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TRASPORTO DI CALORE
Introduzione
Come è stato detto, il trasporto di calore considera i fenomeni di trasferimento di energia
termica dovuti alla presenza di differenze di temperatura, cioè attraverso il calore. Si tratta di
fenomeni presenti in quasi tutti (se non tutti) i processi industriali, sia in relazione alle
trasformazioni chimiche, ma anche a molte trasformazioni fisiche.
Il trasferimento di energia termica può avvenire con diversi meccanismi:
conduzione: che definisce il trasporto che avviene con un meccanismo molecolare, cioè legato al
moto delle molecole (o delle particelle mobili che costituiscono la materia, per cui nei
solidi si tratta molto spesso degli elettroni, come è per i buoni conduttori termici quali
i metalli);
convezione: che definisce il trasporto che avviene a causa del moto del sistema (generalmente
fluido) che, naturalmente, si porta dietro la propria energia termica (la cui
concentrazione vale cpT);
irraggiamento: che definisce il trasferimento di energia termica che avviene attraverso le onde
elettromagnetiche, in particolare attraverso la cosiddetta radiazione termica, cioè il
fatto che tutti i corpi, a T > 0 K, emettono una radiazione con uno spettro abbastanza
ampio (la cui intensità e range di frequenze dipende da T).
Oltre alla convezione, può esserci un trasporto di energia termica anche per diffusione,
qualora si sia in presenza di moti diffusivi. Anche in questo caso il movimento macroscopico di
materia, per diffusione, comporta il movimento dell’energia termica che la stessa materia possiede e
che, ovviamente, l’accompagna nel suo movimento.
Il trasporto molecolare, cioè la conduzione, abbiamo visto che è descritto empiricamente
dalla legge di Fourier:
dx
dTk =qx
dove k è la conduttività termica e si osserva immediatamente che la driving force per il
trasferimento di energia termica è il gradiente di temperatura. Ricordando che il flusso di energia qx
si misura in J m–2 s–1, la conduttività termica k si misura in J K–1 m–1 s–1 o W K–1 m–1.
La legge empirica di Fourier deriva dal postulato di Fourier e cioè che la temperatura sia
una funzione continua dello spazio, che, peraltro, vale quando siamo all’interno di un corpo, mentre
non vale nel vuoto (dove non è possibile definire la temperatura). Se in un corpo la temperatura T è
una funzione continua dello spazio, è possibile definire delle superfici isoterme (come luogo dei
punti dello spazio che hanno la stessa temperatura). Il postulato di Fourier prevede che l’elemento
dS di una superficie isoterma sia attraversato da una quantità di calore:
dQ = k dS dt gradT = k dS dt (dT/dn)
dove il gradiente di T è dato appunto dalla derivata di T rispetto alla normale alla superficie in
questione (dT/dn) ed il calore si muove nel verso opposto del gradiente, cioè verso le temperature
inferiori. Il gradiente di T è un vettore, dato che il campo delle temperature è un campo scalare. Dal
postulato di Fourier si ricava immediatamente la legge di Fourier:
dx
dTk
dn
dTk
dSdt
dQxq
se la superficie in questione è ortogonale alla direzione x lungo la quale si calcola il gradiente di T.
46
Ricordiamo che, per analogia (per quanto possibile) con gli altri tipi di trasporto, può essere
utile esprimere anche la legge di Fourier in funzione della concentrazione di energia termica, per
rientrare nella espressione generale:
FLUSSO = x = (/x)
= concentrazione della grandezza; = diffusività
dx
Tcd
dx
Tcd
c
k pp
px =q
dove è la diffusività termica e si misura in
[] = (J m-1K-1s-1)/(kg m
-3•J kg-1K-1) = m2s-1
come tutte le diffusività.
Nel caso di un trasporto di calore tridimensionale, il flusso q è un vettore, che avrà le tre
componenti non nulle, come del resto sarà il gradiente di T; l’estensione è abbastanza immediata:
q = (dQ/dS dt) = (cpT) = kT
dove l’operatore vettoriale Nabla opera sul campo scalare (cpT), mentre l’ultima espressione è
valida se e cp sono costanti con T (il che certamente non è, anche se viene abbastanza facilmente e
frequentemente accettato per queste finalità).
E’ opportuno ribadire che l’analogia con gli altri fenomeni di trasporto è solo matematica e,
in particolare per il trasporto della quantità di moto, si manifesta solo per fenomeni di trasporto
monodirezionali.
Un aspetto che merita una qualche sottolineatura riguarda i valori delle diffusività. Come
abbiamo ricordato, l’espressione delle leggi empiriche in funzione delle rispettive concentrazioni
della proprietà oggetto del trasporto, definisce la diffusività , che si misura sempre in m2s-1,
indipendentemente dalla proprietà in questione. Se consideriamo come caso concreto, ad esempio,
l’acqua a 0 °C, le tre diffusività hanno i seguenti valori:
D = 1.36•10-9 m2s-1
= 142•10-9 m2s-1
= 1800•10-9 m2s-1
Si osserva quindi che la diffusività di materia (cioè il coefficiente di diffusione D) è la più
piccola delle tre, mentre la diffusività termica è circa due ordini di grandezza maggiore e la
diffusività di quantità di moto (cioè la viscosità cinematica ) è un altro ordine di grandezza più
grande. Pur trattandosi in tutti e tre i casi di trasporto molecolare, cioè legato alla mobilità delle
molecole H2O, i contributi al trasferimento delle tre proprietà sono diversi. Infatti, per la diffusività
di materia il trasporto richiede che vi sia il reale trasferimento di molecole da un posto ad un altro
del sistema. Nel caso dell’energia termica il trasporto avviene certamente per effetto del
trasferimento fisico di molecole da un punto a temperatura maggiore (dove le molecole possiedono
una maggiore energia termica CpT, dove Cp è la capacità termica molare) ad un punto a temperatura
minore, trasportandovi la propria maggiore energia termica (e viceversa dal punto a temperatura più
bassa a quello a temperatura più alta, diminuendo quindi la concentrazione di energia termica di
quest’ultimo), ma c’è anche il contributo dovuto agli urti molecolari che producono scambio di
energia tra le molecole più veloci (cioè a più alta energia) e quelle più lente. Per tale motivo il
calore si trasferisce più velocemente delle molecole. Per quanto riguarda la quantità di moto, oltre al
contributo dovuto al trasferimento delle molecole (anche in questo caso le molecole più veloci si
spostano nella zona delle meno veloci, portandovi la propria maggiore quantità di moto e viceversa
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per le più lente), c’è anche il contributo degli urti intermolecolari, con scambio di quantità di moto
dalle molecole più veloci alle più lente e, inoltre, c’è anche il contributo dovuto alla viscosità, cioè
alle interazioni intermolecolari (per cui le molecole non sono perfettamente libere di muoversi) che
originano l’attrito al moto e che vengono riassunte appunto nella viscosità. Per tale motivo il
trasferimento di quantità di moto è ancora più veloce.
Un’altra importante sottolineatura riguarda le proprietà dei materiali rispetto al trasporto di
calore (e quindi alla conduttività termica). Ci sono molti materiali che sono isotropi, per i quali il
trasporto di calore avviene indistintamente in tutte le direzioni dello spazio: in questo caso k ed
sono grandezze scalari vere e proprie. Ci sono però materiali che sono anisotropi per cui alcune
proprietà, come k ed dipendono dalla direzione di propagazione. L’anisotropia è generalmente
legata ad una particolare e ordinata struttura cristallina del materiale (per cui è meno facile che si
verifichi nei fluidi, anche se esistono liquidi anistropi, quali ad esempio alcuni tipi di cristalli
liquidi).
La conduttività termica k è funzione della temperatura T e, anche se in modo minore, della
pressione p. In particolare, per i gas k aumenta con T, mentre per i liquidi e i metalli, diminuisce con
T. Anche in questo caso si può sfruttare la legge degli stati corrispondenti per ricavare i valori di k
da diagrammi di lavoro sperimentali.
k* = k/k° = f(pr = p/pc)
kr = k/kc = f(Tr = T/Tc)
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Conduzione all’interno di una fase
Anche per il trasporto di calore, poiché vale il principio di conservazione dell’energia,
possiamo impostare il bilancio all’interno di un generico elemento di volume (scelto con oculatezza,
in coerenza con la forma geometrica del sistema). Se consideriamo un elemento di volume in
coordinate rettangolari nel quale si abbia un gradiente di temperatura solo lungo l’asse x (quindi un
trasporto monodirezionale di calore lungo l’asse x), il Bilancio diventa:
(/t) G =
x
U
xx
x
con le possibili semplificazioni se è costante e se non c’è convezione, per cui si ottiene:
(/t) G =
2
2
x
ricordando che, in questo caso, = (cpT), per cui il Bilancio diventa:
(cpT)/t G =
2
2
2
p2
x
Tk
x
Tc
l’ultima espressione è valida se e cp sono costanti. Naturalmente sarà possibile avere fenomeni di
trasporto che avvengono in regime stazionario, nel qual caso (cpT) è una quantità costante nel
tempo e l’accumulo (cpT)/t = 0.
Trasferimento di calore tra fasi diverse
Una situazione abbastanza diffusa nei fenomeni di trasporto di calore è costituita dal caso di
trasferimento di calore tra fasi diverse (in sistemi ovviamente non isotermi). Molto spesso le due
fasi sono entrambe solide; in questo caso il meccanismo di trasporto è la conduzione in entrambe le
fasi e, quindi, anche all’interfaccia tra le due. La temperatura presenta un punto di discontinuità
lungo l’asse x, che attraversa l’interfaccia (si può immaginare che l’asse x sia generalmente
ortogonale all’interfaccia), però la temperatura all’interfaccia è unica, cioè le due facce della
superficie di contatto devono avere la stessa temperatura, anche se poi, all’interno delle due fasi è
possibile (e generalmente è così) avere due diversi gradienti di temperatura.
Nel caso di interfaccia tra fase solida e fase fluida si ha una discontinuità del trasporto; nella
fase solida si ha esclusivamente la conduzione, mentre nella fase fluida si possono avere tutti e tre i
meccanismi di trasporto: conduzione, convezione, irraggiamento. Questo cambiamento di
meccanismo implica una differenza di temperatura tra le due fasi, T, che provoca un trasferimento
di calore con un meccanismo complesso: si ha infatti un contributo di conduzione, dovuto alle
molecole del fluido che urtano la superficie della fase solida; si ha anche un contributo di
convezione, dovuto alla differenza di temperatura tra lo strato di fluido adiacente alla superficie
solida e il resto della massa del fluido (questa differenza di temperatura comporta una certa
differenza di densità che provoca la cosiddetta convezione naturale: il fluido più caldo è meno
denso per cui, per la spinta di Archimede impressa dal fluido più freddo e, quindi, più denso, sale
verso l’alto; viceversa il fluido più freddo scende verso il basso, dato che la spinta di Archimede
prodotta dal fluido più caldo risulta inferiore al suo peso); infine si ha anche un contributo di
irraggiamento, poiché entrambe le fasi emettono radiazioni e, come avviene per l’irraggiamento, il
corpo più caldo emette più energia, verso quello più freddo, di quanta non ne riceva dallo stesso,
realizzandosi così un trasferimento netto di energia dal corpo più caldo verso quello più freddo.
