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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTÀ DI SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI
Corso di Laurea in:
VALORIZZAZIONE E TUTELA DELL’AMBIENTE E DEL
TERRITORIO MONTANO
Monitoraggio del suolo e della vegetazione in un’area interessata
da interventi di ingegneria naturalistica: l’Alpe Mola (Edolo-BS)
Relatore: Prof.ssa Annamaria Giorgi
Correlatore: Dott. Luca Giupponi
Elaborato finale di: Centurioni Francesco
Matricola: 840415
Anno accademico 2016/2017
2
RIASSUNTO
In questo elaborato viene messa in risalto l’importanza del monitoraggio del suolo e della
vegetazione in aree montane interessate da interventi di ingegneria naturalistica eseguiti in
seguito a frane. Nello specifico è stato monitorato il suolo e la vegetazione di una parte
dell’Alpe Mola che è localizzata al di sopra dell’ abitato di Edolo in Valle Camonica (BS). In
tale area si sono verificati vari fenomeni franosi (calanchi) che ne hanno alterato in parte
l’assetto territoriale e paesaggistico. Nel 2014 l’area di studio è stata interessata da opere di
ingegneria naturalistica (realizzate dal Consorzio Forestale Alta Valle Camonica) volte alla
stabilizzazione del suolo e alla minimizzazione dell’ impatto ambientale. Grazie allo studio della
vegetazione che oggi ricopre sia l’area interessata dagli interventi di ingegneria naturalistica che
le aree ad essa adiacenti, è stato possibile identificare diverse comunità vegetali presenti e
ricavare, attraverso l’impiego di appositi indici floristico-vegetazionali, il grado di disturbo a cui
sono soggette e le loro caratteristiche ecologiche. L’analisi floristico-vegetazionale ed ecologica
è stata utile per valutare il successo delle opere realizzate e per ricavare un modello che descrive
la dinamica di vegetazione dell’area di studio. Oltre all’analisi della vegetazione sono state
condotte le analisi chimico-fisiche dei suoli presenti nell’area interessata dai lavori di
stabilizzazione del suolo e in quelle adiacenti. In particolare in ogni area dove sono stati svolti i
rilievi della vegetazione sono stati anche raccolti campioni di suolo dei quali è stata condotta
l’analisi della tessitura, del carbonio organico, dell’azoto totale ed è stato misurato pH. Le
caratteristiche ecologiche delle comunità vegetali sono state confrontate con le informazioni
ricavate dalle analisi del suolo, dunque commentate. Infine, in base ai risultati ottenuti dalle
analisi floristico-vegetazionali e pedologiche è stata messa in risalto l’importanza dello studio
(monitoraggio) delle aree interessate da interventi di ingegneria naturalistica, se non altro per
l’utilità che può avere per migliorare le tecniche future.
3
INDICE
1. INTRODUZIONE …………………………………………………….……….………….…..5
1.1 Importanza del monitoraggio di un’area interessata da ingegneria naturalistica …...…..5
1.2 Scopo del lavoro ………………………………………………………………………..….....6
1.3 Dissesto idrogeologico in ambiente montano e ingegneria naturalistica ……………....….7
1.3.1 Ingegneria naturalistica …………………………………………………………….…..….8
1.3.2 Funzioni delle opere realizzate con tecniche d’ingegneria naturalistica …………….…...11
2. AREA DI STUDIO ……………………………………………………………….….……...13
1.2 Alpe Mola ………………………………………………………………………….….….….13
1.2.1 Inquadramento geografico-territoriale ………………………………………….……..…13
1.2.2 Inquadramento climatico ………………………………………………………….….......14
1.2.3 Inquadramento fitoclimatico e piani altitudinali …………………….…….…….…….…16
1.2.4 Inquadramento geo-pedologico ………………………………………………….….…....18
2.2 I calanchi di Mola ………………………………………………………………………......19
2.2.1 Opere realizzate per la stabilizzazione del suolo ……….…..…….……….……..…….…21
3. MATERIALI E METODI ………………………...…………………………..………..…24
1.3 Analisi della vegetazione …………………………………….…………………..…….…...24
1.3.1 Il Rilievo Fitosociologico …………………….……….…….…………………….………24
1.3.2 Gli Indici ecologici di Landolt …………………………………………………….…..….25
1.3.3 Cluster analysis ……………………………………………………………...……..…..…26
1.3.4 L’indice Ecologico di Maturità (EIM) ………………………………………….….….….29
1.3.5 L’Indice di Successo Ecologico (IES) …………………….………………….…..….........31
2.3 Analisi del suolo …………………………………………………………………….……….32
2.3.1 Analisi fisiche: ……………………………………………………………………....….....32
2.3.1.1 Tessitura …………………………………………………………………….……….....32
2.3.1.2 Profondità del suolo con radici ……………………….……………………………......36
2.3.2 Analisi chimiche: ………………………………………….……………………………....37
2.3.2.1 pH ………………………………………………………….………………………......37
2.3.2.2 Carbonio e Sostanza organica ……………………………….………………………...38
2.3.2.3 Azoto totale ……………………………………………………….……………….......40
4. RISULTATI ………………………………………………………….………………..…....41
1.4 Vegetazione ………………………………………………..…………………………….….41
1.4.1 Tipologie di vegetazione …………………………………………………………...……..41
1.4.1.1 Cluster A: Comunità a Poa variegata – Festuca nigrescens …………….…..…….….43
4
1.4.1.2 Cluster B: Comunità a Trifolium repens – Lolium perenne ………….……….…..….44
1.4.1.3 Cluster C: Pecceta montana ………………………………………….….……..…….46
1.4.1.4 Cluster D1: Comunità a Larix decidua – Juniperus communis ……….…..…….…....47
1.4.1.5 Cluster D2: Comunità a Anthyllis vulneraria – Tolpis staticifolia ………….…..…....48
1.4.2 Carta della vegetazione …………………………………………………………….…......49
1.4.3 Ecologia delle comunità vegetali …………………………………….…….………..……50
1.4.4 Valori di EIM e IES …………………………………………………….……….……..….51
1.4.5 Dinamica di vegetazione …………………………………………………….…..….…….52
2.4 Suolo …………………………………………………………………………….…………...54
2.4.1 Analisi fisiche: ……………………………………………………………….……..……..54
2.4.1.1 Tessitura ……………………………………………….………………….……...……54
2.4.1.2 Rapporto scheletro/terra fine ……………………………….………….……………....55
2.4.1.3 Profondità del terreno con radici …………….………….………………...……….......56
2.4.2 Analisi chimiche:………………………………………………….………………….…....56
2.4.2.1 pH ………………………………………………….………………………………....56
2.4.2.2 Sostanza organica ……………….………………………………………..……….….57
2.4.2.3 Azoto totale …………………………………………………….…………….….…...58
5. DISCUSSIONE DEI RISULTATI ………………………………………………….……..58
6. CONCLUSIONI ………………………………………………………………..…….…..…64
7. RINGRAZIAMENTI ……………………………………………………….………...….…65
8. BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………….…...……66
9. ALLEGATI: Tabella dei rilievi …………………………………………...….…….……...68
5
1. INTRODUZIONE
La tematica principale, che mi ha spinto a sviluppare con interesse questo elaborato, è senza
dubbio quella dell’importanza che ogni ecosistema naturale o semi naturale riveste nel rendere il
più variegato e eterogeneo possibile l’ambiente che ci circonda, soprattutto se prendiamo in
considerazione l’ambiente di montagna. La montagna (e ciò che ne fa parte) viene da sempre
utilizzata e sfruttata dall’ uomo, basti pensare alle aree sottratte al bosco per creare i pascoli o i
prati. Oggi questi ecosistemi ( prati e pascoli), per buona parte creati dall’ uomo rappresentano
una ricchezza dal punto di vista della biodiversità e possiedono un elevato valore paesaggistico
che nel tempo però potrebbe andar perduto. Varie sono le cause che stanno portando alla
compressione dei prati e dei pascoli montani, una di queste è rappresentata dai fenomeni erosivi
(frane e smottamenti) che, nei casi peggiori, possono arrecare danni all’ uomo e/o alle sue
attività. È quindi di fondamentale importanza gestire in maniera adeguata le aree montane
interessate da fenomeni erosivi utilizzando strumenti e tecniche innovative come quelle
dell’ingegneria naturalistica. È altresì importante monitorare le aree interessate da interventi di
stabilizzazione del suolo per comprendere quali siano i metodi migliori che siano in grado di
consolidare un versante minimizzando l’ impatto antropico, dunque sviluppare nuove tecniche
(e/o materiali) che consentono di migliorare quelle attuali.
1.1 Importanza del monitoraggio di un’area interessata da ingegneria
naturalistica
Molte volte non è sufficiente solo mettere in sicurezza un’area interessata da destabilizzazione di
suolo, è anche di fondamentale importanza attuare azioni di monitoraggio in modo tale da avere
un’idea dell’ecosistema che si è venuto a creare, e dei processi che lo regolano. Il monitoraggio
di un’area interessata da interventi di ingegneria naturalistica consiste, fra le altre cose
nell’analizzare il suolo e la vegetazione che caratterizzano tale area che è importante per capire
se le opere svolte hanno avuto successo o meno (Giupponi et al.2017). La valutazione
dell’efficacia di tali opere (in continuo perfezionamento), è quindi importante per migliorare gli
interventi futuri, in funzione anche dell’entità del dissesto idrogeologico. L’analisi della
vegetazione, in aree stabilizzate con interventi di ingegneria naturalistica, permette di identificare
le tipologie di vegetazione che caratterizzano l’intero ecosistema e capire a che tipo di disturbo
sono soggette e con quale intensità. Attraverso le informazioni restituite dall’analisi della
vegetazione si possono inoltre dedurre le probabili dinamiche della vegetazione, utili per capire
come potrebbe evolvere l’ecosistema dopo la fine dei lavori. A tal fine è anche importante
6
analizzare la vegetazione delle aree adiacenti ad un fenomeno di dissesto in quanto ci permette
di capire se la dinamica della vegetazione di un’area interessata dai lavori di stabilizzazione del
suolo sta seguendo un processo naturale o meno. Oltre allo studio della vegetazione, può essere
analizzato anche il suolo su cui ogni comunità vegetale cresce e si afferma, in modo tale da
ottenere informazioni sulle principali caratteristiche edafiche che influenzano la vita delle piante
e quindi capire per quali motivi si sviluppa un certo tipo di vegetazione. Le analisi del suolo
possono comprendere sia analisi fisiche come la determinazione della tessitura, che chimiche
come la stima del quantitativo di sostanza organica. Il monitoraggio della copertura vegetale e
del suolo di un’area interessata da opere di ingegneria naturalistica permette di acquisire una
moltitudine di informazioni che consentono di descrivere con buona accuratezza un dato
ambiente valutando anche gli effetti dovuti all’azione dell’uomo. Ancora oggi però, in molti casi,
non vengono adottati piani di monitoraggio a seguito degli interventi di ingegneria naturalistica
(per mancanza di fondi e non solo), che invece dovrebbero essere di primaria importanza per
chiarire come sono stati svolti i lavori e quindi se hanno avuto o meno successo.
1.2 Scopo del lavoro
In questo lavoro è stato analizzato il suolo e la vegetazione in un’area (Alpe Mola) interessata da
interventi di ingegneria naturalistica, (e delle aree adiacenti ad essa) a al fine di identificate le
tipologie di vegetazione presenti a due anni dalla fine dei lavori e definire le loro caratteristiche
ecologiche. Un altro scopo, associato all’analisi della vegetazione, è stato valutare il successo
delle opere di ingegneria naturalistica (utilizzando degli indici floristico-vegetazionali
recentemente proposti da Giupponi et al. (2015, 2017)) attraverso la misura dei disturbi a cui
sono soggette le comunità vegetali. Sono stati analizzati anche i suoli dell’ area interessata dalle
opere di stabilizzazione del suolo (e delle aree ad essa adiacenti) determinando alcune delle
proprietà fisiche e chimiche, ciò al fine di avere un’ idea delle caratteristiche di tali suoli. Quindi
è stato possibile: confrontare le informazioni ricavate dall’analisi del suolo con le caratteristiche
ecologiche delle comunità vegetali, formulare alcune considerazioni sui lavori svolti ed elaborare
un modello che descriva le possibili dinamiche della vegetazione dell’area interessata dagli
interventi di ingegneria naturalistica ( e delle aree ad essa adiacenti). Tutto ciò al fine di acquisire
informazioni sulle caratteristiche dell’area di studio che possano essere utili per il caso in esame
ma anche per situazioni simili a quella monitorata, dove vengono utilizzate le tecniche
dell’ingegneria naturalistica per la stabilizzazione dei versanti e per limitare la perdita di suolo e
biodiversità.
7
1.3 Dissesto idrogeologico in ambiente montano e ingegneria naturalistica
Leonardo da Vinci con la frase “L’acqua disfa li monti e riempie le valli, e vorrebbe la terra in
perfetta sfericità, s’ella potesse” traeva le sue conclusioni dall’osservazione in natura dei
processi di erosione/trasporto solido. L’erosione idrica (dei versanti, dell’alveo, delle sponde) è
quindi un processo assolutamente naturale, grazie al quale, nel corso di milioni di anni, si sono
formate (e continuano a formarsi) le valli e le pianure. Può essere un processo lento e uniforme,
ma può avvenire anche con eventi eccezionali (le frane) che trasportano a valle grandi quantità di
roccia e terreno. Naturalmente quando un processo erosivo minaccia di distruggere ambienti
naturali interessanti ricchi di biodiversità o a maggior ragione le popolazioni allora è doveroso
cercare di limitarne l’effetto cercando di ottenere un giusto compromesso ma sempre con occhio
di riguardo all’ambiente e a ciò che lo costituisce. L’ambiente montano è stato, ed è ancora oggi,
interessato da fenomeni di destabilizzazione del suolo. Molte sono le cause che provocano le
frane ma solitamente questi fenomeni avvengono ad opera dell’acqua che genera alluvioni con
trasporto di depositi da monte a valle. Queste movimentazioni di suolo più acqua sono fenomeni
naturali che caratterizzano buona parte del territorio montano a cui non fa eccezione la Valle
Camonica. Ovviamente non tutti questi fenomeni possiedono un’intensità distruttiva
paragonabile tra di loro ma molto spesso, con il sopraggiungere del maltempo, si può assistere a
frane o alluvioni di una certa importanza tali da provocare ingenti danni sia a cose che a persone
ma anche all’ecosistema in se. Per questi motivi è di fondamentale importanza mettere in
sicurezza le aree interessate da destabilizzazione di suolo in modo tale da prevenire, se possibile,
l’instaurarsi di nuovi eventi che possono causare la perdita di suolo e biodiversità. Oltre alla
prevenzione, una volta deciso come impostare il piano di gestione e quindi come intervenire per
contenere il più possibile il dissesto, è buona cosa sottolineare l’importanza della manutenzione
sia delle opere e sia dello stato di equilibrio del sistema caratterizzato. Ciò consente di impedirne
l’estensione e le ripercussioni sui territori più a valle caratterizzati da insediamenti abitativi e
produttivi. Le situazioni di dissesto possono essere sanate attraverso opere a carattere idraulico-
forestale, che hanno come obiettivo quello di riportare le aree dissestate in una situazione di
equilibrio. Esso infatti può essere raggiunto solo attraverso lo svolgimento di interventi mirati e
combinati tra alveo e versante, agendo alla base del problema. Per quanto riguarda i fenomeni di
dissesto idrogeologico, alcuni studiosi affermano che non si possa chiamare “dissesto
idrogeologico” il fenomeno dell’erosione, ovvero la tendenza delle acque ad erodere il suolo e le
rocce e a provocare frane, perché soprattutto in un paese con montagne “giovani” come l’Italia,
si tratta di una condizione naturale fisiologica, non patologica. Intervenire per fermare tale
8
tendenza è semplicemente impossibile. Quello che possiamo fare è cercare di adattarci il più
possibile ad essa (evitando di costruire in zone sbagliate, evitando di alterare il bilancio dei
sedimenti nei bacini idrografici) e cercare di contrastare i fenomeni naturali dove è veramente
necessario, concentrando gli sforzi su poche opere irrinunciabili che vanno attentamente
progettate, realizzate e mantenute. Negli ultimi anni in ambiente montano (e non solo) si è
cercato di abbandonare la creazione di opere di sistemazione idraulico forestale convenzionali
come la creazione di strutture in calcestruzzo e altri materiali inerti in quanto, oltre a
rappresentare un impatto visivo sul territorio, non favoriscono in alcun modo un aumento di
naturalità ambientale e pertanto non provocano l’innescarsi dei processi eco sistemici che invece
vengono promossi e valorizzati attraverso la creazione di opere di ingegneria naturalistica.
