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IDEE PER L’AGGREGAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE www.informatoreagrario.it Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27-2-2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, DCB Verona • Anno 69 - ISSN 0020-0689 - C.P. 520 - 37100 Verona SUPPLEMENTO AL N. 12/2013 28 Marzo - 3 Aprile TM

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SUPPLEMENTO AL N. 12/201328 Marzo - 3 Aprile

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IN QUESTO NUMERO 5 • Vino: idee per l’aggregazione

delle imprese italianedi C. Palese

7 • Programma del convegno 10 • Sono grandi abbastanza

le imprese italiane del vino?di E. Pomarici

14 • Diversità e complementarietà delle strutture vitivinicole italianedi G. Malorgio, C. Grazia

23 • La dimensione delle imprese del vino italiane in una prospettiva mondialedi A.M. Coelho

30 • Imprese vitivinicole e contratto di rete: quali prospettive?di F. Cafaggi, P. Iamiceli

VINOIDEE PER L’AGGREGAZIONEDELLE IMPRESE ITALIANE

La rivista di agricoltura professionale conla maggior diffusione pagata in Italia (certifi cazione ADS)

Direttore responsabile: Antonio BoschettiCondirettore: Elena RizzottiComitato scientifico: Osvaldo Failla, Aldo Ferrero, Andrea Formigoni, Vittorio Alessandro Gallerani, Ivan Ponti, Luigi Sartori, Cristos Xiloyannis.Giornalisti: Nicola Castellani (capo servizio), Lorenzo Andreotti, Alberto Andrioli, Giannantonio Armentano, Clementina Palese, Stefano Rama. Redazione: Pietro Bertanza, Maria Cristina Floder Reitter, Elisabetta Giulini, Francesca Maito, Susanna Muraro, Elisa Sancassani, Alberto Zandomeneghi.Segreteria di Redazione: Claudia Cera,Giuliana Fasoli.Ufficio prestampa: Marica Dussin (responsabile), Francesco Lerco, Mattia Becchelli, Mauro Fianco,Fabio Negretto, Chiara Salis. Redazione: Via Bencivenga-Biondani, 16 - 37133 Verona - Tel. 045.8057547 - Fax 045.597510E-mail: [email protected]: Via in Lucina, 15 - Tel. 06.6871185 Fax 06.6871275Internet: www.informatoreagrario.it

Edizioni L’Informatore Agrario SrlPresidente onorario: Alberto RizzottiPresidente: Elena RizzottiAmministratore delegato: Giuseppe RealiDirettore commerciale: Luciano Grilli Direzione, Amministrazione: Via Bencivenga-Biondani, 16 - 37133 VeronaTel. 045.8057511 - Fax 045.8012980 Pubblicità: Tel. 045.8057523 - Fax 045.8009378E-mail: [email protected] grafico: Claudio Burlando - curiositas.itStampa: Mediagraf spa - Noventa PadovanaRegistrazione Tribunale di Verona n. 46 del 19-9-1952ISSN 0020-0689 - Copyright © 2013 L’Informatore Agrario di Edizioni L’Informatore Agrario srlPoste Italiane spa - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27-2-2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, DCB VeronaVietata la riproduzione parziale o totale di testie illustrazioni a termini di legge.ABBONAMENTIQuote di abbonamento 2013Italia € 99,50 - Estero € 171,00(Europa via normale). Sono previste speciali quote di abbonamento per studenti di ogni ordine e grado (per informazioni rivolgersi al Servizio Abbonamenti).Una copia: € 3,00.Copie arretrate: € 6,00 cadauna.Aggiungere un contributo di € 3,50 per spese postali, indipendentemente dal numero di copie ordinate.Modalità di pagamento:• conto corrente postale n. 10846376 intestato aL’Informatore Agrario - C.P. 520 - 37100 Verona• assegno non trasferibile intestato a Edizioni L’Informatore Agrario - Verona• carta di credito: Visa - Mastercard American ExpressL’ordine di abbonamento o di copie può essere fatto anche per telefono o fax rivolgendosi direttamente al Servizio Abbona men ti.

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SOMMARIO N° 12 SUPPLEMENTO DEL 28 marzo / 3 aprile 2013

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Vino: ideeper l’aggregazione

delle imprese italiane

IL CONVEGNO DE L’INFORMATORE AGRARIO AL VINITALY 2013

Per consolidare la competitività delle aziende italiane, in particolare per affrontare i mercati esteri, è necessario adottare dei modelli

che permettano al sistema vitivinicolo nazionale di ovviare al problema della polverizzazione:

le reti di impresa rappresentano un’opportunità

di Clementina Palese

N el 2012 l’export di vino ita-liano nel mondo ha supe-rato quello francese, arri-vando a oltre 4,7 miliardi di

euro. Un ottimo segnale considerando che il nostro mercato interno è sta-gnante da tempo e che i mercati esteri rappresentano l’unica chance del vino italiano per aumentare i volumi di ven-

dita. C’è ancora molto da fare, tuttavia, per differenziare i mercati di espor-tazione. In particolare, analizzando i dati di esportazioni regionali e non quelli aggregati nel fl usso nazionale di esportazione, si possono individuare gli ambiti e i mercati in cui ogni area di produzione può puntare per ottene-re i migliori risultati per espandere i propri volumi (Raimondi, L’Informatore Agrario, n. 10/2013, pag. 46).

Paradossalmente, proprio il miglio-ramento costante del nostro export a partire dal 2004 ha posto in secondo piano il problema strutturale del siste-

5• supplemento a L’Informatore Agrario12/2013

VINO AGGREGAZIONE IMPRESE

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ma vitivinicolo italiano: le dimensioni limitate delle imprese. Tuttavia, a fron-te della produzione in costante fl es-sione (39 milioni di ettolitri nel 2012) e del conseguente aumento dei prezzi all’origine di uva e vino, la questione si è posta all’attenzione nuovamente in maniera forte.

L’eterogeneità nelle dimensioni e nel-l’orientamento produttivo delle impre-se italiane è stata in grado negli ulti-mi anni di supportare la competitività dell’offerta italiana. Potrà esserlo an-cora in futuro?

Per rispondere a questo interroga-tivo, a partire dall’analisi della strut-tura della fi liera vino e guardando al-l’evoluzione della competizione inter-nazionale, nel corso del convegno che si terrà durante il Vinitaly (vedi pro-gramma a pag. 7) esamineremo l’op-portunità offerta dalle reti di impresa per aggregare le aziende e al contem-po preservare la specifi cità di ognuna e del proprio prodotto.

Migliorare le performance

dell’impresaÈ evidente che ogni impresa può

impegnarsi per migliorare le proprie performance, sia lavorando sull’ot-timizzazione della gestione dei pro-cessi produttivi, sia acquisendo mag-giori informazioni sui mercati este-ri, elaborando questi stimoli in modo proattivo e calibrando la propria stra-tegia di prodotto senza tradire il pro-prio orientamento originario, soprat-tutto se è basato su forti legami con vitigni autoctoni e territori di produ-zione, elementi che rappresentano un asset importante delle imprese del vi-no italiane.

Innovazione dei processi produttivi e dei prodotti, quindi, da completarsi con il miglioramento della presenta-zione, della comunicazione e della di-stribuzione dei vini.

Se l’orientamento all’innovazione e al mercato sono in grado di potenzia-re l’effi cacia delle attività di impresa, il passo successivo è quello di realizzare compagini di impresa strutturalmente più solide grazie alle relazioni di rete. Per quanto l’impresa possa ridurre i co-sti di produzione e distribuzione, infat-ti, la competitività sarà comunque limi-tata dalle dimensioni aziendali.

E questo vale anche per la competi-tività complessiva del sistema vitivi-nicolo italiano.

I pochi gruppi italiani a misura glo-bale, infatti, sono praticamente tutti cooperativi, mentre la maggior parte del tessuto produttivo non è dimensio-

nato per offrire vini a prezzi competi-tivi sui mercati internazionali.

Uno strumento per migliorare le eco-nomie di scala è senz’altro la realiz-zazione di reti di imprese che, oltre a migliorare la redditività, permette un più agevole accesso al credito e miglio-ra la capacità strategica e di relazione grazie alle maggiori risorse messe a sistema.

Il contratto di rete potrà avere un ruolo importante nelle strategie di crescita del settore agroalimentare, e vitivinicolo in particolare, se i fi nan-ziamenti del programma nazionale di sostegno nella futura programmazio-ne, saranno destinati anche o priori-tariamente a reti di imprese, come già previsto per il piano di aiuti alla promozione nei Paesi terzi, su cui si è

Continua a pag. 8

6 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

VINO AGGREGAZIONE IMPRESE

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È dal 1999 che L’Informatore Agrario organizza in occasione del Vinitaly un convegno per trattare nel modo più esaustivo i temi di maggior attua-lità per il settore vitivinicolo.

In quell’anno abbiamo parlato di «Zonazioni viticole», quando questo sembrava ancora un tema avveniristico; poi nel 2000 è stata la volta del «Miglioramento genetico» e nel 2001 della «Gestione della chioma in fun-zione della qualità dell’uva».

Nel 2002 un tema che sembrava allora fantascientifi co la «Viticoltura di precisione» e nel 2003 «Meteorologia, clima e viticoltura».

Nel 2004, viste le diffi coltà del settore vitivinicolo iniziate nel 2003, ci è parso d’obbligo dare spazio all’economia e al mercato e abbiamo affronta-to «Le prospettive del vino italiano sui mercati esteri».

Nel 2005 «Tra vite e vino: scelte per la vendemmia e la vinifi cazione» per colmare quella «zona d’ombra» tra chi si occupa di produrre uva e chi la trasforma in vino.

Nel 2006 «Dalla bacca... a Bacco, gli aromi dell’uva e del vino» per rispon-dere attraverso le più recenti acquisizioni della ricerca scientifi ca e tecno-logica nel campo degli aromi del vino a una domanda: con quale modello estetico si confronterà il vino del futuro?

Nel 2007 il convegno «Il mercato che verrà» ha costituito il punto di par-tenza per la ricerca (targata L’Informatore Agrario e Vinitaly) condotta fi no al 2009 dal gruppo di lavoro di Eugenio Pomarici, economista del Dipartimento di agraria dell’Università Federico II di Napoli, che ha prodotto la proposta per un «Piano strategico per il settore vitivinicolo italiano».

I risultati – preliminari prima e defi nitivi poi – di questa ricerca, che ha coinvolto numerosi produttori, opinion leader e operatori del settore, so-no stati presentati al Vinitaly nei convegni del 2008 e 2009 e hanno gene-rato due pubblicazioni.

Ancora precorrendo i tempi, nel 2010 il convegno «Riduzione dei gas ser-ra del settore vitivinicolo»: una disamina delle possibilità di misurare l’im-pronta carbonica vitivinicola e delle strategie per ridurre le emissioni.

Nel 2011 la scelta è caduta su un altro tema attuale e provocatorio al tem-po stesso: «Intorno ai 12, vini a ridotto grado alcolico».

Nel 2012, nella nuova situazione di mercato determinata dalla crisi, il convegno «Mercato del vino: come affrontare la discontinuità» ha suggeri-to alle imprese come porsi in modo proattivo.

Quest’anno, 2013, attraverso una rifl essione documentata sulla struttu-ra del sistema vitivinicolo e su ciò che accade sul mercato internazionale, suggeriremo alcune strategie per superare il limite delle ridotte dimensio-ni delle imprese italiane. •

1999-2013

15 ANNI DI CONVEGNIDE L’INFORMATORE AGRARIO A VINITALY

registrato il maggiore interesse delle aziende vitivinicole.

Un interesse che ha sicuramente contribuito a far crescere le esporta-zioni di vino italiane nei Paesi terzi di quasi il 10%, con un +5,2% registrato nell’Unione Europea (periodo gennaio-novembre 2012).

Certamente il ricorso ai contratti di rete potrà rendere le imprese di qual-siasi dimensione più competitive e più vicine ai mercati fi nali, ma non tut-te potranno assumere dimensioni da mercato globale!

Queste imprese dovranno, compa-tibilmente con la propria capacità di investimento, puntare sulla differen-ziazione, orientandosi su prodotti di pregio diversifi cando i canali di comu-nicazione e di vendita.

I tempi sono maturi, o meglio, le im-prese sono mature per un salto nella direzione delle reti, che non sono rap-presentate solamente dai modelli co-stituiti da cooperative e consorzi.

A dirlo sono le esperienze già in atto nel settore vitivinicolo, anche se fuori della forma contrattuale precipua della rete di impresa, e l’orientamento che sta emergendo nell’agroalimentare di qualità in cui alcune imprese si stanno aggregando per trovare sinergie nella comunicazione e nella commercializ-zazione in Italia e all’estero addirittu-ra senza contratti, ma con una franca stretta di mano.

Clementina Palese

Per commenti all’articolo, chiarimenti o suggerimenti scrivi a:[email protected]

Segue da pag. 6

8 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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di Eugenio Pomarici

N egli anni 90 del secolo scor-so la rapida crescita delle quote nel commercio inter-nazionale dei produttori di

vino del Nuovo Mondo era stata attri-buita, almeno in parte, alle grandissi-me dimensioni delle imprese di quei Paesi, a fronte della polverizzazione delle imprese italiane ritenute, in ge-nerale, troppo piccole in un mercato globalizzato.

