, parlanti che conversano, o anche come un cittadino di Scanzano che lotta per impedire che l’attore-Stato scarichi rifiuti nucleari vicino ai suoi campi– si scambiano delle mosse, dopo aver effettuato quello che si chiama un calcolo enunciativo riguardante prima le inevitabili costrizioni pragmatiche e poi la portata tattica di queste condotte che vengono attualizzate e poi realizzate. Allo stesso tempo ma su un altro piano, gli attanti valutano la portata delle mosse tattiche tramite un calcolo enunciazionale che ne interpreta il valore discorsivo, orientando le loro future decisioni strategiche. S1 e S2 sono costantemente e simmetricamente “calcolanti”, ciò significa che ogni colpo/enunciato/mossa che viene realizzata stimola una nuova interpretazione e un nuovo calcolo del senso, oltre chiaramente alle reazioni primarie sul piano pragmatico. La competenza strategica si trova ad essere distribuita sul piano enunciativo tra i due attanti in relazione.

C’è quindi una dualità immanente al pensiero strategico, tale che ogni confronto intersoggettivo possa essere figurativizzato meglio con l’immagine della danza che con quella della lotta. Infatti, spiega Landowski, le figure che occupano le posizioni attanziali “non si aggrediscono alternandosi prima uno poi l’altro, ma piuttosto (c’è) l’unità dialettica di un solo corpo a corpo che riunisce ogni singolo intervento” (op. cit., pag.258, corsivo dell’autore). Cosa significa ciò? Innanzitutto che, all’interno della semiotica narrativa, le strutture polemiche e quelle contrattuali2 sono divise da un’opposizione graduale e non categoriale, ovvero ognuna delle due partecipa

1 Si fa ovviamente riferimento alla teoria dell’enunciazione classica. 2 Si tratta di strutture narrative che rendono conto di due possibili relazioni fra attanti e fra i loro programmi

narrativi. Nel caso delle strutture polemiche i PN dei due poli del confronto sono mutuamente esclusivi, mentre abbiamo una struttura contrattuale quando la realizzazione del PN di un attore può presupporre la realizzazione concomitante –parziale o globale- degli obiettivi della parte avversaria.

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dell’altra e in qualche modo vi “sfuma” dentro. Inoltre, lotta1 e negoziazione2 diventano forme ibride del confronto: per esserci lotta, deve prima esserci un qualche consenso fra le parti, non fosse altro che il consenso sul valore o l’obiettivo per cui si lotta; allo stesso modo, per esserci negoziazione, occorre in primis che ci sia stata una distanza da colmare, una divergenza di posizione o di obiettivo. Landowski avverte che questa sfumatura non va forzata troppo, pena la tautologia (lotta = polemica, negoziazione = contratto) o il paradosso (sopravvalutare la connivenza che c’è in ogni relazione polemica e la divergenza che sta in ogni relazione contrattuale).

Abbiamo visto come in qualsiasi confronto di qualsivoglia natura –confronto ludico, militare, politico, verbale– trovi un ruolo fondamentale la coscienza di sé stessi e dell’Altro, quindi il riconoscimento. Prima di iniziare la partita, gli attanti –quale che sia il loro numero- hanno una certa dose di consapevolezza reciproca, che poi aumenterà a giochi fatti. Ciò succede grazie ad un altro motore del confronto, che è l’interpretazione reciproca. Azioni e reazioni si svolgono all’interno di flussi di energia comunicativa, e generano catene di interpretazioni che scorrono producendo patrimoni di informazioni, cioè interpretazioni “sedimentate”. Qui si tocca un punto importante perché, come rileva Montanari (2004:212), gli studi strategici offrono un interessante punto d’intreccio fra i due filoni “storici” della semiotica, quello interpretativo e quello strutturale-generativo. I concetti echiani di cooperazione, mosse e lavoro interpretativo (cfr. Eco 1979) ci offrono infatti una chiara “visione strategica” sull’azione, di tipo logico e cognitivo: il comportamento dell’altro è anch’esso testo da interpretare, “pigro” tanto quanto un testo letterario e che offre resistenza all’interprete. Inoltre, nella direzione della costruzione di un modello semiotico di azione, questi concetti offrono un’utile prospettiva sui frames e le sceneggiature stereotipate, costruite, riconosciute e trasformate dagli attori in interazione strategica. La programmazione delle proprie azioni è dunque inscindibile dall’osservazione e dalla previsione delle azioni dell’altro. In termini greimasiani, si ha “calcolo modale”, che può essere più o meno rapido oppure pianificato, a seconda delle circostanze e dei tempi di reazione. Gli attori in gioco prevedono e interpretano i reciproci programmi d’azione, modalizzati secondo il “volere” (un “voler fare” o un “voler essere”) oppure secondo un “”dovere” (“dover fare” o “dover essere”). Questa seconda modalità mi sembra la più pertinente per un primo livello di analisi semiotica di quelle azioni –personali e collettive- caratterizzate da una forte componente passionale e affettiva.

Prendiamo i movimenti che lottano contro la globalizzazione3 (che è concetto molto ampio, che richiede dunque interpretazioni altrettanto ampie). E’ mia opinione che i programmi d’azione di queste soggettività collettive siano improntati ad un forte “dover fare”/”dover essere” i quali, come rileva Montanari (2004: 20), possono sovente trasformarsi in contro-programmi, cioè in concatenamenti narrativi che

1 Figura che incarna la forma polemica del confronto intersoggettivo 2 Figura del confronto di matrice contrattuale 3 Sulle ambiguità nell’uso del termine globalizzazione all’interno della letteratura sociologica, cfr. Robertson e

White (2004: 13-17).

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mirano alla non-realizzazione dei programmi dell’anti-soggetto. Le mosse tattiche che verranno indotte saranno pertanto dette “causali”, provocate non da un “voler fare” ma da circostanze e contingenze; in termini semiotici, saranno perciò determinate da programmi d’azione oggettivati –scenari o cotesti– già depositati ed inscritti nelle situazioni d’azione. Ad esempio, la mobilitazione dei cittadini di Scanzano è prevedibile, ma anche “prevista” dalla situazione /Scanzano scelta come deposito unico delle scorie nucleari italiane/, nel momento in cui essa si è venuta a delineare. Ciò va detto naturalmente senza nulla togliere al forte valore di mobilitazione civica che connota un evento del genere.

Montanari rileva anche che queste strategie e tattiche, più che da schemi narrativi classici, si attuano soprattutto a partire da meta-programmi di confronto e osservazione dei programmi dell’”altro”, ossia quelle forme ibride degli scambi intersoggettivi delineati da Fontanille (1999) nel suo “Sémiotique du discours” (“antagonismo”, “negoziazione”, “dissenso” etc.). Torneremo su questo aspetto più avanti, quando si analizzeranno esempi di agire tattico, in particolare in Retelilliput.it. Ciò che va sottolineato ancora una volta è il nesso inscindibile fra azione e comunicazione: la teoria strategica ne mette in evidenza con forza la necessaria copresenza. Per riassumere, ai fini di una semiotica della strategia, i punti salienti di indagine sono tre:

1- articolazione dei possibili modi di osservare i programmi d’azione e le loro interrelazioni reciproche. Nelle situazioni di confronto e conflitto (cfr. Montanari 2004) non si trovano di fronte attori isolati nelle loro istanze e motivazioni , individuali o collettive che siano, ma inter-attori ovvero soggetti che si vengono a costituire in certi modi proprio perché sono gli uni in contatto con gli altri, legati fra loro per mezzo delle varie forme semiotiche del confronto.

2- osservazione dell’ambiente d’azione, che va definito anch’esso come composto di programmi d’azione o resistenza.

3- Viene meno la distinzione fra azioni materiali o concrete e azioni immateriali o ”per segni”. Ciò che conta è piuttosto il rapporto fra la costruzione e la realizzazione di programmi narrativi di azione e il loro manifestarsi nelle diverse sostanze espressive. Le medesime strategie di manovra e manipolazione possono essere veicolate da azioni effettive, da azioni solamente minacciate, da macro-enunciati verbali e visivi, dall’uso di delegati tecnologici o dall’uso esclusivo del corpo umano (pensiamo ai sit-in non violenti). La materialità dei diversi supporti espressivi viene messa fra parentesi non perché non sia importante, ma perché è frutto di scelte attive presupposte da un lavoro semiotico preventivo: quello dello “stratega” che decide di usare certe forze o certi mezzi piuttosto che altri. Non si tratta di meri supporti materiali delle azioni, ma di scelte attive di sostanze altrettanto attive, che vanno a “fare senso” dando forma al contenuto strategico (cfr. Montanari 2004: 223-225).

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2.3. STRATEGIE E TATTICHE IN RETELILLIPUT.ORG

Chi decide di lottare contro la globalizzazione (no-global) o di negoziarci assieme

(new-global)1, deve dunque prender coscienza di sé e prender coscienza dell’altro polo della relazione di questo confronto: bisogna per prima cosa accettare che esista nel mondo attuale un macro-evento di natura molteplice (politica, economica, tecnologica, culturale) e di proporzioni inedite e accettare l’accordo intersoggettivo per cui esso è denominato “globalizzazione” Anche il più “cattivo” dei no-global difficilmente può smentire che per certi fenomeni contemporanei l’etichetta “globale” sia la più appropriata e condivisa, a meno di voler vivere con un proprio idioletto personale assolutamente idiosincratico.

In secondo luogo, la globalizzazione va interpretata (e poi re-interpretata); credo che non abbia senso una interpretazione del tipo “globale = male”, mentre ritengo più giusta una del tipo “globale sì, ma come dico io, come diciamo noi”. Se accettiamo l’esistenza di questo fenomeno, non possiamo sfuggire all’esigenza di interpretarlo e confrontarci con esso, e soprattutto di viverlo. Non volerlo vivere –perché lo si interpreta in maniera totalmente disforica– vorrebbe dire togliere il Pc e Internet dalla propria vita, gran parte dei vestiti e delle mode che si adottano, forse anche il ristorante cinese che tanto ci piace. Uscire dal global è a mio modo di vedere impossibile, o almeno difficile e disagevole, credo sia come se un giorno tutti i pesci decidessero di uscire dall’acqua di mari e fiumi e vivere sulla terraferma: dopo pochi minuti farebbero una brutta fine, forse qualcuno di tempra più forte potrebbe darwinianamente adattarsi, e respirare come gli uomini, però la maggioranza perirebbe.

Comunque fra coloro che prendono coscienza della globalizzazione, compiendo sforzi interpretativi e vivendo moti affettivi e passionali, ci sono coloro che decidono anche di affrontarla attivamente, entrando in un campo di confronto con essa –se già esiste– o costruendone uno ad hoc. Si viene a creare un confronto che può essere violento-non violento, collettivo-individuale, momentaneo-duraturo; un confronto semiotico, in quanto le due macro-entità che si confrontano producono testi, azioni, senso. I testi che vengono prodotti rientrano in più ampi discorsi sociali, che permeano i complessi flussi mediatici e le interazioni quotidiane, sia informali che professionali. Se applichiamo la nozione greimasiana di programma narrativo, disponiamo di uno strumento analitico che rende più chiare certe dinamiche di produzione del senso, sia nei discorsi politici istituzionali che nei discorsi dei

1 No-global e new global sono espressioni ormai stereotipate, etichette giornalistiche oltre che autodefinizioni dei movimenti. Vanno a ricoprire fenomeni piuttosto differenti fra loro. Sono entrate nel linguaggio comune intorno al 1999 (Seattle, Porto Alegre); “no-global” ha senz’altro connotazioni negative, almeno dopo Genova 2001, mentre “new global” è etichetta meno frequente e più indeterminata. Le opposizioni assiologiche di fondo investono universi di significato come violenza VS non violenza, interlocutore politico VS interlocutore apolitico etc. Cercherò di usarle meno possibile, perché mi sembrano troppo legate al senso comune e quindi di scarso valore euristico.

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movimenti new-global. Vediamo meglio la razionalità strategica che scorre sotto i flussi mediatici, comprendiamo in una nuova luce le mosse tattiche dei “globalizzatori” e dei “new-global”.

Possiamo spiegare dunque in termini che non siano quelli della sociologia politica le dinamiche organizzative della ReteLilliput1, individuando ad un livello discorsivo un’istanza dell’enunciazione che coincide con la “soggettività plurale” che sta dietro al testo rappresentato dal sito web. Si tratta di una soggettività che rintracciamo al livello astratto delle strutture profonde di generazione del senso e che non coincide con i soggetti empirici che dispiegano le loro attività offline e/o producono i contenuti online del sito. Questa soggettività è appunto l’istanza produttrice del testo; credo che l’atto enunciativo fondante si localizzi principalmente nel minitesto che si apre facendo click su /Chi siamo/ nella home page e in quelli raggiungibili dalla lista dei tre link in fondo a questa pagina. Nella zona laterale sinistra di questa pagina – quella dove dovrebbe concentrarsi di più l’attenzione secondo vari studi di psicologia della percezione– sotto /Chi siamo/ appare un menu con altri quattro link. Aprendo uno di questi collegamenti, /La strategia lillipuziana/, ci accorgiamo non senza disorientamento che il testo che abbiamo davanti è ancora intitolato /Chi siamo/, è lo stesso che avevamo di fronte prima. Dunque già ad un livello intuitivo ci si rende conto di quanto sia rilevante la strategia ispirata ai lillipuziani, tanto da coincidere con l’identità stessa della Rete di Lilliput: essa sarebbe inconcepibile senza la sua propria peculiare strategia.

