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INFN Sezione di Pavia Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica Università degli Studi di Pavia DOTTORATO DI RICERCA IN FISICA – XIX CICLO Un telescopio a rinculo di protoni per la spettroscopia neutronica Tesi di Franco Bocci per conseguire il titolo di DOTTORE DI RICERCA IN FISICA Supervisore interno: Prof. Giorgio Bendiscioli Supervisore esterno: Prof. Aldo Zenoni Supervisore esterno: Dr. Marco Cinausero Lettore: Dr. Vincenzo Paticchio

Un telescopio a rinculo di protoni per la spettroscopia ...siba.unipv.it/fisica/ScientificaActa/Tesi ottobre 2007/Bocci.pdf · Questa tesi non avrebbe davvero potuto essere scritta,

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INFN Sezione di Pavia

Dipartimento di Fisica Nucleare e

Teorica

Università degli Studi di Pavia

DOTTORATO DI RICERCA IN FISICA – XIX CICLO

Un telescopio a rinculo di protoniper la spettroscopia neutronica

Tesi di

Franco Bocci

per conseguire il titolo di

DOTTORE DI RICERCA IN FISICA

Supervisore interno: Prof. Giorgio Bendiscioli Supervisore esterno: Prof. Aldo Zenoni Supervisore esterno: Dr. Marco Cinausero Lettore: Dr. Vincenzo Paticchio

Copertina: Il telescopio a rinculo di protoni realizzato presso i La-boratori Nazionali di Legnaro dell’INFN.

Un telescopio a rinculo di protoni per la spettroscopia neutronica Franco Bocci Tesi di Dottorato – Università di Pavia Stampato a Pavia, Novembre 2007 ISBN 978-88-95767-01-7

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Prefazione

Adesso che sono giunto al termine di questa strana avventura, mi piace ri-percorrerne brevemente le tappe ed esplicitarne le motivazioni. Si tratta infatti di una scelta che ha radici più profonde di quanto potrebbe sembrare a prima vista.

Prologo remoto

Era il 1984. Stavo frequentando la Scuola di Perfezionamento in Fisica Atomica e Nucleare presso l’Università di Milano. Dopo la laurea, una volta smesso di fare politica, avevo voluto riavvicinarmi allo studio, e l’unica possibili-tà allora era la Scuola di Perfezionamento (il dottorato ancora non esisteva). La-voravo (insegnavo a Brescia) e avevo una famiglia (moglie e un figlio, Claudio), e la Scuola riuscivo a farla solo con ritmi che eufemisticamente si potrebbero defi-nire molto blandi. Quando è nato il mio secondo figlio, Paolo, in pratica ho dovu-to sospendere gli studi per quasi tre anni. Ma nell’84 ero riuscito a riprendere, e avevo iniziato a seguire un corso di fisica dei plasmi. Il testo di riferimento era “Introduction to Plasma Physics and Controlled Fusion”, di Francis F. Chen.

Di questo testo mi aveva incuriosito una strana dedica: “To the poet and the eternal scholar”. Qualche tempo dopo, ho visto in libreria la seconda edizione del libro e, siccome si trattava di un buon testo, me lo sono comprato. Nella se-conda edizione c’era la spiegazione della strana dedica: “…in regard to my cryptic dedication, I have good news and bad news. The bad news is that the poet (my father) has moved on to the land of the eternal song. The good news is that the eternal scholar (my mother) has finally achieved her goal, a Ph. D. at 72. The educational process is unending”.

Questa frase mi colpì. Mi affascinò l’idea che una signora di settant’anni, in un paese straniero, avesse avuto l’energia per affrontare un corso di studi im-pegnativo e la tenacia per portarlo fino alla conclusione. Ne trassi la conclusione che la linea della vita, se inevitabilmente è una parabola dal punto di vista fisico, può invece essere una linea ascendente con una certa continuità dal punto di vista intellettuale, se si conserva la voglia di imparare, la curiosità, la disponibilità a rimboccarsi le maniche e a rimettersi in discussione.

Apparentemente la cosa finì lì, con lo stupore di qualche minuto. Ma in realtà, anche se non me ne rendevo conto, un piccolo seme era entrato nella mia mente.

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Prologo prossimo

Quasi vent’anni dopo, nella primavera del 2002, mi trovavo a Baia Domi-zia, ad una riunione dei segretari di sezione dell’AIF (Associazione per l’Insegna-mento della Fisica). Ebbi l’occasione di scambiare qualche parola con Marisa Michelini, vice Rettore dell’Università di Udine, che mi spiegò che nella finanzia-ria del 2002 il governo Berlusconi (nei confronti del quale per altro non ho mai nutrito alcuna simpatia) aveva introdotto la possibilità, per tutti i dipendenti pub-blici, di frequentare il dottorato di ricerca usufruendo di un congedo per motivi di studio, mantenendo il posto di lavoro, la progressione di carriera e (condizione che costituiva la vera grossa novità e che per me era assolutamente indispensabi-le) lo stipendio. Dopo una fase di incredulità, fatte le verifiche del caso, ho accer-tato che le cose stavano proprio così, che non c’era sotto alcun inghippo, alcun trucco. Dopo quasi vent’anni, il piccolo seme che era rimasto inoperoso e inattivo nel mio cervello trovava, improvvisamente e insperatamente, le condizioni favo-revoli per germogliare.

Ma la scelta non era certo semplice. Un conto è ammirare il coraggio del-la signora Chen, un altro seguirne le orme. La proposta di Marisa Michelini era però una proposta allettante, perché l’Università di Udine aveva attivato un dot-torato in didattica della Fisica. E siccome di didattica della Fisica mi occupavo da trent’anni, nell’affrontare un dottorato di ricerca in questo settore mi sentivo tutto sommato abbastanza tranquillo.

Delle idee che mi ronzavano in testa parlai con Aldo Zenoni. Il quale, con mia sorpresa, non solo non tentò di dissuadermi, ma al contrario mi incoraggiò, e mi propose di fare il dottorato a Pavia, offrendosi di seguirmi per la tesi.

Il punto era però che il dottorato a Pavia non sarebbe stato in didattica della Fisica, ma in Fisica nucleare: il che fa una bella differenza! Se in un dotto-rato in didattica potevo pensare di sfruttare in qualche modo le mie competenze professionali, in un dottorato in nucleare avrei dovuto ricominciare praticamente da zero. Perché se è vero che nei trent’anni trascorsi dalla mia laurea avevo ap-profondito e ampliato notevolmente le mie conoscenze relative alla Fisica delle scuole medie superiori e del primo biennio universitario, è anche vero, d’altra parte, che non avevo più avuto l’occasione di occuparmi della fisica del secondo biennio, che avevo quindi abbondantemente dimenticato. In particolare, di Fisica nucleare non mi ero mai occupato nemmeno nei miei studi (se si eccettua un esa-me della Scuola di Perfezionamento). La mia tesi di laurea era in Fisica teorica, e quella della scuola di Perfezionamento era in astrofisica. In sostanza, dunque, un dottorato in nucleare avrebbe significato davvero “ritornare studente” a tutti gli effetti.

Però, una volta entrato nell’ordine di idee di affrontare un dottorato, ve-niva abbastanza naturalmente la voglia di fare un ulteriore passo, alzare la posta, e provare ad affrontare l’impegno di un dottorato in fisica nucleare. Si trattava, me ne rendevo ben conto, di una scelta molto impegnativa, di una scommessa ri-schiosa. Una eventuale decisione in questo senso aveva concrete possibilità di ri-

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velarsi una scelta velleitaria, una scelta di chi non sa misurare le proprie forze, di chi non sa stare al proprio posto, di chi non sa vedere o accettare i propri limiti, anagrafici ma anche di altra natura. C’era il rischio concreto di andare incontro ad un fallimento.

Di tutto questo, ripeto, ero ben consapevole. Ma d’altra parte le sfide mi hanno sempre affascinato, la voglia di mettermi in discussione non mi è mai man-cata. Un’eventuale sconfitta non mi spaventava più di tanto: sono convinto che le sconfitte, pur non essendo certo piacevoli, siano comunque qualcosa che fa parte della vita né più ne meno delle vittorie, e non bisogna vergognarsene.

A tutto questo occorre aggiungere, non lo nego, anche un’altra motivazio-ne: la stanchezza, il logoramento provocato da tanti anni di insegnamento; la vo-glia di staccare, di prendersi una pausa, un periodo sabbatico per rigenerarsi.

Insomma, una volta entrato in quest’ordine di idee, ci sprofondavo sempre più, tornare indietro era ormai molto difficile, e così decisi di buttarmi, tentando entrambe le opzioni: feci domanda di ammissione al dottorato sia a Pavia sia ad Udine.

Passai l’estate del 2003 a studiare per prepararmi all’esame di ammissio-ne.

Cronologicamente, lo scritto di Pavia era prima di quello di Udine. Mi presentai ed ebbi l’emozione di trovare tra i candidati un mio ex studente. Ebbi anche la fortuna di trovare, tra i temi, un paio su cui avevo qualcosa da dire (a priori, il rischio di alzarsi dopo cinque minuti e consegnare in bianco era tutt’altro che trascurabile!). Parlai dello scattering: trattai lo scattering alla Ru-therford, e riuscii ad arrivare fino in fondo.

Lo scritto di Udine cadeva lo stesso giorno dell’orale di Pavia. Se lo scrit-to di Pavia fosse andato male, chiaramente avrei disertato l’orale per andare ad Udine. Ma i risultati, una volta pubblicati, mi confermarono che lo scritto era an-dato bene, e così, in modo più o meno forzato dal caso, avvenne la scelta tra Pa-via ed Udine.

Il dottorato

Una volta ottenuta la conferma ufficiale che ero stato ammesso al dottora-to, chiesi e ottenni il congedo dalla scuola, nel gennaio 2004, ed iniziai la mia av-ventura. Non è stato facile seguire i corsi e dare gli esami con i tempi rigidi del dottorato, calibrati su studenti di venticinque anni. Scoprii ben presto che la dote che avevo perso di più era la resistenza allo studio: se a vent’anni riuscivo a pas-sare senza troppo sforzo diverse ore sui libri, a cinquantacinque dovevo conti-nuamente interrompere. Ma non ho mollato, e pian piano ho recuperato qualcosa anche su questo terreno.

Non è stato facile nemmeno recuperare quel tanto di conoscenze che mi servivano per affrontare gli studi. Quando iniziavo a studiare un argomento, mi accorgevo che dovevo andare a rivedere qualcosa a monte. Ma, facendo questo

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mi rendevo conto che dovevo recuperare qualcosa ancora più a monte, e così via: avevo quasi la sensazione – sgradevolissima – di un regresso interminabile. Pian piano però sono riuscito a trovare alcuni punti fermi da cui ripartire per procede-re in avanti.

Insomma, le difficoltà non sono certo mancate. Ma sono riuscito, sia pure sforando un po’ sui tempi previsti, a dare tutti gli esami. Ora che sono giunto al termine posso dire, con soddisfazione, che la scommessa è stata vinta, che ho di-mostrato a me stesso che la scelta non era poi così velleitaria.

Dal mio punto di vista il bilancio di questa esperienza è senz’altro molto positivo, e considero un privilegio l’aver avuto l’opportunità di viverla.

Ringraziamenti

Purtroppo i ringraziamenti non mancano mai in un lavoro di questo tipo, e così non è facile far capire come questi che sto per fare non siano assolutamente una tributo alla tradizione, ma siano invece qualcosa di completamente diverso. Questa tesi non avrebbe davvero potuto essere scritta, soprattutto nei tempi forza-ti in cui, per una serie di vicende, è stata scritta, se non ci fossero state molte per-sone che mi hanno dato una mano. Tra queste, quattro in particolare mi hanno aiutato davvero moltissimo, e vorrei qui ringraziarle di cuore. In ordine alfabeti-co sono: Marco Cinausero, Antonietta Donzella, Valentina Rizzi e Aldo Zenoni. Se questo lavoro ha qualche pregio, il merito è soprattutto loro.

Brescia, Novembre 2007

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Indice 1. Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei

neutroni 1.1. L’Energy Amplifier 1

1.2. L’adroterapia 3

1.3. La radioprotezione per gli equipaggi degli aerei 7

1.4. La diagnostica dei plasmi nucleari caldi 9

1.5. La produzione di fasci radioattivi 11

1.5.1. Possibili campi di utilizzo dei fasci radioattivi 15

2. Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni ve-loci2.1. Introduzione 21

2.2. Rivelatori di neutroni che utilizzano lo scattering 22

2.2.1. Dinamica dello scattering elastico 22

2.2.2. Distribuzione energetica dei nuclei di rinculo 24

2.2.3. Rivelatori a rinculo di protoni basati su scintillatori 25

2.2.4. Rivelatori a rinculo di protoni basati su contatori proporzionali a gas 28

2.3. Spettrometri basati sulla misura del tempo di volo 29

2.4. I “telescopi a rinculo di protoni” 30

2.4.1. Considerazioni generali 30

2.4.2. Alcuni esempi 32

3. Il progetto 3.1. Il progetto originario 41

3.2. Una stima semplificata delle prestazioni del progetto originario del PRT 44

3.2.1. L’intervallo di misura in energia del dispositivo 44

3.2.2. La risoluzione energetica 45

3.2.2.1. Il contributo angolare 46

vi

3.2.2.2. L’incertezza relativa dell’energia del protone 49

3.2.3. L’efficienza e la soglia energetica 53

3.2.3.1. La stima di pconv 53

3.2.3.2. La stima di psig 54

3.2.3.3. La stima dell’efficienza e della soglia 55

3.3. Valutazione delle prestazioni del PRT con il programma Monte Carlo 57

3.4. Le modifiche al progetto 64

3.5. Classificazione degli eventi acquisiti dal PRT nel nuovo progetto 67

3.6. Stima delle prestazioni del nuovo progetto del PRT 71

3.6.1. La stima della risoluzione energetica 72

3.6.1.1. Il contributo dello spessore del radiatore 72

3.6.1.2. Il contributo del CsI(Tl) 73

3.6.1.3. Il contributo della risoluzione finita dei rivelatori di tracciamento 73

3.6.2. La stima approssimata dell’efficienza del PRT 76

3.6.3. La stima dell’efficienza del PRT con il Monte Carlo 78

3.6.4. Alcuni risultati notevoli della simulazione Monte Carlo del PRT 79

Appendice Il legame ΔE – E per i silici 83

4. Costruzione, assemblaggio, test e calibrazione dei componenti 4.1. Lo schema del progetto 87

4.2. L’elettronica di acquisizione e il trigger 88

4.2.1. Gli scintillatori plastici 88

4.2.2. I rivelatori al silicio 90

4.2.3. Lo scintillatore allo ioduro di cesio 91

4.2.4. Il trigger di acquisizione 91

4.2.5. Il sistema di acquisizione e monitoraggio dei dati 92

4.3. Gli scintillatori plastici 95

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4.3.1. La lettura della x dal quinto piano 98

4.4. I rivelatori al silicio 104

4.4.1. Collaudo dei rivelatori al silicio e valutazione della risoluzione energetica 107

4.4.2. Calibrazione in energia dei rivelatori al silicio 109

4.5. Lo scintillatore allo ioduro di cesio 115

5. La presa dati su fascio e l’analisi dei dati 5.1. La presa dati su fascio ai Laboratori Nazionali del Sud

dell’INFN 117

5.2. Le fasi e la struttura del lavoro di analisi 121

5.3. La fase di preanalisi 123

5.3.1. L’eliminazione del rumore elettronico 123

5.3.2. Prima valutazione della coerenza dei dati e dell’uniformità di risposta dei rivelatori 127

5.3.2.1. Gli scintillatori plastici 127

5.3.2.2. I rivelatori al silicio 130

5.3.3. Valutazione dell’efficienza dei singoli piani di scintillatori 133

5.3.4. Correlazione tra i rilasci energetici nei due rivelatori al silicio 134

5.3.5. Calibrazione in energia dello scintillatore CsI(Tl) 138

5.4. La ricostruzione della traccia 149

5.5. La ricostruzione dell’energia del protone 155

6. Conclusioni e prospettive 6.1. Le fasi del lavoro svolto 161

6.2. Un bilancio dell’attività 162

6.2.1. Le problematiche costruttive e tecnologiche 163

6.2.2. Lo scintillatore al CsI(Tl) 166

6.2.3. L’analisi dei dati 167

6.3. La stima della produzione di neutroni nella reazione 13C(d,n) a 40 MeV 169

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Capitolo 1Applicazioni scientifiche e tecnologi-che della fisica dei neutroni

Da qualche anno a questa parte sta crescendo in molti campi l’interesse per la misura di spettri di neutroni nell’intervallo di energia che va da qualche MeV a qualche centinaio di MeV. In molti settori infatti, sia di fisica fondamentale sia di ricerca applicata, si sente l’esigenza di avere a disposizione dati affidabili sull’interazione tra neutroni e materia a queste energie, dati che finora sono molto scarsi. Prenderemo in esame alcuni esempi particolarmente significativi.

1.1. L’Energy Amplifier

Un primo esempio possiamo trovarlo nel settore energetico. Rubbia e col-laboratori hanno proposto, una quindicina d’anni fa, una centrale nucleare di nuo-va concezione [1, 2]. I progressi nella tecnologia degli acceleratori di particelle rendono possibile usare un acceleratore di protoni per trasmutare in maniera effi-cace le scorie nucleari. La centrale proposta da Rubbia, denominata Energy Am-plifier, (EA) è un reattore a neutroni veloci, mantenuto ad un livello subcritico, e alimentato da un acceleratore di protoni. Una caratteristica particolarmente inte-ressante dell’EA è che consente di incenerire, mediante fissione, gli elementi tran-suranici e alcuni dei frammenti di fissione, che costituiscono rispettivamente l’1.1% e il 4% delle scorie nucleari prodotte da una centrale convenzionale.

Il principio di funzionamento dell’EA, molto schematicamente, si può così descrivere. Un fascio di protoni da 1 GeV, con una corrente tra i 10 e i 20 mA, viene inviato su un serbatoio contenente circa 107 kg di piombo fuso (in altre ver-sioni della proposta, di piombo e bismuto). Il piombo assolve a diverse funzioni: produce neutroni per spallazione, li modera, contiene le radiazioni ed infine estrae il calore prodotto. Quest’ultimo, come è noto, è un punto fondamentale per la si-curezza intrinseca di una centrale, ed è importante notare che l’estrazione del calo-re avviene per convezione, senza la presenza di pompe o altri dispositivi soggetti a

Capitolo 1.

2

possibili guasti.

La scelta del piombo consente di ottenere neutroni con uno spettro molto duro, che hanno la più alta probabilità di indurre la fissione negli elementi transu-ranici. Per di più, i neutroni energetici hanno una bassa probabilità di essere as-sorbiti dai frammenti di fissione. Poiché questo processo di cattura è uno di quelli che più contribuiscono ad avvelenare la reazione a catena in una centrale conven-zionale, si pensa in questo modo di riuscire a bruciare il combustibile nucleare con un’efficienza molto più alta.

Il combustibile nucleare sarebbe costituito da torio unito a scorie nucleari (elementi transuranici) provenienti da centrali nucleari convenzionali o da prece-denti cicli produttivi della stessa centrale. Di per sé il torio non subisce la fissione, ma, assorbendo un neutrone, il 232Th si trasforma in 233U, che è fissile. Il torio è abbondante nella crosta terrestre (almeno cinque volte più dell’uranio), inoltre è isotopicamente puro, e quindi non è necessario il processo di arricchimento, che presenta non pochi problemi, quali la notevole complessità intrinseca e il rischio di utilizzo della tecnologia per scopi militari. La purezza isotopica del torio con-sente anche di sfruttarlo completamente, e non solo in piccola parte come accade per l’uranio. Si prevede che la potenza ottenuta da 780 kg di torio sia grosso modo la stessa di quella ricavata da 200 tonnellate di uranio in una centrale nucleare convenzionale ad acqua pressurizzata (PWR). Infine, il torio deve catturare in media ben cinque neutroni prima di trasformarsi in un elemento transuranico: questo assicura che l’EA può lavorare in modo da distruggere più scorie di quante ne produce. E inoltre, gli elementi transuranici presenti nel combustibile esaurito al termine di un ciclo produttivo vengono estratti e reimmessi nel successivo cari-co di combustibile.

Come già detto, l’energy amplifier è mantenuto ad un livello leggermente subcritico (il coefficiente di moltiplicazione proposto è k = 0.98): questo costitui-sce un evidente elemento di sicurezza intrinseca del reattore. La reazione a catena non si autoalimenta, ma è mantenuta in vita dai neutroni prodotti dal fascio di pro-toni, la cui intensità controlla la potenza prodotta dal reattore. La figura 1 illustra lo schema complessivo dell’impianto proposto.

La distribuzione dei neutroni all’interno dell’EA è determinata essenzial-mente dalla geometria, e differisce in modo sostanziale da quella dei reattori con-venzionali. In questi ultimi, le energie dei neutroni arrivano fino a qualche MeV, e la diagnostica neutronica è basata di solito su tecniche di attivazione e su camere a ionizzazione a fissione. Nei reattori alimentati da acceleratori, lo spettro dei neu-troni si estende fino all’energia del fascio incidente, ovvero fino a qualche centi-naio di MeV o addirittura fino al GeV. Queste energie così alte richiedono una diagnostica con tecniche di misura finora non usate nei reattori.

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

3

Figura 1 Schema dell’Energy Amplifier.

Queste misure sono connesse soprattutto alla sicurezza e alla validazione del sistema. Monitorare i neutroni provenienti dal nocciolo del reattore può servire a controllare la posizione di impatto del fascio primario di protoni sul bersaglio. Inoltre, può essere utile per rivelare variazioni di densità nel bersaglio di piombo: questo è di vitale importanza per tenere sotto controllo eventuali variazioni di temperatura [3].

In definitiva, conoscere bene la distribuzione energetica dei neutroni in un reattore alimentato da un acceleratore è di fondamentale importanza per determi-nare la potenza prodotta e per fare in modo che il combustibile venga bruciato u-niformemente. Il problema è stato studiato da Rubbia e collaboratori sia in modo analitico sia con una simulazione Monte Carlo. Per questo e per molti altri motivi sono necessari nuovi dati sull’interazione dei neutroni nell’intervallo di energia tra 20 MeV e qualche centinaio di MeV.

1.2. L’adroterapia

Un altro esempio è costituito dalla cosiddetta adroterapia, cioè il tratta-mento di tumori mediante fasci di neutroni, protoni e ioni: questo aspetto è diven-tato di particolare interesse negli ultimi anni e anche in Italia si stanno facendo grossi investimenti in questo settore di ricerca. A Catania, presso i Laboratori Na-zionali del Sud (LNS) dell’INFN, è in funzione dal 2002 il Centro di AdroTerapia e Applicazioni Nucleari Avanzate (CATANA) che si avvale di un fascio di proto-ni da 62 MeV fornito dal ciclotrone superconduttore dei LNS per il trattamento di tumori all’occhio.

A Pavia è in costruzione il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO), voluto dal Ministero della Salute, che sarà il primo centro ospedaliero in

Capitolo 1.

4

Italia espressamente dedicato al trattamento dei tumori mediante l’adroterapia. Il CNAO si prefigge lo scopo di curare i pazienti affetti da tumori solidi mediante l'uso di fasci di protoni e ioni carbonio. Nello stesso tempo effettuerà ricerca scientifica per individuare strumenti sempre più efficaci nella lotta contro il can-cro.

In altri termini, il CNAO opererà a due livelli: presterà assistenza medica diretta ai malati di cancro e farà ricerca clinica e radiobiologia. A livello tecnolo-gico il CNAO sarà dotato di un sincrotrone in grado di accelerare sia protoni sia ioni carbonio ad energie sino a 250 MeV per i protoni e 400 MeV per nucleone per gli ioni carbonio.

L’adroterapia è stata proposta per la prima volta da Robert R. Wilson nel 1946. Si basa sulla considerazione che, sfruttando le caratteristiche del deposito di energia degli adroni carichi nella materia, è possibile rilasciare dosi elevate di ra-diazioni in tumori profondi, limitando, al tempo stesso, la dose depositata nei tes-suti sani circostanti.

Protoni e ioni carbonio offrono condizioni favorevoli per il trattamento di tumori profondi e localizzati, a causa delle loro proprietà fisiche e biologiche. Il loro profilo di dose è, a differenza di quello dei fotoni, invertito, nel senso che il massimo della dose è depositato alla fine del percorso della particella, in quello che viene chiamato “picco di Bragg” (v. Figura 2)

A causa del picco di Bragg e del basso livello di diffusione laterale degli adroni, è possibile confinare la dose di radiazione nel tessuto bersaglio del tumore con una precisione molto maggiore rispetto alla radioterapia convenzionale con raggi X o elettroni. L’adroterapia risulta perciò particolarmente adatta per i tumori dell’occhio, del cervello, delle ghiandole salivari, della spina dorsale, per alcuni tumori della prostata e dell’utero, e in generale per tutti i tumori situati in prossi-mità di un organo critico, che deve essere preservato dalle radiazioni.

Il punto critico è che il fascio primario di ioni, penetrando all’interno del-l’organismo, dà luogo a reazioni nucleari che producono un flusso di particelle se-condarie, tra cui neutroni veloci, che ovviamente contribuiscono alla dose rilascia-ta al paziente. Per poter calcolare la dose effettiva rilasciata in un certo tratto di tessuto bisogna comprendere il processo di produzione di frammenti secondari sull’intero intervallo di energia dei proiettili, e il susseguente trasporto di particel-le cariche e neutroni [4].

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

5

Figura 2 Curva di Bragg per ioni di 12C da 200 MeV⋅A in acqua. I da-ti sperimentali sono in rosso, insieme ad un fit ottenuto con una simu-lazione Monte Carlo. Sono anche mostrati separatamente i contributi (calcolati) degli ioni primari e dei frammenti. La figura in basso mo-stra un ingrandimento della dose rilasciata nella coda a destra del pic-

co di Bragg (da [4]).

Schardt e collaboratori [5] hanno investigato l’emissione di frammenti se-condari da un fascio di ioni carbonio di 200 MeV⋅A usando un bersaglio di acqua spesso 12.78 cm, per simulare un tessuto umano. Sono stati analizzati gli spettri energetici, le distribuzioni angolari e il rendimento nella produzione di neutroni veloci e di particelle cariche a valle dell’assorbitore. Si è trovato che per ogni ione di 12C vengono prodotti in media 0.54 neutroni (En > 10 MeV).

Capitolo 1.

6

Figura 3 In alto: spettri energetici di neutroni a vari angoli. Le linee continue rappresentano simulazioni Monte Carlo. La freccia indica

l’energia per nucleone del fascio primario. In basso: distribuzioni an-golari di neutroni e frammenti carichi (normalizzati rispetto al valore a

0°) ottenuti integrando gli spettri energetici (da [5]).

Nella Figura 3 vengono riportati gli spettri energetici e le distribuzioni an-golari dei neutroni che emergono dal bersaglio. Si nota che i neutroni vengono emessi prevalentemente in avanti e che tra 0° e 30° una frazione significativa di neutroni possiede un’energia maggiore di 200 MeV.

Sulla produzione di particelle secondarie (e in particolare di neutroni) in un fascio che penetra in un tessuto umano, i dati sperimentali sono a tutt’oggi scarsi, e una campagna di misure sarebbe senz’altro auspicabile.

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

7

1.3. La radioprotezione per gli equipaggi degli aerei

Un terzo esempio è costituito dall’esigenza di sviluppare metodi dosime-trici per quelle categorie di lavoratori professionalmente esposti a radiazioni io-nizzanti, quali ad esempio il personale che lavora presso gli acceleratori, ma anche gli equipaggi delle navette spaziali e degli aerei civili (si vedano, ad esempio, [6], [7] e [8]).

Infatti, la dose media di radiazioni assorbita dagli equipaggi degli aerei ci-vili può avvicinarsi a quella di altri lavoratori professionalmente esposti alle ra-diazioni, o anche superarla. Il campo di radiazioni a cui vengono esposti gli equi-paggi è molto complicato, e coinvolge un insieme di diversi tipi di radiazione, con energie diverse da quelle a cui sono sottoposte altre categorie di lavoratori al livel-lo del suolo. Per di più, la dose assorbita varia con la quota, con la latitudine geo-magnetica e con la fase del ciclo solare. Tutti questi fattori hanno messo in evi-denza la necessità di investigare in maniera sistematica il campo di radiazioni alle quote normalmente utilizzate dagli aerei civili. Questa necessità è stata recepita dalla direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio dell’Unione Europea, che ha in-cluso la radiazione cosmica tra le fonti di esposizione professionale.

Le due principali sorgenti di radiazioni in quota sono: particelle energeti-che (prevalentemente protoni) che hanno origine fuori dal sistema solare e parti-celle che vengono emesse dal Sole (vento solare) durante i brillamenti (flares) e le eruzioni coronali. La radiazione di origine galattica ha un’intensità che è sostan-zialmente costante nel tempo e una distribuzione spaziale isotropa. È composta per un 98% da barioni e per un 2% da elettroni. La componente barionica è costi-tuita per l’85% da protoni, per il 14% da particelle alfa, e per l’1% circa da nuclei più pesanti. Si osservano particelle con energie fino a 1018 eV.

La radiazione di origine solare è costituita principalmente da protoni, con qualche alfa e pochi nuclei pesanti. Le energie arrivano fino a qualche GeV. Que-ste particelle, essendo di energia inferiore, vengono deflesse dal campo magnetico terrestre e ne seguono le linee (il comportamento di una particella carica in un campo magnetico è controllato sostanzialmente dalla sua rigidità magnetica, che è il rapporto tra quantità di moto e carica elettrica). Inoltre, dal punto di vista tem-porale, seguono l’andamento undecennale del ciclo solare.

Una particella che penetra nell’atmosfera perde gran parte della sua ener-gia per ionizzazione delle molecole dell’aria, ma, se è molto energetica, può anche dar luogo ad una reazione nucleare. A causa della frammentazione il numero di particelle con alto numero atomico decresce rapidamente con il decrescere della quota. Dopo 40 g/cm2 praticamente soltanto i protoni sono responsabili della pro-duzione di particelle secondarie nell’atmosfera. La particella primaria e quelle se-condarie producono un numero enorme (fino a qualche milione) di particelle: elet-troni, fotoni, adroni e muoni.

Capitolo 1.

8

Figura 4 Rappresentazione schematica della produzione di particelle in uno sciame atmosferico.

Si genera in questo modo una cascata (sciame, schematizzato in Figura 4) formata da milioni di particelle che penetrano via via sempre più in basso nell’atmosfera. Il numero di particelle aumenta sensibilmente tra i 50 e i 20 km di altezza; al di sotto di questa quota l’assorbimento comincia a prevalere sulla pro-duzione e lo sciame si indebolisce, come illustrato in figura 5.

Anche se i neutroni non sono praticamente presenti nei raggi cosmici pri-mari, essi possono venire prodotti da reazioni nucleari di spallazione con le mole-cole dell’atmosfera o della fusoliera degli aerei, e perciò contribuiscono alla dose assorbita dagli equipaggi (e dai passeggeri).

Si sono avviate campagne di misura per monitorare l’esposizione alle ra-diazione del personale dell’aviazione civile. I risultati delle misure vengono poi confrontati con i calcoli dei programmi di simulazione. Si possono usare due tipi di strumenti: elettronici, che possono mostrare e/o registrare il tasso di dose in funzione del tempo, e passivi che registrano in maniera permanente il passaggio delle radiazioni e vengono analizzati al termine del volo (o dopo un certo numero di ore di volo). Alcuni rivelatori sono sensibili solo ad una parte delle radiazioni presenti a bordo di un aereo. In ogni caso, tutti gli strumenti devono essere cali-brati con la massima accuratezza.

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

9

Figura 5 Andamento della ionizzazione con la profondità in uno sciame.

1.4. La diagnostica dei plasmi nucleari caldi

Un quarto esempio è rappresentato dall’esigenza di diagnosticare plasmi caldi nella ricerca sulla fusione nucleare [9, 10]. Gli studi attuali sulla fusione nu-cleare sono indirizzati prevalentemente alla produzione di un plasma caldo di deu-terio e trizio (DT) in un grande reattore toroidale (tokamak). In Europa, è in fun-zione dal 1983, a Culham, vicino Oxford, il JET (Joint European Torus), a tut-t’oggi il più grande reattore sperimentale a fusione esistente. Sfruttando l’espe-rienza acquisita con JET, è stata programmata la costruzione di un reattore più grande, ITER, acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor (ma usato anche nel significato latino del termine). ITER verrà costruito a Cara-dache, nel sud della Francia, da un consorzio di Unione Europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti, India e Corea del Sud. Il costo previsto è di 10 miliardi di euro. Il progetto finale è ancora in fase di elaborazione.

Il reattore a fusione ITER è una sperimentazione che si propone di dimo-strare la fattibilità scientifica e tecnologica della produzione di energia mediante fusione nucleare. ITER sarà ancora un reattore sperimentale, ma in esso verranno testate alcune soluzioni tecnologiche necessarie per le future centrali elettriche a fusione. Il nocciolo di ITER è un tokamak superconduttore molto simile a quello di JET, ma con dimensioni lineari due volte maggiori come si può notare dalla Fi-gura 6 in cui vengono riportati in scala i due reattori.

Capitolo 1.

10

Figura 6 JET e ITER.

In un reattore a fusione, si produce un’enorme quantità di neutroni princi-palmente attraverso le reazioni:

d + d � 3He + n (2.5 MeV)

d + t � α + n (14.1 MeV)

t + t � 4He + 2n

(l’energia tra parentesi è quella dei neutroni, non quella complessiva della reazio-ne).

Mentre i nuclei di elio restano nel plasma e lo scaldano, i neutroni lo la-sciano, e depositano la loro energia nei vari strati dei “recipienti” che confinano il plasma (vengono usati anche per produrre trizio e rigenerare il plasma).

È molto importante perciò una diagnostica sistematica basata su misure di neutroni perché i neutroni possono lasciare indisturbati il plasma e quindi ci danno informazioni fondamentali anche sulle regioni più interne, quali quelle sul com-portamento degli ioni-combustibile e sulla potenza sviluppata nella fusione. In particolare, ci si aspetta che da una spettrometria neutronica con un’alta risoluzio-ne energetica si possano ricavare molti utili parametri, come la velocità rotaziona-le del plasma, la temperatura e la densità degli ioni, ecc.

Le difficoltà sperimentali sono rilevanti: un’intensa contaminazione da ra-diazioni X e γ, la presenza di forti campi magnetici e di correnti, la vicinanza di potenti sorgenti di onde elettromagnetiche ad alta frequenza e di alimentatori, un’alta temperatura. Inoltre, è richiesta una risoluzione temporale dell’ordine del

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

11

millisecondo. La tabella seguente (tratta da [11]) mostra i rivelatori che vengono utilizzati in JET e che si pensa di utilizzare in ITER.

1.5. La produzione di fasci radioattivi

Infine, una conoscenza più precisa delle sezioni d’urto per la produzione di neutroni sarebbe di grande utilità per la produzione di fasci radioattivi per la ricer-ca pura e applicata.

Sono stati proposti finora due metodi principali per produrre fasci radioat-tivi. Sono comunemente noti come Isotope Separation On Line (ISOL) e in volo (v. Fig. 7).

Nel metodo ISOL, prima si producono i nuclei radioattivi facendo incidere un fascio primario su un bersaglio spesso, poi li si estrae sotto forma di ioni, li si seleziona in massa mediante uno spettrometro e li si riaccelera fino all’energia ri-chiesta per l’esperimento.

Nel metodo in volo, un fascio di ioni pesanti ad alta energia viene inviato su un bersaglio sottile. L’interazione coi nuclei del bersaglio dà luogo a frammen-tazione, e i nuclei prodotti lasciano il bersaglio con velocità simili a quella del proiettile. In questo modo si produce una miscela di molte diverse specie che, a-vendo una grande velocità, non devono essere ulteriormente accelerate prima di essere inviate sul secondo bersaglio. Lungo il percorso verso il bersaglio, i prodot-ti di reazione possono essere identificati in massa, carica e momento in uno spet-trometro. In questo modo non si produce un fascio puro, ma si identifica ciascuno ione, e le reazioni secondarie vengono studiate evento per evento. Tale metodo è adottato nel progetto FAIR al GSI di Darmstadt, Germania

Capitolo 1.

12

Figura 7 I due metodi di produzione di fasci radioattivi.

Il metodo ISOL e quello in volo sono complementari sotto molti punti di vista. Con il primo si possono produrre fasci di alta qualità, confrontabile con quella dei fasci stabili. L’intensità dei fasci prodotti varia considerevolmente in funzione: a) della specie chimica, e b) della vita media. La specie chimica in-fluenza l’efficienza di ionizzazione e determina la scelta della tecnica più oppor-tuna ad ottenerla, mentre la vita media è il parametro che determina la possibilità di estrarre dal sistema bersaglio-sorgente il particolare isotopo. Infatti questo me-todo si basa sulla diffusione e sull’effusione degli atomi radioattivi nel bersaglio, che viene mantenuto ad alta temperatura (≈ 2300 K) per velocizzare il processo. Questi processi si svolgono con una velocità che può variare molto. Per le specie nucleari a corta vita media (dell’ordine del millisecondo o meno), questo è spesso il fattore che limita l’intensità, poiché gli atomi decadono prima di raggiungere il bersaglio finale.

Nel metodo in volo, invece, si possono produrre tutte le specie chimiche con vite medie superiori a circa 150 ns, il tempo di transito attraverso il separatore di frammenti. I principali punti critici di questo metodo sono: a) il fatto che i fasci prodotti sono deboli; b) il fatto che le specie non vengono separate fisicamente: gli ioni vengono semplicemente “etichettati” elettronicamente in base alla loro massa, carica e momento; c) il fatto che i fasci prodotti hanno una bassa qualità in quanto a risoluzione in energia e focalizzazione.

Il metodo ISOL, a sua volta, può essere tecnicamente realizzato in due modi diversi, che indicheremo come metodo “ad una fase” e “a due fasi”.

Il metodo ad una fase prevede che il fascio primario (ad es. protoni) induca

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

13

direttamente la fissione su un bersaglio di uranio. Questo è il metodo usato nelle strutture per fasci radioattivi attualmente esistenti (Holifield RIB Facility a Oak Ridge, ISOLDE al CERN, EXCYT ai LNS di Catania). Questo metodo ha il pro-blema di non poter superare un certo limite nell’intensità di corrente del fascio primario, e di conseguenza nel tasso di fissioni che si possono produrre, perché altrimenti l’energia depositata dal fascio sul bersaglio di produzione lo farebbe fondere. Ad esempio, ad Oak Ridge non si possono produrre più di 1011 fissioni al secondo.

I progetti attualmente in fase di progettazione o di realizzazione stanno cercando di superare questa limitazione sia migliorando il bersaglio di produzione in modo che riesca a sostenere intensità di fascio più alte (almeno di un ordine di grandezza, v. ad es. il progetto SPES a Legnaro), sia introducendo il metodo a due fasi. In quest’ultimo, un fascio di protoni o deutoni, ad alta intensità (≥ 5 mA), viene inviato su un bersaglio, sufficientemente spesso da arrestare completamente il fascio e i prodotti di reazione carichi. Dal bersaglio escono quindi soltanto raggi gamma e neutroni. Questi ultimi vengono inviati su un bersaglio di carburo di u-ranio in cui inducono la fissione. Tale soluzione è stata adottata ad esempio nel progetto francese SPIRAL2, da realizzarsi al laboratorio GANIL, in cui il fascio primario sarà costituito da deutoni di 40 MeV. Inoltre, il metodo a due fasi è preso in considerazione dal progetto europeo EURISOL per una facility di fasci radioat-tivi di terza generazione in cui il fascio primario sarà costituito da protoni da 1 GeV e avrà un’intensità di 5 mA.

Il tipo di prodotti di fissione generati dipende dallo spettro energetico dei neutroni incidenti: neutroni lenti producono nuclei con una distribuzione in massa caratterizzata dalla presenza di una profonda valle in corrispondenza di prodotti di ugual massa (A ≈ 120), mentre neutroni più energetici hanno una più alta sezione d’urto per la fissione e la distribuzione in massa dei prodotti di fissione non pre-senta la valle descritta più sopra (v. Fig.8). Inoltre vengono anche prodotti nuclei più leggeri e nuclei più pesanti rispetto a quelli prodotti con neutroni lenti.