Successivamente la crescita della performance competitiva delle espor-tazioni italiane di vino (a partire dal 2004) ha attenuato l’attenzione sulla condizione strutturale del sistema vi-tivinicolo italiano; nel 2012, però, l’au-mento dei prezzi all’origine del vino e dell’uva ha reso nuovamente attuale il tema delle limitate dimensioni del-le imprese italiane.

In particolare, alcuni qualifi cati os-servatori appartenenti al mondo delle imprese del vino e della politica agri-cola, trasferendo al contesto vitivinico-lo le considerazioni che vengono fatte per il sistema produttivo italiano nel suo complesso, hanno autorevolmen-te invitato a domandarsi se le imprese italiane sono abbastanza grandi per le sfi de del prossimo futuro.

Il quesito è certamente importante e merita di essere affrontato, anche se verosimilmente la recente crescita dei prezzi all’origine ha una natura essen-zialmente congiunturale.

Sono grandi abbastanzale imprese italiane del vino?

DIMENSIONE E COMPETITIVITÁ●

Se negli ultimi anni l’eterogeneità dimensionale e di orientamento produttivo delle aziende ha supportato la capacità competitivacomplessiva dell’offerta italiana, per guardare al futuro sono necessarie nuovee più mature forme di integrazione

10 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

VINO AGGREGAZIONE IMPRESE

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Struttura della fi liera produttiva

Il tema della dimensione va, però, af-frontato in modo intelligente, nella con-sapevolezza che la fi liera del vino si scompone in tre fasi principali – produ-zione di uva, vinifi cazione, imbottiglia-mento e avvio alla distribuzione – che non si concentrano necessariamente in una sola impresa e hanno livelli di sca-la ottimali molto diversi e dipendenti anche dal tipo di vino prodotto.

In particolare, nella produzione del-l’uva si deve considerare che il vigneto è spesso integrato in aziende con or-dinamento misto, multifunzionali o part time e che la cooperazione aggre-ga migliaia di viticoltori che produco-no la metà dell’uva italiana; quest’uva viene trasformata nella maggior parte in impianti di notevole dimensione. Si osserva, inoltre, che il vino è prodotto da un numero di gran lunga inferiore di cantine rispetto alle aziende vitico-le e viene effettivamente imbottigliato e commercializzato sul mercato fi nale da un numero relativamente ridotto di operatori.

L’analisi dei dati disponibili rivela che, considerando solo gli operatori che svolgono un’attività commercia-le, a fronte di circa 240.000 viticolto-ri, l’uva viene trasformata da 65.000 cantine e il vino viene imbottigliato e commercializzato da poco meno di 8.000 imprese. Relativamente a queste ultime si può stimare che circa 500, quelle che imbottigliano ogni anno più di 10.000 ettolitri, realizzano l’80% del vino in termini di volume. In termini di valore, invece, solo 103 imprese rea-lizzano più del 50% del vino italiano e tra queste 10 hanno un fatturato an-nuo superiore a 100 milioni di euro.

L’offerta fi naleL’offerta degli operatori che agisco-

no sul mercato fi nale deriva, quindi, da una complessa rete di fl ussi nella quale la produzione risulta concen-trarsi progressivamente.

In questa rete agiscono attori che rappresentano delle fi liere integrate, di natura privata o cooperativa, e opera-tori non integrati – produttori di uva, trasformatori o imbottigliatori – colle-gati da mercati intermedi dell’uva e del vino cui partecipano anche gli operato-ri delle fi liere integrate per bilanciare i loro squilibri tra capacità produttiva e possibilità di collocazione sui merca-

ti fi nali. Le imprese che imbottigliano vino prodotto da altri o vino prodot-to con uva acquistata sono quelle che in termini di volume contribuiscono maggiormente all’approvvigionamen-to del mercato fi nale, sebbene siano le cooperative a detenere la quota mag-giore della trasformazione dell’uva.

Cantine cooperative, trasformatori industriali e imbottigliatori puri hanno un orientamento produttivo molto di-

versifi cato e in molti casi le dimensioni operative abbastanza elevate consen-tono loro di competere con successo sul mercato dei vini più economici.

Le cantine strettamente integrate con la produzione agricola, che gio-cano un ruolo minoritario sul piano dei volumi e che sono in genere ca-ratterizzate da dimensioni operative ridotte, sono invece tendenzialmente focalizzate sulle produzioni di elevato pregio e contribuiscono in modo deci-sivo alla caratterizzazione dell’offerta italiana di vino.

La dimensione ottimale di impresa

Alla luce di questi elementi, e date le analisi sulla dimensione ottimale delle imprese nell’ambito degli studi di organizzazione industriale, il sistema vitivinicolo italiano può allora esse-re visto non come un insieme molto frammentato di soggetti che sfi dano le leggi dell’economia, e magari an-che del buon senso, ma piuttosto co-me un sistema che trova la sua effi -cienza proprio nella sua complessità:

complessità che nasce dalla notevole diversità di dimensione e specializza-zione degli operatori a ogni livello della fi liera, pure in un quadro di concentra-zione crescente spostandosi verso val-le, e dalla grande varietà delle forme di relazione tra operatori, varietà che include scambi nei mercati intermedi, contratti e alleanze.

È stato dimostrato, infatti, che la di-mensione ottimale di impresa in un settore dipende dalle caratteristiche dei processi produttivi e da quelle del-la domanda nel settore stesso e che, quando la domanda è fortemente seg-mentata e orientata verso prodotti di pregio, si possono determinare condi-zioni specifi che nelle quali sono le im-prese di minore dimensione a essere più competitive.

In questa prospettiva, considerata la notevole e crescente segmentazione della domanda nazionale e internazio-nale del vino, è proprio l’eterogeneità dimensionale e di orientamento pro-duttivo delle imprese italiane del vino ad apparire dunque come la più con-vincente spiegazione della capacità competitiva complessiva dell’offerta italiana di vino da più di otto anni, te-nendo anche conto che la molteplicità di attori coinvolti racchiude un enorme patrimonio di spirito di iniziativa e di competenze tecniche e manageriali, adattabili e fl essibili.

Cosa riserva il futuro?Relativamente al passato, dunque, la

teoria economica autorizza a ricono-scere che la dimensione delle imprese italiane è stata adeguata alla moltepli-cità dei mercati con i quali queste si sono confrontate. Oggi, però, ci si de-ve domandare se è possibile che il si-stema del vino italiano conservi anche in futuro la capacità competitiva degli anni passati, pur nella conservazione delle sue caratteristiche dimensiona-li peculiari.

La risposta a questa domanda di-penderà, tuttavia, da come evolverà il mercato del vino in termini di con-dizioni tecnologiche, struttura della domanda e confi gurazione delle reti di distribuzione e non sarà necessaria-mente univoca. Anzi, verosimilmente sarà diversa a seconda dei diversi tipi di prodotto, da quelli più economici a quelli di maggiore pregio e prezzo, e dei diversi mercati di destinazione.

I punti di forza e di debolezza e, quindi, anche le criticità relative alla

11• supplemento a L’Informatore Agrario12/2013

VINO AGGREGAZIONE IMPRESE

I numeri della fi liera vino italiana

250.000 viticoltori

60.000 trasformatori

8.000 imprese imbottigliatrici

80% del vino realizzato da 500 imbottigliatori(> 10.000 ettolitri/anno)

50% del valore del vino realizzato da 103 imprese (10 con fatturato annuo> 100 milioni di euro)

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dimensione delle imprese, si possono individuare in modo non generico so-lo in relazione a specifi che condizioni nelle quali, di conseguenza, si mani-festano esigenze specifi che.

Sarà dunque il modo con cui evol-veranno i singoli segmenti di merca-to a determinare se le piccole imprese a forte caratterizzazione agricola, un tipo di impresa cresciuto numerica-mente in tutti i Paesi produttori del Vecchio e del Nuovo Mondo, potranno continuare a essere competitive op-pure dovranno ingrandirsi o trovare nuove forme di integrazione.

O ancora, se le imprese italiane più grandi resteranno ancora abbastanza grandi per il loro mercato di riferimen-to, data la dimensione dei competitor, e se, invece, potranno continuare ad es-sere competitive le imprese di media dimensione. E, infi ne, se la struttura a monte della fi liera del vino italiana, ca-ratterizzata da una molteplicità di ope-ratori la cui produzione viene convo-gliata verso altri operatori che vendono poi sul mercato fi nale, risulterà ancora adeguata alle nuove necessità.

Le responsabilità della politica di settoreLa politica di settore dovrà, quindi,

essere orientata a contemplare esigen-ze differenziate e dovrebbe, pertan-to, orientare il settore – sulla base di studi che mettano a disposizione dei decisori una conoscenza approfondi-ta della struttura del sistema vitivini-colo italiano – a trovare al suo interno le soluzioni adatte nei diversi contesti che si profi leranno.

Ciò può essere fatto innescando dei processi virtuosi che, agendo all’inter-no del sistema delle imprese vitivinico-le, rendano più ricco il loro patrimonio di competenze, tecnologie e relazioni le mettano nelle condizioni di seguire le tendenze di cambiamento più fecon-de, sostenibili e connaturate al siste-ma vitivinicolo italiano, mantenendo l’equilibrio tra radici locali e proiezio-ni internazionali che è una delle basi della loro competitività.

Per raggiungere questo obiettivo de-vono essere utilizzate in modo lungi-mirante le opportunità offerte dalla politica comunitaria (ocm vino e Psr) così da realizzare un sistema di in-centivazione capace di trasmettere stimoli effi caci e far adottare, quin-di, strumenti e mezzi per rafforzare la struttura e l’organizzazione delle

imprese e per creare e accrescere la loro capacità innovativa nei diversi ambiti funzionali e operativi.

Questo sforzo di innovazione dovrà essere supportato da adeguate attività di ricerca e formazione e da una mag-giore offerta di servizi ma, rispetto al tema della dimensione delle imprese, l’elemento strategico è lo sviluppo di nuove e più mature forme di integra-zione tra le imprese che consentano, pur nel mantenimento delle individua-lità, il raggiungimento di dimensioni ottimali di offerta, o di capacità ope-rativa in aree specifi che adeguate alle esigenze di mercati di riferimento.

Certo il sistema vitivinicolo italiano è già una grande rete di imprese. Si trat-ta, però, di estendere il campo di azio-ne delle reti dalla fase della produzio-ne agli ambiti di azione più critici per lo sviluppo del vantaggio competitivo che sono quelli funzionali alla relazio-ne con un sistema di reti distributive in continua evoluzione: innovazione di prodotto, conoscenza del mercato, lo-gistica, comunicazione e, in certi casi, concentrazione dell’offerta.

Grazie all’orientamento dell’Unione Europea, che ha assegnato alle reti di impresa un ruolo importante nell’am-bito delle sue strategie di sviluppo, cui è seguito un effi cace impegno a livello

nazionale, gli strumenti giuridici per dare stabilità istituzionale alle reti di impresa hanno fatto notevoli progressi anche in Italia. Pertanto la politica di settore ha ora tra le sue responsabilità la facilitazione della loro adozione, fa-vorendo il superamento dei tanti osta-coli che potrebbero emergere come già accennato, dovranno essere sviluppa-te attività di incoraggiamento alla co-stituzione di reti di imprese basate su incentivi diretti e indiretti. Parimen-ti necessario sarà un’azione di infor-mazione e sensibilizzazione di tutti i soggetti interessati: produttori, profes-sionisti e operatori dei servizi, sistema bancario e amministratori locali.

Eugenio PomariciDipartimento di Agraria

Università di Napoli Federico II

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12 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

VINO AGGREGAZIONE IMPRESE

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di Giulio Malorgio, Cristina Grazia

L o scenario competitivo del settore vitivinicolo appare caratterizzato da un intenso processo evolutivo determinato dall’aumento della concen-trazione dell’offerta, dalla globalizzazione delle fi liere, dalla crescita dell’importanza del ruolo della distribuzione, da un’intensifi cazione

della concorrenza da parte dei Paesi extraeuropei, che si basa su uno spiccato orientamento al mercato, politiche di prezzo aggressive e forti investimenti in comunicazione. Dal lato della domanda, la crescente importanza delle carat-teristiche differenziali del prodotto (origine, qualità, ecosostenibilità, ecc.), accanto alla variabile prezzo, offre opportunità di segmentazione.

In questo contesto la competizione si gioca su diversi fronti: la qualità intrin-seca del prodotto, la garanzia dell’origine e delle caratteristiche legate all’ori-gine, nonché le politiche commerciali, le politiche di differenziazione qualita-tiva, individuali e/o collettive. Diversi percorsi di valorizzazione sono possibili e dipendono dalle caratteristiche strutturali delle imprese, dalla natura delle relazioni verticali lungo la fi liera, dal contesto territoriale. La dimensione delle strutture produttive costituisce un fattore determinante per far fronte ai cam-biamenti che caratterizzano il mercato.

Diversità e complementarietà

delle strutture vitivinicole italiane

FOTOGRAFIA DELLA FILIERA NAZIONALE●

L’eterogeneità della fi liera, in cui coesistono strutture diverse per ampiezza e organizzazione, assicura al sistema vitivinicolo nazionale un alto livello di reputazione che, insieme all’alta capacità imprenditoriale, consente elevata vitalità sui mercati nazionalie internazionali e una specifi cità territoriale coerente con le tradizioni locali

14 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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L’ampliamento della scala produttiva, oltre a consentire un abbattimento dei costi fi ssi unitari, permette lo sfrut-tamento delle risorse per investimenti atti a migliorare il livello tecnologico nei processi produttivi, accrescere le at-tività di ricerca e sviluppo a livello aziendale, utilizzare in maniera effi cace le leve del marketing e della comunica-zione e rafforzare la presenza sui mercati internazionali. Tuttavia, la grande dimensione non sempre è sinonimo di orientamento al mercato fi nale e di strategie di valorizza-zione (Malorgio et al., 2011).

