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CORSO DI COUNSELING AD INDIRIZZO NATUROPATICO UN CAMMINO VERSO IL COUNSELING FABRIZIO GIULIO TONOLO

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CORSO DI COUNSELING AD INDIRIZZO

NATUROPATICO

UN CAMMINO VERSO IL

COUNSELING

FABRIZIO GIULIO TONOLO

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INDICE

INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 5

LA SALUTE ...................................................................................................................................... 7

UN CAMMINO ........................................................................................................................... 7

SALUTE E BEN-ESSERE ............................................................................................................. 13

LE CINQUE REGOLE ..................................................................................................................... 17

ALIMENTAZIONE...................................................................................................................... 17

ESERCIZIO ................................................................................................................................ 21

ARIA (NATURA) ........................................................................................................................ 23

MODERAZIONE ........................................................................................................................ 24

PADRONANZA ......................................................................................................................... 25

GLI AMBITI ................................................................................................................................... 26

MENTE E CORPO...................................................................................................................... 26

INTELLETTO (INTERESSI) .......................................................................................................... 27

LAVORO E FINANZA ................................................................................................................. 29

RELAZIONI................................................................................................................................ 30

AMBIENTE ............................................................................................................................... 31

IL COUNSELING ............................................................................................................................ 33

QUALE DEFINIZIONE? .............................................................................................................. 33

ROLLO MAY ............................................................................................................................. 36

LA LIBERTA’ .......................................................................................................................... 36

L’INDIVIDUALITA’................................................................................................................. 36

INTEGRAZIONE SOCIALE ...................................................................................................... 37

LA TENSIONE SPIRITUALE .................................................................................................... 38

IL COUNSELING E LO SPORT ........................................................................................................ 39

RUOLO DEL COUNSELOR NELLO SPORT .................................................................................. 41

COUNSELOR E COACH? ........................................................................................................... 43

CONCLUSIONI .............................................................................................................................. 44

RINGRAZIAMENTI ........................................................................................................................ 46

BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................. 47

SITOGRAFIA ................................................................................................................................. 47

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“Tutti coloro che hanno vissuto ai massimi livelli di salute e benessere

hanno trovato in sé stessi le risposte ai problemi della vita.

Hanno rinunciato a guardare al di fuori di sé,

a incolpare gli altri delle loro condizioni e a cercare elisir magici di guarigione”

Wayne Dyer

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“Non esistono due viaggi uguali che affrontano il medesimo cammino”

Aleph, (Paulo Coelho)

INTRODUZIONE

L’obiettivo di questo mio saggio è quello di diventare la “summa” delle mie esperienze

nell’ambito della ricerca del benessere e nel contempo di tracciare quello che è stato ed

è il mio personale percorso.

Ideologicamente nasce come uno “zibaldone” di leopardiana memoria, un diario che

non ha un inizio ed una fine, ma che si pone come fine quello di essere continuamente

rivisto, modificato ed ampliato in base alle nuove esperienze ed al mutare delle stesse.

L’intento è quello di ripercorrere la modalità lavorativa usata da Walt Whitman nel suo

“Foglie d’erba”: ovvero creare un’opera viva, in continua evoluzione, che cresce col

crescere delle esperienze personali e della necessità di riportarle in forma scritta..

Molto probabilmente chi leggerà quanto sto scrivendo si troverà di fronte

all’esposizione di concetti che possono sembrare elementari, alla definizione di teorie

ovvie e conosciute o ad un semplice esercizio di messa in bella di appunti e di

esperienze personali.

Quello che mi preme è raccontare l’evoluzione della mia ricerca affinché possa essere

d’aiuto o da traccia a me per riordinare quanto fin qui letto, studiato e vissuto spesso in

modo disordinato e talvolta non in modo cosciente, ma soprattutto a tutte quelle

persone che sono spinte dalla stessa curiosità e da quel fuoco interiore che porta a

cercare, a capire, a studiare per migliorare se stessi e la vita di relazione.

Inizierò il prossimo capitolo con un breve racconto di quello che è stato il mio percorso

personale che mi ha condotto sino alla stesura di queste pagine.

Affronterò il tema dello sport, ed in modo particolare della corsa di resistenza e di come

mi abbia aiutato a comprendere la relazione esistente tra il nostro corpo e la nostra

mente e soprattutto come le due entità siano tra di loro inscindibili.

Tratterò quindi il tema della “salute”, concentrandomi in modo particolare su quella che

per me è la definizione di “ben-essere” arrivando ad affrontare il caldo tema delle

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“medicine alternative” e della naturopatia cercando di darne un’interpretazione

filosofica.

Il “ben-essere” diventerà quindi il tema portante e centrale di questo saggio,

proponendosi come nuovo paradigma per rileggere e reindirizzare tutte le esperienze fin

qui fatte.

Mi soffermerò subito dopo sul counseling e sul fondamentale concetto di empatia,

cercando di darne due visioni: la prima per un uso quotidiano, legato alle diverse

relazioni che intratteniamo nella vita di tutti i giorni, la seconda in prospettiva come

attività professionale. Questa parte sarà fondamentalmente basata sul libro di Rollo

May.

Tenterò infine di dare una mia personale interpretazione all’utilizzo del counseling in

ambito sportivo. Conoscendo abbastanza bene il mondo dello sport dall’interno, in

modo particolare della mentalità dell’atleta e soprattutto dell’atleta amatore ed avendo

appreso i primi rudimenti del counseling, credo che l’utilizzo di quest’ultimo possa

trovare ampi spazi di applicazione.

Un’ultima annotazione per quel che riguarda il titolo di questo saggio. Volevo che ci

fosse la parola “counseling” perché è il mio attuale punto di arrivo, ma nello stesso

tempo mi premeva che venisse rappresentato il concetto di movimento, di evoluzione.

Ho aggiunto quindi la parola cammino, perché l’obiettivo è importante, ma quello che

veramente conta è il percorso, la ricerca ed ognuno si costruisce il suo cammino che

sarà sempre unico.

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“La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente.”

(Arthur Schopenhauer)

LA SALUTE

UN CAMMINO

Come molte delle persone che si sono avvicinate alla naturopatia anche io l’ho fatto

perché insoddisfatto dall’approccio allopatico della medicina occidentale.

Il mio stesso percorso è partito da un assioma che ho poi scoperto essere errato: quello

del concetto di malattia e della relativa cura.

Ho sempre avuto un forte desiderio di aiutare gli altri, di far star “meglio” le persone

che mi stanno intorno ed anche le mie esperienze di animazione in età giovanile

avevano questo atteggiamento come valore di fondo. Diciamo col senno di poi che

stavo sviluppando quell’atteggiamento di incontro e ascolto degli altri che avrei poi

scoperto essere propedeutico all’empatia, tema di cui parlerò approfonditamente in

seguito.

Sin da giovane ho sempre praticato attività sportiva (tennis, calcio, atletica), ma è

intorno ai 25 anni che ho incontrato la corsa, un amore che si è rivelato soprattutto

scuola di vita e di conoscenza personale.

Iniziare ad allenarmi seriamente, con tanto di tabelle e relativi programmi, si è

dimostrato non solamente importante per la mia forma fisica, ma più di ogni altra cosa

si è rivelato un percorso di crescita personale.

La corsa è immediatamente diventata un filo conduttore della mia vita.

Mi ha insegnato cos’è la fatica, cosa vuol dire programmare un obiettivo, il valore del

sacrificio, quanto lo stesso sia premiante, ma mi ha anche insegnato a gestire la

sconfitta, a sopportare la crisi, a trovare dentro di me forze ed energia che non sapevo

potessero esserci.

L’esperienza fatta gareggiando inevitabilmente la porti nella vita di tutti i giorni, impari

a riconoscere e confrontare il tipo di dolore che provi, a sopportare quando ti sembra di

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non potercela fare, a ripartire quando cadi e questo ti aiuta a diventare una persona

migliore.

La corsa soprattutto mi ha fatto capire che la mente ed il corpo non sono due cose

distinte come ci viene insegnato dalla nostra società, ma che sono fortemente

interconnessi l’un con l’altra. A volte il fisico era in splendida forma, ma la testa non

“funzionava” ed i risultati erano mediocri, altre volte la mente era in uno stato di grazia,

ma le gambe proprio non giravano.

Ricordo con grande piacere una gara in cui ho avuto l’esatta sensazione di cosa vuol

dire la sintonia tra mente e corpo. Quel giorno correvo veramente in stato di grazia,

assaporavo ogni momento della mia fatica che aveva un sapore piacevole; dalla punta

della mia testa alle dita dei piedi vi era un’unica vibrazione, in quel momento ero io la

corsa, ero io la fatica, ero io il piacere.

La corsa però, fatta a certi livelli comporta anche uno stress a livello fisico e così

imparai a conoscere anche gli infortuni. Spesso sono contratture e dal tentativo di

superare questi inconvenienti è iniziato il mio percorso “naturopatico”.

Le prime volte il processo era il seguente: medico, radiologo, massofisioterapista ed il

problema veniva risolto con massaggi ed un po’ di riposo.

Iniziai così a comprendere le mie gambe ed in modo particolare i miei polpacci

massaggiandoli; scoprii che le mie mani correvano da sole a cercare “nodi” muscolari, a

tentare di scioglierli, a riconoscere, chiudendo gli occhi, i diversi “mali” che

provocavano le pressioni costanti in punti diversi del muscolo.

Pian piano riuscivo a risolvere da solo i problemi meno gravi.

Poi incominciai ad accorgermi che gli infortuni mi capitavano spesso in periodi precisi

dell’anno: in inverno quando per il freddo non avevo molta voglia di correre, ma io mi

ostinavo ottusamente a seguire le tabelle programmate od in periodi di alto stress

emotivo dovuto a problemi familiari o lavorativi.

Si presentava nuovamente la dicotomia mente-corpo. Saggiamente iniziai a correre più a

“sensazione”, ascoltando la testa e soprattutto i segnali che arrivavano dal mio fisico ed

i risultati si videro presto: meno infortuni ed addirittura miglioramento delle prestazioni.