Lo spettro dei neutroni veloci dev’essere studiato per vari proiettili, ener-gie e tipi di bersaglio. Il berillio è il miglior emettitore, in termini di rapporto tra numero di neutroni prodotti e numero di proiettili incidenti, ma alcune sue caratte-ristiche (basso punto di fusione, tossicità) ne sconsigliano l’uso. Per questo moti-vo sono stati proposti altri bersagli, come il carbonio (sotto forma di grafite), in grado di lavorare anche ad alte temperature (è immediato verificare che, detta E l’energia dei protoni, e i l’intensità di corrente, la potenza immessa dal fascio nel bersaglio risulta Ei/e e dunque, ad esempio, per un fascio di 5 mA di protoni da 100 MeV, la potenza è 500 kW).

Capitolo 1.

14

Figura 8 Sezioni d’urto per la fissione dell’Uranio mediante neutroni creati facendo incidere protoni da 55 MeV su 13C e deutoni da

50 MeV su 12C. Le linee tratteggiate sono un’indicazione delle distri-buzioni di massa per neutroni monoenergetici. Le energie sono in

MeV [12].

Recenti studi stanno valutando la produzione di neutroni usando come ber-saglio grafite arricchita (fino all’85%) in 13C. Alyakrinskiy et al. [13] hanno misu-rato il rendimento nella produzione di neutroni da parte di un bersaglio spesso ar-ricchito all’82% in 13C irraggiato con protoni da 90 MeV. Il risultato trovato (v. Fig. 9) è che questo bersaglio, in queste condizioni, produce in pratica lo stesso numero di neutroni rispetto ad un bersaglio di carbonio naturale irraggiato con protoni da 113 MeV.

Il risultato ottenuto da Alyakrinskiy et al. appare in contraddizione con quanto ottenuto in precedenza, in un altro esperimento, da Radivojevic et al. [14] irraggiando un bersaglio di 13C con protoni da 30 MeV, in quanto il rapporto tra neutroni prodotti e protoni incidenti è molto simile nei due casi, mentre ci si a-spetterebbe una dipendenza abbastanza netta dall’energia. D’altra parte, però, i da-ti di Alyakrinskiy et al. sono in accordo con altre misure effettuate da Leleux et al. [15], per cui l’ipotesi che al momento appare più probabile è che la produzione di neutroni a 30 MeV sia stata sovrastimata.

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

15

(a)

(d)

(d)

Figura 9 Distribuzione dei neutroni (al di sopra di 5 MeV) prodotti da un bersaglio spesso di 13C irraggiato con protoni da 90 MeV (linea

continua), in funzione dell’angolo. Per confronto sono riportati i risul-tati di altri esperimenti, condotti con altri bersagli ad altre energie

(curve tratteggiate) [15]

1.5.1. Possibili campi di utilizzo dei fasci radioattivi

Sono molteplici i settori che potrebbero trarre benefici dall’utilizzo di fasci radioattivi, sia applicativi sia di fisica fondamentale.

Fasci di ioni stabili sono già in uso in molti settori dell’industria e in medi-cina. In ciascuno di questi i fasci radioattivi possono espandere notevolmente le possibilità di utilizzo. Ci sono diversi motivi per questo, in particolare il fatto che i fasci radioattivi offrono un’ampia scelta di vite medie, tipi di decadimento ed e-nergie.

Nella scienza dei materiali, l’uso dei fasci radioattivi a bassa energia (E < 400 keV) può essere utile soprattutto negli studi sulla tecnica dell’impiantazione. Questa tecnica viene utilizzata in particolare nel drogaggio dei semiconduttori, ma anche in tribologia (studio di fenomeni superficiali come attrito ed usura). L’impiantazione di uno ione radioattivo consente di collocare una sonda in un ma-teriale per studiare l’ambiente circostante. Le informazioni vengono trasmesse all’esterno mediante le caratteristiche del decadimento dello ione. Le proprietà ca-ratteristiche di un materiale sono il risultato non soltanto della sua struttura cristal-lina, ma anche della presenza di difetti e impurità. In particolare, per il silicio, la riduzione delle dimensioni dei dispositivi elettronici rende necessario controllare

Capitolo 1.

16

la presenza di impurità e difetti fino a concentrazioni molto basse (< 10−10 cm−3).

Per studiare in dettaglio l’effetto di queste alterazioni del reticolo, gli ioni radioattivi costituiscono una sonda ideale. Infatti, usando nuclidi con vite medie corte, è sufficiente impiantare una piccola quantità di ioni, rendendo così trascu-rabile l’alterazione della struttura del materiale.

La possibilità di variare l’energia e l’intensità del fascio può essere sfrutta-ta per controllare la profondità (in particolare, si può anche realizzare un prefissa-to profilo di profondità), l’intensità e la collocazione dell’impiantazione.

Inoltre, quando un nucleo radioattivo decade, cambia la specie chimica, e di conseguenza, con questa tecnica, si possono introdurre cambiamenti nel tempo della composizione chimica di un campione. Ad esempio, talvolta è impossibile impiantare un dato isotopo in un certo reticolo a causa di incompatibilità chimica. Usando i fasci radioattivi, si può risolvere questo problema impiantando un pro-genitore del nuclide desiderato.

Il decadimento di ioni radioattivi è stato usato in molti studi di tribologia. Ad esempio, un sottile strato della superficie degli anelli di un pistone di un moto-re a scoppio è stato attivato con un bombardamento diretto di protoni a bassa e-nergia, producendo il 60Co (con vita media 111 giorni). L’usura degli anelli può essere monitorata registrando la radiazione caratteristica del 60Co nel filtro dell’olio. Tecniche analoghe sono state adottate per studi su materiali plastici e ce-ramici. La grande varietà di nuclidi che è possibile produrre con i fasci radioattivi consente di estendere queste metodiche a molti altri materiali e applicazioni.

In medicina nucleare l’uso di isotopi radioattivi è largamente diffuso. Nel-la maggior parte dei casi questi isotopi vengono prodotti in reattori o piccoli acce-leratori. L’avvento dei fasci radioattivi dovrebbe consentire di avere una varietà molto più ampia di nuclidi isotopicamente puri, in particolare di emettitori alfa di massa intermedia. Attualmente sono disponibili solo pochi isotopi alfa-instabili, molto leggeri o molto pesanti.

La tomografia ad emissione di positroni (PET) è una tecnica largamente usata, in cui un nuclide emettitore di positroni (il più usato è il 18F) viene introdot-to in un tessuto biologico, inserito in una molecola attiva a livello metabolico. Il positrone emesso dal radionuclide si annichila con un elettrone dell’ambiente cir-costante, emettendo una coppia di fotoni da 511 keV in direzioni opposte. La rive-lazione di questi fotoni in coincidenza può essere usata per individuare con preci-sione la posizione in cui è avvenuto il decadimento.

Attualmente la PET è soprattutto uno strumento diagnostico (in oncologia, per avere rappresentazioni dei tumori, per la ricerca di metastasi e per la verifica della risposta ad una terapia), e di studio (è stata usata ad esempio per studiare il flusso sanguigno, il metabolismo del glucosio, l’utilizzazione di aminoacidi e i ri-cettori di neurotrasmettitori). Ad esempio, il 18F, già citato, viene inserito in una molecola di fluorodeossiglucosio (C6H11FO5, un analogo del glucosio, C6H12O6) che ci dà informazioni sul tasso di metabolismo del glucosio. Poiché le cellule

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

17

tumorali generalmente metabolizzano molto glucosio, questa molecola è anche un buon tracciante dei tumori.

È chiaro che sarebbe molto utile avere a disposizione una vasta gamma di isotopi di varie specie chimiche. Spesso, l’isotopo emettitore di positroni che inte-resserebbe introdurre nel paziente ha una vita media troppo corta: ad esempio, tra gli isotopi del fosforo che emettono di positroni, quello più longevo è il 30P, che ha una vita media di solo 150 s. Però l’arsenico ha proprietà chimiche simili al fo-sforo, e alcuni isotopi dell’arsenico, emettitori di positroni, hanno vite medie dell’ordine di qualche ora, e potrebbero essere prodotti con la tecnica dei fasci ra-dioattivi.

Anche per l’adroterapia l’uso di fasci radioattivi potrebbe essere utile. È stato proposto di utilizzare un fascio primario di ioni beta instabili come 9C e 8B: questi, successivamente al decadimento, emettono protoni o particelle alfa. Questo porterebbe ad un doppio irraggiamento del tumore, prima per effetto del fascio primario e successivamente per la radiazione emessa nel decadimento della parti-cella già impiantata nella regione tumorale. In questo modo si potrebbe migliorare il rapporto benefici/costi del trattamento, aumentando il rapporto tra la dose rila-sciata al tessuto malato e quella depositata nei tessuti sani circostanti. Attualmen-te, il maggior limite di questa proposta sembra essere la bassa intensità dei fasci radioattivi, ma con il progresso degli acceleratori dovrebbe essere possibile avere a disposizione in un futuro non lontano fasci di intensità sufficiente.

Per quanto riguarda la ricerca fondamentale, una delle prospettive più promettenti dell’impiego dei fasci radioattivi è costituita dalla possibilità di esplo-rare i limiti di esistenza dei nuclei. Facendo riferimento alla carta dei nuclidi (v. Figura 10), possiamo dire di conoscere abbastanza bene la valle di stabilità e il “versante” corrispondente ai nuclidi ricchi di protoni.

Molto meno bene invece conosciamo l’altro versante, cioè quello corri-spondente ai nuclidi ricchi di neutroni. Previsioni teoriche ci dicono ad esempio che in questa regione dovremmo incontrare nuclidi che presentano gusci o aloni di neutroni, ma queste previsioni non sono ancora state verificate sperimentalmente. Inoltre, non conosciamo dove si colloca il confine di questa regione, la cosiddetta drip line. I fasci radioattivi potrebbero consentirci di esplorare questa zona.

Un’altra regione molto interessante da esplorare è quella dei nuclei super-pesanti. La possibile esistenza di una regione di nuclei superpesanti a lunga vita media è stata avanzata negli anni ’60 del secolo scorso, ma i confini di questa re-gione sono sconosciuti. Attualmente sono stati rivelati con certezza nuclidi fino a Z = 112, e c’è qualche evidenza della rivelazione di elementi con Z = 114, 116 e 118. Però la regione della prevista isola di nuclidi superpesanti ha molti più neu-troni dei nuclidi che abbiamo creato finora. L’uso di reazioni nucleari indotte da nuclei radioattivi ricchi di neutroni potrebbe essere una strada per arrivare alla re-gione di stabilità.

Capitolo 1.

18

Figura 10 Carta dei nuclidi.

I fasci radioattivi potrebbero anche consentirci di comprendere meglio al-cuni problemi di astrofisica nucleare. La produzione di energia nelle stelle avviene mediante reazioni nucleari di fusione che portano anche alla produzione di ele-menti fino al 56Fe. Al di là di questo nuclide la fusione diventa energeticamente sfavorevole. Molte stelle massicce, quando il combustibile nucleare è quasi esau-rito, collassano e danno luogo ad un’esplosione di supernova di tipo II. In questo processo vengono sintetizzati molti dei nuclidi con A > 56.

Durante l’esplosione, il nocciolo della stella implode a velocità che posso-no raggiungere 70000 km/s, e si raggiungono valori elevatissimi di densità e tem-peratura. Mediante fotodisintegrazione, i raggi gamma decompongono i nuclei di ferro in elio e neutroni liberi. Inoltre, protoni ed elettroni, in queste condizioni, si fondono mediante il processo beta inverso, dando luogo ancora a neutroni (e neu-trini elettronici). Ne segue che si crea, per un breve periodo, un enorme flusso di neutroni (dell’ordine di 1022 cm−2s−1). In presenza di flussi così elevati, si pensa che si possa verificare il cosiddetto processo di nucleosintesi rapida, in cui i nuclei si arricchiscono di neutroni ad un tasso più elevato di quanto non si impoverisca-no per decadimento beta, con il risultato di arrivare alla sintesi di nuclidi molto pesanti. Però, l’unica supernova relativamente vicina che è stato possibile studiare in tempi recenti, 1987A, non ha rivelato traccia di prodotti del processo di arric-chimento rapido.

Applicazioni scientifiche e tecnologiche della fisica dei neutroni

19

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[15] P. Leleux et al., Nucl. Instr. Meth. A556 (2006) 397

Capitolo 1.

20

21

Capitolo 2Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

2.1. Introduzione

I metodi per rivelare neutroni veloci differiscono grandemente a seconda che si voglia oppure no misurare contemporaneamente anche la loro energia. Se si è interessati ad un semplice conteggio, in genere si cerca di rallentare il neutrone con un moderatore, fino a farlo diventare termico, prima di farlo incidere su un as-sorbitore, dove viene rivelato attraverso una reazione nucleare che produce parti-celle cariche.

Le reazioni che si usano sono principalmente:

Reazione Q (MeV)

α+→+42

73

10

105 LinB

2.792

2.310

α+→+42

31

10

63 HnLi 4.78

pHnHe 11

31

10

32 +→+ 0.764

Poiché queste reazioni sono tutte esotermiche, i prodotti di reazione si spartiscono, sotto forma di energia cinetica, l’energia di reazione (l’energia del neutrone incidente è trascurabile).

In alternativa, il neutrone termico può essere fatto incidere su un elemento fissile come 235U o 239Pu, e si possono rivelare i prodotti di fissione (l’energia dei prodotti di reazione in questo caso è molto più alta, circa 160 MeV). Il processo di moderazione viene effettuato perché la sezione d’urto per tutte queste reazioni è funzione decrescente dell’energia del neutrone. D’altra parte, è evidente che in questo modo si perde ogni informazione sull’energia originaria del neutrone, e

Capitolo 2

22

quindi ci si preclude la possibilità di fare spettroscopia. Inoltre, il processo di ral-lentamento è di solito abbastanza lento (dell’ordine delle decine o anche centinaia di microsecondi) e di conseguenza in questo modo non si può avere un segnale veloce come richiesto per molte applicazioni.

Ovviamente, si può rinunciare al processo di moderazione, pagando il prezzo di una molto minore efficienza di rivelazione, ma guadagnando in velocità e ottenendo la possibilità di misurare l’energia del neutrone incidente semplice-mente sottraendo l’energia di reazione dalla somma delle energie cinetiche dei prodotti di reazione. Le reazioni utilizzate in questo caso sono quella dell’elio e quella del litio. La reazione del boro non viene utilizzata a causa del doppio valore dell’energia di reazione (circa il 94% del litio viene prodotto in uno stato eccita-to), e la fissione non viene utilizzata a causa del valore molto più alto dell’energia liberata, che rende difficile e poco precisa una misura, per sottrazione, dell’ener-gia del neutrone.

2.2. Rivelatori di neutroni che utilizzano lo scattering

Il metodo più comune per la rivelazione dei neutroni veloci è basato sullo scattering elastico dei neutroni su nuclei leggeri. Nell’urto il neutrone trasferisce una parte della sua energia cinetica al nucleo bersaglio. La frazione massima di energia che può essere trasmessa nell’urto dipende dalla massa del bersaglio, ed è massima (e pari al 100%) quando questa è uguale alla massa del proiettile. Di conseguenza, si utilizzano di preferenza come bersaglio nuclei leggeri: idrogeno, deuterio ed elio. I rivelatori che utilizzano idrogeno prendono il nome di rivelatori a rinculo di protoni.

Nello scattering elastico l’energia dei prodotti di reazione (il neutrone e il nucleo di rinculo) è uguale all’energia del neutrone incidente (visto che l’energia iniziale del nucleo è del tutto trascurabile rispetto a quella del neutrone: l’energia termica a temperatura ambiente è circa 38 meV!). Per uno scattering singolo su idrogeno, la frazione dell’energia del neutrone che viene trasferita al protone può variare tra zero e il 100%, con un valore medio del 50%. Perciò di solito è possibi-le rivelare neutroni energetici discriminandoli dai raggi gamma e da radiazione di fondo a bassa energia, ma questa capacità di discriminazione diventa difficile quando l’energia del neutrone è inferiore a qualche centinaio di keV (utilizzando metodi più sofisticati basati sulla forma dell’impulso o sul suo tempo di salita si può riuscire a discriminare neutroni fino al keV).

2.2.1. Dinamica dello scattering elastico Consideriamo lo scattering di un neutrone su un nucleo fermo. Definiamo i

seguenti simboli:

mn: massa del neutrone mR: massa del nucleo bersaglio

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

23

En: energia cinetica del neutrone incidente ER: energia cinetica del nucleo che rincula ϑ: angolo tra la direzione di moto del nucleo che rincula e quella del neu-

trone incidente.

Supporremo il neutrone non relativistico (En << 939 MeV) e applicheremo quindi le formule classiche. Nell’urto, essendo assolutamente trascurabili le forze esterne, la quantità di moto del sistema neutrone-nucleo si conserva. Con ovvio significato dei simboli:

pn = p’n + pR

Graficamente:

pn

pR

p’n

ϑ

Dal teorema di Carnot abbiamo:

ϑ−+=′ cosRn2n

2R

2n pp2ppp (2.1)

Mentre per l’elasticità dell’urto abbiamo:

R

2R

n

2n

n

2n

m2

p

m2

p

m2

p+

′= (2.2)

Poiché sperimentalmente non riveliamo il neutrone diffuso, ci interessa e-sprimere l’energia del neutrone incidente in funzione delle quantità osservabili, che sono quelle relative al nucleo che rincula. Eliminando allora p’n dalle formule precedenti otteniamo:

ϑ

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+

=cos2

m

m1p

p R

nR

n (2.3)

O, in termini di energia:

Capitolo 2

24

ϑ

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+

=2

2

R

n

n

RR

n 4

m

m1

m

mE

Ecos

(2.4)

Questa formula è particolarmente interessante perché ci dice che, se riu-sciamo a misurare l’energia del nucleo di rinculo e la sua direzione di moto, pos-siamo calcolare l’energia del neutrone incidente.

Nel seguito, saremo interessati al caso particolare in cui il nucleo bersaglio è costituito da idrogeno. In tal caso, trascurando la piccola (0.14%) differenza di massa tra protone e neutrone, la formula precedente diventa:

ϑ=

2R

n

EE

cos (1) (2.5)

2.2.2. Distribuzione energetica dei nuclei di rinculo Dalla (2.5) si ricava immediatamente che l’energia del protone di rinculo

varia tra zero e un valore massimo pari all’energia del neutrone incidente. Vo-gliamo esaminare come l’energia del protone si distribuisce statisticamente all’in-terno di questo intervallo.

Indichiamo con Θ l’angolo di scattering nel sistema del centro di massa. Si può dimostrare abbastanza facilmente che, per un urto elastico tra corpi di uguale massa, la relazione tra Θ e l'angolo di scattering nel sistema del laboratorio, ϑ, è semplicemente:

Θ = 2ϑ (2.6)

Indicando con σ(Θ) la sezione d’urto differenziale (per lo scattering elasti-co) nel sistema del centro di massa, e con σT la sezione d’urto totale di scattering, la probabilità che il neutrone incidente venga diffuso entro un intervallo dΘ cen-trato su Θ è:

( )( )

T

d2dPσ

ΘσΘΘπ=ΘΘ sin (2.7)

Come abbiamo detto, siamo interessati a valutare la probabilità P(ER)dER

che il nucleo di rinculo abbia l’energia all’interno di un intervallo infinitesimo dER centrato su ER. Poiché P(ER)dER = P(Θ)dΘ, abbiamo:

( )( )

RTR dE

d2EP

Θ

σ

ΘσΘπ= sin (2.8)

(1) Si noti che, a causa della forma funzionale della (2.4) l’errore relativo che si commette approssimandola con la (2.5) è solo 4.7×10−7!

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

25

Dalla (2.5) abbiamo:

( )Θ+=Θ

= coscos 12

E

2EE n2

nR (2.9)

e quindi:

Θ=

Θ

sinnR E

2

dE

d (2.10)

Sostituendo nella (2.8) abbiamo infine:

( )( )

TnR E

4EP

σ

Θσπ= (2.11)

Per la diffusione di neutroni su idrogeno, la diffusione, nel sistema del cen-tro di massa, è, con buona approssimazione, isotropa (per energie dei neutroni fi-no a qualche MeV), il che implica che la sezione d’urto differenziale è costante e pari a σT/4π. La densità di probabilità P(ER) è quindi costante e pari a 1/En. Il gra-fico è il seguente:

P(ER)

En ER

1En

Figura 2.1 Densità di probabilità per l’energia dei protoni di rinculo.

Lo spettro dei protoni è dunque uno spettro rettangolare, che va da zero fi-no all’energia dei neutroni incidenti, e quindi quest’ultima è data semplicemente dalla massima energia dei protoni di rinculo. Ovviamente, se il fascio dei neutroni incidenti non è monocromatico, per ottenerne lo spettro occorre applicare tecniche di deconvoluzione.

2.2.3. Rivelatori a rinculo di protoni basati su scintillatori Uno dei modi più semplici per utilizzare lo scattering su protoni per la ri-

velazione di neutroni veloci consiste nell’utilizzare scintillatori contenenti idroge-no. Gli scintillatori sono tra i materiali che sono stati usati per primi per rivelare il passaggio delle radiazioni ionizzanti. Quelli più usati sono cristalli degli alogenuri alcalini, tra cui il principale è lo ioduro di cesio, liquidi organici e materiali plasti-ci organici.

Capitolo 2

26

I materiali inorganici hanno la miglior resa di luce e linearità con l’energia, ma in generale hanno una risposta piuttosto lenta. Al contrario, gli scintillatori or-ganici sono in genere più veloci, ma hanno una minore resa luminosa. In generale, per la rivelazione dei neutroni veloci vengono preferiti i materiali organici, perché contengono idrogeno.

La produzione di luce negli scintillatori organici deriva da una transizione tra livelli energetici di una singola molecola, e per questo si verifica indipenden-temente dallo stato di aggregazione. Negli scintillatori inorganici, invece, è neces-saria la presenza di un regolare reticolo cristallino.

Come materiali, si usano sia cristalli organici come l’antracene o lo stilbe-ne, sia scintillatori liquidi in cui uno scintillatore organico è disciolto in un solven-te anch’esso organico contenente idrogeno, sia infine scintillatori plastici in cui uno scintillatore organico è incorporato in una matrice costituita da un idrocarburo polimerizzato.

Gli scintillatori cristallini presentano alcuni inconvenienti, tra cui la fragili-tà, il costo e il fatto che la loro risposta dipende, in modo sensibile, dalla direzione di moto del protone di rinculo, il che complica notevolmente la deconvoluzione dello spettro dei protoni per ottenere quello dei neutroni. Per questi motivi in ge-nere si preferiscono scintillatori liquidi e plastici.

Anche con questi ultimi, però, numerosi effetti rendono più complicata l’operazione di deconvoluzione degli spettri. Tra questi citiamo: l’effetto bordo (cioè il fatto che il protone di rinculo può uscire dallo scintillatore: in tal modo deposita soltanto una parte della sua energia nel rivelatore), lo scattering multiplo su idrogeno, lo scattering sul carbonio (presente, ovviamente, in tutti gli scintilla-tori organici), la non linearità della risposta del rivelatore. Inoltre occorre tener presente che neutroni energetici possono dar luogo ad altre due reazioni:

α+→+42

94

10

126 BenC

α⋅+′→+42

10

10

126 3nnC

La soglia per queste reazioni è rispettivamente a 6.17 MeV e 7.98 MeV, ma in pratica esse diventano significative solo al di sopra dei 9 MeV.

Un problema comune a tutti questi rivelatori è il fatto che occorre fissare una soglia di rivelazione non solo per eliminare il rumore di fondo, ma soprattutto per eliminare gli impulsi generati dagli elettroni Compton prodotti dai raggi gamma che quasi sempre sono presenti nelle situazioni sperimentali in cui si pro-ducono neutroni. Poiché nello scattering elastico l’energia trasferita al protone può arrivare fino a zero, è evidente che la soglia taglia anche una parte del segna-le, e che questo effetto è più rilevante per neutroni di bassa energia.

Uno dei vantaggi degli scintillatori è invece quello di poter discriminare i neutroni dai raggi gamma in base alla forma dell’impulso (pulse shape discrimi-nation, PSD). Per gli scintillatori organici, il segnale luminoso consiste di due

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

27

componenti principali: una veloce, con decadimento esponenziale, caratterizzata da una costante di tempo tipicamente nell’intervallo 2-30 ns, e una relativamente lenta, con decadimento non esponenziale, che può prolungare la coda del segnale fino a 300-600 ns. Il rapporto tra queste due componenti dipende dalla natura del-la particella ionizzante: per gli elettroni Compton prodotti dai raggi gamma, l’emissione ritardata è presente in misura sensibilmente minore che per i protoni generati dai neutroni.

Questa è la base della tecnica PSD. Per certi cristalli e scintillatori liquidi la frazione di luce emessa nella componente lenta può arrivare al 10-30% per par-ticelle con forte potere ionizzante; per la maggior parte degli scintillatori plastici invece la percentuale della componente lenta è generalmente inferiore al 3% ed è perciò insufficiente a fornire la base per una discriminazione efficace.

Le tabelle seguenti (tratte da un lavoro di Klein e Brooks [1]) elencano le caratteristiche rilevanti degli scintillatori più usati per la rivelazione di neutroni in tre intervalli energetici: a basse energie (1-300 keV), a medie energie (0.1-20 MeV) e ad alte energie (> 20 MeV). Vengono riportati i seguenti dati: la moda-lità usata per la rilevazione: scattering elastico (n,n) o reazione nucleare (n,x); la capacità del rivelatore di determinare l’energia dei neutroni in base all’ampiezza dell’impulso (Pulse Height Spectra, PHS); la risoluzione temporale tipica (Δt); la possibilità di discriminare i neutroni in base alla forma dell’impulso (PSD).

Scintillatori usati a basse energie (1 - 300 keV)

No. Type Mode PHS Δt (ns) PSD

1 10B-plug+NaI (n,α) no 10 no

2 10B-CH liquid (n,α) no 400 yes

3 10B-CH plastic (n,α) no 400 no

4 6LiI(Eu) crystal (n,α) no 200 no

5 6Li-glass (n,α) no 5 no

6 6Li-CH liquid (n,α) no 400 yes

7 CH(D) crystal (n,n) yes 2 yes

8 CH(D) liquid (n,n) yes 2 yes

9 CH(D) plastic (n,n) yes 1 no

Capitolo 2

28

Scintillatori usati a medie energie (0.1 - 20 MeV)

No. Type Mode PHS Δt (ns) PSD

1 6LiI(Eu) crystal (n,α) yes 200 no

2 6Li-glass (n,α) no 5 no

3 CH(D) crystal (n,n), (n,x) yes 2 yes

4 CH(D) liquid (n,n), (n,x) yes 2 yes

5 CH(D) plastic (n,n), (n,x) yes 1 no

6 CH(D) gel (n,n), (n,x) yes 2 yes

7 Liquid 3He (n,n), (n,x) yes 2 no

8 Liquid 4He (n,n) yes 2 no

9 Liquid Xe (n,x) yes ? ?

10 Cs(Tl) crystal (n,x) yes ? yes

Scintillatori usati ad alte energie (> 20 MeV)

No. Type Mode PHS Δt (ns) PSD

1 CH(D) liquid (n,n), (n,x) yes 2 yes

2 CH(D) plastic (n,n), (n,x) yes 1 no

3 CH(D) gel (n,n), (n,x) yes 2 yes

4 Liquid 3He (n,n), (n,x) yes 2 no

5 BaF2 crystal (n,x) yes 1 yes

6 BGO crystal (n,x) ? ? ?

7 CsI(Tl) crystal (n,x) yes ? yes

8 PbWO4 crystal (n,x) ? ? ?

2.2.4. Rivelatori a rinculo di protoni basati su contatori proporzionali a gas

Anche i contatori proporzionali a gas possono essere usati come rivelatori a rinculo di protoni. In questo caso, il gas usato è usualmente idrogeno, o un gas contenente idrogeno (come ad esempio il metano) o un gas leggero (come l’elio).

Anche questi rivelatori soffrono dei problemi elencati per gli scintillatori, anche se l’importanza relativa è differente. Ad esempio, a causa della minore den-sità, l’effetto bordo è di solito più rilevante, mentre lo scattering multiplo lo è di

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

29

meno.

Inoltre i contatori proporzionali sono molto sensibili a problemi pratici come la purezza del gas, la presenza di microscopiche falle, la preparazione delle superfici, l’isolamento elettrico dell’alta tensione, la distorsione del campo elettri-co in vicinanza delle pareti e così via. Inoltre sono sensibili ai raggi gamma pro-dotti nelle pareti del recipiente o nell’ambiente circostante, e questo rende più dif-ficile isolare il segnale dei neutroni.

2.3. Spettrometri basati sulla misura del tempo di volo

Nei rivelatori di tipo convenzionale esaminati finora, siano essi basati su scintillatori organici o su contatori proporzionali, vengono rivelati tutti i protoni indipendentemente dall’angolo di scattering. Perciò la loro risposta, nel caso di neutroni monoenergetici, è costituita (in condizioni ideali) da uno spettro dei pro-toni di forma rettangolare. Nel caso invece di neutroni di varie energie, occorre applicare tecniche di deconvoluzione allo spettro dei protoni per ottenere quello dei neutroni: questo complica notevolmente il lavoro.

Sono stati proposti diversi metodi per aggirare questo problema. Quello più comune consiste nel misurare in modo indipendente l’energia dei neutroni ri-velati. A questo scopo si usano scintillatori liquidi: i neutroni vengono isolati dai gamma mediante la tecnica PSD, e la loro energia viene ricavata misurandone il tempo di volo (time of flight, TOF) tra il punto di produzione e il rivelatore. Per questo scopo, occorre conoscere l’istante in cui viene emesso il neutrone; una del-le tecniche più comuni negli esperimenti di fisica nucleare consiste nell’utilizzare un fascio pulsato.

Aumentando la distanza tra il radiatore e il rivelatore aumenta la precisio-ne con cui può essere misurato il tempo di volo, e di conseguenza migliora la riso-luzione; d’altra parte però, si riduce l’angolo solido sotto cui il rivelatore viene vi-sto dal radiatore, e di conseguenza diminuisce l’efficienza. Per quanto riguarda la frequenza di pulsazione del fascio, deve essere la più alta possibile per aumentare l’efficienza, ma non tanto alta da permettere la sovrapposizione temporale tra i neutroni lenti di un impulso e quelli veloci dell’impulso successivo. Pertanto, il limite superiore della frequenza di pulsazione del fascio dipende dalla distanza su cui si misura il tempo di volo.

È facile mostrare che, detti rispettivamente: α il duty cycle, cioè la frazione di periodo occupata dal fascio, D la distanza di volo, m la massa del neutrone e Emin ed Emax le energie minima e massima dei neutroni, la frequenza del fascio, se si vogliono evitare sovrapposizioni, dev’essere inferiore a:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−

α−=ν

maxmin

max

E2

m

E2

mD

1

Capitolo 2

30

Ad esempio, per una distanza D = 2 m, un duty cycle del 5% e neutroni che vanno da 5 a 100 MeV, la frequenza dev’essere inferiore a 18.9 MHz.

2.4. I “telescopi a rinculo di protoni”

2.4.1. Considerazioni generali Un altro approccio al problema di evitare di dover ricorrere alla deconvo-

luzione degli spettri di protoni consiste nell’isolare i protoni che rinculano ad un angolo fissato: in questo modo l’energia dei neutroni è semplicemente direttamen-te proporzionale all’energia dei protoni (v. la 2.5). Dispositivi di questo tipo ven-gono generalmente chiamati “telescopi a rinculo di protoni” (proton recoil tele-scopes, PRT), e sono stati usati in una grande varietà di misure su neutroni veloci. Questi rivelatori possono essere utilizzati nelle situazioni in cui i neutroni incido-no sul rivelatore provenendo da un’unica direzione.

La figura 2 mostra uno schema abbastanza comune per i PRT.

ϑ

neutroni

bersaglio

protonimisuratore di ΔE

misuratore di E

Figura 2 Schema di un telescopio a rinculo di protoni

I neutroni incidono su un bersaglio (radiatore) sottile, di solito costituito da un polimero organico, il cui spessore è piccolo rispetto al range dei protoni di più bassa energia che si desidera misurare. L’angolo ϑ a cui si osservano i protoni di rinculo è definito collocando un rivelatore ad una certa distanza dal bersaglio (in genere lo spazio intermedio viene evacuato per evitare perdite di energia del protone di rinculo). A causa del fattore cos−2

ϑ nella (2.5), di solito si sceglie un valore abbastanza piccolo per quest’angolo. Alcuni pongono addirittura ϑ = 0, ma in questo modo si registrano anche eventi spuri, prodotti dallo scattering dei neu-troni del fascio primario all’interno del rivelatore anziché del radiatore.

Nello schema illustrato in figura un rivelatore sottile è posto davanti ad un rivelatore più spesso, in cu il protone viene arrestato e se ne misura l’energia, E. Lo scopo del rivelatore sottile è quello di misurare la perdita di energia della par-ticella incidente. Mettendo in coincidenza i due rivelatori si registrano solo le par-ticelle provenienti dal bersaglio. Inoltre, il confronto tra i valori di ΔE ed E può

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

31

servire ad identificare la particella, separando i protoni da altre particelle cariche, come le alfa (v. Figura 3).

Figura 3 Diagramma ΔE – E ottenuto con il PRT di Baba e coll. [8]

In genere, per ridurre il fondo, si usano diversi rivelatori (anche se in linea di principio ne sarebbe sufficiente uno solo).

Il difetto principale dei telescopi a rinculo di protoni è l’efficienza estre-mamente bassa (tipicamente dell’ordine di 10−5). Questa bassa efficienza deriva da due fattori. In primo luogo lo spessore del radiatore dev’essere tenuto sottile per evitare che i protoni che rinculano perdano una frazione considerevole della loro energia prima di uscirne. Con un ragionevole spessore del bersaglio solo un neutrone su 103 - 104 subisce uno scattering attraversandolo. In secondo luogo, l’angolo solido sotteso dal rivelatore di protoni dev’essere sufficientemente picco-lo in modo che l’angolo ϑ di rinculo dei protoni abbia un’incertezza abbastanza piccola.

Il vantaggio è che si evitano quasi completamente complicazioni come lo scattering multiplo dei neutroni o l’effetto bordo, e di conseguenza l’efficienza può essere calcolata con buona precisione.

Per migliorare la risoluzione energetica, si può rendere attivo il bersaglio e registrare separatamente la perdita di energia dei protoni prima che escano. In questo caso il radiatore può essere uno scintillatore organico o un contatore pro-porzionale riempito con metano. I protoni che vengono colpiti dai neutroni depo-sitano una parte della loro energia nel bersaglio-rivelatore, e poi escono e perdono l’energia rimanente in un secondo rivelatore situato ad una certa distanza in modo da fissare l’angolo di scattering. Analizzando gli impulsi in coincidenza dai due rivelatori si può ricostruire l’energia del neutrone incidente.

Capitolo 2

32

2.4.2. Alcuni esempi Sono stati proposti e realizzati molti tipi diversi di PRT. Ne descriveremo

sommariamente alcuni.

Iguchi e collaboratori [2], hanno realizzato un PRT finalizzato alla diagno-stica di plasmi in un reattore a fusione (v. Fig 4), in cui il radiatore è costituito da un foglio di polietilene largo (19 cm), lungo (104 cm) e sottile (per ridurre al mas-simo la perdita di energia dei protoni all’interno del radiatore) disposto parallela-mente al fascio dei neutroni incidenti, e i protoni di rinculo attraversano una gri-glia con dei fori obliqui, e in questo modo vengono collimati prima di giungere al rivelatore, costituito da silici.

Figura 4 Schema del PRT realizzato da Iguchi e collaboratori.

Lo scopo della griglia, evidentemente, è quello di selezionare solo i proto-ni che vengono emessi con un prefissato angolo di scattering (30° in questo caso). Gli autori hanno costruito un prototipo del dispositivo e lo hanno testato con neu-troni da 14 MeV presso la Fusion Neutronics Source (FNS) del Japan Atomic E-nergy Research Institute (JAERI). Sono state testate due versioni leggermente di-verse del dispositivo. La prima con una risoluzione energetica più povera e un’efficienza più alta, e la seconda con una buona risoluzione energetica a scapito di un’efficienza più bassa (la differenza fondamentale tra le due versioni consiste nello spessore del foglio di polietilene: 50 μm nel primo caso e 10 μm nel secon-do).

Per la versione con la migliore risoluzione energetica, l’efficienza che gli autori riportano è di 2×10−7 conteggi per neutrone e per centimetro quadrato, e la risoluzione in energia è del 2.5% FWHM.

Kaneko e collaboratori [3] si sono posti l’obiettivo di realizzare un rivela-tore particolarmente compatto, da utilizzare per la diagnostica dei plasmi caldi, che potesse fare a meno di un ingombrante sistema per collimare i neutroni. Il loro

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

33

PRT (v. Fig. 5) consiste sostanzialmente di un radiatore (un foglio di polietilene di 3.0 cm × 3.0 cm, spessori: 1 mm e 0.2 mm), un collimatore dei protoni di rinculo (una griglia di alluminio o piombo) e un rivelatore, costituito da uno scintillatore (CsI) letto da un fotomoltiplicatore. Il collimatore non veniva evacuato.

In sostanza, pur con una geometria diversa, lo schema concettuale è molto simile a quello del PRT di Iguchi descritto in precedenza. La differenza è che nel PRT di Iguchi la direzione dei neutroni incidenti veniva fissata con un collimato-re, qui la direzionalità viene ottenuta semplicemente mettendo una soglia in ener-gia al segnale del fotomoltiplicatore, selezionando così quegli eventi che ricadono entro un certo cono angolare (vedi la formula (2.5). È evidente però che in questo caso l’energia dei neutroni incidenti dev’essere nota, e dunque questo tipo di rive-latore non può essere usato per fare spettroscopia. Anche questo apparato è stato testato presso la FNS del JAERY con neutroni da 2.4 e da 14 MeV.

Figura 5 Schema del PRT realizzato da Kaneko e collaboratori.

Schuhmacher, Dangendorf e collaboratori hanno costruito due PRT per misurare la fluenza di neutroni (dunque anche in questo caso il PRT non viene uti-lizzato per misurare l’energia dei neutroni). Nel primo di questi [4] (v. Fig. 6), uti-lizzato nel range di energia tra 25 e 70 MeV, i protoni generati nel radiatore R (un foglio di polietilene spesso 1.5 mm montato su un sostegno di tantalio) attraversa-no due contatori proporzionali (P1 e P2) e due rivelatori al silicio (S1 e S2). Il te-lescopio è progettato in modo che i protoni si arrestino all’interno del secondo ri-velatore (eventualmente frapponendo opportuni assorbitori (una lastrina di ferro e una di tantalio) tra i contatori proporzionali e i silici per diminuire l’energia dei protoni. I due rivelatori al silicio vengono usati come un telescopio che, misuran-do contemporaneamente ΔE ed E, identifica la particella, isolando i protoni, e la coincidenza con i contatori proporzionali viene usata per assicurare che i protoni provengano dal radiatore.

Capitolo 2

34

Figura 6 Schema del primo PRT realizzato da Schuhmacher, Dan-gendorf e collaboratori

L’apparato è stato usato, in concomitanza con altri di diverso tipo, per mi-surare la fluenza di fasci neutronici quasi monoenergetici, nel range tra 25 e 70 MeV presso l’Università Cattolica di Louvain (Belgio).