D’altra parte, se la piccola dimensione costituisce un vincolo che può tradursi nell’incapacità di valorizzare la produzione negli stadi successivi alla produzione, può co-stituire un fattore di competitività se associata a una ge-stione effi ciente, all’orientamento ai vini di alta gamma, al legame con l’origine e il territorio (Fernández-Olmos et al., 2009; Goodhue et al., 2004), alla specializzazione in pro-dotti altamente differenziati (Mariani e Pomarici, 2010), nonché alla ricerca di forme di integrazione tra le diverse fasi di della fi liera (dalla produzione alla commercializ-zazione) e di un rinnovamento dei rapporti con il settore distributivo.

Il presente contributo si propone di fornire una fotografi a della struttura e dell’organizzazione della fi liera vitivinico-la italiana dal vigneto alla trasformazione, all’imbottiglia-mento e identifi care i possibili modelli strutturali-organiz-zativi e i percorsi di valorizzazione a essi associati.

Valutare le potenzialità di sviluppo e di rete

L’analisi delle caratteristiche strutturali, tipologiche e or-ganizzative delle unità vitivinicole permette di illustrare le potenzialità per lo sviluppo del settore, gli orientamenti stra-tegici delle imprese sul mercato nazionale e internazionale e la capacità di fare rete attraverso lo sviluppo di forme di coordinamento orizzontale e verticale.

L’individuazione delle tipologie di relazione verticale, in particolare, consente di classifi care le strutture a seconda del grado d’in-tegrazione tra le diverse fasi di produ-zione e commercializzazione e, quin-di, di quantifi care il peso dei fl ussi di prodotto che transitano attraverso cir-cuiti (parzialmente o totalmente) inte-grati, e/o che sono oggetto di transa-zione sul mercato intermedio dell’uva e/o del vino.

Classifi cazione delle strutture produttive

L’analisi del sistema vitivinicolo ita-liano qui riportata si basa sui dati delle dichiarazioni di produzione vitivinicola di fonte Agea (2008) e sui dati dell’Albo degli imbottigliatori dei vini a denomi-nazione di origine (2008). Strutture viticole. Le aziende che pro-ducono uva sono state classifi cate in funzione della modalità di organizza-zione della produzione in viticoltori associati (che conferiscono la totalità

della produzione alle cooperative o cantine sociali) e viti-coltori indipendenti. Questi ultimi sono stati, a loro volta, distinti in due categorie a seconda che operino esclusiva-mente allo stadio viticolo (viticoltori indipendenti senza attività di vinifi cazione) o allo stadio della produzione e trasformazione dell’uva (viticoltori indipendenti con atti-vità di vinifi cazione o strutture vitivinicole). Strutture vitivinicole. Per quanto riguarda la vinifi ca-zione, oltre alle strutture vitivinicole (o cantine agrico-le) (Malorgio et al., 2010 e 2009) sono state individuate le strutture vinicole (o cantine industriali), che vinifi cano esclusivamente uve non di produzione propria, e le coo-perative (o cantine sociali), che vinifi cano uve conferite dai viticoltori associati.

Le strutture vitivinicole sono, a loro volta, distinte in funzione del peso relativo dell’uva di produzione propria sull’attività di vinifi cazione in: strutture vitivinicole a pre-valente uva di produzione propria o a prevalente uva non di produzione propria, o miste. Imbottigliamento. Alle tre tipologie sopra elencate si ag-giungono gli imbottigliatori puri, che imbottigliano esclu-sivamente vino acquistato sul mercato intermedio e non svolgono alcuna attività di vinifi cazione.

Le strutture viticole

Il vigneto Il Vigneto Italia si caratterizza per una struttura com-

posita in cui coesistono strutture produttive diversifi cate per dimensione e organizzazione. Se da un lato si rileva un elevato grado di frammentazione delle strutture produt-tive, tale per cui il 54% delle strutture viticole dichiaranti nel 2008 ha una superfi cie inferiore a 1 ha e rappresenta in totale il 10% della superfi cie dichiarata, il 3% delle strut-ture presenta una superfi cie superiore a 10 ha e concen-tra una porzione signifi cativa del Vigneto Italia con circa il 35% della superfi cie.

STRUTTURE VITICOLE(produzione di uva)

STRUTTUREVITIVINICOLE(vinificazione)

IMBOTTIGLIAMENTO

VITICOLTORI ASSOCIATIconferiscono tutta la produzione a cooperative o cantine sociali

CANTINE AGRICOLE (strutture vitivinicole)vinificano uve proprie

Vinificano prevalentemente uva di produzione propriaVinificano prevalentemente uva non di produzione propria

CANTINE INDUSTRIALI (strutture vinicole)vinificano uve non proprie

IMBOTTIGLIATORI PURIimbottigliano solo vino acquistato su mercato intermedio

CANTINE SOCIALI (cooperative)vinificano uve conferite dai viticoltori associati

VITICOLTORI INDIPENDENTI

senza attività di vinificazione con attività di vinificazione

FIGURA 1 - Struttura del sistema vitivinicolo italiano

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15• supplemento a L’Informatore Agrario12/2013

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TABELLA 1 - Strutture viticole

Tipologie di struttura

viticola

Strutture Superfi cie vigneto

Produzione di uva

n. % ha % q %

Vitic

olto

ri in

dipe

nden

ti

con

attiv

ità

di v

inifi

cazio

ne

64.208 26,7 153.416 28,5 13.820.671 19,5

senz

a at

tività

di

vin

ifi ca

zione

55.677 23,2 159.406 29,7 26.265.912 37,0

Viticoltori associati 120.148 50,1 224.674 41,8 30.969.264 43,6

Totale 240.033 100 537.497 100 71.055.848 100Fonte: nostra elaborazione su dati Agea 2008.

La struttura è frammentata, visto che il 54% delle strutture ha una superfi cie inferiore a 1 ha; tuttavia, il 3% delle strutture ha più di 10 ettari e detiene il 35% della superfi cie.

020406080 0 20 40 60 80Strutture (%) Superficie (%)

Viticoltori associatiTotaleViticoltori indipendenti senza attività di vinificazioneViticoltori indipendenti con attività di vinificazione

69,1

10,1

10,4

5,5

4,4

0,4

42,9

20,9

22,2

9,2

4,5

0,2

51,854,4

21,5

19,0

5,7

1,8

18,3

17,5

6,5

3,1

0,10,2

9,9

6,0

14,0

16,4

35,2

18,5

7,1

10,3

24,5

22,1

27,5

8,6

12,8

16,3

31,3

20,7

15,3

3,6

10,3

11,6

24,3

19,9

24,6

9,3

< 1 ha

1-2 ha

2-5 ha

5-10 ha

10-50 ha

> 50 ha

GRAFICO 1 - Distribuzione delle strutture viticole e delle superfi ci a vigneto per classi di superfi cie

La maggior parte delle strutture di tutte e 3 le categorie considerate si concentra su superfi ci inferiori a 1 ha; la maggiore quota (31,3%) dei viticoltori associati sui 2-5 ha; tra i viticoltori indipendenti che non vinifi cano la quota maggiore (24,5%) ha superfi ci tra i 2 e i 5 ha, mentre la quota più elevata di quelli che vinifi cano (35,2%) tra 10 e 50 ha.

Viticoltori associati

I viticoltori associati, che conferiscono la totalità della produzione alle cooperative, rappresentano il 50% delle strutture, il 42% della superfi cie viticola totale e il 44% del-la produzione di uva e sono localizzati prevalentemente in Sicilia, Veneto, Emilia-Romagna, Puglia e Abruzzo.

Si tratta di operatori di dimensione medio-piccola, dei quali il 52% ha una superfi cie inferiore a 1 ettaro e rap-presenta il 13% della superfi cie, mentre appena il 2% ha una superfi cie superiore a 10 ha, e rappresenta poco più del 19% della superfi cie.

Va rilevato che un quarto dei viticoltori associati ha più di 70 anni e soltanto il 2% meno di 30. La piccola dimensio-ne, quindi, la minore possibilità di realizzare investimenti, nelle attività di vinifi cazione e commercializzazione, e la minore vitalità dovuta all’avanzamento dell’età media fa-voriscono l’organizzazione dei viticoltori in forme di con-centrazione orizzontale.

Viticoltori indipendenti

I viticoltori indipendenti costituiscono l’altra metà del-le strutture viticole italiane rappresentando circa il 58% della superfi cie e il 56,4% della produzione di uva. Questi presentano una dimensione relativamente maggiore con più del 40% della superfi cie in mano al 4% dei viticoltori, aventi più di 10 ettari. Rispetto ai viticoltori associati, gli indipendenti presentano una maggiore incidenza delle classi di età più giovani. All’interno della categoria dei vi-ticoltori indipendenti distinguiamo gli operatori senza o con attività di vinifi cazione.Indipendenti senza vinifi cazione. I viticoltori indi-pendenti senza attività di vinifi cazione rappresentano il 23,2% delle strutture, il 29,7% della superfi cie e il 37% del-la produzione e sono presenti prevalentemente in Puglia e Sicilia. Si caratterizzano similmente agli associati, per una distribuzione relativamente uniforme tra le diverse classi di superfi cie, tendenzialmente contraddistinte da una forte presenza di aziende con dimensioni del vigneto modeste. Per le modeste dimensioni o per connotazioni territoriali, tale categoria si confi gura come il principale fornitore di uva sul mercato intermedio, che rappresenta circa il 37% della produzione totale di uva. L’elevata pro-duzione media di tale categoria di viticoltori fa presup-porre un orientamento alla qualità inferiore rispetto ai viticoltori con vinifi cazione.Indipendenti con vinifi cazione. I viticoltori indipenden-ti con attività di vinifi cazione rappresentano il 26,7% delle

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strutture dichiaranti, con il 28,5% della superfi cie e il 19,5% della produzione di uva totale. Tale tipologia è distribuita abbastanza uniformemente su tutto il territorio nazionale a testimonianza del ruolo vitale che esercita sull’economia del territorio. Una particolare presenza di tale categoria si rileva in Toscana, Piemonte, Campania e Veneto.

Sebbene tali strutture siano concentrate per quasi il 70% nella classe inferiore a 1 ettaro, ben il 54% della superfi cie è gestito da circa il 5% delle aziende con dimensione su-periore a 10 ettari. Il vantaggio strutturale in termini di dimensione e la collocazione territoriale spiegano l’attitu-dine allo sviluppo di forme di integrazione tra viticoltura e trasformazione. La diversifi cazione strutturale interna a tale tipologia rivela la coesistenza di tipologie di vigne-to cosiddetto “amatoriale”, ad elevata frammentazione e forte connotazione territoriale (Sorbini e Agosta, 2004) con strutture più ampie ad elevate capacità di investimento nella produzione e commercializzazione.

Le strutture vitivinicoleLe strutture di vinifi cazione dichiaranti in Italia sono

66.570 per una produzione di vino dichiarato pari a 50,8 mi-lioni di ettolitri. Analizzando la distribuzione delle can-tine e del vino prodotto per tipologia di cantina (tabella 2) emerge l’importanza della cooperazione che con l’1% del-le strutture controlla più del 52% della produzione totale di vino, confi gurandosi come la tipologia con la maggiore dimensione media dell’attività di vinifi cazione (superiore ai 40.000 hL).

Seguono le strutture vinicole o cantine industriali, che rappresentano il 2,6% delle strutture e il 26,4% della pro-duzione, con una dimensione media di quasi 8.000 hL. In-fi ne, le strutture vitivinicole o cantine agricole integrate rappresentano il 96,5% delle strutture e realizzano circa il 21% della produzione nazionale, con una dimensione me-dia relativamente contenuta (169 hL per cantina).

TABELLA 2 - Le strutture di trasformazione

Tipo di struttura vitivinicola

Strutture Produzionedi vino

Produ-zione

media/struttura

(hL/n. strutture)n. % hL %

Stru

ttur

e vi

tivin

icole

o

cant

ine

agric

ole

Prevalente uva di produzione propria

62.085 93,3 6.154.048 12,1 99

Miste 1.790 2,7 2.757.101 5,4 1.540

Prevalente uva non di produzione propria

333 0,5 1.950.388 3,8 5.857

Strutture vinicole 1.710 2,6 13.398.767 26,4 7.836

Cooperative 652 1,0 26.555.427 52,3 40.729Totale 66.570 100 50.815.730 100 763Fonte: nostra elaborazione su dati Agea 2008.

La cooperazione controlla più del 52% della produzione totale, seguita dalle cantine industriali (26%) e dalle strutture vitivinicole o cantine agricole integrate (21%).

TABELLA 3 - Distribuzione di cantine e volumi di vino per classi di produzione

Classi di produzione

Cantine Vino prodotton. % hL %

Cantine artigianali< 100 hL 54.869 82,4 784.262 1,5100-500 hL 6.655 10,0 1.626.520 3,2Cantine medio-grandi500-1.000 hL 2.012 3,0 1.411.126 2,81.000-10.000 hL 2.354 3,5 6.468.827 12,710.000-50.000 hL 451 0,7 10.565.770 20,8> 50.000 hL 229 0,3 29.959.225 59,0Totale 66.570 100 50.815.730 100Fonte: nostra elaborazione su dati Agea 2008.