Si diceva che questa è la porzione del sito che già ad un primo sguardo ci sembra offrire una maggiore densità di informazioni sul soggetto dell’enunciazione oltre che sui soggetti empirici. E’qui che ritroviamo quelle operazioni enunciazionali di débrayage con cui, com’è noto, il soggetto dell’enunciazione proietta fuori di sé –fuori dall’io-qui-ora dell’enunciazione– attori, tempi e luoghi diversi.

2.3.1. LE STRATEGIE

Vediamo in dettaglio alcuni di questi mini-testi. 1 Qui ci interessiamo solo del testo costituito dal sito web www.retelilliput.it. Le considerazioni che facciamo dipendono dall’osservazione appunto di questo testo e di tutto ciò che di semioticamente rilevante c’è intorno ad esso. Non analizziamo l’entità politica Rete di Lilliput per come dispiega le sue attività nei contesti offline.

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Il cammino della Rete di Lilliput prende avvio nel 1999 sulla spinta di un Manifesto di intenti elaborato dal Tavolo delle Campagne, un gruppo di coordinamento formato dalle principali Associazioni e Campagne nazionali di stampo sociale. Padre Alex Zanotelli è il grande ispiratore della Rete, che si propone come

obiettivo principale quello di far interagire e collaborare le miriadi di esperienze locali che nel nostro Paese cercano di

lottare contro le disuguaglianze nel Mondo.

Si cerca insomma di mettere in atto una "strategia lillipuziana", con la quale poter bloccare il gigante disumano del liberismo sfrenato

servendosi di piccoli fili, cioè azioni mirate e concrete, da intessere insieme.

Questa volontà comune e diffusa della società civile si è esplicitata con il Primo incontro nazionale tenutosi a Marina di Massa nell'ottobre 2000 che ha dato avvio alla costruzione, faticosa e da compiere un passo alla volta, di questa "idea-sogno" di Rete. Nel secondo incontro nazionale del gennaio 2002 si sono iniziati a vedere i primi frutti di questo

nuovo modo di agire, basato sulla opzione fondamentale della nonviolenza

e su un nuovo metodo di scelta da sperimentare: il consenso fra le varie realtà in gioco. Quanto la Rete crescerà dipende ora solo dallo

slancio e la passione che i Lillipuziani sapranno mettere in essa. Vai a: Il Manifesto della Rete di Lilliput Criteri di fondo condivisi Gettare la rete, la Strategia lillipuziana

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“Chi siamo””: il titolo innesca un primo débrayage enunciazionale, in quanto abbiamo un’interpellazione al lettore-utente del sito. La forma è quella del dialogo fra un “noi” e un voi. Ritroviamo questa forma, ad esempio, in testi pittorici e audiovisivi quando figure antropomorfe “guardano negli occhi” lo spettatore. Successivamente, il testo si sviluppa in un discorso oggettivato in terza persona, che proietta nello spazio testuale dei soggetti diversi da quello dell’enunciazione1 (débrayage enunciativo). Tuttavia, il sintagma /da tessere insieme/ , posto all’incirca alla metà del mini-testo, ripropone una marca di interpellazione al lettore, pertanto abbiamo un débrayage enunciazionale incassato. Lo stesso vale per /vai a/, presente in cima alla lista dei link che troviamo a fondo pagina2. Le ultime due righe di questo breve testo sembrano apparentemente continuare il discorso oggettivato e in terza persona delle righe precedenti, ma qui la persona dei tempi verbali ci può fuorviare. Infatti sotto il racconto di un narratore omodiegetico inserito nella storia, abbiamo una diretta interpellazione ai Lillipuziani e agli utenti del sito che vorrebbero diventarlo. Si fa appello al loro slancio e alla loro passione, affinché confluiscano nel progetto della Rete continuando così a scriverne e a farne la storia. Quindi per queste due righe si può parlare di débrayage enunciazionale (noi-voi).

1 Gli attori “convocati” qui sono “le principali Associazioni e Campagne nazionali di stampo sociale”, “Padre Alex Zanotelli” (che è il “grande ispiratore delle Rete”), “le miriadi di esperienze locali che nel nostro Paese cercano di lottare contro le disuguaglianze nel Mondo”, il principale personaggio antagonista, cioè “il gigante disumano del liberismo sfrenato”, l’Aiutante, cioè “azioni mirate e concrete, da intessere insieme”, “i Lillipuziani”. Vengono convocati degli spazi e dei tempi distanti dal presente dell’enunciazione, “il Primo incontro nazionale tenutosi a Marina di Massa nell'ottobre 2000” e “il secondo incontro nazionale del gennaio 2002 “. La narrazione è fortemente assiologizzata, il “nuovo modo di agire, basato sulla opzione fondamentale della nonviolenza”, messo in evidenza dal grassetto, presenta una forte connotazione positiva. 2 E’ vero che è consuetudine porre all’utente un invito esplicito – tramite un uso conativo (una delle sei famose funzioni del linguaggio per Jakobson 1963)del linguaggio verbale - a visitare le pagine “linkate”, però ritengo che questi link interni siano molto strettamente collegati tematicamente e figurativamente al minitesto “Chi siamo”, ne sono anzi una esplicita estensione. Ritengo quindi che ci sia una interpellazione molto più forte rispetto alle liste di link di altri siti. C’è un forte intento didattico di un Destinante verso un Destinatario, un contratto intorno a dei valori molto forte, nell’accezione comune più che in quella generativa. Il soggetto dell’enunciazione si assume molte responsabilità discorsive (far sapere, far volere) che alimentano il voler sapere del’enunciatario generando una forte attesa che non deve essere delusa. Qui /vai a/ è marca di un discorso persuasivo allo stesso modo in cui lo è un /guardami negli occhi/ in un’interazione verbale fra due parlanti. Per questo ritengo che sia un débrayage enunciazionale più forte rispetto ad esempi di altre liste di link.

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NOI

associazioni, gruppi e cittadini impegnati nel volontariato, nel mondo della cultura, nella cooperazione Nord/Sud, nel commercio e nella finanza etica, nel sindacato, nei centri sociali,nella difesa dell'ambiente, nel mondo religioso, nel campo della solidarietà, della pace e della nonviolenza

DIAMO AVVIO ALLA RETE DI LILLIPUT PER UNIRE IN UN'UNICA VOCE LE NOSTRE MOLTEPLICI FORME DI

RESISTENZA CONTRO SCELTE ECONOMICHE CHE CONCENTRANO IL POTERE NELLE MANI DI POCHI E CHE

ANTEPONGONO LA LOGICA DEL PROFITTO E DEL CONSUMISMO ALLA SALVAGUARDIA DELLA VITA, DELLA

DIGNITÀ UMANA, DELLA SALUTE E DELL'AMBIENTE.

Come i piccoli lillipuziani riuscirono a bloccare il gigante Gulliver, legando ciascuno un singolo capello del predone, così noi cerchiamo di fermare il tiranno economico conducendo ciascuno la nostra piccola lotta in collegamento con gli altri. Per questo abbiamo costituito la Rete di Lilliput: per ampliare l'efficacia delle nostre singole opposizioni condividendo esperienze, informazioni, collaborazioni e concordando mobilitazioni comuni.

La recente sconfitta dell'Accordo Multilaterale sugli Investimenti, lo stop che l'Organizzazione Mondiale del Commercio ha subito a Seattle, la creazione di sempre più stretti contatti, collaborazioni ed iniziative tra i movimenti che a livello mondiale si oppongono agli effetti devastanti della globalizzazione e dell'economia dimostrano che è possibile bloccare la macchina globale con i granelli di sabbia. Il nostro obiettivo a lungo termine è la costruzione di un mondo dove ogni abitante della terra possa soddisfare i propri bisogni materiali, sociali e spirituali nel rispetto dell'integrità dell'ambiente e del diritto delle generazioni future ad ereditare una terra feconda, bella e vivibile.

Nell'immediato ci opponiamo alle scelte economiche che attentano alla democrazia, che portano a morte il pianeta e che condannano miliardi di persone alla miseria. Le nostre strategie d'intervento sono di carattere non violento e comprendono l'informazione e la denuncia per accrescere la consapevolezza e indebolire i centri di potere, il consumo critico e il boicottaggio per condizionare le imprese , la sperimentazione di iniziative di economia alternativa e di stili di vita più sobri per dimostrare che un'economia di giustizia è possibile.

Ci impegniamo a realizzare tutto questo in un rapporto di dialogo e di collaborazione con tutti gli altri gruppi, reti e movimenti che in Italia e all'estero si battono per gli stessi obiettivi. Siamo certi che mettendo in

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Suggerisci un altro aforisma

comune idee, conoscenze, risorse, e iniziative, potremo ostacolare il cammino della globalizzazione al servizio delle multinazionali per contrapporre una globalizzazione al servizio degli essere umani.

Questa è la nostra strategia lillipuziana, questo è il potere di cui ciascuno di noi dispone.

Esercitiamolo insieme per ottenere dei risultati concreti.

(http://www.retelilliput.it/index.php?module=ContentExpress&func=display&ceid=10&meid=)

““Il Manifesto della rete di lilliput””: è un testo che si inserisce a buon diritto nel

sotto-genere dei manifesti programmatici, in quella scia di produzioni testuali depositata nell’enciclopedia della cultura occidentale che comprende i famosi “Manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels, il “Manifesto del futurismo” (pubblicato su “Le figaro” nel 1909) etc. Si tratta di testi “del noi”, in cui si delinea chiaramente un’identità (collettiva) più o meno inclusiva, ispirata a precisi valori e visioni del mondo. Rientra dunque nelle convenzioni di genere il rilievo (che qui è in primis grafico) accordato al pronome personale “noi”.

Ci troviamo dunque di fronte ad un testo marcato lungo tutta la sua estensione da un forte débrayage enunciazionale che dà un tono fortemente dialogico: c’è un soggetto collettivo che interpella altre individualità e collettività, stabilendo una forte relazione e un forte invito alla condivisione di determinati valori.1 C’è un’elencazione degli attori sociali impegnati in questo movimento, dei veri e propri “titoli di testa”

1 Spia di questa strategia enunciativa sono espressioni come: “Per questo abbiamo costituito la Rete di Lilliput”, “ci

opponiamo”, “Ci impegniamo a realizzare”, “Esercitiamolo insieme per ottenere dei risultati concreti”.

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tramite i quali il soggetto dell’enunciazione proietta nel testo dei personaggi1. Come già anticipato, più che ad una narrazione oggettivata ci troviamo di fronte ad un dialogo fra Enunciatore ed Enunciatario, in cui il primo si presenta autodefinendosi.

E’ chiaro che c’è un patto comunicativo ben preciso: l’enunciatore si impegna sia sulla verità fattuale di quanto sta asserendo sia sulla sua sincera adesione ai valori che sta proponendo. In questo Manifesto viene esplicitato il collegamento metaforico che collega il movimento ed il sito web con il mondo di senso contenuto nel romanzo “I viaggi di Gulliver” di J.Swift e quindi nelle sue interpretazioni – soprattutto quelle più legate al senso comune (cfr. supra 2.1) Il disegno contenuto nella cornice bianca in fondo alla pagina svolge pertanto una funzione di “ancoraggio” nel senso in cui ne parlava Barthes (1982 :28)2. La penultima riga della parte verbale dice “Questa è la nostra strategia lillipuziana, questo è il potere di cui ciascuno di noi dispone”. Ciò spiega una volta di più quel fenomeno di sovrapposizione fra la strategia lillipuziana e l’identità del movimento di cui si parlava in precedenza.

Va detto tuttavia che le vicende libresche di Lemuel Gulliver sull’isola di Lilliput vengono ri-semantizzate: vengono estrapolati solo alcuni tratti pertinenti al funzionamento della metafora “la strategia del movimento è come la strategia dei piccoli lillipuziani che intrappolano il gigante”. Alcuni tratti semantici dei lillipuziani “veri” subiscono un processo di narcotizzazione (Eco 1979); per fare un esempio, nel romanzo i piccoli abitanti di Lilliput sono descritti come uomini meticolosi ma un po’ cerebrali e ottusi. E’ evidente che questi loro tratti non sono pertinenti nel nuovo testo-foce che originato dalla metafora narrativa, cioè il sito web ReteLilliput. Nuovi tratti di contenuto vengono invece attivati nel mini-testo visivo della figura 1 e ce ne rendiamo conto paragonandolo alla iconografia tradizionale della scena del “gigante” Gulliver circondato e imprigionato dai lillipuziani al suo risveglio.