Figura 7 Schema del secondo PRT realizzato da Schuhmacher, Dan-gendorf e collaboratori

Nel secondo PRT realizzato dallo stesso gruppo [5] (v. Fig. 7), utilizzato per energie più alte, tra 30 e 200 MeV, il radiatore è costituito da un foglio di po-lietilene (facilmente sostituibile per variarne lo spessore; sono stati usati fogli con spessori compresi tra 1 e 4 mm) e il rivelatore è costituito da un sandwich di due scintillatori (NE102 e NE115), letti da un fotomoltiplicatore comune (PM), per l’identificazione delle particelle (telescopio ΔE-E). Per ridurre il fondo di eventi indotti negli scintillatori dai neutroni, il telescopio è orientato ad un angolo di cir-ca 15° rispetto al fascio, cosicché gli scintillatori vengono a trovarsi fuori dal fa-scio di neutroni. Una camera a fili (VETO) è utilizzata in anticoincidenza con gli altri rivelatori per eliminare il fondo prodotto da altre particelle cariche che ac-

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

35

compagnano il flusso dei neutroni incidenti. Due camere a fili (Co1 e Co2) servo-no ad etichettare i protoni prodotti da scattering di neutroni nel radiatore, separan-doli da altre particelle cariche.

Il rivelatore è stato testato all’Università di Louvain-la-Neuve con un fa-scio di neutroni collimati con energia nel range da 30 a 65 MeV. Questo secondo PRT ha, rispetto al primo, una migliore risoluzione temporale e un’efficienza più alta di quasi un ordine di grandezza.

Anche M.W. Wu e collaboratori [6] hanno utilizzato un PRT per misure di fluenza di neutroni, però nel range al di sotto di 3 MeV. I protoni generati nel ra-diatore vengono rivelati da un rivelatore al silicio (v. Fig. 8). Radiatore e rivelatori sono contenuti in una recipiente di acciaio in cui è fatto il vuoto (dell’ordine di 1 mPa). Uno schermo di acciaio (proton absorber) può essere frapposto tra il ra-diatore e il rivelatore per misurare il fondo. Il radiatore è costituito da una sottile lastra di tantalio su cui è stato depositato uno strato di tristearina (C57H110O6).

Figura 8 Schema del PRT realizzato da Wu e collaboratori

Il rivelatore è stato testato presso l’Institute of Nuclear Energy Research (INER) e il National Physical Laboratory (NPL) della Gran Bretagna.

Takada, Baba e collaboratori [7, 8] hanno realizzato un PRT costituito da un radiatore e da un rivelatore, collegati rigidamente. Il rivelatore è situato sull’asse del fascio; per evitare che venga colpito direttamente dai neutroni, si uti-lizza una barra d’ottone che scherma la regione centrale del fascio. Il tutto è collo-cato in aria (v. Fig. 9).

Capitolo 2

36

Figura 9 Schema del PRT realizzato da Takada, Baba e collaboratori

Il radiatore è un anello di polietilene. Il rivelatore è costituito da un tele-scopio ΔE-E, costituito da uno scintillatore allo ioduro di sodio, “letto” da un fo-tomoltiplicatore, per la misura di E, accoppiato ad un rivelatore al silicio per la misura di ΔE (v. Fig. 10).

Figura 10 Schema del telescopio ΔE-E nel PRT realizzato da Takada, Baba e collaboratori

Questo PRT è stato usato per misurare la fluenza di fasci di neutroni quasi monoenergetici nel range tra 22 e 33 MeV presso il Cyclotron and Radioisotope Center (CYRIC) dell’Università di Tohoku (Giappone).

Gli spettri ottenuti con il PRT sono stati confrontati con quelli ottenuti con la tecnica del tempo di volo (v. Figura 11).

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

37

Figura 11 Alcuni degli spettri ottenuti con il PRT (istogrammi) a con-fronto con quelli ottenuti con la tecnica del tempo di volo (linee conti-nue) da Baba e coll. [8] per varie energie del fascio primario di protoni.

Figura 12 Apparato sperimentale del test eseguito con il PRT di Ha-wkes et al [8].

Anche Hawkes e collaboratori [9] hanno costruito un PRT costituito da un radiatore a geometria anulare con un raggio interno di 6.0 cm ed esterno di 7.8 cm, montato davanti ad un rivelatore al silicio circolare di diametro 3.0 cm e spessore 1.643 mm. Il dispositivo è stato testato a Harwell (Gran Bretagna) con un fascio di neutroni monoenergetici da 14 MeV. Il PRT “vede” il bersaglio attraver-so un collimatore ricavato in un muro spesso (v. Fig. 12). Una barra disposta sull’asse del fascio gli dà la richiesta forma anulare. Il numero di neutroni prodotti

Capitolo 2

38

viene monitorato con la tecnica della particella associata rivelando le particelle al-fa prodotte dal fascio di deutoni che colpiscono un bersaglio di titanio e trizio. Gli autori riportano un’efficienza di (3.392 ± 0.12)×10−5 neutroni/cm2.

Miura e collaboratori [10] hanno sviluppato un PRT costituito da due rive-latori affacciati, ciascuno dei quali a sua volta costituito da un fotomoltiplicatore sensibile alla posizione e da uno scintillatore (v. Fig. 13).

Figura 13 Schema del PRT costruito da Miura e collaboratori

I neutroni (da 14 MeV) entrano dal fondo del primo fotomoltiplicatore e “producono” un protone sul primo scintillatore, plastico. Il fototubo 1 registra le coordinate (x1, y1) del punto in cui è avvenuto lo scattering. Il protone colpisce lo scintillatore 2 (un mosaico di 16 cristalli di CsI) in un punto le cui coordinate (x2, y2) vengono lette dal secondo fototubo. L’angolo di scattering ϑ si ricava da sem-plici relazioni geometriche. La risoluzione con cui i fototubi riescono a leggere le coordinate risulta inferiore al millimetro. L’energia del protone viene ricavata sommando l’ampiezza dei segnali dei due fototubi (correggendo però per la non uniformità della loro risposta).

Il PRT è stato testato con neutroni monoenergetici da 14 MeV alla FNS del JAERI presso l’Università di Tohoku. Gli autori stimano una risoluzione del 5.2% (FWHM) in energia, e un’efficienza di circa 10−5.

La tabella seguente mostra le caratteristiche principali dei PRT esaminati fin qui.

Metodi di rivelazione e di spettroscopia per neutroni veloci

39

Autori Bibliografia Energia (MeV)

Efficienza Risoluzione energetica

Spettro

Iguchi et al. [2] 14 2×10−7

neutr−1cm−22.5% FWHM si

Kaneko et al. [3] 2.4, 14 no

Schuhmacher et al.

[4] 20−65 no

Dangendorf [5] 30−200 no

Wu et al. [6] 1−3 no

Baba et al. [7], [8] 12−87 si

Hawkes et al. [9] 14 3.39×10−5

neutr−1cm−22.9% FWHM si

Miura et al. [10] 12−16 10−5 neutr−1 5.2% si

Bibliografia

[1] H. Klein, F.D. Brooks, Proceedings of International Workshop on Fast Neu-tron Detectors, Cape Town, 2006

[2] T. Iguchi et al., Fusion Eng. and Design, (1997) 34

[3] J. Kaneko et al., Nucl. Instr. Meth. A385 (1997) 160

[4] H. Schuhmacher et al., Nucl. Instr. Meth. A421 (1999) 284

[5] V. Dangendorf et al., Nucl. Instr. Meth. A469 (2001) 205

[6] M.W. Wu et al., Nucl. Instr. Meth. A422 (1999) 79

[7] M. Takada et al., Nucl. Instr. Meth. A372 (1996) 253

[8] M. Baba et al., Nucl. Instr. Meth. A428 (1999) 454

[9] N.P. Hawkes et al., Nucl. Instr. Meth. A476 (2002) 506

[10] T. Miura et al., Nucl. Instr. Meth. A493 (2002) 99

Capitolo 2

40

41

Capitolo 3Il progetto del PRT

3.1. Il progetto originario del PRT

Nell’ambito del quadro descritto nei capitoli precedenti, è sembrato oppor-tuno progettare un rivelatore di neutroni che, pur facendo riferimento ad una tipo-logia convenzionale di rivelatori di neutroni, in particolare ad un telescopio a rin-culo di protoni (PRT - proton recoil telescope), potesse presentare caratteristiche originali e migliorative delle prestazioni attualmente disponibili per questo tipo di strumenti.

In particolare, il progetto del PRT avrebbe dovuto migliorare ed ottimizza-re le seguenti caratteristiche: (i) una soglia energetica quanto più bassa possibile (pochi MeV) e un estremo superiore dell’intervallo energetico di misura che arri-vasse almeno al centinaio di MeV; (ii) efficienza di rivelazione; (iii) buona risolu-zione energetica dell’ordine di qualche percento su tutta l’ampiezza dello spettro misurato; (iv) compattezza, trasportabilità e facilità di utilizzazione.

Lo schema preso a modello è quello dei PRT di Dangendorf e Schuhma-cher (v. par. 4.2 del Capitolo 2) che già presentano buone caratteristiche per quan-to riguarda l’accettanza dello spettro energetico di neutroni, l’efficienza di rivela-zione e la compattezza. Il primo disegno progettuale del PRT, utilizzato soprattut-to per verificare i limiti intrinseci di prestazione, è illustrato nella Fig. 1. Esso prevedeva:

o Un convertitore per la conversione neutrone protone per diffusione elastica, spesso 2.0 mm, costituito da uno scintillatore plastico (polietilene in un primo tempo, successivamente Pilot B). Per quanto nel progetto originario non fosse prevista l’utilizzazione del convertitore come materiale attivo per la misura dell’energia rilasciata dal protone di rinculo nel primo tratto di traiettoria, l’utilizzazione di uno scintillatore come sostanza idrogenata per la conversione lasciava aperta questa possibilità.

o Due contatori proporzionali multifilo (Multiwire Proportional Counters,MWPC), immersi in un recipiente contenente tetrafluorometano (CF4) gassoso

Capitolo 3

42

a pressione atmosferica, per il tracciamento dei protoni. Per rendere le camere più trasparenti possibile (al fine di abbassare la soglia di rivelazione), si è de-ciso di rinunciare a setti laterali di confinamento del gas, che quindi riempiva tutto il recipiente. Ciascun contatore era previsto dotato di due piani di fili in-crociati per leggere sia la coordinata x sia la coordinata y del punto di passag-gio del protone nella MWPC. Tra i due piani di filo era previsto un foglio di mylar doppiamente alluminato che funzionava come catodo. La funzione dei due contatori proporzionali era quella di tracciare la traiettoria del protone (due punti) all’interno del rivelatore.

o Uno scintillatore inorganico (germanato di bismuto, Bi4Ge3O12, comunemente abbreviato BGO) letto da un fotomoltiplicatore, per arrestare i protoni alla fine della loro traiettoria per misurarne l’energia residua.

Gas CF4, 1 atm

25 cm

radiatore MWPC BGO

7 cm

neutroni

fotomoltiplicatore

Figura 1: Schema del progetto originario del PRT

In questo progetto sono presenti una serie componenti basilari, tipici dei PRT, alcuni dei quali saranno materia di miglioramento sostanziale nel progetto definitivo. Esaminiamoli con attenzione.

L’uso di contatori proporzionali MWPC, per tracciare la traiettoria del pro-tone e da questa ricavare l’angolo di scattering, consente di avere a disposizione rivelatori particolarmente trasparenti, fatta eccezione per la presenza dei piani di fili. Ricordiamo che la misura della traiettoria del protone nei PRT viene utilizzata per il calcolo dell’energia del neutrone incidente (vedi paragrafo 2.2.1 e la 2.5).

Il rivelatore finale deve essere sufficientemente spesso da arrestare com-pletamente il protone e misurarne l’energia residua, con la migliore risoluzione energetica possibile, per consentire la valutazione del secondo elemento che com-pare nella (2.5). Esaminiamo un po’ più in dettaglio questo aspetto. L’energia che compare in quella formula è, ovviamente, l’energia del protone subito dopo lo scattering con il neutrone: per chiarezza la indicheremo con Ep0. Per determinarla, all’energia misurata dal BGO bisogna aggiungere quella persa nel gas (valutabile con un semplice calcolo, a meno della fluttuazione di straggling energetico) e quella persa nel percorso compiuto dal protone all’interno del convertitore. La va-

Il progetto

43

lutazione di quest’ultimo contributo risulta maggiormente problematica, perché non è nota la posizione in cui è avvenuto l’urto che ha generato il protone di rin-culo; di conseguenza non è nota la lunghezza del tratto percorso dal protone all’interno del radiatore. L’errore sistematico che questa mancanza di informazio-ne introduce sull’energia del protone, e quindi del neutrone, può essere estrema-mente significativo, soprattutto per basse energie del neutrone incidente e per grandi spessori del radiatore. Da qui l’eventuale opportunità di provvedere ad una misura dell’energia persa dal protone nel radiatore, approfittando della sua natura attiva (scintillatore plastico).

Uno dei parametri critici del progetto, nel suo disegno iniziale, è quindi lo spessore del radiatore. Aumentandolo, aumenta la probabilità che si verifichi una collisione elastica neutrone protone e, di conseguenza, aumenta l’efficienza del rivelatore. D’altra parte, è evidente che uno spessore maggiore determina un’in-certezza maggiore nel calcolo dell’energia rilasciata dal protone nel convertitore, e dunque determina una maggiore errore sistematico nella valutazione dell’energia del protone. Per dare una stima dell’effetto derivante dallo spessore di radiatore si veda la figura 2 dove è tabulata l’energia persa da un protone in 2.0 mm di scintil-latore plastico in funzione dell’energia del protone.

0

2

4

6

8

10

12

14

0 20 40 60 80 100 120 140 160

Ein (MeV)

ΔΔ ΔΔE

(MeV

)

Figura 2 Perdita media di energia di un protone in uno strato di 2 mm di Pilot B, in funzione dell’energia in ingresso. Al di sotto di circa 13.2 MeV il protone non riesce ad attraversare lo strato e si arresta

all’interno.

Inoltre, uno spessore maggiore di radiatore aumenta sia lo straggling ener-getico, sia quello angolare, e dunque anche per questa via contribuisce a peggiora-re la risoluzione energetica.

Data la complessità del rivelatore, una valutazione accurata delle sue pre-stazioni in termini di soglia energetica, efficienza di conversione ed accettanza

Capitolo 3

44

può essere fatta solo con una simulazione completa della geometria e degli effetti fisici con un programma di calcolo Monte Carlo. Alcune valutazioni orientative sono comunque facilmente ottenibili anche con tecniche più semplici, e sono cer-tamente utili per capire i limiti delle prestazioni attese e gli eventuali interventi migliorativi che possono essere apportati. Provvederemo quindi nel seguito ad al-cune valutazioni approssimative della soglia energetica di rivelazione, della riso-luzione energetica e della efficienza attese, nell’ambito del progetto originario. Tali valutazioni saranno poi confortate da un calcolo con un programma Monte Carlo.

3.2. Una stima semplificata delle prestazioni del progetto originario del PRT

Per la stima delle prestazioni del rivelatore in termini di soglia energetica, risoluzione energetica ed efficienza di conversione potremmo servirci efficace-mente della ben nota formula di Bethe-Bloch con le tabulazioni conseguenti per la perdita di energia, delle formule della diffusione multipla a piccolo angolo e delle relazioni che descrivono le fluttuazioni nella perdita di energia per ionizzazione (1). Tuttavia risulta più pratico ed efficace servirsi, per queste valutazioni appros-simate, del programma di simulazione SRIM (2), che esegue calcoli di tipo Monte Carlo. Si tratta di un gruppo di programmi che simulano con accuratezza l’intera-zione di un fascio di ioni con la materia usando un trattamento quanto-meccanico delle collisioni ione-atomi (qui ione è la particella in moto, e atomi sono quelli del bersaglio). Il programma è largamente utilizzato per valutazioni di questo tipo, e-stremamente utili nella progettazione degli apparati sperimentali di Fisica Nuclea-re e nell’analisi ed interpretazione dei dati sperimentali.

Nell’utilizzo del programma SRIM si può scegliere il numero e il tipo dei proiettili utilizzati, fissando l’energia e l’angolo di incidenza, e si può descrivere il bersaglio, che può essere composto da diversi strati (fino a otto) di diverso mate-riale e spessore. Il programma segue i diversi ioni fino a quando si arrestano op-pure escono dal bersaglio. I risultati possono venire salvati su file o visualizzati su grafico. Ovviamente è l’utente che può scegliere, entro un ventaglio abbastanza ampio di possibilità, quali sono i dati da memorizzare e da sottoporre a successiva analisi con i consueti strumenti di analisi dei dati: root, paw, foglio elettronico.

3.2.1. L’intervallo di misura in energia del dispositivo La soglia in energia del progetto originario del PRT è determinata dal fatto

(1) V. ad es. W.M. Yao et al., The Review of Particle Physics, Journal of Physics, G 33, 1 (2006)

(2) http://www.srim.org/. Il nome è un acronimo che sta per Stopping and Range of Ions in Matter

Il progetto

45

che il protone di rinculo, per essere completamente misurato, deve attraversare una porzione di convertitore e tutto il volume di gas fino a giungere allo scintilla-tore inorganico finale, nel quale inoltre deve depositare una quantità di energia sufficiente per essere rivelato. La porzione di convertitore attraversato dipende, naturalmente, dal punto nel quale è avvenuta la conversione neutrone protone. Nella tabella successiva sono tabulate, per protoni di diversa energia cinetica, che siano generati nella porzione iniziale del convertitore o nella porzione finale, le energie depositate nel convertitore, nel gas della camera e nello scintillatore finale ed il percorso effettuato dal protone nello scintillatore finale. Questi dati possono fornire una informazione generale sull’intervallo energetico nello spettro di neu-troni al quale il rivelatore è sensibile.

Ep

(MeV)Produz.

(I/F*)ΔERAD (MeV) ΔEGAS (MeV) ΔEBGO

(MeV)Range nel BGO

(cm)Eres

(MeV)

I 8 (R=0.08 cm) - - -

F 0,6 7,4 (R=26,4 cm) - -

I 10 (R=0.13 cm) - - -

F 0,5 4,4 5,1 0,01 -

I 8,7 6,3 (R=20.1 cm)

F 0,4 2,7 11,9 0,05

I 7,8 5,5 2,7 <0,01

F 0,3 2,6 13,1 0,0617 I 7,3 4,2 5,5 0,01 -

...

220 I 0,8 0,4 218,8 7,29 -230 I 0,8 0,3 197,9 31

F*: 100 μm all’interno del radiatore

8

10

15

16

Tabella 1 Energie depositate nelle varie parti del PRT da protoni di diversa energia.

Da questa tabella si può vedere che la soglia energetica è tra 8 MeV e 10 MeV. Questo è dovuto sostanzialmente allo strato di gas che dev’essere attra-versato. Se si vuole abbassare questo valore, occorre dunque intervenire su questo elemento: come vedremo, nel nuovo progetto il gas è stato eliminato. L’estremo superiore dell’intervallo energetico accettabile dal rivelatore è invece tra i 220 e i 230 MeV. Questo valore è determinato dallo spessore dello scintillatore finale, che deve arrestare completamente i protoni.

3.2.2. La risoluzione energetica Cominciamo ad esaminare i diversi contributi alla risoluzione energetica

del rivelatore progettato. Dalla (2.5), che riportiamo per comodità:

Capitolo 3

46

ϑ=

2

0pn

EE

cos (2.5)

si ricava l’incertezza sull’energia del neutrone. Assumendo, come sembra ragio-nevole, che l’energia del protone e l’angolo di scattering siano indipendenti, ab-biamo:

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛δ

∂+⎟

⎞⎜⎝

⎛δϑ

ϑ∂

∂=δ

2

0p0p

n

2

nn E

E

EEE

2

0p2

2

30p E1

E2 ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

δϑ

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

δϑϑ

ϑ=

coscos

sin (3.1)

La grandezza più interessante per valutare le prestazioni del rivelatore è l’incertezza relativa:

( )

2

0p

0p2

n

n

E

E2

E

E⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ δ+δϑ⋅ϑ=

δtan (3.2)

e risulta dunque data dalla somma in quadratura di due contributi:

• uno è legato all’errore nella ricostruzione dell’angolo di scattering (lo chiame-remo contributo angolare);

• l’altro è semplicemente l’incertezza relativa sulla misura dell’energia iniziale del protone.

Nel seguito valutiamo separatamente i due contributi. È opportuno sottoli-neare che stiamo parlando dei contributi all’errore statistico nella determinazione dell’energia del neutrone. Come abbiamo visto precedentemente, la non cono-scenza dell’energia persa dal protone nell’attraversamento del radiatore, determi-na un errore sistematico sulla determinazione dell’energia del neutrone che può essere di grande rilevanza, soprattutto alle basse energie.

3.2.2.1. Il contributo angolare

Il contributo legato all’incertezza angolare è l’effetto principalmente di tre cause:

• la dispersione nella direzione d’arrivo (ovvero, la non perfetta collimazione) dei neutroni incidenti;

• lo straggling angolare che il protone subisce sia all’interno del radiatore sia nel gas del rivelatore, e che modifica la direzione di uscita del protone rispetto alla direzione che aveva in origine;

• la risoluzione spaziale finita delle due MWPC che misurano la direzione del

Il progetto

47

protone nel rivelatore.

La collimazione del fascio incidente è un fattore che si può controllare e su cui si può intervenire nella fase di presa dati. Si può ottenere una buona collima-zione sostanzialmente in due modi: o disponendo di una sorgente di neutroni pun-tiforme, o schermando il rivelatore con un collimatore.

Analizziamo ora lo straggling angolare generato dall’attraversamento del convertitore. Consideriamo la condizione più sfavorevole che il protone abbia at-traversato tutto lo spessore di 2.0 mm del radiatore. Con SRIM è stata generata una popolazione di protoni tutti con la stessa direzione iniziale e la stessa energia, ed è stata studiata la direzione di moto dopo che i protoni hanno completamente attraversato uno strato di 2 mm di radiatore. Come misuratore dello straggling an-golare, δϑ, abbiamo considerato la deviazione standard della differenza (calcolata per ciascun protone) tra il valore finale e quello iniziale dell’angolo ϑ. Il calcolo viene poi ripetuto variando le direzione iniziale dei protoni e la loro energia. La variazione nella direzione iniziale del protone determina un maggior spessore di attraversamento del convertitore quindi un maggior contributo di straggling ango-lare. Il risultato è mostrato nella figura 3.

0,0E+00

5,0E-04

1,0E-03

1,5E-03

2,0E-03

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

2 ta

n ϑ

δϑ

ϑ δ

ϑϑ

δϑ

ϑ δ

ϑ 4°

12°

16°

Figura 3: Nel grafico viene riportato il valore dell’espressione 2tanϑ δϑ, dove δϑ è lo straggling angolare in uno spessore di 2 mm di Pilot B e viene valutato con SRIM in funzione dell’energia iniziale

del protone per vari valori dell’angolo iniziale di scattering.

Il contributo dello straggling angolare all’incertezza relativa risulta pres-soché inversamente proporzionale al quadrato dell’energia del protone e sostan-zialmente indipendente dall’angolo iniziale di scattering del protone (a parte in un intorno di 0°), almeno in questo intervallo di valori. Si tenga presente che, con le dimensioni del progetto, indicate nella Figura 1, gli angoli di interesse arrivano fi-

Capitolo 3

48

no a circa 16°. In ogni caso l’errore si mantiene comunque al di sotto dello 0.2% che è un contributo molto piccolo tenendo anche conto che andrà sommato in quadratura. Si tenga presente inoltre che i valori riportati nel grafico sono dei limi-ti superiori, in quanto sono calcolati per un neutrone che converte subito all’inizio dello scintillatore plastico.

Il contributo dello straggling all’interno del gas che costituisce il rivelatore non viene valutato, ma è certamente molto inferiore a quello determinato dal ra-diatore in quanto la densità del gas è di circa tre ordini di grandezza inferiore a quella del radiatore. Consideriamo quindi questo contributo come trascurabile.

L’altra fonte di incertezza nella determinazione dell’angolo di scattering è la risoluzione spaziale dei MWPC. Cerchiamo di valutare questo contributo. Se indichiamo con (x1,y1) e (x2,y2) le posizioni segnalate dalle due camere, e con L la loro distanza, l’angolo ϑ ricostruito è:

( ) ( )

⎟⎟

⎜⎜

⎛ −+−=ϑ

L

yyxx 212

212arctan (3.3)

Con calcoli alquanto laboriosi e noiosi, ma non difficili, si ottiene:

22222 aL

xL2

yxL

xL2

+

δ=

Δ+Δ+

δ=δϑ (3.4)

dove con δx abbiamo indicato l’incertezza comune di x1, x2, y1 e y2, che possiamo

assumere uguale a 12d , dove d è la separazione tra i fili, e abbiamo posto, per

comodità, 22 yxa Δ+Δ= . Noi dobbiamo valutare l’espressione 2tanϑ δϑ. Te-nendo presente la (3.3) abbiamo:

2222 aL

ad

3

2

aL

xa82

+=

+

δ=δϑϑtan (3.5)

Le caratteristiche salienti di questo contributo sono due:

• è indipendente dall’energia;

• è direttamente proporzionale al passo della griglia usata per il tracciamento (in questo caso, la distanza tra i fili dei MWPC.

Con un semplicissimo programma Monte Carlo, in cui si scelgono a caso un punto in un quadrato di lato 5 cm (il primo MWPC) e un altro punto in un qua-drato identico distante 25 cm dal primo (il secondo MWPC), il valore medio della (3.5) può essere stimato come (3.34×10–3 cm−1)d.

Per separazioni tra i fili di 1, 5 e 10 mm, il contributo dovuto alla risolu-zione spaziale delle camere a fili risulta allora, rispettivamente: 0.033%, 0.17% e 0.33%. Il contributo, nella peggiore delle ipotesi, risulta dello stesso ordine di

Il progetto

49

grandezza del contributo di straggling angolare del radiatore.

Se ora sommiamo in quadratura gli effetti dello straggling angolare e della risoluzione delle camere a fili, otteniamo quello che abbiamo chiamato il contri-buto angolare all’incertezza sull’energia: l’abbiamo riportato nella figura 4.

0,0E+00

1,0E-03

2,0E-03

3,0E-03

4,0E-03

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

2 ta

n ϑ

δϑ

ϑ δ

ϑ ϑ

δϑ

ϑ δ

ϑ

1 mm

5 mm

10 mm

Figura 4: Il contributo angolare all’incertezza sull’energia, in funzio-ne dell’energia del protone, calcolato per un angolo di scattering di 8°

e per tre diversi valori della separazione tra i fili delle camere.

Si può vedere chiaramente il plateau indipendente dall’energia dovuto alla risoluzione spaziale delle camere a fili e, alle basse energie, il contributo dello straggling angolare nel gas. Si vede anche che i contributi delle camere sono di-rettamente proporzionali alla separazione tra i fili.

Nella peggiore delle ipotesi (spaziatura di 10 mm fra i fili delle MWPC), l’errore relativo sull’energia determinato dal contributo angolare risulta inferiore allo 0.35% per energie del protone di rinculo superiori a 30 MeV. Il contributo aumenta per energie inferiori.

3.2.2.2. L’incertezza relativa dell’energia del protone

L’energia ricostruita del protone, Ep0, è la somma di tre termini: l’energia depositata nel BGO, EBGO, quella persa nel gas, Egas e quella persa nel radiatore, Erad:

radgasBGO0p EEEE ++= (3.6)

L’energia EBGO persa dal protone a fine percorso viene misurata dal rivela-tore, l’energia Egas può essere calcolata a partire dal valore di EBGO, dallo spessore

Capitolo 3

50

noto del volume di gas e dei setti di mylar, l’energia Erad persa dal protone nel ra-diatore è invece sconosciuta e non misurabile né stimabile se non in termini di un errore sistematico che può essere, alle energia più basse, anche considerevole.

Volendo trattare anche questo errore sistematico come una incertezza ca-suale, al fine di desumere un’incertezza media complessiva sulla misura dell’ener-gia, si può fare la seguente ipotesi. Dalla misura di EBGO può essere stimata l’ener-gia del protone all’uscita dal radiatore, che è data dalla somma dell’energia depo-sitata nel BGO e di quella persa nel gas che può essere calcolata. Supponiamo ad esempio che sia 47.4 MeV. Si vuole conoscere l’energia originaria del protone, ma non si sa a quale profondità è avvenuta la conversione. Se è avvenuta alla fine, Ep0 è chiaramente 47.4 MeV, se invece è avvenuta all’inizio del radiatore, un cal-colo dell’energia persa nel radiatore consente di affermare che Ep0 è 50.0 MeV. Una ipotesi ragionevole, ma del tutto arbitraria, che possiamo fare è assumere Ep0

= 48.7 MeV (la media aritmetica tra i due valori), e come δErad 0.75 MeV (la dif-

ferenza divisa per 12 ). Il contributo dello spessore del radiatore all’incertezza relativa è allora 0.75 MeV/48.7 MeV = 1.5%.

Procedendo in questo modo per altri valori, ricaviamo i dati riportati nella figura 5.

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

δδ δδE

p0/

Ep

0

Figura 5: Contributo dello spessore del radiatore all’incertezza sull’energia del neutrone, in funzione dell’energia iniziale del protone.

Si vede che questo contributo è consistente e nettamente dominante rispet-to a quello angolare, soprattutto alle basse energie.

Trattando quindi l’incertezza determinata dal radiatore come una fluttua-zione casuale, con le ipotesi sopra descritte, l’incertezza assoluta sull’energia Ep0

del protone risulta la somma quadratica di tre termini.

Il progetto

51

2rad

2gas

2BGO0p EEEE δ+δ+δ=δ (3.7)

Il contributo del gas, δEgas, è irrilevante, anche alle energie più basse. Per Ep0 = 15 MeV, ad esempio, l’energia persa nel gas è 2.62 MeV, ma l’incertezza su questo valore, che è stata valutata tramite calcoli ripetuti di perdita di energia pro-toni nel gas effettuati con SRIM, è di 89 keV, e quindi contribuisce per il 3.4% all’incertezza relativa, mentre il contributo dello spessore del radiatore è il 25.6%.

Occupiamoci ora di valutare il contributo del BGO. La risoluzione riporta-ta da un produttore (3) è del 20% FWHM a 511 keV, corrispondente a una devia-zione standard dell’8.5%. Per questo genere di rivelatori, la fonte principale di in-certezza è la fluttuazione statistica nel numero di fotoni prodotti, e da questo se-gue che la risoluzione risulta inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’energia (4).

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

δδ δδE

p0/

Ep

0 RAD

BGO

TOT

Figura 6 Incertezza relativa dell’energia del protone. Sono indicati separatamente il contributo del radiatore e quello del BGO. Si vede

che, al di sotto di 40 MeV, predomina il primo, al di sopra il secondo. Il totale è calcolato come somma in quadratura dei due contributi.

Siamo quindi in grado ora di stimare anche il secondo contributo all’incer-

(3) http://www.sinocera.net/en/crystal_lyso.asp (4) Si veda, ad es., G.F. Knoll, Radiation and Detection Measurement, 3rd

ed., p.330.

Capitolo 3

52

tezza relativa dell’energia del neutrone, e cioè quello determinato dall’incertezza relativa dell’energia del protone (v. la 3.2). In figura 6 sono mostrati, nello stesso grafico, i contributi del radiatore e della risoluzione energetica del BGO all’incer-tezza relativa sull’energia del protone. Si vede che, al di sotto di circa 40 MeV, domina il primo contributo, al di sopra il secondo.

A questo punto possiamo arrivare ad una sintesi finale. Nella figura 7 sono rappresentati i due contributi che compaiono nella (3.2): il contributo angolare e l’incertezza relativa sull’energia del protone. Si può vedere che quest’ultimo ter-mine è nettamente dominante a tutte le energie.

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

δδ δδE

n/E

n

ANG

dEp0/Ep0

Figura 7 Risoluzione energetica del PRT. Sono evidenziati separata-mente il contributo angolare e quello dell’incertezza relativa

sull’energia del protone. Il contributo angolare è calcolato nelle condi-zioni peggiori, cioè con una spaziatura di 10 mm tra i fili. La somma in quadratura dei due termini non è rappresentata perché risulta grafi-

camente indistinguibile dal secondo.

È evidente da queste figure che un miglioramento delle prestazioni del ri-velatore, soprattutto nell’intervallo delle basse energie, necessita di un ripensa-mento sostanziale delle caratteristiche del rivelatore per quanto riguarda la struttu-ra del convertitore. Una valutazione più accurata delle possibili prestazioni del ri-velatore può tuttavia essere fatta solo con una simulazione completa con Monte Carlo che descriveremo dopo avere stimato preliminarmente l’altro parametro ca-ratteristico di un rivelatore di neutroni che è l’efficienza di rivelazione in funzione dell’energia del neutrone incidente.

Il progetto

53

3.2.3. L’efficienza e la soglia energetica L’efficienza, ε (En), è la probabilità che un neutrone di energia En produca

un segnale nel rivelatore, e sarà data dall’integrale su z (dove z è la coordinata che descrive la profondità nel convertitore), esteso a tutto il radiatore, della probabilità che il neutrone converta in uno straterello di spessore dz alla profondità z, pconv(En,z)⋅dz, moltiplicata per la probabilità psig(En,z) che il protone emesso dalla collisione elastica giunga fino al al BGO e sia rivelato

( ) ( ) ( )dzzEzEE nconvnsign ∫ ⋅=ε ,, pp (3.8)

3.2.3.1. La stima di pconv

Cominciamo a calcolare pconv(En,z). Trascurando, per semplicità, le intera-zioni col carbonio, il numero di neutroni nel fascio a profondità z sarà:

( )( )zEn

0nHeNzN σ−

= (3.9)

Da questa espressione si deduce facilmente che la densità di probabilità di conversione è:

( ) ( )nHnconv EnE σ=p (3.10)

ed è indipendente da z.

Calcoliamo innanzitutto nH. Tenendo presente che il Pilot B ha una densità ρ = 1023 kg/m3 ed una formula C10H11, ed indicando con n il numero di molecole per unità di volume e con m la massa di una molecola, dall’equazione di stato dei gas perfetti abbiamo:

328

HCH m10165

m11m1011

m11n11n −

×=+

ρ=

ρ== . (3.11)

La sezione d’urto può essere interpolata (con un errore inferiore al 3% nell’intervallo tra 0.3 e 30 MeV) con l’espressione (che noi utilizzeremo fino a 40 MeV) (5):

( ) 228

n

n m105780

MeV

E

834E −

×

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

−=σ ..

(3.12)

(5) Si veda, ad es. G.F.Knoll, Radiation Detection and Measurement, 3rd

ed.., pag. 558.

Capitolo 3

54

3.2.3.2. La stima di psig

Occupiamoci ora della valutazione di psig. Potrà essere espressa così:

( ) ( ) ( )∫ ⋅=nE

0 p0pattr0pnprodnsig dEzEpEEgzEp ,,, p (3.13)

dove: g è un fattore puramente geometrico, che rappresenta la probabilità che la traiettoria del protone intersechi il rivelatore finale, pprod(Ep0,En) rappresenta la densità di probabilità che un neutrone di energia En produca un protone di energia Ep0, e pattr(Ep0,z) è la probabilità che il protone attraversi lo strato rimanente del radiatore e il gas (trascuriamo la soglia energetica del BGO).

Una stima semplificata del fattore g può essere data dal rapporto tra l’an-golo solido sotteso dal secondo MWPC (visto da un punto del radiatore) e l’ango-lo solido corrispondente all’intero emisfero (2π sr). Date le distanze in gioco, po-tremo approssimare:

( )

32

1046cm25

cm5cm5

2

1g −

×=×

π≈ . (3.14)

La densità di probabilità pprod è semplicemente:

( )n

nprod E

1E =p (3.15)

(si veda la formula (2.11) e la figura (2.1)).

Resta da valutare pattr. Possiamo farlo usando ancora una volta SRIM, sud-dividendo il radiatore in venti straterelli da 100 μm ciascuno, generando un ugual numero di protoni di fissata energia al centro di ciascuno straterello e calcolando il rapporto tra il numero di protoni che riescono ad attraversare lo strato rimanente del radiatore e il gas e il numero di protoni generati.

Ripetendo il calcolo per vari valori di Ep0, con un “passo” ΔEp0 = 1 MeV, otteniamo pattr(Ep0,z) sotto forma di una tabella di valori, che riportiamo qui di se-guito.

Il progetto

55

Ep0 (MeV) 50 150 250 350 450 550 650 750 850 9507 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00008 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00009 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,000010 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,000011 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,000012 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,000013 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0396 0,9712 0,999414 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0048 0,7636 0,9980 0,9994 0,9986 1,000015 0,0000 0,0046 0,5988 0,9972 0,9992 0,9994 0,9996 0,9998 1,0000 1,000016 0,9966 0,9986 0,9988 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000017 0,9992 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000

Ep0 (MeV) 1050 1150 1250 1350 1450 1550 1650 1750 1850 19507 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00008 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,99569 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,9924 0,9986 1,000010 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,9902 0,9984 1,0000 1,0000 1,000011 0,0000 0,0000 0,0268 0,9954 0,9980 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000012 0,4606 0,9978 0,9992 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000013 0,9990 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000014 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000015 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000016 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000017 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000

z (μμμμm)

z (μμμμm)

Tabella 2: Probabilità che un protone di energia Ep0, prodotto alla pro-fondità z, riesca ad attraversare lo strato rimanente del radiatore e il

CF4. Qui z è misurata a partire dall’inizio del radiatore.

La probabilità psig che un protone, prodotto da un neutrone di energia En, produca un segnale, può dunque essere espressa così (v. la 3.15):

( ) ( )∫=nE

0 p0pattrn

nsig dEzEpE

gzEp ,, (3.16)

3.2.3.3. La stima dell’efficienza e della soglia

A questo punto abbiamo in mano tutti gli elementi per stimare l’efficienza. Sostituendo la (3.16) e la (3.10) nella (3.8) otteniamo:

( )( )

( )∫ ∫σ

=εmm2

0 0pattr

E

0

0pn

nHn zEpdEdz

E

gEnE

n

,

Possiamo invertire l’ordine di integrazione, e approssimare l’integrale in z con una somma:

Capitolo 3

56

( )( )

( ) =σ

=ε ∫ ∫nE

0

mm2

0 0pattr0pn

nHn dzzEpdE

E

gEnE ,

( )( )∫ ∑ Δ⋅

σ=

=

=

nE

0

mm2z

0z0pattr0p

n

nH zzEpdEE

gEn,

dove Δz è lo spessore di ciascuno straterello, e cioè 100 μm. Anche l’integrale in Ep0 lo approssimiamo con una somma:

( )( )

( ) =⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛Δ

Δσ=ε ∑ ∑

=

=

=

=

np

p

EE

0E

mm2z

0z0pattr0p

n

nHn zEpE

E

zgEnE ,

( )( )∑ ∑

=

=

=

=

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ΔΔσ=

np

p

EE

0E

mm2z

0z0pattr

n

0pnH zEpE

EzgEn, (3.17)

La figura 8 riporta il risultato.

0,0E+00

2,0E-06

4,0E-06

6,0E-06

8,0E-06

1,0E-05

1,2E-05

1,4E-05

1,6E-05

0 5 10 15 20 25 30 35 40

En (MeV)

Eff

icie

nza

Figura 8: Stima dell’efficienza del rivelatore in funzione dell’energia dei neutroni incidenti.

Vediamo che l’ordine di grandezza dell’efficienza del rivelatore è di 10–5, coerente con le prestazioni di rivelatori della stessa categoria, e che la soglia ener-getica si può considerare attorno ai 10 MeV.

Il progetto

57

3.3. Valutazione delle prestazioni del PRT con il programma Monte Carlo

Per valutare le prestazioni del rivelatore, è stata fatta, negli anni 2004-05, una vasta campagna di simulazioni numeriche con un programma scritto utiliz-zando come strumenti GEANT3 (6) e MICAP (7), variando i parametri del proget-to, per analizzare i diversi contributi alla soglia di rivelazione e alla risoluzione energetica.

GEANT è un programma, sviluppato al CERN, che simula il passaggio di particelle attraverso la materia tenendo conto, in maniera molto accurata, sia della struttura geometrica di un apparato, sia di tutte le interazioni fisiche che interven-gono nel percorso della particella. Il nome è un acronimo che sta per GEometry ANd Tracking. La prima versione risale al 1974. Progettato in origine per gli espe-rimenti di fisica delle alte energie, ha trovato applicazioni anche al di fuori di que-sto campo, nei settori della ricerca biomedica, della radioprotezione e dell’astro-nautica. Le principali applicazioni di GEANT nel campo della fisica delle alte e-nergie sono:

o il tracciamento di particelle attraverso un apparato sperimentale per la simula-zione della risposta di un rivelatore;

o la rappresentazione grafica dell’apparato e delle traiettorie delle particelle.