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Incominciai così ad interessarmi, da autodidatta, alla ricerca di metodi di cura

alternativi, naturali.

Studiai dapprima le tecniche di massaggio, prima sui manuali che trovavo in libreria,

poi con qualche corso di breve durata ed infine confrontandomi con amici fisioterapisti

e massaggiatori.

Per fare pratica iniziai a coinvolgere come “volontari” i familiari, poi gli amici ed infine

gli amici degli amici. I risultati spesso erano ottimi e sorprendevano anche me, quello

che maggiormente mi stupiva era constatare come dal primo approccio che avevo con

un “cliente” intuivo immediatamente l’effetto che avrebbe avuto il mio massaggio.

Dalla “relazione” che si instaurava dopo pochi tocchi ero in grado di capire l’utilità o

meno di quello che stavo facendo: immediatamente percepivo dal corpo della persona,

tramite le mie mani, la fiducia che essa aveva in me, il senso di abbandono, in modo

specifico se si attivava o meno un meccanismo di “trasmissione” che ancora adesso non

saprei bene come definire, ma che sicuramente era bidirezionale.

Questa percezione di dare e ricevere mi fece capire che il massaggio di per se era solo

una tecnica o meglio che non era “solo” il massaggio a funzionare, ma che c’era

qualcosa d’altro, qualcosa del rapporto operatore/cliente, del dare e ricevere che

funzionava forse ancora di più della tecnica stessa.

Se quel qualcosa in più ora ha per me una spiegazione (spero che al termine di questo

saggio possa essere chiara anche a chi legge) all’epoca mi portò alla ricerca di qualche

tecnica che fosse la panacea a tutti i problemi, anzi cercavo proprio la “tecnica” da

apprendere che portasse in se la soluzione ai mali del corpo e della mente.

Iniziai così ad interessarmi alla reflessologia plantare, un po’ perché mi sembrava che

toccando solo i piedi potessi giustificare il fatto che pur non essendo un medico mettevo

le mani su una persona, in parte perché mi permetteva di continuare ad usare le mani

(con cui avevi iniziato il mio percorso di conoscenza), in parte perché la teoria della

reflessologia è di per se affascinante ed in teoria si potevano migliorare o risolvere tutte

le patologie esistenti senza apparenti effetti collaterali.

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Come sempre, quando ci si offre gratuitamente per sperimentare tecniche di massaggio

o rilassamento le cavie non mancano, così mi trovai a praticare su di un gran numero di

piedi.

Quello che mi colpì molto fu come lavorando sui piedi e cercando di spiegare cosa

cercavo di fare sui miei volontari, spesso si scendeva ad un livello “profondo” e

fluivano in maniera forte, improvvisa e talvolta incontrollata emozioni antiche. Diverse

volte mi ritrovai con persone che avevano attacchi di riso o di pianto o che rivivevano

situazioni passate.

Anche in questo caso mi accorsi che i risultati erano molto buoni, ma mi resi anche

conto che non erano giustificati dal mio livello di tecnica raggiunta e soprattutto più

leggevo documentazione riguardo le varie teorie riflessologiche più la teoria stessa mi

sembrava carente. Delle diverse mappe in mio possesso gli organi interni erano situati

in zone spesso anche molto distanti tra loro e soprattutto non erano supportate da basi

scientifiche o da regole precise.

Eppure non mi scoraggiavo.

Continuavo a cercare, a sperimentare massaggi con oli caldi, con oli essenziali, studiai

le tecniche di linfodrenaggio secondo la teoria di Vodder ed il risultato era sempre il

medesimo: il risultato era sempre buono, i clienti o cavie o volontari erano sempre

soddisfatti e spesso in poche sedute asserivano di aver ottenuto miglioramenti a

problemi di cui magari non me ne avevano neanche parlato.

Nel frattempo io continuavo a correre e ad allenarmi, miglioravo sempre di più la

conoscenza del mio corpo ed avevo iniziato ad interessarmi anche di alimentazione e

dieta, più come regime alimentare rivolto al mantenimento della linea ed al

miglioramento delle prestazioni sportive che come vero e proprio regime alimentare.

Anche in questo campo gli studi furono diversi ed in diverse direzioni: dall’abbandono

di tutti gli alimenti raffinati, al budino Kousmine, alla dieta a zona del dottor Barry

Sears per passare poi alla dieta Gift di Luca Speciani.

Ogni volta testai su di me risultati che mi sembravano ottimi, sia dal punto di vista dello

stato di salute generale che dal punto di vista prestazionale, ma ad ogni nuova

presentazione di dieta (che mi sembrasse avere un minimo di fondamento scientifico)

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mi ritrovavo con un nuovo libro tra le mani e con un nuovo stravolgimento della mie

dieta giornaliera.

Incominciai a sentirmi disorientato, mi sembrava di non ricevere l’illuminazione, di non

trovare la strada maestra o come pensavo allora il sentiero che era solo per pochi.

Finché nella mia vita non avvennero due fatti traumatici quasi in contemporanea: la

separazione dopo quindici anni da mia moglie e la morte di mio padre dopo due anni di

malattia per un tumore al cervello. Inutile dire che per un lungo periodo persi il bandolo

della matassa, incominciai a stare “male”, a soffrire di depressione e anche a farmi

seguire in un percorso psicologico.

Imparai molto presto, forse anche per una predisposizione personale precedente, cosa

era il mio star male ed incominciai inconsciamente a convivere con esso. Ben presto lo

star male divenne la mia condizione, quella in cui non avevo sorprese, dove al massimo

potevo star meglio e soprattutto era la condizione che mi permetteva di attirare su di me

l’attenzione del prossimo.

Stavo male, sapevo che stavo male, conoscevo il mio male ed in fondo li volevo stare.

Avvennero dentro di me una serie di avvenimenti che all’epoca non capii, ma che sono

riuscito ad interpretare solamente dopo che sono passati un po’ di anni.

Il terremoto di cui ero stato involontariamente vittima fece si che praticamente tutta la

mia vita venne messa in discussione, soprattutto i valori che più credevo “radicati” e

giusti. Questa modalità, all’epoca inconsapevole, è diventata negli ultimi anni un il

modo di valutare le cose e di pormi delle domande: tanto più qualcosa mi piace e mi

attira, tanto più lo devo mettere in discussione.

In quest’onda di cambiamenti che avveniva dentro e fuori di me diventavo sempre più

dubbioso sull’efficacia delle diverse medicine alternative, incominciai a cercare i

fondamenti scientifici di alcune di loro, in primis omeopatia e reflessologia e con grande

stupore non trovai studi che ne dimostrassero in modo appunto scientifico l’efficacia.

Trovai invece moltissima documentazione auto referenziante e dietrologa che dipingeva

un disegno malefico della medicina tradizionale per screditare la medicina naturopatica.

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La cosa che maggiormente mi colpì fu che io cercavo di stare bene, di stare meglio, anzi

volevo decisamente tornare a vivere bene e tutto quello che leggevo trattava in realtà di

malattia, di disturbi, in generale di malessere.

Mi venne spontanea una domanda: se l’uomo è una macchina perfetta, progettata ed

evolutasi per vivere al meglio non è forse più importante concentrarsi sul vivere bene

prima che un’eventuale malattia colpisca il nostro corpo? Ma soprattutto la medicina

alternativa, se veramente si vuole contrapporre alla medicina tradizionale, non dovrebbe

occuparsi di questo invece di occuparsi anch’essa solo di malattia?

Cambiò profondamente (anche se lo posso dire solamente adesso scrivendo queste

righe) il mio paradigma: forse le mie energie, le mie forze, le mie ricerche devo

concentrarle sul ben-essere, sul fare di tutto per vivere meglio possibile, accettando le

mie paure, le mie debolezze.

Mi tornò di grande utilità la lettura del libro di Pietro Trabucchi “Resisto dunque sono”

ed in modo particolare il passo che riporto:

“Ristrutturare cognitivamente qualcosa significa trovare degli elementi positivi in un

evento, modificando il proprio modo di guardarlo: in modo da imparare, nelle

avversità, a portare a casa un insegnamento che ci rende meno vulnerabili la volta

successiva in circostanze analoghe. Per esempio riuscire a ricavare un insegnamento

da un errore; sapersi rialzare fortificati da una sconfitta; dare un senso alla sofferenza

e così riuscire a superarla. E’ una capacità di cui siamo poco consapevoli ma che

rappresenta una delle maggiori risorse a disposizione per affrontare le situazioni

stressanti.” (p.121)

Cito ancora lo stesso autore “Tutti gli organismi viventi, di fronte agli stimoli

ambientali, si adattano o muoiono: gli unici che contemplano una terza possibilità,

quella di auto-commiserarsi, sono gli esseri umani” (p.15) perché identifica

esattamente ed in modo molto “duro” quello che era il mio atteggiamento: invece di

adattarmi o in un atto estremo morire mi auto-commiseravo e semplicemente non

vivevo più nel suo senso più ampio.

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SALUTE E BEN-ESSERE

Da questo punto in avanti più che di un racconto personale si tratta di un tentativo di

riordinare per me e per chi eventualmente sarà interessato a questo saggio i concetti e le

idee in merito al “ben-essere”.

Nella nostra vita ci si prepara per tutto e si studia tutto, ma questo non avviene con la

morte. Se iniziamo a pensare che la vita è limitata ecco che essa diventa

immediatamente una risorsa preziosa e noi siamo tenuti a sfruttare al massimo le

risorse senza sprecarle.

Per dirla con le parole di John Lennon “La vita è quello che ci capita mentre siamo

impegnati a fare altro”, ma quello che ci “capita” deve essere il più vivo possibile.

La vita che merita di essere vissuta deve essere una vita intensa, piena, sana, deve essere

un rapporto armonico tra se, gli altri e la natura. Deve basarsi sul mangiare sano, sul

fare attività fisica, sull’avere un allenamento intellettuale. Soprattutto vuol dire

imparare a dedicare del tempo per sé stessi e ad organizzarsi cercando di fare quello che

ci piace.