In effetti, nell’enciclopedia comune di coloro che –come chi scrive- hanno incontrato questo romanzo negli anni dell’infanzia a scuola, la figura di Gulliver ed il suo corpo non hanno quelle evidenti connotazioni negative presenti nella fig. 1, in cui il gigante naufrago è rappresentato con tratti somatici dis-forici, con un ghigno di rabbia sul volto e capelli neri spettinati. Tutto il contrario del Gulliver biondo della figura 2 (tratta dal sito www.pugnodilibri.rai.it); sappiamo infatti dalla tradizione pittorica occidentale che il colore biondo della chioma molto difficilmente può rinviare a connotazioni negative. Il Gulliver del testo-foce3 subisce importanti deformazioni nei tratti somatici e semantici. La cornice delimita un testo visivo che

1 “associazioni, gruppi e cittadini impegnati nel volontariato, nel mondo della cultura, nella cooperazione Nord/Sud, nel commercio e nella finanza etica, nel sindacato, nei centri sociali,nella difesa dell'ambiente, nel mondo religioso, nel campo della solidarietà, della pace e della nonviolenza”

2 E’bene tener presente, come fa Polidoro (2002), che la teoria dell’ancoraggio può essere un semplice strumento di analisi in singoli casi ma che ha ormai perso un valore euristico di portata più ampia perché ancora collegato alla criticata posizione translinguistica della semiologia barthesiana. Diversi studi più recenti hanno evidenziato una pari dignità semiotica del verbale e del visivo avallando una relazione di interdipendenza fra testo e immagine e non più una loro gerarchizzazione.

3 Testo-fonte e testo-foce (source e target) sono termini afferenti alla teoria della traduzione (interlinguistica, intersemiotica ecc.) e sono stati impiegati da più autori, fra cui Eco e Montanari (cfr. Montanari 2000). Montanari nel suo articolo rileva un paradosso etimologico e possibili connessioni fra i concetti di metafora (trasportare nuove attribuzioni di senso, metaphorà) e di traduzione (nella accezione “metaforica” che assume per esempio nella filosofia della scienza e negli studi su incommensurabilità e passaggi fra diversi modelli scientifici)

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ha un alto grado di figuratività1 –poco conta che le figure riconoscibili non sono afferenti al mondo naturale quotidiano ma attori di un testo letterario– ma le connotazioni negative di cui si diceva sopra non vengono fuori dall’intuizione dell’interprete, ma sono per così dire programmate da un uso sapiente di categorie cromatiche e formanti figurativi.

fig. 2

“Criteri di fondo condivisi”

1. Lilliput non è una associazione, è una rete. L’adesione non avviene mediante tesseramento individuale, ma attraverso l’adesione, preferibilmente in sede locale, al Manifesto nazionale. Si mettono in rete persone, associazioni e gruppi che si riconoscono in orientamenti comuni definiti a livello nazionale. Non sussistono vincoli rigidi di appartenenza, né automatismi esecutivi rispetto a decisioni assunte in qualunque sede. Persiste ed è auspicata, in ogni caso, la massima autonomia dei nodi locali, delle associazioni e delle persone coinvolte.

2. La rete è un insieme di luoghi di incontro, confronto e relazione tra persone che aprano e sperimentino nuove possibilità per l’azione politica e sociale.

3. Privilegia l’impegno locale, coordinandolo e potenziandolo in rete, in connessione a campagne ed altre reti nazionali ed internazionali.

4. Dà centralità ai contenuti, alle campagne, ai temi di lavoro, alle competenze. La preminenza delle azioni concrete, l’importanza dei gruppi di lavoro tematici e la loro diffusione e sviluppo appaiono punti comuni per tutti.

1 Il testo di riferimento sullo studio semiotico delle immagini visive è Greimas 1984.

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5. Crede nelle potenzialità della nonviolenza e reputa suo impegno primario approfondirle, esprimerle e realizzarle.

6. Valorizza le differenze e i contributi diretti e attivi di ciascuno alla ricerca comune. Vuole favorire una crescita culturale di tutta la rete e della società che tenga più conto delle differenze di genere.

7. Rifiuta la personalizzazione e la professionalizzazione dell’impegno politico e vuole evitare di essere identificata dal grande pubblico con una o più persone. Sostiene prioritariamente la partecipazione diretta degli aderenti limitando formule di delega e di rappresentanza. In questa chiave può essere letto anche l’orientamento ad escludere l’adesione di partiti e sindacati in quanto tali.

8. Valorizza una scelta dei tempi funzionale ai metodi ‘lillipuziani’: dà priorità ai suoi programmi, non si attiva ad ogni emergenza e non vuole essere visibile ad ogni costo a scapito di una reale crescita del movimento e di un suo reale radicamento nella società civile.

9. Promuove la fiducia in tutti gli aderenti alla rete che si riconoscono nel Manifesto, siano essi singoli o rappresentanti di associazioni, nella convinzione che tutti agiscono comunque nella prospettiva di percorrere un cammino comune per raggiungere i medesimi obbiettivi.

10. Favorisce la circolazione veloce ed esauriente dell’ informazione in modo da permettere la costruzione di processi basati sul consenso, dando la possibilità ad ognuno d’intervenire per esprimere sia l’accordo che il disaccordo.

11. Applica criteri di verifica costanti sulle modalità organizzative, sul lavoro effettuato e gli eventuali incarichi affidati. Laddove vi fossero incarichi di portavoce, referente, coordinatore o altro questi devono essere vincolati a dei limiti temporali, definiti dalla durata dell’iniziativa/campagna e/o da criteri di rotazione.

*http://www.retelilliput.it/index.php?module=ContentExpress&func=display&ceid=34&meid=

Questo testo mostra evidenti somiglianze con gli statuti di associazioni o

istituzioni. La sua natura è prescrittiva e regolativa e la sua organizzazione prevede una scansione formale in punti separati costituiti per lo più da frasi singole.

Si stabiliscono esplicitamente i termini del contratto comunicativo e pragmatico fra l’enunciatore e l’enunciatario. Ogni singolo punto presenta la medesima struttura grammaticale sull’asse sintagmatico, con verbi transitivi al tempo presente e in terza persona, che introducono i propri complementi oggetto che in alcuni casi possono essere verbi o frasi incassate. Tutto sommato una struttura sintagmatica lineare, semplice e ripetuta, che conferisce una omogeneità sintattica e semantica a tutto il testo. La struttura narrativa soggiacente negli undici punti è quella classica di un Soggetto -la rete dei Lillipuziani- il cui Programma Narrativo di Base è la congiunzione con una serie di Oggetti di Valore, figurativizzati in modi molteplici. Solo nel punto 7 abbiamo un Pn di non-congiunzione (“Rifiuta la personalizzazione e

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la professionalizzazione dell’impegno politico”) che rappresenta un enunciato particolarmente denso di informazioni e che si differenzia dagli altri. Qui si ha una perentoria affermazione di identità, carica di implicazioni ben precise all’interno del campo semantico /politica/.

La forza comunicativa di questo enunciato sta proprio nel tracciare confini netti, inequivocabili, fra ciò che Retelilliput è e ciò che Retelilliput non è: istituzione partitica personalizzata, professionale, rappresentativa, sindacale. Si tratta quindi un testo particolarmente assiologizzato, che afferma la bontà di determinati valori escludendo i valori contrari e contraddittori. Emergono tratti semantici che delineano la natura di movimento sociale, staccato dalla politica istituzionale e dai partiti, ma anche da altre forme di collettività civile ( cfr.“Lilliput non è una associazione, è una rete”, “Non sussistono vincoli rigidi di appartenenza, né automatismi esecutivi rispetto a decisioni assunte in qualunque sede”, “non si attiva ad ogni emergenza e non vuole essere visibile ad ogni costo”). La Rete Lilliput enuncia se stessa come un movimento a forma di rete, decentrato, svincolato da logiche di rappresentanza e delega. Caratteristica saliente è l’assenza di un centro decisionale e organizzativo; in termini narratologici, possiamo parlare di una molteplicità di attori all’interno di un unico attante collettivo, ognuno di essi ha un suo campo assiologico particolare e diverse competenze che prevedono altrettante performanze. Un gruppo sociale variegato (cfr. punto 6), che fa della molteplicità una forza e della nonviolenza un’etica.

Nella letteratura politologica, queste soggettività collettive sono chiamate movimenti o gruppi di pressione e sono identificate come attori politici a tutti gli effetti (cfr. Bentivegna: 70-72, Mazzoleni 1998 :24, Della Porta 2002 :105-107) all’interno di un sistema politico allargato che trascende i confini dell’area istituzionale delle responsabilità pubbliche e di governo.

Esistono i single-issue movements, legati a istanze particolari e a temi contingenti (es. il movimento contro l’aborto) e altri movimenti (come Rete Lilliput) dagli interessi più variegati. Altrove si è invece parlato di forme non convenzionali di partecipazione politica (cfr. Della Porta 2002 :77), mettendo al contrario l’accento sulle differenze con il sistema politico mainstream e sulle possibilità di mobilitazione e organizzazione offerte da Internet.

Prima dell’avvento della rete delle reti, questi gruppi si trovavano in una situazione di svantaggio nell’accesso alle risorse mediatiche rispetto ai soggetti politici di governo e di opposizione basati su un’organizzazione partitica. Nell’era dei mezzi di informazione di massa, la visibilità pubblica dei movimenti non-partitici poteva essere limitata, condizionata dall’attenzione che la stampa e la tv generalista concedevano perlopiù in rari momenti, come ad esempio manifestazioni di protesta di piazza o forme di contestazione contingenti (cfr. Mazzoleni 1998 :61-63).

L’avvento della comunicazione telematica prima (es. le BBS negli anni ’80 e nei primi anni ‘90) e della Rete poi hanno cambiato il panorama. I movimenti non hanno più il bisogno ineludibile di assicurarsi una copertura mediatica da parte del quotidiano o del telegiornale, perché il Web permette di avere una presenza continuata e spontanea in uno spazio informatico pressoché gratuito. Ciò ha una

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conseguenza importante: i movimenti possono creare il loro proprio medium, con una spesa contenuta e senza bisogno di appoggi esterni.

Il sito Retelilliput.it informa gli utenti di Internet sul gruppo di pressione Rete di Lilliput, lo rende presente nello spazio del World Wide Web allo stesso modo in cui è presente nello spazio off-line. Basta un computer e una connessione Internet per conoscerlo ed eventualmente simpatizzare per le sue issues, anche se tv e giornali lo ignorano. All’interno della fenomenologia dei media di massa, l’unico caso paragonabile a questo è la cosiddetta stampa di partito, con i suoi giornali –per lo più quotidiani, ma anche periodici– esplicitamente collegati a un preciso orientamento politico o addirittura emanazione diretta di un partito. Un caso su tutti è il quotidiano Il Manifesto; negli anni ’70 questa stampa in Italia viveva un momento magico, legato a un contesto sociale estremamente politicizzato in cui nascevano le prime forme di contro-informazione1. I rapporti fra la testata giornalistica e il partito/movimento politico possono variare in una gamma che va dall’organo di partito –che riceve finanziamenti diretti– alla testata che supporta particolari schieramenti per una innata affinità ideologica e culturale.

La Rete e il Web hanno creato un panorama mediale (mediascape)2 inedito, in cui la possibilità per chiunque –singolo o collettivo– di avere una presenza gratuita in uno spazio virtuale è bilanciata dal rischio della dispersione nell’immensa e incontrollabile quantità di nodi della rete3. Gestire un sito ha costi bassissimi, al contrario della carta stampata; permette di integrare informazione originale con informazione proveniente da altre fonti o dai lettori stessi (open pubblishing), modificando radicalmente il concetto tradizionale di redazione giornalistica; un quotidiano o un periodico devono sottostare a tempi di pubblicazione ben precisi (ogni giorno, settimanalmente ecc.) mentre un sito non ha simili vincoli rigidi; infine, last but not least, un sito non deve necessariamente ospitare pubblicità, anche se va detto che la pubblicità sul Web esiste in molteplici forme pur permanendo limitata ai siti commerciali.

1 Violi (1973) analizza il linguaggio di Lotta Continua, Potere Operaio e Servire il popolo, mettendo in luce le loro peculiarità comunicative. Si tratta di un’analisi molto interessante dal punto di vista storico che aiuta a ricostruire il clima di quegli anni a beneficio di chi non li ha vissuti. Inoltre (ibidem :116), a proposito delle influenze del discorso pubblicitario sul linguaggio propagandistico di Servire il popolo, troviamo questa interessante affermazione: “Non è più possibile oggi distinguere con precisione fra termini propri del linguaggio pubblicitario e altri specifici di differenti contesti, essendosi creato un continuo slittamento e scambio fra i diversi ambiti comunicativi”. Credo che dopo più di 30 anni questa affermazione dipinga perfettamente anche il panorama comunicativo attuale.