MICAP è un programma che è stato sviluppato all’Oak Ridge National Laboratory per determinare la risposta di una cavità piena di gas di un rivelatore in presenza di neutroni e fotoni. Può modellizzare accuratamente la geometria del-la sorgente e del rivelatore ed usa sezioni d’urto dipendenti dall’energia e dall’an-golo, oltre a vari dati sui diversi materiali. Le procedure di MICAP, che riprodu-cono le interazioni di neutroni con la materia, possono essere strutturalmente con-nesse con GEANT3 e consentono di introdurre nel programma il trattamento delle interazioni adroniche di neutroni, soprattutto alle energia più basse. L’utilizzo di MICAP è risultato essenziale per la valutazione Monte Carlo dell’efficienza del rivelatore PRT in progetto.

In figura 9 si vede uno schema della geometria del rivelatore simulata con GEANT3. In particolare si vedono: (i) il contenitore esterno riempito di CF4 dove sono alloggiate le due coppie di piani di fili che costituiscono le MWPC alle e-stremità del contenitore, con interposto da uno strato di mylar doppiamente allu-minato a costituire il catodo; (ii) il convertitore costituito da un disco di polietile-ne; (iii) lo scintillatore inorganico BGO all’estremità.

(6) http://wwwasd.web.cern.ch/wwwasd/geant/ (7) http://www-rsicc.ornl.gov/codes/psr/psr2/psr-261.html

Capitolo 3

58

Figura 9 Schema della geometria del rivelatore (vecchio progetto) simulata con GEANT3.

Figura 10 Schema di una delle camere multifido (MWPC) simulata da GEANT3.

Nella figura 10 si vede un ingrandimento della prima MWPC dove i due piani di fili simulati sono evidenziati. La presenza dei fili nella camere è rilevante dal punto di vista del tracciamento poiché l’attraversamento di un filo dal parte di un protone determina una modifica rilevante della sua traiettoria, soprattutto alle

Il progetto

59

basse energie.

Nelle simulazioni effettuate con GEANT3 vengono, in generale, generati dei protoni uniformemente in tutto il volume del convertitore, ad energia fissa o su uno spettro definito, con una direzione estratta casualmente ed uniformemente en-tro un determinato angolo solido centrato attorno all’asse del rivelatore. Questi protoni vengono tracciati quindi all’interno dei diversi volumi che costituiscono il rivelatore tenendo conto di tutte le interazioni fisiche di carattere elettromagnetico (perdita di energia, straggling energetico, straggling angolare) che ne influenzano il moto e registrando diverse quantità fisiche importanti per valutare le prestazioni dell’apparato: valori iniziali di energia e direzione, posizioni spaziali, perdite di energia, valori di energia nell’attraversamento dei diversi volumi.

Nella maggior parte delle simulazioni si sono studiate le prestazioni del-l’apparato sulla base del tracciamento dei protoni di rinculo. In questi casi l’ener-gia del neutrone si può ricavare con la (2.5), supponendo che la direzione del neu-trone sia parallela all’asse del rivelatore e che quindi esso incida normalmente alla superficie del convertitore. In alcune simulazioni particolari si è invece generato un fascio di neutroni per studiare unicamente, tramite Monte Carlo, l’efficienza di conversione neutrone protone e l’accettanza dell’apparato. In questi casi alle pro-cedure di GEANT3 si sono agganciate le procedure di MICAP per la simulazione di interazioni adroniche di neutrone e, tenuto conto della bassa efficienza di con-versione attesa (dell’ordine di 10-5), si sono generate popolazioni molto grandi di neutroni per ottenere una sufficiente statistica.

In Fig. 11 si vedono alcuni esempi di tracciamenti di protoni nel rivelatore.

Figura 11 Eventi simulati col Monte Carlo. In alto a sinistra: un pro-tone attraversa le camere e si arresta nel BGO. In alto a destra: un pro-

tone molto energetico attraversa tutto il rivelatore ed esce dal fondo del BGO (si nota anche un raggio delta prodotto all’ingresso nello

scintillatore finale). In basso a sinistra: un protone attraversa tutto il gas ma non entra nel BGO per motivi geometrici. In basso a destra: un

protone si arresta nel gas.

Capitolo 3

60

A valle del tracciamento di ogni singolo protone, dai parametri di traccia-mento, posizioni spaziali, perdite di energia, e basandosi sulle caratteristiche di ri-soluzione spaziale ed energetica di ogni rivelatore che vengono opportunamente simulate, si ricavano la ricostruzione della sua traiettoria e la misura dell’energia rilasciata dal protone nel BGO. Da queste informazioni si ottengono rispettiva-mente l’angolo θ e la misura dell’energia Ep0 della formula (2.5), aggiungendo la stima dell’energia persa dal protone nell’attraversare il gas ed i setti. Le caratteri-stiche dei rivelatori possono essere modificate, per esempio si può variare la spa-ziatura fra i fili, ai fini di valutare la dipendenza delle prestazioni del rivelatore dalle caratteristiche dei diversi componenti.

Occorre precisare che le valutazioni col metodo Monte Carlo sono state ef-fettuate quando ancora si pensava di utilizzare come radiatore il polietilene (CH2), e quindi alcuni risultati non sono confrontabili quantitativamente con precisione con quelli ottenuti con la stima semplice (in cui si considera il Pilot B), ma la dif-ferenza tra i due materiali non è tale da modificare in maniera significativa il comportamento del rivelatore.

1,0E-05

1,0E-04

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120 140

Ep0 (MeV)

δΔ

δΔ

δΔ

δΔ

E/E

OFF

RAD

MuSc

ANG

BGO

Figura 12 Studio Monte Carlo dei diversi contributi alla risoluzione energetica in funzione dell’energia iniziale del protone. OFF: solo

perdita di energia e straggling energetico; RAD: incertezza sull’energia dovuta allo spessore del radiatore; MuSc: scattering mul-tiplo; ANG: contributo angolare dovuto alla risoluzione spaziale delle

MWPC; BGO: risoluzione energetica del BGO. Questi effetti sono stati calcolati per uno spessore del radiatore di 2 mm, una spaziatura

tra i fili di 1 mm e una risoluzione energetica del BGO del 5% FWHM indipendente dall’energia.

Il progetto

61

Per valutare i diversi contributi alla risoluzione energetica dello strumento consideriamo lo scarto quadratico medio (δΔE) della distribuzione dei valori otte-nuti sottraendo dall’energia del neutrone incidente (En) (energia di generazione del protone nel Monte Carlo) l’energia ricostruita (Er), tenendo conto separata-mente dei seguenti contributi all’incertezza: spessore del radiatore (RAD), scattering multiplo nei mezzi che genera incertezza sulla direzione (MuSc), con-tributo angolare dovuto alla risoluzione spaziale delle MWPC (ANG), risoluzione energetica dello scintillatore finale (BGO), perdita di energia per ionizzazione e straggling energetico. Il risultato di questa analisi è mostrato nella figura 12.

La curva (OFF) rappresenta la precisione di ricostruzione dell’energia del neutrone nel caso in cui sia presente solo perdita di energia e straggling energeti-co. In questo e nei casi successivi si suppone quindi di poter ricostruire esattamen-te l’energia persa nel convertitore. In questo caso l’incertezza è dovuta unicamen-te allo straggling energetico, che risulta importante solo alle energie vicine alla soglia. I contributi nella determinazione dell’angolo θ dovuti alla risoluzione spa-ziale dei rivelatori (ANG) ed allo scattering multiplo (MulSc) pesano poco, dell’ordine del per mille, alle energie più elevate e dell’uno percento alle energie di soglia. I contributi dominanti sono dovuti, come atteso, alle energie più elevate alla risoluzione energetica del BGO (BGO) e, alle energie più basse, dalla incer-tezza sistematica sull’energia persa nel convertitore (RAD). Si nota che l’entità di quest’ultimo contributo raggiunge un massimo per poi diminuire avvicinandosi all’energia di soglia; questo è presumibilmente dovuto al fatto che, alle energie di protone più basse entrano nel conteggio solo i protoni che hanno attraversato spessori più piccoli di convertitore. Si può notare, inoltre, che l’andamento del contributo angolare valutato con il Monte Carlo è quasi identico a quello stimato con l’analisi semplificata, e anche i valori numerici sono molto simili.

Nella figura 13 viene fatta un’analisi più dettagliata del contributo angola-re alla risoluzione energetica. Viene riportato il valore medio della differenza tra energia del neutrone ed energia ricostruita in funzione di En, per tre diversi valori della spaziatura tra i fili.

Anche in questo caso, come con l’analisi semplificata, si riconosce chia-ramente il contributo della risoluzione finita delle camere multifilo, indipendente dall’energia, e, alle basse energie, il contributo dello straggling angolare nel gas. Si vede anche che i contributi delle camere sono direttamente proporzionali alla separazione tra i fili.

Capitolo 3

62

0,000

0,001

0,002

0,003

0,004

0,005

0,006

0,007

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

δΔ

δΔ

δΔ

δΔ

E/E

1 mm

5 mm

10 mm

Figura 13: Contributo angolare alla risoluzione energetica, in funzio-ne dell’energia iniziale del protone.

Nelle figure successive si mostrano alcuni risultati dello studio sistematico Monte Carlo effettuato sul progetto di rivelatore, dai quali si desume la rilevanza delle diverse caratteristiche del progetto in relazione alla risoluzione energetica.

0,00

0,05

0,10

0,15

0,20

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

δΔ

δΔ

δΔ

δΔ

E/E RAD + ANG +

BGO

RAD + ANG +BGO + MuSc

Figura 14: Lo scattering multiplo non ha un effetto rilevante.

La Fig. 14 mostra l’andamento complessivo della risoluzione in energia

Il progetto

63

inserendo o togliendo l’effetto dello scattering multiplo. È evidente che questo contributo ha un effetto irrilevante.

La figura 15 mostra l’effetto della presenza di gas all’interno del conteni-tore del rivelatore. Si vede che il gas non influisce in modo significativo sulla ri-soluzione energetica se non alle energie più basse. Infatti, la presenza del gas comporta la necessità di ricostruire l’energia persa dal protone nell’attraversamen-to del volume e questo può introdurre degli errori. Come si vede in tabella 1, alle energie più basse, l’energia persa nel gas può essere una frazione consistente dell’energia totale del protone.

0,00

0,05

0,10

0,15

0,20

0,25

0 20 40 60 80 100 120

E (MeV)

δΔ

δΔ

δΔ

δΔ

E/E

RAD +ANG gas

RAD +ANG

t

Figura 15: Risoluzione energetica calcolata tenendo conto solo del radiatore e del contributo angolare. Quest’ultimo è calcolato con e

senza gas nello spazio tra le camere a fili. Si vede che il gas non in-fluisce in modo significativo sulla risoluzione energetica.

La Fig. 16 mostra l’andamento della risoluzione energetica con due diversi spessori di convertitore: 2.0 mm ed 1.0 mm. Risulta evidente che l’errore introdot-to dalla perdita di energia nel convertitore è dominante alle basse energie mentre, alle alte energie, domina l’errore dovuto alla risoluzione in energia del BGO. Su questo secondo aspetto è difficile intervenire a livello progettuale, se non si di-spone di un rivelatore con risoluzione energetica intrinseca migliore. Molto invece può essere migliorato alle energie più basse modificando in misura sostanziale il progetto del rivelatore.

Capitolo 3

64

0,00

0,02

0,04

0,06

0,08

0,10

0,12

0,14

0,16

0,18

0 20 40 60 80 100 120

E (MeV)

δΔ

δΔ

δΔ

δΔ

E/E 2 mm

1 mm

Figura 16: Risoluzione energetica (RAD + ANG + BGO) calcolata per due diversi spessori del radiatore

3.4. Le modifiche al progetto

L’analisi del progetto originale del PRT con il metodo Monte Carlo ne ha messo in luce gli aspetti critici e ha suggerito i possibili miglioramenti strutturali.

Come già prima segnalato, i principali contributi all’incertezza sull’energia del neutrone sono dovuti allo spessore del radiatore e alla risoluzione finita nella misura dell’energia del protone da parte del rivelatore finale BGO. Una modifica del progetto potrebbe prevedere la misura della luce emessa dal convertitore che è costituito, per questo motivo, di materiale attivo. Tuttavia, l’incertezza sulla misu-ra dell’energia rilasciata sarebbe ancora rilevante, per cui si è preferito intervenire con una soluzione di carattere diverso, che verrà illustrata più avanti.

In ordine di importanza, il successivo contributo all’incertezza sull’energia del neutrone è quello angolare dovuto sia alla spaziatura dei fili sia allo scattering multiplo nei materiali. Il primo dei due risulta trascurabile alle basse energie ri-spetto agli altri contributi, un po’ più importante (dipende dalla spaziatura tra i fi-li) alle energie più elevate, mentre lo scattering multiplo diventa importante alle basse energie.

Per quanto riguarda invece la soglia in energia, lo spessore del radiatore e la presenza del gas di riempimento del contenitore introducono inoltre una soglia nella minima energia dei neutroni rivelabili che si colloca attorno ai 10 MeV e de-termina una riduzione consistente dell’efficienza di rivelazione alle energie più vicine alla soglia (vedi figura 8)

Il progetto

65

Le modiche al progetto hanno quindi interessato gli elementi più significa-tivi messi in luce dall’analisi del progetto preliminare. In particolare, gli interventi hanno modificato sostanzialmente il convertitore ed il sistema di rivelatori per il tracciamento della traiettoria del protone.

Per quanto riguarda il convertitore:

o Si è introdotto nel progetto un convertitore attivo, cioè capace di segnalare l’emissione del protone di rinculo a seguito della collisione elastica del neu-trone. Per la verità il convertitore risultava di materiale attivo anche nel pro-getto originale (scintillatore), tuttavia il segnale luminoso prodotto non veniva raccolto da un fotomoltiplicatore e l’informazione di tempo e ampiezza non poteva essere utilizzata. In questo caso si prevede invece di raccogliere il se-gnale leggendolo con un opportuno sistema di fototubi. Il materiale costituente il convertitore è poliviniltoluene (C9H10)

o Il convertitore viene segmentato. Mantenendo lo stesso spessore complessivo (e quindi senza perdere in efficienza, almeno in prima approssimazione), il ra-diatore viene suddiviso in cinque strati da 400 μm ciascuno. In questo modo, leggendo il segnale luminoso sui singoli segmenti, si riesce ad individuare in quale strato è avvenuta la conversione, e l’incertezza sulla perdita di energia si riduce notevolmente. In sostanza, si ottiene l’efficienza di un radiatore da 2 mm accoppiata con un errore sistematico sull’energia di uno da 400 μm. Si potrebbe anche pensare di valutare la perdita di energia in ogni strato misuran-do l’ampiezza del segnale, tuttavia l’errore nella misura dell’energia sarebbe comunque così grande da rendere inutile lo sforzo di calibrazione del sistema.

Figura 17: Schema dei primi quattro piani di scintillatori. Ciascuna striscia viene letta da un fotomoltiplicatore. Il primo e il terzo piano

sono disposti con le strisce orizzontali, come nello schema a sinistra, e consentono quindi di leggere la coordinata y. Il secondo e il quarto

piano hanno invece le strisce disposte verticalmente (schema a destra) e consentono di leggere la x.

o I piani vengono ulteriormente suddivisi in quattro strisce ciascuno, di 5.0 cm x

Capitolo 3

66

1.2 cm, disposte alternativamente in modo orizzontale e verticale (v. Fig. 17). Ciascuna delle strisce viene letta da un fotomoltiplicatore separato. In questo modo il radiatore viene utilizzato anche per il tracciamento, perché si riesce a conoscere la coordinata x o y del passaggio del protone. Si ottengono così altri punti (più dei due previsti nel progetto originario). Questo contribuisce a mi-gliorare la risoluzione angolare per tracce di protone che attraversano tutto il rivelatore e consente inoltre, come vedremo, di misurare, sia pure con preci-sione inferiore, la direzione di tracce di protone che non attraversano tutto il rivelatore, abbassando potenzialmente al soglia energetica.

Nel quinto piano (che ha le strisce orizzontali, e consente quindi di leggere la y), ciascuna striscia viene invece letta da entrambi i lati, e si ricava anche la x dal confronto tra l’ampiezza dei segnali sui due lati della striscia colpita (v. figura 18). Nel capitolo 4 saranno descritte le procedure di calibrazione di questi rivela-tori e sarà quantificata la precisione raggiunta nella misura della posizione.

x

y

Figura 18: Schema del quinto piano di scintillatori plastici. Ciascuna striscia viene letta da due fotomoltiplicatori. La striscia che viene col-pita individua la y, mentre la x si ricava dal rapporto tra le ampiezze

dei segnali sui due lati.

La seconda importante modifica al progetto è stata quella di togliere il gas di riempimento del contenitore, sostanzialmente con un duplice scopo. In primo luogo per abbassare la soglia energetica del rivelatore: infatti, alle energie più bas-se l’attraversamento dello strato di gas e dei setti contenuti fa perdere al protone molta energia: ad esempio, un protone che esce dal radiatore con 9.5 MeV, depo-sita circa 4.4 MeV nel gas (v. tab. 1), e comunque, per attraversare lo strato di gas, il protone deve possedere, all’uscita dal radiatore, almeno 7.4 MeV. In secondo luogo, l’energia rilasciata nell’attraversamento del gas non viene misurata e deve, per questo, essere valutata per poter ricostruire accuratamente l’energia Ep0 del protone. Ciò comporta un errore nella stima dovuto allo straggling in energia e al-la precisione della determinazione dell’energia e della traiettoria di attraversamen-to. Infine, l’assenza del gas riduce lo scattering multiplo, anche se l’introduzione dei rivelatori necessari per definire la traiettoria (microstrip al silicio) compensa quasi esattamente il vantaggio ottenuto.

Il progetto

67

Infatti, le MWPC non possono funzionare in vuoto e vengono quindi sosti-tuite con due rivelatori al silicio di 5 cm x 5 cm. Ciascuno di loro ha uno spessore di 300 μm ed è segmentato, con strisce incrociate (orizzontali su una faccia, verti-cali sull’altra), in modo da poter leggere sia la coordinata x sia la y. Le strisce hanno una larghezza di 3 mm, ma vengono lette due a due per ridurre l’elettronica necessaria (per maggiori dettagli, si veda il Cap. 4). Inoltre, i rivelatori al silicio presentano anche un altro grosso vantaggio, in quanto consentono anche di misu-rare l’energia depositata dal protone, migliorando, di conseguenza, la risoluzione energetica. In caso contrario, infatti, la perdita di energia nei rivelatori avrebbe dovuto essere stimata ed avrebbe comportato un ulteriore errore nella misura dell’energia del protone.

Infine, per motivi puramente pratici, il BGO viene sostituito con uno scin-tillatore allo ioduro di cesio, dalle prestazioni abbastanza simili.

In Fig 19 viene mostrato lo schema del rivelatore simulato con GEANT3 ottenuto con la grafica del programma interattivo. Nella figura le proporzioni rela-tive diversi componenti sono rispettate.

Figura 19 Schema del nuovo progetto del PRT simulato da GEANT3.

3.5. Classificazione degli eventi acquisiti dal PRT nel nuovo progetto

Nel seguito ci risulterà utile classificare le diverse categorie di eventi che risultano analizzabili con il nuovo progetto di PRT, sulla base del punto di arresto del protone.

1. Categoria (1): protoni emessi dal convertitore, in uno qualsiasi dei cinque strati, e che hanno sufficiente energia per attraversare il convertitore, le due

Capitolo 3

68

microstrip al silicio, e dare un segnale misurabile nel cristallo di CsI(Tl). Lo schema di uno di questi eventi è mostrato nella figura 20. Un protone da 47.2 MeV generato nel primo strato, è stato tracciato da GEANT3. La soglia minima di rivelazione per questo tipo di eventi è di circa 8.9 MeV, e corri-sponde a protoni generati alla fine del quinto piano di scintillatori plastici che si arrestano all’inizio del CsI. Il valore massimo dell’energia per questa cate-goria di eventi, corrispondente a protoni generati all’inizio del primo piano dei rivelatori plastici che si arrestano alla fine del CsI, è di circa 168 MeV.

Figura 20 Evento di categoria (1): un protone da 47.2 MeV, generato nel primo piano di scintillatori plastici, attraversa tutti i rivelatori di

tracciamento e si arresta all’inizio del CsI.

2. Categoria (2): protoni emessi dal convertitore, in uno qualsiasi dei cinque strati, e che hanno sufficiente energia per attraversare il convertitore e la pri-ma microstrip al silicio, e vengono arrestati nella seconda microstrip al silicio. È bene precisare che, se il protone riuscisse ad attraversare la seconda micro-strip al silicio, poiché il contenitore è in vuoto, potrebbe colpire il cristallo di CsI(Tl) e verrebbe ricondotto alla categoria precedente. Per questa categoria di eventi, la direzione del protone e la sua energia sono ancora misurabili poi-ché si hanno sia le informazioni spaziali dal convertitore e dalle microstrip, sia quelle energetiche dalla misura del rilascio energetico nelle microstrip. La soglia energetica per la rivelazione dei questa categoria di eventi è circa 6.0 MeV (evento che nasce nel quinto strato e si arresta all’inizio della secon-da microstrip), e l’energia massima (nascita all’inizio del primo piano dei pla-stici e arresto alla fine del secondo silicio) è di circa 16.5 MeV (c’è ovviamen-te una parziale sovrapposizione in energia tra le diverse categorie, dovuta al fatto che la conversione neutrone-protone può avvenire in uno qualunque dei cinque piani di scintillatori). Queste due prime categorie di eventi sono quelle per cui c’è il massimo di informazione sia sulla direzione sia sull’energia. La figura 21 esemplifica questa la categoria di eventi.

Il progetto

69

Figura 21 Evento di categoria 2: un protone da 13.5 MeV, generato nel secondo piano di scintillatori plastici, si arresta nel secondo silicio. Si nota che il protone subisce uno scattering significativo nel primo si-licio. Questo costituisce un problema per la ricostruzione della traccia, più importante alle basse energie. Tuttavia il problema si può in qual-che modo tenere sotto controllo scartando quegli eventi per cui la di-stanza tra il fit e il centro della strip è maggiore della semilarghezza

della strip.

3. Categoria (3): protoni emessi dal convertitore, in uno qualsiasi dei cinque strati, e che hanno sufficiente energia per attraversare il convertitore ed arre-starsi nella prima microstrip al silicio. Anche in questo caso si hanno a dispo-sizione, sebbene con precisione inferiore, sia informazioni spaziali sulla dire-zione del protone sia sulla sua energia. La soglia energetica per la rivelazione di questa categoria di eventi è determinata soltanto dalla somma delle soglie intrinseche di rivelazione del convertitore plastico e del silicio: possiamo sti-marla in circa 2 MeV (evento che viene prodotto alla fine del quinto strato dei plastici e si arresta all’inizio della prima microstrip). Questa deve essere con-siderata la soglia minima per la rivelazione dei neutroni del rivelatore PRT. Il valore massimo di energia per questa categoria è di circa 13.2 MeV (evento prodotto all’inizio del primo piano e arresto alla fine del primo silicio; anche in questo caso c’è una parziale sovrapposizione in energia con la categoria precedente). La figura 22 esemplifica la categoria di eventi descritta.

Figura 22 Evento di categoria 3: un protone da 9.9 MeV, generato nel terzo piano di scintillatori plastici, si arresta nel primo silicio.

Capitolo 3

70

Bisogna naturalmente aggiungere che, per assegnare gli eventi alle diverse categorie descritte, è necessario che le informazioni spaziali sulla traiettoria con-sentano di individuare quegli eventi in cui la traiettoria del protone è tale da farlo uscire dall’accettanza della catena di rivelatori. In questi casi l’evento deve essere semplicemente scartato. La figura 23 mostra uno di questi eventi.

Figura 23 Un protone da 55.5 MeV, generato nel quarto piano di scin-tillatori, colpisce il primo silicio, ma esce dal basso senza intercettare né il secondo silicio né il CsI. L’evento dev’essere scartato perché non

si può ricostruire l’energia del protone.

Inoltre, per i protoni di energie più elevate, è necessario valutare se, in ba-se alla traiettoria misurata ed alla energia del protone all’ingresso del cristallo di CsI(Tl), il range del protone nel CsI(Tl) è sufficiente breve da fargli rilasciare tut-ta l’energia nel cristallo. In caso contrario, infatti, il protone uscirebbe dal volume del cristallo dotato di energia cinetica residua e la misura dell’energia del protone stesso ne risulterebbe falsata sistematicamente.

Un controllo su questo tipo di eventi può essere effettuato valutando l’e-nergia del protone all’ingresso del cristallo di CsI(Tl) sulla base dell’energia rila-sciata dal protone nella seconda microstrip (o in entrambe, vedi l’Appendice a questo capitolo). Dalla curva dE/dx in funzione di E per un protone in 300 μm di silicio è infatti possibile stimare l’energia del protone all’uscita della microstrip. In questo caso dE è la misura dell’energia rilasciata nella seconda microstrip, dx è lo spessore della microstrip ed E è l’energia del protone all’uscita. Naturalmente, il fenomeno di straggling energetico non consente una attribuzione univoca dell’energia E sulla base di una misura di dE ma, alle energie di interesse, la fun-zione dE/dx è sufficientemente variabile con l’energia da consentirne una stima ragionevole (per un approfondimento su questo punto, si veda l’Appendice a que-sto capitolo).

Sottolineiamo che i problemi sopra descritti erano presenti anche nel pro-getto originale ma, in quel caso, non esisteva nessuna possibilità di risolverli, per-ché non c’era nessuna misura dell’energia del protone prima del BGO. In sostan-za, quindi, nel progetto originale non si potevano mai separare i protoni che si ar-restavano nel BGO da quelli che uscivano per eccesso di energia, e questo costi-tuiva un serio limite del progetto, che si poteva risolvere solo aggiungendo, even-

Il progetto

71

tualmente, un ulteriore rivelatore in anticoincidenza. Il problema sarebbe stato sot-to controllo solo supponendo di conoscere l’energia massima dei neutroni presenti nel fascio incidente. Come sappiamo, infatti, Ep0 è compreso tra 0 ed En, e si può facilmente verificare che i protoni non riescano ad uscire dal fondo del BGO. Re-sta però, anche in questo caso, un piccolo problema per quei protoni che escono lateralmente (come nella figura 24). A questi protoni (e di conseguenza ai neutro-ni che li hanno generati) viene erroneamente attribuita un’energia minore di quella che hanno effettivamente, e questo provoca una distorsione negli spettri prodotti.

scintillatori plastici siliciCsI

neutrone

protone

Figura 24 Se il protone esce lateralmente dallo scintillatore finale, la sua energia viene sottostimata.

3.6. Stima delle prestazioni del nuovo progetto del PRT

Analogamente a quanto fatto per il progetto originario, è possibile stimare in modo approssimato il miglioramento nelle prestazioni del rivelatore PRT che si ottiene introducendo le modificazioni strutturali sopra descritte. Successivamente, ed anche in concomitanza ed a supporto dell’analisi dei dati sperimentali illustrata nel Cap. 5, verranno presentati alcuni risultati di una accurata simulazione Monte Carlo del rivelatore effettuata con GEANT3 e MICAP.

Come sottolineato precedentemente, il nuovo progetto del rivelatore PRT ha introdotto numerosi nuovi elementi, convertitore attivo e segmentato, micro-strip al silicio, contenitore vuoto, che consentono una più accurata misura sia della direzione sia dell’energia del protone emesso dal convertitore.

Preliminarmente elenchiamo le informazioni, sia spaziali che energetiche, che possono essere raccolte dai diversi rivelatori. Il convertitore attivo permette di misurare la posizione di emissione del protone con una sensibilità dell’ordine del-la dimensione della striscia di scintillatore (1.2 cm), anche se la precisione può migliorare se vengono colpiti più strati consentendo così di mediare le informa-zioni spaziali delle singole strisce. L’informazione energetica del convertitore non viene invece utilizzata se non per il quinto strato, ma viene comunque utilizzata la semplice presenza del segnale per valutare la coordinata longitudinale, e quindi il numero di strati di convertitore attraversati.

Capitolo 3

72

Le microstrip al silicio forniscono un’informazione spaziale sulla posizio-ne di attraversamento della particella carica con una sensibilità dovuta alla seg-mentazione ed alla lettura dell’elettronica di 6.2 mm. Forniscono inoltre una valu-tazione dell’energia persa dalla particella con una precisione abbastanza elevata dell’1.0% FWHM, corrispondente ad una deviazione standard dello 0.42%. Il cri-stallo CsI(Tl) posto alla fine della traiettoria del protone può misurare solamente l’energia residua del protone.

Cercheremo nel seguito di valutare in modo approssimato il miglioramento ottenibile nella soglia di rivelazione e nella risoluzione energetica, soprattutto alle basse energie, nel nuovo schema di progetto. Tale miglioramento dipende sia dal-la segmentazione del convertitore con lettura del segnale luminoso generato nei diversi strati, sia dalla possibilità di determinare la direzione e l’energia del proto-ne anche nei casi in cui esso non abbia sufficiente energia da giungere e rilasciare segnale nel cristallo di CsI(Tl), ma si arresti in una delle due microstrip al silicio. Valuteremo inoltre l’effetto introdotto dalla risoluzione finita dei rivelatori al sili-cio che, nel nuovo progetto, è di 6.2 mm, superiore alla risoluzione spaziale delle MWPC che poteva spingersi fino a 1.0 mm.

3.6.1. Stima della risoluzione energetica Valuteremo quelli che, nel vecchio progetto, erano risultati i tre contributi

principali alla risoluzione energetica: lo spessore del radiatore, la risoluzione dello scintillatore finale e la risoluzione spaziale finita dei rivelatori di tracciamento.

3.6.1 1. Il contributo dello spessore del radiatore

1,0E-04

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

δδ δδE

p0/

Ep

0

PRT nuovo

PRT vecchio

Figura 25 Stima dell’influenza dello spessore del radiatore sull’incertezza dell’energia del neutrone. Per confronto, è mostrata an-

che la stima per il progetto originale.

Il progetto

73

In questo caso possiamo procedere in modo perfettamente analogo a quello che abbiamo seguito per il vecchio progetto, semplicemente sostituendo lo spesso-re di 2000 μm con quello di 400 μm del singolo strato. Il risultato è mostrato nella figura 25 dove, per confronto, è mostrata anche la stima per il progetto originario. L’influenza dello spessore del radiatore è stata abbattuta di un fattore 5, come ci si aspetta, dal momento che lo spessore è stato appunto ridotto di questo fattore.

3.6.1.2 Il contributo del CsI

In questo caso è stata fatta una calibrazione diretta del CsI con una sorgen-te di 241Am che emette particelle alfa da 5.49 MeV. Si è trovata una risoluzione del 5.5% FWHM, corrispondente ad una deviazione standard del 2.3% (v. più a-vanti Cap. 4, paragrafo 4). Assumendo anche in questo caso, come abbiamo fatto per il BGO nel vecchio progetto, una risoluzione inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’energia, possiamo calcolare il contributo del CsI alla risolu-zione energetica. Il risultato è mostrato nella figura 26.

1,0E-04

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

CsI

BGO

Figura 26 Valutazione della risoluzione energetica del CsI. Per con-fronto, è mostrata anche quella del BGO.

3.6.1.3 Il contributo della risoluzione finita dei rivelatori di traccia-mento

Stimiamo ora, in modo semplificato, l’effetto della risoluzione finita dei rivelatori sulla risoluzione energetica. Consideriamo il caso peggiore , cioè gli e-venti di categoria 3. Per quanto abbiamo detto prima, un evento di questa catego-ria viene accettato soltanto se la traiettoria estrapolata passa per il secondo silicio. Sceglieremo quindi un punto a caso in uno scintillatore plastico (ad esempio il terzo) e un punto a caso nel secondo silicio (v. figura 27)

Capitolo 3

74

scintillatori plastici silici

L1L2

traiettoria estrapolata

Figura 27 Caso di un protone che viene originato nel terzo piano degli scintillatori e si arresta nel primo silicio. L’evento viene accettato sol-

tanto se la traiettoria estrapolata interseca il secondo silicio.

Stavolta però non abbiamo la stessa incertezza sui due piani. Sul primo (quello dello scintillatore plastico) l’incertezza δx1 è data da:

cm346012

cm21x1 .

.==δ

(1.2 cm è la larghezza di una striscia degli scintillatori). Sul secondo piano (quello del secondo silicio) abbiamo un’incertezza δx2 che è determinata dalla “griglia” del primo silicio, di passo 0.62 cm, “proiettata” sul secondo:

cm7050L

LL

12

cm620x

2

122 .

.=

+=δ

dove L1 e L2 sono rispettivamente la distanza tra i due silici e la distanza tra il piano in cui avviene la conversione (il terzo, in questo caso) e il primo silicio (v. figura 27), e valgono, rispettivamente, 25 cm e 8.5 cm.

Fatto questo, dobbiamo generalizzare la (3.4) e la (3.5) al caso di incertez-ze diverse sui due piani. Ripercorrendo lo stesso ragionamento otteniamo:

222

22

212

aL

xxL

+

δ+δ=δϑ

222

22

21

aL

xxa22

+

δ+δ=δϑϑtan

Come abbiamo già fatto, valutiamo il valore medio di questa espressione con un semplice programma Monte Carlo, scegliendo a caso due punti su due quadrati di lato 5 cm (sono queste le dimensioni sia dei plastici sia dei silici), e ot-teniamo il valore 0.36%. Se lo confrontiamo con il contributo dello spessore del

Il progetto

75

radiatore, vediamo che al di sopra di circa 40 MeV prevale il contributo angolare, mentre al di sotto prevale quello dello spessore del radiatore. Ovviamente, il con-tributo della risoluzione finita dei rivelatori di tracciamento è molto minore per gli eventi di categoria 1 e 2.Possiamo ora riassumere in un unico grafico i tre princi-pali contributi alla risoluzione energetica.

1,0E-04

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

CsI

Ris. Spaz.

RAD

TOT

Figura 28 Stima dei tre principali contributi alla risoluzione energeti-ca nel nuovo progetto. Il totale è ottenuto sommando in quadratura i tre contributi. Il contributo della risoluzione finita dei rivelatori di

tracciamento è calcolato per gli eventi di categoria 3, la peggiore. An-che in questo caso però non condiziona mai la risoluzione energetica, che risulta determinata dal radiatore a basse energie e dal CsI ad ener-

gie più alte.

La figura 29 mostra un confronto tra la risoluzione complessiva stimata per il vecchio e per il nuovo progetto. Si può vedere che si è ottenuto un miglio-ramento sensibile a tutte le energie.

Capitolo 3

76

1,0E-03

1,0E-02

1,0E-01

1,0E+00

0 20 40 60 80 100 120

Ep0 (MeV)

PRT vecchio

PRT nuovo

Figura 29 Confronto tra le stime della risoluzione energetica per il vecchio e per il nuovo progetto.

3.6.2. La stima approssimata dell’efficienza del PRT Anche per quanto riguarda la stima dell’efficienza la situazione è più com-

plicata che per il progetto originario. Volendo valutare l’efficienza globale del-l’apparato, indipendentemente dalla precisione con cui i vari eventi vengono rico-struiti, prenderemo in considerazione quegli eventi acquisiti in cui il protone arri-va nel primo silicio (oltrepassandolo o meno), e cioè in pratica eventi di tutte le categorie. In base a quanto detto al punto 3.6, questi corrispondono a quei casi in cui la traiettoria del protone, reale o estrapolata, interseca il secondo silicio (8). Sostanzialmente, gli elementi che cambiano sono:

o il fattore geometrico, g, che dipende dal piano di scintillatori in cui è avvenuta la conversione;

o il termine pattr(Ep0,z), che rappresenta, ricordiamo, la probabilità che un proto-ne, prodotto dopo che il neutrone ha percorso una distanza z all’interno degli scintillatori plastici, riesca ad attraversare lo strato rimanente di materiale pla-stico e ad arrivare al primo silicio. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, siccome c’è il vuoto tra i vari piani di scintillatori, possiamo ancora pensare di valutare questo termine come se fossero raggruppati. La differenza rispetto al progetto vecchio è solo che ora il protone non deve più attraversare il gas.

Per quanto riguarda il fattore g, in base a quanto detto in precedenza, è da-to dal rapporto tra l’angolo solido sotto cui il secondo silicio viene visto dal punto

(8) Si noti che nel passaggio dal secondo silicio al CsI non c’è quasi perdita di angolo solido, in quanto il diametro del CsI (3” = 7.62 cm) è superiore alla dia-gonale del quadrato dei silici (7.1 cm).

Il progetto

77

di conversione, e l’angolo solido corrispondente all’intero emisfero. Un valore medio potrà essere grossolanamente valutato assumendo che la conversione av-venga nel terzo piano. Date le distanze in gioco, potremo approssimare:

( )

32

2

1053cm533

cm25

2

1

sr2g −

×=π

≈π

Ω≈ .

.

Valutiamo ora il fattore pattr(Ep,z). Le nuove tabelle sono:

Ep0 (MeV) 50 150 250 350 450 550 650 750 850 9502 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00003 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00004 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00005 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00006 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00007 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00008 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,00009 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,000010 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,9822 0,999211 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0190 0,9938 0,9986 1,0000 1,000012 0,0000 0,0000 0,0000 0,4102 0,9990 0,9994 1,0000 1,0000 1,0000 1,000013 0,0334 0,9688 0,9990 0,9992 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000014 0,9990 0,9996 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000

Ep0 (MeV) 1050 1150 1250 1350 1450 1550 1650 1750 1850 19502 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,99943 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0030 1,00004 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,9996 1,00005 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,3274 0,9998 1,0000 1,00006 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,0000 0,9980 1,0000 1,0000 1,0000 1,00007 0,0000 0,0000 0,0000 0,0124 0,9990 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,00008 0,0000 0,0000 0,9980 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,00009 0,9850 0,9992 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000010 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000011 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000012 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000013 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,000014 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000

z (μμμμm)

z (μμμμm)

Tabella 3 Probabilità che un protone di energia Ep, prodotto alla pro-fondità z (misurata a partire dall’inizio del primo piano di scintillatori, senza tener conto degli spazi vuoti), riesca ad attraversare lo strato ri-

manente del radiatore.

L’efficienza che si ottiene è riportata nella figura 30:

Capitolo 3

78

0,0E+00

2,0E-06

4,0E-06

6,0E-06

8,0E-06

1,0E-05

1,2E-05

0 5 10 15 20 25 30 35 40

En (MeV)

Eff

icie

nza

Figura 30 Efficienza del nuovo PRT. La “gobba” che si nota a 3 MeV è una pura fluttuazione statistica, dovuta al “passo” in energia troppo

lungo adottato per il calcolo, e non ha significato fisico.

Rispetto all’efficienza calcolata per il progetto vecchio, sembra di notare:

o una leggera perdita di efficienza, dovuta sostanzialmente alla riduzione del-l’angolo solido (il PRT si è allungato), non del tutto compensata dall’elimina-zione del gas;

o uno spostamento del massimo (e più in generale di tutta la curva) verso ener-gie inferiori (ora il massimo è a 16 MeV): questo è dovuto chiaramente all’eli-minazione del gas;

o un abbassamento sensibile della soglia: questo obiettivo sembra dunque essere stato raggiunto.

3.6.3. La stima dell’efficienza del PRT con il Monte Carlo L’efficienza del rivelatore PRT, vale a dire l’efficienza di conversione dei

neutroni sul convertitore unita all’accettanza geometrica del rivelatore è stata va-lutata in modo più accurato con una simulazione Monte Carlo. In questa simula-zione un fascio di neutroni emessi su uno spettro piatto fra 10 MeV e 50 MeV di energia, con direzione parallela all’asse del rivelatore, è stato fatto collidere sul convertitore segmentato del PRT. La struttura simulata del rivelatore PRT è quella rappresentata in Fig. 19.