L’utilizzo di materiali vivi come piante radicate, talee o miscugli di sementi, consentono invece
di aiutare l’ecosistema a rigenerarsi e quindi di rendere meno difficoltoso e più rapido il processo
evolutivo. Uno dei luoghi comuni più diffusi sul rischio idrogeologico è che esso dipenda dalla
mancata “manutenzione del territorio”, in particolare nelle zone di montagna e collina. Si
attribuisce così il dissesto all’ “abbandono della montagna” ma se vengono analizzati gli effetti
reali dell’abbandono di aree create dall’ uomo come ad esempio i pascoli, ci rendiamo conto che
molto raramente la mancata manutenzione può essere la causa del dissesto. L’abbandono dei
pascoli lascia il posto alla ricolonizzazione da parte della vegetazione che si insedia
spontaneamente portando in pochi anni ad una copertura di arbusti e, negli anni successivi, al
bosco. Tale copertura forestale è la più efficace opera di protezione del suolo e di riduzione del
rischio idraulico a valle: le radici di alberi e arbusti ben più profonde ed estese di quelle delle
specie erbacee consolidano il terreno, mentre le chiome trattengono la pioggia, aumentando il
tempo che le acque impiegano per giungere al corso d’acqua recettore (hanno quindi un effetto
positivo dal punto di vista “idrologico”).
1.3.1 L’ Ingegneria Naturalistica
È ampiamente riconosciuto che la diffusione dell’ingegneria naturalistica ( o bioingegneria del
suolo) è stata resa possibile grazie ai lavori di Hugo Meinhard Schiechtl (1980) che attraverso le
sue instancabili attività di diffusione condivise le tecniche di bioingegneria del suolo con molti
paesi in tutto il mondo. Inizialmente era la scarsità di risorse finanziarie che spinsero Schiechtl
nell’utilizzo della vegetazione invece che materiali più costosi. Nel 1948 fu assunto dalla sezione
tirolese del Wildbach und Lavinen Verbau (WLV) con l’obiettivo specifico di studiare l’uso della
vegetazione nelle opere di stabilizzazione e scoprì il grande potenziale delle tecniche a verde in
un mondo in rapida evoluzione. I libri di Schiechtl sono stati tradotti in molte lingue e in
9
particolare l’edizione in inglese del suo libro fondamentale Sicherungsarbeiten im
Landschafsbau (Schiechtl 1973) ha aperto la disciplina ad un pubblico internazionale ed ha
avviato una “moderna” bioingegneria del suolo. Di seguito vengono riportate alcune delle
definizioni di ingegneria naturalistica:
“l’Ingegneria Naturalistica è il costruire nell’ambiente con materiali vivi e conoscenze
naturalistiche avendo come obbiettivo la creazione di ecosistemi che siano in grado di
autosostenersi.” (Schiechtl 1993)
Una delle definizioni più complete della bioingegneria del suolo, è stata data da Sotir (1990):
“La Bioingegneria del suolo è un vero sistema di rinforzo del terreno, non solo un sistema di
rivegetazione della superficie. Si tratta di una tecnologia altamente sviluppata che offre una
soluzione alternativa a molti problemi di erosione di sedimentazioni superficiali e di rifiuti di
massa, una soluzione spesso più immediata e permanente rispetto a quella convenzionale.”
(Sotir 1990)
“Tipicamente si usano le piante e le porzioni di piante come materiale vivo in modo che
durante la loro crescita contribuiscano fondamentalmente alla stabilizzazione a lungo termine.
Nelle fasi iniziali, c’è generalmente una necessità di combinazione con il materiale morto.”
(Stiles 1988)
L’ingegneria naturalistica mette a disposizione una varietà di tecniche, particolarmente efficaci
per la sistemazione dei corsi d’acqua e per la stabilizzazione dei versanti montuosi limitando
l’azione dell’erosione ed effettuando il consolidamento dei terreni unitamente al recupero dei
processi ecologici e al reinserimento paesaggistico di ambiti degradati dal dissesto idrogeologico
o dall’attività dell’uomo. In Tabella 1 sono riportate schematicamente le tipologie di opere di
ingegneria naturalistica, confrontate con le sistemazioni idraulico-forestali convenzionali, in base
al tipo di fenomeno di dissesto idrogeologico. Le tecniche di ingegneria naturalistica hanno fra
l’altro l’obiettivo di proteggere con la vegetazione la superficie del suolo (Fig.1) dall’effetto
battente delle piogge, assicurando il corretto assorbimento nel terreno delle acque. Tale obiettivo
può essere ottenuto con la corretta gestione della vegetazione presente o con l’impiego di
tecniche che prevedono l’uso del materiale vegetale vivo e di miscugli di sementi da distribuire
sul territorio.
10
Tabella 1. Confronto tra opere di ingegneria naturalistica e opere convenzionali (Regione Piemonte
2003).
Meccanismo di
dissesto
Interventi di
sistemazione con tecniche tradizionali
Sistemazioni con
tecniche di Ingegneria Naturalistica
Altri interventi
CROLLI
Chiodature, tiranti, posa di barriere paramassi
Geosintetici antierosivi e rivegetazione, paramassi in terra rinforzata
Disgaggi, riprofilatura pendii
RIBALTAMENTI
Chiodature, tiranti, muri di sostegno
Sistemazione e rivegetazione del solo accumulo di frana
Riprofilature in roccia
SCIVOLAMENTI PLANARI
Sistemi drenanti con tecniche naturalistiche
Trincee drenanti profonde
SCIVOLAMENTI ROTAZIONALI
Muri di contenimento, consolidamenti con micropali
Palificate vive di sostegno, scogliere di contenimento rivegetate, posa di antierosivi, terre rinforzate, inerbimento
Rimodellamento dei versanti con riduzione della pendenza
COLATE
Muri di contenimento Palificate semplici, viminate, graticciate, cespugliamenti consolidanti, inerbimento superficie
SOIL SLIPS
Geosintetici e fibre naturali antierosive, palificate semplici, graticciate, viminate, cespugliamenti consolidanti,inerbimento
MOVIMENTI DI MASSA
Briglie in calcestruzzo armato, briglie filtranti
Briglie in legname e pietrame
EROSIONI IN
SCARPATE
Muri di contenimento Grate vive, sistemi di palificate vive di sostegno a doppia e singola parete
Pannelli in rete armata a contatto + antierosivi e rivegetazione
EROSIONE DI SPONDA
Muri spondali, difese in massi cementati, gabbionate
Difese in massi rivegetate, scogliere in massi vincolati, coperture diffuse, rivegetazioni spondali, palificate vive di sostegno spondale
Ricalibra ture degli alvei, allargamento della sezione di deflusso e opere di protezione spondale, inserimento paesaggistico
11
Come già detto, le opere di ingegneria naturalistica si differenziano da quelle convenzionali,
poiché sono costituite sia da materiali vegetali vivi che da materiali organici/inorganici inerti:
Materiali vegetali vivi: I semi di specie vegetali con alta capacità vegetativa, vengono utilizzati
in tutti gli interventi di rinaturalizzazione grazie alla capacità di creare piante. Molto utilizzati,
nel recupero dei versanti e lungo i corsi d’acqua, sono i semenzali e trapianti di specie arbustive
ed arboree, acquistabili a radice nuda o protetta da terra o anche in fitocella con apparato radicale
in vaso. Molto efficaci nella protezione dall’ erosione sono i rizomi, le radici, le zolle (insieme di
radici e fusti erbacei), i tappeti erbosi a rotoli. Infine le talee di specie arbustive o arboree, sono
segmenti di fusto capaci di produrre radici e attecchire rapidamente; molto utilizzate sono quelle
specie vegetali con forti e profondi apparati radicali come salici e pioppi. (Regione Piemonte
2003)
Materiali organici inerti: Sono quei materiali che non hanno capacità vegetativa come: legno,
reti di juta o fibra di cocco o di altri vegetali, stuoie in fibra di paglia o di cocco o di altri
vegetali, paglia o fieno fissati al suolo con picchetti e fili, compost a base di cellulosa, concimi
organici. Vengono utilizzati in abbinamento con i materiali vivi, in molte tecniche ad essi viene
affidata la tenuta dell’ opera nel transitorio, nell’attesa che le piante crescano e contribuiscano,
attraverso l’apparato radicale alla resistenza complessiva. (Regione Piemonte 2003)
1.3.2 Funzioni delle opere realizzate con tecniche d’ingegneria naturalistica
Le opere di ingegneria naturalistica possiedono tre importanti funzioni e possono essere
classificate come: funzione naturalistica, estetico-paesaggistica e tecnico-idrogeologica.
La funzione naturalistica, fa riferimento all’aumento di naturalità associato all’utilizzo di
vegetazione e risulta essere la funzione prevalente quando gli interventi hanno come finalità
principale la ricostruzione di ambienti naturali compromessi o la realizzazione di ambienti
paranaturali a partire da aree degradate e in generale l’aumento della biodiversità e l’innesco dei
processi ecosistemici. La seconda funzione, quella estetico-paesaggistica, rappresenta la capacità
della vegetazione nel mitigare gli impatti visivi, acustici, e inquinanti e riguarda prevalentemente
interventi d’inserimento di opere a basso impatto ambientale, in grado di creare ecosistemi-filtro
come l’inerbimento di rilievi e scarpate con elevata pendenza ma anche l’utilizzo della
vegetazione come barriera antirumore e antinquinamento. Infine la funzione tecnica o
idrogeologica delle opere d’ingegneria naturalistica è quella che permette di riequilibrare i bacini
idrografici, consolidando i versanti e proteggendo le sponde dei torrenti dall’azione erosiva
dell’acqua mettendoli in sicurezza.
12
Fig.1 Rivegetazione di un versante (a destra) in erosione stabilizzato (Mola).
Fig.2 Esempio di utilizzo del materiale vegetale vivo nelle opere di ingegneria naturalistica.
L’immagine soprastante (Fig.2) raffigura una delle molteplici tecniche di utilizzo del materiale
vegetale vivo nelle opere di ingegneria naturalistica. Tale opera chiamata gradonata viva, è molto
diffusa per la stabilizzazione dei versanti in quanto è facile da creare e permette di stabilizzare in
modo efficace il terreno unitamente alla capacità delle talee di originare radici avventizie in
grado di approfondirsi nel terreno. Il vantaggio di tali opere sta nel ottenere sia una buona
copertura del terreno da parte delle chiome dei cespugli, in grado di intercettare le precipitazioni,
sia di mitigare l’impatto visivo arrecato dal suolo franato e spoglio.
13
2. AREA DI STUDIO
1.2 Alpe Mola
1.2.1 Inquadramento geografico-territoriale
L’area che è stata sottoposta a monitoraggio è una porzione dell’“Alpe Mola”, sistema di
malghe, pascoli e boschi connessi tra loro e che costituivano ( e costituiscono ancora oggi ma in
maniera minore), i tipici alpeggi dove gli allevatori, al sopraggiungere dell’estate, portavano il
bestiame al pascolo. L’appellativo “Mola” ne consegue dalla tipica caratteristica dei pascoli e
prati ubicati alle quote più basse che sono acquitrinosi e composti da specie vegetali igrofile.
L’Alpe Mola si colloca nelle Alpi Orobie Bresciane, è ubicata in alta Valle Camonica, nel
territorio comunale di Edolo (BS) in destra orografica del fiume Oglio e si trova vicinissima al
confine tra provincia di Brescia e Sondrio (Fig.3). Essa si sviluppa tra i 1600 e i 2300 m s.l.m.
L’area è esposta prevalentemente a Sud, Sud-Est ed è attraversata dalla Linea Insubrica, che
rappresenta la linea tettonica di scontro tra la placca europea e la placca africana (Schimid et al
1989). Il lavoro svolto durante il tirocinio è stato condotto limitandosi allo studio di una
porzione dell’Alpe Mola: quella interessata dalle opere di ingegneria naturalistica svolte per
stabilizzare un versante soggetto a continui franamenti e quella rappresentata dalle aree
adiacenti. I fenomeni di dissesto in esame sono ubicati nell’ambito torrentizio della val di Sacco,
valle glaciale dalla tipica forma a U. L’instabilità del versante dove si è intervenuti per la
stabilizzazione del suolo era dovuta alla presenza di sorgenti che scorrendo superficialmente
hanno insistito, nel tempo, a modificare il paesaggio e l’assetto del suolo (perdita di pascolo) fino
ad arrivare a provocare vere e proprie frane con relativo distaccamento e trasporto a valle di
elevate quantità di detriti. Tutto questo è stato aggravato dalle pendenze elevate dei versanti, su
cui giacciono i pascoli le praterie e il bosco, che hanno facilitato i processi di destabilizzazione
del suolo. La pericolosità apportata all’ambiente naturale e non solo (malghe e strade) ha portato
alla messa in sicurezza dell’area mediante opere di ingegneria naturalistica nell’estate del 2014.
L’area interessata dalle opere è compresa in un intervallo altitudinale che va da circa 1650 m a
1750m s.l.m. L’area monitorata occupa all’incirca 13.500 m2
e rientra nel Distretto Geobotanico
dell’alta Valle Camonica (Andreis 2002). L’Alpe Mola era, ed è ancora oggi, un’area
significativa sia dal punto di vista storico che naturalistico. Sono state oggetto di studio anche le
are adiacenti alla zona d’intervento, quali il pascolo (confine est dell’ area franata) costituito
prevalentemente da essenze prative come Festuca nigrescens e Nardus stricta idicatori di sovra
pascolo e Poa alpina ed altre (Gusmeroli and Pozzoli 2003). Oltre al pascolo, è presente
tutt’intorno all’area franata, una foresta costituita da Larix decidua, Picea abies e arbusti.
14
Fig.3 Ubicazione dell’area di studio (cerchio rosso).
1.2.2 Inquadramento climatico
Trovandosi in una delle zone più a nord della regione Lombarda (oltre che della Valle
Camonica), l’area di studio presenta un clima di tipo continentale che si differenzia da quello più
sub litoraneo e padano (caratteristico della pianura bresciana e delle aree limitrofe al lago d’Iseo)
per via delle precipitazioni e delle temperature registrate. Le precipitazioni nevose sono frequenti
e maggiormente abbondanti salendo in quota dove la neve è in grado anche di resistere
maggiormente allo scioglimento estivo. Durante la stagione estiva sono frequenti i temporali,
portati dai venti provenienti da Nord (Valtellina) e Nord–Est (Passo del Tonale) (Nigrelli, 2008).
Non essendoci stazioni di rilevamento meteorologico dell’area monitorata vengono riportati, in
Tabella 2, i dati relativi alle temperature medie mensili delle stazioni limitrofe di Temù (1155m
s.l.m) e del Lago d’Avio (1902m s.l.m, Comune di Edolo).
15
Tabella 2. Temperature medie mensili (Salvetti 1997).
Per quanto riguarda i dati pluviometrici la Tabella 3 mostra l’andamento delle precipitazioni
relative alle stazioni di Edolo (700m s.l.m) e Vezza d’Oglio (1080m s.l.m). Il regime
pluviometrico è di tipo continentale e la piovosità media annua è di circa 1000 mm concentrati
tra il mese di maggio e di novembre con picchi durante la stagione estiva.
Tabella 3. Precipitazioni medie mensili (Salvetti 1997).
I dati meteorologici riferiti alle stazioni limitrofe, rispetto all’area monitorata, potrebbero subire
alcune variazioni, soprattutto per quanto riguarda le temperature.
Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.
Temù -6,9 -3,5 1 5,7 9,5 13,2 15 14,2 11,7 6,8 0,3 -5,9
Lago d'Avio -4,7 -3,8 -1,6 1,8 5,8 9,7 12,3 12 10 6,6 0,3 -3,9
-10
-5
0
5
10
15
20
Tem
pe
ratu
re m
ed
ie m
en
sili
°C
Temù
Lago d'Avio
Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.
Edolo 34,2 39,8 57,2 73 98,9 104 112 110 106 102 115 46,1
Vezza d'Oglio
33,4 40,2 57 74,6 108 120 116 129 111 93 103 51,5
0
20
40
60
80
100
120
140
Pre
cip
itaz
ion
i in
mm
Edolo
Vezza d'Oglio
16
1.2.3 Inquadramento fitoclimatico e piani altitudinali
Per zona fitoclimatica s’intende la distribuzione geografica, associata a parametri climatici, di
un’associazione vegetale rappresentativa composta da specie simili per quanto riguarda le
esigenze climatiche. Il presupposto su cui si basa la suddivisione del territorio in zone
fitoclimatiche è l’analogia fra associazioni vegetali simili dislocate in aree geografiche differenti
per altitudine e latitudine ma simili nel regime termico e pluviometrico. Per la determinazione
dell’inquadramento fitoclimatico è stato usato il modello elaborato da Aldo Pavari nel 1916.