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Questo complesso meccanismo di trasferimento di calore tra una fase solida e una fase
fluida viene definito trasmissione di calore ed è descritto da una legge empirica molto semplice
che è la cosiddetta Legge del raffreddamento di Newton:
q = h T = Q/S
dove h è detto coefficiente di trasmissione termica o coefficiente liminare e si misura in J m-2 s-1 K-1.
La legge del raffreddamento di Newton è estremamente semplice, ma solo apparentemente,
come è facilmente intuibile considerando la complessità del meccanismo della trasmissione termica.
In effetti il coefficiente di trasmissione termica h non è una proprietà intrinseca del sistema, cioè
non basta definire le due fasi a contatto per derivare il valore di h, poiché il suo valore dipende
anche da come viene definito T tra le due fasi. Detto in altri termini, si tratta di un parametro che
viene aggiustato per far funzionare la legge empirica nel caso concreto in esame.
Consideriamo per esempio un fluido che si muova all’interno di un tubo (caso tipico di uno
scambiatore di calore a fascio tubiero) e che scambi calore con la parete del condotto. A seconda
della convenienza possiamo definire il T in modi diversi:
Q = hi (2rl)(Tp Ti)
Q = ha (2rl)
2
upip TTTT
Q = hln (2rl)
up
ip
upip
TT
TTln
TTTT
Come si vede si può essere interessati a quantificare il calore trasferito (Q, portata di calore)
in funzione della temperatura di ingresso del fluido Ti, assumendo che la temperatura del condotto
Tp sia sostanzialmente costante lungo tutto il percorso del fluido: questo definisce un coefficiente di
trasmissione termica hi, riferito alla temperatura iniziale. Diversamente, possiamo essere interessati
a riferirci alla differenza media di temperatura tra ingresso (Tp – Ti) e uscita (Tp – Tu): in questo caso
si definisce il coefficiente di trasmissione termica riferito alla temperatura media aritmetica ha.
Infine, può tornare utile riferirci alla media logaritmica della differenza di temperatura tra ingresso e
uscita (ricordando che la media logaritmica è data dal rapporto tra la differenza delle due grandezze
e la differenza dei rispettivi logaritmi, o il logaritmo del loro rapporto, che è ovviamente la stessa
cosa): in questo caso si ha un coefficiente di trasmissione termica riferito alla media logaritmica del
salto termico hln.
Alcuni valori di h, come ordine di grandezza sono riportati nella seguente tabella:
Fluido h (kcal m-2 h-1 °C-1)
Convezione naturale
gas 3÷20
liquidi 100÷600
acqua bollente 1000÷20000
Convezione forzata
gas 10÷100
liquidi 50÷500
acqua 500÷10000
vapori condensati 1000÷100000
Come si può vedere, si hanno dei range di valori in dipendenza anche dalla natura e dalla
Tp: T parete costante
Ti: T ingresso
Tu: T uscita
r: raggio tubo
l: lunghezza tubo
hi: T iniziale
ha: T media aritmetica
hln: T media logaritmica
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forma della superficie. Un aspetto di particolare rilevanza è il tipo di convezione: se il fluido è
soggetto a convezione forzata la trasmissione termica è notevolmente più efficiente.
Nei fenomeni di trasporto si incontrano alcuni gruppi adimesionali (numeri). Le grandezze
fisiche che sono coinvolte sono sette: d, v, , cp, , k, h. Le dimensioni coinvolte sono quattro:
lunghezza, massa, tempo, temperatura; ne consegue che sono possibili tre aggregazioni
adimensionali indipendenti:
Reynolds Re = (dv)/
Nusselt Nu = (hd)/k
Prandtl Pr = (cp)/k
esistono però anche alcune loro combinazioni:
Peclet Pe = RePr = (cpvd)/k
Stanton St = Nu/Pe = h/(cpv)
REGIME STAZIONARIO:
T in un punto non dipende da t accumulo = /t = (cpT)/t = 0
Conduzione in una lastra piana
Consideriamo una lastra piana, cioè un parallelepipedo di estensione infinita (cioè di
spessore piccolo rispetto alla dimensione della superficie). All’interno della lastra non si ha
generazione di energia termica, per cui G = 0. Per impostare il bilancio dobbiamo definire un
elemento di volume (ovviamente a forma di parallelepipedo), interno alla lastra: di altezza z,
larghezza y e spessore dx, tra x e x + dx, dove z e y sono del tutto arbitrari (potrebbero
rappresentare anche l’intera altezza e profondità della lastra, dato che non c’è alcuna dipendenza del
trasporto di calore da z e da y)
z T0 T1
y
T0
T0 > T1 z
y T1
x x
0 x1 x x+dx
INGRESSO + GENERAZIONE = USCITA + (ACCUMULO)
INGRESSO molecolare: qx|x z y = k(dT /dx)x z y
GENERAZIONE: G dV = 0
ACCUMULO: (cpT)/t = 0
USCITA molecolare: qx|x+dx z y = k(dT /dx)x+dx z y
51
k(dT /dx)x z y = k(dT /dx)x+dx z y
(dT /dx)x = (dT /dx)x+dx = (dT /dx)x + (d 2T /dx2)x dx
(d 2T /dx2)x = 0
Lo stesso risultato poteva essere ottenuto applicando direttamente l’equazione di Bilancio,
ricordando che l’accumulo e la generazione sono nulli:
(cpT)/t G =
2
2
2
p2
x
Tk
x
Tc
= 0
k = costante, = costante, (d 2T/dx2) = 0
se la derivata seconda è nulla, la derivata prima è una costante e l’equazione integrale è una
equazione lineare
T = a + bx
Per x = 0, si ricava a = T0, mentre per x = x1 si ricava b = (T1 T0)/x1 = T/x = (dT/dx)
T = T0 + [(T1 T0)/x1]x = T0 + [(T1 T0)/x]x
qx = k(dT/dx) = k(T01)/x1 = k(T/x)
Il profilo di temperature è quello indicato in figura: si ha un andamento lineare da T0 a T1,
cui corrisponde un flusso costante di calore nella stessa direzione.
Se abbiamo una serie di lastre parallele adiacenti (si pensi al caso tipico di una parete con i
vari strati di materiali che la compongono: muro, intonaco, vernice, ma anche isolante, ecc.), la
situazione può essere rappresentata come segue:
T
T0 T1 T2 T3
k1 k2 k3
T0
T1
T2
T3
d1 d2 d3
x
TT = T3 T0 = Ti = qx (di/ki)
Supponiamo di avere una temperatura T0 ad una estremità della serie, cioè sulla faccia
esterna da un lato, e T3 la temperatura all’altra estremità, cioè sulla faccia esterna dall’altro lato. In
condizioni di regime stazionario le temperature T0 e T3 sono costanti nel tempo. A questa differenza
di temperatura tra le due facce estreme della serie di lastre corrisponde un trasporto di calore dalla
faccia a temperatura maggiore (T0) a quella a temperatura inferiore (T3). Per garantire il regime
stazionario sarà necessario che il flusso di calore lungo l’asse x, che attraversa cioè la serie di lastre,
sia costante. In realtà è la portata Q che deve essere costante per garantire la conservazione
dell’energia. Trattandosi però di una serie di lastre parallele, la superficie di flusso del calore
(z y) è costante, per cui deve essere costante anche il flusso qx.
FLUSSO COSTANTE
qx = ki(Ti/xi) = ki(Ti/di)
Ti = qx(di/ki) =
= Q(di/Ski)
(di/Ski)
resistenza termica
della lastra i-esima
52
Questa condizione impone la costanza della quantità ki(Ti/di), che è appunto il flusso. Ne
consegue che in ciascuna lastra i-esima si instauri un Ti che dipende dal rapporto (di/ki). In queste
condizioni, all’interno di ciascuna lastra la situazione sarà esattamente come prima visto per la
lastra piana: un andamento lineare della temperatura all’interno di ciascuna lastra con un gradiente
di temperatura diverso in funzione della rispettiva conduttività termica ki e dello spessore di.
i
i
T
i
i
T
i
i
30x
S
q
Sk
d
T
k
d
T
k
d
TT
La situazione è del tutto analoga a quella che si ha in elettrologia con una serie di resistenze
elettriche, ai capi della quale venga applicata una tensione V.
R1 R2 R3
V1 V2 V3
l1 l2 l3
RT = R1 + R2 + R3 VT = V1 + V2 + V3
i
il
V
RS
V
S
Ii
T
i
T
La densità di corrente i (cioè il flusso di cariche elettriche, che è il rapporto tra la portata di
cariche elettriche I, cioè l’intensità di corrente, e la sezione S) è data dal rapporto tra la tensione Vi e
la resistenza Ri per S, o, in altri termini, tra la tensione Vi ed il rapporto (li/i) se S è costante.
Come Vi = IRi = iSRi = i(li/i), così Ti = Q[di/(Ski)] = q(di/ki). Come nella serie di
resistenze la caduta di potenziale su ciascuna si autoassesta in modo tale da garantire la stessa
portata I e, a parità di sezione, la costanza del flusso i, così nella serie di lastre parallele il salto di
temperatura si autodistribuisce in modo che il Ti su ciascuna lastra garantisca la stessa portata di
calore Q e, essendo costante la sezione delle lastre, lo stesso flusso qx.
Un aspetto di grande importanza che merita di essere sottolineato è che, anche per il
trasporto di calore, il T più grande si ha in corrispondenza della lastra con maggiore resistenza alla
conduzione termica, cioè in corrispondenza del maggiore rapporto (di/ki). Questo significa che, se
c’è una lastra con bassa conduttività termica ki questa tende ad assorbire gran parte del salto termico
TT. Se poi questa lastra fosse anche di spessore di consistente, il salto termico sarebbe totalmente
concentrato su tale lastra per cui le altre sarebbero sottoposte a salti termici più modesti per cui,
anche se dotate di buona conduttività termica, lascerebbero passare poco calore perché il rispettivo
T è molto piccolo.
Generalmente da una parte e dall’altra della serie di lastre si trova un fluido per cui si deve
considerare anche la trasmissione di calore tra il fluido e la superficie esterna della serie di lastre.