Analisi per quantitativi di vino vinifi cato

L’analisi dettagliata della distribuzione delle strutture e della produzione di vino per classi di dimensione pro-duttiva (tabella 3) rivela una forte frammentazione dello stadio della vinifi cazione. Appena il 2% della produzione di vino è realizzato dall’82% delle strutture che presen-tano una dimensione produttiva inferiore ai 100 hL. D’al-tra parte, il 60% della produzione è realizzato dallo 0,3% delle cantine, con una dimensione produttiva superiore ai 50.000 hL. Come per il vigneto, quindi, anche lo stadio della trasformazione presenta una confi gurazione diver-sifi cata intorno a strutture di grandi dimensioni, che con-centrano la maggior parte della produzione, e strutture di dimensione modesta.

All’interno di tale polarizzazione, l’analisi della distri-buzione delle strutture e della produzione per classi di di-mensione produttiva e tipologia di cantina (tabella 4) rivela ulteriori elementi di differenziazione in base alla forma organizzativa della cantina.

Le strutture che vinifi cano prevalentemente uve di pro-duzione propria si caratterizzano per la piccola dimen-sione. Il 98,2% delle strutture di tale categoria ha una dimensione produttiva inferiore ai 1.000 hL e realizza il 49,7% della produzione della categoria.

Le strutture che vinifi cano prevalentemente uve non di produzione propria si caratterizzano, invece, per una di-mensione relativamente più grande: soltanto il 3% della produzione è realizzato da strutture con una dimensione produttiva inferiore a 1.000 hL (60,4% in termini di nu-merosità), mentre ben il 78% è realizzato da strutture di dimensione superiore a 10.000 hL (10% delle strutture).

Le strutture vinicole, che vinifi cano esclusivamente uve non di produzione propria, presentano una dimen-sione relativamente più grande rispetto alle imprese vi-tivinicole.

Soltanto l’1,9% della produzione proviene da strutture di dimensione produttiva inferiore a 1.000 hL (60,5% in numero), mentre ben l’86,5% è realizzato da strutture di dimensione superiore a 10.000 hL (13,2% in numero).

Le cooperative, infi ne, si confi gurano come la tipologia con la dimensione relativamente più grande: appena lo 0,2% della produzione è realizzato da imprese con una dimensione produttiva inferiore a 1.000 hL (23% delle im-prese cooperative), mentre il 98% della produzione è rea-

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lizzato da imprese di dimensione superiore a 10.000 hL che rappresentano il 54% in termini di numerosità.

Analisi per tipo di vino prodotto e volumi

Analizzando la distribuzione del vino prodotto per ti-pologia di vino dichiarato, il 41% è costituito da vino da tavola, seguito da vino igp (32%) e dop (doc/docg) (27%). La produzione dichiarata di vino a denominazione, pari a quasi 30 milioni di ettolitri, è realizzata da circa il 25% delle imprese.

L’analisi della distribuzione della produzione di vino per tipo di vino e tipologia di cantina (tabella 5) mostra che il maggiore orientamento alla produzione di vino doc/docg si rileva per le strutture vitivinicole integrate, in particolare per quelle che vinifi cano prevalentemente uve di produ-zione propria, che presentano la più alta incidenza della produzione doc/docg rispetto a tutte le categorie conside-rate (51% della produzione totale). Questo conferma l’asso-ciazione che può esistere tra piccola-media dimensione, il forte orientamento alla qualità e la natura delle relazio-

TABELLA 4 - Distribuzione del numero di cantine per tipo e della produzione per quantità di vino

Classi di produzione

(hL)

Strutture vitivinicole o cantine agricole integrate (%)Strutture vinicole

o cantine industriali (%)

Cooperative (%) Totale (%)prevalente produzione propria miste

prevalente uva non di produzione

propria

cantine produzione vino cantine produzione

vino cantine produzione vino cantine produzione

vino cantine produzione vino cantine produzione

vino < 1.000 98,2 49,7 64,3 14,9 60,4 3 60,5 1,9 23,5 0,2 95,4 7,51.000-10.000 1,7 38,7 33,2 56,4 29,4 18,6 26,3 11,6 22,1 2,3 3,5 12,7> 10.000 0,03 11,6 2,5 28,7 10,2 78,4 13,2 86,5 54,4 97,5 1 79,7Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100Fonte: nostra elaborazione su dati Agea 2008.

ni verticali, in particolare il grado d’integrazione tra fasi successive della fi liera. La piccola dimensione può, tutta-via, costituire un ostacolo allo sviluppo di strategie di va-lorizzazione sul mercato fi nale e l’alto orientamento alla produzione di qualità per le cantine agricole non si tra-duce sistematicamente in una capacità di valorizzazione del prodotto sul mercato. Infatti, la propensione all’imbot-tigliamento non raggiunge il 50% e le cantine agricole si confi gurano principalmente come «fornitori» del mercato intermedio del vino sfuso. Bisogna riconoscere, tuttavia, che qualità e integrazione verticale sono, in alcuni casi, associate a una dimensione medio-grande. In particola-re, le imprese vitivinicole che vinifi cano prevalentemente uve non di produzione propria presentano una dimensione produttiva comparabile a quella delle cantine industriali, accompagnata da una maggiore incidenza della produzio-ne di vino a denominazione di origine (29%).

Dimensione medio-grande e prevalente orientamento alla produzione di vino da tavola, associati all’approvvi-gionamento esclusivo sul mercato intermedio caratteriz-zano, invece, le cantine industriali. Rispetto a tutte le altre tipologie, queste presentano il più alto peso della produ-zione di vino da tavola (68%) e il peso relativamente più

basso della produzione di vino a denominazione (14%). Questa tipologia, però, si caratterizza

per un’elevata capacità di valorizzazione della produzione a denominazione di origine sul mercato fi nale, rivelata da una forte propensione all’imbottiglia-mento anche di vino acquistato, con un’incidenza del vino imbottigliato sul vino prodotto pari al 130%.

Tuttavia, il peso rilevante dell’ap-provvigionamento della materia prima sul mercato intermedio dello sfuso po-

TABELLA 5 - Distribuzione della produzione di vino per tipo di cantina e di vino prodotto

Tipologia di vino

Strutture vitivinicole o cantine agricole integrate (%) Strutture

vinicole o cantine industriali

(%)

Cooperative(%)

Totale (%) prevalente

produzione propria

miste

prevalente uva non di produzione

propria

Vino da tavola 21,0 8,9 38,0 68,1 36,0 41,3Vino igp 27,9 41,7 32,7 17,6 39,0 31,9Vino dop (doc/docg) 51,1 49,3 29,3 14,3 25,0 26,8

Totale 100 100 100 100 100 100Fonte: nostra elaborazione su dati Agea 2008.

18 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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TABELLA 6 - Produzione vinicola per tipo di cantine, qualità e quantità imbottigliata per regione

Regione

Stru

ttur

e vi

tivin

icol

e (c

antin

e ag

ricol

e) (%

)

Stru

ttur

e vi

nico

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li) (%

)

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(%)

Prod

uzio

ne v

ini

a de

nom

inaz

ione

(%)

Imbo

ttig

liato

/ pr

oduz

ione

(%)

Abruzzo 5,9 9,4 84,7 39,66 15,20Basilicata 49,4 5,8 44,8 30,05 30,94Calabria 34,5 42,6 22,8 54,23 31,62Campania 33,3 30,0 36,6 39,32 12,94Emilia-Romagna 9,5 30,7 59,8 13,63 54,78Friuli Venezia Giulia 60,3 7,4 32,3 45,62 48,18Lazio 35,1 34,2 30,7 28,15 22,93Liguria 74,8 14,5 10,7 74,05 80,58Lombardia 47,7 26,8 25,5 49,99 60,54Marche 32,3 28,6 39,1 43,85 23,21Molise 28,2 6,6 65,2 23,00 14,17Piemonte 35,1 36,2 28,7 78,58 116,16Puglia 7,5 54,6 37,9 4,85 2,95Sardegna 52,0 3,2 44,8 65,69 18,15Sicilia 5,6 14,5 79,9 3,23 0,76Toscana 76,7 3,0 20,3 66,56 101,75Trentino-Alto Adige 16,1 9,0 74,9 76,70 108,09Umbria 34,6 20,5 45,0 46,41 172,52Valle d’Aosta 46,7 0,0 53,3 77,57 n.d.Veneto 27,0 15,4 57,6 27,49 49,35Totale 21,4 26,4 52,3 26,84 38,19Fonte: nostra elaborazioni su dati Agea 2008 e Albo Imbottigliatori-Infocamere.

ne le problematiche legate all’in-certezza della qualità, al mante-nimento della qualità nel lungo periodo, alla stabilità delle rela-zioni (Pomarici e Boccia, 2006). Le cantine industriali si confi gu-rano, infatti, come «acquirenti» del mercato intermedio del vino sfuso, che rappresenta circa il 25% della produzione totale di vino a denominazione, insieme alla categoria degli imbottiglia-tori puri (che non svolgono alcu-na attività di vinifi cazione). (Per tutto il paragrafo tabella 5).

Infi ne, le cooperative presenta-no un forte grado di eterogenei-tà con riferimento alla tipologia di vino prodotto e una gamma di prodotto diversifi cata sia allo stadio della vinifi cazione sia del-l’imbottigliamento, oltre che una prevalenza della produzione igp (39%), seguita dal vino da tavola (36%) e, infi ne, dal dop (doc/docg) (25%). Questi tratti conferiscono alla cooperativa un elevato grado di fl essibilità strategica in termi-ni di volumi e di mix di prodotto che, uniti alla grande dimensio-ne che la caratterizza allo stadio della vinifi cazione e dell’imbot-tigliamento, implicano un forte potenziale di valorizzazione sul mercato fi nale. Dato un panora-ma in cui soltanto poco più di 6.000 sono le imprese che intrat-tengono rapporti con il mercato fi nale, sono cooperative le prime società del settore per volume di vendite: Cantine Riunite & Civ con 449 milioni di euro nel 2010; Caviro con 246 milioni, seguite dalla divisione vini del gruppo Campari e da Antinori (Mediobanca, 2012).

D’altra parte, la valorizzazione sul mercato fi nale non sembra essere il modello dominante per la cooperazione: pur rappresentando più della metà della produzione tota-le di vino a denominazione, il peso della cooperativa sul totale imbottigliato non raggiunge il 20%.

Dimensioni, integrazione e territorialità

Le relazioni esistenti tra dimensione delle attività pro-duttive, grado d’integrazione e orientamento alla quali-tà, riscontrate a livello d’impresa, si identifi cano anche in termini di caratterizzazione regionale (Malorgio e Grazia, 2010) (tabella 6).

In particolare, tra le regioni caratterizzate da un peso relativamente alto delle cantine integrate e da un forte orientamento alla produzione di vino a denominazione, troviamo Toscana, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Lom-bardia. Tali realtà territoriali sono caratterizzate, inoltre, da un forte peso relativo delle cantine artigianali (< 500 hL). Di questo gruppo di regioni, soltanto Toscana e Piemon-

te presentano un forte orien-tamento alla valorizzazione attraverso l’attività d’imbotti-gliamento. In altri casi, il for-te orientamento alla qualità si accompagna a uno scarso peso delle cantine integrate a van-taggio delle cooperative (Trenti-no-Alto Adige, Abruzzo) o delle cantine industriali (Lazio), quin-di, di strutture di medio-grande dimensione. Questo non sempre si traduce in un’elevata capaci-tà di valorizzazione sul mercato fi nale, rilevante soltanto nel ca-so di Trentino-Alto Adige. Altre realtà regionali sono caratteriz-zate da uno scarso orientamen-to alla produzione di vino doc e quindi da una forte incidenza della produzione di vino da ta-vola, da una scarsa valenza del-le cantine integrate dovuta, per quanto riguarda Emilia-Roma-gna, Molise e Sicilia, al forte pe-so delle cantine cooperative e, per la Puglia, al forte peso delle cantine industriali, e infi ne da una scarsa capacità di valoriz-zazione sul mercato fi nale.

La diversità delle strutture e del territorio viticolo evidenzia una notevole differenziazione dell’of-ferta, determinata da una molti-tudine di operatori caratterizzati da forme tipologiche e struttu-rali differenti, tanto da rendere diffi cile l’individuazione di una sola fi liera vitivinicola. Il setto-re appare, infatti, costituito dalla

sommatoria di numerose fi liere differenziate per livelli di professionalità, relazioni con il mercato, dimensioni strut-turali e modelli organizzativi. Emergono, in particolare, strutture completamente integrate, con una forte conno-tazione agricola e un forte legame con il territorio, accan-to a strutture con un’organizzazione industriale e un forte orientamento al mercato. Si tratta, pertanto, di una realtà complessa in cui la coesistenza di diversi fattori territoriali, strutturali, culturali ed economici determina una capacità di adattamento e performance di diffi cile interpretazione e generalizzazione.

Eterogeneità dei modellistrutturali-organizzativi

e percorso di valorizzazioneIl tessuto vitivinicolo italiano appare come un insie-

me composito in cui coesistono diversi «modelli» strut-turali e organizzativi, che corrispondono ad altrettan-ti diversi possibili processi di valorizzazione e modelli competitivi.

La diversità delle strutture produttive, nonché la confor-mazione e tradizione del territorio, caratterizzano il sistema

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produttivo vitivinicolo italiano, contrad-distinto da una forte eterogeneità e da forti specifi cità strutturali, produttive, organizzative e territoriali.