Tornerò successivamente in dettaglio su questi punti.

Risulta evidente che per un elemento essenziale per soddisfare quanto sopra descritto è

il concetto di salute.

Tra le tante esistenti credo che la più semplice e completa sia quella della costituzione

della Organizzazione Mondiale delle Sanità (OMS) che così la definisce: “stato di

completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”.

Credo che la maggioranza di noi risponderebbe proprio con l’assenza di malattia alla

domanda, anche perché viviamo in una società dove si fa di tutto per far tacere quello

che fa “male” o provoca “sofferenza”.

Sempre in Trabucchi è riportata una definizione del sociologo Alberto Melucci che

spiega molto bene il concetto: “nella nostra società lo stato di salute viene a coincidere

con il silenzio del corpo: nel senso di assenza di qualsiasi sintomo, ma anche di

qualsiasi comunicazione e percezione di disagio seppur minima” (p.81).

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Riporto ancora due definizioni che aiutano ad affrontare i capitoli successivi e la

valenza del ben-essere.

La prima è del sociologo americano Laurence Wylie che definisce la salute come

“L'adattamento perfetto e continuo di un organismo al suo ambiente” introducendo

quindi il concetto di adattamento e conseguentemente di cambiamento.

La seconda è del filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer, probabilmente uno dei più

importanti filosofi del XX secolo che ne da questa interpretazione: “In verità non è

possibile misurare la salute, proprio perché essa rappresenta uno stato di intrinseca

adeguatezza e di accordo con se stessi, che non può essere superato da nessun altro

tipo di controllo, […] un sentirsi bene, ma come un esserci, un essere nel mondo, un

essere insieme agli altri uomini, ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai

compiti particolari” (pag.117), aggiungendo l’aspetto sociale alle definizioni

precedenti.

La salute è quindi la condizione ottimale, tocca l’aspetto fisico, quello psichico e quello

sociale ed è un equilibrio di questi elementi ed è la base di partenza per poter cercare il

ben-essere.

Potremmo dire a questo punto che la ricerca del ben-essere è la ricerca delle felicità.

Spesso però si cade nell’errore di credere che la felicità sia un diritto, qualcosa che ci

debba assolutamente essere data, invece la felicità va conquistata.

Perché fare questa fatica? Perché lottare ed uso questo termine perché contiene i

concetti di fatica e sacrificio, per conquistarla?

Perché le persone felici sono più sane di quelle infelici. È scientificamente dimostrato

che pensieri costantemente felici provocano cambiamenti biochimici nel cervello che a

loro volta influenzano la fisiologia del corpo.

La felicità favorisce un atteggiamento positivo nella vita e un’apertura verso il prossimo

(si attirano maggiormente le persone), aumenta la creatività e crescono le difese

immunitarie (endorfine), ma soprattutto aumenta l’autostima.

Ricordiamoci che in natura non esiste niente che abbia solo aspetti positivi ed infatti

non c’è felicità senza tristezza. Troppa felicità può portare all’egoismo, ad essere più

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“creduloni” perché meno diffidenti, insomma la felicità va mediata, le diverse emozioni

di devono compensare tra di loro.

La ricerca della felicità è una pretesa che porta spesso al non stare bene. È importante

acquisire la capacità di individuare gli ostacoli che non possiamo superare per

concentrarci sugli ostacoli che invece sono alla nostra portata.

Questo è il fondamento della teoria dell’accettazione e del cambiamento: dobbiamo

accettare ciò che non possiamo cambiare e cambiare ciò possiamo o detto in altri

termini combattere solo le battaglie che possiamo vincere.

Uno degli aspetti fondamentali per essere felici è quello di soddisfare i propri bisogni.

Per meglio comprendere il concetto ci rifacciamo alla ormai celebre piramide di

Maslow.

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Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari che

seno necessari alla sopravvivenza dell'individuo stesso ai più complessi che hanno un

carattere prettamente sociale.

La realizzazione dell’individuo avviene attraverso la soddisfazione progressiva dei

bisogni ed il passaggio da uno stadio all’altro.

I bisogni sono così suddivisi:

• Bisogni fisiologici

• Bisogni di sicurezza e protezione

• Bisogni di appartenenza

• Bisogni di stima e prestigio

• Bisogni di realizzazione di sé all’interno del proprio gruppo sociale

Questa impostazione anche se criticata ed in parte superata da studi successivi è pur

sempre valida perché aiuta facilmente a capire il concetto e di evoluzione dello stesso

all’interno della piramide.

La piramide dimostra l’importanza della crescita, del cambiamento e dell’evoluzione in

ogni essere umano, anzi si può affermare che: la crescita è la natura dell’esistenza.

Come ci fa notare Maslow nelle persone deboli, in cui la nevrosi è la normalità, vi è

costanza di malattia, vi è un senso di infelicità diffusa, c’è fondamentalmente la paura di

crescere, di diventare forti, c’è la paura del miglioramento.

Le persone veramente sane sono quelle che soddisfano i propri bisogni godendo di ciò

che si rivela positivo per loro.

Dopo aver letto diversi libri, cercato materiale su internet, frequentato corsi che in

qualche modo si riconducevano al ben-essere, ho provato a stilare quelle che possono

essere le 5 regole basiche da applicare per effettivamente cercare di stare in una zona di

ben-essere e salute.

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LE CINQUE REGOLE

Vorrei far subito una premessa: le chiamo regole perché non ho trovato un sinonimo

migliore, ma diciamo che si tratta di consigli od indicazioni che ho personalmente

sperimentato e che potete trovare in tanti manuali in cui si parla di vivere bene, di salute

e come abbiamo visto per lo statuto dell’OMS, in molte indicazioni date da associazioni

mediche (cardiologi, nutrizionisti, dietisti, …).

ALIMENTAZIONE

Nella società dell’abbondanza e dell’opulenza è il primo tema da affrontare.

Tra tutti i bisogni fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo (vedi bisogni fisiologici

di Maslow) è quello che ha assunto una rilevanza quasi mistica. A tal proposito segnalo

la bellissima spiegazione che ne da il dottor Morina sul sito della Scuola Superiore di

Counseling in Psicologia della Salute (http://www.scuoladicounselingtorino.it/liberarsi-

dalla-schiavitu-del-cibo-scuola-superiore-di-counseling-in-psicologia-della-salute-

torino/).

L’alimentazione è il processo per cui il mondo esterno entra di noi ed è una capacità

innata. La nostra formazione cognitiva viene influenzata anche da come veniamo

alimentati.

L’alimentazione è ultimamente diventata anche uno status quo e siamo di fronte ad una

disponibilità (per una parte del mondo) eccessiva.

E’ importante ridare il corretto significato al cibo ed al valore che diamo ad esso.

Per essere in buona salute il nostro organismo necessita di un apporto bilanciato di

carboidrati, proteine, grassi, vitamine, sali e acqua.

Direi che i consigli basici che si possono dare sono quelli del buon senso e che ben si

sposano con i prodotti dell’alimentazione mediterranea e che tra le altre cose potete

trovare sul sito del Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali.

• Variare il più possibile le scelte alimentari per garantire un apporto adeguato di

energia e nutrienti

• Fare sempre la prima colazione e non saltare i pasti

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• Mangiare almeno 2 porzioni di frutta e 2 di verdura ogni giorno preferendo

quelle di stagione, ciascuna di un colore diverso: bianco, rosso, giallo/arancio,

blu/viola e verde

• Consumare ogni giorno i cereali (pane, pasta, riso, ecc.) alternando quelli

integrali con quelli raffinati

• Mangiare il pesce (fresco o surgelato) almeno 2 volte alla settimana

• Consumare i legumi perché forniscono proteine di buona qualità e fibre

• Limitare il consumo di grassi, soprattutto quelli di origine animale, privilegiando

l'olio extravergine di oliva

• Usare poco sale

• Limitare il consumo di dolci ed evitare bevande zuccherate

• Bere ogni giorno acqua in abbondanza

La corretta alimentazione è una conseguenza dello stile di vita e la dieta va adattata al

ritmo ed al modo di vivere della persona.

E’ sempre importante comprendere perché una persona non segue una dieta corretta e

soprattutto capire che ruolo ha l’alimentazione nella vita della persona stessa.

Ci sono altri consigli molto semplici che riporto di seguito:

• Non friggere

• Non mangiare se non si ha desiderio di cibi “semplici”

• Non mangiare più del necessario

• Masticare a lungo il cibo

• Non mangiare se non si sta bene

• Saltare il pasto se in presenza di eventi che ci “sconvolgono”

Di seguito allego invece il report del World Cancer Research Fund International che

stila un decalogo di raccomandazioni per la prevenzione del cancro. È interessante

notare come la maggior parte facciano riferimento proprio all’alimentazione.

These recommendations are based on the findings of the WCRF/AICR report, Food,

Nutrition, Physical Activity and the Prevention of Cancer: a Global Perspective (2007).

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Recommendations for cancer prevention

(Raccomandazione per la prevenzione del cancro):

1. Be as lean as possible without becoming underweight (Cerca di essere magro senza

essere sottopeso).

2. Be physically active for at least 30 minutes every day (Cerca fare attività fisica

almeno mezz’ora al giorno).

3. Limit consumption of energy-dense foods (foods high in fats and/or added sugars

and/or low in fibre) and avoid sugary drinks (Limita il consumo di cibi ad alta densità

energetica – ricchi di grassi e/o con aggiunta di zuccheri e/o poveri in fibre – ed evita

bevande a base di zuccheri).

4. Eat more of a variety of vegetables, fruits, wholegrains, and pulses such as beans

(Mangia più varietà di verdura, frutta, cereal integrali).

5. Limit consumption of red meats (such as beef, pork and lamb) and avoid processed

meats (Limita il consumo di carne rossa - come manzo, maiale e agnello – e evita cibi

elaborati).