Supponiamo che la parete a T0 sia a contatto con un fluido a temperatura Ta e ha sia il valore medio
del coefficiente di trasmissione termica per questa parete. La parete a Tn sia a contatto con un fluido
a temperatura Tb e hb sia il corrispondente valore medio su tale parete. Il flusso costante che
attraversa la serie di lastre, dovrà essere anche trasmesso dal fluido a temperatura Ta alla parete a T0
e, analogamente, dalla parete a Tn al fluido a temperatura Tb. Applicando la legge del
raffreddamento di Newton, avremo: qx = ha(Ta – T0) = hb(Tn – Tb).
Si ricava quindi:
53
1
bi
i
aba
bi
i
a
ba 11= U U
11q
hk
d
hTT
hk
d
h
TT
dove U è detto coefficiente totale di trasmissione termica.
Se si hanno due lastre (parete s e coibente c)
Ti Tm Te
ks kc
Ti
Tm
Te
ds dc
x
si ricava anche in questo caso che il gradiente di temperatura è più grande per la lastra meno
conduttiva (in questo caso sarà il coibente). In particolare si potrà calcolare lo spessore adeguato
che il coibente dovrà avere per esercitare la sua funzione, fare cioè in modo che la parete disperda
poco calore, il che significa che Tm deve essere il più possibile vicina a Ti. Il valore di Tm può essere
facilmente calcolato e, come si vede dalle equazioni su scritte, dipende dalla conduttività termica
delle due lastre e dai rispettivi spessori.
Alette di raffreddamento
Frequentemente si pone l’esigenza di raffreddare una parete (cioè la superficie di un qualche
contenitore, per evitare che il contenuto si surriscaldi o per raffreddarlo): si pensi ai condotti di
fluidi di raffreddamento (come il fluido di un frigorifero o il liquido di raffreddamento del motore di
un’auto), o alla testata del motore di un motoveicolo o al radiatore di un termosifone, ecc.. Tale
raffreddamento richiede di disperdere il calore dalla superficie della parete all’atmosfera che la
circonda. E’ evidente che questo processo può avvenire innanzi tutto se la temperatura Tp della
parete è maggiore della temperatura Ta dell’atmosfera. In tali circostanze, il contatto diretto tra
parete e atmosfera provoca il raffreddamento per trasmissione di calore, come previsto dalla legge
del raffreddamento di Newton (che vale naturalmente anche per il flusso in senso inverso, cioè
quando l’atmosfera è più calda della parete), ma tale trasmissione non è molto efficiente.
Per aumentare l’efficienza del raffreddamento, si possono applicare alla parete delle alette di
raffreddamento. Si tratta di appendici metalliche (quindi con una buona conduttività termica)
costituite normalmente da lamine molto sottili (e, come vedremo, molto corte) saldate alla parete
(che può essere anche la parete di un tubo); dal punto di vista geometrico si tratta quindi di
parallelepipedi di lunghezza non eccessiva, di larghezza generalmente pari alla larghezza della
parete e di spessore molto piccolo (compatibilmente con le caratteristiche meccaniche del materiale
metallico e l’utilizzo del dispositivo in oggetto). In taluni casi, anche se poco frequenti, anziché
lamine si possono usare dei chiodi di raffreddamento, cioè cilindri metallici di piccolo diametro e di
lunghezza limitata, saldati sempre alla parete da raffreddare. Il ruolo di questi dispositivi di
raffreddamento è sostanzialmente quello di facilitare la trasmissione del calore all’atmosfera, sia
aumentando la superficie di contatto con quest’ultima, che favorendo l’uscita del calore dalla
parete.
cssc
escicsm
c
emc
s
mis
cssc
eisc
c
c
s
s
ei
+
+=
+
q
dkdk
TdkTdkT
d
TTk
d
TTk
dkdk
TTkk
k
d
k
d
TT
54
La situazione può essere rappresentata come segue:
parete a temperatura Tp in ambiente a temperatura Ta
Consideriamo, per semplicità matematica, di avere una parete di grandi dimensioni (infinite
dal punto di vista matematico, il che significa poter ignorare gli effetti che si hanno ai bordi della
parete) che si trovi tutta alla stessa temperatura Tp e che si trovi a contatto con un ambiente a
temperatura Ta. Se a tale parete applichiamo una aletta larga quanto la parete, di lunghezza infinita
e, come già detto, di spessore molto piccolo, avremo che il calore si trasferisce per conduzione dalla
parete lungo la aletta nella direzione x, di allontanamento dalla parete. Dall’interno della aletta poi,
oltre che muoversi in direzione x, il calore si muoverà verso le superfici esterne della aletta dove
avverrà la trasmissione all’atmosfera circostante, che si trova alla temperatura più bassa Ta.
Se la aletta è molto sottile, possiamo innanzi tutto trascurare gli effetti che si hanno ai bordi,
cioè sui due fianchi (che avranno una superficie trascurabile rispetto ai due piani soprastante e
sottostante) e sul bordo terminale, che è all’infinito e quindi come non ci fosse. Ciò significa che la
trasmissione termica avviene solo attraverso la superficie superiore e l’analoga superficie inferiore
della aletta. D’altra parte, se lo spessore è piccolo, la variazione della temperatura interna lungo
l’asse z sarà trascurabile, per cui possiamo considerare T indipendente da z, come è pure
indipendente da y, dato che la parete è tutta alla stessa temperatura, per cui non c’è alcuna
dipendenza dalla posizione y. Possiamo quindi affermare che T è funzione esclusivamente di x.
Per impostare un bilancio dell’energia termica, dovremmo scegliere un elemento di volume
coerente con la forma geometrica del sistema, quindi a forma di parallelepipedo, e che tenga conto
che il trasporto di energia si ha senz’altro in direzione x (per cui andrà scelto un elemento di volume
di spessore dx, tra x ed x + dx). Per quanto riguarda la larghezza dell’elemento di volume, non
essendoci alcuna dipendenza del processo di trasporto da y, l’elemento di volume può avere una
larghezza y pari all’intera larghezza dell’aletta. A rigori, avremmo trasporto anche lungo z, per cui
l’elemento dovrebbe essere interno allo spessore della aletta, con uno spessore dz, tra z ed z + dz.
Tp chiodo di raffreddamento
Ta
aletta di raffreddamento
z
Ta
SL SL
S S
Tp T T
y
x x+dx x x x+dx x
55
In realtà, poiché abbiamo detto che T non dipende da z, dato il piccolo spessore della aletta,
l’elemento di volume può avere lo stesso spessore z della aletta, che indichiamo più
semplicemente con s. Quindi l’elemento di volume nel quale fare il bilancio avrà: lunghezza dx, tra
x ed x + dx, larghezza y, pari alla larghezza dell’intera aletta, spessore s = z, pari allo spessore
dell’aletta. All’interno di questo elemento di volume la temperatura sarà T, uniforme in tutto
l’elemento di volume, dato che T dipende solo da x. Infine, sempre per semplicità, ammettiamo che
il coefficiente di trasmissione termica non dipenda da T, per cui rimane costante su tutta la
superficie della aletta.
Il Bilancio in tale elemento di volume diventa quindi:
ACCUMULO = 0 (stato stazionario)
GENERAZIONE = 0 (nessuna produzione)
INGRESSO = Sqx|x = zy qx|x = sy qx|x
USCITA = Sqx|x+dx + SLh(T Ta) = sy qx|x+dx + 2y dxh(T Ta)
ricordiamo che qx|x+dx = qx|x + (dqx/dx)x dx
a
xexpTTTT
a
xexpTTTT
TT=C ,TT= 0,=x
0=C 0,= ,=x
a
xexp
a
xexp
è generale integralel'ak
h
dx
d
TT porre convieneTTk
h
dx
Td
cilindrico chiodo raggior
piana aletta spessore=s
rsdxS
S
TThTTdxS
hS
dx
dqx
)(
)(=)(
CC
1
=B
)( B
2
o 2
B
B
apa
apa
ap2ap
1
21
22
2
aa2
2
L
aaL
Il bilancio porta all’equazione differenziale su ricavata, per la quale è opportuno operare un
cambio di funzione, utilizzando la nuova funzione = (T – Ta) , per cui si ottiene:
0=1
1=
B
22
2
22
2
adx
d
ak
h
dx
d
che è un’equazione differenziale lineare del secondo ordine a coefficienti costanti e omogenea. La
soluzione si ottiene trovando le radici del polinomio caratteristico:
z2 1/a2 = 0
56
che ha due radici reali distinte: 1/a. Pertanto l’integrale generale è appunto
= C1exp(x/a) + C2exp(x/a)
Si può osservare facilmente che, per x = a, (T Ta) = (Tp Ta)/e = 0.368(Tp Ta); mentre,
per x = 5a, (T Ta) = 0.006(Tp Ta) < 1% (Tp Ta). La quantità (T Ta) rappresenta il
raffreddamento residuo che può essere effettuato dalla parte successiva dell’aletta (rispetto alla
distanza x dalla parete, dove la temperatura è T). Si osserva che a distanza x = a, rimane un ulteriore
possibile raffreddamento pari a ca. il 37% del raffreddamento totale possibile (che è appunto
Tp Ta, poiché, al massimo, la temperatura può scendere fino a Ta). Per x = 5a il raffreddamento
residuo è meno dell’1% del raffreddamento totale. Tutto ciò significa che è inutile avere alette
molto lunghe, poiché la parte di aletta che va da 5a all’infinito serve a smaltire meno dell’1% del
calore smaltibile. Ovviamente, poiché il materiale di cui è fatta l’aletta costa, è opportuno che
l’aletta sia la più corta possibile e, quindi, che il parametro a sia il più piccolo possibile.
Ricordiamo che
Bh
ka
per cui per avere piccoli valori per a, si potrebbe ipotizzare di abbassare k, ma in questo caso l’aletta
non smaltirebbe il calore. Infatti, se k = 0, a = 0, T = Ta per qualsiasi x, ma non c’è raffreddamento
perché il calore non esce dalla parete. D’altra parte è altrettanto evidente che se h = 0, a = , T = Tp
per qualsiasi x; anche in questo caso non c’è raffreddamento perché il calore resterebbe tutto dentro
l’aletta che, in regime stazionario, avrebbe la stessa temperatura della parete. Pertanto, per avere un
efficace raffreddamento è necessario che: a sia piccolo, ma k deve essere grande, per cui B deve
essere grande (aletta piana molto sottile) e, inoltre, h deve essere grande (è opportuna la convezione
forzata).
A questo punto è evidente che è del tutto inutile realizzare alette troppo lunghe, poiché si
impiegherebbero elevate quantità di materiale senza alcun beneficio reale per il raffreddamento. Se
l’aletta ha una lunghezza finita l, la legge di distribuzione delle temperature è però diversa, poiché
cambiano le condizioni al contorno. Innanzi tutto conviene lavorare con grandezze adimensionali:
k
lh
l
x
TT
TT B=N
2
ap
a
La temperatura adimensionale è definita normalizzando il salto termico rispetto al suo
valore massimo; la distanza dalla parete viene resa facilmente adimensionale dividendo la
distanza x per la lunghezza dell’aletta l; più complesso appare rendere adimensionale il parametro a
(o il suo reciproco). Ci può aiutare l’analisi dimensionale: a ha la dimensione di una lunghezza (si
può ricavare dalle unità di misura delle tre grandezze, oppure considerando che l’argomento
dell’esponenziale deve essere adimensionale, per cui a ha la stessa dimensione di x, cioè una
lunghezza). Appare quindi ragionevole rendere adimensionale a dividendo per una lunghezza e cioè
la lunghezza l dell’aletta.