Questo modello è un adattamento al contesto italiano dello schema proposto da Heinrich
Mayr (1906). La classificazione fitoclimatica di Mayr-Pavari riportata in Tabella 4 suddivide il
territorio italiano in 5 zone, ciascuna associata al nome di una specie vegetale rappresentativa:
Tabella 4. Classificazione fitoclimatica secondo Mayr-Pavari.
FITOCLIMA Limite inferiore (m) s.l.m Limite superiore (m) s.l.m Lauretum caldo (coste) 0 600-800
Lauretum freddo (interno) 0 600-800
Castanetum 0 / 600-800 800-900 / 1000-1300 Fagetum 800-900/1000-1300 1000 / 1300-2000 Picetum 1000-1300 2000
Alpinetum 2000 Limite della vegetazione
Picetum
Fisionomia
Bosco di abete rosso con partecipazione del larice (raramente anche pino silvestre).
Vegetazione costituita prevalentemente da conifere; scarsa presenza di latifoglie
visibili per lo più allo stato arbustivo nelle radure e nelle vallecole.
Struttura
Strato arboreo: compatto
Strato arbustivo: medio – povero
Strato erbaceo: ricco
Habitat
Piano montano. Prevalentemente nell’orizzonte montano inferiore se esposto a nord
mentre dall’orizzonte montano superiore fino al subalpino se esposto a sud. Zone
fresche, sopporta bene le basse temperature(fino a -30°C).
Specie
significative
Picea abies, Larix decidua, Pinus sylvestris, Pino mugo, Vaccinnum myrtillus,
vaccinum vitis – idae, Thymus alpestris, Rhododendron ferrugineum, Juniperus
communis, Sorbus aucuparia, Alnus viridis, Brachipodium rupestre, Briza media,
Luzula sieberi, Veonica camaedrys, Plantago media, Carex sempervirens,
Hieracium pilo sella
Tabella 5. Descrizione del Picetum.
17
L’Alpe Mola si estende dai 1600 m fino ad oltre i 2200-2300m s.l.m e quindi si colloca nel
Picetum . Nella seguente Tabella 5 viene descritta tale zona fitoclimatica.
Per quanto riguarda la classificazione dei piani altitudinali l’area monitorata si colloca tra
l’Orizzonte montano superiore (quello inferiore, posto ad un’altitudine più bassa, è occupato
tipicamente dalle latifoglie che non interessano la nostra area) e quello subalpino (Fig.4)
L’orizzonte montano superiore è costituto principalmente da formazioni di boschi di aghifoglie
in cui la specie più diffusa è solitamente l’abete rosso, (subordinatamente , il larice e il pino
silvestre). Nelle quote più basse i pascoli si sono formati in seguito al disboscamento praticato
dall’uomo in epoca remota. Oggi questi pascoli in via di abbandono vengono ripopolati dal
bosco, anticipato da formazioni di arbusteti di ontano verde, rododendro e ginepro.
Fig.4 Schema della distribuzione della vegetazione nei piani altitudinali e collocamento dell’Alpe Mola
(cerchio rosso).
18
1.2.4 Inquadramento geopedologico
L’area di studio è posta su un altopiano ondulato di spartiacque e presenta prevalentemente suoli
podzolici. Dal punto di vista litologico, a nord del lineamento Insubrico affiorano rocce
appartenenti alla formazione degli Gneiss del Monte Tonale mentre a sud affiorano rocce
appartenenti agli scisti di Edolo. L’intenso pascolamento stagionale ha alterato nel tempo
numerose proprietà evolutive degli orizzonti superiori del profilo. I valori del rapporto fra Fe e
Al, complessati organicamente e argille, raggiungono le soglie prescritte per la identificazione
dell’orizzonte spodico conferendo a questi terreni il termine di spodosuoli detti anche suoli
podzolici. (Previtali et al.1992).
Suoli podzolici:
Suolo tipico delle regioni a clima temperato-freddo e umido, con substrato permeabile e
copertura forestale, in particolare foreste di conifere, o a brughiera. I suoli podsolici sono anche
detti terre grigie. Il profilo presenta una tipica sequenza ABC; l’orizzonte superiore è fortemente
dilavato e lisciviato per azione dei sol umici acidi; le sostanze colloidali e ioni metallici, alcalini,
alcalino-terrosi, di ferro e di alluminio sono portati in profondità e si concentrano negli orizzonti
inferiori, che assumono colorazioni più intense, nerastre, per accumulo di humus, da brune a
rosso-giallastre, per accumulo di idrossidi e sesquiossidi. I suoli podsolici si sviluppano
prevalentemente su roccia madre di natura silicea (sabbie e arenarie), o anche su argilla.
In base alle caratteristiche fisiche e chimiche, i suoli sottostanti ai pascoli e ai boschi dell’Alpe
Mola vengono classificati come Podzol bruni. Per capire meglio come sia costituito un profilo di
suolo di questo genere, viene riportata la sequenza degli orizzonti in una situazione di versante in
erosione:
- ORIZZONTE A: (30-50 cm). Il più superficiale, rappresenta il suolo agrario, arricchito
quindi di sostanza organica. Nel complesso di colore marrone scuro con matrice limosa-
sabbiosa è attraversato dagli apparati radicali del cotico erboso fino ad una profondità di
circa 15- 20 cm.
- ORIZZONTE B: (20-50 cm). Ghiaia, ciottoli e blocchi rappresentano i depositi morenici.
Clasti con diametro medio di 15 cm.
- ORIZZONTE C: (2-5 m). Limo con ghiaia e blocchi di medie dimensioni fino a 50 cm.
Depositi glaciali. Orizzonte discontinuo e di spessore variabile.
Il substrato roccioso è ricoperto da una potente coltre di depositi glaciali. Nella parte superiore
dell’area, tali depositi sono tipicamente morenici e presentano caratteri litologici e
19
granulometrici eterogenei costituiti prevalentemente da ciottoli e ghiaie immersi in una matrice
sabbiosa, con intercalazioni limoso-argillose. A partire da quote inferiori a circa 1800m s.l.m, si
riscontra la presenza di depositi fluvioglaciali, costituiti in maggiore misura da ghiaia e sabbia
limosa e in genere caratterizzati dalla presenza di stratificazioni. La presenza di orizzonti poco
permeabili in seno o alla base dei depositi fluvioglaciali, impedisce la penetrazione delle acque
in profondità contribuendo, al contrario, ad una loro diffusa emergenza. I depositi morenici e
fluvioglaciali sono a loro volta ricoperti dai terreni agrari e dagli orizzonti vegetali; questi ultimi,
a seguito sia delle numerose venute idriche superficiali che hanno caratterizzato l’altopiano, sia
del pesante sovraccarico di bestiame in passato, sono interessati da innumerevoli rotture del
cotico erboso (Sterli 2012).
2.2 I calanchi di Mola
I fenomeni di dissesto in esame sono ubicati nell’ambito torrentizio della val di Sacco. Più in
basso, l’impluvio acquista il nome di Valle di San Sebastiano, ha caratteristiche prettamente
torrentizie e l’approfondimento del fondo del torrente, legato alla forte dinamica morfologica
venutasi a creare in seguito al ritiro dei ghiacciai ha determinato la formazione di ripide ed alte
scarpate continuamente erose al piede (Sterli 2012).
I calanchi sono un fenomeno geomorfologico erosivo provocato dall’acqua e perché si formino
sono necessarie alcune condizioni: terreno prevalentemente argilloso ma con una certa
percentuale di sabbia, versanti con pendenza elevata, esposizione preferibilmente a sud, suolo
sottile e clima caratterizzato da fenomeni temporaleschi e stagioni secche. In condizioni di
siccità le particelle di argilla aderiscono fra loro formando degli agglomerati. Quando l’argilla è
asciutta, il terreno diventa secco, formando crepe e fessure in superficie mentre quando si
bagna,rende il suolo plastico il quale si rammollisce e fluidifica facilmente. I minerali che la
compongono contengono poche sostanze nutritive facilmente utilizzabili dalle piante, che
attecchiscono faticosamente. Su un terreno argilloso secco e fessurato, l’impatto violento delle
gocce d’acqua di un temporale provoca la disgregazione di piccole particelle di terra e se la
pendenza è abbastanza elevata l’acqua scorre velocemente in superficie e nelle fessure,
asportando ulteriori particelle e creando una serie di rigagnoli (ruscellamento). Se le condizioni
del terreno sono favorevoli all’instaurarsi di un fenomeno erosivo, la velocità di erosione può
essere superiore a quella di pedogenesi (cioè alla formazione di suolo adatto ad ospitare
vegetazione) e quindi si avrà l’asportazione dei detriti a valle. Il terreno si spoglia rapidamente
del suolo, i rigagnoli s’ingrandiscono e si approfondiscono (erosione per fossi), aumentando di
20
numero, con vallecole dai fianchi ripidissimi in cui l’erosione di fondo è più veloce di quella
laterale (calanco). Un’altra causa di evoluzione di questi fenomeni è l’alternanza di cicli di gelo-
disgelo durante la stagione fredda mentre durante la stagione estiva, a causa della maggiore
insolazione, si assiste a un maggior grado di inaridimento della matrice sabbiosa-argillosa dei
depositi e quindi più vulnerabili durante eventi temporaleschi. Nella parte alta del calanco,
invece, la pendenza è così elevata che il terreno argilloso non può essere stabile: porzioni di
suolo si staccano, provocando l’arretramento del calanco fino alla sommità della collina. Proprio
per questo motivo questi fenomeni erosivi vengono anche detti regressivi in quanto regrediscono
verso monte, dove le scarpate sono continuamente erose al piede dai torrenti stessi, portando con
sé anche i residui rocciosi. Con il passare del tempo le aree erose si sono propagate
progressivamente verso le parti superiori delle pendici, dove giace la potente coltre di depositi
fluvioglaciali. Osservando documentazioni fotografiche, sono visibili più nicchie erosive di
diversa entità, alcune stabilizzate ed alcune tutt’ora attive. Con il passare degli anni, l’area erosa
si è espansa verso Nord-Est in direzione della strada e delle Baite di Mola, riducendo l’area di
pascolo. Di seguito è riportata una panoramica generale dell’area colpita da destabilizzazione
nell’ultimo ventennio (Fig.5).
Fig.5 Panoramica dell’evoluzione della frana di Mola dal 1994 al 2012.
21
2.2.1 Opere realizzate per la stabilizzazione del suolo
Al fine di stabilizzare l’area interessata da fenomeni franosi (calanchi), a partire dalla fine di
aprile 2014 fino ad ottobre 2014 sono state realizzate opere di ingegneria naturalistica
utilizzando quindi principalmente legname di larice e in alcuni casi combinandolo con pietrame,
in modo da conferire maggiore stabilità alle opere limitando anche l’impatto ambientale. La
messa in sicurezza dell’area franosa è iniziata con la regolarizzazione del versante e
contemporaneo scoronamento del ciglio di frana rendendo la superficie più uniforme. Ad inizio
lavori era stata pianificata la creazione di cinque grandi briglie disposte in maniera omogenea
sull’area dissestata, più la creazione di terre rinforzate nell’area inferiore del primo impluvio. Si
pensava che queste ultime avrebbero potuto contrastare l’attività di destabilizzazione del suolo
causato dall’acqua e che quindi avrebbero consentito un maggior trattenimento dei depositi.
Successivamente però in corso d’opera si è capito che quel tipo di intervento non avrebbe
permesso di trattenere i sedimenti a monte di esse e quindi si optò per la creazione di altre opere.
Si è quindi deciso di aumentare in numero le briglie (Fig.6), che da cinque diventarono otto.
Inoltre sempre durante lo svolgimento dei lavori si è notato che la parte più a nord dell’impluvio
necessitava di maggior stabilizzazione, dovuto al fatto che comparvero contemporaneamente
all’escavazione, delle sorgenti sottosuperficiali. Dunque sono state create cinque nuove palificate
a doppia parete, di varia lunghezza e altezza disposte a gradoni per evitare nuovi franamenti. A
sud-est dell’ area franata è stato creato un canale di scolo in legname con un sottostante tubo
drenante per l’allontanamento delle acque più tre palificate in legname (Fig.7). Infine su quasi la
totalità dell’area, sono state disposte biostuoie in juta (Fig.8) e seminato (mediante idrosemina un
miscuglio commerciale di sementi di piante erbacee) (Tabella 6), in modo da: accelerare il
processo di rinverdimento dei versanti, mitigare l’impatto ambientale visivo dato dall’erosione,
conferire maggior stabilità al terreno grazie agli apparati radicali delle essenze erbacee e
difendere il suolo dall’azione battente dell’acqua, grazie alla formazione del cotico erboso. In
Tabella 6 è riportata la composizione floristica del miscuglio di sementi impiegato. Grazie alle
opere di ingegneria naturalistica realizzate, è stato possibile contenere la progressiva perdita di
suolo ma anche di salvaguardare il più possibile la funzione trofica e paesaggistica che rivestono
i pascoli. Si è cercato anche di limitare l’impatto visivo delle opere sull’ambiente in modo tale da
mantenere una certa fisionomia del paesaggio, aspetto fondamentale delle opere di ingegneria
naturalistica per la stabilizzazione del suolo. Nel momento in cui si decide di intervenire con
l’ingegneria naturalistica è buona cosa analizzare la vegetazione che cresce sulla frana o nelle
22
aree adiacenti, in quanto ci offre un’opportunità per capire quale dovrebbe essere la situazione di
equilibrio vegetazionale da ricreare.
Fig.6 Briglie in legname costruite in Alpe Mola.
Fig.7 Palificate in legname con canale di scolo sulla destra.
23
Fig.8 Biostuoia in Juta.
Tabella 6. Composizione floristica del miscuglio per l’inerbimento (*DK , Danimarca;DE , Germania;NZ
, Nuova zelanda;A , Austria;CDN , Canada).
Specie % Paese
Festuca rubra L. 59,8 DK
Lolium perenne L. 10 DK
Festuca ovina L. 7 DK
Poa pratensis L. 6 DK
Dactylis glomerata L. 5 DK
Phleum pratense L. 3 DE
Festuca pratensis Huds 3 DK
Trifolium repens L. 2 NZ
Trifolium pratense L. 2 DE
Agrostis capillaris L. 1 NL
Trifolium hybridum L. 1 CDN
Achillea mellefolium L. 0,2 A
24
3. MATERIALI E METODI
1.3 Analisi della vegetazione
1.3.1 Il rilievo fitosociologico
La fitosociologia è la scienza che studia il manto vegetale nella sua composizione ed i rapporti di
questo con i fattori ambientali. I dati relativi alla vegetazione dell’area di studio sono stati
raccolti svolgendo vari rilievi fitosociologici secondo il metodo di Braun-Blanquet (1964). I
rilievi sono stati condotti sia nell’area interessata dalle opere di ingegneria naturalistica, sia nelle
aree ad essa adiacenti (bosco e pascolo). Per i rilievi del bosco sono state considerate superfici di
100 m2 (10m x 10m) mentre per le aree in cui era presente vegetazione erbacea o arbustiva sono
state considerate superfici di 25 m2 (5m x 5m). Per ogni area in cui si sono svolti i rilievi della
vegetazione sono state annotate anche l’inclinazione del terreno, la sua esposizione e la quota
(m). Ogni specie rilevata è stata determinata attraverso le chiavi dicotomiche di Pignatti (1982)
confrontandole poi con quanto riportato sulla Flora centro-orientale della Lombardia (Martini et
al.2012). Quindi per ogni rilievo (in totale 19) è stata stimata la copertura percentuale di ogni
strato (arboreo, arbustivo, erbaceo) più la copertura di suolo nudo. Di conseguenza è stata
stimata anche l’altezza massima di ogni strato. Ad ogni specie rilevata è stato attribuito un indice
di abbondanza-dominanza utilizzando la scala di Braun-Blanquet (1964) (Tabella 7). Ogni
rilievo è stato georeferenziato mediante l’utilizzo di un dispositivo GPS. Questo ha permesso in
un secondo momento di trovare il luogo preciso in cui sono stati effettuati i rilievi, utile per
raccogliere nel medesimo punto i campioni di suolo da analizzare ma anche per creare la carta
della vegetazione attraverso il software ArcGis. Il rilievo fitosociologico consente lo studio della
vegetazione e della sua struttura. La struttura della vegetazione indica il modo in cui le varie
componenti della copertura vegetale sono disposte. Questo metodo di rilevamento è molto usato
per lo studio della vegetazione e tra i suoi vantaggi vi è la rapidità e facilità di esecuzione e la
possibilità di elaborare statisticamente i dati. Se vogliamo attribuigli un unico svantaggio, è dato
dal fatto di basarsi su valutazioni ad occhio della copertura e che in alcuni casi potrebbero
portare ad ottenere dati di poco differenti dalla realtà.
