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Un’industria tra gli ulivi: Taranto tra Un’industria tra gli ulivi: Taranto tra
ferro e naturaferro e natura
L’Ilva di Taranto: la storia e la situazione dello stabilimento da
ieri ad oggi
L’Ilva, attualmente, è un’importante
società per azioni (S.p.A.) del Gruppo
Riva che si occupa principalmente della
produzione e della trasformazione
dell’ac-ciaio. Possiede vari stabilimenti
collocati in tutta Europa; il più impor-
tante stabilimento di questa industria è
situato a Taranto, in Puglia, Italia; più
precisamente essa è sita a ridosso di un
rione di Taranto chiamato quartiere
Tamburi, nell'area compresa tra la
Strada statale 7, Via Appia, la Super-
strada Porto-Grottaglie, la Strada Pro-
vinciale 49 Taranto-Statte e la Strada
provinciale 47; per una superficie com-
plessiva di circa 15.450.000 metri qua-
drati. L’Ilva prende il nome dal nome
latino dell'isola d'Elba, dove veniva e-
stratto il minerale di ferro necessario
per far funzionare i primi altiforni co-
struiti in Italia a fine Ottocento. La so-
cietà Ilva nacque agli inizi del ‘900 a Geno-
va; nel 1961, con la costruzione del nuovo
polo siderurgico di Taranto, prese il nome
di Italsider. La denominazione Ilva fu suc-
cessivamente ripresa nel 1988 quando
l’Italsider e la Finsider (Società Finanziaria
Siderurgica S.p.A. del Gruppo IRI che ave-
va il controllo dell’Ilva, delle Acciaierie di
Cornigliano, della Terni e della Dalmine)
furono messe in liquidazione e scomparve-
ro. La nuova Ilva fu smembrata e divisa in
più poli: già ceduto l’impianto di Corniglia-
no e chiuso quello di Bagnoli, l’acciaieria di
Piombino fu venduta al gruppo Lucchini,
mentre il grande polo siderurgico di Taran-
to passò nel 1995 al Gruppo Riva.
In alternativa alla città di Taranto, a quei
tempi, per la costruzione del nuovo polo si-
siderurgico, si pensò an-
che alle città di Vado Li-
gure e di Piombino
(ampliamento dello stabi-
limento già esistente),
ma si scelse Taranto per
le sue aree pianeggianti
e vicine al mare, la dispo-
nibilità di calcare, di ma-
nodopera qualificata e
per possibilità di usufrui-
re di contributi statali
per tale obiettivo. Infatti
tutto rientrò nella politi-
ca di risoluzione della
“Questione Meridionale”
e il progetto fu favorito
dalla crescente disoccu-
pazione che stava sempre
più prendendo piede e
non solo nella città, ma
in tutta la provincia. Se-
condo i dati elaborati dal
prefetto Binna, il feno-
meno assumeva connota-
ti sempre più drammati-
ci: 3518 disoccupati nel
novembre 1945, 4585 in
dicembre, 5401 in genna-
io, 9158 a febbraio. Tutte
le forze politiche e sin-
dacali, accomunate
dall’assenza di adeguati
progetti di rinnovamen-
to, accolsero con giubilo
la proposta di far sorge-
re nella città ionica il
centro siderurgico, an-
che perché fino a quel
momento solo due erano
le grandi industrie pre-
senti a Taranto: i Can-
tieri Navali Tosi e
l’Arsenale Militare fatto
costruire dallo Stato al-
la fine dell’800.
La città si era dunque
sviluppata economica-
mente all’ombra dell’ap-
parato militare. Dopo la
Seconda Guerra Mon-
diale il tracollo della
struttura produttiva di
Taranto fu inevitabile e
anche il panorama rela-
tivo ad altre attività
presenti nel tarantino
non era molto esaltante.
L’insediamento dello
stabilimento Italsider
negli anni ’60 rivoluzio-
nò indubbiamente la vi-
ta economica e sociale della cit-
tà, nonché di tutta la provincia,
in modo rilevante; Infatti, fino
ai primi anni del Novecento la
vita dei tarantini era stata se-
gnata esclusivamente dalle at-
tività primarie che ben si adat-
tavano al clima caldo mediter-
raneo di queste terre dove colti-
vazione di ulivi e vite, pastori-
zia, pesca e mitilicoltura aveva-
no regnato sovrane.
Oggi, l'Ilva è al centro di un va-
sto dibattito per il suo impatto
ambientale sia a Taranto che
Genova. Le incontrollate emis-
sioni nocive sono state oggetto
di diversi processi penali per
inquinamento che si sono con-
clusi, in alcuni casi, con la con-
danna di Emilio Riva e di altri
dirigenti. Il rapporto della Ma-
gistratura parla di 30 morti
l’anno riconducibili alle emis-
sioni inquinanti, ovvero per o-
gni mese dell’anno muoiono più
di due persone e altre si amma-
ammalano gravemente.
Nel 2002 a Genova sono
state chiuse le cokerie a
causa dell’impatto am-
bientale e sulla salute.
Uno studio epidemiolo-
gico evidenziò una rela-
zione tra polveri respi-
rabili emesse dagli im-
pianti siderurgici ed ef-
fetti sulla salute. Esso
attesta che nel quartie-
re di Cornigliano nel pe-
riodo 1988-2001, la mor-
talità complessiva negli
uomini e nelle donne
risultava costantemente
superiore al resto di Ge-
nova. Nel luglio 2005 è
stato spento anche l'al-
toforno numero 2 dello
stabilimento di Corni-
gliano. Finì così l'era
della siderurgia a caldo
a Genova con un au-
ma soprattutto con una
notevole riduzione del-
l'inquinamento, in par-
ticolare ci fu un calo
drastico dei valori di
benzopirene contenuti
nell’aria. Esso è un gas
nocivo più pericoloso
della diossina poiché
causa effetti collaterali
immediati, questi ulti-
mi invece nella dios-
sina sono latenti. La
chiusura dell’area a
caldo di Genova ha pe-
rò ulteriormente ag-
gravato la già precaria
situazione ambientale
e sanitaria di Taranto
in quanto i processi
fino allora condotti a
Genova vennero com-
pensati da un’accen-
tuata attività nello
stabilimento tarantino.
Elsa Sansolino, Chia-
ra Dalla Rena,Clara
Pulpito, Sara Suria-
no, Sofia Amati,
Storie di Taranto: la trasformazio-
Pecore e ulivi. In fondo il
mare, un mare caldo e in-
tenso. Questi sono i prota-
gonisti di un mondo sonno-
lento, di un destino umano
che ha avuto sempre un so-
lo nome: povertà. Soprag-
giunge una nuova forza, la
macchina. Cadono gli ulivi
secolari, cadono a pezzi le
bianche e vecchie case dei
contadini e dei pastori. I
nuovi protagonisti sono geo-
metri, muratori e carpentie-
ri. Spunta una nuova vege-
tazione. Un gigantesco cen-
tro s id eru rgi co che
l’Italsider sta costruendo a
Taranto e che diventerà il
centro più potente e moder-
no della siderurgia italiana.
Alcuni operai sono del po-
sto, gente della campagna en-
trata nel mondo ancora miste-
rioso della tecnica. E’ il 1965.
Questo sarà il passo verso una
trasformazione che cambierà
l’immagine e lo stile di vita
del mezzogiorno agricolo, po-
vero, del mezzogiorno fermo
ormai da troppi secoli. Lo spi-
raglio di una ripresa economi-
ca suscitava speranze nelle
persone che fino a quel mo-
mento avevano vissuto solo
grazie all’attività primaria. I
mestieri di agricoltore, pesca-
tore, miticoltore, erano peren-
nemente soggetti ai cambia-
menti climatici, mentre la ric-
chezza era concentrata nelle
mani di poche perso-
ne, la moneta circola-
va con difficoltà.
Valeria Greco
La costruzione di un’industria
siderurgica appariva ai citta-
dini come una possibilità di
riscatto, anche verso quel
Nord industrializzato da un
po’ che riteneva i meridionali
“inferiori”. Quando gli operai
iniziarono a lavorare dovette-
ro imparare molto, ma non fu
difficile poiché il guadagno si-
curo incrementava l’impegno.
La parola “inquinamento” non
era mai stata fonte di preoccu-
pazione per Taranto. Potevano
dunque la macchina, il pro-
gresso, uno stipendio fisso es-
sere un problema così gravoso
per la città? Il tema riguardante l’impatto ambientale si iniziò ad affrontare verso la fine degli anni ’80, dopo quasi 20 anni di emissio-ni a tutto ritmo. Polveri sottili, diossina, tumori, furono il centro di numerosi dibattiti tra i vari am-bientalisti e studiosi che comincia-rono pian piano ad indagare sulle cause di quei disastri, a smasche-rare il vero volto di quella ormai già grande città nella città.
Alessandra
Il ciclo integrale di pro-
duzione siderurgica par-
te dalle materie prime
nel loro stato naturale
per arrivare, attraverso
un complesso sistema di
impianti, trasformazioni
chimico-fisiche e lavora-
zioni, ad ottenere l’ac-
ciaio: lega metallica
composta da ferro e da
una piccola percentuale
di carbonio. L’Ilva, per
assolvere a questo com-
pito, è in grado di prov-
vedere da sé al proprio
fabbisogno produttivo
senza richiedere ad al-
tre aziende prodotti se-
milavorati, ma solo le
materie prime: il carbon
fossile, minerali di ferro
e altri materiali fonden-
ti come calce o calcare.