6. If consumed at all, limit alcoholic drinks to 2 for men and 1 for women a day (Se non

potete evitarlo, limitate il consume di alcol a 2 bicchieri per l’uomo e 1 per la donna al

giorno).

7. Limit consumption of salty foods and foods processed with salt (sodium) (Limita il

consume di cibi salati e di cibi trattati col sale).

8. Don’t use supplements to protect against cancer (Non usare prodotti per la

protezione contro il cancro).

9. It is best for mothers to breastfeed exclusively for up to 6 months and then add

other liquids and foods (E’ consigliabile alle madri di allattare esclusivamente con il

latte materno fino al sesto mese e solo dopo aggiungere altri liquidi e alimenti).

10. After treatment, cancer survivors should follow the recommendations for cancer

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Prevention (Dopo il trattamento, i sopravvisuti ad un cancro dovranno seguire le

raccomandazioni per la prevenzione del cancro).

And, always remember – do not smoke or chew tobacco (E ricordati sempre di non

fumare o masticare tabacco).

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ESERCIZIO

Un aspetto fondamentale per la nostra salute e conseguentemente per il ben-essere, è

l’esercizio fisico.

Il nostro corpo è l’unica cosa materiale che veramente possediamo in questa nostra vita

terrena, eppure spesso ci dimentichiamo della sua importanza. Soprattutto ci

dimentichiamo che esso è preposto al movimento e che per questo motivo noi

dovremmo tenerlo allenato.

Senza la sua completa efficienza diventano difficili tutte le attività umane.

Se non stiamo bene dal punto di vista fisico, non possiamo cercare null’altro: prima

della mente e dell’anima curiamo il fisico.

Occorre tenerlo allenato e questo andrebbe fatto a maggior ragione con il passare degli

anni.

Occorre distinguere tra attività fisica ed esercizio: nel primo caso si intende una

qualsiasi forma di movimento, nel secondo caso una forma di movimento predefinita e

svolta per uno scopo preciso (allenamento, mantenimento del peso e della forma fisica,

competizione, …).

Nel “World Health Report 2002” (relazione sullo stato di salute della popolazione del

pianeta) l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ribadisce e sottolinea i rischi

legati alla sedentarietà, identificata come fattore di rischio primario per lo sviluppo di

gravi malattie cardiovascolari, di patologie croniche come il diabete e persino di alcuni

tipi di tumore.

“Move for Health” è lo slogan che l’OMS ha scelto per promuovere la pratica di

un’attività fisica moderata ma costante come efficace rimedio naturale in grado di

assicurare salute e longevità.

Dovremmo dedicare all’esercizio fisico almeno mezz’ora al giorno prediligendo le

attività aerobiche (camminata, nuoto, corsa, bici) che sono quelle che più facilmente e

con un tempo minore permettono di arrivare ad un buon dispendio energetico.

È ormai appurato ed ampiamente divulgato che l’attività sportiva (se correttamente

praticata in tempi e modi) aiuta il dimagrimento e il mantenimento del giusto peso

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corporeo, migliora l’umore, aiuta a gestire lo stress, migliora l’attività sessuale e aiuta a

combattere l’insonnia.

Affinché si possa parlare di effettivo esercizio fisico è necessario che si ritagli

quotidianamente, o alternativamente un giorno si ed uno no, un’ora del proprio tempo

che sarà specificatamente dedicata a questa pratica.

Occorre praticare con un abbigliamento adeguato, anche perché il cambiarsi mettendosi

una tuta, un costume o prendendo attrezzi specifici aiuta psicologicamente ad entrare

mentalmente nella “modalità” sportiva.

La camminata ed il nuoto sono sport praticabili praticamente da tutte le persone senza

controindicazioni, per cui non esistono scuse valide per non impegnarsi ad intraprendere

un’attività sportiva.

È importante che ci sia una gradualità nell’iniziare e magari farsi seguire da qualcuno di

più esperto per avere utili consigli e per avere anche uno stimolo esterno.

Io personalmente ho scelto la corsa, oltre che per passione, perché può essere praticata

ovunque e con una spesa minima (bastano infatti delle buone scarpe da running ed un

abbigliamento leggero).

La corsa inoltre offre la possibilità, per chi avesse delle velleità agonistiche, di potersi,

dopo pochi mesi di allenamento, cimentare in gare podistiche che si trovano in gran

numero in tutte le regioni ed in tutte le domeniche dell’anno.

Negli ultimi anni inoltre la maratona è diventata un obiettivo, una sfida per uomini e

donne tra i 40/50 anni, che avvicinandosi alla corsa per i più svariati motivi, scoprono

letteralmente le capacità del proprio fisico e possibilità che fino a poco tempo prima non

immaginavano. Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento propongo il libro

di Arcelli “La Maratona”, che anche se un po’ datato rimane sempre un ottimo

riferimento e contiene consigli sia per l’allenamento che per l’alimentazione.

Questa mia “predilizione” per la corsa non vuole assolutamente sminuire tutte le attività

che si possono svolgere in palestra od eventualmente negli sport di squadra. Ho

verificato però che è molto difficile, soprattutto per i neofiti, riuscire a svolgere

un’adeguata attività aerobica nelle classiche 2/3 ore settimanali o nelle partite di calcetto

tra amici.

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E’ anche vero che la corsa, come citavo precedentemente parlando di camminata veloce,

non piò essere per tutti, vedi il caso di persone in notevole sovrappeso o con problemi

articolari pregressi (menischi, legamenti, …).

In quest’ultimo anno mi sono avvicinato al Nordic Walkin o camminata nordica con

bastoncini ed ho trovato in questa pratica un’ottima alternativa per poter svolgere

un’attività sportiva aerobica.

Col fatto di usare anche i bastoncini, ed imparando la tecnica da istruttori, si riesce a

svolgere un ottimo esercizio che permette di usare anche gli arti superiori, di non

sovraccaricare troppo quelli inferiori e di avere anche una parte ludica.

Mi sento vivamente di consigliarlo a tutti ed invito a visitare questo sito che lo tratta in

maniera approfondita http://www.anwi.it/?q=it/nordic_walking.

ARIA (NATURA)

Il nostro stile di vita ci ha allontanati dal contatto con la natura.

Eppure è facilmente riscontrabile come una passeggiata in un bosco, in montagna o in

una spiaggia non affollata creino uno stato di benessere dove le dimensioni fisica,

cognitiva ed emotiva trovano un equilibrio naturale.

È necessario ritagliarsi degli spazi di vita in cui tornare in mezzo al verde, dove poter

respirare aria pura e dove rallentare il nostro ritmo quotidiano.

La camminata è la condizione ideale perché ci consente di muoverci osservando quello

che ci sta intorno permettendoci di stupirci ancora della bellezza delle cose semplici.

Alberi, foglie, fiori, animali, luci hanno nella loro semplicità la capacità di portarci

indietro, o di portarci “dentro”, di ricondurci al semplice.

Riporto un estratto tratto da “La natura ci parla” di Hermann Hesse che trovo splendido

ed aiuta a capire la forza della natura: “Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con

loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità. Essi non predicano dottrine o ricette,

predicano, incuranti del singolo, la legge primordiale della vita. Un albero dice: in me

è nascosto un seme, una scintilla, un'idea, io sono vita della vita perenne. Unico è

l'esperimento e il disegno che l'eterna madre con me ha tentato, unica è la mia forma e

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la venatura della mia epidermide, unica la più piccola screziatura di foglie delle mie

fronde e la più piccola cicatrice della mia corteccia. Il mio compito è - nella spiccata

unicità - dare forma ed evidenza all'eterno. Un albero dice: la mia forza è la fiducia. Io

non so niente dei miei padri, non so niente degli innumerevoli figli che ogni anno

nascono in me. Vivo fino al termine il segreto del mio seme, non mi preoccupo d'altro.

Confido che Dio è in me. Confido che il mio compito è sacro. Di questa fiducia vivo.

Quando siamo tristi, e non possiamo più sopportare la vita, un albero può dirci: sta

calmo! Sta calmo! guardami! Vivere non è facile, vivere non è difficile. Questi sono

pensieri puerili. Lascia parlare Dio in te e questi pensieri taceranno. Tu sei angosciato

perché il tuo cammino ti porta via dalla madre e dalla casa. Ma ogni passo e ogni

giorno ti portano nuovamente incontro alla madre. La tua casa non è in questo o quel

posto. La tua casa è dentro di te o in nessun luogo.”

MODERAZIONE

Ritengo la moderazione un aspetto molto importante e la dimostrazione di un alto

livello di crescita personale.

Siamo ormai abituati ad avere tutto e soprattutto ad averlo in grande abbondanza.

L’esempio più appropriato è quello del cibo, ma è valido per tutti gli aspetti della nostra

vita. Non è sufficiente ad esempio imparare a mangiare sano o fare attenzione a quello

che introduciamo nel nostro corpo, ma è anche importante imparare ad essere moderati.

Avere la capacità di “moderarsi”, di fare con “meno”, di saper distinguere che cosa è

veramente importante da che cosa è un di più è un elemento fondamentale per la nostra

vita.

Ci risparmia sicuramente molte energie che normalmente spendiamo nell’inseguire cose

o sensazioni o stati d’animo di cui potremmo facilmente fare a meno.

Cito a proposito una frase del filosofo statunitense Henry David Thoreau, frase che mi piace

molto è che mi sembra racchiuda bene il concetto che voglio esprimere: “Un uomo è ricco in

proporzione al numero di cose di cui può permettersi di fare senza”.

Inoltre in questa epoca di grande crisi e di messa in discussione dei sistemi e degli stili

di vita a cui siamo stati abituati, la moderazione assume anche un connotato sociale.

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Capire di cosa si può fare a meno, limitare i consumi smisurati, essere padroni dei nostri

reali bisogni diventa un valore fondamentale.

PADRONANZA

Con padronanza intendo la capacità di autocontrollo e di consapevolezza che una

persona deve raggiungere.