25
Tabella 7.Iindici di abbondanza-dominanza e relative percentuali di copertura utilizzati durante i rilievi.
1.3.2 Cluster analysis
La cluster analysis, ha permesso di individuare, partendo dai dati raccolti con i 19 rilievi
fitosociologici, i gruppi di rilievi più simili dal punto di vista floristico-fisionomico. Il risultato
della cluster analysis è un grafico (dendrogramma) che rappresenta gli aggruppamenti dei rilievi
in base al loro livello di similitudine. La cluster analysis è stata svolta convertendo gli indici di
abbondanza-dominanza (Braun-Blanquet 1964) in rispettive percentuali di copertura suggerite da
Canullo et al. (2012) (Tabella 8) per poi essere elaborati attraverso il software R 3.3.2 (usando il
metodo UPGMA e, come indice, la distanza cordale).
Tabella 8. Percentuali suggerite da Canullo et al. (2012) per la cluster analysis.
Indice di abbondanza-
dominanza (Braun-Blanquet)
% di copertura
r
+
1
Rara
minore di 1%
1-5%
2 5-25%
3 25-50%
4 50-75%
5 75-100%
Indice di
abbondanza-dominanza
% di copertura
Canullo et al. (2012)
r 0,01%
+ 0,5%
1 3,0%
2 15,0%
3 37,5%
4 62,5%
5 87,5%
26
1.3.3 Indici ecologici di Landolt
Al fine di analizzare le caratteristiche ecologiche delle comunità vegetali presenti nell’area di
studio, sono stati applicati gli indici ecologici di Landolt (Landolt et al.2010) per la costruzione
degli ecogrammi. In seguito vengono descritti gli indici:
F = Indice di Umidità
Il valore di umidità rappresenta una stima dell’esigenza idrica di ciascuna specie. Valori bassi
indicano terreni con poca umidità mentre valori alti terreni molto umidi.
Tipo di terreno Valore F
Molto secco 1
Secco 1,5
Moderatamente sec c o 2
Fresco 2,5
Moderatamente umido 3
Umido 3,5
Molto umido 4
Bagnato
Immerso
4,5
5
R = Indice di pH
Il valore di Rrappresenta il contenuto di ioni H liberi nel suolo. Valori bassi indicano terreni
acidi poveri in basi mentre valori alti corrispondono a terreni basici poveri in acidi e ricchi di
basi.
Tipo di terreno Valore R
Estremamente acido pH da 2,5 a 5,5 1
Acido pH da 3,5 a 6,5 2
Da debolmente acido a debolmente basico pH da 4,5 a
7,5
3
Neutro o alcalino pH da 5,5 a 8,5 4
Da alcalino a estremamente alcalino pH da 6,5 a 8,5 5
27
H = Indice di Humus
Tale indice rappresenta il contenuto di Humus nel terreno ovvero il quantitativo di sostanza
organica morta nel suolo o sul suolo (es. lettiera). Un valore basso (1) è tipico di suoli con poco
humus mentre un valore più alto (5) indica terreni ricchi in humus.
N = Indice di Nitrofilia/Nutrienti
Il valore di nutrienti rappresenta il quantitativo di nutrienti contenuti nel suolo con maggior
riferimento all’azoto assimilabile (NH4+, NO3
--) e secondariamente al fosforo (P). Valori bassi
dell’indice corrispondono a terreni poveri in nutrienti mentre valori alti a terreni ricchi in
nutrienti.
Tipo di terreno Valore N
Altamente non fertile 1
Non fertile 2
Mediamente non fertile a mediamente fertile 3
Fertile 4
Molto fertile o troppo ricco in nutrienti 5
D = Indice di areazione
Questo indice rappresenta il grado di areazione del suolo. Terreni più fini saranno meno areati
rispetto a terreni più grossolani ricchi in scheletro. Quindi viene conferito un valore di D per
rappresentare il quantitativo di ossigeno contenuto nel suolo.
Quantità di ossigeno Valore D
Cattiva areazione 1
Areazione moderata 3
Buona areazione 5
Contenuto in humus Valore H
Poco humus o 0 humus 1
Contenuto moderato in humus 3
Alto contenuto in humus 5
28
L = Indice di luminosità
Questo indice considera il quantitativo di luce media ricevuta dalla pianta in base al tipo di
habitat che occupa. Specie con elevati valori di L sono rappresentate da piante che vivono in
situazioni di piena luce e pertanto vengono definite eliofile. Specie che possiedono valori bassi
invece rappresentano individui che necessitano di poca luce e quindi abitano zone più ombrose
(piante sciafile).
Tipo di luogo Valore L
Pienamente ombroso 1
Ombroso 2
Semi ombroso 3
Ben illuminato 4
Pienamente illuminato 5
T = Indice di temperatura
Tale indice considera la media di temperatura dell’aria durante il periodo di crescita della pianta.
Pertanto sulle Alpi corrisponde alla distribuzione delle specie lungo il gradiente altitudinale.
Valori bassi vengono conferiti a specie distribuite ad altitudini elevate mentre valori alti sono
dati a specie che crescono ad altitudini più basse.
K = indice di continentalità
L’indice di continentalità tiene conto dell’insieme dei fattori del clima che influenzano una certa
area e pertanto le specie che vi crescono. Alcuni dei fattori sono la radiazione solare, le
temperature medie invernali e l’umidità dell’aria. Questo indice indica se l’area è caratterizzata
da aria secca e da una ampia variazione di temperature (valori alti), aria umida e un range
ristretto di temperatura (valori bassi). Le specie che possiedo valori alti di K crescono in regioni
con clima continentale (valli alpine centrali) e localizzate su versanti ripidi esposti a sud spesso
Piani altitudinali Valori T
Alpino e nivale 1
Basso alpino, subalpino superiore 1,5
Subalpino 2
Subalpino inferiore e montano superiore 2,5
Montano 3
Montano inferiore e collinare superiore 3,5
Collinare 4
Collinare caldo
Collinare molto caldo
4,5
5
29
sgombri da neve. Specie con bassi valori di k sono tipiche di climi oceanici ombrosi, umidi,
esposti a nord e con ricco strato di neve.
Clima Valore K
Oceanico 1
Suboceanico 2
Da suboceanico a subcontinentale 3
Sub continentale 4
Continentale 5
1.3.4 Indice Ecologico di Maturità (EIM)
L’indice ecologico di maturità (EIM) (Giupponi et al.2015) fornisce una misura del grado di
disturbo a cui è soggetta la vegetazione di una certa area. Esso considera la classe fitosociologica
a cui fa capo ogni specie presente in una data comunità vegetale, il suo grado di copertura e il
suo corotipo. L’EIM è basato quindi sullo studio fitosociologico della vegetazione. L’EIM è
definito dalla seguente formula:
IM rappresenta l’indice di maturità, IE indica la componente esotica mentre IL quella endemica.
L’EIM quindi rappresenta l’unione di tre indici sviluppati da Taffetani e Rismondo (2009) per la
valutazione della qualità ambientale di un agro-ecosistema. L’IM fornisce una misura dell’attuale
stato di maturità della comunità vegetale ed è definito dalla seguente formula:
ci rappresenta la copertura di ogni specie, i è il numero di specie, m è il coefficiente di maturità
della classe fitosociologica alla quale ogni specie appartiene (modificato da Giupponi et al.
2017), C è la copertura totale ottenuta dalla somma dei valori di c di tutte le specie osservate.
L’IM varia da 0 (piante ornamentali, esotiche o coltivate che non hanno un significato
30
nell’evoluzione della comunità vegetale e che quindi non sono attribuibili a nessuna classe
fitosociologica), a 9 (specie di comunità forestali mature).
L’IE fornisce la percentuale di specie esotiche presenti all’interno della comunità vegetale ed è
definito dalla seguente formula:
In cui c(e) è la copertura di ogni specie esotica e i è il numero delle specie esotiche mentre C è il
valore di copertura totale ottenuto dalla somma dei valori di copertura di ogni specie
appartenente alla comunità vegetale.
IL rappresenta la percentuale di piante endemiche appartenenti al quella data comunità vegetale
ed è definito dalla seguente formula:
In cui c(l) è la copertura di ogni specie endemica, i il numero di piante endemiche e C la somma
di tutte le coperture di tutte le specie della comunità.
31
1.3.5 Indice di Successo Ecologico (IES)
L’Indice di successo ecologico (IES) (Giupponi et al.2017) consente di misurare il successo
delle opere di ingegneria naturalistica considerando l’impatto paesaggistico e ambientale
arrecato dai lavori e il tempo trascorso dopo il completamento delle opere. L’IES è basato sul
calcolo di un altro indice: l’Indice Ecologico di Maturità (Giupponi et al. 2015), il quale fornisce
una misura del grado di disturbo al quale è soggetta la vegetazione presente in una determinata
area. La formula per il calcolo dell’IES è la seguente:
Al numeratore troviamo il valore fornito dal calcolo del livello del disturbo (EIM) della sola
vegetazione presente nell’area sottoposta a monitoraggio ad un certo tempo (t) dalla conclusione
dei lavori di stabilizzazione. Al denominatore troviamo invece il valore fornito dal livello di
disturbo della vegetazione che ci si aspetta di trovare in quell’area al tempo (t). Se il valore di
IES è attorno a 1 significa che i lavori hanno avuto successo. Se il valore è tra 0 e 1 significa che
i lavori hanno avuto minore successo rispetto alle aspettative mentre se è inferiore a 0 vuol dire
che ci si aspettava un effetto migliore e quindi gli interventi di ingegneria naturalistica non hanno
avuto successo. In questo caso di studio EIMe è stato ricavato dalla formula proposta da
Giupponi et al. (2017) che descrive matematicamente l’andamento di EIM al trascorrere del
tempo dopo la realizzazione di opere di ingegneria naturalistica (Fig.9).
Fig. 9 Curva dell’andamento di EIM al trascorrere del tempo dalla fine degli interventi.
32
Tale curva proposta da Giupponi et al. (2017) rappresenta quale valore di EIM dovrebbe
assumere la vegetazione a tot anni dalla fine dei lavori per la stabilizzazione. Assume un
andamento logaritmico in quanto la vegetazione nel tempo cambia, diminuendo il disturbo fino a
formare comunità mature (foreste).
2.3 Analisi del suolo
Oltre alle analisi della vegetazione sono state eseguite anche alcune analisi dei suoli presenti sia
nell’area interessata dagli interventi di ingegneria naturalistica, sia in quelle a contatto con
quest’ultima. In particolare sono state analizzate sia caratteristiche fisiche che chimiche per ogni
campione raccolto (negli stessi punti dove sono stati svolti i rilievi fitosociologici). Di seguito
sono elencate e descritte le analisi condotte presso i laboratori del Centro Studi Ge.S.Di.Mont di
Edolo.
2.3.1 Analisi fisiche:
Per ogni campione di suolo sono state valutate le seguenti proprietà fisiche:
2.3.1.1 Tessitura
Prima di determinare le percentuali delle particelle che compongono il suolo si è provveduto alla
preparazione dei campioni di suolo raccolti, essiccandoli all’aria aperta in modo da eliminare
gran parte dell’umidità (Fig.10).
Fig. 10 Essicazione dei campioni di suolo all’aria aperta.
33
Successivamente, è stata determinata la percentuale di scheletro e di terra fine utili per avere una
prima idea della struttura dei terreni. In Tabella 9 è riportata la classificazione delle frazioni
granulometriche.
Tabella 9. Classificazione delle frazioni granulometriche.
La determinazione delle frazioni granulometriche è stata svolta in accordo con la classificazione
americana USDA. Per la separazione dello scheletro dalla terra fine, è stato utilizzato un
separatore meccanico e i relativi setacci a maglie metalliche (Octagon 200). Una volta separata la
terra fine, è stata pesata ed è stato ricavato per differenza il peso percentuale di scheletro e terra
fine di ogni campione appartenente ad ogni singolo rilievo. Successivamente si è passati alla
determinazione delle frazioni granulometriche che compongo la terra fine. Tale analisi è basata
sulla diversa velocità di sedimentazione delle particelle secondo il principio della legge di Stokes
(Stokes 1851), il quale afferma che la velocità con cui le particelle si sedimentano, varia a
seconda del loro peso ed è proporzionale al quadrato del raggio delle particelle. Tale legge tiene
conto anche della densità delle particelle solide e del liquido all’interno del quale sono stati
miscelati i campioni di suolo. Inoltre anche la temperatura ambientale durante la quale si effettua
tale analisi influenza la velocità di sedimentazione. Una volta pesati accuratamente i campioni di
terra fine precedentemente ottenuti si è aggiunto alla miscela di acqua e suolo una soluzione in
grado di disperdere le particelle in modo omogeneo. La dispersione delle particelle viene
effettuata con un mezzo disperdente, ossia esametafosfato di sodio (NaPO3) 6. Successivamente si
34
è sottoposto il tutto ad agitazione magnetica in modo da ottenere una miscela omogenea . I
materiali occorrenti sono i seguenti:
- Vetreria da laboratorio
- Bilancia scientifica
- Levigatore di Esenwein
- Piastre Petri
- Soluzione reagente a base di sodio esametofosfato
- Stufa per essicazione
- Agitatore magnetico
La miscela di suolo e soluzione disperdente è stata poi trasferita nel levigatore agitandolo per
trenta secondi. Terminati i trenta secondi di agitazione è stato posizionato il levigatore sul banco
(Fig.11) ed è stato rimosso il tappo. Tramite la pipetta del levigatore, sono stati prelevati
precisamente di 10 ml di soluzione torbida dopo aver atteso i tempi di sedimentazione indicati
nella tabella 10. Sono stati impiegati al massimo 15 secondi per completare il prelievo. Dopo di
che si è recuperato il quantitativo di torbida rimasto nella pipetta utilizzando una spruzzetta a
beccuccio fine, il tutto raccolto in una piastra Petri precedentemente tarata e numerata posta al di
sotto della pipetta. Si è tenuto conto di una temperatura di 20°C, il tempo necessario intercorso
dal momento in cui il levigatore è stato posizionato sul banco, è stato pari a 12 minuti per la
determinazione di limo + argilla mentre per determinare la sola argilla, a parità di temperatura,
sono intercorse 20 ore. Una volta svolti i prelievi, le piastre Petri contenenti i campioni sono
state trasferite in stufa per essicazione con temperatura di 105°C per un ora. Infine sono state
estratte le piastre e sono state pesate con bilancia di precisione.
Tempi di prelievo (temperatura: 20°C)
n° prelievo torbida Tempo t Deposito Nel prelievo
1 10 sec Sabbia grossa Sabbia fina+limo+argilla
2 12 min Sabbia fina Limo+argilla
3 20 ore Limo Argilla
Tabella 10. Tempi di prelievo di soluzione torbida.
35
Calcoli:
Nei 10 ml saranno presenti 0,4 g di terreno più eventualmente il peso proveniente dalla soluzione
disperdente che noi trascuriamo. Ricordiamo che:
X1 = sabbia fina + limo + argilla
X2 = limo + argilla
X3 = argilla
Fig.11 Levigatori di Esenwein per la determinazione di sabbia, limo e argilla.
% sabbia grossa totale % di sabbia fina
totale
% di limo totale % di argilla totale
0,4 – X1 = Y1 X1 – X2 = Y2 X2 – X3 = Y3 X3 : 0,4 = argilla :
100
Y1: 0,4 = sabbia grossa
: 100
Y2 : 0,4 = sabbia fine
: 100
Y3 : 0,4 = limo :
100
36
2.3.1.2 Profondità del suolo con radici
Durante l’attività di tirocinio contemporaneamente al prelievo dei suoli, si è misurata la
profondità dell’apparato radicale delle piante nel suolo, scavando una buca e misurando con
nastro metrico fino a che profondità erano presenti circa il 95% delle radici (Fig.12). Questo
parametro risulta utile per dimostrare l’efficienza delle radici nel trattenere e rinforzare il suolo,
limitandone l’erosione. Gli apparati radicali più estesi e resistenti delle piante arboree e arbustive
sono più efficienti nel preservare e tutelare le zone soggette a rischio di dissesto idrogeologico in
quanto raggiungo gli orizzonti più profondi. In alcuni casi infatti si assegna al bosco anche la
funzione di protezione oltre a quella di produzione. Le specie erbacee d’altra parte possiedono
apparati radicali che si limitano ad estendersi negli orizzonti più superficiali e pertanto non sono
sempre utili nel rinforzare il suolo. Tali piante però essendo in grado di formare un cotico erboso
fitto, possono rendersi utili nel affievolire il danno provocato dall’azione battente delle piogge e
quindi limitare l’erosione superficiale.