2 Per una definizione di mediascape cfr. supra 1.2.2 3 Quanto è grande il Web? Quanti documenti contiene? L’unico strumento che può rispondere a questa domanda è

un programma informatico chiamato robot o crawler che esplora il web senza supervisione umana: nei grandi motori di ricerca –Google, Altavista ecc.- un elevato numero di computer gestisce innumerevoli robot che censiscono senza sosta tutti i nuovi documenti che appaiono quotidianamente sul web (cfr. Barabàsi 2002: 33-37). Ciò che conta in questo censimento non è il contenuto delle pagine ma i link che permettono di viaggiare da una pagina a un’altra: una mappa del genere permette di misurare la distanza media fra un documento e l’altro –fra un nodo della rete e l’altro-. I motori di ricerca usano lo stesso procedimento e ciò chiarisce perché alcuni documenti appaiono nella prima pagina della query, in cima a una lista che può essere anche di centinaia di migliaia di altri documenti: i primi documenti sono quelli che hanno più link dall’esterno, sono quelli più visibili perché c’è un elevato numero di link che puntano a queste pagine web. (cfr. ibidem:62-64). Facciamo un esempio: un sito come Amazon.com è estremamente visibile in quanto ovunque ci si sposti nel web avremo sempre alte probabilità di trovare siti con link che puntano verso di esso. Perciò avremo molte possibilità di trovare Amazon.com ai primi posti nelle pagine di query su Google.

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““Gettare la rete, la strategia lillipuziana””: si tratta del documento che ha dato ufficialmente avvio alla Rete di Lilliput nel luglio del 1999. Il testo verbale di questa pagina web è costituito da 7 paragrafi ognuno dei quali è introdotto da una frase in grassetto. La struttura reiterata è:

- frase in grassetto = domanda in forma indiretta - paragrafo = risposta Analizzeremo i paragrafi a nostro avviso più importanti:

Un patto tra campagne, associazioni e arcipelago dei gruppi locali per una strategia lillipuziana Venti anni di globalizzazione e neoliberismo hanno sconvolto la faccia del pianeta. La ricchezza non cessa di crescere, ma ancor più drammaticamente sono aumentati i processi di esclusione, impoverimento, distruzione dei beni naturali. Uno straordinario trasferimento di risorse e poteri si è realizzato a beneficio di attori privati, in larga misura transnazionali, socialmente non responsabili e non trasparenti. Le forme della democrazia e della politica che tradizionalmente abbiamo conosciuto, legate a doppio filo agli stati nazionali, risultano così come sono largamente inadeguate a governare questi processi. Tuttavia, alla metamorfosi dei poteri, alle nuove esigenze della cittadinanza, più prontamente della politica classica nuove forme di partecipazione hanno reagito, assorbendo le passioni e le inquietudini del cambiamento: migliaia di associazioni in tutto il mondo si battono per riaffermare diritti antichi e nuovi, con l'intelligenza di chi guarda al proprio territorio in una prospettiva globale.

Troviamo una serie di frasi con cui l’enunciatore asserisce stati del mondo

attuale e che fanno un’analisi della contemporaneità nei suoi aspetti socio-economici. I contenuti di queste righe rispecchiano la letteratura corrente sulla globalizzazione (per uno sguardo riassuntivo sulle diverse fenomenologie della globalizzazione cfr. Della Porta 2002: 219-225). L’enunciatore dà una serie di giudizi e valutazioni adottando una strategia enunciativa che può essere definita strategia della distanza pedagogica1: si tratta di una strategia enunciativa assai ricorrente nella stampa e nell’audiovisivo, tipica del genere informativo.

Sono una serie di interpretazioni del reale proposte all’enunciatario, il quale può validarle oppure no: l’esito di questo giudizio dipende dal tipo di relazione intersoggettiva fra enunciatore e enunciatario. Diciamo che si potrebbe individuare un continuum di posizioni possibili da parte dell’enunciatario, i cui due estremi sono:

Non collaborazione……………………………………………Collaborazione

1 Questa definizione è stata mutuata da Fisher e Veron (1986). Nonostante l’analisi di questi autori si riferisca alla

stampa femminile non specializzata francese, non ci sono problemi di trasposizione di questo concetto e del concetto di strategia della complicità (che applicheremo in seguito) nell’analisi di testi linguistici all’interno di siti web. Per un’applicazione di queste tipologie di contratto enunciazionale rivolta a un corpus di siti web aziendali, cfr. Marmo (2003).

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Un enunciatario che non collabora sarà evidentemente portato a non condividere le asserzioni dell’enunciatore, anzi a rifiutarle in blocco. Semplicemente pensa che il mondo vada in tutt’altra direzione e ciò lo porterà a delegittimare l’enunciatore: il grado zero della cooperazione interpretativa. Probabilmente sta visitando questo sito web per caso e molto difficilmente sarà attratto a tornarci: il suo sistema assiologico è diverso.

Via via che l’enunciatario si colloca su posizioni di crescente collaborazione, crescerà la legittimità che attribuirà alle asserzioni dell’enunciatore. Ciò non comporta automaticamente un’adesione completa a queste posizioni, però si darà quantomeno cooperazione interpretativa. Al massimo grado di cooperazione, troveremo un’adesione supina e incondizionata.

Forza e debolezza delle associazioni Questo arcipelago vive in Italia un paradosso profondo: esso è ricco di partecipazione e di creatività, di analisi e di strategie, ma è povero di visibilità, di capacità di mettersi in relazione, di incidere, rinchiudendosi continuamente in un orizzonte quasi solo testimoniale, che ancora non modifica i meccanismi profondi, non fa opinione e non diventa politica. Nel nostro paese c'è un tesoro nascosto, eppure è come se fossimo privi della mappa per accedervi.

Anche questo paragrafo mostra una strategia simile. L’enunciatario viene però figurativizzato diversamente: non si tratta più di attori sociali generici –un utente del sito– ma di attori sociali precisi: le associazioni che si battono per nuove forme di partecipazione politica, le quali purtroppo corrono il rischio di rimanere in un “orizzonte quasi solo testimoniale”.

Quello che ci accomuna

Quello che ci accomuna è la volontà di lottare contro i gravi problemi che affliggono il mondo da un punto di vista sociale e ambientale. Ciascuno di noi interviene nel modo che gli è più congeniale con iniziative di solidarietà, di resistenza e di informazione con l'intento di soccorrere le vittime e di fermare la mano degli oppressori. Ma il nostro obiettivo ultimo è l'equità e proprio per questo sappiamo di dovere fare di più. Sappiamo che dobbiamo riscrivere le regole dell'economia, perché la ricerca dell'equità fa cadere i presupposti di fondo su cui funziona quest' economia. Questa sfida potrà essere vinta solo se saremo capaci di introdurre profondi cambiamenti nel modo di gestire le risorse, di concepire il lavoro, di organizzare la produzione, di contribuire ai servizi pubblici, di garantire la sicurezza sociale. In una parola potrà essere vinta solo se sapremo costruire un'altra economia. Possiamo realisticamente pensare di farcela continuando a lavorare in ordine sparso, come attualmente facciamo, e limitando i nostri obiettivi al solo piano della sensibilizzazione?

In questo paragrafo la strategia enunciativa si modifica: il pronome personale /ci/

nella riga in grassetto riduce la distanza fra enunciatore e enunciatario. Abbiamo una strategia di complicità1 testualizzata tramite un meccanismo di débrayage enunciazionale (noi-voi). Dialogo e interpellazione sono le forme testuali tipiche di questa riduzione della distanza comunicativa fra enunciatore e enunciatario.

1 Cfr. Fisher e Veron (1986)

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Insieme, ma come? La riflessione sulle modalità di un'azione comune ha costituito uno dei punti su cui ci andiamo interrogando insieme da anni: come aumentare l'efficacia senza irrigidire? Come incanalare le energie senza creare gerarchie? Come coalizzarsi in determinati frangenti decisivi senza perdere la ricchezza delle mille differenze? Come accentuare la visibilità senza riprodurre in piccolo i meccanismi della politica-spettacolo e vuota di partecipazione che subiamo ogni giorno? Non si tratta qui di pensare a delle strutture nazionali che soffochino la molteplicità e la diversità in un'unica sigla. Si tratta piuttosto di avviare un processo di comunicazione dal basso, una messa in rete, un percorso federativo per la creazione di un contesto comune. Un contesto in cui ogni singola associazione venga non solo salvaguardata, ma addirittura possa trarre le risorse di cui necessita, in un orizzonte di reciprocità. Un contesto, un contenitore che renda più coerenti ed efficaci le microazioni di centinaia di gruppi e persone che si muovono in ogni parte d'Italia sulle sollecitazioni che dalle tante campagne e organismi nazionali partono.

La cosa peggiore che può capitare a chi vuole costruirsi una nuova identità è accorgersi di riprodurre tale e quale la vecchia identità da cui si vogliono prendere le distanze. Nel caso della Rete di Lilliput, ciò da cui ci si vuole distinguere è la politica così come la conosciamo, quella “politica-spettacolo vuota di partecipazione” che ha bisogno di essere superata perché ormai ha dato ciò che poteva dare. L’opposizione è

Rappresentanza VS Partecipazione Questi due termini lessicalizzano i valori che fanno da sfondo rispettivamente alla

democrazia rappresentativa e alla democrazia diretta (cfr. Della Porta 2002: 71-73, 166-169).

Laddove la democrazia rappresentativa prevede la costituzione di un corpo di rappresentanti specializzati, la democrazia diretta pone invece forti vinco- li al principio della delega, che viene vista come strumento di un potere oli- garchico. Se la democrazia rappresentativa si basa su una formale eguaglian- za –una testa, un voto- la democrazia diretta è partecipativa, nella misura in cui riconosce il diritto di decidere solo a chi mostra dedizione alla causa pub- blica. Mentre la democrazia rappresentativa è spesso burocratizzata, con un accentramento delle decisioni al vertice, la democrazia diretta insiste sulla ne- cessità di portare le decisioni il più vicino possibile alla gente. (ibidem: 72, corsivo dell’autore). Ma torniamo al paragrafo “Insieme, ma come?”, elencando alcuni tratti

dell’espressione linguistica di questo testo: senza irrigidire… senza creare gerarchie…. la

ricchezza delle mille differenze….. la molteplicità e la diversità…..Quale è il contenuto profondo di queste espressioni, quali sono le implicazioni filosofiche che balzano molto velocemente all’attenzione? Credo che non ci siano dubbi: la matrice profonda è il

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celebre concetto di rizoma1 intorno al quale la semiotica e la filosofia degli ultimi trenta anni hanno prodotto libri estremamente affascinanti. Siamo di fronte a un concetto duttile, che può rendere conto dell’organizzazione enciclopedica della cultura e della conoscenza umana (cfr. Eco 1984, cap. 2 “Dizionario versus Enciclopedia”), così come di tipologie di relazioni comunitarie.

Il concetto di rizoma (cfr. Guareschi 2003: 22) si inserisce spesso nella letteratura contemporanea sulle nuove tecnologie, sulla network society e sulle nuove possibilità di organizzazione sociale e di rappresentazione politica offerte dalla rete Internet. In questo particolare contesto, si è spesso detto che le possibilità di connessione orizzontale all’interno di una Rete decentrata possono rappresentare l’avvento di un superamento epocale delle modalità organizzative gerarchiche. Tuttavia, a fianco di toni apologetici e volutamente ottimistici, è bene mantenere una riflessione equilibrata, dialettica e in fin dei conti realistica, come quella che offre Guareschi in queste righe:

La rete, in quanto tale, non è necessariamente rizomatica, anche se presenta evidenti tendenze a operare in tal senso. Le vicende di Internet, per esempio, offrono un’eloquente testimonianza di come una trama reticolare possa esse- re riconfigurata da strutture arborescenti, punti notevoli e percorsi obbligati. Nel contesto reticolare la dimensione rizomatica non è quindi un dato scon- tato ma un esito da costruire, direttamente relato ai rapporti di forza fra gli attori in campo. (ibidem) Torneremo su questo tema quando parleremo della teoria delle reti e delle sue

applicazioni nello studio del web e nell’indagine della sua struttura complessiva. Come noto, dobbiamo a Gilles Deleuze e Felix Guattari la più completa trattazione

del problema filosofico del rizoma (cfr. Deleuze e Guattari 1980). Nell’introduzione al loro Mille Plateaux, il filosofo e lo psicoanalista enumerano alcuni “caratteri approssimativi del rizoma” (ibidem: 39). Lungi dal voler qui rendere conto della profondità e della complessità filosofica del discorso di Deleuze e Guattari, ci limitiamo a estrapolare i due punti che possono risultare utili a comprendere la natura decentrata e orizzontale che la Rete di Lilliput condivide con i movimenti sociali contemporanei .

- qualsiasi punto di un rizoma può essere connesso a qualsiasi altro e deve

esserlo - il rizoma è molto differente dall’albero o dalla radice che fissano un punto, un

ordine

1 La definizione del vocabolario Zingarelli è: “Fusto orizzontale simile a una radice, sotterraneo o strisciante in

superficie, con squame in luogo delle foglie, che costituisce un organo di riserva; da esso si staccano le radici e lo scapo fogliare e fiorifero”. Si tratta dunque di un termine proveniente dalla botanica: un fulgido esempio di quanto possa essere produttivo e stimolante un pensiero che trasporti concetti fra differenti campi del sapere, creando connessioni illuminanti e stabilendo traduzioni inaspettate.