L’intero processo che si
realizza a Taranto può
essere suddiviso in
Il Ciclo Produttivo dell’Ilva a
Taranto
Descrizione del ciclo di produzione dell’industria siderurgica
quattro fasi, ognuna
delle quali interessa
aree e porzioni diver-
se dello stabilimento:
cokeria, agglomerazio-
ne, altoforni e conver-
titori LD, acciaieria.
Le materie prime ar-
rivano con le navi e il
trasporto determina
le prime dispersioni di
polveri e scorie inqui-
nanti che vanno a fi-
nire nell’aria e sui
fondali marini. L’Ilva,
per scaricare queste
materie, utilizza dei
moli chiamati spor-
genti: ne ha a disposi-
zione cinque ma ne
utilizza solo due, il
secondo e il quarto.
Anche lo scarico de-
termina inquinamen-
to in quanto il mine-
rale viene trasportato
ai parchi minerali,
che si trovano
a l l ’ i n t e r n o
dell ’az ienda in
un’area lontana dai
moli, a ridosso del
rione Tamburi. Tale
trasporto di diverse
centinaia di metri
avviene su nastri
trasportatori scoper-
ti e mai modificati.
Nella cokeria avvie-
ne la distillazione
del carbon fossile:
meccanismo utile ad
eliminare da esso
tutte le materie vo-
latili e la parte pol-
verosa. Questo pro-
cesso necessita di
temperature elevate.
La cokeria è for-
mata da dodici
batterie, le prime
due sono state e-
liminate; dalla
terza alla sesta
per ognuna ci so-
no 45 forni, alti 5
metri, 43 dalla
settima alla dodi-
cesima, con un’al-
tezza superiore ai
6,5 metri. Il car-
bon fossile viene
caricato dall’alto
direttamente nei
forni mentre da
porte laterali vie-
viene scaricato il coke, de-
terminando una grande
quantità di inquinanti ae-
rei:gas e vapori emessi
d a l l e c i m i n i e r e .
Il coke è necessario per
p rodu rre l a g h i sa
all’interno degli altiforni.
L'altoforno è un tipo di im-
p i a n t o u t i l i z z a t o
nell’industria metallurgica
per produrre ghisa parten-
do da minerale ferroso;
l’altoforno produce ghisa
grigia, ovvero una lega bi-
naria di ferro e carbonio,
attraverso un processo in
cui concorre la combustio-
ne di carbone coke, la fu-
sione di minerali e riduzio-
ne degli ossidi metallici
(ad esempio Fe2O3) presen-
ti in natura come minerale
ferroso o introdotti come
rottame ferroso, attraverso
un'atmosfera riducente. La
produzione di un moderno
altoforno può essere com-
compresa tra le 2.000 e
le 4.500 tonnellate al
g i o r n o .
Gli altiforni sono cinque,
due sono chiusi, uno in
manutenzione e altri du-
e attualmente in funzio-
ne. La ghisa ha bisogno
dell’agglomerato che vie-
ne aggiunto in un’area
in cui si realizza la sin-
tesi in un unico corpo di
vari elementi friabili o
comunque in stato polve-
roso. Anche queste so-
stanze giungono all’ag-
glomerazione tramite
nastri trasportatori e
successivamente filtrati
da due elettrofiltri. E’
durante questa fase che
c’è l’emissione della dios-
sina, anche se in quanti-
tà ridotta rispetto ad u-
na produzione priva di
e l e t t r o f i l t r i .
Il quinto altoforno è il
più grande e produce
più ghisa, che deve esse-
re depurata. Oltre alla
ghisa fusa, si ottengono
anche delle scorie
(loppa), che verranno
utilizzate per scopi edili.
In questa fase la ghisa
subisce il processo di de-
solforazione, ovvero
l’estrazione dello zolfo
residuo ( ri lasciato
nell’aria come anidridi)
per poi essere trasporta-
ta in acciaieria. Parte
della ghisa viene fatta
colare negli stampi per
produrre lingotti, che
andranno in fonderia.
L'altra parte, più nume-
rosa, viene trasformata
in acciaio nell'acciaieria.
Lo stabilimento ha due
acciaierie, ognuna com-
posta da tre convertitori,
in cui convergono ghisa,
rottami di ferro e ossige-
no come comburente. Il
convertitore LD è oggi il
sistema più utilizzato per trasfor-
mare la ghisa in acciaio. Il suo no-
me deriva da due città austriache,
Linz e Donawitz, dove è stato usato
per la prima volta. Il convertitore
LD è costituito da mattoni refratta-
ri rivestiti da una lamiera d'acciaio.
È bucato in cima per consentire di
mettere una lancia dove viene sof-
fiato dell'ossigeno che, legandosi
con il carbonio, si trasforma in CO2
(anidride carbonica). In questo mo-
do la concentrazione di carbonio
presente nel bagno diminuisce e la
ghisa diventa acciaio. Sia la ghisa
che l'acciaio sono infatti leghe for-
mate da ferro e carbonio. Nella ghi-
sa la percentuale di carbonio si ag-
gira intorno ai 2,06-6,67%, mentre
nell'acciaio è inferiore al 2,06%. Per
questo procedimento servono all'in-
circa 15 minuti. Oggi il convertitore
LD viene utilizzato spesso per il
basso costo delle materie e del
processo.
Secondo la quantità di ossigeno a-
doperata si creano le così dette
‘’nubi rosse’’ che vediamo disper-
dersi nell’aria e che contengono so-
stanze altamente nocive (anidridi
dello zolfo e dell’azoto). Solo una
parziale quantità di fumi viene re-
cuperata e inviata alle centrali ter-
moelettriche dello stabilimento, tut-
to il resto viene scaricato in atmo-
sfera. Siamo alla fine del processo
produttivo, qui l’acciaio viene nuo-
vamente depurato dalla loppa e so-
lidificato, con ciò termina il proces-
so dell’area a caldo. Nell’area a
freddo vengono prodotti i coils
(rotoli d’acciaio) e le lamiere; una
parte dei coils viene utilizzata per
formare i tubi.
Oggi l’Ilva produce a Taranto circa
10 milioni di tonnellate l’anno di
acciaio.
Elisa Borghese, Clara Pulpito, Egi-
dia Perrone, Shana Quero
SALUTE E LAVORO, QUALE COM-
PATIBILITÀ?
Quando il 9 Luglio 1960 venne posta la pri-
ma pietra del quarto centro siderurgico
dell’ex IRI ora ILVA, non si era posto il pro-
blema della sua compatibilità con l’assetto
della città e le conseguenze che poteva cau-
sare all'ambiente ed alla salute dei cittadi-
ni. Probabilmente si era totalmente affasci-
nati dalla grossa opportunità che Taranto
aveva in termini di rilancio tecnologico-
finanziario, che permise in quegli anni di
raggiungere un periodo di benessere sociale-
economico tra i più alti d’Italia.
Taranto così cominciò a conoscere il proble-
ma dell’inquinamento atmosferico, del mare
e dei relativi prodotti dell’acquicoltura, qua-
le ricchezza naturale, lo sventramento, lo
sterminio di interi boschi ed uliveti secolari,
perché nasceva la “civiltà
dell’industria”accanto alla civil-
tà della produzione agricola, la
quale non riuscirà a tenere te-
sta alla prima.
E’ ormai accertata la corrispon-
denza o nesso di causalità fra
le emissioni determinate dal
settore siderurgico e i problemi
di salute. A colpire è soprattut-
to la diffusione di tumori, ma-
lattie neurologiche e malattie
renali. A Taranto ci si ammala
e si muore di più, in maniera
intollerabile rispetto al resto
della provincia e della Regione,
con tassi di mortalità per ma-
lattie polmonari superiori del
14% tra gli uomini e dell'8% tra
le donne . A tal proposito nella
scorsa estate il ministro della
Salute Prof. Renato Balduzzi,
presentò alle associazioni am-
bientalistiche di Taranto, uno
studio compiuto dall' Istituto
Superiore di Sanità con l'Oms,
chiamato progetto SENTIERI
dove si evidenziavano i dati ag-
giornati al 2009 che, per tutte
le cause di mortalità, per tutta
la popolazione, segnano un più
1% rispetto al 2008.
Secondo i risultati del rap-porto del Ministero della Salute, tra 2003 e 2009 la frequenza di alcuni tipi di cancro è aumentata e in al-cuni casi addirittura rad-doppiata. Rispetto al resto della provincia puglie-se, negli gli uomini è stato registrato un aumento del 30% per tutti i tumori. Nel dettaglio, del 50% per il tu-more maligno del polmone, più del 100% per il mesote-lioma e per i tumori mali-gni del rene e delle altre vie urinarie (escluso la vesci-ca), superiore al 30% per il tumore della vescica e per i tumori della testa e del col-lo, del 40% per il tumore maligno del fegato, del 60%
per il linfoma non Hodgkin, superiore al 20% per il tumo-re maligno del co-lon-retto e per il tumore della pro-stata e al 90% per il melanoma cuta-neo. Per le donne resi-denti nei comuni di Taranto e Statte, sempre a confronto con il resto della provincia, si rileva un eccesso di inci-denza per tutti i tumori di circa il 20%. Sono presenti eccessi per una se-rie di tumori mali-gni: della mammel-
la pari al 24%, del corpo
dell’utero superiore all’80%,
del polmone 48%, del colon-
retto 21%, del fegato 75%, del
linfoma non Hodgkin 43% e
dello stomaco superiore al
100%.