Credo che sia il punto più alto della crescita interiore di un individuo. La capacità di far

convergere e convivere in semplicità e coerenza i propri valori con il proprio stile di

vita.

Penso che non ci sia molto di più da aggiungere e che ognuno di noi possa

continuamente migliorare e sviluppare questa capacità.

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GLI AMBITI

Dopo aver definito quelle che a grandi linea sono le regole di base del ben-essere, passo

ad analizzare in dettaglio gli ambiti fondamentali della vita interessati ad una logica del

vivere meglio.

Non è mia intenzione definire un vademecum, ma semplicemente affrontare quegli

aspetti quotidiani che sono e devono essere sempre ben impressi nella nostra testa per

far si che il “ben essere” sia veramente radicato nella nostra vita.

MENTE E CORPO

Innanzitutto, per la precisione, dovremmo parlare di mente, corpo e spirito.

Più di duemila anni fa il poeta latino Giovenale coniò il motto “mens sana in corpore

sano” sottolineando l’importanza dell’equilibrio tra salute del corpo e salute della

mente.

Come ho già scritto precedentemente la salute del nostro corpo è ciò che ci permette di

svolgere qualsiasi altra attività e pertanto è fondamentale che noi ci prendiamo cura di

esso.

Non è sufficiente dedicare un “po’” di tempo all’attività fisica sperando che faccia

miracoli per il nostro ben-essere se si continuano a seguire abitudini di vita non salutari.

L’attività motoria, in tutte le sue possibile forme, è l’elemento base per tenere in forma

il nostro corpo e per continuare a permettergli di svolgere la funzione per cui esso è

preposto: muoversi.

A maggior ragione in una società in cui ci si sta spostando sempre più da un impegno

fisico ad uno intellettuale in quasi tutti i campi della nostra vita, diventa doveroso

preoccuparsi in modo specifico del nostro corpo. Questo richiede fatica ed impegno, ma

fatica ed impegno verranno ricompensati dalla sensazione che si prova con il pieno

benessere del fisico.

Così come dobbiamo garantire un esercizio al nostro corpo lo stesso dobbiamo fare per

la nostra mente. Stimoli diversi, spesso anche contrari a quelli che sono i nostri gusti (ad

esempio musica che normalmente non ascolteremmo, arti che fatichiamo a

comprendere) aiutano il nostro percorso di conoscenza e di crescita.

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Così come per il corpo è possibile “esercitare” la mente per tenerla allenata.

Ultimamente si possono trovare molti semplici esercizi su siti specializzati per

“giocare” con la nostra mente e con la memoria, ma ci sono due cose molto semplici

che possiamo fare comodamente e facilmente tutti i giorni.

La prima è leggere: riviste, manuali, romanzi. La lettura ci tiene vivi e se poi scegliamo

diligentemente cosa leggere ci aiuta a crescere culturalmente ed a scoprire nuovi

orizzonti.

Il secondo esercizio lo si può fare veramente in ogni momento della giornata e serve a

farci uscire dalla solita routine abitudinaria ed a stimolare la nostra curiosità e

conoscenza. Consiste nel cambiare ad esempio percorso quando rincasiamo, nel cercare

di comunicare con persone sconosciute, nel provare a mangiare cibi sconosciuti,

nell’invertire l’ordine delle attività che svolgiamo nel corso della giornata. Modificare le

azioni ripetitive permette di essere pronti a recepire stimoli proveniente dall’esterno, ad

attivarsi di fronte ad eventi nuovi ed inaspettati.

Un ultima considerazione, che forse può sembrare banale, ma che risulta importante per

la relazione mente/corpo.

Occorre dare maggior importanza alla qualità ed al tempo dedicato al sonno. Troppo

spesso dormiamo poco o troppo e male.

E’ necessario mantenere il ritmo veglia/sonno il più costante possibile, cercando di

coricarsi sempre alla stessa ora e nello stesso modo di puntare la sveglia ad un orario

che ci accompagni per tutta la settimana.

INTELLETTO (INTERESSI)

Coltivare qualche interesse è fondamentale per non impigrirsi, per mantenersi vivi e per

sfruttare al meglio il nostro tempo.

L’organizzazione del tempo e delle attività da dedicare ad esso è un elemento che

spesso fugge dal nostro controllo. Se ognuno di noi prova a far mente locale si renderà

conto, seppur tutti super impegnati, di quanto tempo viene sprecato e letteralmente

buttato via.

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Direi che saper organizzare il proprio tempo per poter fare ciò che ci piace e ci

arricchisce culturalmente diventa quasi un’arte.

Per guadagnare “più tempo” è necessario fare un’analisi di quelle che sono le priorità

che diamo alle cose che normalmente facciamo nella nostra giornata e poi verificare se

non è possibile ridurre parte di questo tempo o modificare le nostre priorità per

indirizzarle su cose che ci interessano di più. Le pulizie di casa sono importanti, ma non

devono richiedere più del tempo necessario affinché la casa risponda a normali canoni

di igiene e di ordine. Idem ad esempio per il lavaggio dell’auto: se tutti i sabati la si

porta a lavare forse si sta esagerando o forse non abbiamo nessun altro interesse per cui

occupiamo il tempo con un’attività che può diventare col tempo quasi maniacale.

Aggiungerei a questo ambito un sottoambito che personalmente reputo importante: la

ricerca del “bello”.

Non il bello in termine assoluti, ma il tentativo di circondarci e di interessarci di cose

belle: arte, musica, pittura, danza. Trovarsi in campi di eccellenza, vedere un bel

quadro, ascoltare musica che apra i nostri orizzonti mentali e così via, può essere

definito un training mentale.

E’ innegabile che quando, in un ambito artistico che è di nostro interesse, stiamo

assistendo a qualcosa che supera i normali standard (personalmente mi vengono in

mente alcune sculture del Canova) ci si sente improvvisamente bene, pieni di un

qualcosa che spesso confondiamo con l’ammirazione o l’estasi, ma che sicuramente

possiamo individuare come qualcosa di molto positivo per la nostra anima.

Coltivare degli interessi assume una rilevanza particolare in previsione della nostra

vecchiaia. Avere qualcosa da poter fare anche quando saremo meno in forze ed avremo

più tempo libero ci aiuterà a tenere la mente allenata ed ad essere indipendenti, nel

limite del possibile, dagli altri.

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LAVORO E FINANZA

La maggior parte del nostro tempo lo passiamo nel nostro ambiente di lavoro ed in

momenti sociali particolarmente difficili come quello attuale va da se che questo tempo

deve essere vissuto il meglio possibile.

E’ inutile illudersi che la soluzione a tutti i problemi sia il cambiare lavoro: primo

perché non è così semplice poterlo fare, secondo perché anche se potessimo in realtà

pochi sarebbero in grado di indicare l’attività lavorativa per cui si sente una vocazione

od una predisposizione.

Quello che si può fare è cercare di modificare l’approccio mentale con cui si svolge la

propria attività lavorativa.

Un approccio positivo, costruttivo, che cerchi di ottenere il massimo possibile in termini

di relazioni umane e professionali dalla nostra giornata lavorativa è sicuramente

consigliabile rispetto ad un atteggiamento di chiusura, di negazione o come spesso

accade di “maledizione”.

Che ci piaccia o no in questa società per vivere è necessario lavorare, quindi meglio

riusciamo ad affrontarlo e meglio staremo.

Occorre inoltre essere molto onesti con se stessi e chiarirsi sugli obiettivi del nostro

lavoro: permetterci di avere una vita decorosa? Assegnarci una gerarchia nella scala

sociale? Permetterci di mettere in pratica le nostre capacità?

Spesso molti problemi nascono proprio dal non chiarire i proprio obiettivi o addirittura

nell’averne in mente uno, ma nel praticarne nella realtà un altro.

Personalmente ritengo che il lavoro debba essere la ricerca del giusto equilibrio tra:

soddisfazione, retribuzione, sicurezza, responsabilità e tempo dedicato. Ognuno deve

essere in grado di fare un’analisi (la più obiettiva possibile) tra gli obiettivi sopra

descritti, le proprie ambizioni e la voglia di rischiare insita nel proprio essere. Chiarirsi

su questi elementi aiuta a capire il punto in cui ci si trova rispetto alla propria situazione

lavorativa e come attivarsi.

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RELAZIONI

La realizzazione della dimensione affettiva ed emozionale è evidentemente un aspetto

fondamentale e determinante per il ben-essere.

Con relazione intendo tutte le diverse tipologie di rapporti che instauriamo con le

persone che ci stanno intorno a prescindere dalla loro forma e definizione.

Distinguerei tra tre relazioni principali: famiglia, partner ed amici.

La famiglia è l’elemento in cui cresciamo, dovrebbe in teoria essere il posto in cui

stiamo meglio e dovrebbe essere uno dei pilastri della nostra società.

Spesso in realtà la famiglia ed il rapporto con i genitori diventa una gabbia.

Ritengo che la famiglia ed i genitori dovrebbero accompagnare i figli fino alla maggiore

età e poi avere il coraggio di dare loro una “spinta” per prendere il volo ed iniziare

autonomamente l’avventura della vita.

Spesso invece dapprima i genitori sono troppo protettivi ed i figli troppo pretenziosi.

Questo fa si che si instauri un rapporto che col passare degli anni diventa sempre più

difficile da scindere per sfociare poi nell’anziano genitore che diventa un “peso” per i

figli credendo di aver il diritto di usarli come “bastoni” della propria vecchiaia.

Uno degli obiettivi del ben-essere dovrebbe proprio essere quello di imparare a coltivare

interessi che ci possano accompagnare per tutta la vita, soprattutto quando si sarà

anziani, in modo da poter mantenere una propria dignità e di non dover pesare più del

necessario sugli altri.

La relazione col partner spesso è inficiata da un sogno un po’ troppo romantico di

quello che è l’amore.

Innanzitutto bisogna avere il coraggio di dire che non è scontato che tutti si riesca a

trovare l’anima gemella nella propria vita, ma questo non pregiudica una vita serena e

piena.