Le condizioni ai limiti in questo caso sono:
per x = 0, T = Tp, =1; per x = l, (dT/dx) = 0, (d/dx) = 0
L’equazione differenziale che si ricava dal Bilancio è esattamente identica al caso
precedente:
57
N
)N(1
NN)(N
0 ;1
NN
N
10
21
2
2
2
cosh
cosh
senhtanhcosh
|/dd|
expCexpC
d
d
2
eex
2
e+e=x
x-x
-xx
senh
cosh
Conduzione radiale in una corona cilindrica
dr
r0 r r1
T0 T1
ACCUMULO = 0
GENERAZIONE = 0
k indipendente da T
Supponiamo di avere una corona cilindrica (potrebbe essere ad esempio la parete di un tubo,
come si ha in uno scambiatore di calore) di raggio interno r0 e raggio esterno r1 e si abbia una
temperatura T0 sulla parete interna e una temperatura T1 sulla parete esterna della corona cilindrica,
con T0 > T1. In questa situazione si ha un flusso radiale di calore dall’interno verso l’esterno. Per
impostare il Bilancio scegliamo un elemento di volume costituito da una corona cilindrica interna
alla nostra corona cilindrica, con raggio interno r e raggio esterno r + dr, e di lunghezza arbitraria
(che può essere anche tutta la lunghezza x della corona cilindrica in esame, dato che lungo x non c’è
variazione di temperatura).
INGRESSO = qr|r 2rx
USCITA = qr|r+dr 2(r + dr)x qr|r+dr = qr|r + (dqr/dr)r dr
Il Bilancio diventa:
qr|r 2rx = qr|r+dr 2(r + dr)x
qr|r r = qr|r+dr (r + dr) = [qr|r + (dqr/dr)r dr] (r + dr)
qr|r dr + (dqr/dr)r r dr + (dqr/dr)r (dr)2 = 0
dove si può trascurare l’ultimo termine, che è un infinitesimo del secondo ordine. Si ottiene quindi:
58
0
q 0
r
r
r
r
rr
dr
rdr
dr
d
che può essere risolta facilmente:
1
rr
q q
Crlnk
CT
drkr
CdT
kr
C
dr
dT
dr
dTk
r
CCr
r = r0, T = T0; r = r1, T = T1;
0
1
0
100
0
0
1
1001
0
1
10
1
010
111100
r
rln
r
rln
TTTT
rln
r
rln
TTTC
r
rln
TTkC
r
rln
k
CTT
Crlnk
CTCrln
k
CT
Si può applicare direttamente l’equazione di Bilancio in coordinate cilindriche:
10
10eq
1
0
10
1
0
10r
0
1
0
100
1100
112
2
2
2= q
=
= ,= ;= ,=
+ +4
K
K01
0
01
rr
TTkS
r
rln
TTklQ
r
rln
TT
r
k
r
rln
r
rln
TTTT
TTrrTTrr
CrlnCCrlnCrT
dr
dT
rdr
Td
rdr
d
dr
rd
r
Seq è detta superficie equivalente e rappresenta la superficie che avrebbe una lastra piana di spessore
(r1 – r0) e con un T = T0 – T1 per dare la stessa portata di calore Q.
Si ricava facilmente che
59
lnr
r
rln
rr
r
rln
rrlS =ologaritmic medio raggio 2=
0
1
01
0
1
01eq
Seq è la superficie laterale di un cilindro di raggio rln e lunghezza l, pari cioè a 2lrln.
Consideriamo una serie di corone cilindriche adiacenti (che rappresenta il caso tipico di un tubo
coibentato). In regime stazionario è chiaro che la portata Q è costante, mentre il flusso varia con r,
in modo tale che rqr sia costante pari a r0q0, cioè il valore sulla superficie interna della serie di
corone cilindriche.
Per ciascuna corona cilindrica i-esima, di raggio interno r' ed esterno r", con temperatura
rispettivamente T ' e T ", sarà:
i
ii
exin
00
i
ii00exin
i
ii00ii
i
iir00
'/"
2=q2=
'/"q=
'/"
q"'
=q=q
k
rrln
TTlrlQ
k
rrlnrTT
k
rrlnrTT
dr
dTkrrr
r0 r1 r2 rb
Ta
T0=Tin
T1
T2
T3=Tex
Tb
60
Filo percorso da corrente elettrica
Consideriamo il caso di un filo (cioè un cilindro) percorso da corrente elettrica. Come
sappiamo, si ha generazione di calore per effetto Joule e tale calore si muoverà radialmente
all’interno del filo, fino a raggiungere la superficie esterna, dove verrà trasmesso all’ambiente
circostante (a volte volutamente, com’è il caso di un fon o una stufa elettrica, a volte
inevitabilmente, com’è in tutti i casi di conduzione elettrica).
Supponiamo per semplicità che le seguenti grandezze fisiche:
conduttività elettrica (-1 m-1)
e resistività elettrica (m)
k conducibilità termica (J m-1 s-1 K-1)
siano tutte e tre indipendenti da T. Per impostare il Bilancio possiamo scegliere un elemento di
volume a forma cilindrica, cioè un cilindretto coassiale con il filo, di raggio r e lunghezza arbitraria
l (che potrebbe essere anche l’intera lunghezza del filo); oppure una corona cilindrica, sempre
coassiale con il filo, di raggio interno r e spessore dr e lunghezza arbitraria l; oppure possiamo
applicare direttamente l’equazione di bilancio in coordinate cilindriche.
La GENERAZIONE è (come le altre componenti del Bilancio) una portata, in questo caso,
di energia, cioè una potenza (energia per unità di tempo). Essa sarà pari pertanto alla potenza
elettrica che vale VI (dove V è la tensione ai capi dell’elemento di volume, cioè del tratto l che
stiamo considerando) ed I è la intensità di corrente che circola nell’elemento di volume che stiamo
considerando. Ovviamente, se si applica direttamente l’equazione di Bilancio, V rappresenta la
tensione ai capi del filo ed I l’intensità di corrente che circola nel filo. La generazione per unità di
volume G, sarà la potenza elettrica per unità di volume, per cui, se consideriamo l’intero filo (per
poter applicare ad esempio l’equazione di Bilancio), avremo:
22
e2
2e
2
G
ii
lS
lI
lS
RI
lS
VI
la generazione per unità di volume è data dal rapporto tra il quadrato della densità di corrente
elettrica i e la conduttività elettrica .
Consideriamo come elemento di volume un cilindretto di raggio r e lunghezza l:
Rf
r
l
x1 x2
INGRESSO + GENERAZIONE = ACCUMULO + USCITA
INGRESSO: nullo
GENERAZIONE: G V = (i2/) r2l
ACCUMULO: (cpT/t) = 0
USCITA: qr|r2rl = k(dT/dr)r2rl
2f
22f
2
s2
22
f
2
s2
f
2
ssf
222
22
R1
4
R
4R
4 R
4 C R
C4
2
2
r
k
iTr
k
i
k
iTT
k
iTTTr
rk
iTr
k
i
dr
dTlr
irl
dr
dTk
rr
61
Se invece consideriamo come elemento di volume una corona cilindrica, di raggio interno r
e spessore dr, avremo:
dr Rf
r
x1 x2 l = (x2 x1)
INGRESSO + GENERAZIONE = USCITA + (ACCUMULO)
INGRESSO: qr|r2rl = k(dT/dr)r2rl
GENERAZIONE: G V = (i2/) 2rl dr
ACCUMULO: (cpT/t) = 0
USCITA: qr|r+dr2(r+dr)l = k(dT/dr)r+dr2(r+dr)l
In funzione dei flussi qr, ricordando che qr|r+dr = qr|r + (dqr/dr)rdr, abbiamo:
qr|r2rl + (i2/) 2rl dr = [qr|r + (dqr/dr)rdr] 2(r+dr)l
qr|rr + (i2/) r dr = qr|rr + qr|r dr + (dqr/dr)rr dr + (dqr/dr)r(dr)2
(dqr/dr)r r + qr|r = + (i2/)r d/dr (rqr) = (i2/)r
qr = (i2/2)r + B/r = k(dT/dr) B = 0
(dT/dr) = (i2/2k)r
che è esattamente la stessa relazione ricavata prima, per cui abbiamo lo stesso risultato.
Viceversa, se si imposta direttamente il bilancio in funzione di T, si otterrebbe un’equazione
differenziale del secondo ordine, che può essere risolta con la solita procedura.
Peraltro, è possibile impostare direttamente l’equazione di Bilancio:
2f
22f
2
s2
22f
2
s
2f
2
s2fssf
2
2
2
2
2
2rrr
G
R1
4
R+
4R
4
R4
R4
K=C ,= ,R=
0)( 0B CB4
K
K1
1
r
k
iTr
k
i
k
iTT
k
iTTTTr
rrlnrT
k
i
dr
dT
rdr
Td
dr
dT
r
k
dr
Tdk
rdr
d
dr
rd
r
62
L’andamento di T mostra che la temperatura all’interno del filo aumenta da Ts a Tmax con
una funzione parabolica della distanza dalla superficie del filo (paraboloide di rotazione), che
dipende da Ts e da G = i2/. Il massimo riscaldamento si ha quindi al centro del filo
kk
iTT r 4
R
4
R=
2fG
2f
2
s0max
L’aumento medio della temperatura vale:
smax
21
2fG
2
0
R
0
2
0
R
0 s
s8
R)(=
f
f
TTk
rdrd
rdrdTrTTT
La portata sulla superficie esterna del filo
asf2
e
2
GR=
GG2
f
fGfR=rfR=
R2=Vol=VolVol|
VolR2
RR2|qR2|
f
ff
TThlii
Q
lllQ
r
r
tutto il calore prodotto viene smaltito attraverso la superficie esterna (dato che siamo in regime
stazionario). Naturalmente questo significa che Ts ha un valore tale da consentirlo, cioè il salto
Ts – Ta deve essere tale da realizzare questa condizione, il che vuol dire che, a seconda di Ta e del
valore di h, Ts si assesta per garantire il necessario smaltimento (salvo che non si arrivi a fondere il
filo!).
Appare del tutto evidente l’analogia matematica con la situazione relativa al moto laminare
di un fluido in un tubo.