Gravissimo allarme anche per
la mortalità nel primo anno
di vita: +20% rispetto al resto
della Puglia.
A Taranto in ogni metro cubo
d'aria ci sono 10 milligrammi
in più di Pm10 di origine in-
dustriale: corrisponde ad un
aumento del 25% del rischio di ri-
covero per gli individui da 0 a 14
anni, senza contare l’aumento del-
le patologie in gravidanza, schizza-
to in 14 anni dal 21% al 47% e di
malattie neonatali.
Da quanto acquisito dalla relazio-
ne “SENTIERI”, lo stabilimento
siderurgico, ed in particolare gli
impianti altoforno, cokeria e agglo-
merazione, sono il maggior emetti-
tore nell'area per oltre il 99% del
totale degli inquinanti costituiti
soprattutto dal benzo-apirene,
diossine, Pcb.
Tali sostanze sono state rilevate
nel sangue degli allevatori di mas-
serie nel raggio di 0-15 km dal polo
industriale, a conferma di una con-
sistente contaminazione di tutta la
catena alimentare attraverso i pro-
dotti della terra e dell’allevamento.
Una drammaticità che ha portato
ad una serie di provvedimenti sia
da parte della Procura delle Repubblica che
dello stesso Governo italiano, tesi a diminuire
le emissioni dannose in atmosfera. Taranto at-
tende che almeno qualcuno di essi cominci ad
essere applicato.
Alessia Fina,Claudia Piemonte, Laura Fella,
Maria Fabbiano, Marianna Solito, Martina
Cassese, Stefania Matarrese
Il decreto “salva Ilva” e le risposte
della cittadinanza Convertito in legge il decreto recante disposizioni urgenti in caso di crisi di stabilimenti in-
dustriali di interesse strategico nazionale
Emanato il 3 dicembre
2012 dal Presidente
della Repubblica, Gior-
gio Napolitano, il decre-
to legge recante dispo-
sizioni urgenti a tutela
della salute, dell'am-
biente e dei livelli di
occupazione in caso di
crisi di stabilimenti in-
dustriali di interesse
strategico nazionale,
noto come decreto
"salva Ilva", è stato ap-
provato nei giorni suc-
cessivi dal Consiglio dei
Ministri.
Il decreto-legge, entrato
in vigore il giorno dopo la
sua pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale, è stato
presentato alle Camere
per la conversione in leg-
ge, che è avvenuta il 19
dicembre 2012.
La legge consente allo sta-
bilimento dell’Ilva di Ta-
ranto di rientrare, in tem-
pi molto brevi, in possesso
dei prodotti finiti e semila-
vorati (duemila tonnellate
di acciaio), bloccati dallo
scorso 26 novembre dalla
magistratura, ed in ogni
caso autorizza la prosecu-
zione dell'attività produtti-
v a a l l ’ i n t e r n o
dell’industria, nonché la
conseguente commercializ-
zazione dei prodotti per
tutto il periodo di validità
dell’autorizzazione inte-
grata ambientale.
Riguardo alla gestione e
alla responsabilità della
conduzione degli impianti
il decreto, nonostante la
sentenza della procura ab-
bia deciso diversamente, la
rimette nelle mani
dell’Ilva, o meglio in capo
ai titolari dell’AIA; mentre
la sanzione amministrati-
va pecuniaria, che potrà
essere disposta dal Prefet-
to di Taranto, in caso di
inosservanza delle imposi-
zioni decise in questo do-
cumento, non potrà supe-
rare il 10% del fatturato
risultante dall’ultimo bi-
lancio approvato.
Il testo che consentirà
quindi alla fabbrica taran-
tina di tornare al lavoro
osservando però rigorosi
parametri, ha ricevuto un
sostanziale sostegno dai
numerosi partecipanti al
vertice, tra cui Cgil, Cisl
e Uil, i numerosi ammi-
nistratori locali e persino
dal presidente dell’Ilva
Bruno Ferrante, che in
risposta ha lanciato
l’allarme chiusura anche
per gli stabilimenti indu-
striali nei territori di Ge-
nova, Novi Ligure e Rac-
conigi.
Ad assicurare che la procedura di risana-mento venga attuata nei modi e nei tempi previsti dall’AIA, è sta-ta nominata una terza figura, il Garante super partes, fortemente vo-luta dal ministro dello sviluppo del precedente governo, Corrado Pas-sera, nominata entro venti giorni dall’entrata in vigore del decreto e affiancata da un comi-tato di lavoratori. Tra-mite l'Istituto Superio-re per la Protezione e Ricerca Ambientale (Ispra), il garante ac-quisisce tutte le infor-mazioni e gli atti rite-
ritenuti necessari dall'A-
zienda, dalle Ammini-
strazioni e dagli Enti in-
teressati, segnalando al
ministro dell'Ambiente
eventuali criticità riscon-
trate nell'attuazione delle
prescrizioni decise e pro-
ponendo le relative solu-
zioni.
Con le prime misure ope-
rative scattate nel side-
rurgico, che attengono
alla gestione degli im-
pianti, allo stoccaggio del-
le materie prime nei par-
c h i m i n e r a l i e
all’adozione di particolari
precauzioni nelle giornate
di vento, si è verificato un
primo miglioramento del-
la qualità dell’aria nella
città e in particolare nei
centri abitati limitrofi
all’industria. Le elabora-
zioni effettuate dell’Arpa
(Agenzia Regionale per
l’Ambiente), infatti hanno
mostrato un decremento
della concentrazione in
aria di una serie di inqui-
nanti, quali il particolato
fine, gli idrocarburi, il benzene e i
policiclici aromatici, a partire dal
primo mese del 2013.
Né la Procura né buona parte della
cittadinanza tarantina ha accetta-
to di buon grado le decisioni prese
dal Governo con tale decreto, in
quanto consapevole delle numerose
inadempienze che in passato han-
no contraddistinto la dirigenza Il-
va. Ecco perché la Procura ha fatto
ricorso alla Corte Costituzionale
mentre i cittadini hanno continua-
to a protestare secondo le regole
democratiche.
Il 15 dicembre 2012 e il 7 aprile
2013 si sono indette due manife-
stazioni di protesta in cui un nu-
mero elevato di cittadini, mamme mano nella
mano con i propri figli, studenti, padri di fa-
miglia, lavoratori si sono uniti nell’esigenza
di dare un ennesimo segnale di protesta e
non condivisione delle decisioni prese nelle
alte sfere.
Per la prima volta il Comune di Taranto ha
indetto un referendum consultivo tenutosi
domenica 14 aprile 2013 e nel quale ai citta-
dini del Comune di Taranto si sarebbero po-
tuti dichiarare favorevoli o contrari alla tota-
le chiusura del siderurgico o della sola area a
caldo. L’affluenza alle urne non ha consentito
di raggiungere il quorum, ma quasi 19000
tarantini sono risultati favorevoli alla chiu-
sura dello stabilimento.
Gaia Mancini
Il quartiere delle polveri Una serie di brevi interviste a persone residenti nel quartiere Tamburi
Il quartiere costruito a ridos-so dell’ILVA è diventato fa-moso proprio per le alte con-centrazioni di polveri e mine-rali pesanti emessi dall’industria che invadono luoghi e ambienti condizio-nando fortemente ogni aspet-to della vita di chi vi abita. Per cercare di capire come queste riescano a convivere in un contesto così particola-re, le abbiamo intervistate da vicino.
- Che anche il ven-to per noi diventa un problema: dob-biamo riuscire a non far entrare il minerale in casa, o vestiti da bianchi diventano neri. L.
Che cosa pensi
quando osservi
l’acciaieria?
E’ uno spettacolo ormai consue-to, ed ho imparato a conviverci; però ogni volta che sono in giro sui Tamburi so di respirare so-stanze che mi danneggiano sem-pre più. F. -Mio nonno lavorava all’ILVA, ed è morto per una malattia al cuore e alle vie respiratorie. Quando guardo l’ILVA penso a lui e a tutte quelle persone che come lui hanno perso la vita. V. -Quando raramente esco di casa, guardando l’ILVA, ricordo che nel quartiere Tamburi ci viveva-no contadini, allevatori e che gli alberi erano di legno, non di fer-ro. C. - Prima si potevano mangiare tranquillamente i prodotti della nostra terra. Adesso , invece, ingerendoli potresti star male e per questo sei costretto a com-prare alimenti che tu stesso col-tivavi. Ecco che cosa vedo quan-do guardo l’ILVA. E.
Ma nel 1965, si conoscevano già
tutte le conseguenze? Cos’è il
V.I.A. ?
Solo verso la metà degli anni ‘80
(Minerale raccolto dopo una
raffica di vento)
venne introdotta nella
Comunità Europea una
procedura tecnico-
amministrativa per la
valutazione degli effet-
ti prodotti dalle opere
d i u n p rog e t to
sull’ambiente, il V.I.A.
(Valutazione Impatto
Ambientale). L’ILVA
non fu sottoposta dun-
que a tali controlli ed
oggi, nonostante le nu-
merose procedure e
tecniche in grado di ri-
durre le forti emissioni
migliorando le condi-
zioni di vita dei cittadi-
ni, l’acciaieria continua
a produrre emettendo
sostanze che compro-
mettono la salute degli
abitanti e danneggiano
il territorio di Taranto
e provincia.
Alessandra Arnò, Vale-ria Greco
La Parola a chi è malato
Intervista ad un pensionato Ilva nato e cresciuto nel quartiere Tamburi di Taranto e
ammalatosi di malattia professionale
L’Ilva è stata costruita prima
della comparsa del quartiere
Tamburi?