L’analisi mostra un’eterogeneità strut-turale della fi liera vitivinicola che si ri-scontra in tutte le fasi di produzione e commercializzazione, dal vigneto, alla vinifi cazione, all’imbottigliamento. La fi liera presenta una struttura composi-ta e polarizzata che vede la coesisten-za di una frangia di imprese di picco-le dimensioni e un numero ristretto di strutture di dimensioni medio-grandi che concentra la maggior parte della produzione.

La coesistenza di diverse realtà pro-duttive concorre a mantenere in vita l’intero sistema vitivinicolo naziona-le garantendo, da un lato, un livello di reputazione del Vigneto Italia che, in-sieme all’elevata capacità imprendi-toriale, consente un elevato grado di competitività sui mercati nazionali e internazionali e, dall’altro, una speci-fi cità territoriale e coerenza delle tra-dizioni locali.

Almeno due tipologie strutturali-organizzative sono identifi cabili, a cui corrispondono altrettanti possibili per-corsi di valorizzazione (Malorgio et al., 2013). Da un lato, strutture verticalmente integrate, prevalentemente di pic-cole-medie dimensioni, caratterizzate da un forte orien-tamento alla produzione di vino di qualità, in molti casi specializzate nella produzione di vino a denominazione di origine, e da un forte legame con il territorio. Dall’altro, strutture di dimensioni medio-grandi, con un’elevata diver-

sifi cazione della gam-ma di prodotto, stra-tegie di valorizzazio-ne «miste» e fondate su un’effi cace sinergia tra marchio collettivo e brand industriale, che consentono l’accesso alla reputazione col-lettiva (e al potenziale premium price) associato alla produzione di vini a denominazione (doc e docg) e, al tempo stes-so, una maggiore fl es-sibilità strategica in termini di volumi as-sociata all’indicazione geografi ca (Pomarici e Sardone, 2009).

Si rileva, inoltre, la presenza di sistemi produttivi caratteriz-zati da una forte inci-denza delle strutture cooperative di grandi

dimensioni, che garantiscono la pre-senza sul territorio di una moltitudi-ne di viticoltori di piccole dimensioni, con grandi capacità di diversifi cazio-ne delle produzioni e un alto indice di specializzazione nell’attività di imbot-tigliamento.

Se è vero che le piccole dimensioni determinano maggiori diffi coltà nella realizzazione di investimenti, minore capacità di realizzare economie di sca-la di produzione e commercializzazio-ne o di sviluppare politiche di marca, il risultato economico delle imprese vitivinicole, comunque, scaturisce da una serie di forze e condizioni, come il livello tecnologico, la qualità del pro-dotto, il grado di formazione dell’im-prenditore, la capacità organizzativa e il contesto territoriale. La coesistenza di diverse strutture produttive con-sente di differenziare la produzione locale, anche attraverso produzioni di nicchia dove il confronto con i compe-titor è fondato più sulla qualità che sul prezzo. Inoltre consente di garantire il mantenimento delle attività produttive nei luoghi tradizionali di produzione, favorendo sinergia e diversifi cazione delle attività economiche sviluppate

all’interno di un’area attraverso il presidio del territo-rio, il miglioramento del paesaggio e la fornitura di beni non di mercato (quali le strade del vino, l’enogastrono-mia regionale, il turismo rurale), sempre più apprezzati dal consumatore.

È evidente, quindi, il ruolo del sistema vitivinicolo nell’af-fermazione e nel mantenimento di un’agricoltura multifun-zionale, in cui oltre all’innovazione di processo si eviden-zia lo sviluppo di un’innovazione di prodotto e di servizio attraverso l’offerta di nuovi beni di mercato e non di mer-cato. Su tali aspetti la coesistenza di strutture produttive diverse per ampiezza e organizzazione gioca un ruolo im-portante dal punto di vista della crescita sociale, culturale ed economica di un territorio.

Infi ne, la conoscenza e l’analisi delle strutture produttive consentono di modulare le politiche rivolte alla garanzia delle molteplici funzioni generate dal settore, in ragione delle diverse esigenze territoriali e prerogative imprendi-toriali. Con riferimento alla nuova organizzazione comune di mercato (ocm) in fase di defi nizione, diventa importan-te orientare i diversi strumenti e interventi fi nanziari, sia nell’ambito delle misure di sviluppo rurale sia in quelle di produzione e mercato, sulla base di specifi che esigenze territoriali per consentire un’equilibrata e razionale cre-scita del settore.

Giulio Malorgio, Cristina GraziaDipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari

Università di Bologna

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20 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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La dimensione delle imprese del vino italiane

in una prospettiva mondiale

IL PROBLEMA DELLA DIMENSIONE CRITICA È DI GRANDE ATTUALITÀ●

I gruppi italiani a misura globale sono praticamente tutti cooperativi: la maggior parte del tessuto produttivo italiano non è dimensionato per offrire vini a prezzi competitivi sui mercati internazionali. Stando così le cose, a fronte di capacità di spesa, queste aziende dovranno puntare sulla differenziazione, investendo in marchi, forza vendita, reti di distribuzione

di Alfredo Manuel Coelho

L a dimensione critica dell’impresa in un settore è diventato un argomento ricorrente nelle discus-sioni tra i dirigenti delle aziende vitivinicole, par-ticolarmente nei Paesi europei, specifi catamente

quando si devono valutare le operazioni di crescita attra-verso fusioni o acquisizioni.

Dimensioni critiche diverse per situazioni differenti

La valutazione della dimensione critica riguarda sia l’at-tività viticola, quindi la superfi cie a vigneto, sia gli impianti di vinifi cazione e la parte a valle della fi liera (imbottiglia-mento, commercializzazione, ecc.) conducendo a risultati molto diversi a seconda della circostanza.

Nel caso di un piccolo viticoltore privato, per esempio, la dimensione aziendale agricola massima potrebbe essere individuata in 20 ettari perché oltre questa superfi cie sa-rebbe necessario assumere salariati. All’opposto, nel caso di un’azienda di grandi dimensioni, che opera prioritaria-mente in una logica di brand, una superfi cie di 1.000 ettari potrebbe non essere suffi ciente.

Comunque in un nostro studio recente riferito alla realtà francese, è stato dimostrato che in viticoltura non esistono economie di scala o sono molto limitate (Montaigne et al., 2012): a livello di azienda agricola generano soltanto picco-li vantaggi. Da questo studio è emerso che l’elemento più importante nel determinare la redditività del viticoltore è il prezzo di vendita delle uve e del vino e non l’estensio-ne del vigneto. Per quanto riguarda la vinifi cazione, si può considerare che per essere competitiva la grande azienda

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dovrebbe disporre di un im-pianto con una capacità che si avvicini ai 100.000 ettolitri se si vogliono produrre vini di basso prezzo (basic wines), altrimenti i costi unitari sa-ranno troppo alti.

Anche per l’imbottigliamen-to sarà necessario che questa impresa disponga di un im-pianto con una capacità di cir-ca 100 milioni di bottiglie per anno, altrimenti non sarebbe competitiva per i vini di basso prezzo. Saranno necessarie al-meno due linee di imbottiglia-mento ognuna con una capa-cità tra 20 e 25 mila bottiglie/ora, in grado di operare per 1.600 ore all’anno (consideran-do anche i tempi di inattività necessari per la manutenzione ed eventuali guasti).

Per quanto riguarda le atti-vità di marketing e commer-ciali si può ritenere che per un fatturato inferiore ai 2 mi-liardi di euro è diffi cile svi-luppare una vera strategia di comunicazione globale In-fatti, per avere un marchio riconosciuto a livello mondiale sono necessari 40 milioni di euro, ma è diffi cile dedicare a questa attività più del 2% del fatturato. Evidentemente il mondo del vino è lontano da queste cifre, di conseguanza è diffi coltoso sviluppare robuste strategie di di promozio-ne (comunicazione, buon posizionamento a scaffale nella gdo, ecc.). Esistono tuttavia diverse eccezioni alle situa-zioni richiamate precedentemente. Peraltro, è importan-

0 10 20 30 40 50Superficie vigneti (.000 ha)

Caviro (I)TWE (AUS, NZ, USA)

Cavit (I)Concha y Toro (RCH, RA, USA)

E&J Gallo (USA)Pernod Ricard (F, AUS, RA)

Constellation Brands (USA, AUS, NZ....)Riunite & CIV + GIV (I)

Grupo Penaflor (RA)San Pedro (RCH, RA)Santa Rita (RCH, RA)

Torres (E, RCH, USA, RC)Zonin (I, USA)

GRAFICO 1 - Superfi cie dei vigneti di alcuni grandi gruppi vitivinicoli (2011)

Caviro ha una superfi cie viticola di tutto rispetto se paragonata a quella di molti grandi Gruppi mondiali.

AUS = Australia; E = Spagna; F = Francia; I = Italia; NZ = Nuova Zelanda; RA = Argentina; RCH = Cile; USA = Stati Uniti d’America.Fonte: rapporti aziendali, stampa specializzata.

TABELLA 1 - Principali marchi di vini

Marchio GruppoUltimi dati disponibili

(*)

Franzia The Wine Group 285Great Wall COFCO 177Carlo Rossi E&J Gallo Winery 171Martini Bacardi 170Tavernello Caviro 152Yellow Tail Casella Wines 128Robert Mondavi Constellation Brands 120Sutter Home Trinchero Family Estates 118JP Chenet Grands Chais de France 96Cono Sur Concha y Toro 54Wolf Blass Pernod Ricard 48Casillero del Diabo Concha y Toro 41

Zonin Zonin 38Antinori Antinori 26(*) Negli anni dal 2010 al 2012; in milioni di bottiglie.Fonte: stime da stampa specializzata; Impact Databank (lista internazionale non esaustiva).

te sottolineare che esistono delle soglie di competitività: più una azienda è grande più gli investimenti richiesti sa-ranno importanti. Per esem-pio, l’incremento del numero dei marchi fa lievitare i costi per l’azienda (lancio di ogni marchio, budget annuale di-marketing, ecc.).

Certamente l’industria del vino offre esempi di succes-so di strategie «intenzionali», basate cioè su business plan a lungo termine, come quella di E&J Gallo Winery (Usa). Gallo ha messo in atto un’integra-zione verticale (vinifi cazione; produzione delle bottiglie di vetro e delle etichette; cam-pagne di pubblicità sviluppa-te all’interno del Gruppo; for-za vendita gestita dal Grup-po; fl otta di mezzi di trasporto per la consegna del vino negli Stati Uniti; fi rma di contratti internazionali in molti Pae-si di approvvigionamento di

vino sfuso e gestione dei marchi centralizzata al livello del Gruppo).

Diverse aziende italiane ed europee, diversamente, adotta-no strategie «opportunistiche» o «miste», che puntano cioè ad approfi ttare di volta in volta delle situazioni di mercato senza una pianifi cazione pregressa. Nel contesto dell’oppor-tunismo, queste aziende vitivinicole cercano di crescere per superare le soglie dimensionali che garantiscono una mag-giore competitività.

24 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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Strategie di crescita aziendale

Per aumentare le proprie dimensio-ni, le imprese hanno due possibilità: la crescita esterna, attraverso fusioni e aquisizioni, e la crescita interna.

Crescita esterna

Le strategie di crescita esterna sono costose, irreversibili e rischiose e in comparazione dei principali Paesi pro-duttori, la tendenza alla concentrazione delle imprese vitivinicole in Italia per crescita esterna è ridotta.

In Italia e in Europa ci sono state fu-sioni tra cantine sociali che sono state il risultato di una certa reattività alle condizioni socio-economiche e di po-litica vitivinicola.

Fusioni realizzate in molti casi per compensare i vo-lumi persi con l’estirpazione dei vigneti (come previsto dall’ocm vino 2008; in Italia in particolare in Puglia e Si-cilia), o per diffi coltà di cash-fl ow, vendendo vino sfuso che spuntava prezzi molto bassi durante la crisi. Le fu-sioni tuttavia sono state intraprese per dare soluzione a questi problemi e non per ricercare una maggior compe-titività sui mercati nazionali o internazionali. Si è trat-tato di reazioni alla crisi e non di fusioni pianifi cate per ricercare competitività di mercato o sviluppare progetti di marchio o altri.

A livello internazionale, peraltro, due recenti casi han-no messo in discussione la strategia di crescita esterna e riguardano Constellation Brands (Usa), ex leader mondiale dell’industria del vino, che in passato è cresciuta molto rapidamente con acquisizioni multi-ple di aziende, e Foster’s Group che ha aquisito Southcorp.

La crisi di sovraproduzione vitico-la in Australia, iniziata nel 2004, e in seguito la crisi fi nanziaria internazio-nale del 2007 hanno creato delle dif-fi coltà per il rendimento delle attività vitivinicole di Constellation Brands e Foster’s Group.

Le esigenze di reddittività degli azio-nisti dei due Gruppi hanno, quindi, de-terminato ristrutturazioni, chiusura di centri di vinifi cazione, centralizza-zione dell’imbottigliamento e licenzia-menti, ma ciò non è stato suffi ciente. Infatti, Constellation Brands Australia è stata venduta a un fondo di private equity (Champ Private Equity) e le divi-sioni birra e vino di Foster’s Group so-no state separate e gestite in forma au-tonoma perché la reddittività dei due rami del Gruppo era molto differente: il return on assets (ROA) era del 5,1% per la divisione vino e del 45,8% per la di-visione birra (media 2009-2010).