L’amore dovrebbe essere una scelta consapevole, dove nessuno dei due partner pretende

il cambiamento dell’altro, dove non ci deve essere dipendenza di nessun tipo e

soprattutto dovrebbe portare un cambiamento in meglio nella vita di entrambi. Elemento

imprescindibile è una continua verifica della compatibilità delle due persone. Può

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sembrare un’affermazione troppo razionale, ma superati i momenti belli iniziali, la vita

è poi fatta di situazioni pratiche e soprattutto in caso di convivenza, ci si trova a fare i

conti con i diversi caratteri, le abitudini e le provenienze di entrambi.

Rimane fondamentale una buona ed appagante intesa sessuale.

Infine restano gli amici.

Le amicizie, quelle scelte, quelle di lunga data, quelle arricchenti, dovrebbero essere

l’ultimo aspetto delle relazioni. Lo affermo in tono un po’ polemico in quanto questo sta

a significare che tutte le altre relazioni sono un limbo da cui dovremmo cercare di trarre

il massimo giovamento senza farci troppo condizionare.

Spesso colleghi, vicini di casa, conoscenti, non sono amici, non sono relazioni scelte e

ci portano a trovare troppi compromessi, ad instaurare relazioni che non apportano nulla

ad entrambe le persone. Credo che questo tipo di relazioni debbano, per usare una

metafora automobilistica, “girare” al minimo, ovvero rimanere all’interno di un rapporto

in cui non ci sente in dovere o in obbligo, rimanendo nell’ambito dell’educazione del

buon “vicinato”.

Inserisco in questa categoria anche tutte quelle relazioni in cui c’è decisamente avversità

se non odio e cattiveria. È evidente che se possibile vanno tagliate al più presto, ma

quando questo non dipende da noi devono rientrare in quelle appena descritte.

AMBIENTE

Farò un breve cenno sull’ambiente.

Ultimamente la stessa parola ha assunto grande rilevanza nella nostra società e spesso

viene usata a sproposito.

Innanzitutto va detto che esiste una coscienza ambientale che riguarda sicuramente il

singolo ed i suoi comportamenti virtuosi (uso di mezzi non inquinanti, riduzione dei

consumi, …) ed una che riguarda la società. Il singolo, pur nella sua diligenza può fare

ben poco se non ci sono politiche sociali ad ampio spettro e soluzioni studiate a

proposte (e forse ad oggi ancora sconosciute) dagli scienziati.

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Quello che sicuramente mi sento di dire è che ci siamo allontanati un po’ troppo dal

contatto con la natura e da tutto quello che questo comporta.

Ritengo importante ritagliarsi dei momenti dove semplicemente muoversi all’interno di

un bosco, di un’area protetta, lungo il mare, sicuramente per “respirare” un po’ di aria

buona come si usa dire, ma soprattutto per ritrovare un contatto ancestrale con la natura

stessa, per stupirci ancora della bellezza di alberi, piante, fiori cercando davvero di

guardarli con gli occhi di un bambino.

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IL COUNSELING

QUALE DEFINIZIONE?

Quando si entra nello specifico di un argomento, di un tema, la prima cosa che viene normale fare è cercare di inquadrarlo e di darne una definizione.

Che cos’è quindi il counseling?

Si potrebbe rispondere: è il lavoro che svolge il counselor.

Se andiamo a cerca la definizione di un dizionario anglosassone, ad esempio "Oxford Dictionary", troviamo quanto segue: "consiglio da un consigliere-consulente", che è una citazione molto tecnica e che non aiuta molto ad inquadrare il tema.

La figura professionale del counselor nasce in America intorno agli anni trenta e racchiude tutte quelle figure professionali che "non desiderando diventare psicologi o

psicoterapeuti svolgono un lavoro che richiede una buona conoscenza della personalità

umana."(Rollo May).

Il counselor in forma generica può essere definito la persona che in un contesto professionale è capace di sostenere in modo adeguato una relazione con un interlocutore che manifesta temi personali, privati ed emotivamente significativi.

Innazitutto occore evidenziare che il counselor ha un suo ruolo ben definito e non deve essere confuso con un consulente esperto di comunicazione né banalmente con un esperto in Problem Solving o con un coach.

Il counselor è un professionista in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica che non comportino tuttavia una ristrutturazione profonda della personalità (e quindi dell’intervento di uno psicologo o di uno psichiatra); ha il semplice obiettivo di indirizzare la persona verso una possibile soluzione di una problematica presente in un determinato ambito o nata da difficoltà relazionali che possono impedire la libera espressione individuale.

Il counselor non fa terapia, non opera cure di nessun genere, non fa psicoterapia, né consulenza. La caratteristica fondamentare del counseling e conseguentemente del lavoro del counselor è che esso ha soprattutto per oggetto lo stile di vita delle persone sane.

Il counselor è una figura umana anziché professionale che sa creare un rapporto con una persona basato sull’accoglienza, sull’attenzione, sull’ascolto e soprattutto sull’empatia.

Chi e perché si dovrebbe rivolgere ad un counselor? In una società soffocata dai ritmi della vita moderna, non è sempre facile, per chi si ritrova momentaneamente con un dubbio rispetto a una decisione o con un senso di malessere dovuto a un imprevisto, o con un momento di minor energia della propria vita trovare una persona con cui aprirsi, confidarsi senza farsi propinare i classici buoni consigli per risolvere il problema, ma soprattutto senza il timore di essere inascoltati o giudicati.

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Il counselor subentra in queste situazione perché è uno "specialista dell'ascolto", un esperto di comunicazione, una persona che mira a creare un rapporto in cui il suo interlocutore o cliente si sente accolto, rispettato e, soprattutto, ascoltato. A dispetto della forte assonanza tra il termine counselor e consulente, il ruolo del primo non consiste assolutamente nel dare consigli o interpretazioni, ma nell'aiutare l'altro ad avere una visione più completa del problema e a trovare in prima persona la soluzione.

La maggior parte delle volte questo risultato lo si ottiene semplicemente offrendo al cliente la possibilità di parlare liberamente e di arrivare da solo a delle conclusioni o alla presa di coscienza di determinate situazioni.

Nell’esternare liberamente i propri stati d’animo insieme al counselor, si riesce ad avere una visione più obiettiva e generale della situazione e diventa molto più semplice far chiarezza e predisporre così la strategia di azione che si ritiene utile per la situazione.

Il counseling ad indirizzo naturopatico non è nient’altro che il rapporto armonico tra la natura umana e la natura esterna. In quest’ottica il counselor deve cercare il bene della persona, la riattivazione delle capacità e delle forze che chiunque ha naturalmente dentro di se.

Può sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma sostanzialmente il counselor si occupa del fatto che siamo “vivi”, che siamo in continua ricerca ed evoluzione, pertanto se vogliamo aiutare qualcuno non dobbiamo risolvergli i problemi, ma fornire supporto!

La difficoltà principale di un counselor è comprendere lo specifico problema di quello specifico cliente in quella specifica situazione. Comprendere va inteso come prendere e portare dentro si se e l’unico modo che esiste per fare questo è quello di entrare in empatia con il cliente.

Possiamo concludere affermando che lo scopo ultimo è aiutare il cliente ad evolversi per favorirne un suo migliore adattamento sociale in quanto la vita è un continuo adattamento al sistema che ci sta intorno.

Il counselor dovrebbe essere visto dal cliente come:

- Base sicura (stabilità, muto riconoscimento, asimmetria del rapporto che non deve essere paritario)

- Catalizzatore di cambiamento - Supervisore - Perturbatore strategicamente orientato

Il cliente tramite l’auto osservazione ed il supporto competente fornitogli dal cousnelor deve staccarsi da se e riuscire a guardarsi dal di fuori.

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E’ importante dare al cliente dei compiti (ad esempio tenere un diario, definire degli obiettivi, visualizzare delle situazioni, …) in maniera che sia più facile fare un’analisi dei costi e dei benefici dei “compiti” assegnati.

Il counselor in questo percorso con il cliente molto spesso diventa un “distruttore” e porta alla consapevolezza che la sofferenza (da cui tutti cerchiamo sempre di fuggire) in una determinata situazione diventa funzionale, si dimostra essere la miglior scelta tra le “peggiori” possibili.

I principi fondamentali del rapporto di aiuto che si viene ad instaurare tra cliente e terapeuta sono i seguenti:

1) Prima di tutto viene il cliente. È il punto centrale intorno alla quale ruota tutta la terapia.

2) Il cliente ha sempre ragione. Può interrompere la terapia in qualsiasi momento, può andarsene quando vuole. Il counselor no. Dal punto di vista giuridico si stipula un contratto che si basa sulla diligenza del buon padre di famiglia. Definiti i compiti del contratto terapeutico non ce ne si può andare se non per una buona causa.

3) Chiunque si pone in relazione con il counselor è una persona che va rispettata. Le nostre convinzioni sono solo nostre, non sono infallibili e sono suscettibili di modifiche. Del cliente occorre rispettare imprescindibilmente: la sua dignità, la sua riservatezza, la sua autodeterminazione, la sua autonomia, i suoi valori, i suoi sistemi di credenze.

4) Fondamentale è il diritto alla riservatezza. Occorre informare il cliente sul chi è il counselor, la formazione, cosa si vuole fare ed i propri limiti.

L’ultimo non è un forse un principio, ma un caldo consiglio: il counselor deve mostrarsi sempre molto umile!

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ROLLO MAY

Nel mio personale approccio allo studio del counseling ho trovato fondamentale la lettura e lo studio de “L’arte del counseling” di Rollo May, condivido pienamente il suo approccio e la sua teoria del principio della personalità e soprattutto credo che spieghi esattamente e senza troppi dubbi di interpretazioni quelli che devono essere i compiti di una bravo counselor.

Di seguito riepilogo i quattro principi della personalità.