No, dopo. Lo stabilimento Il-
va, prima chiamato Italsider,
è stato costruito accanto al
quartiere Tamburi ed occupa
un’area molto vasta, che ori-
ginariamente era votata ad
attività agricole. Il
quartiere, dopo la co-
struzione del ‘Mostro
d’Acciaio’, fu ampliato
con nuove abitazioni
destinate ai lavoratori
dell’Ilva e attualmente
è occupato da circa
10.000 persone.
Quali erano le aspetta-
tive della città riguardo alla svolta industriale?
Nessuno immaginava che
un’industria avrebbe potuto
causare tanti problemi. Si
era giovani, e si preferiva il
lavoro allo studio. Eravamo
un mucchio di ‘uomini
ignoranti’. Non ci importava
della cultura, e la nostra u-
unica preoccupazione era quella di portare
a casa lo stipendio per sfamare la famiglia,
per non far mancare nulla a mogli e figli.
E’ migliorata la vita lavorativa ed economi-ca?
Sì, Taranto è chiamata ‘La città dei due
mari’, proprio per questo erano quasi tutti
pescatori, contadini, allevatori, carpentieri,
saldatori... Con l’Ilva questi mestieri sono
scomparsi, o se ci sono se ne contano po-
chissimi. L’Ilva ha migliorato tanto
l’economia della città e della provincia ioni-
ca: nessuno veniva escluso, lavoravano tutti
e molte maestranze arrivavano anche dal
Nord.
Lei, quindi, ha lavorato nell’Ilva? Sì, dal 1968 al 2000.
Quando ha iniziato a lavorare nell’Ilva era consapevole di ciò cui andava incontro? In quale settore dell’Ilva ha lavorato?
Purtroppo no, si pensava solo al guadagno,
a lavorare, ad avere un posto fisso con cer-
tezza di stipendio. Nessuno parlava del pro-
blema sanitario. Ho lavorato in diversi re-
parti dell’Ilva: acciaieria, altiforni, cokeria e
in tutti questi a contatto con l’amianto.
Cosa è cambiato nel quartiere Tamburi nel corso degli anni? E si è fatto qualcosa per ottenere un miglioramento?
La situazione è peggiorata con
l’inquinamento drastico del quartiere e il
danno fisico dei nostri polmoni, e del siste-
ma nervoso. Quando finivo le mie ore
all’interno dei reparti riuscivo a malapena
a vedere il cielo, c’era troppa polvere, si re-
spirava con difficoltà. Mia moglie lavava la
mia tuta con disinfettante in un recipiente
apposito, cercando di non contaminare gli
altri indumenti e di non ricevere danni per-
sonali nel maneggiare la divisa sporca di
polveri tossiche.
Le mie mani erano irriconoscibili, nerissi-
me… C’è però da dire che non si è fatto nul-
la per proteggere la salute dei lavoratori
dell’Ilva: chi si ribellava veniva emarginato
o addirittura licenziato, e quindi nessuno
fiatava o contestava i dirigenti. Con il tem-
po l’incidenza dei tumori e delle morti
ha portato i medici e la cittadinanza a
capire che l’Ilva, oltre a inquinare, era
nociva per la salute. Solo negli ultimi
anni passati lì dentro capii davvero che
andavo incontro alla morte e che ogni
ora in più danneggiava gravemente la
mia salute, ma il dovere di capofami-
glia era più forte.
Secondo te, cosa dovremmo fare noi gio-vani del 2013?
Lottare. Dovete lottare per la salute e il
lavoro. Noi uomini siamo stati inganna-
ti, ci sentivamo fieri di essere l’unica
città del Sud a possedere un’industria
così grande, senza renderci conto che
cellule tumorali crescevano in noi. Ta-
ranto è una città bellissima, e tutti co-
loro che vanno via senza lottare dimo-
strano di non voler risolvere il proble-
ma e non essere abbastanza legati alla
città natale. Spero che lo Stato ci tuteli
realmente imponendo all’azienda di
mettere a norma la produzione secondo
i provvedimenti AIA, che ascolti la voce
dei ragazzi che urlano nei cori che Ta-
ranto è la loro città e che vogliono final-
mente vederla libera dai veleni.
Intervista al sign. Fedele Concertini, a cura di Valentina Convertini
Anche di gioco si può morire: nel quartiere tarantino ai bambini non è concesso
giocare in strada La realtà a Taranto ha colpito anche le più basse fasce d’età, i ragazzi del quartiere
Tamburi non possono godersi la loro città
A Taranto sono molteplici e
toccano cifre esorbitanti i ca-
si di ricovero per malattie re-
spiratorie, causati da sostan-
ze altamente tossiche quali il
benzopirene, il cui limite è
1µg, mentre la quantità re-
spirata in città è di 10µg.
Tra il 1999 e il 2010 fu rile-
vato un aumento del 10%
delle polveri che creò seri
problemi, soprattutto nei
quartieri più esposti: è il caso
dell’Istituto comprensivo
“Grazia Deledda” in cui ogni
anno, durante la valutazione
della quantità di diossina,
polveri e PCB vengono rile-
vati livelli preoccupanti. Nel
2010 il sindaco emanò
un’ordinanza che decretava
che i bambini non potessero
più giocare nelle aree
verdi del rione Tamburi.
Le sostanze identificate
nell’area della scuola ele-
mentare sono berillio,
cadmio e mercurio. Nei
due anni successivi ven-
ne prorogata la stessa
ordinanza ma niente, an-
cora nessuna bonifica. Le
mamme dei bambini era-
no esasperate, intristite
sotto le richieste dei pro-
pri figli di ‘’uscire fuori a
giocare’’ nei pomeriggi di
sole.
Finalmente nel Luglio
2010 vennero sequestrati
allo stabilimento siderur-
gico alcuni degli impianti
ma, imperterrita, la fab-
brica continuò a produr-
re. Nel mese successivo,
precisamente il 2 Agosto,
la procura della Repubbli-
ca di Taranto condannò
Emilio Riva, suo figlio Ni-
cola e cinque dirigenti, ac-
cusati di disastro ambien-
tale e avvelenamento col-
poso ma, ancora una vol-
ta, poco si concluse.
12.000 operai più 8.000
nell’indotto, e la fabbrica
cosa fa per proteggerli o,
almeno, per limitare i
danni?
Secondo le dichiarazioni
dei lavoratori, l’Ilva ini-
zialmente effettuava una
visita medica ogni 3/4
mesi in cui si prevedevano
indagini diagnostiche at–
traverso ECG, spirometri-
a e altre analisi, mentre a-
desso i controlli sono effet-
tuati solamente una volta
l’anno.
Alla domanda su qual è il
pericolo maggiore all’interno
dello stabilimento, sicura-
mente la risposta riguarda
gli altiforni, cinque in tutto,
ma anche le due acciaierie, i
nastri trasportatori, che
spostano il materiale senza
copertura, i cosiddetti
“parchi minerali”. Questi
ultimi sono aree di stoccag-
gio corrispondenti a 80 etta-
ri, ovvero 600mila m2, pari a
cento campi da calcio, stra-
colmi di ferro, coke e calca-
re, lasciati scoperti all’aria
aperta, sensibili al vento
che ne determina la diffusio-
ne. Queste zone, chiamate
con un nome tanto innocuo
quasi a discolpa del danno
che se ne determina, si tro-
vano a ridosso del quartiere
Tamburi e le polveri che si
sollevano nelle frequentissi-
me giornate di vento lo inve-
stono in pieno distribuendo-
si ovunque, sulle strade,
marciapiedi, balconi, manu-
fatti d’ogni genere ma so-
prat tut to pene trando
all’interno di narici, polmo-
ni, pelle, occhi e orecchie di
adulti e bambini.
Un’altra domanda molto co-
mune è come fa l’Ilva ad in-
quinare in maniera così in-
vasiva senza essere minima-
mente ostacolata? Per tutti
basta il racconto di una vi-
cenda che si realizzo alcuni
anni fa.
Quando i livelli di berillio si
alzarono in maniera eccessi-
va, il sindaco contattò i ver-
tici dell’ARPA (Agenzia
Regionale Per l’ Ambien-
te) per decidere il da far-
si. In quell’occasione il
responsabile della azioni
esterne dell’Ilva, Girola-
mo Archinà, tentò il tutto
per tutto per convincere
la popolazione che il sin-
daco fosse un allarmista,
che i dati sulle sostanze
tossiche non erano asso-
lutamente preoccupanti e
che i soldi da investire
per la bonifica erano re-
almente utilizzati.
L’azienda contattò un
giornale locale per pub-
blicare il parere di
“Angelo Battisti“, esperto
ambientale, al fine di
smentire le conclusioni
del sindaco; solo successi-
vamente si venne a sape-
re che il dottor Angelo
Battisti non esisteva: si
trattava di un’inven-
zione, un espediente per
indebolire la controparte.
Da sempre anni di intesa
con l’Ilva per la realizza-
zione di strutture che a-
vrebbero dovuto ridurre
le varie forme di inquina-
mento sono rimaste di-
sattese, si sono rivelate
essere una farsa.
I cittadini sono disgustati
dalla realtà di questa indu-
stria e si sentono schiaviz-
zati , costretti a respirare
con la forza qualcosa che
nuoce alla loro stessa salu-
te.