Le interazioni adroniche dei neutroni nel convertitore sono state simulate tramite il programma MICAP, le cui procedure sono state attivate nell’ambito del programma Monte Carlo basato su GEANT3. Il calcolo tiene quindi in considera-zione sia le collisioni elastiche dei neutroni sui protoni del convertitore che gene-rano i protoni, sia le collisioni dei neutroni sui nuclei di carbonio che possono

Il progetto

79

frantumare il nucleo, emettere frammenti carichi pesanti, neutroni ed anche proto-ni. Questi ultimi, se rivelati dal PRT costituiscono un rumore di fondo per la misu-ra di spettro ed intensità del campo neutronico: il Monte Carlo ha permesso di va-lutare quantitativamente questo contributo, che è risultato del 5% e quindi non in-quina in modo significativo la risposta del PRT. Inoltre il calcolo tiene conto della direzione di emissione dei protoni di rinculo e della loro traiettoria, considerando come rivelati i protoni che entrano nell’accettanza geometrica del rivelatore. Non si tiene conto invece della probabilità che il protone prodotto abbia energia suffi-ciente per attraversare lo strato rimanente di convertitore.

A seguito di una calcolo Monte Carlo effettuato su un grande campione di eventi, dell’ordine di 106, si è ottenuta la seguente stima dell’efficienza di rivela-zione del PRT in funzione dell’energia, che è compatibile con la stima effettuata nel paragrafo precedente.

10 15 20 25 30 35 40 45 50En (MeV)

efficienza/10–6 90

80

70

60

50

40

30

20

Figura 31 Efficienza del nuovo PRT valutata col programma Monte Carlo.

3.6.4. Alcuni risultati notevoli della simulazione Monte Carlo del PRT

Tramite il programma di simulazione Monte Carlo del nuovo progetto di PRT è possibile simulare le caratteristiche e calcolare le prestazioni del rivelatore. Ad esempio è possibile calcolare l’intervallo di accettanza energetica, l’accettanza geometrica, l’efficienza di conversione e di rivelazione (utilizzando MICAP per simulare le interazioni adroniche di neutroni), l’efficienza in funzione dell’energia del neutrone incidente e valutare in modo rigoroso la risoluzione energetica.

Presenteremo alcuni di questi calcoli nella parte di analisi dei dati affronta-

Capitolo 3

80

ta nel Cap. 5. In questa sede mettiamo solo in evidenza una distribuzione che ri-sulterà molto rilevante in sede di analisi dei dati, che riguarda l’istogramma bidi-mensionale della ΔE1 perduta dal protone nel primo silicio in funzione della ΔE2

perduta dal protone nel secondo silicio. In figura 32 si vede questa distribuzione per una popolazione di protoni generata uniformemente all’interno degli strati di convertitore, con spettro piatto fra 10 e 40 MeV.

Figura 32 Grafico della correlazione tra le perdite in energia nei due silici. La distribuzione superiore rappresenta quei protoni che attraver-

sano il primo silicio e si arrestano nel secondo. All’aumentare dell’energia, il protone perde sempre meno energia nel primo silicio e di conseguenza ne deposita sempre più nel secondo. La distribuzione inferiore rappresenta i protoni che hanno sufficiente energia da attra-

versare anche il secondo silicio senza arrestarsi.

L’istogramma bidimensionale ΔE1 vs. ΔE2 si dispone naturalmente su due bande. Quella inferiore è dovuta a protoni di energia più elevata che attraversano entrambi i silici e perdono una quantità sempre maggiore di energia alla diminu-zione della loro energia di incidenza; a questa banda appartengono gli eventi di categoria (1). Quella superiore è dovuta a protoni di energia più bassa che attra-versano il primo silicio ma si arrestano nel secondo; a questa banda appartengono gli eventi di categoria (2).

Percorrendo le due bande, inferiore e poi superiore, da valori bassi di ΔE1

del primo silicio a valori più alti, si percorre lo spettro energetico del protone al-l’ingresso del primo silicio dalle energie più elevate alle energie più basse. Pos-

Il progetto

81

siamo quindi affermare che l’istogramma riportato, che ritroveremo nei dati spe-rimentali, consente già una misura dell’energia del protone all’ingresso del primo silicio, su un intervallo completo di energie.

Come vedremo nell’appendice a questo capitolo, per gli eventi di categoria (2), appartenenti alla banda superiore, la valutazione dell’energia del protone può essere fatta con sufficiente accuratezza utilizzando il grafico illustrato. Per gli e-venti di categoria (1), appartenenti alla banda inferiore, sarà possibile stimare l’energia del protone fino a valori di 15-20 MeV con buona accuratezza. Oltre questi valori di energia la scala dell’energia diventa troppo fitta e sarà necessario utilizzare le informazioni dello scintillatore finale per valutare l’energia residua.

Capitolo 3

82

83

Appendice

Il legame ΔE – E per i silici

La possibilità di ricavare, dai valori dell’energia persa da un protone in uno o in entrambi i rivelatori al silicio, informazioni attendibili sull’energia del protone stesso, è uno snodo concettuale importante per diversi aspetti connessi al funzionamento del PRT, e vale quindi la pena di esaminarla in dettaglio.

Infatti, per i protoni che arrivano nel CsI, è importante conoscere con una buona approssimazione l’energia in ingresso, per poter calcolare il range del pro-tone nel CsI e confrontarlo con la lunghezza geometrica del percorso all’interno dello stesso, allo scopo di verificare che l’energia residua del protone sia tutta rila-sciata nel CsI. In questo modo si possono scartare eventi generati da protoni di cui non siamo in grado di ricostruire l’energia, ed evitare quindi di introdurre distor-sioni nella ricostruzione dello spettro dei neutroni.

Inoltre, come si vedrà al Cap. 4 e al Cap. 5, poiché nel nostro caso non ab-biamo potuto, per mancanza di un fascio di protoni, procedere ad una calibrazione indipendente in energia del CsI, abbiamo dovuto ricorrere ad una calibrazione ba-sata sui dati forniti dai silici. Dunque, dalla precisione con cui si riesce a stabilire la relazione tra E del protone e ΔE dell’attraversamento dei silici, dipende la pre-cisione con cui si riesce ad effettuare la calibrazione dello scintillatore finale. A sua volta, da questa calibrazione, dipende l’entità dell’incertezza del calcolo dell’energia persa dal protone nei plastici e, in ultima analisi, la ricostruzione dell’energia del neutrone.

Per questi motivi è importante esaminare con quale precisione ed entro quali limiti siamo in grado di ricostruire l’energia del protone incidente dai dati ricavati dai silici.

Esaminiamo dapprima il problema di ricavare l’energia del protone dalla conoscenza dell’energia depositata in un silicio. Osserviamo preliminarmente che, se il protone si arresta all’interno, la sua energia in ingresso può essere ricostruita con la risoluzione intrinseca del rivelatore, che è buona (dell’ordine dell’1%; v. più avanti par. 4.4.1). Il problema è diverso quando invece il protone attraversa il rivelatore senza arrestarsi. Simulando con SRIM l’attraversamento di uno strato di 300 μm di silicio da parte di protoni di varie energie incidenti perpendicolarmente

Capitolo 3 - Appendice

84

alla superficie del silicio, ricaviamo i dati riportati nella figura A1, in cui si tiene conto dello straggling energetico.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

4,5

0 20 40 60 80 100 120 140 160

E (MeV)

ΔΔ ΔΔE

(MeV

)

Figura A1 Grafico ΔE-E per un protone che attraversa uno strato di silicio spesso 300 μm (qui E rappresenta l’energia all’ingresso del si-

licio). La linea blu rappresenta il valore medio della perdita di energia, le due linee rosse rappresentano il valore medio più o meno una de-

viazione standard.

Da questa figura si può capire che, se vogliamo ricavare E da ΔE, possia-mo aspettarci una precisione accettabile per valori di ΔE superiori a circa 1 MeV, o, equivalentemente, per valori di energia all’ingresso inferiori a circa 30 MeV: entro questi limiti l’incertezza nella ricostruzione dell’energia è inferiore al 10%.

Analizzando più in dettaglio i dati riportati nel grafico precedente, si può ricavare una valutazione più dettagliata dell’andamento dell’incertezza relativa sull’energia ricostruita, in funzione dell’energia stessa; il risultato di quest’analisi è riportato nella figura A2.

Naturalmente, la misura di ΔE nell’attraversamento dei silici è influenzata anche dall’angolo di incidenza del protone sulla superficie dei silici stessi, in quanto, variando l’angolo d’incidenza, varia lo spessore attraversato e quindi la ΔE misurata. Tuttavia l'angolo di attraversamento può essere misurato a partire dalle informazioni di posizione ottenute dai due silici e quindi la valutazione di ΔE può essere corretta di conseguenza.

Il legame ΔE – E per i silici

85

0,00

0,05

0,10

0,15

0,20

0,25

0 20 40 60 80 100 120 140

E (MeV)

Ince

rtez

za r

elat

iva

Figura A2 Incertezza relativa con cui si ricostruisce l’energia del pro-tone all’ingresso di un rivelatore al silicio, in funzione dell’energia

stessa.

Si può ulteriormente migliorare la misura dell’energia di incidenza del pro-tone sfruttando le informazioni ricavate dalla perdita di energia in entrambi i rive-latori al silicio.

0

1

2

3

4

5

6

0 1 2 3 4 5 6 7

ΔΔΔΔE2 (MeV)

∠∠ ∠∠E

1 (M

eV)

6,1

7

8

91015

20

50100

Figura A3 Riproduzione con SRIM del grafico riportato nella figura 27 del testo. In ascissa, l’energia persa da un protone nel secondo sili-cio, in ordinata quella persa nel primo. Le etichette indicano, in MeV,

l’energia del protone all’ingresso del primo silicio.

Prendiamo in esame la figura 31 del Cap. 3 e cerchiamo di riprodurla con

Capitolo 3 - Appendice

86

SRIM simulando i due spessori di silicio, facendo incidere perpendicolarmente ai silici popolazioni di protoni di diversa energia e registrando le perdite in energia in entrambi i silici, ΔE1 e ΔE2. Otteniamo così la figura A3.

Da questa figura vediamo che i valori di energia dei protoni (all’ingresso del primo silicio) sono ben distanziati nella distribuzione superiore (che corri-sponde, ricordiamo, a quei protoni che si arrestano nel secondo silicio) e anche nella prima parte (partendo dall’alto e da destra) di quella inferiore (che corri-sponde ai protoni che attraversano entrambi i silici).

Vediamo però che, man mano che si sale con l’energia del protone, i valori si addensano sempre di più nella parte in basso a sinistra della distribuzione infe-riore. Questo implica che le energie più alte vengono ricostruite con un’incertezza maggiore.

Il problema potrebbe essere affrontato nei termini che descriviamo sche-maticamente qui di seguito, sfruttando il principio di massima verosimiglianza (maximum likelihood). Generando con un Monte Carlo, con densità uniforme, protoni di varie energie e facendoli incidere su un silicio, si ricavano, per ciascun protone, i valori dell’energia rilasciata. Si produce così una figura analoga alla A1. Sezionando questa figura con un piano ΔE = costante, si ottiene una distribu-zione di conteggi in funzione di E. Da questa distribuzione si può ricavare la pro-babilità condizionata p(E|ΔE) che quel valore di ΔE sia stato prodotto da un pro-tone di energia E. Ripetendo questa procedura per diversi valori di ΔE si può co-struire una funzione di probabilità p(E,ΔE).

Consideriamo allora un evento in cui misuriamo ΔE1 nel primo silicio e ΔE2 nel secondo. La probabilità condizionata p(E|ΔE1, ΔE2) che questa coppia di valori sia prodotta da un protone di energia E sarà data dal prodotto della probabi-lità p(E|ΔE1) che il valore ΔE1 sia prodotto da un protone di energia E, e della probabilità p(E - ΔE1|ΔE2) che il valore ΔE2 sia prodotto da un protone di energia E - ΔE1:

( ) ( ) ( )21121 EEEpEEpEEEp ΔΔ−⋅Δ=ΔΔ ||,|

Questa probabilità è una funzione di E che può essere massimizzata otte-nendo così la migliore stima del valore dell’energia E del protone incidente sul primo silicio dall’informazione sulle perdite di energia ΔE1 e ΔE2 sui due silici.

87

Capitolo 4Costruzione, assemblaggio, test e calibrazione dei componenti

4.1. Lo schema del progetto

Alla fine del capitolo precedente abbiamo già esposto i capisaldi del nuovo progetto. In questo capitolo lo esamineremo più in dettaglio e vedremo come è stato realizzato. La figura 1 mostra uno schema del nuovo progetto, e la tabella 1 mostra le posizioni dei vari rivelatori lungo l’asse z (l’asse del fascio). La lun-ghezza complessiva di tutto l’apparato è di circa 60 cm.

scintillatori plastici silici

neutroni

fotomoltiplicatoreCsI

alla pompa a vuoto

Figura 1¨Schema del nuovo progetto del PRT.

I vari rivelatori sono collocati all’interno di una struttura cilindrica in ac-ciaio, (una crociera della ditta RIAL) all’interno della quale viene fatto il vuoto (dell’ordine del decimo di millibar) mediante una pompa pneumatica. La finestra d’ingresso per i neutroni è in alluminio (che dà meno problemi dell’acciaio dal punto di vista della produzione di particelle cariche che possano inquinare le mi-sure).

Capitolo 4

88

Rivelatore z (cm)

Primo piano plastici 0.0

Secondo piano plastici 1.0

Terzo piano plastici 2.0

Quarto piano plastici 3.0

Quinto piano plastici 4.0

Primo silicio 10.5

Secondo silicio 35.0

Scintillatore CsI da 37.4 a 45.0

Tabella 1 Collocazione dei vari rivelatori lungo l’asse z: l’origine è collocata in corrispondenza del primo piano di rivelatori plastici.

4.2. L’elettronica di acquisizione e il trigger

In questo paragrafo descriveremo schematicamente l’elettronica di acqui-sizione per le varie sezioni del rivelatore e, nella parte finale, il software di acqui-sizione.

4.2.1. Gli scintillatori plastici Dai primi quattro piani di scintillatori si ricava un segnale logico, che ser-

ve solo a fornire due informazioni:

o in quale piano è avvenuta la conversione: da qui si ricava qual è lo spessore di materiale plastico che il protone attraversa e si può calcolare quanta energia perde in questo attraversamento;

o le coordinate x o y del passaggio del protone, che servono a ricostruirne la traiettoria.

Ciascuno dei segnali delle strisce dei primi quattro piani viene formato tramite un amplificatore veloce (Fast Amplifier, FA) (CAEN, modello N979 a se-dici vie, e successivamente da un Constant Fraction Discriminator (CFD) CAEN, modello C208 a sedici vie. L’uscita di ciascuna di queste vie viene fatta passare attraverso un modulo di ritardo (appositamente costruito nel laboratorio di elettro-nica della sezione INFN di Padova) e successivamente inviata a due moduli Time to Digital Converter (TDC) LeCroy, modello2228A ad otto canali.

Ciascun canale dei TDC dà in uscita un segnale proporzionale al tempo che intercorre tra un segnale di start comune (dato dal trigger di acquisizione, che descriveremo nel seguito) e il segnale di stop dato, nel nostro caso, dal segnale ri-tardato delle singole strip.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

89

Il CFD è dotato di un’uscita di OR che viene utilizzata per costruire il trigger di acquisizione (come vedremo in seguito).

La figura 2 mostra lo schema di questa parte dell’elettronica di acquisizio-ne.

P1 y1

…P2 x4

Constant Fraction Discrimin.P3 y1

P4 x4

Modulo di ritardo

Time to Digital Convert.

Time to Digital Convert.OR

Al trigger

Fast Ampl.

Figura 2 Schema dell’elettronica di acquisizione dei segnali dei primi quattro piani di scintillatori plastici. La sigla P1 y1 indica la prima

strip (y) del primo piano, e così via.

Nel quinto piano, come abbiamo già detto, le strisce vengono lette da en-trambi i lati, per ottenere l’informazione sulla posizione x. Il segnale che si estrae dev’essere quindi di tipo analogico.

Per questo piano abbiamo usato quindi un’elettronica diversa. I segnali di destra e sinistra di ogni singola strip vengono inviati ad un preamplificatore (co-struito presso i laboratori di Legnaro) e successivamente ad un amplificatore (anch’esso costruito a Legnaro) dotato, per ogni canale, di due uscite: una analo-gica, che raccoglie tutto il segnale, e una veloce, che raccoglie solo la parte veloce del segnale e viene utilizzata come segnale logico.

Gli otto segnali analogici vengono inviati agli ingressi di un Analogic to Digital Converter (ADC) Ortec modello AD811 ad otto vie per l’acquisizione e la successiva costruzione della coordinata x. Le uscite logiche destra e sinistra di ciascuna strip vengono utilizzate per il trigger di acquisizione.

La Figura 3 mostra lo schema dell’elettronica associata al quinto piano di scintillatori.

Capitolo 4

90

Strip 1 sx

…Preamplificatore

Strip 4 dx

Amplificatore…

Analogic to Digital Converter

Al trigger

… …

Uscite analogiche

Uscite logiche

Figura 3 Schema dell’elettronica di acquisizione dei segnali per il quinto piano degli scintillatori plastici.

4.2.2. I rivelatori al silicio Le sedici strip di ciascuna faccia di ciascun silicio vengono lette due a due

e inviate ad un preamplificatore tipo 5094 della eV-Products (ciascuna coppia ad un preamplificatore).

Strip 1x Preampli 1

Strip 2x

Strip 15x

Strip 16x

Strip 1y

Strip 2y

Strip 15y

Strip 16y

Preampli 8

Preampli 9

Preampli 16

Amplificatore (1 o 2)

Canale 1

Canale 16

ADC

ADC

1

8

16

9

CFD

OR Al trigger

1 8

Uscite analogiche

Uscite veloci

Figura 4 Schema della linea di acquisizione dei segnali di ciascuno dei due rivelatori al silicio.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

91

I sedici preamplificatori relativi alle due facce di ciascun silicio sono mon-tati su una scheda costruita presso il laboratorio di elettronica della sezione INFN di Padova. I segnali di uscita dei preamplificatori relativi a ciascun silicio vengo-no inviati agli ingressi di un amplificatore Silena, modello 761F a sedici vie. Tale amplificatore è dotato anch’esso di due uscite: una analogica ed una veloce. Cia-scuna uscita analogica viene inviata agli ingressi di due moduli ADC Ortec, mo-dello AD811 ad otto vie, mentre le uscite veloci degli otto segnali della faccia an-teriore di ogni silicio vengono inviate agli ingressi di un CFD Caen, modello C208 a sedici vie, la cui uscita di OR viene utilizzata per la generazione del trigger di acquisizione (v. figura 4).

4.2.3. Lo scintillatore allo ioduro di cesio In questo caso la catena di acquisizione è estremamente semplice: il segna-

le del fotomoltiplicatore viene inviato direttamente ad un amplificatore Silena modello 761F, e da qui all’ingresso di un ADC Ortec, modello AD811 (v. figura 5). I segnali dello ioduro di cesio non entrano nel trigger perché ci interessa acqui-sire anche quegli eventi che corrispondono a protoni di bassa energia che si arre-stano nei piani precedenti di rivelatori.

CsI Amplificatore ADC

Figura 5 Catena di acquisizione dello scintillatore finale.

4.2.4. Il trigger di acquisizione Per fare una selezione degli eventi da acquisire abbiamo costruito un

trigger così strutturato: il segnale di OR complessivo di tutti i cinque piani dei pla-stici è stato messo in AND con il segnale di OR delle strip dei due silici tramite un opportuno modulo logico. Per il quinto piano degli scintillatori plastici, i segnali delle due estremità di ciascuna strip vengono messi in AND prima di confluire nell’OR generale dei plastici (v. figura 6). Per costruire gli OR e gli AND logici del trigger sono stati utilizzati dei moduli logici della Phillips, modello 755.

Il segnale di trigger così generato viene mandato a dare lo start comune dei moduli TDC relativi alle singole strisce degli scintillatori plastici dei primi quattro piani di conversione. Lo stesso segnale, opportunamente ritardato e allargato tem-poralmente tramite un modulo Ortec GG8010, viene mandato ad aprire una “fine-stra temporale” durante la quale viene abilitata l’acquisizione di un eventuale se-gnale dai moduli ADC relativi al quinto piano degli scintillatori plastici, alle strip dei silici e al CsI.

Capitolo 4

92

P1 y1

P4 x4

P5 y1 sx

P5 y1 dx

P5 y4 dx

P5 y4 sx

Si1 x1

Si2 x8

AND

AND

OR plastici

OR silici

AND

Figura 6 Schema logico del trigger di acquisizione. La sigla Si1 x1 indica il primo elemento (formato dalle prime due strip) del lato front

(x) del primo silicio, ecc.

Tutta l’elettronica sta su un unico rack su cui sono montati due crate NIM per gli amplificatori, i Fast Amplifier, i moduli logici e di ritardo, ed un crate CAMAC per i moduli ADC, i TDC e i CFD. Il crate controller fa da interfaccia con il sistema di acquisizione.

4.2.5. Il sistema di acquisizione e monitoraggio dei dati La gestione dell’acquisizione e del monitoraggio dei dati è stata effettuata

mediante il software commerciale Kmax, della Sparrow. Kmax è un sistema che comprende molti elementi grafici di interfaccia con l’utente, un linguaggio di pro-grammazione, driver per interfacce commerciali, strumenti di gestione multipa-rametrica dei dati e molti strumenti di rappresentazione grafica di istogrammi e di analisi di dati.

Sostanzialmente, ogni volta che il trigger segnala un evento, Kmax si inca-rica di:

o leggere tutti gli ADC e i TDC per acquisire i dati degli scintillatori plastici, dei silici e dello ioduro di cesio;

o trascrivere su disco rigido il risultato della lettura;

o cancellare tutti i moduli per prepararli all’acquisizione di un nuovo evento.

Il sistema quindi legge ogni volta tutti i parametri, anche di quei rivelatori

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

93

che non hanno registrato nulla. È un sistema semplice anche se non molto effi-ciente, perché è lento: può sopportare frequenze di conteggio fino a circa un cen-tinaio di hertz. Nel nostro caso però stimiamo di avere al massimo un rate dell’ordine di qualche decina di hertz, per cui questo sistema è più che sufficiente.

Kmax permette di progettare un software dedicato al controllo di uno spe-cifico sistema di acquisizione. Tale software definisce e controlla l’interfaccia grafica con l’utente e con sistemi esterni, il display dei dati, la loro registrazione e analisi. Tutte le informazioni sul sistema di acquisizioni sono contenute in un do-cumento di Kmax chiamato “toolsheet”.

Kmax presenta il toolsheet su una finestra a pannelli o schermate multiple; la forma base è costituita da tre pannelli che sono: 1) il “device panel”, cioè la schermata in cui sono mostrati i vari moduli di elettronica e la strumentazione e-sterna controllata dal Kmax; 2) lo “script panel”, che contiene il programma vero e proprio del sistema di acquisizione; 3) il “control panel”, dov’è contenuta l’interfaccia base tra utente e sistema di acquisizione. Altri pannelli possono esse-re aggiunti per mostrare, per esempio, gli spettri mono- e bi-dimensionali dei dati raccolti o possono essere destinati all’abilitazione e al controllo specifico di alcuni moduli di elettronica.

Riportiamo qui di seguito alcuni esempi relativi al toolsheet da noi utiliz-zato per controllare il funzionamento nostro apparato.

In Fig. 7 è mostrato il “device panel” relativo al sistema di acquisizione dedicato al nostro PRT. Si possono notare i moduli inseriti (CFD, ADC, TDC).

Figura 7 Schermata di Kmax in cui viene visualizzato il “device panel” con i moduli inseriti.

La Fig. 8 mostra il pannello attraverso cui era possibile modificare le so-

Capitolo 4

94

glie dei vari canali dei CFD da noi utilizzati.

Figura 8 Schermata utilizzata per fissare i valori di soglia dei CFD.

Infine, la Fig. 9 mostra un altro pannello aggiuntivo dedicato al controllo on-line degli spettri dei dati relativi ai canali di ADC: in questo caso vengono ac-quisiti segnali del pulser per la calibrazione in energia dei rivelatori al silicio.

Figura 9 Esempio di monitoraggio on line con Kmax. Vengono ac-quisiti segnali dal pulser.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

95

4.3. Gli scintillatori plastici

Abbiamo già descritto, alla fine del capitolo precedente, la struttura di que-sta parte dell’apparato. Le strisce sono avvolte in mylar alluminato (per riflettere la luce) e sono accoppiate a guide di luce cilindriche in plexiglas che convogliano la luce verso i fotomoltiplicatori.

Le strisce di scintillatori EJ212 sono state acquistate, già accoppiate alle guide di luce e avvolte nel mylar alluminato, dalla ditta olandese Scionix. La ta-bella 2 e la figura 10 riportano alcune caratteristiche delle strisce e del materiale.

Lunghezza 5.0 cm Larghezza 1.2 cm Spessore 400 μm Distanza tra i piani 1.0 cm Polimero di base PoliviniltolueneResa luminosa (rispetto all’antracene) 65% Lunghezza d’onda del picco dell’emissione 423 nm Tempo di salita 0.9 ns Tempo di discesa 2.4 ns Larghezza dell’impulso (FWHM) 2.7 ns Densità numerica di atomi di idrogeno 5.17×1028 m–3

Densità numerica di atomi di carbonio 4.69×1028 m–3

Densità numerica di elettroni 3.33×1029 m–3

Massa specifica (densità) 1023 kg m–3

Indice di rifrazione 1.58

Tabella 2 Alcune caratteristiche delle strip e del materiale usato.

Figura 10 Spettro di emissione del materiale usato per gli scintillatori.

Capitolo 4

96

Ciascuna striscia dei primi quattro piani viene letta da un fotomoltiplicato-re Hamamatsu R4124. Nella figura 11 viene riportata la risposta spettrale di que-sto fototubo: si può vedere che si accoppia molto bene con lo spettro di emissione dello scintillatore.

Figura 11 Risposta spettrale del fotomoltiplicatore Hamamatsu R4124. La sensibilità radiante è definita come il rapporto tra la corren-te nel fotocatodo e la potenza luminosa della luce incidente. In questo grafico è espressa in mA/W. L’efficienza quantica è il numero di foto-

elettroni emessi dal fotocatodo per ciascun fotone incidente.

Le strip del quinto piano vengono lette da fototubi Hamamatsu H3164-10, con caratteristiche molto simili a quelle dei fototubi usati per i primi quattro piani, ma con un diametro minore. La diversa scelta del diametro è dovuta al fatto che le strisce dei primi quattro piani vengono lette da un solo lato, e quindi i fototubi possono essere collocati alternativamente sui due lati, mentre nel quinto piano su ciascun lato devono poter essere alloggiati quattro fototubi (si vedano le figure 17 e 18 del Capitolo 3).

I 24 fotomoltiplicatori vengono alimentati tramite moduli Caen inseriti in un crate SY127. Le tensioni di alimentazione sono state fissate mantenendo la so-glia di discriminazione sul Constant Fraction Discriminator (v. più avanti) il più bassa possibile e contemporaneamente facendo in modo che la frequenza di con-teggi per il fondo non superasse qualche hertz. I valori della tensione di alimenta-zione sono compresi tra −700 V e −900 V.

Le figure 12 e 13 mostrano alcuni dettagli degli scintillatori.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

97

Figura 13 A sinistra si vedono due delle quattro strip del primo e ter-zo piano di scintillatori, già accoppiate alle rispettive guide di luce e montate nel loro alloggiamento. In fondo si vedono i fori per le guide di luce del quinto piano, non ancora collocate. A destra un particolare

ingrandito della stessa immagine che mostra il collegamento tra le strip e le guide di luce.

Figura 13 Gli scintillatori plastici dei primi quattro piani montati nel loro alloggiamento, a sua volta attaccato alla struttura portante del

PRT. Quello che si vede è il primo piano dei rivelatori. Si possono no-tare anche i fototubi. Gli scintillatori del quinto piano non sono ancora montati. La faccia dell’alloggiamento che ora si vede aperta verrà suc-

cessivamente chiusa incollandovi una lastrina di alluminio.

Capitolo 4

98

Le strisce dei primi 4 piani sono state testate singolarmente con sorgenti di 241Am (che produce α da 5.49 MeV), 22Na (che produce positroni che si annichi-lano con elettroni, producendo la caratteristica radiazione gamma da 0.51 MeV) e 60Co (che produce fotoni γ da 1.17 MeV e 1.33 MeV). Poiché da queste strisce si estrae soltanto un segnale logico, il test si è limitato a verificare il corretto funzio-namento.

4.3.1. La lettura della x dal quinto piano Il quinto piano, come abbiamo già detto, era strutturato in modo da poter

ricavare, oltre alla coordinata y (nel modo identico agli altri piani), anche la x. Le strisce del quinto piano sono infatti lette, mediante fotomoltiplicatori, ad entrambe le estremità.

Fissiamo l’origine dell’asse x al centro delle strisce, orientato verso destra, guardando dalla direzione di provenienza del fascio (v. fig. 14).

xO

Fascio

Figura 14 Scelta dell’origine e dell’orientazione dell’asse x.

Se consideriamo un segnale luminoso originato nella posizione x, e assu-miamo, come sembra ragionevole (salvo verifica a posteriori), che il segnale si at-tenui esponenzialmente, i segnali che arrivano all’estremità di sinistra e di destra avranno ampiezze (che indichiamo rispettivamente con As e Ad):

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

λ

+

−=

x2

L

AA 0s exp (4.1a)

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

λ

−=

x2

L

AA 0d exp (4.1b)

dove L è la lunghezza della striscia (5 cm) e λ è la lunghezza di attenuazione ca-ratteristica della strip, che abbiamo determinato sperimentalmente nel modo che

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

99

descriveremo qui di seguito.

Vediamo che il rapporto tra i segnali è indipendente dall’evento (cioè da A0) e dipende soltanto dalla posizione:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ=

x2

A

A

s

d exp (4.2)

La posizione può dunque essere ricavata dal rapporto tra le ampiezze dei segnali:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛λ=

s

d

A

A

2x ln (4.3)

Vediamo allora come abbiamo proceduto sperimentalmente. Abbiamo po-sto davanti alle strisce una mascherina con quattro fori, rispettivamente nelle posi-zioni –1.5 cm, -0.5 cm, +0.5 cm e +1.5 cm; abbiamo poi esposto le strisce ad una sorgente alfa (ancora 241Am). Lasciando di volta in volta scoperto uno dei fori, abbiamo registrato, ripetendo la misura più volte, i segnali dei fotomoltiplicatori alle due estremità della striscia, e abbiamo quindi ottenuto una corrispondenza tra la posizione dei fori e il valore medio del rapporto tra le ampiezze dei segnali (v. tabella 3).

x (cm) Ad/As sigma (cm)

–1.5 0.4925 0.14

-0.5 0.8182 0.34

+0.5 1.2222 0.53

+1.5 2.1250 0.72

Tabella 3 Relazione tra la posizione del foro e il rapporto tra le am-piezze dei segnali. Nella terza colonna è riportata la deviazione stan-

dard della distribuzione dei valori di Ad/As.

Abbiamo poi riportato questi valori su un grafico e abbiamo interpolato i punti ottenuti con una funzione logaritmica (v. figura 15).

Vediamo innanzitutto che una funzione logaritmica interpola molto bene i dati sperimentali, il che conferma a posteriori che effettivamente il segnale si atte-nua esponenzialmente. In secondo luogo, ricaviamo il valore della costante λ, che risulta 4.162 cm. Questo valore dipende sia dalla lunghezza di attenuazione intrin-seca del materiale sia dalle condizioni di trasporto della luce lungo gli scintillatori e lungo le guide di luce. L’equazione della funzione interpolante è quindi:

Capitolo 4

100

-2,5

-1,5

-0,5

0,5

1,5

2,5

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

Ad/As

x (c

m)

Figura 15 Relazione tra la posizione dei fori e il rapporto tra le am-piezze dei segnali. Le barre d’errore rappresentano l’errore statistico

(1σ) sulla distribuzione dei valori del rapporto tra le ampiezze.

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅=

s

d

A

Acm0812x ln. (4.4)

Per quanto riguarda l’errore statistico sul rapporto tra le ampiezze, riporta-to nella tabella 3, si può osservare che da esso si può stimare l’errore atteso sulla posizione. Infatti, dalla (4.4) si ricava immediatamente:

R

Rcm0812x

δ⋅=δ . (4.5)

dove abbiamo indicato con R, per brevità, il rapporto tra le ampiezze.

I valori che ci attendiamo per l’errore statistico su x sono quindi:

x (cm) sigma (cm))

–1.5 0.59

-0.5 0.86

+0.5 0.90

+1.5 0.70

Tabella 4 Errore statistico atteso sulla posizione, sulla base dell’errore statistico misurato sul rapporto tra le ampiezze.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

101

In sostanza ci aspettiamo un errore un po’ più grande nella zona centrale della strip, dove i segnali alle due estremità tenderanno ad essere più simili in am-piezza, e un po’ minore verso le estremità.

Successivamente, per vedere quale fosse la risoluzione spaziale che riusci-vamo ad ottenere, abbiamo preso dati lasciando scoperti contemporaneamente due fori della mascherina. Nelle figura 16 sono riportati i risultati ottenuti, interpolati con la somma di due gaussiane. I parametri delle funzioni interpolanti sono ripor-tati nelle tabelle sotto ciascun grafico.

Primo e sec. foro (x1 = -1,5 cm; x2 = -0,5 cm)

0

10

20

30

40

50

60

70

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4

x (xm)

Co

nte

gg

i

Primo picco Secondo piccoCentro -1,14 cm -0,53 cmSigma 0,72 cm 1,01 cm

Altezza 21,9 31,9

Capitolo 4

102

Primo e terzo foro (x1 = -1,5 cm, x2 = +0,5 cm)

0

10

20

30

40

50

60

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4

x (cm)

Co

nte

gg

i

Primo picco Secondo piccoCentro -1,56 cm -0,55 cmSigma 0,65 cm 0,77 cm

Altezza 29,1 43,1

Primo e quarto foro (x1 = -1,5 cm, x2 = +1,5 cm)

0

10

20

30

40

50

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4

x (cm)

Co

nte

gg

i

Primo picco Secondo piccoCentro -1,68 cm 1,47 cmSigma 0,80 cm 0,72 cm

Altezza 23,1 40,5

Figura 16 Test per determinare la risoluzione spaziale sulla coordina-ta x nel quinto piano di scintillatori plastici. Gli istogrammi sono stati

interpolati con la somma di due gaussiane.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

103

Possiamo vedere che i centri delle distribuzioni coincidono con buona ap-prossimazione con le posizioni effettive dei fori, dunque la misura è accurata. Pur-troppo, però, è poco precisa, perché c’è un’incertezza accidentale molto grande. Si osserva che i due fori cominciano a venir risolti con una distanza di 2 cm.

Possiamo anche vedere che, pur con un certo margine d’errore imputabile presumibilmente alla bassa statistica, le deviazioni standard delle gaussiane sono compatibili con gli errori attesi riportati.

Successivamente abbiamo irraggiato il rivelatore (senza mascherina) con la solita sorgente di 241Am da 5.49 MeV posta in posizione centrale, frapponendo degli attenuatori (fogli di mylar) rispettivamente da 6 e 9 μm, per variare l’energia della particella alfa, (che risulta rispettivamente ridotta a 4.79 e 4.41 MeV); lo scopo era quello di vedere se la posizione, letta con la formula (4.5), dipendeva dall’energia. I risultati sono riportati nella figura 17: si può vedere che non si nota nessuno spostamento sistematico del centro al diminuire dell’energia.

No attenuatore: Eαααα = 5.49 MeV

0

100

200

300

400

-3 -2 -1 0 1 2 3

x (cm)

Co

nte

gg

i

Mylar 6 μμμμm: Eαααα = 4.79 MeV

0

100

200

300

-3 -2 -1 0 1 2 3

x (cm)

Co

nte

gg

i

Capitolo 4

104

Mylar 9 μμμμm: Eαααα = 4.41 MeV

0

50

100

150

200

250

-3 -2 -1 0 1 2 3

x (cm)

Co

nte

gg

i

Figura 17 Lettura della posizione x a varie energie della particella α.

4.4. I rivelatori al silicio

Rivelatori a semiconduttore sono largamente usati nei moderni esperimenti di fisica nucleare e delle alte energie. Il silicio è il materiale impiegato più comu-nemente, anche se, per alcune applicazioni particolari, si utilizzano altri materiali. Il vantaggio principale che presentano questi rivelatori, in confronto agli altri, è la buona risoluzione energetica. Inoltre sono compatti e hanno una risposta veloce. Le principali limitazioni sono costituite dal fatto che non è possibile costruire ri-velatori di grandi dimensioni e dal fatto che le loro prestazioni possono deteriorar-si in seguito all’esposizione a radiazioni (nel nostro caso però questi problemi non si ponevano in modo rilevante). Inoltre hanno un alto costo e necessitano dell’uti-lizzo di molti canali di elettronica

Il principio di funzionamento di un rivelatore a semiconduttore è il seguen-te: se una particella ionizzante penetra nel rivelatore, produce coppie elettroni-buche lungo il suo percorso. La produzione avviene in modo sia diretto sia indiret-to (cioè tramite elettroni energetici – raggi delta – prodotti dal passaggio della par-ticella ionizzante) ma questo non è importante ai fini del funzionamento del rive-latore.

La quantità di interesse pratico è l’energia che in media viene spesa dalla particella primaria per creare una coppia elettrone-buca. Questa quantità, spesso denominata energia di ionizzazione, risulta largamente indipendente sia dal tipo sia dall’energia della particella ionizzante, almeno per ioni leggeri. Di conseguen-za il numero di coppie è direttamente proporzionale all’energia persa, e ne costi-tuisce quindi una misura.

Il vantaggio principale dei dispositivi a semiconduttore sta nel fatto che l’energia di ionizzazione è molto bassa: circa 3 eV nel silicio e nel germanio (in

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

105

confronto a circa 30 eV nei rivelatori a gas e a circa 100 eV in uno scintillatore). Ne segue che, per una fissata energia depositata nel rivelatore dalla particella io-nizzante, in un dispositivo a semiconduttore si creano molte più cariche, e le flut-tuazioni statistiche relative sono molto più basse: di qui la migliore risoluzione energetica.

Per costruire un rivelatore, occorre in qualche modo raccogliere le cariche create dal passaggio della particella ionizzante. Un contatto ohmico è un elettrodo attraverso cui possono fluire liberamente cariche di entrambi i segni: viene realiz-zato depositando uno strato metallico sulla superficie di una faccia del silicio. Sull’altra faccia viene realizzato un elettrodo bloccante, ad altissima resistenza, per ridurre la corrente stazionaria che circola nel circuito in assenza di segnale (corrente di buio). Questo tipo di elettrodi viene realizzato con una giunzione p-n.

In una giunzione p-n, gli elettroni diffondono verso la regione p, ricombi-nandosi con le buche. Queste ultime subiscono un’analoga diffusione verso la re-gione n. Sui due lati della giunzione si crea quindi una zona detta di svuotamento, perché priva di cariche libere (e quindi caratterizzata da un’altissima resistività), ma allo stesso tempo sede di una distribuzione spaziale di cariche legate, positive da un lato della giunzione e negative dal lato opposto. Di conseguenza, in questa regione è presente un campo elettrico e tra i due lati della giunzione si crea una differenza di potenziale dell’ordine del volt.

La zona di svuotamento è molto interessante ai fini della costruzione di un rivelatore, perché il campo elettrico in essa presente separa le coppie create dal passaggio della particella ionizzante prima che si ricombinino; gli elettroni migra-no verso l’anodo, le buche verso il catodo. Le cariche raccolte producono un im-pulso di corrente nell’elettrodo, il cui integrale dà la carica totale generata dalla particella incidente, e fornisce quindi una misura dell’energia depositata.

La differenza di potenziale che si crea spontaneamente sui due lati di una giunzione p-n è però troppo piccola per poter basare su di essa il funzionamento di un rivelatore efficiente. Per questo la giunzione viene polarizzata inversamente, applicando una differenza di potenziale che amplifica quella spontanea. In questo modo la zona di svuotamento si allarga. Quando si estende fino a coprire l’intero spessore del semiconduttore, si parla di svuotamento completo. Spesso, nella pra-tica, si utilizza una differenza di potenziale maggiore di quella necessaria per ot-tenere lo svuotamento completo (ma ovviamente inferiore a quella di rottura), allo scopo di aumentare il campo elettrico e diminuire quindi il tempo di raccolta delle cariche. È questa la condizione in cui abbiamo fatto funzionare i nostri rivelatori.