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L’agire politico di questo movimento –e non solo di esso– cerca in definitiva di comporre programmi d’azione di soggettività diverse all’interno di un’articolazione complessiva distante da concezioni verticistiche e gerarchiche. Questi punti della rete si trovano su di uno stesso livello –piano di consistenza in termini deleuzeani- invece che situarsi su strati diversi. Non c’è un’istanza centrale che coordina informazioni e performances, c’è invece uno spazio comune e condiviso che è in ultima analisi uno spazio comunicativo, luogo di scambio di flussi informativi che per loro natura non devono prevedere direzioni prestabilite da gerarchie. Poiché in questo spazio comunicativo non ci sono né basi e centri né vertici e periferie, le singole soggettività che ne fanno parte –i nodi locali della Rete di Lilliput- hanno pari dignità e pari possibilità. Questi nodi locali sono la proiezione sul territorio locale del Movimento globale: osservare le loro dinamiche di funzionamento offre spunti di riflessione su quel fenomeno che la sociologia attuale definisce glocalizzazione1.

L’unico punto in cui la struttura rizomatica della Rete di Lilliput sembra apparentemente arborizzarsi è il “Tavolo delle Campagne”. Si tratta di un punto notevole che, lungi dall’essere centro organizzativo di gerarchie operative, appare come il punto d’inizio temporale del movimento, una sorta di Destinante che propone un patto assiologico all’inizio di una narrazione e che se ne fa garante. Come dice il mini-testo che segue, si tratta di un insieme di soggettività collettive che hanno dato inizio a una collaborazione reciproca tramite la Rete di Lilliput. Il Tavolo delle Campagne ha segnato l’inizio della Rete di Lilliput per come la conosciamo oggi in quanto è stato il primo atto di cooperazione e coordinamento fra le associazioni italiane di stampo sociale, umanitario, solidaristico. Non è un organo direttivo centralizzato in quanto anche esso è uno spazio comunicativo che favorisce l’interazione fra soggettività diverse. In questo senso, possiamo dire che Rete di Lilliput e Tavolo delle Campagne partecipano della stessa natura.

Il Tavolo delle Campagne può essere considerato il 'fondatore' della Rete Lilliput, un luogo autonomo dalla Rete ma 'in Rete' garante del Manifesto, consulente culturale e scientifico, svolge un ruolo di accompagnamento e di sostegno alle attività della Rete stessa. Il Tavolo delle Campagne è costituito dalle realtà sotto indicate che rappresentano un pezzo molto importante della recente storia della società civile organizzata del nostro paese. Dalle economia solidale all'impegno di riforma delle istituzioni internazionali; dal commercio equo e solidale all'ambiente; dalla cooperazione allo sviluppo allo sviluppo sostenibile; dalla informazione indipendente alle campagne di boicottaggio; dalla formazione al consumo critico.

Ecco in dettaglio i gruppi che hanno promosso la Rete Lilliput: Chiama L'Africa | Sdebitarsi | Campagna Stop MillenniumRound | CTM Altromercato | Nigrizia | Campagna per la Riforma della BancaMondiale | Manitese | AIFO | Pax Christi | Beati i costruttori di pace | Rete RadiéResch | WWF-Italia| Associazione Botteghe del Mondo | Bilanci di Giustizia | CentroNuovo Modello di Sviluppo | Innovazioni e Reti per lo Sviluppo | Roba dell'altro mondo

1 Per una rassegna di saggi di diversi autori sul tema del glocal e della glocalizzazione, si veda Sedda (a cura di) 2004.

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2.3.2. LE TATTICHE La cornice delle Campagne nella home-page rappresenta la porzione testuale in cui

il discorso strategico diventa discorso tattico, in quanto le azioni che prima venivano enunciate a livello di virtualizzazione passano a uno stato di attualizzazione. Le Campagne sono performanze causali rette da programmi d’azione che spesso sono controprogrammi, ossia programmi narrativi che mirano alla non-realizzazione dei programmi narrativi dell’Antisoggetto (es. i programmi dei trafficanti di armi o i programmi degli sfruttatori del lavoro dei bambini). Le modalità che reggono queste relazioni intersoggettive possono essere:

- Antagonismo: i programmi narrativi di soggetto e antisoggetto sono opposti nel senso che sono informati da opposte assiologie. Il loro rapporto di opposizione rientra nello schema generale dell’opposizione privativa, in quanto i valori semantici profondi presenti in un programma sono assenti dall’altro programma e pertanto la realizzazione di uno di loro implica la non-realizzazione dell’altro. Tuttavia la peculiarità di questo schema antagonistico è che il soggetto antagonista –la Rete Lilliput– mira alla realizzazione del suo programma più che alla non-realizzazione del programma dell’antisoggetto (es. la campagna “Control Arms” che richiede lo stipulamento di trattati e codici che regolamentino l’esportazione italiana di armi rendendola più trasparente e monitorata).

- Negoziazione: i programmi di soggetto e antisoggetto non sono mutuamente esclusivi. Ciascuno dei due può realizzarsi almeno in parte senza bisogno di una completa non-realizzazione del programma dell’altro (es. la campagna “M’illumino di meno” sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica da parte dell’Italia. Si tratta di una campagna che promuove strategie di riduzione del consumo energetico per evitare una crescita della produzione di energia e quindi di varie forme di inquinamento. Va da sé che l’energia dovrà continuare a essere prodotta in qualche modo; tuttavia questa produzione di energia va temperata da una diminuzione del consumo tramite un cambio di abitudini e comportamenti purtroppo consolidati). Per chiarire, possiamo immaginare P1 e P2 come estremi di un continuum di posizioni di negoziazione; nella prospettiva della Rete di Lilliput la posizione più desiderabile sarà la più vicina possibile al suo programma narrativo.

- Conflitto: anche in questa modalità di agire intersoggettivo assistiamo allo scontro di due programmi narrativi mutuamente esclusivi e pertanto in rapporto di opposizione privativa. Tuttavia adesso il soggetto S1 –la Rete di Lilliput– ha come interesse principale quello di impedire la realizzazione del programma di S2. Un esempio lampante è la campagna “Nuove strade per costruire la pace” collegata alla giornata mondiale contro la guerra del 19 marzo 2005; questa campagna propone un’obiezione alle spese militari da realizzarsi attraverso una dichiarazione di detrazione simbolica dalle tasse della somma di un euro. Il programma che si vuole impedire riguarda il finanziamento delle guerre globali da parte del nostro governo tramite le nostre tasse; per raggiungere questo fine,

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il mezzo è una forma di agire polemico che vuole essere costruttivo mediante una competizione contro un avversario che si vuole ridurre all’impotenza. Una sorta di guerra alla guerra attuata però tramite l’opzione assiologica della non-violenza: l’agire bellico distruttivo viene combattuto cambiandolo di segno, ribaltandolo e trasformandolo in un agire agonico (dal greco agon che vuol dire “buona competizione”)1.

Alcuni loghi delle campagne:

2.4. L’INTERDISCORSIVITA’, IL CONTAGIO, LE PRATICHE SOCIALI L’uso di slogan chiari e incisivi all’interno di cornici afferenti al genere testuale del

banner (cfr. supra 1.4) rientra in una tendenza più ampia che fa da modello generale a diversi tipi di discorsi sociali fra cui il discorso del giornalismo, della pubblicità e della politica indipendentemente dalla loro sostanza espressiva: si tratta di una tendenza che l’analisi sociosemiotica definisce interdiscorsività di base (cfr. Marrone 2001: 83-85).

La sfera delle passioni e della sensibilità gioca un ruolo decisivo all’interno di quel particolare ramo del discorso politico che è il discorso dei movimenti sociali contemporanei. Per quanto ci riguarda, abbiamo scelto all’interno di questo discorso sociale delle testualità all’interno del Web, ma quanto detto sopra –lo ripetiamo– vale anche per testi con una differente sostanza espressiva. L’efficacia comunicativa di questi testi è direttamente proporzionale alla loro capacità di diffondere un contagio del senso e delle passioni che porti all’adesione a programmi d’azione ben precisi; il raggiungimento di un’estesia collettiva che va a retroagire su questi oggetti semiotici, trasformandoli da stringhe di bit trasferite fra computer in testi attivi

1 Ringrazio il professore Federico Montanari per questo suggerimento.

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generatori di stati passionali nonché di testi ulteriori. Alcuni di questi stati passionali possono essere lessicalizzati1:

- indignazione ( verso le multinazionali o l’esportazione di armi dall’Italia) - rabbia ( verso la dis-informazione) - pietà ( verso la fame nel mondo o le disuguaglianze nord-sud del mondo)

I testi ulteriori generati da questo discorso delle passioni si inseriscono in pratiche

sociali riconoscibili, che nel nostro caso sono intimamente legate alla dimensione politica transnazionale2 ( lotte contro certe dinamiche ingiuste della globalizzazione, battaglie per un’economia etica ecc.). Cosa si intende per pratiche in questa accezione? Per Ferraro (2004) questo concetto sarebbe utile perché “meno ambiguo del termine discorso e non obsoleto come il termine codice”. All’interno di una visione allargata del concetto di testo per la quale i testi sono le forme onnipervasive all’interno della costruzione semiotica del mondo e del sociale, le pratiche si definiscono come “forme organizzate di agire sociale, riconoscibili nei testi e nelle loro trasformazioni, leggibili attraverso i testi, ma guardando al di là di loro” (ibidem).

Le trasformazioni di cui parla Ferraro avvengono all’interno di un sistema culturale concepito come rete di testi3, in cui ogni testo è sempre una riattualizzazione di altri testi a patto di prenderlo nella sua globalità piuttosto che nella dimensione locale di una citazione o di un’allusione, come vuole una teoria classica dell’intertestualità. Nella dimensione del Web, queste dinamiche culturali si fanno più complesse, perché sono più complesse le forme della testualità. Il Web offre allo studioso questa sfida: non più confortanti testi fissi, bensì testi plastici (Ferraro 2004), caduchi e in continuo rifacimento.

2.5. LE NUOVE TESTUALITA’ DELLA RETE E L’AGIRE DISCORSIVO La Rete obbliga dunque l’analisi a fare i conti con testi fluidi. In questa sede

stiamo trattando alcuni siti Web legati al Movimento dei movimenti, pertanto le osservazioni che seguono non hanno pretese di generalità ma vorrebbero solamente rendere conto delle pratiche riconoscibili dentro questi testi e al di là di loro. Per queste pratiche propongo le due definizioni di agire performativo e di agire discorsivo:

1 Va tenuta presente l’opinione di Marrone (2001:130) che, nel ribadire la natura complessa degli stati passionali, afferma che nel corso di un’analisi passionale su un testo non si va solo alla ricerca di stereotipi patemici nominati e nominabili, ma anche e soprattutto di disposizioni patemiche che “non sono ancora, e forse non saranno mai, passioni vere e proprie, ma semplici trasporti verso le cose, le persone o le situazioni” (ibidem). Quando si parla di passioni, va dunque tenuta un’attitudine sempre pronta a accettare una certa ineffabilità dell’oggetto di studio, o perlomeno un’apertura verso sempre nuove attribuzioni di senso.

2 Cfr. Appadurai (2001: 25) 3 E’ a Levi-strauss che dobbiamo questa concezione del sistema culturale come rete di testi, che costituisce

un’importante anticipazione sulla realtà di Internet (Ferraro 2003: 103).

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- L’agire performativo consiste in quelle azioni, in quel fare o far-fare all’interno

del mondo reale da parte dei soggetti che aderiscono concretamente alle campagne e alle azioni promosse da questi siti Web.

- L’agire discorsivo consiste invece, per così dire, nel raccogliere il testimone e portarlo avanti, nel farsi promotore di una continuazione dei discorsi dei movimenti sociali con diversi strumenti espressivi, sia nell’ambiente comunicativo della Rete o di altri media sia in situazioni comunicative più o meno informali all’interno del vissuto quotidiano. Come detto in precedenza (cfr. 1.3), in questa concezione non conta la sostanza espressiva dei testi ma le configurazioni discorsive di cui i testi fanno parte.

L’agire discorsivo richiede una maggiore consapevolezza e un maggior impegno

nella dimensione cognitiva, mentre l’agire performativo –se non va accompagnato a un conseguente agire discorsivo- si limita all’impegno pragmatico. La natura globale e sovra-nazionale della Rete permette la disgiunzione fra queste due forme dell’agire, permettendo una presenza cognitiva a quei soggetti che si trovano disgiunti dagli spazi dove avvengono le performanze pragmatiche. D’altronde è evidente come lo stesso movimento di contestazione della globalizzazione abbia ricevuto impulso dalla Rete e dal suo potere diffusivo. Cosa ha diffuso la Rete? Innanzitutto informazioni –pensiamo alla sensibilizzazione mondiale sul problema del Chiapas- e poi, di conseguenza, testi e pratiche sociali e discorsive. Ha permesso una compresenza cognitiva a soggetti individuali e collettivi che si trovavano disgiunti e che hanno potuto condividere discorsi attraverso diverse sostanze espressive e azioni.