‘’Abbiamo visto morire
troppi bambini a causa
dell’inquinamento’’, queste
le parole di alcuni pediatri
intervistati alle varie ma-
nifestazioni contro lo stabi-
limento siderurgico. Nume-
rosi gli applausi per il gip
Patrizia Todisco che ha di-
sposto la chiusura dell’area
a caldo dell’acciaieria, sen-
za ottenere però i provvedi-
menti sperati.
Ciò che probabilmente più
scatena la collera dei ta-
rantini è che è possibile
proteggere la propria salu-
te facendo un lavoro così
inquinante e pericoloso: la
dimostrazione è offerta
dall’acciaieria di Linz, in
Austria. Sistemi di coper-
tura e filtri di ultima gene-
razione impediscono la fu-
ga di polveri e di gas, i di-
pendenti sono isolati in
modo da non entrare mai a
contatto con lavorazioni
dannose, le autorità locali
eseguono misurazioni pun-
tuali e rigorose, tenendo
monitorata costantemente
la qualità dell’aria, i ragaz-
zini giocano a pallone sui
campetti non lontano
dall’industria e le fattorie
dei dintorni ottengono rigo-
rosissime certificazioni bio-
logiche per i loro prodotti.
Tutto questo mentre a Ta-
ranto i bambini si ammala-
no e i capi di bestiame ven-
gono abbattuti a causa degli
esorbitanti livelli di diossi-
na. Nel quartiere Tamburi
di Taranto vivono 1689
bambini, la loro scuola si
trova a pochi metri dall’Ilva,
mentre in tutta la città sono
35mila i ragazzini che respi-
rano un’aria non meno in-
quinata. Ogni giorno gioca-
no in un terreno nel quale è
stata individuata una con-
centrazione di piombo pari a
circa 74mila chilogrammi,
ovvero il 99% rispetto al’in-
tera percentuale puglie-
se e il 78 rispetto a quel-
la nazionale. Se quindi
produrre acciaio in modo
ecocompatibile è possibi-
le, allora perché a Ta-
ranto non è ancora stato
fatto nulla? Perché a
Linz è stato possibile,
mentre nella nostra città
sembra una realtà così
lontana?
Sabrina Casale
(Foto: antica acciaieria di Linz, ora totalmente moder-
nizzata)
Il colore della morte: grigio come i fu-mi dell’Ilva
Dal 1993 al 2008 solo all’interno dell’Ilva di Taranto i morti sono stati 45
Le chiamano morti bianche, un ter-
mine all’apparenza innocuo. Tutta-
via, il sangue versato dal lavoratore
morto sul proprio luogo di lavoro è
rosso come rossi, gonfi dal pianto,
sono gli occhi dei familiari che li
hanno persi, hanno sofferto e hanno
provato rancore chiedendosi il moti-
vo di tanto dolore. Una più giusta
domanda sarebbe però: perché capi-
ta? Chi ogni giorno esce, abbraccia i
figli, saluta la moglie o accarezza il
cane poco prima di varcare la soglia
di casa, dovrebbe poter essere sicuro
del proprio ritorno. Tutte queste
morti di cui si è parlato nell’ultimo
periodo dovrebbero essere considera-
te come una realtà lontana, avveni-
menti sporadici, poiché è diritto di
ogni uomo lavorare e farlo con sicu-
rezza. "Caduti del lavoro" non è al-
tro che l’ennesimo termine con cui
essi vengono chiamati, anche se a
partire dagli anni sessanta, in Ita-
lia, si è anche diffuso il molto provo-
catorio "omicidi del lavoro", usato
proprio per indicare la negligenza
dei responsabili delle
industrie che spesso sot-
topongono gli operai a
scarse condizioni di sicu-
rezza. Sicurezza latente
in molte aziende d’Italia
dove pur di lavorare la
gente è disposta ad igno-
rare norme non rispetta-
te, permessi non ricevuti
, attrezzature non
aggiornate. Tutto
per poter fare quel
lavoro che consenta
loro di poter portare
uno stipendio a ca-
sa.
Secondo le statisti-
che dell ’INAIL
(Istituto Nazionale
per l'Assicurazione
contro gli Infortuni sul Lavoro), nel 2011, in Italia, sarebbero avvenuti circa 725mila infortu-ni e 920 morti sul lavoro. 920 persone morte, 920 famiglie spezzate. Tuttavia, sempre se-condo i dati dell’INAIL, le mor-ti con gli anni non sono mai an-date sopra i mille. I feriti, inve-ce, rimangono sempre su que-sta linea. Se restringiamo il campo a luoghi di lavoro ordi-nario come fabbriche e cantieri, abbiamo all'incirca 593.285 in-fortunati e 450 deceduti (statistiche del 2011). Ciò a li-vello nazionale. Anche le stime di quest’anno parlano chiaro, fino a marzo si sono contate 79 morti per infortuni sui luoghi di lavoro, il 32% in edilizia, il 28% in agricoltura, 10% nel l ’ indus tr ia , i l 6 ,5% nell’autotrasporto, senza conta-re coloro che sono morti sulle strade. Dal 1993 al 2008 solo all’interno dell’Ilva di Taranto i morti sono stati 45. Nel 2004 Saverio Paracolli morì dopo giorni di dolore per essere ri-masto incastrato tra un tubo e un macchinario usato per smussarlo nel Tubificio 1. Nel 2008 un lavoratore polacco cad-d e d a u n p o n t e g g i o dell’altoforno 4. Nel 2012 Clau-dio Marsella è stato schiacciato da un treno che collega l’azienda con l’area portuale. Il caso più recente è avvenuto il 27 Febbraio di quest’anno: un uomo, come l’operaio polacco, è morto cadendo da un ponteggio alto 15 metri nella batteria nu-mero 9 della cokeria, insieme ad un suo collega rimasto gra-vemente ferito. Tutto a causa della mancata manutenzione e il luogo dove andavano ogni giorno a lavorare si è trasfor-mato in una terribile trappola mortale. In quest'occasione gli operai, loro colleghi, hanno scioperato per 24 ore mentre i dirigenti dell'azienda hanno
mandato una lettera di
scuse alle famiglie, af-
fermando di essere loro
vicine nel dolore; la fa-
miglia del morto noi la
conosciamo molto bene
perché è quella di una
nostra compagna di clas-
se.
Gli indagati sono otto,
accusati di omicidio col-
poso. Il lutto ha colpito
l’intera città, sconvolta
dall’accaduto. Il sindaco
ha dichiarato il lutto cit-
tadino e ai funerali
dell’operario la chiesa
dove si è celebrata la
funzione era gremita di
autorità e di persone de-
siderose di dimostrare
soprattutto solidarietà
ai familiari distrutti dal
dolore. L’ennesima mor-
te bianca, l’ennesima fa-
miglia in lacrime,
l’ennesimo incidente
causato da un’irrego-
larità, l’ennesimo che si
sarebbe potuto evitare
se gli operai avessero
potuto lavorare in sicu-
rezza.
Ognuna di queste fami-
glie ha chiesto giustizia,
ha chiesto che qualcuno
paghi tuttavia nulla si è
concluso. Non si tratta
di punire chi avrebbe
potuto impedire tali lut-
tuosi eventi, ma soprat-
tutto evitare che si ripe-
tano e che altri ancora
soffrano.
Appare ovvio che non sia
ovunque così, infatti o-
gni azienda è diversa e
quella che fa l’eccezione
sicuramente c’è in que-
sta Italia del malaffare e
del compromesso. E’ un
peccato che la sicurezza,
che dovrebbe essere una
priorità e come tale on-
nipresente, si configuri
invece in situazioni di
eccezionalità. Ecceziona-
le è un termine positivo,
nel linguaggio comune
viene spesso collegato
direttamente al termine
‘speciale’, o ‘particolare’.
E’ qualcosa di privilegiato, perché non tut-
ti sono eccezionali, lo è solo una minima
percentuale di persone. La sicurezza però
non è affatto un privilegio, perciò un luogo
di lavoro che la promette e l’assicura non
dovrebbe essere eccezionale, ma semplice-
mente comune.
Esistono settori più a rischio di altri, chi
lavora in un’acciaieria rischia certamente
di più di chi lavora in una biblioteca. Ma
alla fine la domanda è sempre la stessa:
morte o lavoro? Ma se è il proprio lavoro a
causare la morte, allora forse non c'è solu-
zione. A parte chiudere. Cosa è giusto?
Elisa Borghese, Nadia Campanella
Quando la fabbrica chiude i suoi cancelli
La chiusura dell’industria di Taranto potrebbe rappresentare uno dei più grandi disa-
stri industriali del nostro paese
I valori registrati a Taranto riguardo il tasso di mortali-tà e l’incidenza dei tumori sono più che preoccupanti: si muore di più rispetto al resto della regione. Tuttavi-a, paradossalmente, l’even-tuale chiusura dell’Ilva di Taranto potrebbe rappre-sentare uno dei più grandi disastri industriali e sociali del nostro paese. Il suo fun-zionamento, dati alla mano, è stato senz’altro dannoso per le condizioni di salute della città e dei cittadini ma la sua ipotizzata chiusura potrebbe avere effetti altret-tanto catastrofici: stiamo parlando di un’azienda che rappresenta il ventesimo gruppo siderurgico al mon-do, e dunque non è difficile immaginare l’impatto che ci potrebbe essere sul piano economico nazionale, oltre-ché locale, sia in termini oc-cupazionali che finanziari.