REGIME VARIABILE (TRANSITORIO):
T in un punto varia nel tempo
L’equazione di Bilancio:
(/t) + (U•) = G + ()
ACC CONV GEN MOL
con = diffusività termica, costante, altrimenti:
(/t) + (U•) = G + (•)
se non c’è contributo convettivo né generazione e è costante:
(/t) = ()
((cpT)/t) = (k/cp)((cpT)) (T/t) = (k/cp)(T) = (T)
nel caso il fenomeno sia monodirezionale lungo l’asse x:
2
2
x
T
t
T
II Legge di Fourier
Equazione di Fourier-Poisson
63
Abbiamo quindi un’equazione differenziale alle derivate parziali da risolvere, poiché T è
funzione sia dello spazio (in particolare di x per un trasporto che avvenga solo lungo l’asse x) che
del tempo. Come vedremo, la soluzione di una equazione differenziale alle derivate parziali dipende
dal particolare sistema che si considera, cioè dalle condizioni al contorno, per cui va affrontata caso
per caso.
Una situazione abbastanza generale (cioè molto frequente) è quella che approssima il
cosiddetto semispazio infinito, che rappresenta un caso abbastanza semplice. Si tratta di avere un
semispazio definito da un piano, per il quale si assume che il piano abbia la stessa temperatura in
tutti i suoi punti, per cui T è funzione solo di x, che rappresenta la distanza dal piano in direzione
normale, all’interno del semispazio in questione. In ciascun punto del semispazio quindi.
T = f(x,t)
Questo caso è caratterizzato dalle seguenti condizioni:
iniziale t = 0 per x 0 T = T0
limite I t 0 per x = 0 T = T1
limite II t 0 per x = T = T0
il che significa che fino all’istante iniziale tutto il semispazio, compreso il piano, si trova a T = T0
dopo di che, istantaneamente tutto il piano viene portato a T = T1 e comincia a riscaldare
(ammettendo quindi che sia T1 > T0) il semispazio per conduzione del calore (dato che si considera
solo l’equazione di Fourier) all’interno della materia che costituisce il semispazio stesso.
Ovviamente si cominceranno a riscaldare gli strati di materia più vicini al piano e via via si
scalderanno strati sempre più distanti. Man mano che il tempo passa avremo una serie di strati
paralleli al piano, caratterizzati da una stessa temperatura (che dipende solo da x, ma non da y né da
z), che andrà aumentando nel tempo tendendo al valore T1. Contemporaneamente il riscaldamento
raggiungerà strati sempre più lontani dal piano, che cominceranno quindi a variare la propria
temperatura dal valore iniziale T0 tendendo sempre a T1.
Per trattare il problema del regime transitorio in un semispazio conviene esprimere la
temperatura in forma adimensionale:
2
2
01
0
xt
TT
TT
Abbiamo ancora un’equazione differenziale alle derivate parziali (EDP). Per risolvere una EDP è
opportuno usare la trasformazione di Laplace che la trasforma in una equazione differenziale
ordinaria (EDO). Infatti non esiste una tecnica per risolvere direttamente una EDP, ma quando una
delle due variabili è il tempo torna utile applicare l’operatore di Laplace, che “congela” la
dipendenza da t, consentendo di ottenere una EDO in funzione della seconda variabile, che è
risolvibile abbastanza agevolmente.
La trasformata di Laplace della funzione F(t), è indicata con L[F(t)] o FL(s) o )(sF
L[F(t)] = FL(s) = )(sF = dttFe st
0 )(
si può fare quando F(t):
è definita in tutti i punti 0 t
ha un numero finito di discontinuità
è di ordine esponenziale (estF(t) è finito per t = )
iniziale t = 0 x 0 T = T0 * = 0
limite I t 0 x = 0 T = T1 = 1
limite II t 0 x = T = T0 * = 0
64
La prima condizione è indispensabile per poter effettuare l’integrazione; la seconda
condizione non richiede quindi che la funzione sia continua in tutto l’intervallo di integrazione:
possono esserci anche punti di discontinuità, ma, in questo caso, il numero di punti di discontinuità
nell’intervallo 0 deve essere finito (cioè non devono essere ripetuti ciclicamente). Infine l’ultima
condizione richiede che la funzione integranda estF(t) non diventi infinita quando t tende a (in
altri termini est deve andare a zero più rapidamente di quanto F(t) tenda a .
La soluzione di una EDP della funzione F(x,t) richiede
trasformata di Laplace
elaborazione
trasformazione inversa
(convoluzione)
si deve innanzi tutto applicare l’operatore di Laplace ai due membri della EDP, ottenendo una EDO
per la trasformata di Laplace FL(x,s); si risolve la EDO ottenendo la FL(x,s) dopo di che si deve
effettuare l’operazione inversa della trasformazione di Laplace, cioè la convoluzione, per ottenere la
funzione cercata F(x,t). La soluzione della EDO produce una specifica FL(x,s), in dipendenza delle
condizioni al contorno della EDO; per tale motivo la convoluzione della FL(x,s) produce un
integrale particolare F(x,t). Ciò significa che una EDP non ha un integrale generale, ma si possono
ricavare degli integrali particolari che dipendono dalle particolari condizioni al contorno.
Consideriamo l’equazione di Fourier-Poisson per la generica funzione F(x,t)
2
2
2
2
)()(
)()(
)( 0
)0( 0
)()(
x
tx,u
t
tx,u
tx,FFtx,u
Ft,Ft
Fx,Ft
x
tx,F
t
tx,F
si può lavorare ugualmente con F(x,t) o con la funzione ausiliaria u(x,t).
Operiamo la trasformazione del membro di sinistra
),(),()0(),()(
)()()(
)()()(
)()(
0
0
0
0
sxussxus,xusxust,xue
dtt,xuest,xuedsf
dtset,xut,xudet,xued
dtt
t,xuesf
st
stst
ststst
st
per effettuare l’integrazione si può riconoscere che la funzione integranda è una parte del
differenziale d[estu(x,t)], per cui si può sostituirla con d[estu(x,t)] + sestu(x,t)dt. Alla fine, la
trasformata di Laplace del membro di sinistra è )s,x(us , dato che u(x,0) = 0.
E’ possibile lavorare con F(x,t), ricavando in modo del tutto analogo:
EDP
F(x,t)
EDO
FL(x,s)
FL(x,s) F(x,t)
65
)()(),(),(
),(),()0(),()()(0
s,xFs
Ft,xF*FLtxuLsxu
FsxFssxFs,xFsxFst,xFesf st
che è esattamente l’opposto della trasformata ricavata per u(x,t). Nell’ultima riga si può osservare
infatti la relazione tra )( s,xu e )( s,xF che si può ricavare facendo la trasformata di Laplace
dell’equazione di definizione di u(x,t). In questa operazione emerge un dato che vale la pena di
sottolineare: la trasformata di Laplace di una costante (nella fattispecie F*) è uguale alla stessa
costante diviso s (quindi F*/s), come si può ricavare facilmente eseguendo l’integrazione per la
trasformazione di Laplace.
Un altro aspetto che vale la pena di anticipare è che l’introduzione della funzione u(x,t)
serve per ottenere una EDO omogenea, mentre in funzione di F(x,t) si ottiene una EDO completa
(quindi leggermente più difficile da risolvere).
Operiamo quindi la trasformazione del secondo membro della nostra EDP:
)()(
)()( )( di funzionein
)()()(
)()(
Leibnitz di teorema
)()(
2
2
2
2
0 2
2
0 2
2
2
1
2
1
1
0
0011
1
0
s,xFs
Fs,xu
dx
x,sFdsfx,tF
dx
x,suddtx,tue
xsf
dtt,xfx
dtt,xfx
dzx
z,xgx'fgx'fgdzz,xg
x
dtx
x,tuesf
st
t
t
t
t
xf
xfxf,xxf,x
xf
xf
st
La trasformazione del secondo membro può essere ottenuta utilizzando il teorema di
Leibnitz. In questo caso f0(x) = 0, mentre f1(x) = ; ciò significa che gli estremi di integrazione non
dipendono da x, per cui le loro derivate f0'(x) e f1'(x) sono nulle. Si ricava quindi quella che viene
comunemente applicata come regola generale e cioè che la derivata di un integrale è uguale
all’integrale della derivata, anche se deve essere chiaro che, in questo caso, la derivazione è fatta
rispetto ad una variabile (x) diversa di quella di integrazione (t).
Si ottengono quindi le seguenti EDO in funzione delle trasformate di Laplace )( s,xu e
)( s,xF :
Fs,xF
s
dx
s,xFds,xu
s
dx
s,xud)(
)( 0)(
)(
2
2
2
2
la prima è una EDO omogenea, mentre la seconda è una EDO completa. Risolvendo la prima, che è
una equazione lineare omogenea del secondo ordine a coefficienti costanti, si ottiene l’integrale
66
generale:
xs
exps,us
Fs,xF
s,us
Fs,FsA
Bs
Fs,xFlim
xs
expBxs
expAs
Fs,xF
xs
expBxs
expAs,xu
x
21
21
21
21
21
)0()(
)0()0()(
0 )(
)(
)(
dove abbiamo scritto l’integrale generale in funzione di )( s,xu con –A e –B, solo per avere poi
l’espressione più abituale nell’integrale generale in funzione di )( s,xF .
Tornando all’equazione differenziale di Fourier-Poisson in funzione della temperatura
adimensionale , detta L(x,s) la trasformata di Laplace della (x,t), l’integrale particolare per il
caso del semispazio infinito è:
xs
expBxs
expAs,x
xs
expBxs
expAs
s,x
s,xs
dx
s,xd
sdx
s,xd*s,xs
x
t,x
t
t,x
21
21
L
21
21
L
L2
L2
2
L2
L
2
2
*
*
0,*
In funzione L(x,s) la EDO è in realtà un’equazione omogenea, dato che * = 0, per cui non
ci sarebbe stato bisogno di ricorrere alla funzione ausiliaria. Le condizioni ai limiti sono:
per t 0, (,t) = 0, L(,s) = (0/s) = 0, quindi B = 0
per x = 0, (0,t) = 1, L(0,s) = (1/s), A = (1/s)
facendo l’operazione inversa della trasformazione di Laplace (cioè la convoluzione della
trasformata) si ottiene:
67
t
xerf
t
xerfctx
xs
exps
sx
21
2),(
1),(
21
L
La convoluzione è un’operazione abbastanza difficile, ma per fortuna esistono tabelle di
funzioni convolute (calcolate da esperti) alle quali si può ricorrere. Quella che esprime L(x,s) è
appunto una di queste e la sua convoluta è la error function complement erfc[x/2(t)], che è il
complemento a 1 della error function erf [x/2(t)].
La funzione errore è una funzione integrale, della funzione integranda exp(z2)dz
tx
dzzexpt
xerf
dzzexpuerfu
2
0
2
0
2
2
2
2
il cui valore dipende dal limite superiore di integrazione u.