Offriamo due esempi tratti rispettivamente dalla home-page di Indymedia Italia e dalla pagina di Retelilliput.it dedicata alla campagna “Control Arms”: RIVOLTA AL CPT 20/05/2005

Rivolta al CPT di c.so Brunelleschi a Torino Questa mattina i detenuti del centro di permanenza temporanea di corso Brunelleschi a Torino sono insorti dando inizio allo sciopero della fame come forma di protesta contro le pessime condizioni in cui sono costretti a vivere e contro l’istituzione stessa dei centri di detenzione. Le realtà antagoniste torinesi si sono date appuntamento davanti al cpt per portare solidarietà attiva ai detenuti e estendere la loro lotta al di fuori delle mura. Ci sono stati scontri con le forze dell'ordine ai quali è seguito l'arresto di

un compagno Continua in categoria Piemonte >AGGIORNA QUESTA FEATURE<

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Lo strumento principale per diffondere l'obiettivo dell'ATT è la foto-petizione, che intende raccogliere un milione di volti entro il luglio 2006. La galleria di immagini sarà presentata ai governi di tutto il mondo in occasione della seconda Conferenza dell'ONU sui traffici illeciti di armi leggere in tutti i suoi aspetti, che si terrà a New York nel luglio 2006. Forti di ampio sostegno dell'opinione pubblica internazionale, la Conferenza ONU sarà, infatti, l'occasione ufficiale in cui le ONG chiederanno ai governi un impegno ufficiale che porti all'adozione dell'ATT.

3. OLTRE RETELILLIPUT.ORG. ALCUNE OSSERVAZIONI INTORNO AL WEB

3.1. LA TEORIA DELLE RETI Una serie di recenti scoperte mozzafiato ci ha messi di fronte al fatto che alcune leggi naturali, di vasta portata e incredibil- mente semplici, governano la struttura e l’evoluzione di tutte le reti complesse che ci circondano. (Barabàsi 2002:7) All’interno della ricerca scientifica attuale, il concetto di Rete si sta rivelando un

paradigma teorico di vasta applicabilità. Ricerche condotte in ambiti molto diversi fra loro –sociologia, fisica teorica e applicata, biologia, studi economici, informatica– hanno infatti condotto a risultati sorprendentemente simili, una volta che i loro esiti sono stati sottoposti a comparazione (cfr. Barabàsi 2002). Si sono scoperte leggi comuni all’interno di:

- mappe dettagliate della rete Internet - mappe di rapporti finanziari e proprietari all’interno di specifici settori

economici (es. la Silicon Valley) - mappe delle interazioni delle specie animali e vegetali negli ecosistemi - mappe delle interazioni dei geni all’interno delle cellule umane

Le leggi che regolano questi universi a prima vista incommensurabili fra loro

derivano da una branca della matematica –la teoria dei grafi- che di per sé non è nuova, visto che affonda le sue radici negli studi settecenteschi del matematico di origine svizzera Ludovico Eulero (ibidem : 11-13) e nelle ricerche degli ungheresi Paul Erdos e Alfred Rènyi intorno alla metà del xx secolo (ibidem : capitolo 2).

Cos’è un grafo? La maniera più intuitiva di pensare a un grafo è quella di rappresentarcelo sotto forma di una mappa che rappresenta un insieme di vertici o nodi connessi da spigoli o link (ibidem : 13). Quando si studia un grafo o una rete l’interesse primario è indagarne la topologia, ossia la struttura dello spazio delimitato dal grafo stesso. Questa struttura determina in maniera diretta le proprietà dello spazio che si va a studiare, al punto che anche i più minimi cambiamenti topologici possono far emergere nuove proprietà e nuove possibilità. In natura esistono grafi

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regolari1 ma lo studio dei più affascinanti sistemi complessi ha stabilito che essi “sono l’eccezione e non la regola”(ibidem :20). I grafi non regolari sono quelli che suscitano maggior interesse scientifico perché il loro studio permette di arrivare a scoprire le leggi che organizzano le reti di interconnessione complessa che troviamo in molteplici ambienti del mondo reale: queste leggi, una volta scoperte, ci possono dire come nascono queste reti, come crescono e come la loro organizzazione interna derivi dalla loro particolare struttura.

I computer collegati dalle linee telefoniche, le molecole colle- gate dalle reazioni biochimiche, clienti e società collegati dal commercio, le cellule nervose connesse dagli assoni e le isole collegate dai ponti sono tutti esempi di grafi. Qualunque sia la loro identità e natura, per un matematico nodi e link rappresen- tano sempre lo stesso animale: un grafo o una rete. (Barabàsi 2002:17, corsivi dell’autore). E’ fuori di dubbio che questi sistemi sono fondamentalmente diversi gli uni dagli

altri. Affermare che un unico modello presiede al funzionamento di realtà talmente diverse – come fa Barabàsi- porta con sé una innegabile tendenza al riduzionismo. E’ senz’altro concreto il rischio di una reductio ad unum che porterebbe a credere ingiustificatamente nell’esistenza di un’unica semplice spiegazione –troppo semplice– per fenomeni molto complessi. Chi si trovi a leggere il libro di Barabàsi resterebbe senz’altro piacevolmente colpito dal suo linguaggio divulgativo e dal fascino degli esempi molto legati all’attualità che vengono presentati2.

A dire il vero, si resta colpiti anche dal suo sincero ottimismo in merito al futuro: la “rivoluzione delle reti”, di cui Barabàsi si proclama alfiere, avrebbe le potenzialità di permettere un salto epocale e copernicano che potrà influenzare vari settori della scienza e aiutare a risolvere problemi annosi. Questo settore di ricerca sta conoscendo un rapido sviluppo ma il suo dinamismo, come ammette lo stesso Barabàsi, troverà ulteriori ostacoli sulla sua strada e dovrà raccogliere ulteriori sfide. Il lavoro sulle reti è e rimarrà un work in progress e pertanto la prudenza dovrebbe consigliare un sano equilibrio e una paziente attesa degli sviluppi. A scanso di pericolosi equivoci, dunque, bisognerà rimanere lontani da toni troppo messianici del tipo “le reti costruiranno un nuovo mondo”. Del resto Barabàsi stesso, parlando del Web e di

1 Esempi di grafi dalle proprietà regolari in natura possono essere il reticolo formato dagli atomi di un cristallo

oppure quello formato dalle cellette esagonali fabbricate dalle api nel favo (ibidem: 14). 2 L’autore tratta di attacchi di giovani hacker a giganti del web (Yahoo), della dimensione reticolare e perciò

sfuggente di Al Quaeda, della diffusione dell’epidemia dell’AIDS, di come gli individui costruiscono le loro reti sociali, di rivoluzionarie cure contro il cancro derivabili da una maggiore consapevolezza delle reti del genoma umano……..

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Internet, sfata alcuni luoghi comuni della ricerca e ci mette di fronte a esiti teorici imprevisti. Riassumendo, questi sono alcuni dei punti chiave:

- Benché progettata dall’uomo, Internet ha caratteristiche strutturali vicine a quelle di un ecosistema.

- Il World Wide Web non ha una natura democratica perché non offre ai suoi utenti né la stessa visibilità né un medesimo potere comunicativo.

- “I ricchi diventano sempre più ricchi”. La rete di reti Internet, benché progettata dall’uomo, sta assomigliando sempre più

ad un immenso sistema interconnesso che vive di vita propria. Chi la studia, assomiglia sempre più a un esploratore che a un progettista. Questo sistema, nel suo insieme, è molto più ricco della somma delle sue parti e può essere definito come una rete non casuale, in costante crescita e che segue la legge del collegamento preferenziale. Come vedremo fra breve, il collegamento preferenziale è quel fenomeno che fa sì che, in una rete in crescita, i nodi più ricchi di link hanno molte più possibilità di ottenere nuovi link rispetto ai nodi che ne hanno di meno.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla storia della teoria delle reti in campo matematico. In merito alla formazione e alla crescita delle reti nel mondo reale, i matematici Erdos e Rènyi offrirono una soluzione che dagli anni ’50 del ‘900 in poi sarebbe rimasta invalsa, influenzando tutte le successive riflessioni sull’argomento. La loro risposta era che le reti non regolari hanno una modalità di crescita casuale perché la loro natura è essenzialmente casuale. Ciò significa che ogni nodo di una rete, nel momento in cui questa raggiunge una certa soglia superiore di sviluppo, ha esattamente le stesse probabilità di acquisire un link1 rispetto agli altri nodi. Queste reti avrebbero quindi una natura egualitaria poiché ogni nodo si viene a trovare collegato agli altri nodi nella stessa misura in cui gli altri nodi sono collegati a esso. Il loro tessuto perciò sarebbe altamente uniforme: in questa prospettiva i siti web riceverebbero quasi tutti lo stesso numero di visite, così come tutti gli individui di una rete sociale avrebbero lo stesso numero di conoscenti (Barabàsi 2002: 23-24).

Questa teoria ha il difetto di ridurre la complessità alla casualità: una rete molto complessa, se non accetta spiegazioni semplici evidenti, deve per forza basarsi su modelli in cui a prevalere è il caso o piuttosto un’aleatoria accidentalità. L’origine di questo equivoco, secondo Barabàsi, sta nel fatto di aver affrontato il problema delle evoluzioni delle reti da un punto di vista esclusivamente matematico e teorico, senza incursioni nel mondo reale che avrebbero offerto possibilità di applicazioni concrete nonché una visione più universale sulla formazione delle reti. Una volta che si affrontano le reti del mondo reale, incontriamo delle logiche diverse. Un caso esemplare è quello della rete del World Wide Web che è stata censita da alcuni fisici

1 I link strutturali sono interni a un sito web e sono organizzati in base alla sua architettura; i link associativi sono

quei link che permettono di visualizzare una pagina di un sito web a partire da un altro sito esterno a esso. Questi link sono sparsi nello spazio dei contenuti dell’ipertesto sotto forma di parole sottolineate o aree sensibili di immagini, tabelle, diagrammi. Possono anche trovarsi raggruppati in liste organizzate e commentate dette linkografie. (cfr. Cosenza 2004: 107). Nell’ambito della teoria delle reti, sono pertinenti solo i link associativi in quanto viene considerato come nodo della rete un sito preso nella sua totalità e non una singola pagina web.

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americani tramite dei robot o crawler1. Questo tipo di ricerca non è interessata al contenuto delle pagine ma solo ai link che permettono di navigare fra un nodo delle rete e un altro (ibidem : 34-37, 62-64). Una serie di misurazioni ha rilevato che la stragrande maggioranza dei nodi del Web –cìrca il 90% del totale- ha meno di dieci link dall’esterno2, mentre un ristretto numero di nodi – detti hub o connettori- ne ha quasi un milione3. In altri termini, praticamente ovunque ci si sposti nel web, si hanno elevate possibilità di trovare nodi linkati a questi hub, come ad esempio Yahoo!, Amazon, CNN.com4. Poiché sul Web la misura della visibilità di un nodo è direttamente proporzionale al numero di link associativi che puntano verso di esso, gli hub sono definibili come nodi altamente connessi e visibili che tengono in piedi fisicamente l’infrastruttura della rete (ibidem: 119-135 sulla vulnerabilità della Rete ad attacchi che colpiscano questi centri nevralgici).

Incontriamo a questo punto un circolo virtuoso che ci spiega anche la legge del collegamento preferenziale accennata sopra. Più un nodo è conosciuto, più ha probabilità di venire linkato da altri nodi; più link riesce a guadagnare, più sarà facile trovare nel Web il nodo in questione. Pertanto è più probabile che diventi familiare agli utenti del Web e che pertanto questi tendano a connettersi a esso. E’ questo il senso dello slogan “i ricchi diventano sempre più ricchi”. Del resto, se il Web fosse una rete casuale, un utente sceglierebbe a caso i nodi a cui collegarsi; visto che le cose non stanno assolutamente così, bisogna affermare che un utente medio tende a connettersi a nodi che già conosce o a nodi che perlomeno siano altamente connessi, cioè gli hub. La legge del collegamento preferenziale può anche essere enunciata così: dovendo scegliere fra due pagine di cui una ha due volte i link dell’altra, circa il doppio degli utenti opta per la pagina più connessa. Pertanto anche nel Web, a dispetto dei tecno-entusiasti rizomatici, la popolarità è un forte elemento di attrazione e di differenziazione.

1 Si tratta di un software che è in grado di scaricare qualsiasi documento web, individuarne tutti i link associativi,

leggere e scaricare tutte le pagine cui rimandano questi link e proseguire così fino a catturare tutte quelle presenti sul web senza supervisione umana. I grandi motori di ricerca come Google hanno migliaia di computer che fanno funzionare innumerevoli robot che censiscono senza sosta tutti i nuovi documenti del web.

2 Ciò significa che esistono meno di dieci nodi nel web che presentano dei link associativi verso il nodo che stiamo considerando

3 Esistono quindi quasi un milione di nodi nel web che hanno dei link associativi verso questi hub. 4 Le medesime ricerche hanno rilevato che la media dei link associativi per ogni nodo oscilla fra 5 e 7.