Nella sola zona di Taranto andrebbero in fumo migliaia di posti di lavoro; quello di
Taranto, infatti, rappresenta il
più grande sito siderurgico
d’Europa e allo stesso tempo lo
stabilimento industriale con più
addetti in Italia. L’Ilva sorge in
un contesto cittadino e sociale
all’interno del quale recenti sta-
tistiche parlano di un tasso di
disoccupazione pari circa al
30%. In pratica, chiudere l’Ilva,
potrebbe significare mettere in
ginocchio l’economia di Taranto
e dell’Italia intera.
Le conseguenze negative infatti
non rimarrebbero circoscritte
solo alla provincia di Taranto
ma si riverserebbero su fronte
occupazionale di più
ampio raggio, pro-
vocando anche il
blocco della produ-
zione dello stabili-
mento di Genova, i
cui dipendenti sono
da tempo in agita-
zione perché sono a
rischio molti posti
di lavoro. Per il no-
stro paese si tratte-
rebbe di un vero e
proprio disastro eco-
nomico che, ultima-
mente, sta sfociando
in un dramma so-
ciale all’interno del
quale la rabbia de-
gli operai, di fronte
al baratro della di-
soccupazione, peri-
colosamente acqui-
sta ogni giorno più
forza.
Francesca Cristello
Quel che resta dell’acciaio: lo scenario del risa-namento
La produzione di acciaio tra necessità economiche e risanamento ambien-tale
Se venisse fermata la coke-
ria nel quartiere Tamburi –
secondo le stime Arpa del
2010 – il benzo(a)pirene ver-
rebbe abbattuto del 98%. Se
si approntasse un program-
ma di transizione con una
legge dello Stato per Taran-
to, si potrebbero recuperare
più lavori di quanti ne an-
drebbero perduti. Infatti a
Genova non si sono persi
posti di lavoro e genovesi
non tornerebbero mai indie-
tro, alla vecchia fabbrica in-
fernale. Invece a Taranto e
in particolare nel quartiere
Tamburi si muore di più che
nel resto della città, per
questo il costo delle case è
crollato e nessuno riesce più
a venderle.
Occorrerebbe pertanto fare
un accordo di programma
come a Genova e progettare
una transizione che preveda
la messa in sicurezza di e-
mergenza dell’area e poi la
bonifica: già solo questa at-
tività richiederebbe moltis-
simi lavoratori e tecnici, di
cui l’Ilva già dispone e per i
quali si eviterebbe la cassa
integrazione. Inoltre occor-
rerebbe prevedere anche la
bonifica anche del Mar Pic-
colo, in modo aprire oppor-
tunità lavorative non solo
nel presente ma anche alle
generazioni future. E qui le
nostre considerazioni si de-
vono rivolgere al settore del-
la pesca ed a quello della
mitilicoltura e dell’alleva-
mento ittico, oggi in crisi
perché l’attività che sin
dall’antichità era il vanto
della città dei due mari,
ha inesorabilmente nel
tempo subito drastiche
riduzioni a causa del fall-
out delle emissioni che
ha lentamente interessa-
to e compromesso le ac-
que del Mar Piccolo, baci-
no unico e ideale.
I lavoratori della cokeria
potrebbero essere reim-
piegati per attività di ri-
sanamento della città: il
quartiere Tamburi e non
solo necessita di una se-
ria azione di bonifica, già
prevista dalla legge. At-
tu a l men te a t to rn o
all’Ilva c’è da sottoporre
a bonifica una fascia di
20 chilometri dove non si
può né coltivare né pa-
scolare: ricordiamo i dan-
ni subiti dagli allevatori
di queste zone i quali
hanno dovuto subire l’abbattimento di centinaia di capi di ovini perché pro-ducevano latte contenente alti livelli di diossina. In prospettiva le aree più in-quinate, liberate da un più razionale stoccaggio dei parchi minerali, potrebbero essere utilizzate per im-pianti ad energia solare. Fra cinque anni il solare sarà competitivo e avrà bi-sogno di aree disponibili: alcune zone attualmente occupate dall’ Ilva potreb-bero essere aree che non dovrebbero andare comple-tamente perse perché non più utilizzabili per l’agri-coltura e l’allevamento. Oc-correrebbe utilizzare dei fondi, magari quelli FSE (strutturali europei) per la programmazione di nuove attività formative per i la-voratori durante il periodo di cassa integrazione con-temporanee al fermo degli impianti inquinanti; in tal modo i lavoratori divente-.
rebbero i protagonisti del di-
sinquinamento, arricchendo
le loro professionalità. La
messa in sicurezza di emer-
genza è un obbligo di legge e
andrebbe eseguita subito per
evitare la contaminazione
delle falde acquifere: più tar-
di lo si farà e più grave sarà
il danno e la spesa. Senza
contare le problematiche eco-
nomiche: occorre operare in
tempi rapidi, prima che
l’industria che ha inquinato
chiuda e divenga insolvente;
infatti le bonifiche sono a ca-
rico di chi ha inquinato, non
dello Stato. Si aprirà certa-
mente un contenzioso sulle
responsabilità del periodo I-
talsider (industria di Stato),
ma sicuramente Ilva dovrà
rispondere di quanto ha in-
quinato a partire dagli anni
’90, con l’ampliamento delle
strutture produttive.
La messa in sicurezza di e-
mergenza prevede complesse
operazioni di isolamento dei
siti contaminati e tecniche
che richiedono una notevole
mano d’opera. Prima o poi
l’acciaieria di Taranto dovrà
fare i conti con la fortissima
concorrenza dell’acciaio cine-
se e indiano che determine-
rebbe un “eccesso di offerta”
con conseguenze facilmente
prevedibili. Probabilmente
sarebbe preferibile da subito
aprire per Taranto anche al-
tre opportunità economiche,
tre che sul sistema econo-
mico in termini di manca-
to sviluppo del turismo e
di altre attività come zoo-
tecnia, mitilicoltura, agri-
coltura biologica, ecc. Vi
sono studi che dimostrano
che Ilva ha generato costi
esterni che gravano sulla
collettività; ad esempio
l’Agenzia Europea stima
che per il 2009 il danno
provocato dall’Ilva alla
salute e all’ambiente sia
valutabile tra i 283 e i 463
milioni di euro. Se la col-
lettività, invece di essere
gravata di questi costi e-
sterni saprà utilizzare
tali risorse per la ricon-
versione, allora potremo
finalmente sperare in un
nuovo sviluppo.
Elisa Borghese, Elsa Sansolino, Clara Pulpito
prima che siano gli even-
ti, in maniera velocemen-
te brutale, a costringere
Taranto a cambiare eco-
nomia.
L’esempio di Pittsburgh,
negli Usa, insegna che
una città inquinata che
si basava sull’acciaio,
può rinascere con la gre-
en economy e diventare
una città pulita; pertanto
è interesse della colletti-
vità recuperare in parte
o completamente un’area
grande quanto la città:
senza messa in sicurezza
di emergenza essa diven-
terà non più recuperabile
e utilizzabile per i prossi-
mi decenni.
Lo Stato già ora sopporta
“costi invisibili” perché
non contabilizzati che si
scaricano sulla salute e
I prodotti di un territorio fra mare
e terraferma
Attività quali agricoltura, allevamento, pesca e turismo, sono cambiate nel corso del
tempo
Taranto, ‘città dei due mari’, è sempre stata economicamen-te fiorente e produt-tiva grazie al territo-rio fertile e al clima favorevole. Ciò che caratterizza princi-palmente l'aspetto paesaggistico di Ta-ranto sono sicura-mente i due mari: il mar Grande e il mar Piccolo, i quali ospi-tano quasi un centi-naio di pescherecci. Le attività, quali a-gricoltura, alleva-mento, pesca e turi-smo, sono cambiate nel corso del tempo. L'agricoltura, già svi-luppata da vari seco-li fu fortemente ca-ratterizzata dalla produzione di olio extravergine d'oliva e vino, mentre l'alle-vamento riguardava bovini, ovini e suini.
A causa della massic-cia industrializzazio-ne siderurgica, a par-tire dagli anni ses-santa il territorio ha subito massicci cam-biamenti che hanno inciso pesantemente nel settore primario della nostra economi-a, riducendo o addi-rittura devastando la produttività e la qua-lità dei nostri prodot-ti alimentari. I danni forse più consistenti sono stati provocati alla pesca; infatti si
no ad alcuni decenni fa il nostro mare, ricco e generoso, era popolato da denti-ci, triglie, orate, calamari, cernie, alici, ma soprattutto dalle cozze, allevate nei nostri due mari: mar Piccolo e mar Grande ed esportate in Italia e all’estero. Le cozze coltivate erano par-ticolarmente apprezzate, in quanto cre-scevano in un particolare ambiente ma-rino ,frutto della commistione di acqua salata e acqua dolce di provenienza car-sica. La cozza è diventata il simbolo ga-stronomico per eccellenza e le trecce di mitili, ospitate su "pali", erano ricche di frutti in quanto nei mari di Taranto e-sistevano particolari condizioni am-bientali, quali basso idrodinamismo (onde correnti modeste) e alto contenu-to alimentare, ideali non sono per le cozze. Grazie al contributo dei due mari e quindi della qualità delle cozze taran-tine, si decise in passato di esportare queste tecniche di allevamento all'este-ro e di accogliere chiunque volesse im-pararle affinché venissero conosciute in tutto il mondo. Ciò ha gratificato il turi-smo, l'aspetto sociologico e culturale della città, permettendo di costruire al-berghi e luoghi di soggiorno che com-pletavano il quadro economico di que-sta città. Al giorno d’oggi tutto sembra
i mp rovv i sa men te svanito poiché il no-me della cozza taran-tina è stato perduto a causa dell'inquina-mento dei nostri ma-ri.