Fig.12 Determinazione della profondità del terreno con radici.
37
2.3.2 Analisi chimiche
Per ciascun campione di suolo sono state svolte le seguenti analisi chimiche:
2.3.2.1 pH
Il pH del terreno è la misura degli ioni idrogeno presenti nella soluzione circolante, cioè nella
fase liquida del terreno. È stata preparata una miscela di suolo e acqua deionizzata che è stata poi
sottoposta ad agitazione magnetica. Successivamente per determinare il pH del campione di
suolo è stato utilizzato uno strumento elettronico chiamato pH- metro (Fig.13), previa taratura
dello stesso con una apposita soluzione tampone. Il pH- metro (Eutech pH 510) è dotato di un
elettrodo, capace di misurare la differenza di potenziale che viene a determinarsi fra la soluzione
interna (a titolo noto) e quella esterna (da analizzare) che è funzione del pH. I Materiali e reattivi
utilizzati per la determinazione del pH in acqua:
- pH-metro
- Soluzioni tampone
- Bilancia analitica
- Acqua deionizzata
- Vetreria da laboratorio
Fig.13 Determinazione del pH con pH –metro.
38
Deve essere rispettato il rapporto tra terreno e acqua di 1/2,5, cioè per ogni grammo di terreno si
impiegano 2,5 ml di acqua; maggiori o minori diluizioni possono alterare il valore della
misurazione.
2.3.2.2 Carbonio totale e sostanza organica
Per la determinazione del carbonio totale presente all’ interno di ciascuno dei campioni di suolo,
è stato adottato il metodo ufficiale Walkley e Black. Il principio secondo il quale è possibile
determinare questo elemento è quello di ossidare ad anidride carbonica il carbonio organico,
presente nel campione di terreno, con soluzione di bicromato di potassio in presenza di acido
solforico, in condizioni standardizzate.
La velocità della reazione viene favorita dall’innalzamento della temperatura conseguente alla
brusca diluizione dell’acido solforico. Dopo un intervallo di tempo stabilito, la reazione viene
interrotta per aggiunta di una opportuna quantità di acqua distillata e la quantità di potassio
bicromato che non ha reagito viene determinata per titolazione (Fig.14) con una soluzione di
ferro solfato eptaidrato. Il punto finale della titolazione viene accertato con l’aggiunta di un
opportuno indicatore di ossidoriduzione. Come indicatore è stata utilizzata la difenilammina ma
può essere utilizzata anche la ferroina. Sono stati pesati 1 o 2 grammi di suolo successivamente
trasferiti in una beuta e fatti reagire con 10 ml di bicromato di potassio più 20 ml di acido
solforico. A questo punto si è lasciata reagire la soluzione per circa 30 minuti in modo tale che il
carbonio presente nel campione di suolo venisse ossidato ad anidride carbonica. Dopo l’attesa, è
stata bloccata la reazione aggiungendo 200 ml di acqua, 5 ml di acido fosforico e alcune gocce di
indicatore. A questo punto si è passati alla titolazione con ferro solfato. Il punto di viraggio della
soluzione (da grigio topo a verde smeraldo) indica che tutto il bicromato presente nella beuta è
esaurito. Per il calcolo del carbonio organico poiché espresso in g/kg è stata utilizzata la
seguente formula:
39
Dove:
B = volume della soluzione di ferro (II) ammonio solfato eptaidrato utilizzato nella titolazione
della prova in bianco, espresso in ml;
A = volume della soluzione di ferro (II) ammonio solfato eptaidrato utilizzato nella titolazione
della soluzione del campione, espresso in ml;
Mfe = molarità effettiva della soluzione di ferro (II) ammonio solfato eptaidrato;
M = massa del campione di suolo, espressa in grammi.
Per trasformare i g kg-1
di carbonio organico nel corrispondente contenuto di sostanza organica
(S.O.) è possibile utilizzare il fattore 1,724 proposto da Van Bemmelen:
S.O. = C x 1,724.
Fig.14 Determinazione del carbonio totale con metodo Walkey Black.
40
2.3.2.3 Azoto totale con metodo Kjeldahl
L’azoto totale Kjeldahl (TKN, Total Kjeldahl Nitrogen) (Bremner 1960) viene definito come la
somma dell’azoto ammoniacale e dell’azoto organico che vengono trasformati in solfato
d’ammonio nelle condizioni di mineralizzazione adottate dal metodo. Tale metodo prevede
quindi la trasformazione dell’azoto organico presente nel campione di suolo in azoto
ammoniacale mediante attacco con acido solforico concentrato. Il dosaggio dell’azoto
ammoniacale avviene per distillazione in ambiente alcalino e assorbimento su acido cloridrico,
il cui eccesso viene titolato con sodio idrossido.
Il procedimento che ha consentito di quantificare il contenuto di azoto totale nel campione di
suolo consta di tre fasi:
- MINERALIZZAZIONE o DIGESTIONE: ossidazione della sostanza organica in H2SO4
concentrato e trasformazione dell’azoto organico in azoto ammoniacale.
- DISTILLAZIONE DELL’AMMONIACA: aggiunta di NaOH in eccesso per convertire NH4+
in NH3 seguita da ebollizione e condensazione dell’NH3 gassosa nella soluzione ricevente.
- TITOLAZIONE: quantificazione del valore di N contenuto nel campione di suolo con
titolazione acido-base. Come indicatore viene normalmente usato rosso metile o blu di
metilene.
Sono stati pesati 5 g circa di suolo e successivamente trasferiti in un pallone di Kjeldahl da 500
ml. In seguito è stato determinato il contenuto di umidità del suolo per definire il peso
equivalente M0 del suolo essiccato. Sono stati aggiunti 30 ml di H2SO4 e il pallone è stato posto
sull’apparato di Kjeldahl per essere riscaldato, ad ebollizione sono state aggiunte le tavolette di
Kjeldahl e si è riscaldato per altri 30 minuti. Quando il pallone si è raffreddato sono stati
aggiunti 200 ml di acqua ed è stato trasferito il contenuto (del pallone) nel tubo per la
distillazione ed aggiunte alcune gocce di indicatore. Successivamente, è stata collocata una beuta
conica contenente esattamente 25 ml di HCl 0,1 N e poco indicatore, sotto il tubo di scarico del
condensatore. Successivamente è stato aggiunto NaOH in modo da far virare l’indicatore,
contenuto nel tubo distillatore, verso il giallo. La distillazione è avvenuta per circa 30 min ed è
stato aggiunto HCl extra nel pallone ricevitore se l’indicatore virava da rosa a giallo. Sono stati
annotati i ml di acido Va totali (compresi i 25 di partenza) ed è stato rimosso il pallone ricevitore,
annaffiando il tubo di scarico con acqua distillata. Infine è stata eseguita la titolazione del
contenuto del pallone ricevitore con una soluzione di NaOH 0,1 N annotando il volume Vk
utilizzato.
41
Poiché 1 ml di acido N è equivalente a 0,014 g di azoto:
Contenuto di azoto = x 100
Va = ml HCl aggiunto nel pallone ricevente.
Na = Normalità HCl.
Vk = ml NaOH utilizzati per titolare.
Nk = Normalità NaOH.
(Va x Na - Vk x Nk ) x 0.014 / g di suolo iniziali
42
4. RISULTATI
1.4 Vegetazione
1.4.1 Tipologie di vegetazione
La cluster analysis, ha permesso di individuare 5 tipologie di vegetazione. Il risultato della
cluster analysis è espresso graficamente con il seguente dendrogramma (Fig.15). Sull’asse
sinistro del grafico è indicato il grado di similitudine/diversità ovvero quanto un rilievo o gruppo
di rilievi discosta dagli altri per composizione e fisionomia della vegetazione.
Fig.15 Dendrogramma. I riquadri indicano i cluster di vegetazione individuati.
43
Di seguito vengono descritte le 5 tipologie di vegetazione individuate:
1.4.1.1 CLUSTER A: Comunità a Poa variegata – Festuca nigrescens (Fig.16)
Fig.16 Pascolo ai bordi della frana CLUSTER A.
Questa comunità vegetale è costituita essenzialmente da specie erbacee che costituiscono i
pascoli a est della zona franata principale, ma che si dispongono uniformemente su tutta l’area
non occupata dal bosco circostante la piana di mola. Le specie rilevate sono sostanzialmente
specie che crescono su suoli acidi e mediamente fertili. Le principali specie presenti in questa
comunità sono Poa variegata e Festuca nigrescens, alle quali infatti sono stati assegnati indici di
abbondanza–dominaza maggiori rispetto alle altre specie. Entrambe fanno capo alla classe
fitosociologica Caricetea-curvulae come la maggior parte delle specie rilevate. Inoltre nella
complessità dei rilievi sono state rilevate anche: Potentilla aurea, Potentilla erecta, Nardus
stricta, Ranunculus villarsii, Geum montanum, Anthoxanthum alpinum, Veratrum album,
Persicaria bistorta, Chaerophyllum hirsutum, Veronica chamaedrys, Achillea millefolium e
Phleum alpinum . La maggior parte delle specie rilevate appartengono alle forme biologiche
(Raukiaer 1934) delle emicriptofite (H) (cespitose e scapose), seguono alcune geofite (G)
(rizomatose). Come evidenziato dal dendrogramma di figura 15, di questa fitocenosi fanno parte
44
le specie vegetali rilevate nei primi 4 rilievi ai bordi esterni della frana in prossimità delle
malghe dell’Alpe Mola. In uno dei rilievi sul pascolo è stata inoltre segnalata la presenza di
giovani larici, segno del sempre minor utilizzo dell’Alpe per il pascolamento. In prossimità delle
malghe è stata rilevata la presenza di Rumex acetosa e Persicaria bistorta, specie tipicamente
nitrofile che crescono in prossimità delle aree concimate. Inoltre soprattutto per quanto riguarda
Festuca nigrescens, è definita come indicatrice di acidità e consolidatrice del terreno che nel
caso di pascolamento eccessivo e insufficiente concimazione viene sostituita da Nardus stricta
(Schiechtl 1991).
1.4.1.2 CLUSTER B: Comunità a Trifolium repens – Lolium perenne (Fig.17)
Fig.17 Comunità di Trifolium repens – Lolium perenne – CLUSTER B.
Come rappresentato nel dendrogramma della vegetazione (Fig.15), di questa comunità fanno
parte tutte le specie rilevate durante i rilievi 5,8,7,11,12,10,6 e 9. Essa è costituita
prevalentemente dalle specie erbacee che, seminate al termine dei lavori di stabilizzazione
dell’area franata, sono state in grado di affermarsi. La specie dominante(con elevati valori di
copertura in tutti i rilievi) è Trifolium repens nonostante la bassa percentuale di semi di cui era
composto il miscuglio. L’abbondanza di tale specie dimostra che il trifoglio ladino è in grado di
45
crescere non solo in zone prative di fondovalle, ma di adattarsi anche alla vita su un suolo dalle
caratteristiche più disparate. Per tanto è stato rilevato anche, seppur con basse percentuali di
copertura, nei primi rilievi del pascolo. Segue per grado di copertura Lolium perenne. Entrambe
le specie sono considerate specie tipiche foraggere che crescono su prati falciati e fanno capo alla
classe fitosociologica Molinio-Arrenatheretea. Altre specie rilevate sono: Achillea millefolium,
Festuca rubra, Dactylis glomerata, Trifolium pratense, Poa pratensis e Phleum pratense. Queste
ultime specie presentano una percentuale di copertura notevolmente inferiore rispetto al
Trifolium repens ma comunque sono tutte specie che componevano il miscuglio seminato.
Alcune specie seminate invece non sono state riscontrate nemmeno sporadicamente in uno dei
rilievi (Trifolium hybridum, Festuca ovina e Festuca pratensis) probabilmente perche non sono
riuscite ad attecchire con le condizioni di suolo su cui è stato distribuito il miscuglio. Inoltre è
stata rilevata, la presenza spontanea di Lotus corniculatus L. in tutti i rilievi anche se con basse
percentuali di copertura. Di questa comunità “antropica”, gli individui che fanno parte,
appartengono alle forme biologiche (Raunkiaer 1934) delle emicriptofite (H) cespitose (Lolium
perenne) e reptanti (Trifolium repens). Di fatto il trifoglio ladino si sviluppa più in superficie che
in profondità e con andamento strisciante.
46
1.4.1.3 CLUSTER C: Pecceta montana (Fig.18)
Fig.18 Comunità a Picea abies – CLUSTER C.
Per la determinazione di questa comunità vegetale è stato svolto un unico rilievo fitosociologico,
il numero 13. Tale comunità è rappresentata da foresta dominata da Picea abies, seguono altre
specie arboree anche se presenti in minor quantità come Larix decidua, Sorbus aucuparia e
cespugli di Rhododendron ferrugineum , Vaccinium myrtillus, Vaccinium vitis-idae e Thymus
alpestris sparsi tra vegetazione erbacea costituita da Luzula sieberi, Carex sempervirens, Briza
media, Brachypodium rupestre, Hieracium pilosella ed altre con minor percentuali di copertura.
Le specie rilevate appartengono alle forme biologiche (Raunkiaer 1934) delle fanerofite (P)
(alberi), camefite/nanofanerofite (Ch/NF) (arbusti) e emicriptofite (H) (erbacee). Questa
tipologia vegetale anche se dominata dallo strato arboreo presenta un sottobosco ricco di specie,
con lo strato erbaceo che prevale su quello arbustivo in termine di percentuale di copertura. La
pecceta potrebbe rappresentare il tipo di vegetazione potenziale dell’alpe e quindi il punto di
arrivo di tutte le comunità vegetali. La presenza dell’abete rosso anche se localizzata in un’ area
ristretta, significa che l’ alpe si sta evolvendo e con il passare del tempo la pecceta potrebbe
espandersi colonizzando parte del alpe integrandosi anche con il larice.
47
1.4.1.4 CLUSTER D1: Comunità a Larix decidua – Juniperus communis (Fig.19)
Fig.19 Comunità a Larix decidua – Juniperus communis CLUSTER D1.
Di questa comunità vegetale come rappresentato dal dendrogramma (Fig.15) della vegetazione
comprende i rilievi 14,18,16 e 19. Tale comunità è rappresentata da un bosco rado di larice con
sottobosco ricco di specie arbustive e erbacee. Le specie arboree e arbustive appartengono alla
classe fitosociologica Vaccinio-Picetea, e sono pertanto fanerofite (P) (arboree) e nano-fanerofite
(NF) (Raunkiaer 1934). La presenza di Larix decidua è alternata a quella di Juniperus communis
subsp. alpina, il quale rappresenta la specie arbustiva di maggior consistenza seguito poi da
Rubus idaeus, Rosa canina, Berberis vulgaris, Alnus viridis. Sono state rilevate inoltre specie
tipiche dei Brometi, i prati aridi o semi aridi con maggioranza di graminacee, rappresentate dal
Bromus erectus ed altre specie ad essa associate come ad esempio Silene nutans, Thymus
alpestris e Veronica chamaedrys, Helianthemum nummularium subsp. obscurum, Brachypodium
rupestre e Briza media . Oltre ad esse sono state individuate specie tipiche delle praterie alpine
acidofile della classe fitosociologica Caricetea-curvulae come: Festuca nigrescens, Festuca
ovina, Potentilla erecta, Deschampsia flexuosa e Anthoxanthum alpinum. Questa comunità si
estende tutt’intorno all’area franata, ad esclusione dell’area tutt’ora occupata dal pascolo a est.
Grazie all’elaborazione dei dati raccolti con i rilievi, il dendrogramma della cluster analysis
(Fig.15) ha evidenziato come alcuni rilievi, non effettuati in zone adiacenti tra loro, sono stati
48
raggruppati in questa tipologia di vegetazione. Le due specie dominanti oltre ad essere state
rilevate fuori dall’area franata, ai margini col pascolo, sono state segnalate anche in un’area
interna alla frana che non è stata colpita dal dissesto. Un’altra particolarità di questa tipologia
vegetale è di essere composta da specie rilevate anche nella pecceta, come ad esempio Briza
media, Brachypodium rupestre, Helianthemum nummularium subsp. obscurum, Rubus ideaus, il
larice e il ginepro. Tale area potrebbe risultare lo stadio precedente alla vegetazione del cluster C
(pecceta montana).
1.4.1.5 CLUSTER D2: Comunità ad Anthyllis vulneraria –Tolpis staticifolia (Fig.20)
Fig.20 Comunità ad Anthyllis vulneraria – Tolpis staticifolia CLUSTER D2.