Quota delle vendite dei primi 4 produttori nei loro rispettivi Paesi

61,1% Australia

80,0% Nuova Zelanda

39,7% Asia-Pacifi co

50,2% Usa

7,6% Italia

15,7% Francia

17,6% Spagna

85,8% Cile

30,0% Argentina

Fonte: stampa specializzata; stime per la Nuova Zelanda.

Al contrario, un caso di strategia «intenzionale» di suc-cesso è quella di Pernod Ricard in Australia con l’acquisi-zione di Orlando Wyndham e lo sviluppo del marchio Ja-cob’s Creek, che per molto tempo è stata la marca di vino più venduta in Australia (circa 6,9 milioni di casse di vino nel 2011-2012). Tuttavia in Francia, con l’eccezione delle marche di Champagne (GH Mumm e Perrier Jouët), Pernod ha venduto tutte le sue attività vinicole.

Crescita interna

La crescita interna od organica è certamente più diffi cile da condurre, perché si devono superare numerosi vinco-

li e fi nanziare le necessarie attività di promozione sul mercato.

Per quanto riguarda la crescita del-la base produttiva viticola, rispetto al dibattito recente sulla liberalizzazio-ne dei diritti di impianto in Europa, i rappresentanti dei grandi Gruppi viti-vinicoli hanno indicato in questi dirit-ti una barriera per l’espansione dei vi-gneti. Abbiamo dimostrato che i freni legati ai diritti di impianto sono piut-tosto legati all’eterogeneità dei mecca-nismi per la loro gestione nei diversi Paesi europei (Montaigne et al., 2012). Certi dispositivi nazionali o regionali possono limitare la crescita delle su-perfi ci a vigneto, come nel caso della Francia. Tuttavia, in altre regioni (co-me in Veneto nel caso del Prosecco) il meccanismo dei diritti di impianto ha comunque consentito l’espansione del vigneto in risposta alla forte domanda del mercato di vino Prosecco.

Diversamente un oggettivo limite all’espansione produttiva delle impre-se vitivinicole è costituito dalle spe-cifi che restrizioni produttive previste dai disciplinari delle denominazione di origine.

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Per quanto riguarda i grandi Gruppi vitivinicoli, la cre-scita organica sviluppata dal leader Concha y Toro (Cile) è un esempio di successo, grazie all’espansione delle su-perfi ci a vigneto in Cile e, in misura minore, in Argentina, alla focalizzazione su un marchio globale unico (Casillero del Diablo), nonché all’estensione della capacità distribu-tiva attraverso reti internazionali controllate da terzi e lo sviluppo di reti internazionali proprie (Regno Unito, Bra-sile, Asia, ecc.).

Aziende italiane alla ricerca di una dimensione internazionale

Certamente gli ultimi movimenti di ristrutturazione strategica dei Gruppi vitivinicoli mondiali hanno determi-nato una diluizione dell’oligopolio al vertice del mercato (Constellation Brands, TWE, ecc.). In effetti, questi Gruppi cercano oggi di concentrare le loro strategie su un porta-foglio più ristretto di marchi in modo da ottimizare il bud-get assegnato a ogni marchio.

Ciononostante la frammentazione della fi liera vitivini-cola in Italia, come in altri Paesi europei, appare una de-bolezza in raffronto alla dimensione di molte aziende dei nuovi Paesi produttori di vino. Debolezza in qualche mo-do rafforzata dalla dominanza delle cantine sociali nella produzione di vino nei Paesi dell’Europa meridionale (con una quota di mercato pari a circa il 50% della produzione totale di ogni Paese: Francia, Italia, Spagna, Portogallo), cosa che non avviene, con l’eccezione di Argentina e Sud Africa, nei Paesi del Nuovo Mondo.

Le superfi ci a vigneto e la base sociale dei Gruppi coope-rativi italiani leader (Riunite-Civ + Giv, Caviro, Cavit) sono importanti. Si tratta di aziende suffi cientemente grandi per proporre prodotti ad alto valore aggiunto, tuttavia la maggior parte della loro produzione è concentrata nel seg-mento di produzione di massa che comunque consente di sostenere i costi fi ssi elevati di impianti di vinifi cazione ef-fi cienti. Il fatturato di molte imprese è tuttavia fortemen-te dipendente dal mercato interno, decisamente maturo,

a causa di una scarsa propensione all’export. Nel caso di Caviro, per esempio, oltre l’80% delle vendite di vino sono effettuate in Italia.

In Italia, come in altri Paesi europei, i produttori di vino di piccole e medie dimensioni sono molto numerosi. Que-sto rende diffi cile la creazione di brand forti, perché que-sti produttori non hanno la capacità fi nanziaria per creare veri marchi globali.

In questo scenario il Gruppo Campari rappresenta un caso particolare: cresciuto grazie a varie bevande alcoli-che ha incrementato in tempi rapidi le attività vitivinicole. Come in altre multinazionali delle bevande (ad esempio Pernod Ricard, Diageo, Brown-Forman), il vino ha benefi -ciato delle sinergie con altre bevande alcoliche in partico-lare nei canali della distribuzione.

L’integrazione

L’integrazione a valle con reti di distribuzione internazio-nali facilita l’accesso a determinati mercati di consumo e il miglioramento degli indici fi nanziari. Questa integrazio-ne diventa ancora più importante per i Gruppi vitivinicoli perché le reti di distribuzione di tutte le bevande alcoliche sono in fase di concentrazione. D’altra parte sono rarissi-mi i casi in cui le aziende vinicole hanno spinto l’integra-zione fi no al mercato fi nale raggiungendo il canale horeca (hotel, ristoranti, caffè) e la vendita al dettaglio. Forse il principale caso è costituito da Group Castel con la rete in-ternazionale di enoteche Nicolas (vedi riquadro a pag. 27).

In questo scenario poche aziende italiane sono in gra-do di creare società di distribuzione e di acquistare distri-butori o importatori a livello internazionale. Due esempi sono rappresentati dall’acquisizione nel 1993 da parte del Gruppo italiano vini (Giv) della Frédéric Wildman & Sons negli Usa e dalla creazione ex novo nel 1996 della Prestige Wine Import Corp. negli Usa da parte di Mezzacorona.

Al di là della capacità fi nanziaria per realizzare questo tipo di operazione, è necessario che le imprese disponga-no di un portafoglio con volumi di vini suffi cienti ad assi-

TABELLA 2 - Quota delle vendite in volume nel mercato interno dei principali Gruppi vitivinicoli mondiali (2011)

Paesi Gruppo Leader Proprietà

Australia Treasury Wine Estates (Foster’s) Borsa

Nuova Zelanda Brancott Estate (Pernod Ricard) Borsa (*)

Asia-Pacifi co Yantai Changyu BorsaUsa E&J Gallo Winery FamigliaItalia Caviro CooperativaFrancia Groupe Castel FamigliaSpagna Garcia Carrion FamigliaCile Concha y Toro Borsa/FamigliaArgentina Fecovita Cooperativa(*) L’azienda viticola Brancott Estate (ex-Montana) non è quotata in Borsa. Il capogruppo (Pernod Ricard) è quotato in Borsa.Fonte: stampa specializzata; stime per la Nuova Zelanda.

È Caviro il gruppo leader di vendite in volume in Italia, mentre il primo gruppo produttivo è Riunite-Civ + Giv.

26 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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curare la redditività dell’operazione. In mancanza delle dimensioni fi nanziarie e produttive per intraprendere questo tipo di operazioni, le aziende italiane hanno privilegiato la fi rma di accordi di distribuzione o di commercializzazione (in forma di esclusività o no) sui mer-cati internazionali (per esempio: Giv e Banfi negli Usa nel 2009). In alternativa a fusioni e aquisizioni qualche azien-da ha stabilito delle alleanze strategi-che per la distribuzione dei propri vini (per esempio: Zonin collabora con altre aziende viticole famigliari internazio-nali – Torres, Drouhin, Baron Philippe de Rothschild, ecc. – per la distribuzio-ne dei suoi vini).

La struttura del sistema vitivinicolo italiano ha favori-to, invece, l’integrazione a monte che si basa su fusioni e acquisizioni di tenute vitivinicole per aumentare le su-perfi ci a vigneto.

L’integrazione a monte è il modello più diffuso anche in Europa, dove stanno tuttavia emergendo delle situazioni di integrazione «ibride» (vigneti in affi tto).

D’altro canto già alcuni grandi Gruppi internazionali del settore vino di Australia e Stati Uniti hanno venduto parte dei loro vigneti ai fondi specializzati nella gestione immo-biliare (ad esempio, Real Estate Investment Trust - REITs) e questi stessi vigneti vengono affi ttati dalle stesse imprese (lease-back). Questo meccanismo consente ai Gruppi mon-diali del vino di migliorare la propria redditività fi nanziaria grazie a un assetto più vantaggioso della leva fi nanziaria.

Se manca la dimensione critica

Una delle principali conseguenze della mancanza di con-centrazione del settore in generale è l’assenza di barriere all’ingresso per i nuovi concorrenti. La penetrazione sem-pre maggiore di marche commerciali (private label). Que-

sta può essere, infatti, in parte spiegata con la mancanza di un suffi ciente potere sul mercato da parte dei grandi Gruppi vitivinicoli: la grande distribuzione (gdo) diventa un concorrente dell’azienda vitivinicola. D’altro canto l’in-sidiosità delle etichette private label sta nella loro maggio-re reperibilità per il consumatore rispetto a quelle di vini a marchi aziendali.

Si tratta di un fenomeno che in Italia riguarda una quota tutto sommato ancora piccola della distribuzione, rappre-sentando circa il 9,3% in volume dei vini fermi nel 2011, che tuttavia ha la tendenza a crescere. Il fenomeno è molto più importante in Francia dove le private label rappresentano tra il 35 e il 40% (panel IRI) delle vendite di vino nei supermer-cati. Al di là di questo, imprese grandi e piccole si trovano in condizioni diverse e solo quelle grandi possono quan-

do è possibile realizzare economie, per esempio acquistando vini sfusi, impor-tando a prezzi vantaggiosi.

I Paesi che storicamente hanno costi medi di produzione per l’elaborazione del vino sfuso inferiori a quelli di altri Paesi europei o internazionali sono Ita-lia e la Spagna, per questo «serbatoi» di vini sfusi per altri Paesi: i grandi grup-pi vitivinicoli francesi li importano da sempre per fare dei tagli benefi cian-do del differenziale tra costo e prezzo di vendita (le importazioni di sfuso da parte della Francia si aggirano intor-no ai 5,9 milioni di ettolitri). Negli ul-timi anni, a fronte di due vendemmie particolarmente scarse, anche l’Italia ha aumentato le importazioni di vino sfuso (pari a 2,84 milioni di ettolitri nel 2012), provenienti per la maggior-parte dalla Spagna. Un fenomeno che è ancora presto per interpretare come contingente o strutturale.

Per le imprese di grandi dimensioni esiste anche la possibilità di operare vantaggiosamente nel nuovo business

dell’esportazione di vino sfuso con l’imbottigliamento di-rettamente sui mercati di commercializzazione e consumo. Questo è cresciuto grazie all’introduzione del fl exitank (ser-batoio fl essibile installato in un container per il trasporto in nave) che ha rivoluzionato anche qualitativamente il trasporto del vino sfuso.

Alcuni Gruppi di dimensioni adeguate hanno, infatti, po-tuto mantenere in ambito aziendale le operazioni di im-bottigliamento del vino sfuso esportato all’estero (Diageo con il suo centro logistico situato in prossimità di Torino; Constellation Brands con il suo centro di logistica nel Re-gno Unito) e questo ha contribuito a migliorare i loro mar-gini fi nanziari.

L’alternativa è l’esternalizzazione (outsourcing) dell’imbot-tigliamento presso operatori locali, una strategia necessa-riamente più costosa che riduce i margini dell’esportazione di vino sfuso o la vendita alla gdo e ad altri operatori.

Le aziende vitivinicole italiane sono, quindi, ostacolate nel processo di internazionalizzazione dell’imbottiglia-mento sui mercati di esportazione, visto che anche in questo caso è necessaria una dimensione aziendale ade-guata per affrontare gli investimenti necessari.

Nicolas è una rete di enoteche di vino fondata nel 1822 in Fran-cia e acquistata da Groupe Castel nel 1988. Nicolas aveva nel 2011 466 punti di vendita (enoteche), in Francia, Regno Unito, Belgio, Ger-mania e Polonia con fatturato di circa 300 milioni di euro. Nicolas rappresenta il 10% delle vendite di vino delle enoteche in Francia; opera solo con aziende vitivinico-le (anche internazionali) in gra-do di fornire da 30.000 a 40.000 bottiglie/anno. Ancora una volta è evidente l’importanza di avere una dimensione critica. Il gruppo Castel ha lanciato in questa rete di enoteche un marchio esclusivo «Petites Récoltes». •

NICOLAS: ESEMPIO DI INTEGRAZIONE A VALLE

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Infi ne, solo imprese di gran-di dimensioni possono acce-dere alle gare internazionali in cui per vini da 5 o 6 vitigni «ubiquitari» vengono sempre più spesso richiesti volumi di fornitura molto elevati (1 o 2 milioni di ettolitri).

Così come lamentato da molti broker internazionali, solo poche imprese italiane possono esaudire le richie-ste dai grandi Gruppi acqui-renti di vini sfusi americani o cinesi.