Sul territorio taran-tino attualmente so-no presenti piccole industrie, alimenta-ri, tessili, chimiche, aeronautiche e arti-gianali. Su tutte pre-vale l'Ilva, un’ indu-stria pesante che produce acciaio e se-mi lavorati: a Taran-to ne vengono realiz-zati ed esportati all'incirca 16 milioni di tonnellate all’an-no.
Francesca Farina,
Giulia Spinelli,
Noemi Ligorio
AAA: Pesci e mitili cercasi, possibilmente
indigeni
Una volta ricavate queste informazioni, per conferma-re e approfondire le nostre ricerche, abbiamo intervi-stato Salvatore, ovvero il proprietario di una delle pescherie più conosciute in città vecchia a Taranto: “FRISC’ & MMANGE.” Il signor Salvatore è stato molto disponibile nel fornir-ci alcune curiosità dal pun-to di vista di chi vive in pri-mo piano i cambiamenti che nel corso degli anni si sono realizzati nel locale settore della pesca e della ristora-zione.
“Il pescato e il raccolto dei mi-tili che tracollo hanno subito?”
- Un po’ l’inqui-
namento e un
po’ la mancanza
di regole per la
pesca hanno fat-
to sì che la pro-
duzione dimi-
nuisse. Anche a
Taranto viene
effettuato il fer-
mo biologico,
ma, diversamen-
te da quanto ac-
cade nell’Adria-
tico, si realizza
nel periodo riodo
successivo a
quello della ri-
produzione.
“I metodi di pe-sca non sono re-golamentati?”
- L’UE prevede
regole piuttosto
rigide riguardo alle misu-
ra delle maglie, all’uso
delle reti, norme scarsa-
mente rispettate dai no-
stri pescatori.
“L’Ilva ha contribuito all’inquinamento marino delle nostre zone?”
- Sì, specialmente sui mi-
tili, i quali vengono dan-
neggiati nelle loro dimen-
sioni, sempre più ridotte.
Inoltre oggi si registra la
totale crisi
dell’allevamento delle o-
striche e degli altri
frutti del mare.
“I prodotti serviti nei locali ristoranti o ven-duti nelle pescherie so-no dunque importati?”
- Si, per quanto riguar-
da i frutti di mare, so-
no quasi tutti importa-
ti dalla Grecia, dalla
Turchia e dalla Spa-
gna. Le cozze tarantine
hanno perso il loro
buon nome a causa, so-
prattutto, dell’ultimo
danno provocato
d a l l ’ I l v a c o n
l’inquinamento del
mar Piccolo, dove
l’allevamento dei miti-
li è stato molto ridot-
to.
“Nel mar Grande tro-
v i a m o a n c o r a
l’allevamento dei miti-
li?”
- Sì, specialmente nel-
La zona San Vito.
“In che modo le condi-zioni ambientali in-fluenzano il raccolto?”
- Il mar Piccolo ospita
sorgenti naturali di ac-
qua dolce, i co-
siddetti “citri”
che biologica-
mente contri-
buiscono ad
arricchire il
pescato. At-
tualmente la
situazione è
cambiata sia
per l’alto livel-
lo di sostanze
inquinanti ed
anche grazie
a l l ’ a b i l i t à
dell’uomo nel
gettare in mez-
zo al mare.
Il signor Salva-
tore mentre
rispondeva alle
nostre doman-
de con estrema
disponibilità e
gentilezza, in-
dicava quel
mare che bril-
lava sotto il
sole primaveri-
le, lanciando bagliori da pietra preziosa.
Tanta bellezza e ricchezza rischia di ri-
manere sterile, non offrendo più
l’habitat ideale per quelle magnifiche
creature viventi che per secoli vi hanno
vissuto. Si può ripartire solo a condizio-
ne che venga distrutta tutta l’incuria e il
disprezzo di cui l’ambiente è fatto ogget-
to. E, dopo questo, ripartire da zero.
Deborah Violante,
Raffaella Graziano,
Giulia De Roma,
Maria Fabbiano
Sondaggio: una città, i giovani ed il futuro
I ragazzi delle quinte classi provano a interrogarsi sulla realtà e sull’idea di futuro
Presi come campione 60 ra-
gazzi delle quinte classi del
“Liceo Delle Scienze Umane
Vittorino Da Feltre” di Taran-
to, è stata effettuata
un’indagine riguardante il
grado di informazione sulle
vicende che coinvolgono la cit-
tà e le prospettive future che
hanno i prossimi maturandi.
Dal sondaggio è emerso che i
r e c e n t i a v v e n i m e n t i
dell’ILVA di Taranto sono
stati seguiti da un numero
consistente di ragazzi (65%),
per i quali sarebbe auspicabi-
le la chiusura dello stabili-
mento in una percentuale del
56,6%; tra questi una buona
parte è dell’idea che sia possi-
bile il risanamento ambienta-
le (46,6%).
La quasi totalità dei ra-gazzi ritiene comunque che in 60 anni di economi-a dell’acciaio, l’ILVA non abbia procurato solo dan-ni ma anche benefici, qua-li l’incremento del lavoro e lo sviluppo del settore se-condario. Infatti sono nu-merose le famiglie per le quali il lavoro nell’ac-ciaieria costituisce la prin-cipale, se non l’unica, fon-te di reddito e quella dell’operaio metallurgico l’occupazione prevalente all’interno dei gruppi fa-miliari ormai da due gene-razioni . Il co losso dell’acciaio infatti ha fini-to per rappresentare l’unica opportunità pro-duttiva, che per una serie di incapacità progettuali e di comodi opportunismi,
non si è trasformata in
volano per un’economia
all’epoca basata sul
settore primario e sulle
attività legate
all’Arsenale ed alla ba-
se navale della Marina
Militare.
Toccando un piano più
personale, la prospetti-
va futura che emerge
maggiormente è quella
che vede i ragazzi con-
vinti di andar via dalla
città, sia per continua-
re gli studi che per cer-
care lavoro. Infatti il
16,6% sul totale reste-
rebbe a Taranto soltan-
to per la famiglia, sen-
za però nessuna pro-
gettualità rivolta al mi
glioramento della città. Organizzazione, maggiori opportunità formative e qualità di vita migliori, sono dunque le motivazio-ni che spingono i ragazzi a decidere di studiare o cer-care lavoro nelle città del Nord Italia. E’ chiaro che per i giovani il lavoro re-sta una priorità ma sono convinti dell’ importanza che esso garantisca anche una serie di principi ine-ludibili, in primis la salu-te delle persone e dell’ambiente e la creazio-ne di adeguate opportuni-tà di maturazione cultura-le e civica attraverso atti-vità che interessino tutta la cittadinanza, con una speciale attenzione per i giovani: ne è convinto il 75% degli intervistati.
Valeria Greco
Taranto a suon di musica
Contemporaneamente, giorno 1 maggio 2013, sia a
Taranto che a Roma si è tenuto un’enorme concerto
Il 1 maggio 2013 per la pri-ma volta nella storia a Ta-ranto si è svolto un concer-to, che ha avuto moltissimo successo per la partecipa-zione di quasi 40mila perso-ne.
Ad organizzare l'evento è stato il Comitato Liberi e Pensanti con la collabora-zione di Michele Riondino (l'attore che ha interpretato il Commissario Montalbano nell'omonima serie televisi-va), che ha pensato bene di portare un po’ di allegria nella città scossa dalle vi-cende ILVA.
Con questo concerto Riondi-no ha voluto trattare un te-ma molto importante che è la disoccupazione, un fatto-re che preoccupa molto Ta-ranto nonostante la presen-za di una grande industria. Proprio le problematiche ad essa collegate sono una del-le motivazioni principali del
concerto: una denuncia nei
confronti dell'inquinamento
ambientale che ha colpito
Taranto, le morti sul lavoro
e il disastro sanitario.
Il concerto è stato aperto
dalla band Sud Sound
System alle ore 14:00 poi a
susseguirsi hanno parteci-
pato a titolo gratuito
numerosi altri can-
tanti come Roy Paci,
Fido Guido e altri no-
mi del panorama mu-
sicale locale, per giun-
gere in serata ad arti-
sti come Francesco
Baccini, Raf e, a con-
clusione della serata,
Luca Barbarossa e
Fiorella Mannoia.
Il concerto si è svolto
in un’area molto am-
pia, a ridosso del
quartiere Solito-
Corvisea, nota con il
nome di Parco archeo-
logico, sistemata dal
comune qualche de-
cennio fa ma in com-
pleto abbandono da
qualche anno, a segui-
to delle tristi vicende
economiche della no-
stra amministrazione.
L’associazione organizzatrice dell’e-
vento si è assunto l’onere di rendere
agibile la grande spianata, lavorando
per giorni con uno stuolo di giovani
volontari che l’hanno ripulita da er-
bacce e rifiuti aprendola gratuitamen-
te a tutti i cittadini che, in occasione
dell’evento, si sono radunati in qua-
rantamila, convergendo da ogni angolo
della città, dalla provincia ed anche da
più lontano in piccoli gruppi organiz-
zati autonomamente. Gli stessi can-
tanti si sono esibiti gratuitamente, tal-
volta con strumenti musicali non sem-
pre adeguati, offrendo comunque un
grande spettacolo alla città, che ha vi-
sto spesa generosamente la loro alta
professionalità.