I rivelatori al silicio che abbiamo usato nel rivelatore PRT sono stati acqui-stati dalla ditta Micron Semiconductor: sono mostrati nella figura 18.

Si può vedere che sono costituiti da 16 strisce, incrociate sulle due facce (questo consente ovviamente di leggere, su ciascun silicio, sia la x sia la y).

Capitolo 4

106

Faccia posteriore (ohmica)

Faccia anteriore (di giunzione)

Figura 18 Uno dei rivelatori al silicio (visto dai due lati)

Il rivelatore viene alimentato con una tensione di -70 V, per misurare in condizione di sovrasvuotamento della giunzione, tramite un alimentatore Silena modello 7710.

La distanza tra il quinto piano degli scintillatori plastici e il primo silicio è di 6.5 cm. La distanza tra i due silici è di 24.5 cm. La tabella 5 riporta alcune ca-ratteristiche dei rivelatori.

Numero di elementi di giunzione 16

Numero di elementi ohmici 16

Lunghezza di ciascuna striscia 4.95 cm

Larghezza di ciascuna striscia 3000.0 μm

Distanza tra una striscia e l’altra 0.1 mm

Area complessiva 2450.25 mm2

Area attiva 2376 mm2

Spessore 300 μm

Voltaggio di svuotamento completo 25 V

Corrente totale (a svuotamento completo) 1 – 2 μA

Corrente di buio di ciascun elemento Tipicamente 50 nA, max 150 nA

Resistenza nominale di ciascuna striscia 100 MΩ

Tabella 5 Alcune caratteristiche tecniche dei rivelatori a silicio.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

107

Per gli scopi di progetto del rivelatore PRT, una risoluzione spaziale di 3.0 mm sarebbe stata ridondante perché non avrebbe migliorato la risoluzione e-nergetica complessiva, che è limitata da altri fattori (principalmente lo spessore dei rivelatori plastici). Per questo motivo è stato deciso, allo scopo di limitare il numero dei canali dell’elettronica di acquisizione, di accoppiare a due a due (sia sul lato anteriore sia su quello posteriore) le strisce dei rivelatori. In questo modo abbiamo, su ciascun lato, otto coppie di strisce, che d’ora in avanti chiameremo elementi, con le seguenti caratteristiche:

Lunghezza di ciascun elemento 4.95 cm

Larghezza di ciascun elemento 6.1 mm

Separazione tra elementi adiacenti 0.1 mm

Area attiva di ciascun elemento 297 mm2

I rivelatori sono montati su un telaietto metallico (v. figura 19) che viene inserito nell’alloggiamento cilindrico del PRT.

Figura 19 Il telaietto in cui sono alloggiati i rivelatori al silicio.

4.4.1. Collaudo dei rivelatori al silicio e valutazione della risoluzione energetica

I rivelatori sono stati sottoposti ad una prima serie di collaudi presso i La-boratori Nazionali di Legnaro dell’INFN, usando una sorgente di 241Am, che pro-duce particelle alfa da 5.49 MeV. La sorgente veniva posta a una decina di centi-metri dal rivelatore e lo illuminava tutto. In vuoto, si registrava il segnale. Questo test è servito in primo luogo a verificare il corretto funzionamento dei rivelatori e della catena di acquisizione, e in secondo luogo per misurare la risoluzione ener-

Capitolo 4

108

getica: si è trovato che è dell’ordine dell’1% (FWHM). La figura 20 riporta, a tito-lo d’esempio, uno dei risultati di questi collaudi.

Figura 20 Risultati di uno dei collaudi sui rivelatori al silicio con una sorgente di 241Am. In ascissa sono riportati i canali ADC, in ordinata il

numero di conteggi.

Si2 X3

0

10

20

30

40

50

60

70

80

800 850 900 950 1000 1050 1100

Canali ADC

Co

nte

gg

i

Figura 21 Spettro, in canali ADC, ottenuto con una sorgente di 241Am registrato dall’elemento x3 del secondo silicio.

Dai test effettuati a Legnaro è emerso un problema. Andando a vedere, per

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

109

ogni elemento x, lo spettro dei conteggi in canali ADC, si osservava un doppio picco. La figura 21 riporta, a titolo d’esempio, lo spettro dell’elemento x3 del se-condo silicio.

Il problema si presentava con tutti gli elementi dei due silici. Per cercare di capirne l’origine, abbiamo provato ad incrociare i conteggi sull’elemento x con quelli y del lato posteriore. In altre parole abbiamo suddiviso i dati di ciascun e-lemento x in otto sottoinsiemi (pixel). Abbiamo trovato che il picchetto seconda-rio era dovuto quasi completamente al contributo di un unico pixel (1).

In altre parole, in ogni elemento x c’è un pixel che si comporta in modo diverso dagli altri. La posizione dei pixel diversi segue uno schema geometrico regolare (v. fig. 22), identico per entrambi i silici, e dunque presumibilmente il problema è imputabile a qualche caratteristica costruttiva.

y8

y7

y6

y5

y4

y3

y2

y1

x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 x8

Figura 22 Schema dei pixel che presentano una risposta diversa dagli altri (evidenziati in rosso). Lo schema è identico per entrambi i silici.

Ovviamente, di questo problema abbiamo dovuto tener conto nella fase di calibrazione in energia.

4.4.2. Calibrazione in energia dei rivelatori al silicio La calibrazione in energia dei rivelatori al silicio è indispensabile per tra-

sformare gli spettri in ADC dei rivelatori in spettri energetici in unità di energia. In questo paragrafo illustriamo la metodologia utilizzata per la calibrazione.

L’obiettivo della calibrazione è ovviamente quello di associare a ciascuno dei 2048 canali di acquisizione in cui viene registrato il segnale in ampiezza ADC dei rivelatori un ben preciso valore dell’energia depositata dal protone nel suo passaggio.

(1) Per inciso, la figura 21 riporta i conteggi registrati in un unico pixel.

Capitolo 4

110

Vediamo più in dettaglio il procedimento. Il protone, attraversando il rive-latore, deposita un’energia ΔEp, che genera un segnale di altezza Vp, direttamente proporzionale a ΔEp:

pp kVE =Δ (4.6)

La costante k dipende dalle caratteristiche del rivelatore. La tensione Vp

viene poi applicata in ingresso ad uno dei canali di acquisizione elettronica del si-stema che sta a valle del rivelatore. Per studiare le caratteristiche di risposta del sistema elettronico di acquisizione, abbiamo mandato, con un impulsatore (pul-ser), quattro segnali, di altezza rispettivamente V1, V2, V3 e V4 (2) e abbiamo regi-strato la risposta del sistema, prendendo nota dei canali, c1, c2, c3 e c4, in cui com-paiono i picchi. Il problema è che con il pulser noi non conosciamo esattamente il valore assoluto delle tensioni, però possiamo fare in modo che abbiano dei rappor-ti predeterminati tra loro. Noi, ad esempio, abbiamo scelto V2 = 2V1, V3 = 3V1 e V4 = 4V1. La figura 23 riporta uno di questi risultati.

Figura 23 Risposta del canale di acquisizione dell’elemento x2 del primo silicio ai segnali dell’impulsatore. Poiché le tensioni inviate so-no tutte multiple intere della prima, il fatto che i picchi siano equidi-

stanti indica che la risposta del sistema di acquisizione è lineare.

(2) A rigore sarebbero sufficienti due segnali in quanto, come vedremo, si tratta di trovare i coefficienti di una dipendenza lineare. Mandando più di due se-gnali, però, in primo luogo si può verificare se effettivamente la risposta del si-stema è lineare, e in secondo luogo si riducono gli errori nella determinazione dei coefficienti.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

111

Possiamo osservare che il fatto che i picchi del pulser non siano sdoppiati indica che il problema dei pixel con risposta diversa è un problema intrinseco del rivelatore al silicio, e non della catena elettronica di acquisizione.

Se la risposta del sistema di acquisizione è (come dovrebbe essere) lineare, la relazione tra i rapporti Vi/V1 e i rispettivi canali ci risulta:

bacV

V

1

+= (4.7)

dove a e b sono coefficienti da determinare, che variano da un elemento all’altro. Se riportiamo in un grafico il rapporto Vi/V1in funzione del numero di canali, ot-teniamo un certo numero di punti (quattro, nel nostro caso) allineati con buona approssimazione (v. figura 24). A questo punto si può fare un fit lineare e deter-minare i coefficienti a e b della relazione (4.7) per ciascun elemento della faccia anteriore di ciascun silicio.

0

1

2

3

4

5

0 200 400 600 800 1000 1200 1400

Canale

V/V

1

Figura 24 Facendo un fit lineare dei dati ricavati mandando i segnali dell’impulsatore nel sistema di acquisizione, si possono determinare i coefficienti della relazione lineare (4.7). Questa operazione viene ripe-

tuta per ciascun canale di acquisizione x di ciascun silicio.

La tabella 6 mostra i valori dei coefficienti che abbiamo trovato per cia-scun canale di acquisizione della faccia anteriore dei due silici.

A questo punto, l’energia ΔEs rilasciata da una particella che attraversa il rivelatore può essere scritta come:

( )( )backVkVE s1ss +==Δ (4.8)

Capitolo 4

112

a bx1 0,002921 0,004392x2 0,002762 0,011049x3 0,002781 0,047279x4 0,002767 0,038743x5 0,002695 0,044478x6 0,002855 0,031403x7 0,003061 -0,029077x8 0,002843 0,048346

x1 0,002950 0,005917x2 0,003012 0,010547x3 0,002899 0,004352x4 0,002888 0,013004x5 0,002712 0,050177x6 0,002924 0,021934x7 0,002543 0,024162x8 0,002997 0,044961

Sili

cio

1S

ilici

o 2

Tabella 6 Valori dei coefficienti a e b della (4.8) per ciascun canale di acquisizione della faccia anteriore dei due silici.

dove a e b sono i coefficienti prima determinati, cs il canale ADC registrato dal rivelatore e (kV1) è una costante che dipende sia dalle caratteristiche del rivelatore sia dalla procedura di taratura della catena di acquisizione.

Se ora si espone il rivelatore ad una sorgente, ad esempio una che emette particelle α di energia nota Eα, che si arrestano nel rivelatore rilasciando tutta la loro energia, e si registra il canale cα in cui si trova il massimo del picco, possia-mo scrivere:

( )( )backVE 1 +=Δαα

(4.9)

e determinare il valore della costante (kV1):

( )bac

EkV1

+

Δ=

α

α (4.10)

Questo valore varia da pixel a pixel, perché il canale cα in cui si registra il massimo varia, come abbiamo detto, da un pixel all’altro.

In questo modo l’energia ΔEs rilasciata da una particella che attraversa il rivelatore si può scrivere in funzione di quantità note:

( )( )backVE s1s +=Δ (4.11)

Noi abbiamo utilizzato una sorgente alfa a tre picchi: 239Pu (5.15 MeV) 241Am (5.49 MeV) e 244Cm (5.80 MeV). La figura 25 mostra lo spettro in canali ADC registrato nel pixel x2y1 del primo silicio.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

113

Figura 25 Spettro, in canali ADC, registrato nel pixel x2y1 del primo silicio, esposto ad una sorgente alfa a tre picchi.

I picchi sono stati interpolati con gaussiane, e si è preso come cα il valor medio della gaussiana. Ciascuna delle tre sorgenti può essere usata per la calibra-zione, ma si è visto che i valori della costante (kV1) risultavano molto simili, per cui se ne è utilizzata solo una (l’americio).

La tabella 7 mostra i valori della costante (kV1), in MeV, che abbiamo ri-cavato per ciascun pixel dei due silici.

Nelle figure 26 e 27 sono rappresentati (a titolo d’esempio) gli spettri in energia dell’elemento x4 del primo e del secondo silicio rispettivamente.

Figura 27 Spettro in energia dell’elemento x4 del primo silicio. A si-nistra: due plastici e due silici colpiti; a destra: tutti i rivelatori di trac-

ciamento colpiti.

Capitolo 4

114

x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 x8y8 1,100 1,126 1,126 1,126 1,122 1,111 1,122 1,196y7 1,102 1,126 1,127 1,126 1,122 1,111 1,195 1,132y6 1,101 1,125 1,125 1,125 1,126 1,180 1,128 1,121y5 1,100 1,124 1,126 1,125 1,189 1,118 1,117 1,122y4 1,167 1,136 1,125 1,126 1,122 1,109 1,118 1,122y3 1,104 1,196 1,138 1,126 1,121 1,109 1,118 1,121y2 1,100 1,128 1,192 1,136 1,121 1,109 1,117 1,121y1 1,101 1,125 1,129 1,193 1,121 1,108 1,117 1,121

x1 x2 x3 x4 x5 x6 x7 x8y8 1,097 1,104 1,087 1,097 1,075 1,106 1,118 1,140y7 1,097 1,104 1,087 1,097 1,080 1,112 1,151 1,105y6 1,098 1,103 1,087 1,097 1,081 1,147 1,120 1,097y5 1,098 1,104 1,087 1,096 1,114 1,113 1,111 1,097y4 1,142 1,114 1,087 1,097 1,075 1,107 1,112 1,097y3 1,105 1,145 1,095 1,106 1,074 1,106 1,111 1,097y2 1,098 1,110 1,125 1,106 1,076 1,104 1,111 1,097y1 1,092 1,100 1,090 1,135 1,072 1,101 1,108 1,093

Silicio 1

Silicio 2

Tabella 7 Valori della costante (kV1), in MeV, che compare nella (4.8), per ciascun pixel dei due silici. I valori evidenziati in rosso cor-

rispondono ai pixel che rispondono in modo diverso dagli altri.

Figura 27 Spettro in energia dell’elemento x4 del secondo silicio. A sinistra: due plastici e due silici colpiti; a destra: tutti i rivelatori di

tracciamento colpiti.

Gli spettri energetici hanno una forma e dei valori assoluti in energia del tutto ragionevoli. Risulta tuttavia poco comprensibile il picco attorno a 700 keV in figura 18a, che riguarda il primo silicio. Nel capitolo 5 verrà fatto qualche com-mento sull’origine di questo picco.

Costruzione, assemblaggio e test dei componenti

115

4.5. Lo scintillatore allo ioduro di cesio

Il rivelatore finale, che ha lo scopo di arrestare completamente i protoni, è costituito, come abbiamo già detto, da uno scintillatore allo ioduro di cesio. La forma dello scintillatore è cilindrica, con un raggio di 3.6 cm (questo valore è sta-to scelto in modo da coprire completamente la diagonale del secondo silicio, per non ridurre significativamente l’angolo solido di accettanza) e un’altezza di 7.6 cm. Questa profondità è sufficiente ad arrestare protoni che arrivano sul primo silicio con un’energia di oltre 160 MeV. La distanza tra il secondo silicio e lo scintillatore finale è di 2.4 cm.

Lo scintillatore è letto da un fotomoltiplicatore Hamamatsu R6233, con ca-ratteristiche del tutto analoghe ai precedenti, ma con un diametro molto maggiore, alimentato con un alimentatore Ortec. La tensione di alimentazione è di -1000 V). La figura 28 mostra lo scintillatore, accoppiato al fototubo e montato all’estremità del PRT.

Figura 28 Lo scintillatore allo ioduro di cesio, accoppiato al fotomol-tiplicatore.

Lo scintillatore è stato collaudato con una sorgente di 241Am. La figura 29 mostra il risultato. Si è ottenuta una risoluzione energetica del 5.5% (FWHM) con particelle alfa da 5.49 MeV. Questa misura di collaudo dello scintillatore fornisce, oltre che una valutazione della risoluzione energetica, anche una valutazione della calibrazione in energia del rivelatore e della catena elettronica di acquisizione.

Una calibrazione completa ed indipendente in energia dello scintillatore CsI avrebbe comportato la disponibilità di un fascio di protoni a diverse energie. Non disponendo di tale fascio, è stata effettuata una calibrazione in energia dello scintillatore basandosi sui dati sperimentali ottenuti nella presa dati su fascio de-scritta al Cap. 5. La metodologia usata per la calibrazione e i risultati ottenuti ver-ranno descritti nel Cap. 5.

Capitolo 4

116

Figura 29 Test dello scintillatore CsI con una sorgente di 241Am.

La figura 30 mostra il PRT completamente montato e cablato.

Figura 30 Il PRT completamente montato e cablato, pronto per la mi-sura.

117

Capitolo 5La presa dati su fascio e l’analisi dei dati

5.1. La presa dati su fascio ai Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN

Nel mese di Novembre del 2006 è stata programmata una presa dati su fa-scio, utilizzando il PRT di nuova costruzione, presso i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN, a Catania.

Gli scopi dell’attività di presa dati erano sostanzialmente due: il primo quello di verificare, tramite l’esposizione ad un fascio di neutroni nell’intervallo di energie di interesse, il funzionamento e le prestazioni del rivelatore PRT di nuova concezione; il secondo quello di approfittare della presa dati per effettuare una misura delle proprietà del nuclide 13C come bersaglio produttore di neutroni per collisione da fascio primario. Tenendo presente che finora non esistono dati sperimentali riguardanti la reazione 13C(d,n), si è considerato opportuno misurare tale reazione all’energia del fascio di deutoni di 40 MeV. Questo valore dell’ener-gia è stato scelto perché sarà quello del fascio primario di deutoni che verrà utiliz-zato nel progetto SPIRAL2 a Ganil.

Come abbiamo detto nel capitolo 1, infatti, recentemente il 13C ha attirato l’attenzione della comunità scientifica come possibile candidato per la produzione di neutroni. Da tempo infatti si sa che i due nuclidi che offrono il rendimento più alto dal punto di vista della resa in neutroni per particella del fascio primario, il 9Be e il 7Li, presentano problemi di sicurezza legati alla loro tossicità, e per questo motivo il 12C sotto forma di grafite, che non presenta nessun problema di questo tipo, era considerato un’interessante alternativa, pur essendo caratterizzato da un minor rendimento.

Nel 2002, i risultati di un esperimento [1] effettuato all’Università di Jyvä-skylä bombardando un bersaglio di 13C con protoni da 30 MeV, sembravano indi-care che questo nuclide avesse un rendimento molto promettente, intermedio tra il 12C e il 9Be. Per questo motivo sono state effettuate altre misure [2], al Ker-

Capitolo 5

118

nfysisch Versneller Instituut (KVI) di Groningen, Olanda, con protoni da 90 MeV, che hanno però raffreddato gli entusiasmi. Anche alcune simulazioni Monte Carlo e, recentemente, i risultati di un altro esperimento effettuato a Jyväskylä con pro-toni da 20 e 40 MeV sembrano indicare che, con tutta probabilità, il rendimento del 13C era stato sovrastimato nel primo esperimento. Questa situazione non del tutto chiara sul rendimento del 13C con protoni, unita alla mancanza di dati sul rendimento con un fascio di deutoni, sono state le motivazioni che ci hanno spinto a proporre e ad effettuare la misura.

La figura 1 mostra uno schema della disposizione sperimentale utilizzata.

1 m

30°

2 m

fasciobersaglio

PRT

Figura 1 Schema della disposizione sperimentale durante la presa dati ai LNS di Catania, vista dall’alto. Il fascio, di protoni o di deutoni, in-cide sul bersaglio spesso di 13C e si arresta completamente. Il PRT è collocato a circa due metri dal bersaglio, ad un angolo di 30° rispetto

al fascio.

La figura 2 mostra una fotografia della zona sperimentale presso il punto misura presso i LNS di Catania. La Fig. 3 mostra il rivelatore PRT installato ai LNS e pronto per la misura.

Il fascio, di protoni o di deutoni, collideva con un bersaglio spesso e veni-va completamente arrestato. Il PRT era situato a 2.13 m dal bersaglio. A questa distanza il primo piano di scintillatori plastici, visto dal bersaglio, copre un angolo di 5 cm/2.13 m = 1.3°, dello stesso ordine della risoluzione angolare intrinseca del rivelatore. La necessaria collimazione del fascio di neutroni viene quindi garantita dalla geometria del sistema, se si considera il bersaglio puntiforme.

L’analisi dei dati

119

Figura 2 Immagine della zona sperimentale in cui è stata effettuata la misura. Quella che si vede è la parte terminale del fascio, dove era si-

tuato il bersaglio di 13C.

Figura 3 Il rivelatore PRT installato ai LNS e pronto per la misura.

Capitolo 5

120

Il bersaglio era costituito da grafite in polvere, arricchita all’82% in 13C, collocata all’interno di un cilindretto di alluminio di diametro interno 1.70 cm e altezza 1.96 cm. La densità era 0.58 g/cm3. La figura 4 mostra la parte terminale della struttura che alloggiava il bersaglio, progettata e costruita in collaborazione tra l’università di Jyväskylä e i LN di Legnaro.

Figura 4 Dettaglio della parte terminale della struttura che alloggiava il bersaglio. Quest’ultimo è evidenziato in giallo.

A monte del bersaglio era collocato un anello, elettricamente isolato dalla struttura metallica della camera, su cui si misurava la corrente incidente. La fun-zione di questo anello era quella di monitorare la collimazione del fascio sul ber-saglio e di ottimizzarla, minimizzando la corrente incidente sull’anello.

Anche la corrente incidente sul bersaglio veniva raccolta e integrata per ogni run, per conoscere il numero complessivo di particelle (protoni o deutoni) in-cidenti sul bersaglio.

Una stima della frequenza di conteggio attesa può essere fatta come segue: consideriamo una corrente di 10 nA (~ 6×1010 particelle/s), che è il valore massi-mo per il fascio ai LNS, un rendimento medio di circa 1.5×10–3 neutro-ni·particella–1·sr–1 (ricavato dai dati disponibili per un fascio di protoni da 40 MeV su 12C) e un angolo solido coperto dal PRT di circa 6×10–4 sr (25 cm2 di finestra d’ingresso a circa 2 m dal bersaglio).

Con questi dati ci aspettiamo circa:

s

neutr1045sr106

srpart

neutr1051

s

part106 44310

×=×⋅⋅

×⋅×−− ..

incidenti sul PRT. Calcolando un’efficienza media di circa 4.5×10–5 del PRT, ci

L’analisi dei dati

121

aspettiamo una frequenza di conteggi di circa 2 - 3 Hz. Questo però è un limite in-feriore, perché con il 13C è prevedibile una produzione di neutroni più abbondante rispetto al 12C; inoltre, con un fascio di deutoni, la produzione dovrebbe ulterior-mente aumentare.

Con l’apparecchiatura descritta sono stati inizialmente acquisiti dati con un fascio di protoni dal 26 MeV provenienti del TANDEM dei LNS per un giorno, essenzialmente per ragioni di verifica delle catene di rivelazione, amplificazione e acquisizione dati. In queste condizioni sono stati registrati circa 150 000 eventi. In seguito, sono stati acquisiti dati con un fascio di deutoni da 40 MeV, forniti dal Ciclotrone Superconduttore, per tre giorni consecutivi. In questa configurazione sono stati acquisiti 1.5×106 eventi che sono stati utilizzati per l’analisi dei dati. Su questi eventi concentreremo la nostra attenzione nel seguito.

5.2. Le fasi e la struttura del lavoro di analisi

Il software che abbiamo utilizzato per sviluppare l’analisi dei dati acquisiti durante l’esperimento a Catania è basato sul programma di analisi dati ed isto-grammazione Root (1), distribuito dal Laboratorio CERN di Ginevra, che utilizza come linguaggio di programmazione il C++.

Inizialmente, i dati primitivi, raccolti durante la fase di acquisizione, sono stati convertiti in una prima n-tupla con formato Root, contenente, per ogni evento che ha soddisfatto trigger di acquisizione (vedi Cap. 4), il corrispondente canale di TDC o di ADC dei rivelatori che hanno registrato un segnale.

I canali acquisiti per ogni evento che ha soddisfatto il trigger sono :

1. 16 canali TDC per i 16 scintillatori organici che costituiscono i primi 4 piani di convertitore attivo

2. 8 canali ADC per i 4 scintillatori organici che costituiscono il quinto ed ultimo piano di convertitore attivo

3. 8 canali ADC per il lato giunzione (front) e 8 canali ADC per il lato ohmico (rear) del primo silicio ed altrettanti per il secondo silicio, per un totale di 32 canali ADC.

4. 1 canale ADC per lo scintillatore inorganico CsI(Tl)

Successivamente, è stato scritto un programma di preanalisi dei dati primi-tivi che legge la prima n-tupla Root e produce una seconda n-tupla Root, nella preparazione della quale vengono eseguite le seguenti operazioni.

1. Vengono identificati i rivelatori che, in ogni evento, hanno fornito un segnale di TDC o ADC all’interno di un intervallo di valori che caratterizza segnali fi-sici piuttosto che rumore elettronico. Questi intervalli sono stati determinati,

(1) http://root.cern.ch/

Capitolo 5

122

come si vedrà nel paragrafo successivo, per ogni rivelatore, dall’osservazione degli spettri primitivi. I rivelatori caratterizzati da un segnale al di fuori dell’intervallo di valori stabilito, vengono considerati non colpiti.

2. Viene costruita una serie di variabili di appoggio nelle quali viene contato il numero e la posizione dei rivelatori colpiti per ogni schiera di rivelatori.

3. Basandosi sulle calibrazioni in energia effettuate (vedi Cap. 4, paragrafo 4.4.2 per i rivelatori al silicio, e più avanti, Cap. 5, paragrafo 5.3.5, per lo scintilla-tore CsI(Tl)), viene associato ad ogni rivelatore colpito il valore dell’energia rilasciata dalla particella.

A questo livello dell’analisi è possibile quindi effettuare delle verifiche sulle prestazioni del sistema in termini di efficienza dei vari rivelatori e di sele-zione di eventi fisici, per i quali le risposte dei rivelatori sono costituite da segnali correlati in posizione e in energia. È importante notare che questa seconda n-tupla ha lo stesso formato di quella prodotta dal programma Monte Carlo, e quindi, da questo punto in poi, si può effettuare il confronto tra dati sperimentali e dati gene-rati con il programma di simulazione, utilizzando le medesime procedure.

La seconda n-tupla, prodotta nella fase di preanalisi, viene poi letta dal programma di ricostruzione e trasformata in una terza n-tupla finale. Questa terza n-tupla contiene, oltre alle informazioni precedenti, anche le informazioni relative alla ricostruzione della direzione della traccia, che fornisce la stima dell’angolo θ,

e alla ricostruzione dell’energia di emissione del protone Ep della formula (2.5). Ricordiamo che la direzione della traccia di protone può essere ottenuta dalle in-formazioni di posizione dei rivelatori, mentre una valutazione dell’energia di e-missione Ep può essere ottenuta dalla somma delle energie rilasciate dal protone ne diversi rivelatori e dalla stima dell’energia persa nel convertitore.

Utilizzando questa terza n-tupla è possibile effettuare tutte le selezioni degli eventi in funzione delle loro caratteristiche ed è possibile quindi approfondire lo studio e la comprensione dei dati raccolti, analizzare le prestazioni del rivelatore e, infine, produrre gli spettri energetici ricostruiti dei neutroni del fascio originario.

file Kmax

n-tupla root dati grezzi

Montecarlo

n-tupla root dati (preanalisi)

n-tupla root dati (ricostruzione)

Figura 5 Schema a blocchi della catena di analisi

L’analisi dei dati

123

La figura 5 riporta uno schema a blocchi della catena di analisi dei dati.

5.3. La fase di preanalisi

L’analisi dei dati ha riguardato essenzialmente i dati raccolti con il fascio di deutoni da 40 MeV, che sono quelli di maggior interesse fisico e costituiscono anche il campione di gran lunga più numeroso.

5.3.1. L’eliminazione del rumore elettronico La prima operazione che abbiamo effettuato è stata l’eliminazione del ru-

more elettronico dai segnali primitivi dei diversi rivelatori.

I segnali in TDC provenienti dai primi quattro piani di scintillatori sono stati ripuliti dalle code dovute al rumore dell’elettronica di trattamento temporale del segnale e di trattamento del trigger di acquisizione. Per ogni striscia di scintil-latore plastico, è stata selezionata una finestra in conteggi TDC che contenga il picco del segnale, che è ben riconoscibile in tutti i dati raccolti. In particolare, grazie alla stabilità della presa dati con il fascio di deutoni, i picchi in questi dati sono netti e la selezione delle finestre di segnale non ha presentato particolari pro-blemi. La figura 6 riporta, a titolo d’esempio, l’istogramma relativo alla striscia y3 del primo piano.

Figura 6 Spettro temporale della striscia y3 del primo piano di scintil-latori plastici, con evidenziata la finestra di taglio.

Abbiamo in seguito provveduto a stabilire una soglia sugli spettri in ADC provenienti dal quinto piano di scintillatori plastici, per eliminare il rumore dovuto all’amplificazione del segnale. Poiché i segnali vengono letti da entrambi i lati

Capitolo 5

124

delle strisce, per ogni striscia sono state fissate due soglie. La soglia è stabile su tutti i run analizzati. Nella figura 7 vengono riportati, a titolo d’esempio, i grafici relativi alla prima ed alla seconda striscia del quinto piano di rivelatori.

Figura 7 Spettri in ADC della prima striscia (in alto) e della seconda striscia (in basso) dell’ultimo piano di scintillatori plastici, con evi-denziata la soglia: lettura sul PMT a sinistra (grafici a sinistra) e sul

PMT destra (grafici a destra).

Il posizionamento del valore di soglia per gli otto ADC è stato effettuato scegliendo il valore di minimo nella valle di segnale, dove il fondo discendente ed il segnale che cresce si incrociano. Questo, inevitabilmente, ha portato a scartare anche dei segnali fisici sotto soglia, il cui numero, tuttavia, non sembra superiore al 5.0% per ADC. Non bisogna però dimenticare che il segnale sulle strisce del quinto piano di scintillatori viene dato dalla coincidenza dei segnali dei due ADC, cosa che amplifica l’effetto di inefficienza dovuto alla soglia.

La stessa operazione di fissazione della soglia e di eliminazione dei segnali sotto soglia è stata poi effettuata con i segnali degli ADC provenienti dai due rive-latori a strip di silicio, per i quali è stata fissata una soglia in modo analogo a quanto fatto per l’ultimo piano di scintillatori plastici (v. figura 8). Dall’osserva-zione della figura 11 si notano due effetti rilevanti.

Nel primo silicio è presente un picco, ben distinto, intorno al canale 200-300, che scompare completamente quando si richiede che l’evento contenga un segnale in coincidenza anche sul secondo silicio. Il picco quindi è presente per e-venti che hanno un segnale solo sugli scintillatori e sul primo silicio. Esso quindi potrebbe essere generato da fenomeni di fondo fisico, oppure da rumore elettroni-

L’analisi dei dati

125

co, ma la sua origine, a tutt’oggi, non è chiara. Nella presente analisi saranno stu-diati solo eventi appartenenti alle categorie (1) e (2), quindi con segnali su en-trambi i rivelatori al silicio, quindi la presenza del picco di rumore risulta irrile-vante per i nostri scopi.

In secondo luogo, soprattutto nel caso del secondo silicio, sono presenti eventi che eccedono il range dell’ADC e che finiscono nel canale finale (over-flow). Questi eventi, che corrispondono a segnali fisici mal registrati, sono stati conservati con il valore di overflow.

Figura 8 Spettri ADC della quarta striscia del primo silicio (in alto) e del secondo (in basso), con evidenziata la soglia: lettura in x sulla fac-cia anteriore (grafici a sinistra) e in y sulla faccia posteriore (grafici a

destra.

Per quanto riguarda lo scintillatore finale allo ioduro di cesio, è da tener presente innanzitutto che, circa a metà della presa dati, è stata diminuita la tensio-ne di alimentazione del rivelatore, perché troppi eventi corrispondenti a protoni di alta energia eccedevano l’intervallo di valori dell’ADC e non potevano quindi es-sere correttamente misurati. Per questo motivo, i dati sono stati divisi in due grup-pi omogenei, g1 e g2, che sono stati analizzati separatamente. L’ultimo gruppo è più interessante perché consente di ricostruire eventi fisici in un maggiore inter-vallo di energia dei protoni.

In effetti, si verificherà a posteriori, che l’amplificazione del segnale del CsI(Tl) è stata comunque eccessiva anche per il gruppo g2. Per questo motivo, purtroppo, una buona parte degli eventi con protoni di energia superiore a circa 8.5 MeV all’ingresso del CsI(Tl) danno un segnale superiore al limite massimo

Capitolo 5

126

dell’ADC e quindi finiscono in overflow, non consentendo, per questo, l’utilizzo del segnale del CsI(Tl) per la ricostruzione dell’energia del protone.

Il valore di 8.5 MeV all’ingresso del CsI corrisponde ad un’energia del protone al momento della generazione compresa tra 13.1 e 19.5 MeV, a seconda di dove è avvenuta la conversione. Possiamo dunque concludere che, per energie del protone al di sopra di 13.5 MeV e inferiori a 20 MeV, l’utilizzo del CsI(Tl) per ricostruire l’energia del protone genererà una distorsione dello spettro ricostruito dei neutroni mentre, oltre i 20 MeV, i segnali di rilascio di energia del protone nel CsI(Tl) finiranno in overflow e, quindi, non saranno utilizzabili.

In secondo luogo, i segnali ADC dello scintillatore inorganico CsI(Tl), a differenza di quanto accade per i plastici e i silici (vedi figure 6 e 7), non mostra-no una distinzione evidente tra segnale fisico e rumore elettronico (v. figura 9).

Figura 9 Spettri ADC dello scintillatore CsI per il primo gruppo di dati (g1, a sinistra) e per il secondo (g2, a destra).

Si vedrà più avanti, esaminando i dati correlati fra i diversi rivelatori, che la forma degli spettri del CsI(Tl) è probabilmente dovuta ad una importante con-taminazione da parte di segnali provenienti da fotoni generati da collisioni inela-stiche di neutroni del fascio che colpiscono i materiali circostanti.

Questi segnali, originati da neutroni del fascio che colpiscono i materiali circostanti, sono certamente scorrelati dalla finestra temporale del trigger di ac-quisizione. Tuttavia, se si considera che il volume di convertitore plastico da cui provengono i protoni è di circa 5.0 cm3, da confrontare con i volumi molto più grandi dei materiali circostanti, che la sua efficienza di conversione è dell’ordine di 10-5 e che la finestra temporale del trigger è dell’ordine di un microsecondo, è possibile che una parte dell’intensa radiazione gamma presente nella zona del ri-velatore, che non possiede schermatura o collimazione passiva dei neutroni, abbia inquinato in misura rilevante gli spettri del CsI(Tl).

In aggiunta è il caso di osservare che, nello schema di Dangendorf, non so-lo era prevista una schermatura del campo neutronico ed una collimazione passiva dei neutroni, ma anche il rivelatore era inclinato di 15° rispetto all’asse di fascio collimato di neutroni, in modo che esso non entrasse direttamente nel rivelatore

L’analisi dei dati

127

finale. Nella nostra situazione e geometria, il rivelatore finale è, al contrario, inve-stito in pieno da neutroni del fascio che hanno una probabilità non trascurabile di interagire nel rivelatore stesso e provocare segnale.

5.3.2. Prima valutazione della coerenza dei dati e dell’uniformità di risposta dei rivelatori

Dopo aver ripulito tutti i segnali, ove possibile, dal rumore elettronico, si è proceduto ad una prima verifica sia di alcune distribuzioni di rivelatori colpiti su un grande numero di eventi, sia della coerenza nelle risposte di diversi rivelatori nello stesso evento. In questo modo si è potuto avere una prima stima della uni-formità di risposta dei vari sistemi di rivelatori, nonché della qualità delle correla-zioni fra i segnali nello stesso evento. In questa fase, abbiamo analizzato le infor-mazioni provenienti dagli scintillatori plastici e dai silici, che sono i rivelatori che forniscono i segnali di trigger, e che, per questo, dovrebbero avere risposte espli-citamente correlate alla struttura ed alle caratteristiche di un evento fisico.

Ricordiamo che il trigger era essenzialmente costituito dall’OR di tutte le strisce di scintillatore plastico, messo in AND con l’OR dei due lati giunzione (lati front o x) dei rivelatori al silicio.

5.3.2.1. Gli scintillatori plastici

Per quanto riguarda gli scintillatori plastici, abbiamo per prima cosa valu-tato il numero di eventi nei quali è stata colpita più di una striscia in uno stesso piano. La percentuale di questi eventi, evidentemente non fisici o comunque con-taminati da rumore è solo dell’1%, il che denota una buona pulizia dei segnali raccolti. Gli eventi nei quali più di una striscia di scintillatore dava segnale in uno stesso piano sono stati identificati da una opportuna variabile di appoggio in modo da poter essere comodamente esclusi dall’analisi.

Abbiamo in seguito analizzato, sul totale dei dati, senza ulteriori selezioni, la distribuzione del numero dei piani di scintillatori colpiti. Semplici considera-zioni statistiche, in condizioni di efficienza di rivelazione molto elevata, portereb-bero a concludere che, nel caso di eventi fisici, la distribuzione del numero di pia-ni colpiti in un evento sia uniforme. Infatti, un protone generato nel convertitore, che entra nel rivelatore colpendo almeno il primo silicio, darà segnale nel piano dove è stato generato ed in tutti i successivi. Poiché la probabilità che un neutrone interagisca in uno qualsiasi dei piani generando un protone è la stessa per tutti i piani, la distribuzione del numero di piani complessivamente colpiti in ogni even-to dovrebbe essere uniforme.

La figura 10 mostra la distribuzione del numero di piani colpiti sulla popo-lazione totale di eventi del campione considerato. Si vede che, lungi dall’essere uniforme, la distribuzione ha un valore molto accentuato nel canale corrisponden-te a due piani colpiti, mentre per i canali corrispondenti a tre, quattro e cinque piani colpiti i valori dei canali diminuiscono rapidamente. Anche il canale corri-spondente ad un solo piano colpito ha una numerosità più bassa. Infine, compare

Capitolo 5

128

una numerosità non trascurabile per eventi nei quali nessun piano è stato colpito. Questi ultimi eventi possono essere originati in parte dall’imposizione di soglie software sui segnali e in parte da una inefficienza del trigger. Per valutare l’entità dei due effetti l’istogramma di figura 10 è stato riprodotto togliendo la selezione dovuta alle soglie sui segnali in TDC e in ADC; in questo modo abbiamo potuto valutare che l’inefficienza dovuta al solo funzionamento del trigger è intorno al 10%.

Figura 10 Numero di piani di rivelatori plastici colpiti per ciascun e-vento. Il canale 0 corrisponde agli eventi in cui non risulta colpito nes-

sun piano.

Vi sono alcuni effetti che possono giustificare le numerosità discendenti dei canali corrispondenti ad un numero maggiore di piani colpiti. Il primo effetto è dovuto all’efficienza di rivelazione degli scintillatori che, con metodo indipenden-te illustrato nel paragrafo 5.3.3, è stata valutata attorno al 90%, valore medio per piano. Il secondo effetto è dovuto alla presenza di una spaziatura di circa 0.7 mm fra una striscia di scintillatore e quella contigua, dovuta al montaggio meccanico. Questa spaziatura genera un ulteriore effetto di inefficienza geometrica dei piani.

Questi effetti, tuttavia, non riescono a spiegare la bassa numerosità del ca-nale corrispondente ad un solo piano colpito. Questo effetto potrebbe essere dovu-to ad una inefficienza del quinto piano di scintillatori quando esso sia il piano di origine del protone, quindi l’unico a dare segnale. L’effetto potrebbe essere giusti-ficato dal fatto che il quinto piano è letto in modo diverso rispetto agli altri poiché richiede la coincidenza dei due ADC posti alle estremità delle strisce. Un ulteriore studio, che qui non riportiamo, della frequenza con la quale i diversi piani vengo-no colpiti, conferma che l’efficienza del quinto piano, quando esso è l’unico colpi-to è nettamente inferiore all’efficienza degli altri.