L’integrazione della EDP poteva essere ottenuta anche con un diverso procedimento,
ammettendo che la soluzione possa essere espressa come:
(x,t) = (u) u = f(x,t) = x/[2(t)]
con questa assunzione si ricava infatti:
t
"
tt"
dx
du
t
'
du
d
t'
xx
t)(x,
xx
t)(x,
t'
dx
du'
dx
du
du
d
x
t)(x,
ut
'
t
x
t'
t
t)(x,
t
x
tt
xt
x
dt
d
dt
du
dt
du'
dt
du
du
d
t
t)(x,
42
1
2
1
22
1
2
1
222
1
22
1
2
1
22
2
2
23
21
Allora la EDP
2
2 ),(),(
x
tx
t
tx
diventa
02
42
1
'u"
t
"'
t
u
che è una EDO per la funzione (u), con le seguenti condizioni:
condizione t x T (u)(= u
68
iniziale 0 T0 0 0
limite I 0 0 T1 1 1 0
limite II 0 T0 0 0
Ponendo ’ = si ottiene:
t
xerfux,t
uerfcuerfu
dzzexpu
dzzexp
C
dzzexpCdzzexpCu
dzzexpCuduuexpCd
duduexpCuexpCexp
Culnduud
udu
d
21)(
)(=)(1)(
)(2
1)( 2
)(
1
0)(+1=)( )(+1=)(
)((0))( )(
='=)(=)()(=
2 02
u
0
2
0
21
0
21
u
0
21
u
0
21
21
21
2
2
erf(u) = funzione errore di u erfc(u) = 1 erf(u) = complemento a 1
1
erf(2) = 0.99
0 u
1 2
i valori di erf(u) sono tabulati (calcolati con l’espansione in serie di Mac-Laurin)
Ottenuta l’espressione di (x,t), possiamo ricavare l’espressione per T:
t
xerfTTT
t
xerfTTTT
t
xerf
TT
TT
t
xerfc
t
xutx
2)(
21
21
22)(),(
011010
01
0
69
T1 t=
t=1000
t=100
t=10
t=20
t=1
T0 x x
Come si può osservare, il profilo delle temperature in funzione della distanza x dal piano
dipende dal tempo t. Più grande è il tempo t, più la temperatura degli strati aumenta (si osservi, ad
esempio, l’andamento per un determinato valore di x) ed il riscaldamento si fa percepire a distanze
sempre maggiori. Un altro aspetto che va sottolineato, è che al tempo infinito, tutto il semispazio
raggiunge la temperatura T1 del piano.
Si definisce spessore di penetrazione del riscaldamento quello in cui T è variata almeno
dell’1% di (T1 T0), cioè la distanza dal piano alla quale arriva a farsi sentire il riscaldamento (per
percepire il quale si ritiene che la temperatura debba essere aumentata almeno dell’1% della
possibile variazione totale). Ciò significa che la temperatura T a tale distanza deve essere
aumentata dal valore iniziale T0 di almeno l’1% di (T1 T0).
T = T0 + 0.01(T1 T0) = T0 + (T1 T0)[1 erf(u)]
erf(u) = 0.99 u = 2 = x/[2(t)]
x = = 4(t)
Si ricava quindi che a x = deve essere erf(u) = 0.99, il che richiede che u = 2. Il tempo t necessario
per avere un riscaldamento sensibile alla distanza è:
tx = t = x2/(16)
Il flusso di calore nel piano a x = x:
tx
x
x
x
tt
xexpdzzexp
dx
d
xxgxxgdzzgdx
d
t
xexp
t
kTT
tt
xexp
kTT
t
xerfTTT
dx
dk
dx
dTk
x
Tk
2
0
22
0011
)(f
)(f
2
01
2
01
011x
02
1
4
2=)(
2
)('f)(f)('f)(f =)(
:infatti
42
1
4
2
2q
1
0
dato che la g(z), cioè exp(z2), non dipende da x, per cui l’ultimo termine del teorema di Leibnitz è
70
nullo.
In particolare, nel piano x = 0
t
kcTT
t
kTTx
p01010x =q
Consideriamo una lastra di spessore s = ()/4 in regime stazionario:
kTT
dx
dTk
TTTT
dx
dT
dx
Td
4q
4
s 0
01x
0110
2
2
valida anche per x = 0. Nel caso del regime transitorio, ricordando che t 4=
kTT
t
kTT
4q
01010x
la situazione è analoga, ma questa volta = f (t) e quindi lo spessore della lastra aumenta
costantemente con t½.
Se si considera una lastra di spessore finito 2s in regime transitorio, finché = 4(t) è
piccolo rispetto a 2s, si può ancora usare la soluzione trovata per il semispazio, mentre quando
comincia ad essere più grande (cioè a tempi più lunghi), è necessario risolvere l’equazione
appropriata, il che è abbastanza complicato.
71
IRRAGGIAMENTO
I casi di trasporto di calore esaminati finora, riguardavano il trasporto per conduzione, salvo
il coinvolgimento della trasmissione, che, come è stato spiegato, è un processo complesso. Sia la
conduzione che la convezione presuppongono l’esistenza di un mezzo materiale. Esiste però un
modo di propagazione del calore che prescinde dall’esistenza di un mezzo materiale, come del resto
testimonia l’esperienza quotidiana del riscaldamento solare, che attraversa milioni di Km di vuoto.
Tale fenomeno prende il nome di irraggiamento ed è caratterizzato dall’emissione di
radiazioni elettromagnetiche che si propagano in tutte le direzioni trasportando energia fotonica. Si
capisce subito quindi che la velocità di propagazione è quella della luce (ca. 3•105 Km s-1), cioè di
gran lunga superiore alle velocità dei processi di conduzione o convettivi; peraltro si constaterà che
il flusso di calore dipende dalla quarta potenza della temperatura della sorgente e del ricevente.
A T > 0 K tutti i corpi emettono
energia sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche. Ricordiamo che una
radiazione elettromagnetica è
caratterizzata dalla frequenza , che la
determina (cioè la definisce), dalla
velocità di propagazione c, che non
dipende dalla frequenza ma dipende
dal mezzo (è massima nel vuoto, pari a
ca. 3•105 Km s-1), dalla lunghezza
d’onda che, come c dipende dal
mezzo ( = c/). L’energia di una
radiazione elettromagnetica è pari a
= h, dove h è la costante di Plank
(h = 6.6262•10-34 J s), che rappresenta
l’energia di un fotone, cioè una sorta di
corpuscolo (privo di carica e di massa,
quindi un quanto di energia) di cui è
formata la radiazione, la cui intensità è
data appunto dal numero di fotoni per
unità di superficie e di tempo. La
frequenza delle radiazioni emesse da
un corpo, dipende essenzialmente dalla
temperatura; a temperature basse
(qualche centinaio di °C) si hanno frequenze basse, nel campo delle onde radio e delle microonde
(zona dell’infrarosso), mentre a temperature più elevate (qualche migliaio di °C) si arriva alle
frequenze più elevate del visibile e dell’ultravioletto (il cosiddetto calore bianco); la superficie
solare a T 5500 °C emette la radiazione solare (IR, V, UV).
Le relazioni ed interazioni tra materia e radiazioni elettromagnetiche sono spiegate dalla
meccanica quantistica e sono legate alla possibilità della materia di trovarsi in diversi stati
energetici: il passaggio da uno stato energetico più alto ad uno più basso è accompagnato dalla
cessione della differenza di energia con emissione di una radiazione elettromagnetica di frequenza
tale che l’energia del fotone sia pari a quella ceduta dalla particella che subisce il salto energetico. Il
passaggio da uno stato energetico più basso ad uno più alto richiede l’acquisto dell’energia
necessaria e quindi l’assorbimento di una radiazione di frequenza adeguata.
La presenza di una radiazione nello spazio equivale alla presenza di energia, per la presenza
del campo elettrico e del campo magnetico, che caratterizzano la radiazione (o le radiazioni, se ce
72
n’è più di una). Si definisce la densità di energia u, la quantità di energia per unità di volume,
mentre l’intensità di una radiazione I è il flusso di energia che attraversa una sezione ortogonale
alla direzione di propagazione della radiazione stessa. Risulta quindi I = uc, ma l’intensità di una
radiazione può essere vista anche come il flusso di fotoni, cioè il numero di fotoni che attraversa
una superficie unitaria (sempre ortogonale alla direzione di propagazione della radiazione)
nell’unità di tempo.
Quando una radiazione incide su una superficie può venire riflessa, assorbita, trasmessa (se
il corpo è trasparente). Se si ha a che fare con un corpo opaco, si ha solo riflessione e assorbimento.
Per quanto riguarda l’assorbimento, la frazione di radiazione assorbita definisce il coefficiente di
assorbimento a = qa/qi, dove q rappresenta il flusso di energia (energia per unità di superficie e di
tempo), cioè l’intensità totale della radiazione in questione. In particolare qa è il flusso che viene
assorbito, mentre qi è il flusso incidente. Naturalmente il fenomeno dipende dalla frequenza della
radiazione per cui conviene definire il coefficiente di assorbimento specifico per una data frequenza
a = (qa)/(qi), anche se storicamente fu definito in funzione di , per cui a = (qa)/(qi). Ne
consegue che
0 aa d . In effetti, agli inizi si riteneva che una radiazione elettromagnetica fosse
caratterizzata dalla sua lunghezza d’onda, per cui lo sviluppo delle conoscenze e delle equazioni
matematiche è stato impostato in riferimento alla lunghezza d’onda , finché non fu scoperto che, in
realtà la caratteristica vera di una radiazione è la sua frequenza , che è immutabile, mentre
dipende da c, cioè dal mezzo in qui la radiazione si propaga.
Per un corpo reale a < 1 e fortemente dipendente dalla temperatura e da . Un corpo per il
quale a sia indipendente da T e da si definisce corpo grigio e, nel caso limite in cui a = 1 per
tutte le frequenze e a tutte le temperature, si ha il cosiddetto corpo nero (trappola delle radiazioni
elettromagnetiche).
Se consideriamo l’emissione di radiazioni, si può definire il potere emissivo specifico ,
che rappresenta l’energia emessa per unità di superficie e unità di tempo (qe) nell’intervallo
÷+d. Il potere emissivo totale (o integrale) qe = , è la quantità di energia emessa, sempre per
unità di superficie e nell’unità di tempo, per tutto il campo di lunghezze d’onda. Una grandezza che
viene utilizzata per caratterizzare un corpo che emette radiazioni, è l’emissività e, che è il rapporto
tra l’energia emessa da un corpo di superficie unitaria nell’unità di tempo, cioè il suo potere
emissivo totale qe, e l’energia emessa da un corpo nero, sempre di superficie unitaria nell’unità di
tempo, qn: e = qe/qn = /n, per cui è una grandezza adimensionale. Naturalmente anche l’emissività
tiene conto delle diverse , per cui si può riferire ad una determinata frequenza attraverso
e = /n,. L’emissione del corpo nero n, rappresenta il limite di emissione di una superficie non
fluorescente, cioè n, 1 per tutti i corpi reali. n, è indipendente da e da T per un corpo
grigio, mentre vale, ovviamente, 1 per il corpo nero.