Come evidenziato dalla cluster analysis (Fig.15), questa comunità è costituita dai rilievi 15 e 17.
Tale comunità è costituita prevalentemente da specie erbacee, ma non è da trascurare la presenza
di rinnovazione di larice. È stata rilevata la presenza massiccia di due specie pioniere che fanno
capo a due distinte classi fitosociologiche. Una delle due è l’ Anthyllis vulneraria subsp.
vulneraria della classe Festuco valesiacae – Brometea erecti a cui fanno capo anche Briza
media, Pimpinella saxifraga, Acinos alpinus, Helianthemum nummularium subsp.obscurum e
Gymnadenia conopsea. La seconda specie più presente è Tolpis staticifolia, specie della classe
fitosociologica Thlaspietea rotundifolii (che annovera la vegetazioni pioniera dei substrati
49
detritici soprattutto basofili e dei ghiaioni di versante) e a cui fanno capo anche Tussilago farfara
e Epilobium collinum. Tale comunità è stata localizzata in due porzioni che pur facendo parte
della zona interessata da erosione, non sono state interessate dai lavori di ingegneria
naturalistica. Per tanto rappresenta la vegetazione che riesce naturalmente ad insediarsi sui
detriti di frana. La quasi totalità delle specie rilevate appartiene alla forma biologica (Raunkiaer
1934) delle emicriptofite (H) scapose e sufruticose.
1.4.2 Carta della vegetazione
Questa mappa è stata ottenuta utilizzando il software ArcGIS, elaborando un’ortofoto satellitare
dell’ area d’esame. In figura 20 viene riportata la carta della vegetazione attualmente presente
nell’area di studio.
Fig.21 Carta della vegetazione 2016. Le lettere indicano i cluster di vegetazione individuati.
Dalla carta si può notare come le diverse comunità ricoprono la superficie e con quale ampiezza.
Il pascolo (cluster A) ricopre tutta l’area ad est della frana, con la quale confina. I rilievi di
vegetazione e suolo sono stati svolti solamente in prossimità del confine destro dell’area franata
e non su tutta l’area ricoperta di verde chiaro. La superficie ricoperta dalla pecceta (cluster C)
50
rappresenta una nicchia ristretta e distaccata a nord-ovest della frana, ma che potrebbe
rappresentare il punto di arrivo della successione della vegetazione qualora dovesse cessare ogni
tipologia di disturbo. Tale area non è interessata dal dissesto e per tanto non è stata oggetto di
sistemazione. La superficie occupata dal bosco misto di larice e ginepro comune (cluster D1) è
quella con estensione maggiore (assieme al pascolo). Tale comunità confina con tutte le tipologie
vegetali riscontrate e per tanto in quasi tutte è stata rilevata la presenza del larice ad eccezione
dell’area sulla quale è stato distribuito il miscuglio di sementi. La vegetazione costituita dalle
specie spontanee pioniere dei substrati detritici (cluster D2) occupa due zone che pur essendo
soggette a destabilizzazione dei versanti non sono state interessate da opere di ingegneria
naturalistica, inoltre rappresenta l’area di minor ampiezza. Tale vegetazione (cluster D2) è
localizzata in due nicchie separate: una sul versante ovest dell’area franata e una a sud-est
dell’impluvio principale. Infine la comunità vegetale costituita dalle specie introdotte con la
semina del miscuglio di sementi (cluster B), occupa tutta l’area interessata dalle opere di
ingegneria naturalistica per la stabilizzazione del suolo. Tale comunità inoltre confina con i
cluster D1, D2 e A.
1.4.3 Ecologia delle comunità vegetali
In figura 22 vengono riportati gli ecogrammi riferiti a ciascuna tipologia vegetale e al miscuglio di
sementi utilizzato.
LEGENDA
Fig.22 Ecogrammi delle singole comunità vegetali e del miscuglio per l’inerbimento.
T Temperatura
K Continentalità
L Intensità luminosa
F Umidità suolo
R Reazione/pH
N Nutrienti
H Humus
D Areazione
51
CLUSTER A: Comunità costituita da vegetazione eliofila che cresce su terreni acidi mediamente
fertili, mediamente compatti e freschi. Vegetazione che cresce con climi da sub oceanici a sub
continentali e in ambiente montano-subalpino.
CLUSTER B: Comunità rappresentata da vegetazione eliofila che cresce su substrati altamente
compatti ma con buona presenza di nutrienti. È costituita da specie che prediligono terreni neutri
o debolmente basici e moderatamente umidi in zone con clima da sub oceanico a sub
continentale.
CLUSTER C: Comunità costituita da specie sciafile che prediligono terreni acidi ricchi in
humus, non troppo fertili,mediamente compatti e freschi. Vegetazione di ambiente da montano a
subalpino di clima sub continentale.
CLUSTER D1: Comunità costituita da specie eliofile che crescono su terreni mediamente
compatti, subacidi e non troppo fertili e con scarsa presenza di humus. Vegetazione di climi sub
continentali-continentali che si estende dal montano superiore al subalpino.
CLUSTER D2: Comunità costituita da specie che colonizzano i substrati detritici, strettamente
eliofile tipiche di terreni moderatamente secchi, basici con scarsità di nutrienti e humus.
MISCUGLIO di SEMENTI: Tipologia di vegetazione tipica di zone prative di fondovalle
costituita da specie foraggere che crescono su terreni piuttosto compatti, mediamente fertili,
moderatamente umiferi, moderatamente freschi e neutri.
1.4.4 Valori dell’indice ecologico di maturità e dell’indice di successo ecologico
Nella Tabella 11 vengono riportati i valori di EIM delle singole comunità vegetali:
CLUSTERS EIMc IES
A Poa variegata – Festuca nigrescens 4,77 /
B Trifolium repens – Lolium perenne 4,00 1,14
C Picea abies (pecceta montana) 7,88 /
D1 Larix decidua – Juniperus communis 7,03 /
D2 Anthyllis vulneraria – Tolpis staticifolia 5,96 /
Tabella 11. Valori di EIM delle comunità vegetali e di IES per il cluster B.
Dal calcolo dell’indice ecologico di maturità (Giupponi et al.2015) per ogni singola comunità
vegetale si è notato una buona diversità di valori tra quelle che sono le aree occupate da
vegetazione erbacea e da quelle invece occupate dal bosco. I valori più alti di EIM sono quelli
52
riferiti alle comunità C (pecceta) e D1 (Larix decidua – Juniperus communis) in quanto sono
entrambe formazioni forestali. I valori più bassi si riferiscono alle comunità A (Poa variegata –
Festuca nigrescens) e B (Trifolium repens – Lolium perenne). Per quanto riguarda la comunità
D2, rappresentata dalla comunità ad Anthyllis vulneraria – Tolpis staticifolia si è ottenuto un
valore intermedio dell’EIM.. La pecceta seppur occupando un’area ristretta rappresenta la
comunità meno soggetta a disturbi in quanto al di fuori dell’area interessata dai fenomeni erosivi
e che potrebbe risultare la vegetazione potenziale. Segue la comunità a Larix decidua –
Juniperus communis (cluster D1) la quale possiede un valore di EIM poco più basso in quanto è
in contatto con l’area affetta da destabilizzazione e rappresenta la fase precedente alla
vegetazione potenziale (pecceta montana) dell’alpe Mola. Per tanto la presenza del larice anche
se ancora sporadica sul suolo stabilizzato potrebbe rappresentare lo stadio successivo della
vegetazione di tale area. La comunità a Trifolium repens – Lolium perenne (cluster B) possiede
il valore più basso di EIM in quanto è costituita dalle essenze introdotte con il miscuglio
commerciale di sementi sul suolo precedentemente stabilizzato. Il grado di disturbo quindi è
rappresentato dal recente intervento antropico che ha interessato l’area dove cresce tale comunità
vegetale. La comunità ad Anthyllis vulneraria – Tolpis staticifolia (cluster D2) anche se cresciuta
sullo stesso tipo di suolo dove si è affermata la comunità B, possiede un valore più alto di EIM in
quanto quest’area non è stata interessata dalle opere di ingegneria naturalistica (e semina) e
quindi si è insediata la vegetazione spontanea pioniera che rispecchia le caratteristiche del tipo di
suolo. Infine la cominità a Poa variegata – Festuca nigrescens (cluster A) possiede come per la
comunità B un valore basso di EIM in quanto anch’essa è influenzata da disturbo, questa volta
però di tipo biotico ovvero il pascolo del bestiame. Il valore dell’ indice di successo ecologico
(IES) (Giupponi et al.2017), calcolato solo per la comunità vegetale interessata dalle opere di
ingegneria naturalistica (cluster B), è risultato pari a 1,14 in quanto l’EIMc di tale comunità è
maggiore dell’EIMe. Pertanto significa che a due anni dalla fine dei lavori, le opere di ingegneria
naturalistica hanno avuto successo ma sarà interessante vedere come cambierà il valore di IES al
trascorrere degli anni.
1.4.5 Dinamica di vegetazione
In base alle analisi svolte in questo lavoro e alle osservazioni condotte in campo è stato possibile
elaborare il seguente schema (Fig.23) della dinamica della vegetazione dell’area di studio. In
futuro sarà interessante monitorare l’area seminata al fine di comprenderne l’evoluzione ed
aggiornare tale schema.
53
A
EIM = 4,77
B
EIM = 4,00
InerbimentoRicolonizzazione
Disturbo = frana
D2
EIM = 5,96
D1
EIM = 7,03
C
EIM = 7,88
Abbandono Temp
o
Fig.23 Schema della dinamica di vegetazione dell’area di studio.
54
2.4 Suolo
2.4.1 Analisi fisiche :
2.4.1.1 Tessitura
In figura 24 e in Tabella 12 vengono riportati i risultati dell’analisi della tessitura:
Fig.24 Triangolo della tessitura
Tabella 12. Percentuali di sabbia, limo e argilla dei suoli di ogni comunità. (I colori corrispondono a
quelli utilizzati nella carta della vegetazione per distinguere le comunità vegetali).
Dalla tabella e dal triangolo della tessitura si può notare come tutti i terreni siano composti
prevalentemente da sabbia, specialmente quelli prelevati dalle zone al di fuori dell’area
interessata dagli interventi di stabilizzazione dei versanti. Per quanto riguarda il pascolo (cluster
A), si nota inoltre una buona percentuale in limo mentre è quasi nulla la presenza di argilla.
Anche per i terreni occupati dalla pecceta e dai lariceti la situazione è pressoché simile ma si è
evidenziata una maggior quantità di sabbia. Infine i terreni raccolti all’interno dell’area franata
presentano un’effettiva similitudine nella tessitura infatti presentano una percentuale argilla
simile (e maggiore rispetto agli altri suoli), ma una minor percentuale di limo rispetto al cluster
A (pascolo).
CLUSTERS Sabbia% Limo% Argilla% Tipologia
CLUSTER A 62 34 4 Sabbioso-limoso
CLUSTER B 66,5 23 10,5 Sabbioso-argilloso
CLUSTER C 81,4 18,5 0,1 Sabbioso-ghiaioso
CLUSTER D1 72 25 3 Sabbioso
CLUSTER D2 60 25 15 Sabbioso-argilloso
55
2.4.1.2 Rapporto scheletro/terra fine
Nel grafico di figura 25 vengono riportati i risultati relativi alle percentuali di scheletro e terra
fine:
Fig.25 Percentuali di scheletro e terra fine (le lettere corrispondono ai clusters di vegetazione).
Il terreno sul quale è presente la comunità ad Anthyllis vulneraria - Tolpis staticifolia si è
indubbiamente rilevato il più ricco in scheletro. Ciò è confermato dalla tipologia di vegetazione
cresciuta su questi suoli che, per l’appunto, è tipica dei ghiaioni. La presenza abbondante di
scheletro è spiegabile perché in questa area si sono depositati i detriti rocciosi fluvioglaciali e che
con i fenomeni erosivi sono stati scoperti dai suoli vegetali soprastanti. Il terreno meno ricco in
scheletro è invece quello prelevato nella pecceta (cluster C), che invece è più ricco in terra fine. I
terreni su cui crescono la comunità B e la comunità D1 sono composti per metà da scheletro e
per metà da terra fine. Il terreno prelevato dal pascolo è costituito maggiormente da terra fine e
infatti è caratterizzato da vegetazione che cresce su suoli mediamente compatti.
56
2.4.1.3 Profondità del terreno con radici
Nel seguente grafico di figura 26 sono riportati i risultati riferiti all’analisi della profondità degli
apparati radicali:
Fig.26 Profodità degli apparati
radicali. (le lettere corrispondono ai
clusters di vegetazione).
Le comunità vegetali composte prevalentemente da piante arboree e arbustive (cluster C e D1)
sono state quelle dove si è registrato il massimo approfondimento degli apparati radicali. Una
situazione intermedia invece si è registrata per la vegetazione cresciuta sul pascolo (cluster A).
Infine per quanto riguarda gli apparati radicali di entrambe le comunità vegetali cresciute sul
suolo franato (cluster B e D2), si è riscontrata una maggior densità di radici intorno ai 30 cm.
Questo potrebbe essere dovuto al fatto che essendo questo terreno il più ricco in argilla, lo rende
più asfittico e impenetrabile dalle radici.
2.4.2 Analisi chimiche:
2.4.2.1 pH
Il grafico di figura 27 mostra i risultati ottenuti dall’analisi del pH:
Fig.27 Valori di pH. ( Le lettere
corrispondono ai clusters di
vegetazione).
57
Il terreno più acido è risultato essere quello su cui giace il pascolo e la vegetazione acidofila
(Fig.22) ne è la conferma. Valori di pH pressoché simile sono stati rilevati per i suoli su cui
cresce la pecceta (cluster C) e la foresta mista di larice (cluster D1) e risultano più tendenti alla
neutralità. Infine il suolo a carattere più alcalino o sub alcalino è risultato essere quello più ricco
in scheletro e su cui crescono le specie tipiche di ghiaioni, meno esigenti e in grado di adattarsi a
situazioni più svantaggiose. La basicità potrebbe essere causata dalla presenza di alcuni minerali
e frammenti di rocce basiche rappresentate dai depositi morenici e fluvioglaciali accumulatisi in
epoche remote.
2.4.2.2 Sostanza organica
Nel grafico di figura 28 sono riportati i risultati dell’analisi della sostanza organica:
Fig.28 Contenuto di sostanza organica. ( Le lettere corrispondono ai clusters di vegetazione).
Il terreno più ricco in sostanza organica è risultato essere quello del pascolo adiacente all’area
franata, seguono quelli prelevati nel lariceto (cluster D1) e nella pecceta (cluster C). Il motivo
per cui il suolo del pascolo è il più ricco in sostanza organica potrebbe essere dovuto alle
deiezioni apportate dal bestiame. Durante il prelievo e le analisi tali terreni infatti si presentavano
particolarmente bruni e soffici. Questo tipo di terreno si rivela quindi particolarmente ospitale
per la crescita delle piante più esigenti, le quali infatti coprono la superficie omogeneamente e in
modo fitto. I due tipi di terreno meno ricchi in sostanza organica sono quelli coinvolti dai
fenomeni erosivi sui quali infatti la vegetazione cresce ancora in modo discontinuo. Tali suoli
differiscono totalmente in colore e tessitura dagli altri suoli analizzati. Probabilmente su di essi
prima che si instaurassero i fenomeni erosivi, giaceva il pascolo, ma con la perdita di esso sono
stati persi anche i primi orizzonti organogeni, (i più ricchi in sostanza organica) e quindi il
terreno è stato esposto, mettendo in luce gli orizzonti sottostanti e più poveri che tutt’ora
ospitano le comunità B e D2.
58
2.4.2.3 Azoto totale
Il grafico di figura 29 mostra i risultati ottenuti dall’analisi del contenuto di azoto totale:
Fig.29 Contenuto di Azoto totale. ( Le lettere corrispondono ai clusters di vegetazione ).
Il terreno più ricco in azoto risulta essere quello del pascolo (cluster A) mentre i più poveri in
azoto sono quelli prelevati dall’area franata (cluster B e D2). Tali risultati sembrerebbero essere
in stretto rapporto con quelli ottenuti per la sostanza organica (Fig.28). Infatti confrontando
assieme i due grafici, si nota con chiarezza lo stesso identico andamento. Il motivo per cui il
pascolo risulta essere più ricco in azoto rispetto agli altri suoli è strettamente correlato al fatto
che è anche quello con la più alta percentuale in sostanza organica, e pertanto la causa sarà la
stessa ovvero l’azione del pascolamento del bestiame che nel tempo ha apportato sostanze
azotate mediante le deiezioni. Il campione di suolo appartenente al rilievo n°3 infatti risultava
essere quello più ricco in azoto ed è quello che è stato raccolto più vicino alle malghe dove è
stata rilevata la presenza abbondante di Persicaria bistorta e Rumex acetosa specie tipicamente
nitrofile che crescono su suoli acidi in prossimità di aree concimate. Anche i terreni attualmente
occupati dalla comunità a Larix decidua – Juniperus communis (cluster D1) risultano possedere
una buona quantità di azoto. Da questo si potrebbe dedurre che i terreni tutt’ora occupati dal
bosco, una volta potrebbero essere stati pascolati.