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3.2. PORTALI, RIMEDIAZIONE, REGIMI DI ENUNCIAZIONE A un primo sguardo, i siti del nostro corpus possono essere catalogati all’interno

del modello dei portali. All’interno del World Wide Web, il portale rappresenta il genere di sito più riconoscibile perchè più assestato attorno a uno schema consolidato: la prova di ciò è che esiste un termine ad hoc per indicarli (Polidoro 2003: 216) e che questo termine sia entrato nel linguaggio specialistico e nel linguaggio comune come, ad esempio, la parola “romanzo” in relazione ai generi letterari. D’altronde, sappiamo da Todorov (2001) che un genere, inteso come classe di testi, ha una esistenza teoreticamente valida solo se è stato percepito come tale nel corso di un periodo di tempo sufficientemente lungo. Quella che Todorov1 chiama percezione storica di un genere lascia le sue tracce sia nel discorso teorico sui generi sia nei testi stessi. Ebbene, il portale è percepito come genere almeno dal 1997 - l’utente medio del Web vi è dunque abituato- sebbene vedremo come si tratti di una macro-categoria suscettibile di ulteriori differenziazioni interne.

Come noto, secondo una concezione tipologica2 della questione della categorizzazione, il genere funziona come quadro di riferimento per il produttore di un testo mentre per il fruitore rappresenta essenzialmente un orizzonte di attese o piuttosto di competenze intertestuali (Eco 1979:81-84). Il produttore può violare più o meno consapevolmente le regole di questo quadro di riferimento mentre il fruitore, se pur competente, può vedere frustrate alcune sue aspettative. In questa dinamica reciproca rientrano le tematiche della codificazione dei generi, della loro innovazione e dei linguaggi della avanguardie.

Ma torniamo ai generi dei siti web e ai portali. Agli albori del Web, i portali erano quei siti che svolgevano la funzione di gateways (punti d’accesso) alla rete. Spesso nascevano attorno a un motore di ricerca o a un provider di connessioni Internet, organizzando sommari di link che facilitavano l’utente nella ricerca dei siti; col tempo sono diventati siti ricchi di informazioni, servizi, possibilità di accesso a communities virtuali. Varie ricerche hanno stabilito che sono i siti web in assoluto più visitati (cfr. Polidoro 2002:176), sono cioè quegli hub nella rete di cui si parlava in relazione alla teoria generale delle reti ( cfr. 3.1). Queste caratteristiche permangono ancora oggi: un esempio su tutti può essere Virgilio.it. Parleremo dunque di portali generalisti o orizzontali, che affrontano diverse tematiche e si rivolgono a un pubblico il più vasto possibile, distinti dai portali verticali (o vortali) che invece si occupano di argomenti specifici indirizzati a un pubblico di nicchia (cfr. Polidoro 2003: 217).

1 Va ricordato che Todorov parla di generi letterari, anche se alcune sue osservazioni possono risultare valide anche

per altre classi di oggetti testuali. 2 Polidoro (2003: 213-214) elenca tre modelli principali in base ai quali si è affrontata l’annosa questione della

categorizzazione: classificazione gerarchica (secondo l’albero di Porfirio), combinatoria (in cui alcune disgiunzioni si possono trovare nello stesso tempo sotto diversi rami dell’albero), tipologia (in cui i generi non sono caselle vuote dal valore prescrittivo ma famiglie di testi simili che tuttavia possono trovarsi più o meno lontani dal nucleo di proprietà comuni).

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L’interfaccia dei portali ha una evidente analogia visiva e funzionale con le prime pagine dei quotidiani (cfr. Polidoro 2002 e 2003). Le caratteristiche condivise sono: la divisione della pagina in cornici, le tinte cromatiche sature e l’organizzazione topologica rettilinea che può prevedere una segmentazione in fascia superiore, fascia centrale (divisibile in colonna centrale e colonne laterali) e fascia inferiore. Questo fenomeno rientra nel più vasto processo di ri-mediazione (remediation) definito per la prima volta da Bolter e Grusin1, necessario per familiarizzare i nuovi potenziali utenti con un nuovo medium, inteso sia come nuova tecnologia che come nuova forma di comunicazione (per questa distinzione e per l’ambiguità di fondo che essa tenta di sciogliere, cfr. Cosenza 2004: 9-16).

I portali del nostro corpus sono dunque siti web che ri-mediano alcune caratteristiche di quella forma di comunicazione che è il giornale quotidiano2, ma non solo di essa. Ad esempio la newsletter3 di Retelilliput.org o quella di Attac.it sono una forma di comunicazione che ri-media nel Web il caro vecchio servizio postale, nella fattispecie riviste e opuscoli che arrivavano e continueranno a arrivare nelle nostre caselle postali condominiali in seguito a una nostra richiesta di abbonamento. Nel caso di Attac.it la sua newsletter, chiamata “Granello di sabbia”, è una rivista elettronica a cadenza bisettimanale che offre articoli e inchieste che per lunghezza e approfondimento non hanno nulla da invidiare alle riviste cartacee più conosciute, con l’esplicita intenzione di fare da esempio a altri siti di informazione dei movimenti (cfr. Jampaglia 2002: 202-203). La più sostanziale differenza fra newsletter e abbonamento postale è che la prima è gratuita mentre la seconda è subordinata al pagamento di una somma per l’abbonamento.

NEWSLETTER DELLA RETELILLIPUT NUMERO: 2 Lilliput Notizie secondo atto. Torna la Newsletter lillipuziana. Al centro di questo notiziario Pianeta Terra 2005: situazioni, connessioni e alternative possibili il seminario della Rete Lilliput per analizzare il contesto in cui ci muoviamo e confrontarci sugli scenari futuri e definire una visione strategica condivisa. Si terrà a Montesilvano (Pescara) il 7 e 8 maggio prossimi. Sul sito trovi

1 Cfr. Bolter, J.D., Grusin, R., Remediation, The MIT Press, Cambridge (MA), (trad.it. Remediation, Guerini,

Milano 2002). 2 Per una completa ricognizione degli aspetti socio-semiotici del giornalismo radiotelevisivo e della carta stampata,

cfr. Marrone (2001, capitolo 3). In particolare il paragrafo 4 sulla traduzione giornalistica, in cui si afferma il carattere performativo del discorso condotto da un giornale, che lo rende non già una rappresentazione del mondo esterno, quanto una traduzione (in senso lotmaniano) dei “discorsi che in quel mondo, a vari livelli e con diverse competenze, si svolgono interagendo con il giornale stesso” (ibidem: 90). I giornalisti e i loro discorsi fanno parte del mondo, influenzandolo e essendone influenzati. La conseguenza di ciò è che non ha senso parlare di obiettività giornalistica o di imparzialità; ha senso invece parlare di tattiche enunciative conformi agli scopi comunicativi che si prefigge una testata, cioè alle sue strategie discorsive.

3 Si tratta di una pubblicazione regolare focalizzata su particolari argomenti come ad esempio notizie per un particolare gruppi di interessi. Può contenere annunci o liste di eventi. (definizione tratta dal sito www.computeruser.com, traduzione mia).

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"http://www.retelilliput.it/modules/DownloadsPlus/uploads/Vita_da_Rete/Incontri_Nazionali/Seminario_Intertematico_2004/SeminarioPescara-Locandina.pdf" la locandina con il programma e le informazioni logistiche; "http://www.retelilliput.it/modules/DownloadsPlus/uploads/Documenti_Tematici/SeminarioPescara-ComeArrivare.pdf" il documento con le indicazioni dettagliate su come arrivare e un "http://www.retelilliput.it/modules/DownloadsPlus/uploads/Vita_da_Rete/Incontri_Nazionali/Seminario_Intertematico_2004/PropostaSeminarioIntertematico.pdf" documento più "politico" con la proposta di impostazione del seminario. Per informazioni è possibile contattare Marco Servettini, segretario di Rete Lilliput, al numero telefonico 338/9757397 o via mail inviando un messaggio all'indirizzo "mailto:[email protected]" [email protected] . Ti aspettiamo! L'ìItalia è il quarto produttore ed il secondo esportatore mondiali di armi leggere. Parte così la Campagna Control Arms. A fronte di una drammatica situazione di guerra in tutto il mondo, fomentata e favorita da un'assoluta mancanza di controllo sul commercio delle armi, la Rete Italiana per il Disarmo ha deciso di lanciare una campagna a vari livelli sul tema degli armamenti. I referenti lillipuziani della campagna stanno mappando i nodi attivi. Tutti i nodi o le associazioni o i coordinamenti locali della Rete sono invitati a mandare una mail a "mailto:[email protected]" [email protected] indicando località di appartenenza, referenti e relativa mail con un riferimento telefonico. Presto sarà messa on line una mappa aggiornata dei nodi attivi. Per rimanere aggiornati sui progressi della campagna esiste una mailing list nazionale a cui è possibile iscriversi inviando un messaggio a "mailto:[email protected]" [email protected] illiput.org con oggetto 'subscribe' (senza virgolette) e lasciando vuoto il corpo del messaggio. Per saperne di più collegati all'indirizzo "http://www.retelilliput.it/index.php?module=ContentExpress&func=display&ceid=19&meid=" Control Arms Infine due appuntamenti da non perdere. "Terra Nostra" Cantieri di un mondo possibile. Iniziativa promossa da Rete Lilliput e dal Seminario Permanente sull'acqua di Palermo. Esperienze, progetti, proposte di gestione del territorio su acqua, aria, terra e energia. Palermo, 19-20-21 maggio 2005 - Cantieri Culturali della Zisa. Il dettaglio del programma su "http://web.neomedia.it/apsm/seminario/index.html" http://web.neomedia.it/apsm/seminario/index.html . Pace, ambiente, giustizia, scuola, informazione miscelati in dibattiti, incontri, spettacoli e in un'inedita rassegna cinematografica lillipuziana. Si tratta della quarta edizione del Festival di Lilliput che anche quest'anno si terrà a Fidenza (Parma) dal 1° al 12 settembre. Un evento dove saranno affrontati i temi più attuali della nostra epoca attraverso convegni e seminari, presentazione di libri, mostre, spettacoli musicali e teatrali, con ospiti significativi e illustri. Per saperne di più e sbirciare il programma puoi navigare su "http://www.lilliputfestival.org" www.lilliputfestival.org .

Per quanto riguarda le mailing-list1 di Rekombinant.org e di Italy.indymedia.org, si

tratta di forme comunicative che avrebbero come fine ideale quello di ri-mediare le

1 Le mailing list sono elenchi di indirizzi di posta elettronica di persone che condividono qualche interesse o scopo.

Il gestore della mailing list spedisce periodicamente delle mail a tutti gli iscritti, per informare di novità o stimolare discussioni su certi temi inviando i commenti precedenti di altre persone. (cfr. Cosenza 2004: 117).

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comunicazioni interpersonali faccia-a-faccia1 fra due o più individui. Come sottolinea Cosenza (2004: 121), la distanza nello spazio fisico e la mancanza di accesso percettivo reciproco costituiscono l’ineliminabile differenza fra la comunicazione fra persone compresenti e la comunicazione mediata da tecnologie della scrittura, qualunque esse siano. Tuttavia è noto che esistono artifici di scrittura che tendono a compendiare questa distanza magari per esprimere stati emotivi, come ad esempio gli emoticons2.

Come suggerito da Polidoro (2003: 217), può essere interessante studiare i siti web anche in base al loro grado di rimediazione, che andrebbe da un estremo rappresentato dalla semplice riproposizione on-line di materiale sviluppato per altri media a siti che invece usano più propriamente le peculiarità di Internet. In questo senso diremo che i siti del nostro corpus, prevedendo l’open publishing (pubblicazione aperta) e forum di discussione, presentano un alto grado di rimediazione, cioè trasformano e ricombinano in maniera più originale le caratteristiche comunicative della forma quotidiano, introducendovi nuove caratteristiche che derivano dalle possibilità offerte dall’ambiente della rete.

La pubblicazione aperta (cfr. Arnison 2002) ri-media in una certa misura le lettere al direttore o ai redattori che inviano i lettori del quotidiano e che formano una apposita rubrica, anche se chiaramente offre una maggiore possibilità interattiva e non prevede di norma selezione o filtraggio degli interventi. Per open publishing intendiamo indifferentemente l’invio di un commento a un articolo, l’invio di un articolo originale o l’invio di un articolo apparso su una testata giornalistica on-line. I forum3 on-line in questi siti sono invece una novità assoluta all’interno della forma- quotidiano; è un po’ come se le discussioni e i commenti dei lettori di un giornale apparissero sul giornale stesso in tempo reale. Queste comunicazioni molti-a-molti presentano una elevata economicità e rapidità (cfr. Cosenza 2004:124); i forum nel web possono anche essere visti come una forma comunicativa che rimedia le vecchie Bbs (Bulletin Board System) degli anni settanta e ottanta e i newsgroup tematici della rete Usenet nata nel 1979.