Esiste una relazione ben definita tra il potere emissivo specifico ed il coefficiente di
assorbimento specifico, nota come Legge di Kirchoff: il rapporto /a è una funzione universale di
e di T, F(,T), che vale per tutti i corpi e quindi anche per il corpo nero. Ma per il corpo nero a =
1, per cui /a = n,. Ne consegue che l’emissività specifica e = /n, = a, risulta uguale al
coefficiente di assorbimento specifico. In modo del tutto analogo si arriva quindi a ricavare che è
anche e = a, l’emissività di un corpo è uguale al suo coefficiente di assorbimento.
La legge di Kirchoff dà un’indicazione di enorme rilevanza (che non è di immediata
intuizione): un buon emettitore è anche un buon assorbitore. Il migliore emettitore, che è
naturalmente anche il migliore assorbitore, è il corpo nero. Non si deve confondere l’emissione con
la riflessione: la prima è energia (radiazione) emessa dal corpo per il fatto che si trova a T > 0 K,
mentre la seconda è legata alla capacità di riflettere radiazioni che provengono da altri corpi. La
tabella seguente fornisce alcuni valori di emissività di materiali in diverse condizioni:
73
Materiale T (K) e T (K) e
Alluminio lucidato 500 0.039 850 0.057
Rame lucidato 350 0.02
Rame ossidato 470 0.57
Ferro lucidato 450 0.052 500 0.064
Ferro ossidato 290 0.685
Cromo 320 0.08 830 0.26
Tungsteno 300 0.03 3500 0.35
Amianto 310 0.93
Nerofumo 310 0.945
Acqua 273 0.95 373 0.963
Si può osservare che i metalli con superficie lucida (speculare) sono pessimi emettitori e,
quindi, anche pessimi assorbitori (mentre sono in grado di dare ottima riflessione). Viceversa i
metalli ossidati, con superficie rugosa e più scura, sono buoni emettitori e assorbitori. Un secondo
aspetto che va sottolineato è l’effetto della temperatura: l’aumento di T provoca un aumento di e.
Infine si possono osservare i valori molto elevati di e per il nerofumo (che si avvicina abbastanza ad
un corpo nero), ma anche per l’amianto, che non è scuro, come pure per l’acqua che è incolore.
Un ulteriore aspetto che deriva dalla legge di Kirchoff è che tutte le radiazioni emesse da un
corpo vengono anche assorbite, ma non vale il viceversa, cioè ci possono essere radiazioni che
vengono assorbite che non vengono emesse. In altri termini la legge di Kirchoff vale per
l’emissività, ma non per il coefficiente di assorbimento.
Consideriamo la radiazione all’interno di una
cavità, di intensità qcav: è chiaro che se la superficie
della cavità è isoterma e siamo in condizioni di
equilibrio, non si ha scambio di energia attraverso
l’interfaccia solido-cavità, cioè tra la cavità e la parete.
Inoltre si dimostra facilmente
che l’intensità della radiazione
non dipende dal tipo di
materiale. Consideriamo infatti
due cavità di materiale diverso
M1 ed M2, collegate tra di loro
e che si trovino alla stessa
temperatura T. E’ evidente che le radiazioni nelle due cavità devono essere uguali, altrimenti si
avrebbe un flusso netto di energia da una cavità all’altra a T = 0, in violazione del II Principio
della Termodinamica (nell’enunciato di Kelvin-Plank è infatti proibito avere un ciclo monotermo).
Allora, all’interno di una cavità si ha una radiazione di cavità di intensità qcav indipendente dalla
natura delle pareti, ma dipendente solo da T.
Se all’interno della cavità si pone un corpo nero, alla
stessa temperatura, è evidente che, non essendoci flusso
di energia, dovrà essere qcav = qn, cioè la radiazione di
cavità è pari all’emissione del corpo nero a quella
temperatura (radiazione termica del corpo nero). Se
all’interno della cavità si trova un corpo qualsiasi, in
condizioni di equilibrio non dovrà esserci scambio di
energia neanche in questo caso, per cui l’energia
assorbita dal corpo dovrà essere uguale a quella emessa
T
(qcav)1 = (qcav)2
T T T = 0 (ciclo monotermo)
flusso di energia nullo
M1 M2
corpo nero
corpo generico
74
dallo stesso, qa = qe, ma la radiazione incidente è qi = qcav = qn per cui qa = aqcav. D’altra parte
qe = eqn = eqcav, per cui si ricava che deve essere a = e, che è la Legge di Kirchhoff: ad una certa
temperatura l’emissività e l’assorbimento di una superficie solida in condizioni di equilibrio sono
uguali.
Sperimentalmente si può realizzare un corpo nero, o meglio, approssimare un corpo nero se
si prende una cavità e vi si applica un piccolo foro: la superficie del foro rappresenta un’ottima
approssimazione del corpo nero. Infatti si ha la seguente relazione per la emissività del foro ef:
)ef(1+e
e=e
pp
p
f
dove ep è l’emissività della
superficie della cavità ed f è la
frazione della superficie della cavità
occupata dal foro. E’ evidente che se
ep = 1, anche ef = 1 (abbiamo cioè il corpo nero vero e proprio), ma anche quando f è molto piccolo
ef tende a 1, anche se ep < 1. Consideriamo infatti un caso in cui ep = 0.8 ed f = 0.001, si ottiene
ef = 0.99975, cioè si ha una emissività uguale a quella del corpo nero entro l’1‰, anzi entro il 3‰o:
il 99.975% della radiazione che colpisce il foro viene assorbita, l’emissività del foro è pari al
99.975% di quella del corpo nero.
Le conoscenze sperimentali relative
all’irraggiamento sono le seguenti: un corpo
caldo è sorgente di radiazioni elettromagnetiche;
la dipendenza del colore dell’emettitore dalla
temperatura (scuro, calor rosso, calor bianco-
incandescente, superficie solare); la
distribuzione delle intensità delle radiazioni è
f(,T) con un andamento a massimo, come
mostra la figura a fianco.
Per la radiazione termica vale la Legge
dello spostamento di Wien o Prima legge di
Wien (1894):
max•T = cost = 2.8978•10–3 m K
da cui si ricava ad esempio la temperatura della
superficie solare (per la luce solare il massimo si
ha a 0.504 m) T = 2.8978•10–3/(0.504•10–6) =
5750 K.
La Seconda Legge di Wien dà il valore
del massimo, cioè il valore dell’intensità della radiazione con max, n,max = aT5, con a = 1.287•10–5
Jm–3K–5. Inoltre si conosce la Legge di Stefan-Boltzmann sulla quantità totale di energia emessa da
un corpo nero:
qn = T4
con la costante di Stefan = 5.6705•10–8 J m–2 K–4 s–1, indipendente dal materiale, com’è ovvio.
Tali fatti hanno avuto diversi tentativi di interpretazione: l’ipotesi classica di Rayleigh per
cui il campo elettromagnetico è frutto di un insieme di oscillatori, ciascuno con una propria
frequenza e l’emissione di una certa radiazione di particolare frequenza è dovuta alla eccitazione
di un particolare oscillatore, caratterizzato da quella frequenza di oscillazione, mentre l’intensità
della radiazione emessa dipende dalla ampiezza della oscillazione, indipendentemente da .
L’energia media di un oscillatore in equilibrio ad una certa T, vale T ( = costante di Boltzmann =
1.38066•10-23 J K-1), ottenibile come media dell’energia corrispondente a ciascuna oscillazione
ep = emissività della parete
della cavità
cavità foro ef = emissività del foro
f = frazione di superficie della
cavità occupata dal foro
75
(funzione dell’ampiezza dell’oscillazione), per la probabilità di possedere quell’energia (legge di
distribuzione di Maxwell-Boltzmann); allora l’energia di una radiazione nell’intervallo ÷+d
vale dN()•T, dove dN() rappresenta il numero di oscillatori caratterizzati da tale lunghezza
d’onda, aventi ciascuno l’energia media T. Ciò significa che tutti gli oscillatori vengono stimolati
ad una certa T e che la distribuzione delle intensità in funzione di , dipende dal numero di
oscillazioni permesse nell’intervallo ÷+d, ricavando:
dT
d
TTc
,
,
0 4
0 nn
3
4
4n
c2
c
22
nota come formula di Rayleigh-Jeans. Come si vede, si tratta di una funzione monotona in cui
l’energia aumenta all’aumentare di , il che significa che l’energia totale emessa (calcolabile come
integrale per 0÷∞) è infinita, il che è ovviamente un assurdo, noto come catastrofe ultravioletta.
Il problema della catastrofe ultravioletta è stato superato da Planck (1900) con
l’introduzione dell’ipotesi della quantizzazione dell’energia: ogni oscillatore non può acquisire
energia con continuità, con incrementi arbitrariamente piccoli (aumentando di una quantità
corrispondentemente piccola l’ampiezza dell’oscillazione), ma solo per quantità discrete dette
quanti. Il valore di un quanto dipende dalla frequenza dell’oscillatore:
= h h = costante di Planck = 6.626•10–34 J s
ciò significa che ciascun oscillatore si eccita (quindi assorbe) solo se riesce ad assorbire almeno una
energia pari ad h o un suo multiplo intero. L’introduzione della quantizzazione dell’energia
cambia notevolmente la situazione; infatti, nel calcolare l’energia media di un oscillatore non si
potrà più fare l’integrale dell’energia w dell’oscillatore, variabile con continuità tra 0 e ∞, ma si
dovrà sommare l’energia di tutte le possibili oscillazioni che avranno cioè energia pari a nh, per n
intero variabile tra 0 e ∞. Si trova così che l’energia media di un oscillatore wm vale:
T
chexp
T
chexp
hc
T
chexp
hcc
T
chexp
ch
T
hexp
h
,
1
21
2w
2
11
w
5
21
5
2
m4n
m
oppure, ricordando che n, = (22c2)wm, essendo n, = n,(c/2), dato che l’intervallo d è legato
all’intervallo –d proprio da –d/d = (c/2),
T
hexp
T
hexp
c
h
cc,,
1
2w
22
3
m2
22
nn
che sono note come Legge di Planck.
76
La Legge di Planck è in ottimo accordo con i dati sperimentali: la funzione è una funzione a
massimo; per = 0 tende a zero superando quindi il problema della catastrofe ultravioletta. Il valore
della costante di Planck è stato determinato proprio dalle esperienze di emissione del corpo nero. E’
abbastanza evidente che quando h/T è molto piccolo (bassissime frequenze), si può espandere in
serie l’esponenziale limitandosi al termine di primo grado e si ottiene wm = T, cioè l’espressione di
Rayleigh-Jeans, il che significa che quando il quanto è molto piccolo rispetto all’energia media
dell’oscillatore, si può ammettere che l’energia vari con continuità.