Primo principio della personalità: la funzione del counselor é quella di portare il cliente ad accettare la responsabilità della propria condotta e degli esiti della propria vita.

Secondo principio della personalità: compito del counselor é quello di assistere il cliente nella ricerca del suo vero sé e poi di aiutarlo a trovare il coraggio di essere quel sé.

Terzo principio della personalità: è compito del counselor aiutare il cliente ad accettare di buon grado la responsabilità sociale, dargli il coraggio che lo libererà dalla coazione del senso di inferiorità, e aiutarlo a orientare i suoi sforzi verso scopi socialmente costruttivi.

Quarto principio della personalità: è compito del counselor, nell’aiutare il cliente a liberarsi dalla morbosità del suo senso di colpa, aiutarlo anche coraggiosamente ad accettare e ad affermare la tensione spirituale insita nella natura umana.

Per Rollo May “la personalità è il realizzarsi del processo della vita in un individuo

libero, socialmente integrato e psicologicamente consapevole”.

La personalità sana presenta quattro aspetti.

LA LIBERTA’

È un principio fondamentale della personalità, una conditio sine qua non.

È fondamentale credere nella libertà al fine di avere un quadro adeguato della personalità per poter svolgere un’azione efficace. La libertà consente all’individuo di poter creare il proprio modello personale.

Maggiore è la salute mentale, maggiore è il grado di libertà che un individuo può raggiungere e maggiore è la capacità di gestire e modellare gli elementi della vita.

La funzione del counselor è quella di favorire la serena accettazione della responsabilità della propria condotta e degli esiti della propria vita.

L’INDIVIDUALITA’

La funzione del counselor è quella di aiutare il proprio cliente a diventare quello che ognuno è destinato a essere.

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La prassi comune è quella di fuggire da se stessi e compito del counselor è quello di assistere il cliente nella ricerca del proprio sé e di aiutarlo a trovare il coraggio di essere quel sé.

INTEGRAZIONE SOCIALE

La personalità non può essere compresa al di fuori del suo contesto sociale.

Il contesto sociale fornisce alla personalità un mondo che le permette di avere senso. Il terzo aspetto di una personalità sana è quindi l’integrazione sociale.

Nella rete sociale in ci viviamo si creano interdipendenze tra le persone. Nell’uomo è insito il bisogno di ottenere la supremazia sugli altri, di arrivare ad avere una posizione di sicurezza che garantisca un’aurea di prestigio. Questo impulso fondamentale genera nell’individuo la tendenza ad uscire dalla interdipendenza sociale e a porsi al di sopra dei suoi simili.

Il senso di inferiorità è universale. Tutti lo portiamo dentro di noi in quanto esseri umani. Questo universale senso di inferiorità affonda le sue radici nella effettiva situazione di inferiorità vissuta del neonato e nella reale inferiorità dell’uomo delle caverne nei confronti della forza della natura e degli altri animali. L’evoluzione della civiltà è l’esito del tentativo dell’umanità di aver ragione di questo senso di inferiorità.

Il senso di inferiorità non è negativo in sé, l’importante è sfruttare questa pulsione in un impegno costruttivo che contribuisce al benessere degli altri. Più ci si sente inferiori o sottoposti e più disperatamente si lotterà per ottenere il predominio.

Se queste energie non vengono indirizzate correttamente cadiamo i quelli che Adler definisce i peccati capitali che distruggono la cultura e la felicità dell’uomo: vanità e l’ambizione.

Da qui l’importanza del coraggio. Solo quando nella nostra vita subentra il coraggio riusciamo a liberarci dal senso di inferiorità e conseguentemente non ci si sentirà sempre in lotta con il prossimo.

Una delle più grandi piaghe nei rapporti umani è infatti proprio la paura, che acuisce il senso di inferiorità, il sospetto e lo stato di lotta.

Per una buona cooperazione sociale sono inoltre fondamentali l’interesse sociale e la cooperazione. Solamente se siamo individui socialmente integrati possiamo aspirare a completarci come singoli.

Tanto maggiore è l’integrazione sociale, tanto più la persona realizzerà l’individualità unica che gli è propria.

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È compito dell’educatore aiutare la persona ad accettare di buon grado la responsabilità sociale, dargli il coraggio che la libererà dalla coazione del senso di inferiorità, e aiutarla a orientare i suoi sforzi verso scopi socialmente costruttivi.

LA TENSIONE SPIRITUALE

La frammentazione delle funzioni mentali e dei conflitti psicologici da essi derivanti portano l’individuo a uno stato di non equilibrio ed è importante cercare di migliorare con il cliente questa situazione.

E’ impossibile però arrivare ad una unità definitiva della personalità umana e d’altronde questo non neanche è possibile; l’obiettivo non è eliminare per sempre i conflitti interiori, quanto cercare di trasformare quelli che sono conflitti distruttivi in conflitti costruttivi.

Il miglior esempio in questo campo è il senso di colpa.

E’ un conflitto generato dal contrasto tra libertà, indipendenza, regole e responsabilità morale.

La tensione ed il conflitto si generano con la ricerca di nuove opportunità, di nuove sfide e col mondo delle regole che ci circonda e ci appartiene, con la nostra natura animale e quella spirituale.

Se cerchiamo di vivere solo in termini terreni e naturali diventiamo nevrotici; lo stesso se ci rifugiamo completamente nel mondo spirituale.

L’incrocio di questi due elementi genera una tensione latente e da questa tensione nasce la nostra consapevolezza spirituale e con essa il senso dei doveri morali.

La tensione spirituale è quella che ci porta a cercare la perfezione, l’”eternità”, pur sapendoci essere imperfetti e mortali.

È compito dell’educatore, nell’aiutare la persona a liberarsi dalla morbosità del senso di colpa, aiutarla anche coraggiosamente ad accettare e ad affermare la tensione spirituale insita nella natura umana.

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IL COUNSELING E LO SPORT

Frequento il mondo dello sport da quando ero un ragazzino ed ultimamente mi sono

iscritto ad un corso per allenatori di atletica leggera.

Durante il mio tirocinio sul campo ho avuto modo ed ho la possibilità di osservare e

collaborare con ragazzi di tutte le fasce di età e mi sono reso conto di quanto il

counseling e l’approccio da counselor possano essere un plus per ogni buon allenatore.

L’allenamento, di qualsiasi grado e livello, è un’ulteriore attività che si aggiunge alla

vita quotidiana di chiunque pratichi un’attività sportiva. Va quindi ad interagire con

tutte le problematiche della vita, in alcuni casi diventando terapeutico per la soluzione di

alcuni problemi, in altri sommandosi a problemi già esistenti.

Ero partito con l’idea che potesse esistere un counseling dello sport, ma dopo quasi un

anno di attività a contatto diretto con sportivi di diversa provenienza, di diversa fascia di

età e con obiettivi diversi e dopo aver cercato libri, manuali o siti che trattino di questo

argomento, mi sono ricreduto.

Reputo che si entri in una stretta dicotomia tra il coaching ed il counseling e che le due

cose diventino talvolta indistinguibili.

L’allenatore, il preparatore, l’istruttore è sicuramente un coach e come tale deve dare

direttive ed essere da guida per lo sportivo, ma a mio modo di vedere deve essere anche

un educatore, un istruttore e soprattutto deve avere una forte empatia nei confronti delle

persone che va ad allenare, siano essi giovani atleti o attempati amatori.

È qui che a mio avviso essere un counselor può diventare un plus, sviluppare il rapporto

empatico nei confronti della persona porta a far crescere automaticamente anche l’atleta.

Si è coach sul campo, dove si affrontano in modo appropriato gli aspetti tecnici e

sportivi, dove si diventa la guida nei confronti della persona intesa come atleta, è questo

è fondamentale, ma ci sono dei momenti di passaggio in cui diventa più importante

essere counselor.

Tutti gli atleti si portano dietro e spesso anche al campo i “problemi” della propria vita,

siano essi esordienti, atleti affermati o uomini e donne che cercano nello sport un

momento di benessere.

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Capita spesso tra un allenamento e l’altro, al momento del ritrovo o alla fine degli

esercizi di trovarsi in una “terra di nessuno” in cui cessano le tensioni e vi è un surplus

prima di tornare alla “realtà” della propria esistenza.

Ho vissuto proprio in questi momenti il tentativo da parte dell’atleta di instaurare un

dialogo più profondo, la ricerca con sguardi di “ascolto”, il tentativo di cogliere un

aspetto diverso nella figura coach e molto spesso si tratta di un timido tentativo che

viene lasciato cadere immediatamente se non accolto o stimolato.

Nel momento in cui si riesce a passare da coach a counselor, si possono cogliere

occasioni eccezionali e si può diventare importanti sotto un altro aspetto.

Per esperienza personale ed indiretta da istruttore posso affermare che se da un lato fare

sport rende le persone contente e da loro grandi sensazioni di benessere, dall’altro lato

porta ad avere malumori o sensazioni di leggero disagio che possono risolversi con

facilità ed in breve tempo se supportati da qualcuno.

Provo a riepilogare di seguito quelli che a mio modesto avviso possono essere i ruoli di

un counselor all’interno del mondo dello sport.

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RUOLO DEL COUNSELOR NELLO SPORT

Lo sport offre ad un individuo la possibilità di formare tramite l’attività fisica,

l’agonismo e le regole tre aspetti fondamentali della propria personalità:

• il corpo

• la mente

• il carattere

L’attività sportiva, in modo particolare quella agonistica, se come abbiamo visto sopra

aiuta a formarsi come persone, d’altro canto porta a scontrarsi con aspetti spesso nuovi

o magari semplicemente non considerati:

• la sconfitta

• l’ansia da prestazione

• le pressioni esterne

• la relazione di gruppo

• l’accettazione delle regole

ecco quindi che il counselor può intervenire, in collaborazione con il

ragazzo/atleta/amatore per aiutare a superare, risolvere, ribaltare i problemi che possono

insorgere.

