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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
ELEBORATO FINALE GENERAL COURSE DIRITTI UMANI E
INCLUSIONE 2017-2018
DIRITTI UMANI E AMBIENTE: QUANDO LA DEFORESTAZIONE
DIVENTA UN PROBLEMA PER TUTTI
Antea Liberalesso
Scienze Politiche, Relazioni Internazionali, Diritti Umani
Edoardo Monaco
Scienze Politiche, Relazioni Internazionali, Diritti Umani
Elena Vissa
Forest Science, Forest And Nature For The Future
2
Antea Liberalesso L’INCLUSIONE AMBIENTALE, I
CONFLITTI SOCIO-AMBIENTALI, I
MODELLI DI GESTIONE
AMBIENTALE
pag.26-42
Corso da crediti numero: 9
Edoardo Monaco
DEFORESTAZIONE, POLITICA ED
EFFETTI SULLA SOCIETA’
Pag. 44-59
Corso da crediti numero: 9
Elena Vissa CHE COSA E’ LA FORESTA?
Pag. 4-25
Corso da crediti numero: 9
Le conclusioni generali sono state elaborate insieme.
Per difficoltà di organizzazione abbiamo trovato più semplice dividere la
bibliografia.
3
INDICE
CHE COS’È LA FORESTA? ..................................................................................................... 4
L’IMPORTANZA DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI ............................................................. 6
GESTIONE FORESTALE SOSTENIBILE E CERTIFICAZIONI FORESTALI ................................ 9
SOCIAL FORESTRY ......................................................................................................... 11
FORESTE E POPOLAZIONI INDIGENE ............................................................................. 14
DEFORESTAZIONE: che cosa vuol dire e quali sono le conseguenze? .......................... 18
BIBLIOGRAFIA (Elena Vissa) .............................................................................................. 24
L’INCLUSIONE AMBIENTALE, I CONFLITTI SOCIO-AMBIENTALI, I MODELLI DI GESTIONE
AMBIENTALE ..................................................................................................................... 26
Introduzione .................................................................................................................. 26
1. Risorse naturali e ambientali .................................................................................... 27
2. Inclusione ambientale ............................................................................................... 29
3. Conflitti ambientali ................................................................................................... 31
4. Razzismo ambientale e rifugiati ecologici ................................................................. 37
5. Strumenti di gestione del territorio e soluzioni ai conflitti socio-ambientali ........... 40
BIBLIOGRAFIA (Antea Liberalesso) .................................................................................... 43
DEFORESTAZIONE, POLITICA ED EFFETTI SULLA SOCIETA’ ............................................... 44
INTRODUZIONE ............................................................................................................. 44
LE AZIENDE TRANSNAZIONALI E LA DEFORESTAZIONE ................................................ 46
ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE INTERNAZIONALI E DEFORESTAZIONE ............ 46
PAESI COINVOLTI NELLA DEFORESTAZIONE ................................................................. 48
LEGGE MP759 PER CONTRASTARE LA DEFORESTAZIONE. ............................................ 49
FORESTA AMAZZONICA E BRASILE: ............................................................................... 50
CAUSE DELLA DEFORESTAZIONE ................................................................................... 50
LE RIFORME FORESTALI CINESI ..................................................................................... 53
SOLUZIONI PER CONTRASTARE LA DEFORESTAZIONE ................................. 54
BIBLIOGRAIA (Edoardo Monaco) ...................................................................................... 58
4
CONCLUSIONI GENERALI ................................................................................................... 60
CHE COS’È LA FORESTA? Nell’immaginario collettivo la foresta è vista come un insieme di piante che offre
una casa ad una variata moltitudine di piccoli e grandi animali.
Forse, per una gran parte della popolazione, sfugge che da essa non solo
dipendono molte specie di insetti, artropodi, mammiferi, uccelli, etc., ad esse
associati, ma anche noi. La nostra vita, così come quella di ogni altra forma
animale su questo pianeta, dipende dal mondo vegetale (S. Mancuso, 2017). Ed è
proprio questa nostra dipendenza dalle piante e la loro importanza per la nostra
vita che non viene sempre percepita nella sua interezza. Le piante, senza ombra di
dubbio, sono coloro che ci forniscono l’ossigeno grazie al quale respiriamo e sono
la base di quella catena alimentare che nutre ogni giorno ogni essere vivente.
Tuttavia, le piante non sono “solo” questo. Il legno con cui costruiamo le nostre
abitazioni, i principi attivi che utilizziamo per le nostre medicine, le risorse
energetiche non rinnovabili che sono state protagoniste dello sviluppo industriale
e quindi economico della società contemporanea, sono altri modi in cui abbiamo
utilizzato il mondo vegetale e dal quale continuiamo a trarre vantaggio.
Secondo la Food Agriculture Organization (FAO), ossia l’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura1, la foresta viene definita come
“a land spanning more than 0.5 hectares with trees higher than 5 meters and a
1 La Food Agriculture Organization si preoccupa di monitorare lo stato delle foreste a
livello mondiale tramite la creazione quinquennale del cosiddetto Global Forest
Resources Assessment. Grazie al lavoro di ogni stato membro e all’uso della nuova
tecnologia come il “remote sensing” si è in grado di mappare la copertura forestale e
quindi di monitorare la deforestazione a livello globale. Grazie a questo lavoro, istituzioni
governative, il settore privato e in generale la società possono essere indirizzati verso
determinate scelte in ambito ambientale volte a sostenere uno sviluppo sostenibile in
ambito ambientale e non solo.