Nella Figura a fianco si vede
l’andamento del flusso di
energia emesso, in funzione
della lunghezza d’onda,
secondo la legge di Planck,
rispettivamente per un corpo
nero, per un corpo grigio (com
e = 1/3) e di un corpo reale.
Dalla Legge di Planck si
possono ricavare le leggi di
Stefan-Boltzmann e di Wien,
ricavando in particolare la
costante di Stefan:
= (254)/(15c2h3)
Vale la pena peraltro di
sottolineare che la trattazione
di Planck dell’emissione del corpo nero non è rigorosa, infatti si utilizza la legge di distribuzione di
Boltzmann per gli stati energetici dell’oscillatore, che è una legge classica, cioè valida per la
situazione di continuità della energia, mentre nel contempo si introduce il concetto di
quantizzazione della stessa. Peraltro la trattazione rigorosa, utilizzando la legge di distribuzione
adeguata, porta allo stesso risultato.
TRASMISSIONE DI ENERGIA PER IRRAGGIAMENTO
Consideriamo un corpo all’interno di una
cavità. In condizioni di equilibrio abbiamo visto che
l’energia emessa dal corpo deve essere uguale a quella
assorbita dallo stesso. Se la temperatura del corpo Tc è
diversa dalla temperatura della superficie della cavità
Ts, avremo che qe = eTc4, mentre qa = aTs
4, essendo
Ts4 la radiazione di cavità, cioè l’emissione della
cavità. Ricordando che e = a risulterà:
qe – qa = e (Tc4 – Ts
4)
finché, all’equilibrio, Tc = Ts, mentre è chiaro che se ci fosse solo emissione, il corpo si
raffredderebbe fino a raggiungere T = 0 K. Questo risultato molto semplice (nel caso che il corpo
fosse nero e = 1) è legato al fatto che tutta la superficie del corpo è coinvolta nei processi di
emissione e di assorbimento; in altri termini, tutta la superficie del corpo interno vede tutta la
superficie della cavità e viceversa. Un risultato analogo si ottiene se si considerano due lastre
parallele dello stesso materiale, ad esempio tra due lastre di un corpo nero a diversa temperatura nel
vuoto, l’energia assorbita da una lastra è uguale a quella emessa dall’altra.
Tc Ts
77
In generale lo scambio termico per irraggiamento tra due corpi qualsiasi non coinvolge le
intere superfici degli stessi, ma solo quelle porzioni che si “vedono”. Infatti, se consideriamo
superfici di corpi neri con orientazione qualsiasi, avremo che l’energia emessa da una superficie 1,
per unità di superficie, unità di tempo e unità di angolo solido lungo una direzione h che formi un
angolo con la normale alla superficie, vale:
qh = (qn/)cos = (T4/)cos
nota come Legge di Lambert.
Ora, se consideriamo un
elemento di superficie dA1 ed un
elemento di superficie dA2 di due
corpi neri, a distanza r12, e siano 1 e
2 gli angoli delle rispettive normali
con la direttrice 1-2, si ricava che
l’energia dQ12 emessa da dA1,
nell’unità di tempo, che colpisce dA2
e quella dQ21 emessa da dA2,
nell’unità di tempo, che colpisce dA1
valgono:
212
12
21
4
221
212
12
21
4
112
dAdAr
coscosTQd
dAdAr
coscosTQd
per cui, trattandosi di corpi neri,
il bilancio sulla superficie 1, cioè
l’energia netta trasmessa dal
corpo 1 al corpo 2, sarà:
4
2
4
1212
4
2
4
1121
212
12
214
2
4
112
FAFA TTTT
dAdAr
coscosTTQ
dove F12 e F21 sono detti fattori di vista:
212
12
21
221
212
12
21
112
A
1F
A
1F
dAdAr
coscos
dAdAr
coscos
rispettivamente della superficie 1 rispetto alla 2 e della superficie 2 rispetto alla 1.
Il calcolo dei fattori di vista o fattori d’angolo è piuttosto complesso, salvo che non si
78
abbiano sistemi geometricamente semplici, per cui si ricorre spesso a diagrammi teorici, calcolati
per sistemi diversi. Chiaramente F12 vale 1 se tutta la superficie di 1 è vista da 2 e viceversa per F21.
Non deve sfuggire il fatto che per arrivare alle espressioni su riportate, si sono utilizzate la
Legge di Lambert e quella di Stefan-Boltzmann, che valgono in condizioni di equilibrio,
applicandole ad una situazione di non equilibrio. Si tratta però di una approssimazione largamente
accettabile (anche perché i risultati sono buoni, mentre non sono stati ben definiti gli errori che si
commettono).
Naturalmente i processi reali di trasferimento di energia termica per irraggiamento
coinvolgono corpi non neri. In questo caso si dovrà tener conto della rispettiva emissività e del
coefficiente di assorbimento. Consideriamo il caso semplice in cui i fattori di vista siano unitari (un
corpo convesso interno ad un contenitore, due sfere concentriche, due cilindri coassiali di lunghezza
infinita, due lastre piane parallele di dimensione infinita) e siano T1, A1, e1, a1 le caratteristiche del
corpo 1 e T2, A2, e2, a2 quelle del corpo 2.
La portata di energia emessa dal corpo 1 verso il corpo 2 sarà:
Q12 = e1A1T14
mentre la portata di energia assorbita dal corpo 1che è emessa dal corpo 2 sarà:
Q21 = a1A1T24
Se il corpo 2 è un corpo nero (emissione q2 = T24), come potrebbe essere il caso del
contenitore molto grande rispetto al corpo 1. Allora la portata netta di energia trasferita per
irraggiamento dal corpo 1 all’ambiente, cioè al corpo 2, sarà:
Q12 = e1A1(T14 T2
4)
Nel caso in cui il
corpo 2 non possa essere
considerato nero (almeno
rispetto a 1), si deve tener
conto del fatto che una
parte della radiazione
emessa da 1 che colpisce 2,
non viene assorbita, ma
riflessa e quindi ritorna su
1 (abbiamo ammesso che i
fattori di vista siano
unitari). Allora avremo una
serie infinita di riflessioni e
controriflessioni tra le due
pareti. Sia q1 = e1T14
l’energia emessa dalla
superficie 1 per unità di superficie e nell’unità di tempo. Di questa ne verrà assorbita una frazione
a2q1 dalla superficie 2, ma dovrà essere a2q1 = e2q1, essendo a = e per una data superficie; allora
verrà riflessa una quantità di energia pari q1(1 e2) che colpirà la superficie 1. Di questa ne verrà
assorbita dalla superficie 1 la frazione e1, mentre verrà riflessa la frazione (1 e1) verso la
superficie 2, e così via.
Allora l’energia emessa da 1 e assorbita complessivamente da 2 vale:
q12 = q1e2 + q1(1 e1)(1 e2)e2 + q1(1 e1)2(1 e2)
2e2 + •••=
= e1e2T14•[1 + (1 e1)(1 e2) + (1 e1)(1 e2) + •••]
cioè una serie geometrica di ragione p = (1 e1)(1 e2), che per 0 < p < 1, come nel nostro caso,
assorbito da 1 T1 raggio emesso T2 assorbito da 2
q1=e1T14 e1e2T1
4
e1(1e2)T14
e12(1e2)T1
4
e1(1e1)(1e2)T14 e1e2(1e1)(1e2)T1
4
e1(1e1)(1e2)2T1
4
e12(1e1)(1e2)
2T1
4
79
converge al valore 1/(1 p); allora:
1e
1
e
1e+e+ee11
ee
)e)(1e(11
eeq
21
4
1
2121
21
4
1
21
21
4
112
TTT
analogamente l’energia emessa da 2 e assorbita complessivamente da 1 vale:
1e
1
e
1q
21
4
221
T
pertanto l’energia trasmessa da 1 a 2 vale:
12
4
2
4
1
21
4
2
4
112
)(
1e
1
e
1
)(
TTATTAQ
se 2 è una parete nera si ricava Q12 = e1A(T14 T2
4), caso del corpo in un grande contenitore; se
entrambe le pareti sono nere si ricava Q12 = A(T14 T2
4), caso dei due corpi neri (o corpo nero in
una cavità).
Vale la pena di sottolineare che la velocità di trasferimento di energia termica per
irraggiamento, dipende dalla differenza della quarta potenza delle temperature, indipendentemente
dalla distanza, cioè non dipende dal gradiente della temperatura, dato che l’assenza di materia non
consente di avere temperature intermedie tra le due superfici.
Un aspetto interessante è costituito dalla presenza di uno schermo tra le due superfici, cioè
di una lastra sottile a temperatura omogenea (lastra metallica conduttrice). Tale lastra assumerà una
temperatura T3, intermedia tra T1 e T2 che sono le temperature delle due superfici. La superficie 1
trasferirà allo schermo un’energia pari a:
13
4
3
4
1
31
4
3
4
113
)(A
1e
1
e
1
)(A
TTTTQ T1 T3 T2
analogamente lo schermo trasferirà alla superficie 2
una energia pari a:
32
4
2
4
3
23
4
2
4
332
)(A
1e
1
e
1
)(A
TTTTQ
in condizioni di stato stazionario (quindi quando T3
ha assunto un valore stabile nel tempo) sarà Q13 = Q32
e quindi:
32
4
2
4
3
13
4
3
4
1 )()(
TTTT
da cui si ricava T3, temperatura assunta dallo schermo:
80
3213
4
213
4
1324
3
TTT
per cui, quando e1 = e2 si ha che T34 = (T1
4 + T24)/2. Dal valore di T3
4 si ricava facilmente l’energia
trasmessa dalla superficie 1 allo schermo:
3213
4
2
4
1
3213
4
213
4
132
4
113
4
132
1313
TTA
TTTTAQ
che è esattamente la stessa energia trasmessa dallo schermo alla superficie 2. Si nota subito che
Q13 < Q12, cioè l’energia trasmessa in presenza dello schermo è inferiore a quella trasmessa senza lo
stesso (infatti basta ricordare che è sempre 1 < < 2 e quindi la somma di due maggiore di un ).
Il rapporto tra l’energia trasmessa in presenza e quella in assenza dello schermo vale:
12
1
11
1
3e1
2e1
1e1
2e1
1e1
2e1
3e1
3e1
1e1
2e1
1e1
3213
12
12
13
Q
Q
L’effetto schermante dipende esclusivamente dalla emissività dello schermo, ma non
dipende dalla sua posizione (salvo problemi di fattore di vista). Nel caso in cui le emissività fossero
tutte e tre uguali si ricaverebbe q13/q12 = 0.5, cioè si avrebbe il dimezzamento dell’energia
trasmessa. Infine è chiaro che la presenza di schermi multipli rende ancora più efficiente l’effetto
schermante.