Dimensioni limitate,

differenziazione spinta

Il mercato internazionale del vino è strutturato secon-do un «oligopolio con fran-gia» e prende la forma di una clessidra invertita (fi gura 1). Non si tratta cioè di un oli-gopolio puro in cui l’offerta è governata soltanto da un numero limitato di imprese. Nel mercato, infatti, opera un numero ristretto di imprese di grandi dimensioni (rappresentate dalla parte alta della clessidra) che convive con una «frangia» di imprese medie (la parte centrale della clessidra) e piccole (la parte infe-riore della clessidra).

In testa all’oligopolio del mercato globale del vino ci sono 40 gruppi internazionali del vino che rappresentano qua-si il 40% del fatturato globale mondiale (Coelho e Rastoin, 2005). Questa classifi ca è stabilita in base al fatturato del settore «vino» dei gruppi (compresi i vini spumanti, Sekt, Cava e Champagne) e considera la soglia minima di 200 milioni di dollari Usa.

Le medie imprese (35-45 millioni di bottiglie di vino), non sono molto numerose.

In questo contesto mondiale la presenza di aziende ita-liane nella parte alta della clessidra è limitata e sarebbe auspicabile che altre aziende emergessero per competere con i leader mondiali del vino.

Inoltre, i Gruppi italiani a dimensione mondiale sono praticamente tutti cooperativi: la maggior parte del tes-suto produttivo privato, infatti, non ha una dimensione suffi cientemente grande per offrire vini a prezzi compe-titivi sui segmenti di primo prezzo (basic wines) sui mer-cati internazionali.

Stando così le cose, le strategie di differenziazione – in-vestimenti in marchi, forza vendita e reti di distribuzione – sono un’alternativa complementare alla riduzione dei costi di produzione. Tuttavia, questi investimenti hanno vincoli fi nanziari che non sono alla portata di tutte le aziende.

Si deve tuttavia sottolineare che se all’interno del grup-po di testa dell’oligopolio globale, dove il settore privato italiano è praticamente assente, si è verifi cata una lieve

deconcentrazione per effetto delle vicende di Constellation Brand e Foster’s Group, ma so-no entrati nuovi Gruppi. Alla testa dell’oligopolio mondia-le si ritrovano adesso anche i due gruppi leader cinesi, Yan-tai Changyu e Dynasty Fine Wines, e il gruppo leader del-l’Argentina (Peñafl or).

Inoltre anche grandi Grup-pi cooperativi (Val d’Orbieu/UCCOAR) e familiari (Advini JeanJean/Laroche in Francia, Sogrape in Portogallo) sono saliti nelle posizioni di verti-ce dell’oligopolio globale be-nefi ciando del rialzo dei prez-zi mondiali dei vini a partire dall’estate del 2010 e appro-fi ttando per ristrutturare le loro attività e sostanzialmen-te aumentare la loro dimen-sione attraverso importanti fusioni.

In Italia, al contrario, al di là delle operazioni dei gran-di Gruppi cooperativi leader non si è registrato un analo-go emergere di Gruppi viti-vinicoli che si collocano nel

gruppo di testa. L’accelerazione della concentrazione e del consolida-

mento dei fornitori (vetro, etichette, tecnologia, ecc.) e dei clienti dell’industria del vino (grossisti negli Stati Uniti, grandi catene di vendita al dettaglio, reti di pub nel Regno Unito, ecc.) aumenteranno le pressioni sul setto-re produttivo che riproporrà il problema delle dimensio-ne critica. In questo quadro, le aziende che non sono in grado di posizionarsi nel gruppo di testa della clessidra dovranno orientarsi con più decisione sulle strategie di differenziazione verso prodotti di pregio e di diversifi ca-zione dei canali di comunicazione e distribuzione.

Le specifi cità del «terroir», il posizionamento distintivo nel rapporto qualità/prezzo dei vini, i rapporti specifi ci e personalizzati con la fi liera a valle della produzione per-metteranno il consolidamento di modelli produttivi capaci di portare maggior valore aggiunto all’azienda.

A questo proposito stanno emergendo strategie di «spe-cializzazione» nella vendita diretta o nei circuiti corti, l’of-ferta di servizi complementari collegati al turismo del vi-no o a prodotti di nicchia legati ad alcune denominazioni di origine o indicazioni geografi che.

Alfredo Manuel CoelhoUMR MOISA SupAgro Montpellier, Francia

40%

35-45 milioni di bottiglie

Gallo, ConstellationBrands, TWE, GIV,

Caviro, Cavit...

FIGURA 1 - Struttura del mercato internazionale del vino (% del fatturato mondiale)

Alla testa dell’oligopolio globale ci sono 40 grandi Gruppi classifi cati secondo il valore delle vendite di vino a livello mondiale. Tra questi Gruppi troviamo i 3 leader italiani: Riunite & Civ + Giv, Caviro, Cavit. Alla testa dell’oligopolio globale troviamo altre imprese familiari/private (Castel, Grands Chais de France, Freixenet, Codorniu, The Wine Group, Kendall Jackson, ecc.) e Gruppi cooperativi(Val d’Orbieu, F; Champagne Nicolas Feuillatte, F) (Coelho e Rastoin, 2005).

Fonte: rapporti aziendali, stampa specializzata.

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Imprese vitivinicole e contratto di rete:quali prospettive?

di Fabrizio CafaggiPaola Iamiceli

I n un contesto di profonda crisi eco-nomica le imprese agricole, quelle di trasformazione, la piccola e la grande distribuzione alimentare

sono chiamate sempre più a perseguire obiettivi di innalzamento della qualità, potenziamento dei livelli di sicurezza alimentare, specializzazione e diversi-fi cazione delle linee di prodotto nella direzione di un’agricoltura sostenibile. Un’agricoltura che protegga il consu-matore fi nale, rispettosa dell’ambiente, dei diritti dei piccoli fornitori, in linea con i più elevati standard affermatisi in ambito internazionale (Comunicazione della Commissione europea, Bruxelles 19.10.2011).

Simili sfi de impongono di costruire, non solo informalmente ma mediante strumenti giuridici appropriati, modelli

DALLE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESA AI CONTRATTI DI RETE●

Il contratto di rete potrà avere un ruolo più importante nelle strategie di crescita del settore agroalimentare e vitivinicolo, in particolare se i fi nanziamenti del programma nazionale di sostegno saranno destinati anche o prioritariamente a reti di imprese, come già previsto per il piano di aiuti alla promozione nei Paesi terzi, su cui si è registrato il maggiore interesse delle aziende vitivinicole

di coordinamento delle fi liere e schemi di collaborazione tra imprese. Le stesse reti – che in forma di società cooperativa o di consorzi da tempo rispondono, spes-so con effi cacia, ad alcune delle criticità poste dalla frammentazione produttiva del tessuto imprenditoriale – sono oggi chiamate ad arricchire e rinnovare i loro modelli di governo e operativi, rafforzan-do la loro capacità di avvicinare le piccole

imprese ai mercati fi nali, promuovendo accesso e impiego di nuove tecnologie per accrescere la competitività. Per far questo, senza abbandonare le rispettive identità cooperative o consortili, tendo-no a sperimentare nuove forme, che, al fi anco di quelle più tradizionali, sappiano rispondere con fl essibilità maggiore alle istanze di specializzazione e coordina-mento poste dal mercato globale.

30 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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Il contratto di rete, nuovo strumento di aggregazione

Nella prospettiva sopra delineata, opportunità di rilievo sono offerte dal-la disciplina del contratto di rete, in-trodotta nel nostro ordinamento nel 2009 e da allora oggetto di numerosi interventi di riforma.

Prima in Europa, questa innovazio-ne legislativa sta già sollecitando un dibattito sul piano europeo nel quadro della defi nizione di strumenti volti a potenziare competitività e capacità in-novativa delle piccole e medie impre-se (Comunicazione della Commissione europea, Bruxelles 23-2-2011).

In questo quadro di riforme del testo normativo originario, il contratto di re-te ha conservato (e, al più, rafforzato) alcuni elementi caratterizzanti tale mo-dello di collaborazione inter-impren-ditoriale fi n dalla sua confi gurazione originaria. Oggi come allora, infatti, il contratto di rete è quel contratto con cui due o più imprese si obbligano a collaborare per la realizzazione di un programma di attività («programma di rete») volto al perseguimento di obiet-tivi strategici di accrescimento della capacità competitiva e innovativa del-le imprese partecipanti. A questo fi ne, il contratto di rete vincola le parti a ri-spettare obblighi di collaborazione, a partecipare al «governo» della rete per un effi cace coordinamento tra i parte-cipanti. In molti casi (e ciò al di là del-l’istituzione di un vero o proprio fon-do comune) obbliga altresì a contribui-re economicamente alla realizzazione del programma di rete. Tale contratto è soggetto a vincoli di forma e di pub-blicità presso il registro delle imprese. Oggi questi vincoli di forma sono peral-tro alleggeriti mediante il riferimento all’uso della fi rma digitale, per la quale è richiesta l’autenticazione a opera del notaio soltanto se le parti siano interes-sate a ottenere il riconoscimento della rete quale distinto soggetto di diritto, come illustrato di seguito.

Modelli contrattuali

A fronte dei molti elementi di conti-nuità sopra presentati, che fanno del contratto di rete uno strumento di go-verno fl essibile della collaborazione strategica, le riforme che si sono suc-cedute hanno di volta in volta ampliato la gamma di applicazioni ammissibi-li. Gli operatori hanno oggi a disposi-

zione almeno tre modelli contrattua-li tra i quali individuare lo schema di aggregazione più idoneo a rispondere alle diverse esigenze sottese ai pro-grammi di collaborazione:

un contratto di rete privo di fondo comune, in cui gli aderenti collabora-no per perseguire obiettivi comuni (ad esempio scambiando informazioni re-lative a fornitori qualifi cati o condivi-dendo sistemi di conoscenze legate al-le tecniche di produzione agricola): in questa forma, per così dire «leggera», il programma impegna individualmente tutti gli aderenti senza benefi ci di limi-tazione della responsabilità;

un contratto di rete con fondo comu-ne e organo comune destinato a svolge-re attività, anche commerciale, «con» i terzi, caratterizzato da un regime di re-sponsabilità limitata al solo fondo comu-ne per ciò che attiene alle obbligazioni contratte dall’organo comune in rela-zione al programma di rete: le imprese potrebbero impiegare questo modello quando intendono condividere investi-menti importanti, per esempio in mac-chinari o nell’acquisto di nuove tecnolo-gie, o quando vogliono accedere a nuovi mercati, anche esteri, in forma aggrega-ta spendendo un marchio comune;

un modello con soggettività giuri-dica, in cui l’aggregazione diventa es-sa stessa nuovo operatore economico distinto dai partecipanti: in tal caso è la rete in quanto tale a proporsi sul mercato (ad esempio per acquistare forniture o vendere prodotti degli ade-renti) senza spendere il nome dei par-tecipanti, che comunque sono chiama-ti ad attivarsi per la realizzazione del programma comune.

Contratto di retein ambito agricolo

Il contratto di rete può essere e di fatto è impiegato in moltissimi setto-ri economici: da quelli più tradizionali della manifattura (meccanica, elettro-nica, automotive, tessile, aeronautica, ecc.), a quelli emergenti in tempi più recenti (come le energie rinnovabili, la gestione dei rifi uti, il biomedicale, ecc.) a quello dei servizi (soprattutto di consulenza) e del turismo. Solo in parte sperimentato nel settore agro-alimentare e solo marginalmente in quello agricolo, il contratto di rete si appresta a vivere oggi una stagione di crescente affermazione sulla scia dei più recenti interventi di riforma, volti proprio a stimolare l’uso del contratto nella parte alta della fi liera agricola. È qui che i contraenti potranno bene-fi ciare dell’assistenza delle organiz-zazioni professionali agricole in sede di stipulazione del contratto (art. 36, comma 5, dl 179/2012, convertito con legge n. 221/12) e sperimentare così nuove forme di coordinamento con-trattuale, che peraltro il legislatore sot-trae al rispetto delle norme oggi vigen-ti in tema di contratti agrari (ex legge 203/82; v. art. 45, comma 3, dl 83/2012, convertito con legge n. 134/12). Ulte-riore elemento di innovazione pensato dal legislatore per il contratto di rete in ambito agricolo è dato dall’istitu-zione di fondi di mutualità interni al contratto e volti alla stabilizzazione delle relazioni contrattuali tra parteci-panti (art. 36, comma 2 ter, dl 179/2012, convertito con legge n. 221/12). Ben-ché non concepite specifi camente per

31• supplemento a L’Informatore Agrario12/2013

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modelli capitalistici. Non si tratta ne-cessariamente delle imprese di mag-giori dimensioni: secondo una stima del Laboratorio reti Bruno Visentini diretto da Fabrizio Cafaggi, realizzata nell’ambito del progetto «I contratti di rete: strumenti di governo della col-laborazione strategica tra imprese», di seguito indicata come FBV, 2012 (1), circa la metà dei contratti di rete re-gistrati entro il 14 maggio 2012 (333 in totale) era stipulata tra sole piccole o micro imprese e poco più di un terzo tra piccole e medie.

Nel complesso, i contratti registra-ti tra il 2010 e il 2012 riguardano pre-valentemente aggregazioni che insi-stono su una stessa regione, mentre solo il 28% di questi contratti coinvol-ge imprese con sedi in regioni diver-se (elaborazione Retimpresa su dati Infocamere).