59
5. DISCUSSIONE DEI RISULTATI
Si può dedurre, dalle informazioni restituite dall’analisi della vegetazione e del suolo che le
comunità vegetali cresciute sul pascolo (cluster A) e sull’area franata interessata da opere per la
stabilizzazione dei versanti (cluster B) siano il risultato di un disturbo. La comunità vegetale che
costituisce tutt’ora il pascolo (cluster A) è il risultato del pascolamento del bestiame, il che
rappresenta un disturbo biotico. La comunità originatasi sul suolo stabilizzato con opere di
ingegneria naturalistica è il risultato di un disturbo abiotico rappresentato dal dissesto
idrogeologico e dalla semina di un miscuglio di piante non troppo adatto a quel tipo di suolo. Le
differenti comunità identificate, si sono dimostrate affini alle caratteristiche del suolo sul quale si
sono affermate ad eccezione della comunità ottenuta dalla semina del miscuglio di sementi
sull’area affetta da destabilizzazione del suolo (cluster B). Il suolo raccolto in tale area, dalle
analisi risulta essere privo di azoto e sostanza organica. L’ecogramma della comunità B invece
evidenzia un elevato valore di nitrofilia ovvero che le specie dominanti necessitano di una buona
quantità di nutrienti (Fig.22). Questa discrepanza evidenzia quindi che tali specie probabilmente
necessitino di nutrienti che non per forza debbano essere rappresentati dall’azoto. Interessante
sarebbe svolgere ulteriori analisi sui suoli per determinare i micronutrienti presenti. Il motivo per
cui tale comunità si è affermata in modo così deciso è dato dalla particolarità del suolo compatto
e asfittico ideale per la crescita del Trifolium repens, il quale infatti lo si può veder crescere in
natura praticamente in ogni condizione di suolo anche se preferisce i substrati compattati non
troppo aridi o troppo bagnati. Un’altra considerazione riguardo a questa comunità (cluster B) è
che risulta essere composta da specie tipicamente prative di fondo valle che sull’arco alpino
crescono in condizioni climatiche e edafiche differenti. Il motivo per cui il trifoglio risulta
dominante sulle altre specie rilevate (Lolium perenne, Dactylis glomerata ecc.) dimostra che è
una specie in grado di adattarsi anche a zone non tipicamente prative e il suo adattamento a due
anni dalla fine dei lavori è visibile ad occhio nudo. In una condizione di elevata densità di piante
erbacee come quella venuta a crearsi dopo la semina del miscuglio, la vegetazione arborea che
dovrebbe nel tempo affermarsi con nuova rinnovazione in questo caso il larice, pur essendo una
specie pioniera di questi luoghi, trova difficoltà nel crearsi lo spazio per germinare e crescere in
quanto risulta “soffocato” dalle erbacee. Esse quindi sono una causa della diminuzione della
naturalità in quanto crescono in un luogo che non è il loro e risultano essere “non naturali”
perché seminate. Questo lo si può affermare con certezza analizzando la vegetazione cresciuta
sullo stesso suolo ma che non è stato inerbito (cluster D2). Infatti la vegetazione spontanea,
rappresenta una situazione naturale, non forzata dall’uomo che sta seguendo la propria
60
evoluzione naturale. Dallo studio delle caratteristiche ecologiche della comunità D2, le specie
che la compongono risultano adatte al substrato su cui crescono. Anthyllis vulneraria e Tolpis
staticifolia (cluster D2), sono infatti due specie ruderali e pioniere dei substrati neutro-basifili,
ricchi di scheletro e poveri di nutrienti e sostanza organica e che quindi rispecchiano le
condizioni di suolo su cui sono cresciute (Fig.22). Inoltre l’Anthyllis vulneraria è una pianta in
grado di consolidare i terreni grezzi grazie all’apparato radicale profondo e che resiste molto
bene ai geli invernali e alla siccità (Schechtl 1991) e quindi ha trovato le condizioni dell’area,
ideali per la crescita. Anche la vegetazione che cresce sui pascoli (cluster A) ritrae le
caratteristiche tipiche del suolo sul quale cresce, ovvero terreno a matrice sabbioso-limosa,
acido, ricco di nutrienti (es. Azoto) e sostanza organica (apportati dalle deiezione) e
moderatamente compatto (calpestio bestiame). L’area sulla quale non è stato seminato il
miscuglio presenta una maggiore ricchezza floristica, anche se ricoperta in modo discontinuo e a
chiazze dalla vegetazione spontanea e sono visibili porzioni di suolo quasi spoglio. Dove invece
è stato distribuito il miscuglio, la vegetazione ricopre in maniera più fitta il suolo stabilizzato ma
è stata praticamente persa tutta la ricchezza floristica che invece ritroviamo nel cluster D2,
caratterizzata appunto da specie autoctone ricolonizzatrici. Quindi, sebbene la ricolonizzazione
delle specie spontanee, impieghi più tempo per affermarsi, è comunque da preferire all’utilizzo
di un miscuglio non troppo adatto, anche se a prima vista, data l’elevata quantità di semi
distribuiti, il risultato sembrerebbe soddisfacente. Infatti molte volte vengono dimenticati e in
parte oscurati quelli che sono i principi fondamentali dell’ingegneria naturalistica. A volte infatti
coloro che svolgono i lavori di ingegneria naturalistica, potrebbero porsi l’obiettivo di voler
ottenere un’area “rivegetata” ma non sempre si avrebbero chiare quali dovrebbero essere le
specie che naturalmente crescono e colonizzano quell’area e che quindi bisognerebbe utilizzare
per la rivegetazione. Dal calcolo dell’ indice ecologico di maturità (Giupponi et al.2015) infatti
risulta meno disturbata, anche se a parità di condizioni di suolo e identico disturbo abiotico
(frana), la comunità costituita dalla ricolonizzazione naturale da parte di Anthyllis vulneraria e
Tolpis staticifolia ed altre come Acinos alpinus, Briza media, Gymnadenia conopsea,
Helianthemum nummularium, Tussilago farfara e Epilobium collinum. L’EIM del cluster B
invece risulta essere il più basso appunto perché su un’area precedentemente disturbata da
dissesto, è stato creato un successivo disturbo a seguito della crescita di piante tipiche di un altro
ambiente. Oltre al calcolo dell’indice ecologico di maturità è stato applicato anche l’indice di
successo ecologico (Giupponi et al. 2017) ma in questo caso solo ed esclusivamente alla
comunità originatasi per mezzo della semina del miscuglio. Tale indice mette in rapporto l’EIM
calcolato e l’EIM che ci si aspetta di avere ad un certo numero di anni dalla fine dei lavori. Per il
61
cluster B l’EIMC è risultato di poco maggiore rispetto all’ EIMe (EIM ad un certo tempo t) e per
tanto il risultato di IES è di poco superiore ad 1 il che significherebbe che gli interventi di
ingegneria naturalistica per la stabilizzazione del suolo hanno avuto successo sebbene la scelta
del miscuglio non sia stata quella più adatta. Il motivo per cui il risultato dell’IES è maggiore di
1 e non compreso tra 0 e 1, è spiegabile tenendo conto che è stato calcolato a soli due anni
dall’ultimazione dei lavori ed è quindi ancora troppo presto per definire stabile questa situazione.
Sarebbe interessante svolgere periodiche azioni di monitoraggio di quest’area in modo tale da
vedere come cambierà la vegetazione dell’area interessata dai lavori e dunque come varierà l’IES
nel tempo. Inoltre dall’analisi della vegetazione e dall’osservazione delle opere di ingegneria
naturalistica create, non è stata riscontrata la presenza di piante che normalmente, in questa
tipologia di opere, vengono utilizzate in combinazione con i materiali inerti, al fine di migliorare
la stabilità sia delle opere che del suolo nel tempo. Solitamente vengono preferite piante (o parti
di piante) a portamento arbustivo come salici e ontani in quanto possiedono notevoli attitudini
geotecniche, grazie al loro apparato radicale profondo e all’elevata capacità vegetativa e di
propagazione. Sarebbe quindi opportuno incrementare il loro utilizzo, magari intervenendo in
futuro se l’area stabilizzata ne avrà bisogno. Probabilmente durante la creazione delle opere si è
optato per l’utilizzo di un miscuglio di sementi per l’inerbimento dei versanti, in quanto
permetteva in poco tempo di ottenere un’area ricoperta da vegetazione e quindi limitare
l’erosione superficiale, oltre che mitigare l’impatto visivo arrecato dalla frana.
Per quanto riguarda il miscuglio commerciale di sementi impiegato dal Consorzio Forestale Alta
Valle Camonica, è risultato essere composto da specie tipicamente prative (Molinio –
Arrhenatheretea) e perciò adatte ad ambienti differenti rispetto a quello dove è stato impiegato.
L’unica somiglianza rinvenuta dall’analisi dell’ecologia delle specie che costituivano il
miscuglio e di quella delle specie effettivamente rilevate nell’area idroseminata , è rappresentato
dalla bassa areazione del terreno atto ad ospitare alcune specie. L’utilizzo del Trifolium repens
nelle opere di ingegneria naturalistica per la rivegetazione di un versante in erosione esprime il
suo vantaggio nel creare un cotico erboso compatto e allargato che consente di limitare
l’erosione superficiale ma d’altra parte non risulta adatto alla stabilizzazione del suolo in quanto
le radici sono superficiali. Inoltre il suo utilizzo in ambiente montano andrebbe sconsigliato in
quanto soffre molto il gelo e in condizioni di copertura nevosa prolungata (tipica di un ambiente
di montagna) (Schechtl 1991). La scelta del miscuglio da utilizzare per accelerare la naturale
ricolonizzazione, molte volte risulta difficoltosa in quanto sul mercato sono disponibili perlopiù
miscugli costituiti da piante erbacee tipiche dei prati (foraggere) di pianura e di collina (o media
montagna). Il miscuglio da utilizzare sull’area franata, considerando le proprietà del terreno,
62
avrebbe potuto contenere piante adatte a vivere in condizioni di povertà di nutrienti e sostanza
organica e piuttosto aridi come quelle appartenenti al cluster D2 ed altre appartenenti alla stessa
classe fitosociologica rinvenuta ( Thlaspietea rotundifolii ) come: Rumex scutatus, Thlaspi
rotundifolium, Saxifraga moschata, Epilobium fleischeri, Doronicum grandiflorum, Tolpis
staticifolia, Geum reptans, Petasites paradoxus). Tutte queste specie elencate oltre ad adattarsi
molto bene alle condizioni di suolo registrate nell’area monitorata, possiedono una buona
capacità nel consolidare il terreno (anche se sono delle erbacee) per mezzo degli apparati
radicali profondi. Probabilmente non è stato utilizzato un miscuglio con tali caratteristiche a
causa della mancata presenza sul mercato. Inoltre sarebbe bene incrementare la collaborazione
tra botanici specializzati e coloro che eseguono i lavori (tecnici, ingegneri ecc), i quali
dovrebbero affidarsi alle competenze naturalistiche e botaniche dei tecnici in modo che si possa
ottimizzare la scelta del miscuglio più adatto alle caratteristiche climatiche ed edafiche sul quale
deve essere distribuito. Dalla composizione del miscuglio (Tabella 13) si vede che in realtà
Trifolium repens, sebbene è risultata la specie dominante, costituiva solamente il 2% della
composizione floristica del miscuglio mentre Lolium perenne, la seconda specie più presente
costituiva il 10 % del miscuglio. Una prima considerazione da fare è che non sempre una elevata
percentuale di una specie del miscuglio equivale ad elevato riscontro visibile sul campo ma che
le specie rilevate durante il monitoraggio sono state quelle in grado di adattarsi meglio alle
caratteristiche del terreno. Tale risultato infatti deriva dal fatto che Lolium perenne non
sopporta quanto Trifolium repens i terreni compatti, ma gradisce substrati più areati e
solitamente concimati (Schiechtl 1991). Festuca rubra costituiva circa il 60 % della totalità
delle specie ma in realtà è stata rilevata con minore frequenza, questo probabilmente perché si è
rivelata non adatta alle condizioni necessarie per la crescita rappresentate probabilmente da suolo
a reazione neutra invece che tipicamente acida. Vale la stessa cosa per Poa pratensis, Phleum
pratense e Dactylis glomerata. Inoltre i semi delle specie seminate provengono da varie parti del
mondo e quindi adatti a germinare in certe situazioni. Le ricerche scientifiche e l’esperienza
pratica suggeriscono che è di rilevante importanza l’utilizzo di sementi adattati alle condizioni
locali del sito d’intervento. Inoltre l’ibridazione intraspecifica tra genotipi locali e non locali può
avere impatti negativi sulla struttura genetica delle popolazioni future (Schiechtl 1973). È
importante quindi considerare le differenze genetiche del materiale introdotto al fine di evitare
incroci non desiderabili e impoverimento della popolazione vegetale (Vander Mijnsbrugge et al.,
2010). Inoltre una vegetazione ricca e ben diversificata risulta essere più stabile e resistente, in
letteratura è spesso sostenuta la tesi che più le condizioni in cui intervenire sono estreme, tanto
più ricchi di specie dovrebbero essere i miscugli da utilizzare (Schiechtl 1973). L’utilizzo di
63
sementi provenienti da stati diversi o addirittura da continenti diversi implica il fatto che le
piante dalle quali sono stati ricavati, sono adattate all’ambiente in cui vivono (che potrebbero
essere molto diverse da quelle dove vengono seminate). Trifolium repens infatti proviene dalla
Nuova Zelanda e le caratteristiche del terreno (Fig.22) su cui è stato seminato e le esigenze
climatiche dell’Alpe Mola sono diverse da quelle dove naturalmente si dovrebbe trovare. Da
questo comportamento si potrebbe quindi dedurre che il Trifolium repens potrebbe aver trovato
le giuste condizioni di crescita perché conformi o simili a quelle con cui sono cresciuti gli
individui da cui è stato prelevato il seme. In questi casi è interessante seguire le dinamiche della
vegetazione costituita da individui non locali (introdotti con le semine) e vedere come
interagiscono con le specie che invece crescono spontaneamente. Altro aspetto importante dei
miscugli per l’inerbimento è la quantità di semi. Bisogna tenere in considerazione innanzitutto le
perdite dovute alla germinabilità ridotta, al trasporto da parte di vento e acqua. In genere la
quantità di seme di un miscuglio di graminacee e leguminose è circa 35-40 g/m2 (Regione
Piemonte, 2003), se la quantità di seme è eccessiva può verificarsi il soffocamento delle specie a
crescita più lenta (arboree), mentre se la quantità è troppo bassa non vengono conseguiti gli
obiettivi di copertura adeguata del suolo. Bisogna quindi incoraggiare la produzione e la
distribuzione di miscugli di piante autoctone da parte di produttori locali che siano in stretto
rapporto con botanici naturalisti ed ecologisti. Inoltre sarebbe bene sperimentare nuove tecniche
per la coltivazione e raccolta del seme di diversi tipi di piante che abbiano caratteristiche
ecologiche differenti in modo che i botanici esperti sappiano consigliarli ai tecnici ed ingegneri.
Le giuste relazioni lavorative tra queste figure possono migliorare quindi la scelta dei miscugli
da adottare in base alle zone su cui devono essere distribuiti.
64
6. CONCLUSIONI
Le analisi svolte sia sui suoli che sulla vegetazione hanno permesso di mettere in risalto le
peculiarità dell’area studiata. È infatti stato possibile individuare e descrivere le tipologie di
vegetazione e di suolo presenti nell’area di studio cercando di comprendere le interazioni suolo-
vegetazione. Il monitoraggio è stato utile innanzitutto perché ha permesso di raccogliere una
mole di dati che vanno a colmare la scarsità di informazioni riguardanti le caratteristiche
ambientali (suolo e vegetazione) di aree montane interessate da opere di ingegneria naturalistica
realizzate in seguito a fenomeni franosi. Questo lavoro è stato anche utile per valutare
l’efficienza delle opere di ingegneria naturalistica realizzate in Alpe Mola, ciò testando i recenti
indici formulati da Giupponi et al. (2015, 2017) che si sono dimostrati utili per tale fine anche se
andrebbero ulteriormente applicati nei prossimi anni per avere una valutazione più corretta del
successo delle opere realizzate nell’area oggetto di studio. Il lavoro svolto ha anche permesso di
capire quanto le innovazioni e le migliorie che interessano questo tipo di settore debbano
giungere dalla stretta collaborazione di tecnici competenti quali i botanici e gli ingegneri.