Open publishing Forum Italy.indymedia.org presente presente Retelilliput.org presente assente Rekombinant.org presente assente Attac.it presente assente

1 Per quanto riguarda le caratteristiche del dialogo prototipico, cfr. Cosenza (2004: 47-49). 2 Per una distinzione in chiave semiotica fra gli emoticons occidentali e quelli giapponesi, cfr. Galofaro 2002. 3 I forum sono pagine web in cui è possibile inviare messaggi che tutti gli altri utenti possono leggere e

eventualmente commentare, dando vita a discussioni di ogni genere e lunghezza sugli argomenti più disparati, organizzati in gerarchie (cfr. Cosenza 2004: 117). Non si pensi che sono esclusivo appannaggio dei siti del Movimento; in realtà sono molto usati anche da siti web di grandi e medie aziende per creare e mantenere una comunità di clienti fidelizzati offrendo loro un pronto feedback.

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Accoltellato un compagno al Leonkavallo by Francesco Wednesday, Jun. 08, 2005 at 6:03 PM mail:

Accoltellato un compagno

Accoltellato un compagno al centro sociale Leonkavallo di Milano.

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è spam by fake Wednesday, Jun. 08, 2005 at 6:15 PM mail:

sta spammando difficile sia vero

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Ri-belin by Rapt Wednesday, Jun. 08, 2005 at 6:27 PM mail:

e cmq, Vincent, torna a Paperopoli...

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e' una cazzata by milanese Wednesday, Jun. 08, 2005 at 6:40 PM mail:

e' una cazzata

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non è vero by nnn\ Wednesday, Jun. 08, 2005 at 6:42 PM mail:

la notizia è falsa. ho la conferme.

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Bisogna spendere qualche parola sul regime d’enunciazione che opera in pagine

web dedicate ai forum, come questa di Indymedia che vediamo sopra. Per prima cosa, puntualizziamo che facciamo nostra la definizione di enunciazione che ha dato Latour (2001: 65)

L’enunciazione è un atto di invio, di mediazione, di delega. E’ quanto dice la sua etimologia ex-nuncius, inviare un messaggero, un nunzio. (…..): insieme degli atti di mediazione di cui la presenza è necessaria al senso. Benché assenti dagli enunciati, la traccia della loro necessaria presenza resta marcata o inscritta in modo tale che la si può indurre o dedurre a partire dal movimento degli enunciati. (Latour 2001). Come ha sottolineato anche Paolucci (2005), le marche dell’enunciazione

nell’enunciato sono “assenze che si fanno presenti” o “presentificazioni di assenze”. L’assenza del soggetto dell’enunciazione è dunque condizione fondamentale dell’apparire dell’enunciato, tuttavia questa assenza viene presentificata da quei simulacri testuali che la teoria dell’enunciazione ci ha insegnato a riconoscere. Nel caso dei siti Web, le marche dell’enunciazione avvenuta sono i sistemi di cornici che chiudono i singoli testi integrandoli nel macrotesto, lo sfondo bianco “residuo” dell’enunciazione, l’uso prevalente del linguaggio verbale che è il più convenzionale dei linguaggi (cfr. Polidoro 2003: 218).

Nelle pagine web dedicate ai forum, riteniamo che sia all’opera un regime di enunciazione molto particolare vicino al discorso indiretto libero, per come lo conosciamo dagli studi su letteratura1 e cinema2. Gli scambi fra i partecipanti al forum vengono presentati così come sono, l’unica traccia della presenza del soggetto enunciatore collettivo è data dalla cornice. Questa marca testimonia il tentativo sempre vano dell’enunciatore di distaccarsi dall’enunciato che viene inviato tramite il nuncius dell’enunciazione. Si viene così a enunciare una situazione di interazione cognitiva e passionale fra attanti senza volto la cui voce è rappresentata dai caratteri alfabetici sullo schermo. Siamo di fronte a una forma non tradizionale di débrayage. Se il tipo canonico di dèbrayage consiste nel disinnesco dell’io-qui-ora del soggetto dell’enunciazione, presupponendo un soggetto che deve essere presente a se stesso per poter poi essere disinnescato, nel caso del testo forum abbiamo quello che si

1 Il discorso indiretto libero è una variante del discorso indiretto che fonde le modalità del discorso diretto e di

quello indiretto in una forma ibrida. Esso è discorso indiretto in quanto passa attraverso la mediazione del soggetto riferente che però mantiene stilemi, cioè quegli elementi caratteristici che sono il tratto distintivo dello stile di uno scrittore o di un testo, e strutture grammaticali del discorso diretto. Esso era ben noto sin dagli scrittori classici e viene chiamato libero perchè non viene in esso utilizzato quel legame tra discorso del narratore e discorso del personaggio che è il verbo di "dire" o "pensare". Nel caso del discorso indiretto libero, nessun preciso "segnale" grammaticale indica il momento del passaggio tra i due discorsi. Infatti in apparenza sembra essere il narratore che continua a "vedere" e a "pensare", ma in realtà è il personaggio. (definizione tratta dall’enciclopedia on-line Wikipedia, la cui versione italiana è consultabile a http://it.wikipedia.org).

2 Nel cinema si ha discorso indiretto libero quando l’occhio della cinepresa è dentro lo sguardo dei personaggi. Il soggetto dell’enunciazione filmica si trova così ad essere insieme ai personaggi, secondo quella che si chiama immagine semi-soggettiva.

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potrebbe definire un dèbrayage senza meta e senza controllo di un soggetto (collettivo) che si trova originariamente debrayato non possedendo un suo io-qui-ora. In altre parole, il soggetto dell’enunciazione invia come proprio solo delegato la cornice, che va a delimitare uno spazio enunciazionale in cui l’enunciazione è fuori del suo controllo, un po’ come se dicesse “andate ragazzi, vi offro uno spazio e discuteteci dentro, chi come e quando volete”. Quello che avviene dentro la cornice –organizzazione dei turni di parola, contenuti– è fuori dal controllo enunciativo. Il soggetto collettivo dell’enunciazione è presente a se stesso fino al momento in cui un utente sceglie il subject della discussione tramite la pubblicazione aperta: fino a quel momento, questo soggetto è ancora padrone delle sue enunciazioni così come lo è una testata giornalistica. Ricordiamo che la natura collettiva di questi siti è ancora paragonabile alla redazione di un giornale che, nonostante sia composta da più persone, non impedisce di vedere la testata come un unico soggetto semiotico con le sue strategie discorsive e enunciazionali.

Una volta che il soggetto dell’enunciazione del sito Indymedia invia e delega la cornice del forum, non ha più nessun controllo su attanti, spazi e tempi. Viene a nascere un mini-universo narrativo in fieri, la cui responsabilità non è di nessuno o forse è di tutti; diremmo quasi un’intelligenza collettiva se non si trattasse di un termine abusato all’interno della letteratura sulla rete e troppo intuitivo. Forse sta nella presenza all’opera di questo meccanismo semiotico l’origine di certi problemi comunemente riscontrabili nel forum di Indymedia, come turpiloqui gratuiti o infiltrazioni di girovaghi della rete che vogliono seminare zizzania o notizie false, come nel nostro esempio riguardante il falso annuncio di un accoltellato al centro sociale Leoncavallo.

Trattandosi di un regime d’enunciazione senza controllo e senza meta –ovviamente ciò vale solo per quei forum senza moderazione– questi sono problemi comuni; senza moderazione è difficile raggiungere un testo veramente rizomatico; con la moderazione, tuttavia, si creerebbe un testo troppo arborificato.

3.3. UN TENTATIVO DI DEFINIZIONE: I SITI INFORM-ATTIVI. Abbiamo visto che la categoria “portale” è molto vasta, comprende una famiglia di

testi che presentano ulteriori differenziazioni interne e risulta pertanto poco precisa per definire i siti web del nostro corpus. La definizione di portale verticale, o di nicchia, pare troppo poco precisa per focalizzare le caratteristiche che a mio modo di vedere sono centrali in questi siti: l’offerta informativa e la publicizzazione di eventi, campagne, azioni.

Ci serviremo pertanto della griglia orientativa proposta da Cosenza (2004: 96) per tentare di arrivare a una definizione di questi siti.

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Per chi?: gli utenti modelli previsti da questi siti dovrebbero essere interessati alle tematiche e alle forme d’azione del Movimento dei movimenti (effetti della globalizzazione, rifiuto della guerra, solidarietà verso migranti e terzo mondo, ricerca di forme etiche di economia…).

Bisogna riconoscere una certa molteplicità di questo utente-modello: ci sarà l’utente più interessato alla lettura dei contenuti informativi o di approfondimento, l’utente interessato a contribuire attivamente producendo scritti propri o annunci di eventi, l’utente più interessato alla partecipazione a riunioni e manifestazioni. Per ognuno di questi profili bisognerebbe parlare a rigore di distinti utenti modello. Un ulteriore utente modello potrebbe essere l’esploratore (Ferraro 2003) che si imbatte in questi siti e del quale vanno conquistati l’interesse, la stima, e l’eventuale adesione, sia emotiva sia formale.

Per cosa?: quali sono le azioni permesse da questi siti? Si tratta di azioni riscontrabili nella più vasta categoria dei portali (ricerca di informazioni, approfondimento di alcuni argomenti, stabilire relazioni interpersonali) a cui si aggiungono altri tipi di azione. Questi siti svolgono una funzione di bacheca su eventi e situazioni sia globali che locali, permettendo una conoscenza che può portare a una partecipazione diretta. Le campagne di Retelilliput.org, le richieste di mobilitazione su Indymedia, le riunioni di approfondimento organizzate da Attac.it, sono forme di azione rese visibili da questi siti; si tratta di testi che ricercano una elevata efficacia pragmatica e abbiamo visto come impiegano stilemi e modi del discorso pubblicitario per costruire effetti passionali.

Per quale contesto?: contesto in questa accezione vuol dire storie tipiche e sceneggiature testuali e intertestuali inserite nelle azioni che il sito prevede. Abbiamo già parlato della rimediazione della forma-quotidiano e della forma-rivista (quest’ultima nel caso di Retelilliput.org e di Attac.it, gli unici siti del corpus che prevedono una newsletter) che implicano sceneggiature che vanno a trasformare e a ricombinare le sceneggiature di fruizione dei generi testuali su carta.

Ulteriori sceneggiature nei percorsi narrativi della vita ordinaria vanno a regolare l’attuazione e la realizzazione delle campagne e delle manifestazioni: competenze su come comportarsi in una folla, competenze su come inviare mail a destinatari multipli come nel caso dei mail bombing ecc.

Come sottolineato in Cosenza (2004 :97), l’uso di questa griglia non autorizza a usare come criteri di definizione e classificazione gli autori empirici dei siti web. Non avrebbe senso perciò parlare di una tipologia come ad esempio “siti del Movimento”, siti “noglobal” ecc. se non all’interno del linguaggio comune. All’interno di una ricerca semiotica dobbiamo quindi dare peso alle dinamiche di cooperazione interpretativa e alle strategie testuali (ricerca di utenti modello), al problema dell’efficacia testuale (la funzione di bacheca di eventi della vita ordinaria), ai programmi di azione innescati da questi testi (sceneggiature comuni e intertestuali).

Proponiamo di usare la definizione siti inform-attivi anche a rischio di una certa cacofonia, per designare una categoria di siti web all’interno della quale siano compresi anche i siti del nostro corpus. Si tratta di una definizione sufficientemente

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generale per evadere da qualsiasi considerazione sulla natura degli autori empirici (possono esserci siti inform-attivi afferenti a qualsivoglia orientamento politico e a qualunque campo d’interessi) e da considerazioni che si preoccupino solo di aspetti grafico-visivi del sito. Questa categoria di siti ha due proprietà fondamentali:

- Presenza di un’offerta informativa. - All’interno di questa offerta, rientra la promozione diretta di performanze

individuali e collettive sia nella vita reale off-line che nell’universo on-line. Queste performanze sono spesso legate a valori intimamente politici. Esse ricevono attribuzioni di senso da pagine web di questo tipo, fornendo a loro volta un feedback semantico: questi siti sono bacheche di mosse tattiche future e vetrine di decisioni strategiche e mosse tattiche passate. Per le mosse future, rimediano quelli che una volta potevano essere i bollettini d’azione o i fogli ciclostilati che passavano fra gli studenti di un’ ateneo contestatore; per le mosse già avvenute, offrono resoconti e narrazioni di natura sincretica e/o multimediale (per una definizione di multimedialità, cfr. Cosenza 2004: 23-24). L’azione è in definitiva una componente essenziale nella produzione e nella fruizione di questi testi.

Siamo di fronte a una classe di testi che, come detto, rimedia proprietà di altre

forme comunicative che l’hanno preceduta cronologicamente, aggiungendo altre proprietà derivanti dalle potenzialità di economia e rapidità della Rete. Per essere chiari, dobbiamo ripetere ciò che è stato già detto: più che a qualcosa di nuovo e originale, siamo di fronte a qualcosa che in parte esisteva già sotto altre forme e con altri supporti espressivi.

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