L’analisi dei dati

129

La figura 11 mostra la distribuzione del numero di strisce colpite ottenuta con una simulazione Monte Carlo nella quale si sono ipotizzate le seguenti condi-zioni: (i) una efficienza di rivelazione delle singole strisce del 90%; (ii) si è ripro-dotta la spaziatura geometrica fra le strip di ciascun piano; (iii) si è applicata una efficienza ridotta al 35% al quinto piano, quando il protone sia stato originato al suo interno; (iv) da ultimo si è simulato uno spettro di protoni con una componen-te di bassa energia. Questi protoni di bassa energia potranno generare solamente eventi con pochi piani di scintillatore attraversati e questo aumenterà la numerosi-tà dei canali a pochi piani rispetto a quelli a tanti piani.

Figura 11 Simulazione Monte Carlo del numero di piani di rivelatori plastici colpiti per ciascun evento

Si vede che l’istogramma riproduce qualitativamente l’andamento di Fig. 8; ciò significa che sono stati probabilmente individuati i principali effetti in gioco. Un studio maggiormente quantitativo andrebbe tuttavia effettuato su un campione di eventi maggiormente selezionato.

È certo comunque che la valutazione dell’efficienza di rivelazione dei pia-ni di scintillatore che costituiscono il convertitore merita una particolare attenzio-ne, perché è connessa con la valutazione dell’efficienza complessiva del rivelato-re, che serve per la normalizzazione degli spettri di neutroni ottenuti. Il problema merita quindi uno studio approfondito e, eventualmente, delle misure dedicate di calibrazione dell’efficienza complessiva.

In seguito abbiamo studiato, nel campione considerato, la risposta di ogni striscia di scintillatore identificando, per ciascun piano, la striscia che ha registrato un segnale. Ciò al fine di verificare l’uniformità di risposta delle strisce nei diversi piani di scintillatore (vedi figura 12). Sia pur con qualche irregolarità, in particola-re per il quinto piano, in generale l’andamento è sufficientemente uniforme.

Capitolo 5

130

Figura 12 Conteggi per ogni striscia (canali da 1 a 4; il conteggio del canale 0 è stato soppresso perché molto più alto degli altri; il canale –

1 corrisponde agli eventi con più di una striscia colpita) e per ogni piano.

5.3.2.2. I rivelatori al silicio

Un’analisi di uniformità di risposta è stata effettuata per i rivelatori al sili-cio. È opportuno ricordare (vedi Cap. 4) che i rivelatori al silicio hanno un lato di giunzione (lato front), corrispondente alle strisce x, dove ha sede la giunzione del semiconduttore e dove, quindi, viene generato il segnale. L’altro lato (lato rear) è il lato solamente ohmico dove le strisce y raccolgono solamente il segnale indotto e servono per individuare la coordinata y del rilascio di carica.

Si è considerato separatamente il segnale su ciascun lato (front e rear) del rivelatore e si è esaminata la distribuzione del numero complessivo di piani che presentano segnale. Questa distribuzione è rappresentata in figura 13: il canale più popolato corrisponde a due segnali, che nella maggior parte dei casi coincidono

L’analisi dei dati

131

con un segnale sul lato front e uno sul lato rear del primo silicio. Di gran lunga in-feriore è il canale a quattro facce che danno segnale, che corrisponde a particelle che hanno colpito entrambi i silici. Questa diversa proporzione fra particelle che colpiscono solo il primo silicio e particelle che colpiscono entrambi può essere dovuta in parte a questioni di angolo solido ed in parte alla presenza, nello spettro dei protoni, di una coda a bassa energia.

Figura 13 Numero di facce di silicio colpite. Il canale 0 corrisponde agli eventi in cui non è stata colpita nessuna faccia. Questi eventi sono presumibilmente dovuti o alla selezione sulla soglia dei segnali o ad

una inefficienza di trigger.

Sono invece poco popolati i canali a numero dispari di lati colpiti, indica-zione di un buon funzionamento dei rivelatori.

Negli istogrammi di figura 14 si vedono le distribuzioni dei conteggi per ciascun elemento sui quattro lati dei due rivelatori al silicio. Si può osservare che la risposta del primo silicio è abbastanza uniforme.

Nel secondo silicio, dove per altro la statistica si impoverisce molto, l’ultimo elemento della faccia anteriore (x8) conta molto di più degli altri (v. figu-ra 14 (piano tre). Questo elemento, tuttavia, come si evince da una analisi detta-gliata della correlazione sugli spettri in ADC, funziona male, nel senso che dà si-stematicamente segnale in modo scorrelato dagli altri rivelatori. Inoltre, il primo elemento del lato posteriore (y1), in figura 22 (piano quattro), conta circa la metà degli altri. Ciò può essere dovuto al cattivo collegamento elettrico con una delle due strip componenti (si ricordi che ogni “elemento” dei rivelatori al silicio è co-stituito da due strip che confluiscono nello stesso preamplificatore).

Capitolo 5

132

Figura 14 Conteggi per ogni elemento e per ogni faccia dei rivelatori al silicio. Il conteggio del canale 0 è stato soppresso.

Nelle figure 15a e 15b è riportato, in tre dimensioni, l’andamento dei con-teggi su ciascun pixel del primo e del secondo silicio, per gli eventi in cui tutti i rivelatori di traccia (silici e plastici) sono colpiti.

In questo campione di eventi, l’andamento dei conteggi nei pixel nel primo silicio sembra mostrare una asimmetria nello spot del fascio di neutroni incidente. Infatti i pixel più periferici contano meno e tale andamento è più evidente soprat-tutto nei primi due elementi del lato posteriore. Questo è dovuto presumibilmente al fatto che i protoni che colpiscono i pixel periferici del primo silicio e lo attra-versano difficilmente arrivano al secondo silicio, e quindi non entrano nel cam-pione esaminato.

Nel secondo silicio, a parte gli elementi difettosi x8 e y1, già segnalati, l’andamento si presenta sufficientemente uniforme. Guardando con attenzione l’e-lemento x8, si può riconoscere che, in questo campione di dati correlati, il numero di conteggi in questo elemento diventa addirittura inferiore a quello degli altri, rendendo così evidente il suo malfunzionamento.

Da questa prima analisi della coerenza e della uniformità di risposta dei ri-velatori, si sono evidenziati una serie di problemi che meritano certamente un ap-profondimento, anche perché direttamente correlati con la indispensabile valuta-zione dell’efficienza complessiva del rivelatore PRT. A parte questi problemi puntuali, l’insieme dei diversi rivelatori componenti mostra comunque una buona coerenza nei segnali e una accettabile uniformità di risposta.

L’analisi dei dati

133

Figura 15 Conteggi su ciascun pixel, con tutti i rivelatori di traccia colpiti, per il primo silicio (in alto) e per il secondo silicio (in basso)

5.3.3. Valutazione dell’efficienza dei singoli piani di scintillatori

Essendo l’efficienza degli scintillatori che costituiscono il convertitore un elemento essenziale per determinare l’efficienza complessiva del rivelatore, e quindi la normalizzazione degli spettri ottenuti, si è proceduto ad una determina-zione indipendente della efficienza media dei singoli piani di scintillatore.

Poniamo l’attenzione su uno dei piani intermedi, il secondo, il terzo o il quarto. Selezioniamo il campione di eventi nel quale tutti gli altri piani sono stati

Capitolo 5

134

colpiti, in modo da essere sufficientemente certi che il protone sia stato generato nel primo piano ed abbia attraversato tutto il sistema di piani di scintillatore. A questo punto contiamo il numero delle volte che il piano in questione è stato col-pito. Il rapporto fra questo numero di eventi e il numero totale di eventi del cam-pione, fornisce una stima dell’efficienza di rivelazione del piano considerato. Ab-biamo ripetuto l’operazione per i tre piani intermedi, ottenendo i valori di effi-cienza riportati nella tabella 1.

Secondo piano di scintillatori 87 ± 0.6%

Terzo piano di scintillatori 90± 0.6%

Quarto piano di scintillatori 94± 0.6%

Tabella 1 Efficienza media di singoli piani di scintillatori.

Si vede che l’efficienza di rivelazione dei piani secondo, terzo e quarto, è mediamente del 90%. Possiamo legittimamente considerare che anche il primo piano di scintillatori, il cui segnale viene acquisito allo stesso modo dei tre succes-sivi, abbia un’efficienza dello stesso ordine. Per il quinto piano di scintillatori, in-vece, per le considerazioni esposte al paragrafo precedente, l’efficienza potrebbe essere inferiore. In particolare se il protone viene generato nel piano stesso e quindi, in corrispondenza ad un percorso più breve possa avere rilascio energetico inferiore.

Dallo studio effettuato in questo paragrafo e nel precedente, sulle correla-zioni fra segnali nei piani di scintillatore e sulle efficienze di rivelazione dei di-versi piani, abbiamo ricavato alcune valutazioni quantitative ed alcune indicazioni qualitative che hanno già valore orientativo per la analisi dei dati e la determina-zione delle correzioni da apportare.

Tuttavia, come già sottolineato in precedenza, poiché la determinazione dell’efficienza di rivelazione dei piani di convertitore ha una influenza diretta sul-la valutazione dell’efficienza complessiva del rivelatore, a questo argomento an-drà certamente dedicato uno studio più approfondito.

5.3.4. Correlazione tra i rilasci energetici nei due rivelatori al silicio

Una volta realizzata la calibrazione in energia dei silici come descritto nel Cap. 4, è stato possibile studiare la correlazione tra le energie rilasciate dal proto-ne nell’attraversare il primo ed il secondo piano di rivelatori al silicio.

Come già anticipato nel Cap. 3 alla Fig. 32, nonché nella figura A3 dell’appendice al Cap. 3, l’istogramma bidimensionale del rilascio energetico nel primo silicio ΔE1 rispetto al rilascio nel secondo silicio ΔE2 è molto ricco di in-formazioni. Infatti, nell’istogramma, gli eventi fisici dovrebbero concentrarsi in due bande ben individuate: una superiore corrispondente a protoni di energia più

L’analisi dei dati

135

bassa che rilasciano energia nel primo silicio e si arrestano nel secondo rilascian-do l’energia residua, ed una banda inferiore corrispondente e a protoni di energia più elevata che attraversano entrambi i silici e depositano l’energia residua nello scintillatore CsI(Tl).

Secondo le valutazioni Monte Carlo, che riportiamo in figura 16 per mag-giore chiarezza, l’energia minima dei protoni appartenenti alla banda superiore (valutata all’uscita del convertitore, quindi all’ingresso del primo silicio) dovrebbe collocarsi attorno a 6.0 MeV e l’energia massima dovrebbe collocarsi attorno a 9.0 MeV. I protoni più lenti rilasciano la maggior parte di energia nel primo sili-cio, circa 5-6 MeV, e perdono l’energia rimanente, meno di 1.0 MeV, nel secondo silicio. I protoni più veloci perdono meno energia nel primo silicio e ne conserva-no di più all’ingresso del secondo. Man mano che consideriamo protoni con ener-gia maggiore, diminuisce la perdita di energia nel primo silicio e aumenta quella depositata nel secondo. Quei protoni che perdono intorno a 3.0 MeV nel primo si-licio rilasciano la massima energia nel secondo, circa 6-7 MeV.

6.2

7.0

8.09.2

1012

15

20

30

40

Figura 16 Istogramma bidimensionale, calcolato con il Monte Carlo, dell’energia persa da un protone nel primo silicio ΔE1, in funzione dell’energia persa nel secondo silicio ΔE2, per una distribuzione

dell’energia di emissione dei protoni uniforme fra 3.0 e 40.0 MeV. Le righe verticali indicano le posizioni estreme, nelle due bande, dove si possono collocare protoni con valori di energia fino ai valori indicati

(energie all’ingresso del primo silicio).

L’energia dei protoni appartenenti alla banda inferiore all’ingresso del primo silicio ha come valore minimo 9.0 MeV, all’ingresso del primo silicio, ed

Capitolo 5

136

arriva fino ai valori più elevati di energia dello spettro che, al di sopra di circa 40-50 MeV, si concentrano attorno a rilasci ΔE1 e ΔE2 di uguale entità e piccolo valo-re, corrispondenti a particelle al minimo di ionizzazione. Inoltre, nella aree al di fuori delle due bande menzionate, non possono trovarsi eventi fisici, ciò che con-sente di valutare l’entità del rumore presente nei dati.

Nella figura 17 è riportato l’istogramma bidimensionale delle energie rila-sciate rispettivamente nel primo ΔE1 e nel secondo silicio ΔE2 nel campione di da-ti sperimentali. Per ottenere l’istogramma si chiede, come unica condizione ag-giuntiva, che, oltre ai due silici, sia colpito almeno uno scintillatore nel convertito-re attivo. La struttura della figura 17 appare decisamente simile alla precedente fi-gura 16.

Figura 17 Grafico della perdita di energia nei due rivelatori al silicio, relativo agli eventi in cui, oltre ai due rivelatori al silicio, viene colpito

almeno uno scintillatore plastico del convertitore.

Le due bande menzionate appaiono molto chiaramente e la loro colloca-zione rispetto ai valori di energia rilasciata (assi ΔE1 e ΔE2) è del tutto coerente con quella calcolata con il Monte Carlo. Gli eventi registrati nelle aree al di fuori delle bande corrispondono a eventi non fisici di rumore. Selezionando alcune aree sia al di fuori sia dentro le bande fisiche in diverse posizioni si può stimare che, con queste selezioni poco stringenti, il rumore sotto le bande fisiche vada dall’1% al 10% rispettivamente per la banda superiore ed inferiore. Si può quindi conclu-dere che la selezione di eventi sulle bande fisiche di questo istogramma bidimen-sionale abbia una elevata probabilità di generare un campione molto pulito di e-venti di protone tracciato, caratterizzabili con un valore stimato di energia del pro-

L’analisi dei dati

137

tone all’ingresso del primo silicio ed all’uscita del secondo silicio (per la banda inferiore).

La sola osservazione della figura 17 fornisce alcune prime informazioni sulle caratteristiche dello spettro di protoni misurato, e quindi di neutroni prove-nienti dalla reazione studiata. Infatti, dal confronto fra la figura 16, dati Monte Carlo, e la figura 17, dati reali, si nota che, nei dati reali, la banda superiore (pro-toni più lenti) risulta più densamente popolata rispetto a quella dei dati Monte Carlo, in relazione alla densità della banda inferiore (protoni più veloci). Ciò si-gnifica, come del resto è del tutto ragionevole, che, rispetto allo spettro piatto uti-lizzato per il Monte Carlo, lo spettro dei protoni emessi dalla conversione dei neu-troni ha una componente prevalente alle basse energie. Inoltre, poiché la banda in-feriore si spinge fino a valori di ΔE1 e ΔE2 di circa 1.0 MeV, la massima energia dello spettro di protoni arriverà attorno a 35 MeV, in accordo con l’energia del fa-scio di deutoni utilizzato.

In sintesi, l’istogramma bidimensionale di Fig. 17 consente di ottenere una separazione degli eventi fisici dagli eventi di fondo tramite la selezione delle strut-ture, una valutazione dell’energia del protone all’ingresso del primo silicio dal va-lore di circa 6.0 MeV ai valori massimi di energia, circa 35 MeV nelle nostre con-dizioni sperimentali. Dalla valutazione dell’energia del protone all’ingresso del primo silicio, tenendo conto dello strato di scintillatore nel quale il protone è ge-nerato, si può infine ricostruire l’energia del protone alla generazione. La valuta-zione più accurata della energia del protone prima del primo silicio si può fare con il metodo di massima verosimiglianza suggerito nell’appendice al Cap. 3. Per gli scopi successivi di calibrazione in energia del rivelatore CsI, tale valutazione sarà fatta, in modo meno accurato, utilizzando solamente il rilascio di energia nel se-condo silicio ΔE2.

Per energie del protone all’ingresso del primo silicio inferiori a 9.0 MeV (banda superiore) la misura dell’energia del protone potrà essere fatta solamente con l’istogramma di Fig. 17, che si basa sulle informazioni dei due silici. Come si vede dalla figura 16, la valutazione potrà essere piuttosto accurata, poiché gli in-tervalli energetici risultano ben separati nella banda superiore.

Per energie di ingresso superiori a 9.0 MeV si avranno anche informazioni dall’energia residua rilasciata nel cristallo CsI(Tl). Come osservato nel paragrafo 5.3.1, nelle nostre condizioni sperimentali, esse saranno utilizzabili solamente fino a circa 20 MeV di energia di generazione del protone, con efficienza decrescente. Al di la di 20 MeV, i segnali dell’energia rilasciata nel CsI(Tl) non saranno invece utilizzabili. In questo intervallo di energie, purtroppo, la densità di valori di ener-gia nell’istogramma bidimensionale di Fig. 16 è così elevata, che l’errore nella de-terminazione dell’energia sulla base delle sole informazioni dei rivelatori al silicio sarebbe troppo grande per dare risultati significativi.

Da ultimo bisogna osservare che, la struttura delle due bande di Fig. 17 po-trebbe essere maggiormente definita, e quindi anche la valutazione dell’energia del protone sulla base dei valori delle energie rilasciate ΔE1 e ΔE2 maggiormente

Capitolo 5

138

accurata, se invece dell’istogramma ΔE1 vs ΔE2, venisse studiato l’istogramma ΔE1/Δx vs ΔE2/Δx. Infatti non bisogna dimenticare che le traiettorie dei protoni presentano una distribuzione in angolo che può arrivare, per geometria, fino a 13°. La misura della direzione del protone è comunque effettuata, con sufficiente accu-ratezza (vedi paragrafo 5.4 successivo), con le informazioni provenienti dai rivela-tori al silicio e quindi le opportune correzioni possono essere applicate per ottene-re l’istogramma bidimensionale ΔE1/Δx vs ΔE2/Δx..

5.3.5 Calibrazione in energia dello scintillatore CsI(Tl) Per quanto riguarda la calibrazione dello scintillatore CsI(Tl), come ab-

biamo già anticipato, non è stato possibile realizzare una calibrazione in energia indipendente, in quanto non era disponibile un fascio di protoni con una o più e-nergie nell’intervallo di misurazioni previsto.

Si è quindi adottato un procedimento di calibrazione basato sugli stessi da-ti registrati nella presa dati effettuata. D’altra parte, come sottolineato in prece-denza, l’istogramma bidimensionale di Fig. 17 consente una individuazione accu-rata di eventi fisici di protone che attraversano i due silici, inoltre esso consente una determinazione sufficientemente accurata dell’energia del protone all’ingres-so del primo silicio, ma anche all’uscita del secondo silicio.

0

1

2

3

4

5

6

0 1 2 3 4 5 6 7

ΔΔΔΔE2 (MeV)

÷÷ ÷÷E

1 (M

eV)

03.411.0

17.0

48.699.2

27.9

Figura 18 Riproduzione tramite il programma SRIM della distribu-zione bidimensionale ΔE1 vs ΔE2. Nelle etichette è indicato il valore (in MeV) dell’energia dei protoni all’uscita del secondo rivelatore al

silicio.

Nella figura 18, calcolata tramite l’utilizzo del programma SRIM, e che

L’analisi dei dati

139

rappresenta l’istogramma bidimensionale di Fig. 17, si evidenziano i valori dell’energia del protone all’uscita del secondo silicio e quindi all’ingresso del cri-stallo CsI(Tl).

Come si vede nella figura 18, la calibrazione del CsI(Tl) potrà essere effet-tuata in modo sufficientemente accurato per valori dell’energia dei protoni (calco-lata all’ingresso del CsI), fino a 15-20 MeV; oltre questo valore la relazione fra l’energia in ingresso al rivelatore ed il conteggio ADC potrà essere estrapolata uti-lizzando un andamento noto della risposta del rivelatore.

La tecnica utilizzata è descritta sommariamente nel seguito e in modo det-tagliato in [3], per una situazione sperimentale analoga a quella qui considerata. Tale procedimento è stato sviluppato separatamente per ciascuno dei due gruppi di dati g1 e g2 e, nell’intervallo di energia comune ai due insiemi di dati, ha forni-to risultati del tutto coerenti.

Quando una particella carica interagisce con uno scintillatore, solo una frazione dell’energia che essa cede al rivelatore viene convertita in luce, il resto viene dissipato in fenomeni non radiativi che prendono il nome di quenching. La quantità di energia convertita in luce dipende sia dal tipo di particella che dalla sua energia. L’uscita in luce differenziale dL/dx è legata alla perdita di energia dif-ferenziale della particella dE/dx, tramite la formula di Birks [4]:

dx

dEkB1

dx

dES

dx

dL

⋅+

= (5.1)

dove S è l’efficienza di scintillazione, cioè la frazione di energia ceduta dalla par-ticella che viene convertita in luce, e kB è il fattore di quenching, che risulta esse-re proporzionale alla densità del materiale frenante ed alla concentrazione delle impurità di quenching nello scintillatore.

La perdita di energia per unità di lunghezza, dE/dx, è descritta dalla ben nota formula di Bethe che, per particelle non relativistiche di energia E, di massa Au (dove u indica l’unità di massa atomica) e di carica ze, può essere scritta:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

−=A

EC

E

AzC

dx

dE2

2

1 ln (5.2)

dove C1 e C2 sono costanti che dipendono dal materiale attraversato.

Se trascuriamo la debole variazione (su intervalli energetici non troppo ampi) del termine logaritmico, e consideriamo protoni (A = z = 1), la (5.2) diven-ta:

E

C

dx

dE 3−= (5.3)

Capitolo 5

140

Sostituendo questa espressione nella (5.1) otteniamo:

dx

E

CkB1

E

CS

dL3

3

−= (5.4)

Questa espressione si può integrare analiticamente sul range del protone (nell’ipotesi che si arresti all’interno dello scintillatore), ottenendo, per l’uscita in luce [5]:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ +−+=

2

2210 a

aEaEaaL ln (5.5)

La relazione fra uscita in luce ed energia depositata è quindi largamente li-neare, a parte il termine logaritmico lentamente variabile. I coefficienti a0, a1 e a2

dipendono dalle caratteristiche dello scintillatore e dall’elettronica di acquisizione del segnale e possono essere determinati tramite una opportuna calibrazione del rivelatore.

Poiché il fototubo, con cui viene raccolta la luce prodotta dallo scintillato-re, ha una risposta lineare rispetto alla luce assorbita, la risposta dell’intero siste-ma CsI(Tl)-fototubo è proporzionale a L. La (5.5) può essere, quindi, utilizzata per calibrare la risposta del rivelatore CsI(Tl)-fototubo.

La procedura seguita consiste nel trovare dei coefficienti a0, a1 e a2 che ri-producano la risposta del rivelatore CsI(Tl) in funzione dell’energia del protone incidente. In altre parole, dobbiamo trovare dei punti (Ei ,Li) sui quali applicare una procedura di migliore adattamento con la formula (5.5) rispetto ai parametri a0, a1 e a2, essendo Li la risposta del CsI(Tl), in termini di canali di ADC, ad un protone incidente di energia Ei.

Come precedentemente sottolineato, trovare un certo numero di valori spe-rimentali per Ei con i corrispondenti valori di Li è possibile avendo a disposizione le informazioni sul fascio di protoni fornite dai rivelatori al silicio. Abbiamo già detto che, siccome tra il secondo silicio e lo scintillatore CsI(Tl) finale è interpo-sto solo il vuoto, l’energia del protone incidente sul CsI(Tl) corrisponde all’energia all’uscita dal secondo silicio. L’energia del protone uscente dal secon-do silicio si ottiene, in questa prima valutazione dei coefficienti di calibrazione, più semplicemente sulla base dell’energia ΔE2 depositata dal protone nel secondo silicio. La procedura più rigorosa, che tiene conto di entrambe le perdite di ener-gia ΔE1 e ΔE2, sarà oggetto di un lavoro successivo.

In figura 19 è possibile vedere l’istogramma bidimensionale della perdita di energia nel secondo silicio ΔE2 (in MeV) in funzione del valore del segnale sul-lo scintillatore CsI(Tl) in canali di ADC.

L’analisi dei dati

141

Figura 19 In ascissa i canali ADC del CsI, in ordinata l’energia depo-sitata nel secondo silicio, con almeno un plastico più due silici colpiti. I dati sono relativi al gruppo g1. Sono mostrate con linee tratteggiate

le funzioni empiriche f1 e f2 che vengono usate per selezionare la banda di eventi di protone.

In figura 19 si riconosce chiaramente la presenza di una banda di adden-samento dei dati, che è delimitata dalle curve tratteggiate. Tali curve sono solo delle funzioni empiriche scelte per individuare e separare i dati. Questa banda coincide con la distribuzione dell’energia persa da un fascio di protoni nel secon-do silicio, in funzione dell’energia residua ceduta completamente dagli stessi pro-toni al rivelatore finale CsI(Tl). Tra questi protoni, i più lenti rilasciano la maggior parte della loro energia sul secondo silicio (circa 6 MeV), mentre i più veloci rila-sciano poca energia nel silicio (circa 3 MeV) e la maggior parte nel CsI. In altre parole la banda individuata corrisponde al ben noto grafico ΔE vs E.

Per confronto si può vedere la stessa distribuzione riprodotta con il Monte Carlo in Fig. 20, nella quale l’energia persa nel secondo silicio è rappresentata in funzione dell’energia residua persa dal protone nel CsI(Tl) per una popolazione di protoni con energia di generazione fino a 40 MeV. La differenza fra le due figure sta nel fatto che l’asse orizzontale nei dati Monte Carlo è in unità di energia depo-sitata (MeV), mentre nei dati reali è in canali di ADC, quindi contiene la funzione di risposta largamente lineare 5.5).

Capitolo 5

142

Figura 20. Energia persa nel secondo silicio ΔΕ2 rappresentata in fun-zione dell’energia residua persa dal protone nel CsI(Tl). Dati Monte

Carlo per una popolazione di protoni con energia di generazione fino a 40 MeV. Le linee orizzontali e verticali indicano i limiti di sensibilità

del rivelatore per i campioni g1 e g2.

Dal confronto fra le due figure, possiamo già anticipare che, essendo il mi-nimo valore di ΔE2 dei punti appartenenti alla banda sopra evidenziata, nel suo e-stremo di destra, di circa 3.0 MeV, la massima energia residua del protone misu-rabile nel CsI(Tl) dovrebbe essere di 6.6 MeV per i dati del gruppo g1. Per i dati del gruppo g2 questo valore si situa attorno a 8.5 MeV. Per valori superiori dell’energia residua rilasciata dal protone il segnale nello scintillatore CsI(Tl) fini-sce in overflow.

Ciò impedisce, purtroppo, di utilizzare la risposta del rivelatore finale pro-prio nella porzione di spettro nella quale sarebbe stata più utile o addirittura es-senziale. Le linee orizzontali e verticali indicate sulla Fig. 20 indicano i limiti di sensibilità del rivelatore per i due campioni g1 e g2. Gli stessi limiti sono indicati in Fig. 21, sovrapposti all’istogramma bidimensionale ΔE1 vs ΔE2 per i due cam-pioni di dati g1 e g2. Si vede che in una larga parte dei dati l’informazione prove-niente dal CsI(Tl) non è purtroppo utilizzabile.

L’analisi dei dati

143

g1g2

Figura 21 Istogramma bidimensionale ΔE1 vs ΔE2 con sovrapposti i limiti per l’utilizzazione della risposta dello scintillatore CsI(Tl) per i

due campioni di dati g1 e g2.

I punti che si ammassano in basso a sinistra nella figura 19 non possono corrispondere ad eventi di protone che attraversa il secondo silicio e perde l’energia residua nel CsI(Tl), perché questi ultimi possono solo cadere nella banda delimitata dalle linee tratteggiate. Come suggerito precedentemente nell’analisi degli spettri di figura 9, tali eventi corrispondono, con grande probabilità, ad e-venti di rumore provocati da raggi gamma di bassa energia generati a loro volta da neutroni scorrelati del fascio che collidono con i materiali circostanti.

Per verificare la natura di questi eventi è possibile selezionarli opportuna-mente utilizzando l’istogramma bidimensionale di figura 21. Infatti, abbiamo o-ramai concluso che gli eventi che appartengono alla banda superiore di questa fi-gura sono dovuti a protoni che hanno attraversato il primo silicio e si sono arresta-ti nel secondo silicio. Questi eventi quindi non possono corrispondere a protoni che entrano nello scintillatore CsI(Tl); per questi eventi dovremmo quindi avere assenza di segnale nello scintillatore. L’eventuale segnale registrato dal CsI(Tl) per eventi di questo tipo corrisponderà quindi a rumore.

In Fig. 22 viene mostrato lo stesso istogramma bidimensionale di figura 19 limitato agli eventi della banda superiore di fig. 21. Si vede chiaramente la scom-parsa totale dell’addensamento di eventi nella banda delimitata dalle due curve tratteggiate, mentre rimane una buona parte dell’addensamento in basso a sinistra, a valori piccoli dell’energia rilasciata, corrispondente a rumore generato dai fotoni scorrelati.

Capitolo 5

144

Figura 22 Istogramma bidimensionale di Fig. 19 in cui sono stati se-lezionati gli eventi corrispondenti alla banda superiore di Fig. 21 (e-venti di protoni di bassa energia che si arrestano nel secondo silicio). Si vede chiaramente che gli eventi selezionati nell’istogramma sono dovuti unicamente a rumore casuale del campo di fotoni scorrelati.

Figura 23 Proiezione dell’istogramma bidimensionale di Fig. 22 sull’asse dei conteggi ADC. Si vede chiaramente la struttura dello

spettro di rumore casuale dovuto ai fotoni scorrelati.

L’analisi dei dati

145

In figura 23 si mostra la proiezione dell’istogramma bidimensionale sul-l’asse del conteggio ADC; la struttura energetica del segnale è piccata a bassa e-nergia come tipico degli spettri dei campi fotonici.

Viceversa, gli eventi appartenenti alla banda inferiore di fig. 21 corrispon-dono ad eventi di protoni che attraversano entrambi i silici e si arrestano nel CsI(Tl), fatta eccezione per qualche effetto secondario di attraversamento parziale che può interessare i protoni ad angolo maggiore che investono il bordo dello scintillatore. La fig. 24 mostra l’istogramma bidimensionale di figura 19 limitato agli eventi di questa banda inferiore. Si distingue chiaramente la banda che non era presente nella figura 22 precedente, quando il taglio era fatto su protoni lenti che si arrestavano nel secondo silicio. In basso a sinistra è tuttavia presente ancora del rumore scorrelato di fotoni che inquina il segnale; il rumore è particolarmente intenso per perdite di energia ΔE2<3.0 MeV per le quali il segnale di rilascio del protone di alta energia cade oltre il fondo scala dell’ADC.

Figura 24 Istogramma bidimensionale di Fig. 19 con la selezione de-gli eventi corrispondenti alla banda inferiore di Fig. 21 (eventi di pro-toni che attraversano entrambi i silici e perdono l’energia l’energia re-

sidua nello scintillatore). Si vede chiaramente la banda di eventi di protone selezionati e una zona in basso a sinistra di rumore generato

da campi di fotoni scorrelati ancora presente.

In figura 25 è mostrata la proiezione dell’istogramma di fig. 24 sull’asse del conteggio ADC con il canale di overflow soppresso. Si vede che, a differenza della figura 23 precedente, il segnale di protoni che perdono l’energia residua nel CsI(Tl) è ben distinguibile, accompagnato da un rumore fotonico a basse energie.

Capitolo 5

146

Figura 25 Proiezione dell’istogramma bidimensionale di Fig. XXX sull’asse dei conteggi ADC. Si vede chiaramente la proiezione del se-gnale dei protoni con sovrapposto un rumore fotonico scorrelato per bassi valori dei conteggi ADC. Il canale di overflow è soppresso. Es-sendo il rumore molto ridotto rispetto ai grafici esaminati nella Fig. 9,

si riesce a distinguere il segnale generato dai protoni.

Figura 26 Come figura 25, ma con il canale di overflow incluso.

L’analisi dei dati

147

In Figura 26 lo stesso grafico è mostrato senza la soppressione del canale di overflow che diventa, ora, dominante. Questo segnale corrisponde a protoni con energie maggiori di circa 6.6 MeV che rilasciano tutta l’energia residua nello scin-tillatore e vengono registrati in overflow.

Possiamo pertanto utilizzare con una certa sicurezza, per le successive o-perazioni finalizzate alla calibrazione in energia del cristallo CsI(Tl), gli eventi contenuti nella banda dell’istogramma di fig 19 delimitata dalle due funzioni indi-cate con curve tratteggiate, per entrambi i due gruppi di dati g1 e g2.

L’analisi dei dati per la calibrazione dello scintillatore CsI(Tl) prosegue quindi limitandosi a considerare gli eventi della banda contenuta all’interno delle due curve f1 e f2 e sezionandoli in intervalli in energia di 0.3 MeV sull’asse delle ordinate ΔE2 in figura 19. Per ognuno di questi intervalli è stata fatta poi la proie-zione corrispondente sull’asse delle ascisse. Si sono così ottenute delle distribu-zioni di risposta in luce del CsI(Tl), in termini di canali ADC, in corrispondenza ad una certa perdita di energia nel silicio. Come sottolineato in precedenza, questa perdita di energia ΔE2 corrisponde, con una precisione che potrà essere sicura-mente migliorata, ad un determinato valor medio di energia del protone all’ingresso dello scintillatore CsI(Tl).

Figura 27 Proiezione dell’intervallo 3.5 – 3.8 MeV di energia persa dal protone nel secondo silicio rispetto all’ADC del CsI(Tl). In questo esempio, si associa il canale 1300 del CsI(Tl) (centro della gaussiana) al valore 3.65 MeV (il centro dell’intervallo considerato) di perdita di energia nel secondo silicio. A questo poi viene associato un valore di

energia residua del protone.

Capitolo 5

148

In figura 27 è riportato un esempio di tale proiezione. Le distribuzioni ot-tenute in corrispondenza dei diversi intervalli sono state poi interpolate con una gaussiana. In questo modo è stato ottenuto un insieme di punti di coordinate (ΔEi,Li) in cui ΔΕi è pari al valore centrale dell’intervallo di perdita di energia nel secondo silicio in MeV, e Li è il valor medio dalla gaussiana di interpolazione, in canali di ADC.

Calcolando il valore dell’energia Ei del protone all’ingresso del CsI(Tl) a partire dal valore di ΔEi, secondo quanto illustrato precedentemente, abbiamo ot-tenuto diversi punti di calibrazione per poter eseguire un migliore adattamento con la formula (5.5), che esprime la relazione fra energia depositata e resa di luce del rivelatore. In figura 28 sono riportate per il gruppo g1 le coppie (Ei ,Li) di pun-ti sperimentali e la curva di migliore adattamento. Da questo si ricavano infine i valori di migliore adattamento per i coefficienti a0, a1, a2 per i due insiemi di dati g1 e g2.

Figura 28 Punti sperimentali (Ei ,Li) e curva di best-fit per il gruppo g1.

Nella figura 29 sono mostrati gli spettri in energia, ricavati dal procedi-mento di calibrazione corrispondenti al totale dei dati primitivi dei gruppi g1 e g2. Si vede l’effetto dominante del rumore provocato dai fotoni di fondo ed i picchi di fondo scala (overflow) dei protoni di energia più elevata.

Nelle proiezioni dei dati complessivi è dominante il rumore di fondo foto-nico scorrelato a bassa energia. Si noti che, coerentemente con le previsioni fatte sulla base del Monte Carlo (vedi fig 20), nel caso del gruppo di dati g1, il picco di fondo scala corrisponde ad una energia residua di circa 6.5 MeV, mentre nel gruppo di dati g2 vengono registrati nello spettro eventi con energia fino a circa 8.5 MeV. Nei picchi di fondo scala sono contenuti i numerosi protoni di energia più elevata che giungono al cristallo CsI(Tl).

L’analisi dei dati

149

Figura 29 Spettri in energia ricavati dal procedimento di calibrazione del CsI, per il gruppo g1 (a sinistra) e g2 (a destra). I grafici non partono

dall’origine delle ascisse dell’asse ECsI.perché tengono conto della soglia di sensibilità del rivelatore.

Purtroppo, come già prima sottolineato, a causa dell’eccessivo guadagno del rivelatore, oltre 8.5 MeV di energia del protone incidente sul CsI(Tl) per il gruppo g2 di dati e di 6.6 MeV per il gruppo g1 di dati, lo scintillatore finale CsI(Tl) fornisce un segnale oltre il fondo scala e quindi inutilizzabile. Questo cor-risponde ad una distorsione dello spettro di protoni ricostruito a partire da 13.5 MeV e ad una impossibilità di ricostruire lo spettro oltre i 20 MeV di energia di emissione del protone.

5.4. La ricostruzione della traccia

Il problema della ricostruzione della traccia è di carattere geometrico e di-pende dal numero di rivelatori colpiti dal protone, dalla loro posizione reciproca e dalla loro risoluzione spaziale.

Illustriamo nel seguito la procedura seguita. Come abbiamo già detto, pos-siamo leggere la coordinata x dal secondo, dal quarto e (con un’incertezza mag-giore) dal quinto piano degli scintillatori plastici, e dai due silici. La y la ricavia-mo dal primo, terzo e quinto piano dei plastici, e dai due silici. Ciascuna coordina-ta (ad eccezione della x del quinto piano dei plastici) è quella associata al centro della striscia colpita ed ha un’incertezza pari alla larghezza della striscia divisa per

12 (2).

Possiamo analizzare separatamente la situazione nel piano orizzontale xz e in quello verticale yz (v. figura 30). Poiché il trigger richiede che siano colpiti al-meno un piano dei plastici e almeno un silicio, in ciascun piano possiamo avere da un minimo di due a un massimo di cinque punti.

(2) Infatti, la deviazione standard di una distribuzione uniforme di larghez-

za L, come è facile dimostrare, è 12L .

Capitolo 5

150

neutronepiano x-z

protone

neutronepiano y-z

protone

Figura 30 Ricostruzione della traiettoria di un protone che converte nel primo piano degli scintillatori plastici, nel piano orizzontale e ver-

ticale.

Assumendo che il protone viaggi in linea retta, senza subire deviazioni si-gnificative, le proiezioni della traiettoria sui piani orizzontale e verticale saranno date rispettivamente da:

( )

( ) yy

xx

qzmzy

qzmzx

+=

+= (5.6)

Su ciascun piano possiamo allora eseguire un fit lineare (tenendo presente che le incertezze associate alle coordinate x e y sono diverse per gli scintillatori e per i silici, e ancora diversa per la x del quinto piano dei plastici) e determinare i valori più probabili di coefficienti mx, my, qx e qy.

Da questi coefficienti possiamo ricavare tutte le informazioni che ci inte-ressano. Vediamo in particolare come possiamo ricavare l’angolo di scattering del protone, ϑ. Presi a caso due punti (x1, y1, z1) e (x2, y2, z2), sulla traiettoria rico-struita, abbiamo, per le (5.6):

zmy

zmx

y

x

Δ=Δ

Δ=Δ (5.7)

Dalla geometria della situazione (v. figura 31) vediamo allora, consideran-do il triangolo rettangolo evidenziato in giallo, avente i vertici nei punti A ≡(x1,y1,z1), B ≡ (x1,y1,z2) e C ≡ (x2,y2,z2), che la tangente dell’angolo di scattering, ϑ, che non è altro che l’angolo acuto in A, è data dal rapporto:

L’analisi dei dati

151

x

y

A ≡ (x1,y1,z1)

B ≡ (x2,y2,z2)Δy

z

C ≡ (x1,y1,z2)Δx

Figura 31 Geometria della ricostruzione dell’angolo polare ϑ. In ver-de la traiettoria di un protone, in rosso le intersezioni con due piani z = z1 e z = z2. Nel triangolo ABC evidenziato in giallo, rettangolo in C, la tangente dell’angolo acuto in A (che è appunto l’angolo di scattering)

è data dal rapporto tra il cateto opposto, 22 yx Δ+Δ e il cateto adia-

cente, Δz.

2y

2x

22

mmz

yx+=

Δ

Δ+Δ=ϑtan (5.8)

La ricostruzione della traiettoria del protone, oltre alla stima dell’angolo θnecessaria per la determinazione dello spettro dei neutroni incidenti, consente i-noltre di selezionare gli eventi secondo le loro caratteristiche geometriche. Ab-biamo infatti segnalato nel Cap. 3 che è necessario verificare che l’assenza di se-gnali su un rivelatore non sia correlata con la direzione della traccia incidente, al fine di verificare che l’evento considerato non sia uscito dall’accettanza del rivela-tore.