65
7. RINGRAZIAMENTI
Voglio dedicare questo lavoro a tutte le persone che mi sono state di aiuto durante il mio
percorso di studi e che hanno creduto in me. Un doveroso riconoscimento a Luca Giupponi, il
mio correlatore, con il quale ho svolto l’attività di tirocinio ed è stato sempre disponibile per
eventuali chiarimenti e dubbi durante la stesura di questo elaborato. Un sincero grazie a Emma,
la mia ragazza che oltre ad essere una persona speciale mi ha sostenuto sempre dandomi la forza
di andare avanti, anche nei momenti più difficili perché ha sempre creduto in me ed ha
partecipato seriamente alla mia carriera universitaria potendo condividere con lei i traguardi e le
sconfitte. Un grazie anche alla mia famiglia per essere stata presente, e con la quale ho condiviso
le mie difficoltà e i successi in tutti questi anni. Infine voglio ringraziare tutte le persone che ho
potuto conoscere durante questi magnifici quattro anni a Edolo e con le quali si è creato un
rapporto di amicizia vera, pulita, bella e che anche grazie a loro sento di essere potuto crescere
come uomo.“Ringrazio anche Edolo” e tutto ciò che ne fa parte, per avermi dato questa
opportunità di vita e per essere stato probabilmente il posto dove ho trascorso i quattro anni più
belli fino ad ora. Sono sicuro che non dimenticherò mai niente di tutto questo e che conserverò
tutte le esperienze vissute perché sono troppo belle per non essere ricordate.
66
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68
9. ALLEGATI: Tabella dei rilievi
Cod. rilievo 1 2 3 4 5 8 7 11 12 10 6 9 13 14 18 16 19 15 17
Cluster A A A A B B B B B B B B C D1 D1 D1 D1 D2 D2
Superficie (mq) 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 100 100 100 100 100 100 100
Inclinazione (°) 8 26 22 24 42 45 34 42 44 40 24 22 23 30 24 28 26 40 42
Esposizione (°) 110 60 100 92 175 170 190 250 160 237 135 220 218 100 125 206 190 150 140
Quota (m) 1738 1758 1780 1800 1792 1747 1765 1735 1732 1725 1782 1732 1786 1747 1657 1704 1665 1739 1705
Cop. strato arboreo (%) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 75 25 30 40 99 5 30
Cop. strato arbustivo (%) 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 10 30 40 10 50 20 5
Cop. strato erbaceo (%) 100 100 100 99 80 95 95 95 60 60 95 95 15 65 60 60 50 70 70
Cop. strato muscinale (%) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
Cop. strato lettiera (%) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
Cop. suolo nudo (%) 0 0 0 0 20 5 5 5 40 40 5 5 0 0 0 0 0 5 25
h max strato arboreo (m) - - - - - - - - - - - - 10 12 10 10 18 8 8
h max strato arbustivo (m) - - - 0,4 - - - - - - - - 2,1 2 2 1,5 1 1,7 1
h max strato erbaceo (m) 0,9 0,6 0,7 0,5 0,5 0,4 0,5 0,4 0,4 0,4 0,7 1 0,7 0,5 0,5 1 0,8 0,4 0,5
profondità radici (cm) 35 45 55 50 25 30 20 25 25 30 22 40 120 40 70 55 100 35 35
pH 4,77 4,98 4,75 5 8,2 6,09 6,89 6,7 6,4 7,01 7,98 6,93 5,6 5,74 5,9 5,3 3,46 8,24 8,12
Scheletro (%) 45,8 41,48 30,71 49,61 53,08 47,06 47,06 48,09 40,85 46,32 49,18 43,35 36,16 44,77 66,7 42,1 46,3 48,72 57,85
terra fine (%): 54,2 58,52 69,29 50,39 46,92 52,94 52,94 51,91 59,15 53,68 50,82 56,65 63,84 55,23 33,3 57,9 53,7 51,28 42,15
- Argilla (%) 6,0 3,2 3,2 3,4 12,0 10,7 19,3 9,8 6,7 7,1 10,7 9,7 0,1 5,3 0,1 3,1 4,6 16,9 13,7
- Limo (%) 42,4 37,9 36,4 19,2 23,6 17,0 32,7 26,5 19,3 21,7 22,4 18,8 18,5 23,9 15,7 31,5 28,6 24,2 25,2
- Sabbia (%) 51,6 58,8 60,4 77,5 64,5 72,3 48,0 63,6 73,9 71,2 66,9 71,5 81,4 70,8 84,2 65,4 66,8 58,9 61,1
Chenopodium bonus-henricus L. + r + . . . . . . . . . . . . . . . .
Urtica dioica L. + . . . . . . . . . . . . r . + . . .
Galium aparine L. . . . . . . . . . . . . . . . + . . .
Geranium robertianum L. . . . . . . . . + . . . . . . . . . .
Plantago major L. r . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rumex alpinus L. + . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Senecio inaequidens
DC. . . . . . . + . . . . . . . . . . . .
Achillea millefolium L. 2 2 + + + + r r + + r + + 1 + + r + +
Festuca rubra L. + + + + + + r + + + + 1 . 2 1 2 . + +
Trifolium repens L. 1 + + + 4 5 5 5 3 3 4 4 . r + + . + +
Lotus corniculatus L. + + + + + + + + + 1 + + . . . . . . .
Dactylis glomerata L + . . . + r . + r . + 1 . . . 1 . + +
Cerastium holosteoides Fr. + + r + . . . . . . . . + + r + . + .
Lolium perenne L. . . . . + + + 1 1 + 2 2 . . . . . . .
Phleum alpinum L. 1 1 + + r r . . . . . . r . . r . . .
Phleum pratense L. . . . . + + + + r r 1 + . . . . . . .
Poa pratensis L. . . . . + r + + r r + + . . . . . . .
Trifolium pratense L. subsp. nivale (Koch) Arcang. + r + r . . . . . . . . . + . + . . r
Trifolium pratense L. subsp. pratense . . . . r r r r . r + + . . . . . . .
69
Leontodon hispidus L. . + 1 + . . . . . . . . . . . r . . r
Agrostis capillaris L. . + + . . . . . . . + + . . . . . . .
Chaerophyllum hirsutum L. r 2 1 r . . . . . . . . . . . . . . .
Mutellina adonidifolia (Gay) Guterm + . . r . . . . . . . . . r . . . r .
Poa supina Schrad. + r + + . . . . . . . . . . . . . . .
Rumex acetosa L. + + + r . . . . . . . . . . . . . . .
Persicaria bistorta (L.) Samp. . r 2 . . . . . . . . . . . . r . . .
Taraxacum officinale (group) + . + . . . . . . . . . . . . r . . .
Viola tricolor L. + . r . . . . . r . . . . . . . . . .
Deschampsia cespitosa (L.) Beauv. 1 . 1 . . . . . . . . . . . . . . . .
Myosotis alpestris F.W. Schmidt . . + + . . . . . . . . . . . . . . .
Arrhenatherum elatius (L.) P. Beauv. Ex J. Presl & C. Presl . . . . . . . . . . . . . . . . . . r
Lathyrus pratensis L. . . . . . . . . . . . . . . . + . . .
Ornithogalum umbellatum L. . . + . . . . . . . . . . . . . . . .
Phyteuma ovatum Honck. . . + . . . . . . . . . . . . . . . .
Poa alpina L. . . + . . . . . . . . . . . . . . . .
Ranunculus acris L. . . . + . . . . . . . . . . . . . . .
Silene dioica (L.) Clairv. . . + . . . . . . . . . . . . . . . .
Silene vulgaris (Moench) Garcke . . + . . . . . . . . . . . . . . . .
Trollius europaeus L. . r . . . . . . . . . . . . . . . . .
Potentilla erecta (L.) Raeusch. + 1 + + . . . . . . . . + + + + + r +
Anthoxanthum alpinum Á. & D. Löve + + + + . . . . r . . r + + + + . . .
Poa variegata Lam. 1 2 2 3 + . . . . + . . . 1 + + . + .
Festuca nigrescens Lam. 2 1 1 1 . . . . . . . . . 2 1 + . + +
Lotus alpinus var. alpicola Beck + + . + . . . . . . . . + + + r . 1 +
Phyteuma betonicifolium Vill. r + . + . . . . . . . + + + + + + . .
Hieracium lactucella Wallr. + r r + . . . . . . . r . . . . . + r
Centaurea nervosa Willd. . + + . . . . . . . . . . r + r . . +
Ranunculus villarsii DC. 1 + 1 1 . . . . . . . . . r . . . + .
Leontodon helveticus Mérat . . . r . . . . . . . . + + . . . + r
Luzula sudetica (Willd.) Schult. . + . 1 . . . . . . . . . + + . . + .
Deschampsia flexuosa (L.) Trin. . . . . + . . . . . . . + . . + 2 . .
Geum montanum L. + + + + . . . . . . . . . . . . . . .
Nardus stricta L. + 1 + 1 . . . . . . . . . . . . . . .
Nigritella nigra (L.) Rchb. f. . . . r . . . . . . . . r r r . . . .
Polygala alpestris Rchb. . . . . . . . . . . . . + + . . . + +
Potentilla aurea L. + + + 1 . . . . . . . . . . . . . . .
Genista germanica L. . . . . . . . . . . . . + . 1 r . . .
Trifolium alpinum L. . + . r . . . . . . . . + . . . . . .
Veronica fruticans Jacq. . . . . . . . . . . . . + . + . r . .
Arnica montana L. . + . . . . . . . . . . r . . . . . .
Aster alpinus L. . . . + . . . . . . . . . + . . . . .
70
Calluna vulgaris (L.) Hull . . . . . . . . . . . . . + . . . r .
Campanula scheuchzeri Vill. . r . . . . . . . . . . . . r . . . .
Carex sempervirens Vill. . . . . . . . . . . . . 1 . r . . . .
Galium anisophyllum Vill. . . . + . . . . . . . . . . . + . . .
Gentiana acaulis L. . r . + . . . . . . . . . . . . . . .
Paradisea liliastrum (L.) Bertol. . + . . . . . . . . . . r . . . . . .
Phyteuma orbiculare L. . . + + . . . . . . . . . . . . . . .
Pseudorchis albida (L.) Á. & D. Löve . . . r . . . . . . . . r . . . . . .
Pulsatilla alpina subsp. apiifolia (Scop.) Nyman . r . . . . . . . . . . r . . . . . .
Ranunculus montanus Willd. + . + . . . . . . . . . . . . . . . .
Botrychium lunaria (L.) Swartz in Schrad. . . . . . . . . . . . . . r . . . . .
Campanula barbata L. . + . . . . . . . . . . . . . . . . .
Carex caryophyllea Latourr. . . . + . . . . . . . . . . . . . . .
Carex pallescens L. . . . . . . . . . . . . . . . + . . .
Carex pilulifera L. . . . . . . . . . . . . . + . . . . .
Cirsium acaule (L.) Scop. . . . + . . . . . . . . . . . . . . .
Cytisus hirsutus L. . . . . . . . . . . . . . . + . . . .
Danthonia decumbens (L.) DC. . . . . . . . . . . . . + . . . . . .
Euphrasia minima Jacq. Ex DC. . . . . . . . . . . . . . . r . . . .
Hypochoeris uniflora Vill. . r . . . . . . . . . . . . . . . . .
Leontodon autumnalis L. . . . r . . . . . . . . . . . . . . .
Pedicularis tuberosa L. . r . . . . . . . . . . . . . . . . .
Plantago alpina L. . . . . . . . . . . . . + . . . . . .
Silene nutans L. + + . + r . . . r . . . + 1 + r . + +
Galium pumilum Murray + + + + . . . . . . . . + + + + . + +
Thymus alpestris Tausch ex A. Kern. r . . + . . . . . . . . 1 + + r r + 1
Veronica chamaedrys L. 1 1 2 1 . . . . . . . . + + + + + . .
Gymnadenia conopsea (L.) R. Br. In W.T. Aiton . r . r . . . . . . . . r r + r . + +
Briza media L. . . . + . . . . . . . . 1 2 1 + . 1 2
Carduus defloratus subsp. summanus (Pollini) Arc. . . . r . . . . . . . . + r + r . + +
Plantago media L. r + . + . . . . . . . . . 1 + . . + +
Anthyllis vulneraria L. subsp. vulneraria . . . . . . . . r . . r . 1 1 . . 3 3
Helianthemum nummularioum subsp. obscurum (Čelak.) Holub . . . . . . . . . . . . + + 2 1 . + +
Brachypodium rupestre (Host) Roem. & Shult. . . . . . . . . . . . . 2 . 1 2 2 . r
Hieracium pilosella L. . . . . . . . . . . . . 1 + + . . + +
Acinos alpinus (L.) Moench . . . . . . . . . . . . . + + . . + +
Hippocrepis comosa L. . . . . . . . . . . . . + + + . . . +
Pimpinella saxifraga L. . . . . . . . . . . . . . r + . . + +
Medicago lupulina L. . . . . . . . . . . . . . + . . . + r
Prunella grandiflora (L.) Scholler . . . . . . . . . . . . r . + . . . r
Sanguisorba minor Scop. . . . . . . . . . . . . . + + . . + .
71
Trifolium montanum L. . . . . . . . . . . . . + . . + . . r
Orchis ustulata L. . . . . . . . . . . . . . . + . . . r
Viola canina L. . + . + . . . . . . . . . . . . . . .
Rhinanthus alectorolophus (Scop.) Pollich . . . + . . . . . . . . . . . . . . .
Silene rupestris L. . r . + . . . . . . . . + . . . . . .
Sempervivum montanum L. . . . . . . . . . . . . . . r . . . .
Tussilago farfara L. . . . . . . . . . + . . . . . . . 1 +
Epilobium collinum C.C. Gmel. . . . . . . . . . . . . . r . . . + +
Tolpis staticifolia (All.) Sch. Bip. . . . . . . . . . . . . . . . . . + +
Rumex scutatus L. . . . . . . . . . . . . . . r . . . .
Fragaria vesca L. . . . . . . . . . . . . + + + + 3 + +
Epilobium montanum L. . . . . . . . . . . . . . + . . . . .
Astragalus glycyphyllos L. . . . . . . . . . . . . . r . . . . .
Hypericum perforatum L. . . . . . . . . . . . . . . r . . . .
Veratrum album L. 2 + 1 . . . . . . . . . . . . . . . .
Aconitum napellus L. em. Skalický . . . . . . . . . . . . . . + + . . .
Alnus alnobetula (Ehrh.) K. Koch . . . . . . . . . . . . . + r . . . .
Rubus idaeus L. . r . . . . . . . . . . + 1 + 1 4 + r
Rosa canina L. s.l. . . . . . . . . . . . . . + + r . . .
Berberis vulgaris L. . . . . . . . . . . . . . . + 1 . . .
Senecio ovatus (P. Gaertn., B. Mey. & Scherb.) Willd. . . . . . . . . . . . . . . . . + . .
Polygala chamaebuxus L. . . . . . . . . . . . . r . . . r . .
Pinus sylvestris L. . . . . . . . . . . . . r . . . . . .
Ranunculus nemorosus
DC. . . . . . . . . . . . . + 1 + + + + +
Betula pendula Roth . . . . . . . . . . . . + . + . . . .
Hieracium murorum L. . . . . . . . . . . . . r . . . + . .
Knautia drymeia Heuff. . . . . . . . . . . . . . . . r + . .
Lactuca muralis (L.) P. Gaertn. . . . . . . . . . . . . . . . . + . .
Larix decidua Mill. . . . + . . . . . . . . 1 2 2 3 5 2 2
Juniperus communis subsp. alpina Čelak. . . . . . . . . . . . . 2 3 2 1 + 1 +
Picea abies (L.) H. Karst. . . . . . . . . . . . . 4 1 1 1 2 1 1
Luzula nivea (L.) D.C. . . . . . . . . . . . . + . . r 1 . .
Viola biflora L. . . . . . . . . . . . . + . . r 1 . .
Luzula sylvatica subsp. sieberi (Tausch) Cif. & Giacom. . . . . . . . . . . . . r . . . + . .
Sorbus aucuparia L. . . . . . . . . . . . . r r . . + . .
Vaccinium myrtillus L. . . . . . . . . . . . . 2 . . . r . .
Veronica officinalis L. r . . . . . . . . . . . . . . . 1 . .
Rhododendron ferrugineum L. . . . . . . . . . . . . + . . . . . .
Vaccinium vitis-idaea L. . . . . . . . . . . . . + . . . . . .