Ancora del tutto marginale è la par-tecipazione di imprese estere aventi stabile organizzazione in Italia. Anche grazie al signifi cativo impatto determi-nato dalle politiche regionali, regioni come Lombardia, Toscana, Emilia-Ro-magna e, in misura minore, Veneto conservano da diversi mesi la leader-ship quanto a numero di imprese ade-renti a contratti di rete, laddove, con alcune eccezioni (come Puglia e Cam-pania), le regioni del Sud stanno se-guendo percorsi più lenti di avvicina-mento allo strumento (elaborazione Retimpresa su dati Infocamere).

Affermandosi come strumento di go-

verno delle collaborazioni di medio-lungo periodo (in circa un terzo dei ca-si oltre dieci anni e oltre cinque anni in circa due terzi di essi), i contratti di rete sono per lo più concepiti dalle im-prese come strumento volto a favorire l’accesso al mercato, spesso interna-zionale, e (o) come modalità di colla-borazione strategica nel campo della ricerca e sviluppo e della condivisione di standard di produzione, eventual-mente accompagnati dall’impiego di loghi o marchi collettivi (FBV, 2012). In una maggioranza di casi (circa il 63%) le aggregazioni così costituite coin-volgono imprese operanti allo stesso livello della catena del valore (ad esem-pio, contratto di rete tra imprese agri-turistiche); ma in più di un terzo dei casi esse tendono al governo verticale della fi liera, puntando all’effi cienza del coordinamento delle forniture anche e soprattutto ai fi ni dell’accesso al mer-cato (FBV, 2012).

Dal punto di vista del disegno con-trattuale, solo in parte i contratti mo-strano il pieno sfruttamento degli am-pi margini di autonomia lasciati dal legislatore.

Quasi tutti i contratti (il 96% circa) si dotano di un organo comune depu-tato a dare attuazione al programma di collaborazione e, ove utile, a stipu-lare contratti con terzi (fornitori, fi -nanziatori, clienti, ecc.) in nome degli aderenti alla rete.

In una percentuale ancora molto esi-gua (circa il 6%) si ricorre a una fi gura professionale non prevista dalla legge, ma invalsa nella pratica, quale il ma-nager di rete, avente funzione di assi-stenza e supporto tecnico alla gestio-ne del programma. Prevalgono invece modalità di partecipazione diretta al governo della rete, spesso nell’ambito di così dette assemblee dei partecipan-ti o di organi comuni che coinvolgono tutte le imprese (FBV, 2012).

Sul piano patrimoniale, il contratto di rete è spesso accompagnato dalla istituzione di un fondo comune (così in quasi il 90% dei casi), per lo più di modeste dimensioni (nella maggior parte dei casi sotto i 50.000 euro e, in circa un terzo dei contratti, sotto i 5.000 euro).

Benché consentito, non si fa uso di patrimoni destinati ad affari connessi all’attuazione del programma di rete; in più casi si concepisce invece il con-tratto di rete come veicolo per attrarre fi nanziamenti esterni, soprattutto di natura pubblica (FBV, 2012).

il settore agricolo e alimentare, di pa-ri interesse paiono le opportunità of-ferte dalla recente modifi cazione della disciplina sui contratti pubblici nella parte in cui ammette il contratto di re-te tra le forme consentite di aggrega-zione delle imprese partecipanti alla gara per l’aggiudicazione (art. 34, dl-gs. 163/06). Si può pensare ai risvolti che tale novità possa avere nel campo dei servizi di ristorazione per scuole e uffi ci pubblici.

Le reti nella pratica:una ricerca recente

Quali sono stati gli impieghi del con-tratto di rete e quali sono le sue po-tenzialità?

Secondo i dati di Infocamere, alla fi -ne di dicembre 2012 i contratti di rete registrati in Italia erano 640 e coin-volgevano 3.323 imprese: prevalente-mente società di capitali in forma di società a responsabilità limitata (circa il 55% del totale). Imprese individuali e società di persone erano e sono pre-senti tra gli aderenti ai contratti di rete secondo percentuali molto più conte-nute (circa il 23%, secondo le medesi-me stime di fi ne 2012).

Sembra così trovare conferma l’ipo-tesi per cui l’innovazione consistente nella sperimentazione di nuove for-mule organizzative e contrattuali trovi maggiore spazio in imprese inclini a consolidare la rispettiva struttura pa-trimoniale e organizzativa secondo i

32 12/2013supplemento a L’Informatore Agrario •

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zione del packaging alimentare, senza tralasciare il profi lo della penetrazio-ne in nuovi mercati attraverso strate-gie di internazionalizzazione. Peraltro, tali fi nalità risultano spesso combinate all’interno dello stesso contratto. Al ri-guardo, si desume che internazionaliz-zazione, innovazione e innalzamento degli standard qualitativi siano consi-derati tra i principali driver di compe-titività in questo settore.

Tra le esperienze più signifi cative emergono reti in cui le imprese deci-dono di aggregarsi per condurre atti-vità di ricerca allo scopo di migliorare la qualità dei propri prodotti, trovare sinergie e partecipare a progetti di fi -nanziamento condivisi. È il caso di una rete tra produttori di funghi secchi sti-pulata tra imprese venete e trentine. In altre ipotesi, l’aggregazione muove dal-la volontà di incrementare la propria competitività e capacità di penetra-zione sui mercati nazionali ed esteri, accrescendo il livello di produzione e commercializzazione e svolgendo ogni tipologia di attività che consenta una promozione dell’immagine della rete, secondo linee di marketing concordate. In altri casi ancora, la rete si inserisce

nella fase produttiva della fi liera agro-alimentare allo scopo di effettuarne un controllo più effi ciente, mediante la defi nizione di standard di qualità e sicurezza cui tutti i partecipanti sono tenuti ad attenersi. In questo modo, diviene possibile garantire la traccia-bilità del prodotto e creare le premes-se per presentarsi in maniera unitaria sul mercato, con i vantaggi che la for-ma aggregata porta con sé.

Contratti di retetra imprese vitivinicole

Tra i contratti di rete più stretta-mente connessi al settore vitivinicolo, alcune sono costruite nell’area delle produzioni di alta gamma (in tal caso assumendo un orientamento alla col-laborazione in iniziative commerciali a cavallo di più settori). Altre puntano alla condivisione di standard di produ-zione, a cui si abbina il ricorso a marchi collettivi e a meccanismi di certifi ca-zione in segmenti diversi del mercato vitivinicolo, incluso quello della pro-duzione di vini da tavola e il segmen-to dell’agriturismo. In un caso, carat-terizzato dalla partecipazione di una

Dislocazione geografi ca delle reti (2)

• 76% dei contratti di rete monoregionali

• 41% dei contratti di rete in Sud Italia

• 21% dei contratti di rete in Nord Italia

Numero di aziende per rete (1)

• 22 reti formate da 2-3 imprese

• 26 reti formate da 4-9 imprese

• 9 reti formate da più di 10 imprese

Contratti di rete nel settore agroalimentare

(1) Prevalgono le aggregazioni che uniscono tra 4 e 9 imprese (dati novembre 2012). (2) I contratti di rete nel settore agroindustriale prevalgono al Sud (elaborazioni Retimpresa su dati Infocamere, 2012).

Contratti di rete tra imprese

dell’agroalimentareNello scenario sopra delineato, i

contratti stipulati nel settore agroa-limentare costituiscono un sottoin-sieme relativamente contenuto. Nel novembre 2012 i contratti di rete con-nessi al settore agroalimentare, del-le macchine agricole e del packaging alimentare rappresentavano il 10% circa del totale, mentre tra tutte le imprese aderenti a contratti di rete a fi ne 2012, solo una piccola minoran-za operava nei settori dell’agricoltura, silvicoltura e pesca (Infocamere - Re-timpresa, 2012).

Il contratto di rete trova dunque maggiore applicazione nella parte centrale della fi liera, mentre limita-ta ne è la sua applicazione alla fi liera agricola, dove gli imprenditori, proba-bilmente meno inclini a sperimenta-re nuove formule organizzative e da sempre propensi a un controllo diretto ed esclusivo sulla terra come parte di un patrimonio familiare, sono al più e tuttora aperti a forme di rete di tipo più tradizionale, quali i consorzi e le cooperative agricole.

Se si pone attenzione ai contratti di rete che a novembre 2012 risultava-no connessi al settore agroalimentare, emerge che, come per lo più accade nei contratti relativi ad altri settori, pre-valgono le aggregazioni che uniscono tra 4 e 9 imprese.

Quanto alla dimensione geografi ca, la grande maggioranza di contratti di rete stipulati nel settore agroalimenta-re unisce imprese della stessa regione, mentre, in controtendenza rispetto al dato relativo ad altri settori economi-ci, i contratti stipulati nel Sud Italia sono circa il doppio di quelli stipulati al Nord Italia (elaborazioni Retimpre-sa su dati Infocamere).

Finalità perseguite

Guardando alle fi nalità perseguite, si nota che le imprese agroalimentari puntano a collaborazioni in grado di migliorare la produzione agricola lungo l’intera fi liera attraverso l’implementa-zione di standard qualitativi, la valoriz-zazione del legame territoriale e delle tradizioni locali, il miglioramento dei processi di lavorazione e conservazio-ne dei prodotti, anche con riferimento alla progettazione di macchinari tecno-logicamente avanzati, fi no all’innova-

33• supplemento a L’Informatore Agrario12/2013

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società di servizi di assistenza tecnica e tecnologica all’agricoltura, l’enfasi è posta sul tema della sostenibilità del-la fi liera quale componente strategica nella composizione di un’offerta diver-sifi cata di vini da proporre sui mercati nazionali e internazionali.

Le prospettive delle reti nel settore vitivinicoloLe esperienze sopra descritte suggeri-

scono che il contratto di rete possa rive-stire un ruolo importante nelle strate-gie di crescita del settore agro-alimen-tare e vitivinicolo in particolare.

In questa prospettiva il contratto di rete potrebbe:

fungere da contratto quadro atto a defi nire standard di produzione o di commercializzazione, il cui impiego lungo la fi liera produttiva e distributi-va sia eventualmente abbinato al rila-scio di certifi cazioni e/o all’uso di loghi o marchi industriali;

coordinare sistemi di tracciabilità del prodotto lungo la fi liera produtti-va e distributiva;

promuovere e governare forme di collaborazione tra imprese del setto-re vitivinicolo ed enti di ricerca nel-l’area della ricerca e sviluppo e il tra-sferimento tecnologico, ad esempio nel campo della sostenibilità ambientale o della sicurezza;

stabilire forme di coordinamento tra piccoli produttori per facilitarne l’ac-cesso al mercato mediante l’uso di tec-nologie (commercio elettronico), even-tualmente orientati a particolari tipi di domanda (ad esempio consumo biolo-gico o consumo etico);

coordinare sistemi di offerta inte-grata per la grande distribuzione or-ganizzata o per il canale horeca o rea-lizzare progetti di collaborazione che vedono la contestuale partecipazione di produttori e ristoratori o produttori e catene di distribuzione;

favorire la partecipazione a gare per l’aggiudicazione di contratti pubblici o privati (ad esempio nell’ambito della ristorazione);

realizzare forme di collaborazione di tipo intersettoriale, ad esempio nel campo dell’agriturismo o dell’enotu-rismo;

favorire l’accesso a mercati interna-zionali in Europa e nei Paesi extraeu-ropei nell’ambito di forme di collabo-razione volte a favorire il cross-selling e la condivisione di canali commerciali in mercati strategici;

promuovere la nascita di reti trans-europee nel settore vitivinicolo con particolare enfasi sulla promozione nei Paesi terzi.

In ultimo preme osservare come il contratto di rete possa rivestire un ruo-lo importante nel quadro del program-ma nazionale di sostegno per il settore vino nei casi in cui i fi nanziamenti sia-no destinati anche o prioritariamen-te a reti di imprese, come già previsto per il piano di aiuti alla promozione nei Paesi terzi.

Se, in base alla normativa vigente, il decreto di assegnazione del 27 novem-bre 2012 ha premiato largamente i rag-gruppamenti in forma di associazioni temporanee di impresa (ati) (più della metà dei fi nanziamenti sono destina-ti ad ati tra imprese del settore), la fu-tura programmazione potrebbe aprire scenari interessanti proprio per i con-tratti di rete.

Il futuro delle reti in agricoltura e nel vitivinicolo è ricco di potenzialità. Spetta alle politiche agricole e a quelle agroindustriali promuoverne lo svilup-po e alla capacità degli imprenditori assicurarne il successo.

Fabrizio CafaggiDipartimento di legge

Istituto universitario europeo (Iue)Firenze

Facoltà di giurisprudenzaUniversità di Trento

Paola IamiceliFacoltà di giurisprudenza

Università di Trento

● (1) Nell’ambito delle attività del Laboratorio reti d’imprese della Fondazione Bruno Visentini (responsabile scientifi co Fabrizio Cafaggi) il progetto è stato condotto con il coordinamento di Fabrizio Cafaggie Gian Domenico Mosco in collaborazione con Unioncamere e Retimpresa (Confi ndustria). Hanno partecipatoalla realizzazione della ricerca:Paola Iamiceli, Luana Bebber,Serena Corradi, Andrea Corsi, Eva Cremona, Chiara Ferrari, Roberta Mangione nonché, per alcuni approfondimenti di analisi giuridica, Eva Bredariol e Cinzia Marseglia, e, per l’Appendice economica, Francesco Rullani, Anna Censi, Federica Brunettae Francesca Vicentini.

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per divulgare il patrimonio vi -enologico calabrese. Un’aggregazione tra realtà

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per portare avan insieme le rispe ve, di eren e spiccate peculiarità

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