È opportuno inoltre sottolineare che, soprattutto per protoni di bassa ener-gia, il fenomeno di scattering multiplo nel primo silicio può deviare considere-volmente il protone dalla sua traiettoria originaria e quindi compromettere una buona misura dell’angolo θ. La figura 21 del Cap. 3 mostra un esempio di eventi di questo tipo. Per tenere sotto controllo questi eventi è comunque possibile valu-tare la qualità del fit sulla base dei residui rispetto ai diversi rivelatori e, even-

Capitolo 5

152

tualmente, nel caso in cui il fit sia di cattiva qualità per problemi di deviazioni ec-cessive, non considerare l’evento nell’analisi dei dati.

Nell’analisi successiva ci siamo limitati agli eventi che possiedono segnali corrispondenti ad eventi fisici (le due bande di figura 17) in modo da ricostruire la traiettoria dei protoni che attraversano il convertitore, il primo silicio e attraversa-no o si arrestano nel secondo silicio (eventi di categoria (1) e (2) secondo la no-menclatura di Cap. 3).

Come detto in precedenza, la coordinata di passaggio del protone sui rive-latori di traccia (plastici più silici) è quella associata al centro della striscia colpita e ad essa viene attribuita un’incertezza sistematica dovuta alle dimensioni finite della striscia. In figura 32 è riportato un esempio di traccia ricostruita nei due pia-ni x-z ed y-z con la procedura di fit descritta sopra.

Figura 32 Esempio di una traccia ricostruita nel piano x-z e y-z . Gli asterischi rappresentano le posizioni dei centri delle strisce di plastici e di silici colpite. In questo caso la traccia del fit interseca tutte le strip

colpite, e l’evento viene accettato.

L’analisi dei dati

153

Nel programma di ricostruzione le posizioni reciproche dei vari rivelatori sono fissate a partire dalla geometria di progetto del sistema. Soprattutto per quan-to riguarda gli scintillatori plastici tale allineamento va verificato ed eventualmen-te corretto con i dati stessi.

Per effettuare l’allineamento del sistema ipotizziamo che i due silici siano perfettamente allineati tra loro, essendo vincolati rigidamente ad uno stesso sup-porto metallico (vedi Cap. 4). Inoltre la loro distanza (24.5 cm) è molto maggiore della distanza tra due piani di plastici (1.0 cm) e anche della distanza tra l’ultimo plastico ed il primo silicio (6.5 cm).

Effettuiamo l’allineamento relativo dei plastici facendo il fit nei due piani x-z e y-z. Per produrre il fit usiamo solo le coordinate dei silici e calcoliamo i re-sidui del fit per ogni striscia di plastico come differenza tra il valore del centro della striscia ed il valore estrapolato dal fit. Correggiamo poi in modo ricorsivo i valori dei centri delle strisce dei plastici usando i valori medi delle distribuzioni dei residui.

In figura 33 sono riportati, per gli ultimi due piani di plastici, gli isto-grammi dei residui di ciascuna striscia prodotti dopo la procedura di allineamento ed interpolati con una gaussiana. Come si nota dalla figura, i valori medi delle gaussiane sono molto piccoli, il che significa che c’è un buon allineamento. Però, alla base di tutti i picchi si nota un piedistallo che si sposta da sinistra a destra a-vanzando dalla prima all’ultima striscia di ciascun piano. Poiché si tratta di eventi molto distanti dal centro della strip, un’ipotesi ragionevole che si può fare è che corrispondano a protoni che hanno subito deviazioni consistenti nella loro traietto-ria.

La procedura sopra descritta non ha portato ad un risultato completamente soddisfacente. Infatti, considerato il numero totale di eventi considerati, il numero di conteggi che finiscono in ogni istogramma non è molto elevato e di conseguen-za il valor medio della gaussiana con cui si interpola il residuo non è sempre affi-dabile. Inoltre, una verifica fatta a posteriori sulla nuova disposizione delle strisce mostra che ci sono delle sovrapposizioni tra una striscia e l’altra di plastici, anche se limitate in numero ed entità.

Abbiamo fatto una valutazione dell’errore massimo sulla determinazione dell’angolo ϑ tra la direzione del neutrone primario (direzione parallela all’asse z) e quella del protone. L’incertezza che si ottiene facendo il fit sui silici è data dal rapporto tra la semilarghezza della striscia (3.1 mm, se si considerano due strisce attaccate) e la distanza tra i due silici (24.5 cm). Tenendo conto che nella formula finale compare il cos2(ϑ) al denominatore, l’errore è trascurabile (molto minore dell’1%).

In ogni caso, abbiamo in previsione di effettuare una presa dati con i co-smici per ottenere un campione di eventi con una statistica molto più elevata di quella di cui disponiamo attualmente, con cui rifare la procedura di allineamento del sistema.

Capitolo 5

154

Figura 33 Istogrammi dei residui di ciascuna striscia per gli ultimi due piani di plastici, prodotti dopo la procedura di allineamento ed in-

terpolati con una gaussiana.

In figura 34a è riportato l’angolo ϑ tra la direzione della traccia e quella dell’asse z. L’angolo ϑ definisce il cono di accettanza della misura ed è determi-nato dalla geometria del PRT, ossia dalla distanza tra il primo piano di plastici e la superficie d’ingresso del rivelatore CSI finale e dal raggio del tubo. L’angolo

L’analisi dei dati

155

massimo di accettanza è di circa 8-10 gradi.

L’angolo ϕ, mostrato in figura 34b, descrive la distribuzione delle tracce proiettate nel piano x-y. Esso dà un’indicazione dell’omogeneità del fascio sulla superficie d’ingresso del PRT.

L’andamento dell’angolo ϕ non è piatto, come ci si potrebbe aspettare. Ciò può essere causato da un leggero disallineamento tra l’asse del PRT e la direzione d’arrivo dei neutroni incidenti. Entrambi gli andamenti possono essere studiati meglio attraverso una simulazione Monte Carlo completa che tenga conto delle sezioni d’urto differenziali neutrone-protone e delle caratteristiche del fascio di neutroni.

Figura 34 Angoli ϑ (a) e ϕ (b) ricostruiti

In particolare, l’andamento di ϕ sembra sinusoidale, con un massimo verso –100°. Questo sembra indicare che i protoni vanno preferenzialmente in basso, e potrebbe essere dovuto al fatto che il PRT era un po’ più in basso del bersaglio. L’effetto però sembra troppo marcato per poter essere imputabile a quest’unica causa, e necessita di un ulteriore approfondimento.

5.5. La ricostruzione dell’energia del protone

Il passo successivo nel programma di ricostruzione consiste nel calcolare l’energia iniziale che il protone possedeva all’atto della sua generazione nel con-vertitore Ep.

Trattiamo il caso più generale di protoni che abbiano sufficiente energia per giungere fino al CsI(Tl), attraversando tutti gli altri rivelatori (eventi di cate-goria (1)). Questi protoni rilasciano parte della propria energia nella striscia di plastico in cui sono stati generati ed eventualmente nelle strisce successive, parte nei silici che attraversano e la rimanente nello scintillatore finale. Naturalmente, per le ragioni prima menzionate, restano esclusi da questo campione molti eventi con energia Ep maggiore di circa 13 MeV e tutti gli eventi con energia Ep maggio-re di 20 MeV perché il loro segnali nel CsI(Tl) finiscono oltre il fondo scala.

Capitolo 5

156

Procediamo partendo dalla fine del percorso. Per ogni evento di questo ti-po conosciamo l’energia ECsI depositata nel CsI(Tl) e da questa otteniamo l’energia E0= ECsI che il protone aveva all’ingresso del CsI(Tl). Per protoni di e-nergia inferiore a circa 15 MeV all’ingresso del CsI(Tl), una stima ulteriore di E0

si può ottenere dalle energia perse dal protone nella coppia di rivelatori al silicio.

Per stabilire se il protone abbia rilasciato effettivamente tutta l’energia re-sidua nello scintillatore, ovvero che si sia effettivamente fermato nel CsI(Tl), ab-biamo sviluppato un algoritmo di stop che confronta il range di un protone di e-nergia E0 in CsI(Tl) con la lunghezza della traccia estrapolata all’interno del CsI(Tl) sulla base delle informazioni geometriche sulla traiettoria. Questo algo-ritmo utilizza le tabelle di range di SRIM. In questo modo eliminiamo gli eventi che presumibilmente escono lateralmente dallo scintillatore finale, che comunque sono meno dell’1%.

All’energia E0 del protone così determinata vengono poi aggiunti i contri-buti ΔESi1 e ΔESi2 dovuti all’energia persa nei due rivelatori di silicio. Si ricorda che lo spazio intermedio fra i rivelatori è vuoto quindi non bisogna stimare ulte-riori perdite di energia lungo il percorso. Si ottiene così l’energia Eres = ΔESi1 + ΔESi2 + E0 che il protone possiede all’uscita dal convertitore plastico. Nella figura 35 è riprodotta l’energia Eres così calcolata per gli eventi appartenenti al gruppo g1 (a) e al gruppo g2 (b).

Analizzando gli spettri in figura 35, si vede che entrambi gli istogrammi cominciano a salire intorno a 8-9 MeV, coerentemente a quanto affermato a pro-posito dell’energia minima necessaria per raggiungere il CsI(Tl). Inoltre, i due campioni di dati sono sovrapponibili se consideriamo solo i protoni che hanno ri-lasciato nel Csi(Tl) un’energia compresa nello stesso intervallo (800 keV - 6.5 MeV).

Rimane da calcolare l’energia persa dal protone nei plastici. Il convertitore plastico è un rivelatore di posizione e non consente di determinare l’energia rila-sciata dalla particella che lo attraversa. Tuttavia è possibile farne una valutazione quantitativa conoscendo il numero di piani colpiti ed attraversati.

Ipotizziamo che il protone venga generato ad una profondità pari a metà spessore del primo piano colpito. Sapendo che ciascun piano ha spessore di 400 μm, abbiamo costruito con SRIM delle funzioni che restituiscono l’energia del protone incidente, noto lo spessore di scintillatore plastico attraversato e l’energia residua all’uscita (Eres). L’incertezza di questa valutazione è dovuta principalmente all’ignoranza sullo spessore attraversato dal protone nel primo strato. Abbiamo stimato questa incertezza nel Cap. 3 (si veda ivi la Fig 25). L’incertezza σθ sulla direzione d’ingresso influisce poco per i protoni nel cono di accettanza ed è trascurabile rispetto a σρ (v. Cap.3, Fig. 28).

L’analisi dei dati

157

Figura 35 Energia residua dei protoni all’uscita dagli scintillatori pla-stici, calcolata per il gruppo g1 (a) e per il gruppo g2 (b) con intervallo di energia più elevato sul CsI(Tl); lo spettro più interno in (b) è stato calcolato con lo stesso intervallo di energia del primo gruppo e risulta

infatti del tutto compatibile con lo spettro di Fig. 29(a).

Una volta calcolata l’energia di emissione del protone sulla base delle mi-sure di energia dei vari rivelatori e della geometria della traccia, e stimata la sua direzione nel PRT sulla base delle misure di posizione, viene infine calcolata l’energia del neutrone primario, con la nota formula descritta nel Cap. 2. In figura 36 è riportata l’energia dei neutroni incidenti sul PRT, ricostruita per il secondo gruppo g2 di dati, quello con intervallo energetico più elevato.

Capitolo 5

158

Figura 36. Energia ricostruita dei neutroni per gruppo g2.

Come prima sottolineato, essendo questo spettro ottenuto per i protoni che giungono fino al CsI(Tl) rilasciando una energia misurabile al suo interno, la so-glia inferiore dell’energia ricostruita del neutrone parte, con bassa probabilità, at-torno a 9 Mev e si innalza attorno a 11 MeV. All’altro estremo dell’energia il li-mite dell’energia ricostruita giunge fino a 20 MeV degradando progressivamente dal massimo.

Per quanto detto precedentemente, questo spettro risulta troncato a basse energie, poiché si richiede che il protone giunga fino al CsI(Tl) rilasciando una energia misurabile. Considerando anche protoni più lenti, che si arrestano nel se-condo silicio e dei quali possiamo stimare l’energia all’ingresso del primo silicio con le procedure indicate precedentemente, questa soglia può essere abbassata fi-no a circa 6 MeV. Si potrebbero anche considerare protoni di energia così bassa da arrestarsi nel primo silicio, ottenendo un ulteriore abbassamento della soglia, ma con qualità del risultato sicuramente inferiore.

Per quanto riguarda invece i protoni al di sopra di 20 MeV, che peraltro, dalla fig. 17, sembrerebbero essere presenti in numero consistente, non è possibile provvedere alla ricostruzione della loro energia in quanto il segnale del CsI(Tl) non è utilizzabile. Quello che è possibile fare con i dati disponibili è di migliorare la descrizione dello spettro di protoni fra 13.5 e 20 MeV utilizzando, se l’incertezza sull’energia lo consente, solamente le informazioni dei silici e l’isto-gramma bidimensionale di fig 17.

In ogni caso lo spettro ottenuto, prima di essere oggetto di considerazioni riguardanti la fisica del processo, andrà corretto per l’accettanza del rivelatore

L’analisi dei dati

159

(che, vista la complessità dei processi coinvolti, sarà fortemente dipendente dall’e-nergia), e per l’efficienza di conversione. Solo dopo questa correzione saremo in grado di fare una stima assoluta della produzione di neutroni dalla reazione consi-derata.

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Capitolo 5

160

161

Capitolo 6Conclusioni e prospettive

6.1. Le fasi del lavoro svolto

Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, il lavoro di progetto, costru-zione e collaudo del rivelatore di neutroni innovativo PRT è proceduto attraverso numerose fasi successive:

• Un’analisi della situazione esistente, cioè degli altri rivelatori della stessa ca-tegoria costruiti da altri gruppi di ricerca. In questa analisi si è cercato di indi-viduare i punti di forza e i limiti di ciascun rivelatore.

• La definizione di alcune specifiche di progetto, cioè di caratteristiche (presta-zioni) che il nuovo rivelatore avrebbe dovuto avere. Ovviamente, queste ca-ratteristiche dovevano essere almeno allo stesso livello di quelle dei rivelatori esistenti; in alcuni casi, si chiedeva un significativo miglioramento, come ad esempio per quanto riguarda l’ampiezza del campo di misura in energia.

• La definizione di un primo progetto di rivelatore che soddisfacesse alle speci-fiche individuate sul modello di un rivelatore già esistente.

• Lo studio e la valutazione, condotti attraverso una stima preliminare ed una simulazione con programmi Monte Carlo, delle più importanti prestazioni (ef-ficienza, risoluzione energetica, campo di misura) del progetto. Questo studio ha individuato con chiarezza i principali aspetti progettuali sui quali appro-fondire lo studio.

• Una modifica del progetto, sulla base dei risultati dell’analisi svolta, che ha introdotto significativi miglioramenti. In particolare, si sono ottenuti un ab-bassamento della soglia in energia e una migliore risoluzione energetica.

• La costruzione del rivelatore, il collaudo e la calibrazione dei singoli compo-nenti.

• Il collaudo su fascio e la misura della produzione di neutroni da un bersaglio di carbonio arricchito in 13C bombardato da protoni a 26 MeV e deutoni a

Capitolo 6.

162

40 MeV.

• L’analisi dei dati raccolti. Questa fase del lavoro ha fornito già una serie di ri-sultati molto utili dal punto di vista della comprensione del rivelatore, della valutazione dei suoi limiti di prestazioni nonchè dei miglioramenti possibili del progetto stesso o, più semplicemente, delle modalità di presa dati.

Dall’analisi dei dati raccolti non è purtroppo stato possibile ottenere una rico-struzione completa dello spettro di neutroni emessi dalla reazione 13C(d,n) a 40 MeV, soprattutto per l’impostazione scorretta del guadagno dello scintillatore inorganico CsI(Tl), che distorce lo spettro sopra i 13 MeV e limita lo spettro rico-struibile a circa 20 MeV.

Tuttavia, i dati relativi ai segnali correlati dei rivelatori al silicio, mostrati in figura 17 del Cap.5, possono già fornire una valutazione affidabile del numero di protoni che attraversano il PRT, da 6.5 MeV fino al massimo valore di energia dello spettro. Questo numero, corretto opportunamente per le efficienze di conver-sione e di rivelazione stimate nel Cap. 3, può condurre ad una prima stima della produzione di neutroni dalla reazione esaminata, come è illustrato nel successivo paragrafo 6.3.

Consideriamo, comunque, che il risultato più rilevante di questo lavoro sia il progetto, la costruzione ed il positivo collaudo del rivelatore di neutroni innovati-vo PRT, per cui dedichiamo queste conclusioni soprattutto a descrivere le proble-matiche di natura tecnica e tecnologica che sono emerse durante le fasi del lavoro e che hanno condotto ad una migliore comprensione del rivelatore, della sua co-struzione e delle sue possibilità di utilizzo.

6.2. Un bilancio dell’attività

Come emerge da quanto detto fin qui, e anche dalla lettura dei capitoli pre-cedenti, il lavoro non è ancora del tutto concluso, e dunque un bilancio fatto a questo punto non può ancora essere definitivo, tuttavia si può già tracciare una va-lutazione abbastanza completa del lavoro svolto.

Ci sembra di poter dire che nel complesso il lavoro ha seguito un percorso positivo: si è riusciti a definire un progetto di rivelatore con alcune caratteristiche innovative, lo si è migliorato e lo si è realizzato. Il rivelatore costruito ha dimo-strato di funzionare nel complesso secondo le aspettative.

Se concentriamo la nostra attenzione sulle ultime fasi (la costruzione, la presa dati e l’analisi degli stessi), possiamo senz’altro affermare che sono state decisamente fruttuose. Il rivelatore ha dimostrato nel complesso di funzionare se-condo le aspettative ed i principali problemi sono già emersi con sufficiente chia-rezza. A questo punto crediamo di avere le idee abbastanza chiare sul lavoro che resta ancora da svolgere, sia dal punto di vista dell’analisi dei dati presi a Catania, sia dal punto di vista sperimentale (ulteriori controlli, calibrazioni, prese dati), sia infine dal punto di vista di possibili interventi al fine di correggere alcuni limiti e

Conclusioni e prospettive

163

difetti che si sono manifestati, in vista di ulteriori successivi utilizzi del PRT.

È da sottolineare, infine, il fatto che alcune delle aspettative più importanti sulle prestazioni del rivelatore, formulate in sede di progetto, si sono concretizzate nella fase di collaudo e di presa dati. Elenchiamone alcune:

(i) Il trasporto, l’installazione e l’utilizzo del rivelatore con tutta l’attrezzatura e l’elettronica di servizio si sono, ad esempio, dimostrati abbastanza semplici e pratici.

(ii) La soglia energetica misurata è dell’ordine di 6 MeV per gli eventi di catego-ria (1) e (2) (cioè quelli che corrispondono a protoni sufficentemente energeti-ci da arrivare almeno fino al secondo silicio) che sono quelli per i quali il PRT fornisce la migliore risoluzione energetica. Tale soglia può essere ulterior-mente abbassata se si considerano anche eventi di categoria (3) (corrisponden-ti a protoni che si arrestano nel primo silicio). In definitiva, dunque, il PRT che abbiamo costruito consente la misura, con un solo rivelatore, di spettri di neutroni nell’intervallo da pochi MeV a quasi 170 MeV.

(iii) Il rivelatore ha mostrato di poter funzionare in modo adeguato anche senza le pesanti schermature di protezione e collimazione che, normalmente, vengono adottate per misure di questo tipo; infatti, nonostante l’importante fondo di fo-toni e neutroni, la separazione fra segnale e rumore non ha presentato difficol-tà insormontabili.

Da ultimo, vale la pena di segnalare che non è stato possibile stimare la ri-soluzione energetica sulla base dei dati raccolti in questa presa dati. È auspicabile che si possa fare una presa dati di collaudo con un fascio di neutroni di energia nota, per esempio neutroni di energia 14.5 MeV dalla reazione deuterio-trizio, che potrebbe fornire una misura della risoluzione energetica del rivelatore a quella e-nergia e, in aggiunta, fornire un punto di calibrazione in efficienza.

Nel seguito elenchiamo una serie di problematiche di carattere costruttivo, tecnologico e di analisi dati che sono emerse durante nello svolgimento dell’attivi-tà e che sono meritevoli di essere menzionate.

6.2.1. Le problematiche costruttive e tecnologiche Vediamo quali sono i principali problemi di carattere costruttivo che sono

emersi durante l’assemblaggio del rivelatore.

La struttura che regge gli scintillatori plastici (v. Fig. 1) è pesante ed è col-legata al corpo principale del PRT attraverso una flangia munita di guarnizione. La finestra di chiusura della struttura di alluminio e anche tutte le altre zone di raccordo tra parti diverse sono incollate. Questa soluzione ci ha creato qualche problema di tenuta del vuoto. Abbiamo dovuto passare due volte la colla perché, a causa degli sforzi di taglio che la struttura doveva sopportare, si creavano micro-fratture, che tendevano ovviamente ad ampliarsi. Inoltre anche la guarnizione del-la flangia di raccordo non riusciva a garantire una perfetta tenuta.

Capitolo 6.

164

Figura 1 A sinistra: una foto del PRT in cui si vede bene la struttura in cui sono alloggiati i rivelatori plastici e il suo collegamento mecca-nico con il corpo del PRT. A destra: un’altra vista della stessa struttu-

ra, in cui si distinguono chiaramente i raccordi incollati.

180 mm

169 mm

Fori filettati passanti φ = 4.5 mm

Circa 10 mmRientro circa a metà 90 mm

101 mm

Figura 2a Progetto del disco di sostegno per il blocco che alloggia gli scintillatori plastici.

Conclusioni e prospettive

165

Figura 2b Il disco di sostegno realizzato e montato.

Siamo intervenuti costruendo un disco di metallo che, attraverso quattro viti lunghe che si attaccavano alla flangia di raccordo, premeva il blocco che al-loggia gli scintillatori plastici contro il corpo del PRT. Il disco aveva un foro qua-drato entro cui, a battuta, si incastrava la struttura di alluminio che alloggiava i plastici. La figura 2 mostra il progetto di questo elemento e una foto dello stesso realizzato e montato.

Con questa soluzione, la situazione è migliorata, ma il problema non si è risolto. Mentre all’inizio, quando la colla teneva ancora bene, riuscivamo a rag-giungere, all’interno del rivelatore, pressioni dell’ordine del decimo di millibar, nella fase finale (a Catania) la pressione si aggirava sui 2 mbar. C’è da dire che questo valore di pressione non sembra costituire un problema apprezzabile: corri-sponde (a temperatura ambiente), ad una densità di circa 2.5 g/m3, il che, su una lunghezza di circa 40 cm, corrisponde ad uno strato di 1.0×10–4 g/cm2, circa 1/400 di quello di un singolo piano di scintillatori plastici. Comunque, il problema della tenuta del vuoto andrà sicuramente tenuto sotto controllo per un futuro utilizzo del PRT.

Un secondo problema riguarda la schede in cui sono inseriti i premplifica-tori dei rivelatori al silicio. Sono state progettate e costruite in modo da poter esse-re usate anche per altri scopi, e il loro adattamento al PRT richiede numerose con-nessioni realizzate con fili, e quindi numerose saldature. Di conseguenza, la pro-babilità che una di queste saldature salti non è trascurabile: già durante le prove di collaudo dei silici, a Legnaro, questo inconveniente si era verificato un paio di volte. Anche durante l’esperimento a Catania, come abbiamo visto nel capitolo 5, al punto 5.3.2.2, si è verificato che l’elemento y1 del secondo silicio conta circa la metà degli altri: questo è dovuto, con ogni probabilità, al fatto che una delle due

Capitolo 6.

166

microstrip che compongono questo elemento non è collegata al preamplificatore. Sicuramente, l’uso di schede progettate specificamente per il PRT, che non ri-chiedano l’uso di fili e saldature, potrebbe renderne più robusto e affidabile il fun-zionamento.

Infine, un terzo problema costruttivo riguarda l’allineamento dei rivelatori di tracciamento. Il telaietto che sostiene i rivelatori al silicio viene inserito all’interno del PRT. Per il suo posizionamento, non è stato previsto nessun riferi-mento meccanico che ne garantisca l’orizzontalità. Lo stesso discorso vale per la flangia di raccordo tra il corpo del PRT e la struttura che alloggia i rivelatori pla-stici. Di conseguenza può crearsi un piccolo disallineamento angolare tra plastici e silici. Una parte dei problemi che abbiamo avuto con l’allineamento, nella fase di analisi dei dati, può essere imputabile a questa causa.

Come abbiamo detto nel Capitolo 5, al punto 5.4, una campagna di misura con i raggi cosmici sarà comunque molto utile per poter misurare l’effettiva posi-zione meccanica dei diversi rivelatori e apportare le dovute calibrazioni di tipo geometrico all’analisi dei dati.

Un’ultimo problema costruttivo riguarda la spaziatura che si è venuta a creare nel montaggio fra le diverse strisce di scintillatore dello stesso piano. La presenza di questo spazio può generare problemi nell’efficienza di rivelazione del sistema e, soprattutto, può determinare una incertezza sistematica nella valutazio-ne dell’effettivo spessore di scintillatore attraversato al protone. In un eventuale ulteriore assemblaggio del PRT, è indispensabile che questa spaziatura geometrica sia ridotta al solo spessore del rivestimento di protezione e separazione ottica delle strisce.

6.2.2. Lo scintillatore al CsI(Tl) Come abbiamo ampiamente visto nel Cap. 5, una parte rilevante dei pro-

blemi che abbiamo avuto è legata al funzionamento dello scintillatore finale al CsI(Tl): si tratta del problema dell’amplificazione del fototubo, di quello della ca-librazione in energia e di quello del rumore ambientale. Va segnalato innanzitutto che non si tratta di problemi strutturali, insiti nel progetto del PRT, ma di difficol-tà di carattere contingente.

Per quanto riguarda il problema dell’amplificazione, risulta del tutto evi-dente che si tratta semplicemente di prestare in futuro maggiore attenzione a que-sto aspetto, che è stato male valutato durante la presa dati ai LNS.

Per quanto riguarda la calibrazione in energia, come abbiamo detto, finora non è stato possibile procedere ad una calibrazione indipendente per indisponibili-tà di un fascio di protoni con energie adeguate. La calibrazione in energia è stata pertanto effettuata sulla base degli stessi dati presi durante la presa dati ai LNS. Infatti è stata sfruttata l’informazione contenuta nel dato del rilascio energetico del protone nel secondo silicio.

La calibrazione, sia pure effettuata su un intervallo ristretto di energie, da

Conclusioni e prospettive

167

1.0 MeV a 6.0 MeV, ha comunque fornito buoni risultati quantitativi, come do-cumentato dal fatto che gli spettri di protoni dei gruppi g1 e g2, nell’intervallo e-nergetico comune, sono molto simili. L’estensione di questa calibrazione a tutto il range energetico potenzialmente accessibile al CsI(Tl) (cioè fino a circa 170 MeV) attraverso una estrapolazione della funzione di risposta del rivelatore, potrebbe tuttavia introdurre degli errori sistematici anche grandi. Una calibrazione indipendente con fascio di protoni di energia nota ad energie più elevate appare senz’altro raccomandabile.

fascio di neutroni

PRTschermatura

Figura 3 Usando una schermatura per ottenere un fascio di neutroni stretto e collimato, e inclinando l’asse longitudinale del PRT rispetto al fascio, si eviterebbe che i neutroni arrivino direttamente sullo scin-tillatore finale, e inoltre si ridurrebbe significativamente il numero di neutroni che investono l’intero rivelatore. In questo modo si migliore-

rebbe notevolmente il rapporto segnale/rumore.

Il terzo problema riguarda il forte inquinamento da rumore del segnale re-gistrato dal rivelatore, presumibilmente dovuto a fotoni gamma generati da colli-sioni anelastiche dei neutroni del fascio sui nuclei dei materiali circostanti (v. par. 5.3.1). A questo proposito si può osservare che in futuro, ove possibile, sarebbe opportuno effettuare misure con un fascio di neutroni stretto e collimato passiva-mente, ottenuto schermando opportunamente il rivelatore. In tal caso, si potrebbe disporre il rivelatore in modo che il suo asse longitudinale risulti inclinato di un certo angolo rispetto al fascio (v. fig. 3), cosicché i neutroni non incidano diretta-mente sullo scintillatore finale. In questo modo si dovrebbe riuscire a ridurre no-tevolmente la contaminazione del segnale.

6.2.3. L’analisi dei dati Come abbiamo detto più volte, e come risulta anche dalla lettura del

Cap. 5, questa fase del lavoro non è ancora conclusa. Cerchiamo di riassumere schematicamente quanto abbiamo fatto finora e quanto resta ancora da fare.

Per quanto riguarda gli scintillatori plastici e i rivelatori al silicio, abbiamo provveduto all’eliminazione del rumore elettronico. Questa operazione non ha presentato particolari problemi anche se determina una perdita sistematica del se-

Capitolo 6.

168

gnale di cui, in sede di valutazione dell’efficienza complessiva del sistema o, co-munque, in sede di valutazione dell’errore complessivo sistematico, bisognerà te-nere conto. Con i rivelatori al silicio, c’è un piccolo problema di overflow, (v. Cap. 5, Fig. 8) ma non sembra rilevante. Lo spettro dei segnali registrati arriva fi-no a circa 6.5 MeV, e le simulazioni effettuate con il Monte Carlo GEANT3 e con SRIM ci dicono che, statisticamente, questo è il massimo valore dell’energia che un protone può rilasciare in 300 μm di silicio.

Per quanto riguarda i rivelatori plastici, ne abbiamo valutato l’efficienza e siamo riusciti ad individuare gli effetti principali che la influenzano, ma lo studio va ulteriormente approfondito (si veda il punto 5.3.2.1).

Per quanto riguarda i rivelatori al silicio, abbiamo effettuato una accurata calibrazione che ci sembra riuscita molto bene. I risultati che si basano su questa calibrazione (si pensi ad esempio all’istogramma bidimensionale della perdita di energia nei due silici, Fig. 17 del Cap. 5, utilizzato a più riprese) sono in ottimo accordo con le simulazioni fatte con GEANT3 e SRIM. Inoltre, la calibrazione dei silici ha costituito una base per la calibrazione dello scintillatore finale al CsI(Tl) che, nell’intervallo energetico in cui è stata utilizzata, sembra funzionare bene. In pratica, l’unico problema che abbiamo con questi rivelatori, peraltro di minore importanza, è capire la causa del malfunzionamento dell’elemento x8 del secondo silicio che, come abbiamo visto, funziona in modo scorrelato dal trigger. Ma si tratta, con ogni probabilità, di un problema non del rivelatore ma della catena di acquisizione a valle.

Un lavoro importante che resta da fare è quello di migliorare la stima dell’energia dei protoni sulla base della conoscenza del rilascio energetico in en-trambi i silici (anziché solo nel secondo), sfruttando la tecnica statistica di massi-ma verosimiglianza, come delineato nell’Appendice al Cap. 3. Questo lavoro po-trà servire a diversi scopi: (i) misurare accuratamente l’energia di protoni più lenti che si arrestano nel secondo silicio; (ii) potrà essere utilizzato per calibrare in e-nergia il CsI(Tl), in modo più accurato; (iii) per fornire una modalità alternativa all’uso del CsI(Tl) per la ricostruzione dell’energia dei protoni più veloci nei dati raccolti ai LNS.

Come abbiamo visto, infatti, a causa dei problemi di amplificazione del ri-velatore, utilizzando il CsI(Tl) riusciamo a ricostruire bene i protoni fino ad ener-gie (all’origine) attorno a 13.5 MeV. Al di là di questo valore cominciamo ad in-trodurre distorsioni nello spettro, e oltre i 20 MeV il CsI(Tl) risulta inutilizzabile (per i dati di Catania). Con il metodo descritto invece si dovrebbe riuscire a rico-struire con discreta accuratezza l’energia del protone fino ad almeno 30 MeV (all’ingresso del CsI), corrispondenti a 32 MeV all’uscita dai plastici. E si potreb-be avere un’idea, anche se non molto accurata, anche della parte finale dello spet-tro dei dati di Catania, che dovrebbe arrivare fino a circa 40 MeV.

Per quanto riguarda la ricostruzione della traccia, siamo a buon punto. I problemi di allineamento sono stati in gran parte risolti (di questo abbiamo già parlato), in pratica resta solo da incorporare la lettura della x dal quinto piano dei

Conclusioni e prospettive

169

plastici.

Infine, un lavoro di grande importanza sarà quello di realizzare una simu-lazione più completa e realistica del rivelatore, che tenga conto opportunamente anche delle sezioni d’urto neutrone-protone e neutrone-nucleo. In questa simula-zione si dovranno introdurre le informazioni sull’efficienza dei rivelatori ottenute dall’analisi dai dati effettuata e, partendo da un fascio di neutroni di energia nota incidente sul rivelatore, si potrà quindi ricavare una valutazione dell’efficienza di conversione e di rivelazione del rivelatore, per intervalli di energia, nonchè una stima più accurata delle possibili contaminazioni di fondo. Infine, una auspicabile misura su un fascio di neutroni di energia ed intensità note potrebbe fornire un punto di calibrazione assoluto per l’efficienza.

Al termine di tutto questo lavoro, dovremmo riuscire ad ottenere uno spet-tro dei neutroni prodotti nella reazione 13C(d,n) a 40 MeV, e a fornire una stima accurata del rendimento del 13C come produttore di neutroni. I dati in nostro pos-sesso consentono comunque una prima stima, sia pure approssimata, del rendi-mento medio in protoni per particella di fascio per steradiante, all’angolo ϑ = 30°, nella reazione 13C(d,n) a 40 MeV. A questa stima, che costituisce il risultato fisi-camente più rilevante di tutto il lavoro, dedichiamo il successivo ed ultimo para-grafo 6.3.

6.3. La stima della produzione di neutroni nella reazione 13C(d,n) a 40 MeV

Per effettuare una prima stima della produzione di neutroni nella reazione 13C(d,n) a 40 MeV, abbiamo proceduto nel modo seguente.

Abbiamo considerato ancora una volta il grafico delle perdite di energia correlate nei due rivelatori al silicio, che riportiamo per comodità.

In questo grafico sono rappresentati tutti gli eventi corrispondenti a protoni che, all’ingresso del primo silicio, hanno energia EpSi superiore a circa 6 MeV. Questo valore corrisponde ad un’energia del protone all’origine, Ep0, compresa tra 6 e 13.5 MeV, a seconda del punto in cui è avvenuta la conversione.

L’energia del protone all’origine, Ep0 e l’energia del neutrone, En, sono le-gate tra loro dalla disuguaglianza:

En ≥ Ep0 ≥ EpSi ≥ 6 MeV

L’energia del neutrone però non può essere molto maggiore dell’energia del protone all’origine, perché gli angoli di scattering sono piccoli (inferiori a cir-ca 10°). Di conseguenza:

0p2

0pn0p E031

EEE ,

cos≤

ϑ=≤

Capitolo 6.

170

Figura 4 Grafico delle perdite di energia correlate nei due rivelatori al silicio.

In prima approssimazione possiamo dunque porre En ≅ Ep0, e concludere che nel grafico di Fig. 4 non sono rappresentati protoni generati da neutroni con energia inferiore a 6 MeV, sono rappresentati una parte del protoni generati da neutroni con energia compresa tra 6 e 13.5 MeV, e tutti i protoni generati da neu-troni con energia superiore a 13.5 MeV.

Fatta questa premessa, descriviamo le operazioni eseguite per la valutazio-ne della produzione di neutroni nella reazione 13C(d,n) a 40 MeV. Innanzitutto abbiamo contato gli eventi rappresentati all’interno delle due bande di accumula-zione di Fig. 4 che, ricordiamo, è ottenuta richiedendo, oltre ad un segnale su cia-scuno dei due rivelatori al silicio, uno o più segnali sugli scintillatori del converti-tore. Il loro numero è risultato Neb =46630.

Successivamente abbiamo valutato, in diverse zone di Fig. 4, la densità di eventi al di fuori delle bande di accumulazione, che corrispondono perciò a rumo-re, e ne abbiamo stimato un valore medio. Questo valore, moltiplicato per l’area coperta dalle bande, fornisce una stima del numero Nrb di eventi presenti all’interno delle bande che sono dovuti a rumore. Questo numero che è risultato complessivamente uguale a 1810. La differenza:

Np = Neb – Nrb = 44820

fornisce evidentemente il numero di protoni, provenienti dal convertitore e che hanno colpito i due silici, rivelati dal sistema nell’intervallo energetico specificato precedentemente.

Per ottenere il numero di neutroni che hanno generato i protoni rivelati, dobbiamo dividere questo numero per l’efficienza media del rivelatore in questo intervallo energetico. Questa efficienza, dovuta a efficienza di conversione, accet-

Conclusioni e prospettive

171

tanza ed efficienza di rivelazione, è stata valutata sia con il programma Monte Carlo sia con una stima semplificata. I due metodi, descritti nel Cap. 3, fanno ap-prossimazioni diverse: il primo valuta soprattutto l’efficienza di conversione, te-nendo conto più accuratamente delle sezioni d’urto totali e differenziali protone-neutrone, mentre trascura accettanza e efficienza di rivelazione; il secondo è più accurato nel considerare l’accettanza del sistema.

I due valori ottenuti per l’efficienza media sono rispettivamente circa 5×10–5 e 8×10–6. Considerato che nessuno dei due metodi tiene conto dell’efficienza di rivelazione dei rivelatori, in particolare degli scintillatori, non appare irragionevole assumere per l’efficienza media su tutte le energie un valore di 10–5. Di conseguenza, possiamo stimare il numero Nn di neutroni in questo in-tervallo energetico come:

Nn = Np/10-5 = 4.5×109

Dai dati registrati a Catania, sappiamo che il numero totale di deutoni del fascio incidente su tutta la presa dati è stato Nd = 5.77×1015. Poiché l’angolo soli-do Ω sotteso dalla finestra d’ingresso del rivelatore PRT è:

sr10256m4

cm25 42

2−

×==Ω .

possiamo stimare il rendimento medio della reazione 13C(d,n) a 40 MeV,come:

deutonesr

neutroni10251

deutoni10775sr10256

neutroni1054

N

N 3154

9

d

n

⋅×=

×⋅×

×=

⋅Ω=η

−.

..

.

Il valore ottenuto risulta leggermente inferiore a quello citato all’inizio del Cap. 5 (1.5×10–3 neutroni⋅sr–1

⋅particella–1) relativo alla produzione di neutroni con un fascio di protoni da 40 MeV su 12C. Esso deve essere tuttavia interpretato come un limite inferiore in quanto:

• non sono stati conteggiati i neutroni al di sotto di 6 MeV e sono stati contati solo in parte quelli con energia compresa tra 6 e 13.5 MeV.

• non si è tenuto conto (ovvero, è stata considerata uguale al 100%) sia l’efficienza degli scintillatori plastici sia l’efficienza di rivelazione dei rivela-tori al silicio.

• Non è stata valutata la perdita di eventi dovuta all’eliminazione del rumore e-lettronico effettuata imponendo una soglia software ai segnali dei rivelatori.

• E’ stata considerata unitaria l’efficienza del trigger.

Nella Fig. 5 confrontiamo il valore da noi ottenuto con i dati sperimentali finora pubblicati. Nella figura viene riportato il numero di neutroni compresi in un cono di 30°. Poiché l’angolo solido racchiuso da questo cono è 2π(1 – cos30°) = 0.84 sr, in base al nostro risultato ci aspettiamo in questo cono 1.05×10–3 neutro-ni/deutone.

Capitolo 6.

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Figura 5 Il rendimento stimato per la reazione 13C(d,n) è confrontato con i dati sperimentali finora pubblicati (la figura è tratta da G. Lher-sonneau et al., Neutron yield from a 13C thick target irradiated by pro-

tons of intermediate energy, NIM A 576 (2007), 371).

Si può vedere che il risultato ottenuto risulta del tutto compatibile con i da-ti sperimentali ottenuti bombardando il 13C con protoni. Se si tiene conto che il valore trovato è, come già detto, un limite inferiore, vediamo che il rendimento con fascio di deutoni risulta superiore a quello (a pari energia) ottenuto con proto-ni, come ci si aspetta.