L'evento, svolgendosi in una non-stop
dalle dieci del mattino, con dibattiti e
tavole rotonde e, a partire dalle quat-
tordici, con le esibizioni musicali sino
alla mezzanotte, è stato parallelo al
grande concerto del primo Maggio che
si tiene ogni anno a Roma.
Tra il vasto pubblico che vedeva gomi-
to a gomito tutte le generazioni, c'era-
no soprattutto molti giovani che si so-
no sentiti vicini come non mai alla
causa, dando dimostrazione dell'unità
che lega tutti i cittadini di Taranto.
Molto sostenuto anche dai media soprat-
tutto locali, che hanno fatto pubblicità
all'evento, rendendo così possibile la parte-
cipazione di tanti.
L'iniziativa, una novità per il nostro terri-
torio, è stata accolta molto bene da tutti
perché sì è vissuta una serata senz’altro
piacevole e divertente, che, accanto al pia-
cere della musica, ha stimolato la riflessio-
ne su tematiche tanto delicate ed impor-
tanti.
Clara Pulpito, Elisa Borghese,
Elvisa De Santis, Francesca Soprano, Nadia Campanella
Taranto: due volti, due realtà
Il perché del sostegno alla candidatura a capitale europea della cultura 2019.
Taranto è sempre stata la
migliore candidata puglie-
se per l'istituzione annuale
di una capitale europea
della cultura. Essa merite-
rebbe questo titolo per la
sua importante posizione
strategica, per il suo peso
nell'economia pugliese e
nazionale, nonché per il
prezzo che paga senza otte-
nere alcuna contropartita,
né in termini di investi-
menti né di servizi.
E’ giunto il momento di
ricordare che nella no-
stra città è presente un
enorme patrimonio cul-
turale: è ricca di monu-
menti e resti archeologi-
ci di grande importanza
storica, appartenenti a
diverse epoche, a partire
dall’età precedente alla
colonizzazione greca.
Un esempio è rappresentato
dai resti del tempio dorico
all’ingresso della città vec-
chia, dalle necropoli greco-
romane e dalle tombe a ca-
mera disseminate all’in-
terno dei quartieri Borgo,
Solito, Italia; inoltre
all’interno della città vec-
chia sorgono antichi palazzi
nobiliari, alcuni dei quali
acquisiti dell’amministra-
zione comunale come palaz-
zo Pantaleo, palazzo Amati,
palazzo Delli Ponti, palazzo
d’Ayala Valva ed altri anco-
ra, costruiti intorno al XVI-
XVII sec., molto spesso su
rovine di siti più antichi, in-
globati al loro interno sotto
forma di affascinanti ipogei.
Importanti resti archeologi-
ci sono custoditi anche nel
museo Diocesano, sviluppa-
to su 4 piani, all’interno del
quale, nel seminterrato, tro-
viamo i resti di un antico
villaggio Iapigio, antica po-
polazione italica.
Costruito nel 1071, in oc-
casione d i lavori
d’ingrandimento fatti e-
seguire dall’arcivescovo
normanno Drogone, nei
secoli il Palazzo è stato
variamente modificato e
rimaneggiato; attual-
mente la residenza
dell’Arcivescovo è una
bella costruzione, dotata
di ampi saloni finemente
d e c o r a t i , d i
un’importante biblioteca
e custodisce una notevo-
le serie di dipinti prove-
nienti dal Duomo, fra i
quali spiccano alcune
opere di Corrado Gia-
quinto, di Leonardo An-
tonio Olivieri e del Fino-
glia. Ospita inoltre colle-
zioni di oggetti preziosi
come il cosiddetto tesoro
di San Cataldo e il Topa-
zio di Re Ferdinando II.
(Foto: Palazzo Pantaleo)
(Foto: palazzo Amati)
(Foto: castello aragonese)
Altro luogo senz’altro degno
di visita è il Museo Naziona-
le Archeologico, noto con il
nome di Martà, che fu isti-
tuito nel 1887. Esso sorge
nel borgo antico, nei pressi
d e l P o n t e g i r e v o l e
all’interno della struttura
dell’antico convento dei frati
Alcantarini che risale alla
metà del XVIII secolo. Es-
so, nelle sale recentemente
ristrutturate, ospita impor-
tanti collezioni apule, ma-
gno greche e romane, che
illustrano lo snodarsi della
storia di Taranto e del suo
territorio a partire dalla
preistoria. Famosi sono
gli “ori di Taranto”, il ric-
co vasellame, la statua-
ria ed i resti monumen-
tali di età magno greca e
romana.
Oltre a ciò la città ha u-
na ricca varietà di testi-
monianze relative alla
forte devozione per la re-
ligione cattolica, come il
Duomo, costruito sui re-
sti di un antico tempio
pagano, o su una primiti-
va chiesa greco-romana
del III- IV, fondato da
San Cataldo tra il VI e il
VII secolo. Si ritiene che
la prima basilica sia sta
-
ta molto danneggiata dalla incursioni
saracene e che l’edificio attuale risalga
al 1071 quando, nel corso di lavori di
ampliamento, furono qui ritrovate le
spoglie di San Cataldo, cui il tempio fu
dedicato. Al suo interno si trova il Cap-
pellone che custodisce la statua
d’argento del Santo, all’interno di un
ambiente impreziosito da mosaici poli-
cromi di marmo e da statue, opera di im-
portanti artisti napoletani del’600.
(Foto: chiesa di S. Domenico)
Altra bellezza culturale è il Complesso di
San Domenico, formato dalla chiesa e
dall’annesso convento che sorge dove, in
età bizantina, esisteva una chiesa dedicata
al culto di San Pietro Imperiale; questa
chiesa fu eretta prima del IX secolo, sui
resti di un tempio greco del V secolo a.C.
La chiesa attuale fu ricostruita intorno al
1302 dal nobile Giovanni Taurisano, che
faceva parte del seguito di Carlo I D’Angiò.
Nella parte nuova della città sorge la Con-
cattedrale, esempio di architettura moder-
na eretta nel 1970. Artefice fu il famoso
architetto milanese Giò Ponti, che, oltre a
stendere il progetto, diresse i lavori di co-
struzione e intervenne anche nella decora-
zione degli interni.
Monumento difensivo è il Castello Arago-
nese, costruito nel X secolo per fronteggia-
re le frequenti invasioni dei Turchi. La
struttura originaria fu modificata nel peri-
odo normanno-svevo-angioino. Ingrandito
da Alfonso D'Aragona intorno al 1460, il
castello fu poi ricostruito – tra il 1487 e il
1492 – da Ferdinando II D’Aragona, su
progetto dell’architetto senese Francesco
di Giorgio Martini. In particolare, furono
innalzati dei bastioni, il Castello fu muni-
to di artiglieria e attorno ad esso fu scava-
to un lungo fossato dal Mar Grande al Mar
Piccolo, divenuto l’attuale Canale naviga-
bile sul quale, a fine ‘800, fu costruito il
Ponte girevole, importante esempio di in-
gegneria meccanica. Nel Settecento il Ca-
stello fu adibito a carcere; dal 1887 è sede
(Foto: schiacciano-ci di età el-
lenica-museo di Taranto)
del Comando della Marina Militare.
Tante altre sono le bellezze che la città
contiene e che sino ad oggi sicuramente
non sono state correttamente valorizza-
te, come gioielli contenuti in uno scrigno
gelosamente tenuto chiuso per un qual-
che malevolo sortilegio.
Ora finalmente l’incantesimo si è spez-
zato e soprattutto i giovani vogliono che
i tesori siano riconosciuti e mostrati a
quanti, nel nostro paese e all’estero, ab-
biano il desiderio di ammirarli.
«In questi mesi il prezzo di essere una città-stato è chiaro a tutti. Se vogliamo guardare oltre l’acciaio candidiamo Ta-ranto a capitale europea della cultura, ripartiamo da un lavoro più volte comin-ciato e più volte interrotto; è dunque un dovere dei pugliesi e degli italiani.»
Così afferma Alfonso Musci in un suo
articolo pubblicato sul “Quotidiano di
Puglia” del 10 aprile 2013 attraverso il
quale, con le sue proposte per il futuro,
invita i giovani a recuperare le loro radi-
ci al fine di rilanciare un’idea di futuro e
di sviluppo sociale, culturale, economico,
perché senz’altro ne vale la pena.
Maria Caniglia, Martina Provenzale
Classe 2 A scienze umane:
Arnó Alessandra, Caniglia Maria, Cardone Valeria, Cassese Martina, De Roma Giulia, De Santis Elvisa, Fabbiano Maria, Farina Francesca, Farina Valentina, Fella Laura, Fina Alessia, Fina Valentina, Graziano Raffaella, Greco Valeria, Ligorio Noemi, Matarrese Stefania, Piemonte Claudia, Solito Marianna, Soprano Francesca, Spinelli Giulia, Stampete Francesca, Violante Deborah
Classe 3A scienze umane:
Amati Sophia Borghese Elisa Campanella Nadia Casale Sabrina Cataldi Anna Convertini Valentina Cristello Francesca Dalla Rena Chiara Mancini Gaia Perrone Egidia Pulpito M. Chiara Quero Shana Sansolino Elsa Stigliano Simona Suriano Sara Tricolore M. Rebecca Valentini Mara Versace Sara
Docenti:
Giuranna Carmen Palomba Antonietta Quirini Rosalba
Collaborazioni:
Leo Corvace (resp. prov. Legambiente) Classi V del liceo Abitanti quartiere Tamburi Associazione TGS Delfino