Capita spesso, soprattutto nei giovani, che si affronti la sconfitta (o anche la vittoria

guardando l’altro lato della medaglia) per la prima volta nella propria vita proprio sul

campo. In questa situazione il counselor ha l’obiettivo di aiutare a scomporre come in

un puzzle i fattori che vengono identificati come “la sconfitta”, di assistere quello che

ormai possiamo definire cliente a comprenderne i meccanismi, a ricomporre

correttamente il puzzle ed eventualmente ribaltare il tutto per farlo diventare una base

positiva le esperienze successuve ed eventualmente per le vittorie.

Ho imparato, soprattutto lavorando con i giovani, come in realtà sia fondamentale

dialogando con loro relativizzare il concetto di sconfitta e di vittoria e soprattutto di

relazionarlo al valore attuale e reale della persona intesa come atleta.

Quanto appena descritto può valere anche per l’ansia da prestazione, anzi spesso questa

deriva proprio da una eccessiva enfatizzazione della sconfitta e del valore ad esso

attribuita.

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Le pressioni hanno un ruolo fondamentale perché toccano, talvolta in modo inaspettato,

sia bambini al loro primo contatto con lo sport, sia adulti che cercano un approccio

sportivo per il benessere psico fisico e si ritrovano a scontrarsi con il proprio spirito

competitivo.

Ho visto bambini arrivare al campo tristi, demotivati e dopo aver con fatica trovato uno

spiraglio di dialogo, capire che questo era dovuto alla pressione che sentivano provenire

dai genitori nei confronti dell’attività sportiva. Stava venendo meno per loro l’aspetto

ludico ed emozionale e lo sport stava diventando un’imposizione. È bastato anche in

questi casi rimarcare l’aspetto del gioco come svago per cambiare completamente

l’atteggiamento e vedere i bambini venire al campo con voglia.

Con gli adulti invece può capitare, magari dopo che la passione agonistica spinge alla

ricerca di miglioramenti ed al confronto con altri amatori, di riscontrare malumori

dovuti al fatto di non riuscire più a conciliare gli allenamenti con la vita sociale:

famiglia, lavoro, interessi. Il caso più eclatante è quello dell’overtraining.

Anche in questa situazione, se emerge questa problematica, la figura del counselor può

diventare fondamentale per cercare di aiutare la persona a ricollocare all’interno della

propria vita i giusti pesi ed i giusti spazi da dare alle diverse attività, magari

ricondizionando i propri obiettivi e/o le proprie priorità.

Le relazioni di gruppo e la condivisione delle regole possono essere affrontati come un

unico argomento e diventano fondamentali soprattutto negli sport di squadra.

Credo veramente che il counselor in questo possa avere un ruolo fondamentale per

aiutare gli individui più restii ad accettare le regole a comprenderne l’importanza

affinché si possano migliorare i rapporti interpersonali all’interno del gruppo stesso.

Credo che l’attenzione che si debba avere è quella di considerare le dinamiche del

gruppo stesso e di essere pronti ad individuare chi di volta in volta può essere

l’elemento di non coesione o con maggiori difficoltà relazionali.

Ritengo inoltre che un ruolo fondamentale per il counselor nell’ambito sportivo sia

quello di aiutare ad individuare in modo chiaro gli obiettivi dello sportivo, di

supportarlo nella loro continua ridefinizione e di contribuire a definire le giuste strategie

per il raggiungimento degli stessi.

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Per la mia modalità di visione dello sport, ovvero di uno sport pulito, fatto di sacrifici e

passione, ritengo che il ruolo counselor/sportivo diventa fondamentale proprio perché si

instauri un rapporto con l’essere umano e non solo con lo sportivo, come molto spesso

accade.

COUNSELOR E COACH?

Tornando all’inizio di questo capitolo e visto il confine labile che esiste tra counselor e

coach mi sono chiesto se il counselor ed il coach possono essere la stessa persona.

Sono giunto alla conclusione che la risposta può essere affermativa e provo ad

argomentare tale tesi. Quando si è counselor, si sono apprese le tecniche, le modalità di

entrare in empatia con l’altra persona, si è counseleor “sempre”.

L’abilità sta nel riuscire ad essere presenti con il corretto approccio nelle diverse vesti

che si possono ricoprire: quando si è prettamente coach si guida e si dirige, talvolta

anche energicamente, l’atleta. In questi momenti rimane fondamentale l’empatia, ma

anche e soprattutto il ruolo di leader. Le vesti del counselor le si possono ricoprire nel

momento in cui ci sia una richiesta, implicita od esplicita, da parte dell’atleta, di

supporto alla soluzione di un malessere.

È evidente che in strutture più grandi il counselor potrebbe avere un ruolo ben distinto

(immagino ad esempio in società sportive di un certo livello come in Italia esistono

solamente nel mondo del calcio) e potrebbe occuparsi ad esempio anche del delicato

rapporto genitori/atleti, problema che molto spesso assilla l’ambito sportivo.

Per esperienza personale, viste le difficoltà economiche sociali ed in modo particolare lo

scarso giro di denaro che vi è nel mondo sportivo dilettantistico, sono convinto che le

figure del coach e del counselor possono essere ricoperta dalla stessa persona, fermo

restando la preparazione di quest’ultima in entrambi i campi.

Inoltre, come già premesso nel capitolo sul ruolo del counselor, quest’ultimo non è e

non deve assolutamente essere uno psicologo ed anzi sarà suo compito indirizzare atleti

con problemi seri e specifici verso questi specialisti.

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CONCLUSIONI

Al termine di questo mio breve saggio mi sono accorto che quanto scritto nella

introduzione e nel titolo, ovvero che intendevo descrivere un cammino, è assolutamente

vero.

È passato ormai quasi un anno dal primo canovaccio che preparai sulla mia moleskine e

di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia.

Sono passato da una visione se vogliamo molto “new age” che avevo prima di

frequentare questo corso ad una visione molto più scientifica e razionale. Le esperienze

in ambito sportivo di questi ultimi mesi mi hanno inoltre messo a diretto confronto con

quanto appreso e studiato sul counseling e soprattutto sull’evidenza dell’importanza del

“fattore” empatia.

Ho avuto modo di fare, inconsapevolmente dapprima e con più consapevolezza

successivamente, il counselor e di verificare quanto bisogno ci sia di un supporto

esterno da parte delle persone per la soluzione dei tanti piccoli problemi che affliggono

la vita di tutti i giorni. Soprattutto mi sono reso conto che esiste un vuoto tra il supporto

degli amici e quello di professionisti specialisti quali psicologi o psichiatri per il

sostegno alla soluzione dei sopracitati problemi e soprattutto dell’importanza

dell’ascolto “attivo”. Esiste pertanto uno spazio ed anche una ricerca di figure come il

counselor.

Nello stesso tempo ho verificato come il mercato in questo momento di crisi sia molto

difficile e l’idea di pagare un professionista per farsi aiutare, sia sempre

economicamente più complicato. Inoltre la normativa italiana su questo tipo di

professioni non è assolutamente chiara e potrebbe cambiare molto velocemente, per cui

se anche una persona avesse il coraggio di intraprendere questo tipo di carriera

dovrebbe comunque fare i conti anche con questi aspetti.

La vita mi ha però insegnato che le cose cambiano e il futuro è spesso ricco di sorprese,

molte volte mi è capitato di impegnarmi in situazioni che al momento non mi erano

chiarissime e che poi riviste successivamente si sono inquadrate in un percorso logico.

Questo corso mi ha sicuramente fornito degli strumenti nuovi che prima mi mancavano.

In primo luogo l’importanza di una visione e di un metodo scientifico per poter

raggiungere una conoscenza il più possibile oggettiva, affidabile e verificabile. Il

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verificare sempre le prove che supportano le diverse teorie che ci vengono propinate ci

aiuta ad essere persone più consapevoli e soprattutto ci dimostra che spesso crediamo in

ciò che più ci piace o ci si addice, ma che in realtà non si fonda su nessuna base

scientifica o dimostrabile.

In secondo luogo gli strumenti per essere counselor e l’esatta definizione del concetto di

empatia. Solamente tramite l’apprendimento degli strumenti si può mettere a frutto, se

presente in noi, il concetto di empatia.

In ultima analisi penso di poter dire di aver aggiunto un aspetto nuovo alla mia

personalità: counselor lo si può essere nella vita di tutti i giorni nel rapporto con le

persone con cui ci relazionamo.

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RINGRAZIAMENTI

Alla mamma, che mi ha messo al mondo con un fisico sano.

Al papà, che mi ha insegnato ad amare lo sport e a “non mollare mai” dandomene

l’esempio lottando fino alla fine contro la malattia che se l’è portato via.

A Matteo, perché essere padre mi ha fatto capire cosa vuol dire essere figlio.

A Marika, che sopporta la mia ricerca continua del Fabrizio che neanche io conosco.

Ad Elisa, che mi ha insegnato cosa vuol dire inseguire un obiettivo, a lottare per esso e a

raggiungerlo.

Alla mia Ex moglie, che mi ha insegnato che l’odio è un sentimento diretto che

necessita di essere esteriorizzato.

A Pietro, che mi ha iniziato al massaggio, compagno di sport e di vita.

A Sabrina, ed al metodo Grinberg, che mi hanno dato una spallata per muovermi e per

credere in me.

A Giancarla, per avermi prestato i suoi piedi e le sue emozioni nei miei studi di

reflessologia plantare.

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BIBLIOGRAFIA

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Correre

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Danon, Marcella (2000). Counseling. Milano: Red.

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Gadamer, Hans-Georg (1994). Dove si nasconde la salute. Milano: Raffaello Cortina

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May, Rollo (1991). L’arte del counseling. Roma: Casa editrice astrolabio, Ubaldi

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SITOGRAFIA

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http://www.anwi.it/

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociale:

http://www.lavoro.gov.it/Lavoro

Scuola Superiore di Counseling in Psicologia della Salute:

http://www.scuoladicounselingtorino.it/

World Cancer Research Fund Internationa:

http://www.wcrf.org/index.php