5
canopy cover of more than 10 percent, or trees able to reach these thresholds in
situ. It does not include land that is predominantly under agricultural or urban
land use”.
A questo proposito, è bene notare che le piantagioni come per esempio di alberi
da frutto o di olio da palma, non sono considerate foreste.
Secondo il censimento che la FAO esegue ogni cinque anni, le più grandi “distese
forestali” sono collocate in Russia, Nord America, Sud America e Cina (fig.1).
Fig.1 Percentuale di territorio coperto da foreste, 2015, FAO
Volendo fare una classifica dei 10 paesi che presentano le percentuali più alte di
copertura forestale, sempre secondo i dati provvisti dalla organizzazione delle
Nazioni Unite, si trovano: Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti, Cina, Repubblica
Democratica del Congo, Australia, Indonesia, Perù, India (tab.1)
6
Tab.1 i 10 Paesi con la più alta percentuale in termini di risorse forestali,
2015, FAO
L’IMPORTANZA DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI Un ecosistema è un sistema composto da una comunità biotica, la componente
vivente, e dal suo ambiente abiotico, la componente non vivente.
Considerando per esempio un ecosistema forestale, la componente vivente è
costituita da piante, animali e microbi, mentre quella non vivente è costituita
dall’atmosfera, dal clima, dal suolo e dall’acqua. Tra le due diverse componenti
esistono interazioni complesse: ciascun organismo non risponde semplicemente
all’ambiente fisico, ma al tempo stesso lo modifica, determinandone alcune
caratteristiche e quindi diventandone parte (T.M. Smith, R.L. Smith, 2013).
Per cercare di immaginare anche solo una piccola parte delle interazioni che sono
presenti nell’ecosistema forestale basti pensare alle chiome delle piante: le foglie
intercettano la luce solare grazie alla quale alimentano il processo della
fotosintesi. Intercettando la luce, riducono l’irraggiamento solare sul suolo,
abbassando così la temperatura dell’aria. Gli uccelli si nutrono poi degli insetti
presenti nello strato di foglie morte della lettiera. Così facendo, modificano
l’ambiente per alcuni organismi che dipendono da questa stessa risorsa trofica e
influenzano indirettamente le interazioni tra le differenti specie di insetti che
colonizzano il tappeto forestale (T.M. Smith, R.L. Smith, 2013).
7
Fig. 2. La parte interna di un ecosistema forestale nella foresta del Cansiglio
(BL). Gli alberi, prevalentemente faggi, intercettano la luce solare diretta e
varie specie di muschi crescono nel sottobosco creando le condizioni ottimali
per lo sviluppo di altre specie. Batteri e funghi svolgono il ruolo di
decompositori sulla superficie del suolo. Le foto sono state scattate durante
una delle molteplici uscite didattiche organizzate dal corso di laurea “Forest
Science”.
E noi, che vantaggio traiamo dalle foreste? 31.000 differenti specie hanno un uso
documentato; fra queste, quasi 18.000 sono utilizzate a scopi medicinali, 6000 per
la nostra alimentazione, 11.000 come fibre tessili e materiali da costruzione, 1300
a fini sociali (usi religiosi e droghe), 1600 quali fonte energetica, 4000 come cibo
per animali, 8000 a scopi ambientali, 2500 come veleni eccetera. Quindi circa un
decimo delle specie ha un uso immediato per l’umanità (S. Mancuso, 2017).
8
Fig.3. Le foreste non ci forniscono “solo” l’ossigeno, ma anche una serie di
servizi ecosistemici come cibo, medicine, fibre tessili, la purificazione
dell’acqua, la pollinazione, l’accumulo di carbonio e oggiggiorno ricoprono
una certa importanza anche le funzioni turistiche-ricreative.
Le foreste inoltre, producono una serie di servizi ecologici e ambientali a cui non
viene data la giusta importanza e riconoscenza dalla più parte delle persone.
L’estrema facilità con cui abbiamo accesso ad una seria di comfort quotidiani
come l’acqua dei nostri acquedotti o a zone turistiche dislocate in territori
potenzialmente soggetti a valanghe o frane, ma attraenti dal punto di vista
paesaggistico, ci impedisce di valorizzare il ruolo della foresta e del suo suolo per
esempio nella purificazione delle acque o nella sua funzione protettiva in zone a
rischio erosione.
Le foreste agiscono sia come “accumulatrici di carbonio”, aiutandoci in questo
modo nel sequestro delle nostre elevate emissioni di CO2, ma anche come fonti di
carbonio, ed è per questo che è importante gestirle in modo sostenibile e
sviluppare metodi di gestione forestale sempre più adatti a sostenere le nostre
esigenze, ma in particolare a preservare l’ecosistema forestale.
I biomi (complesso di piante e animali con caratteristiche ecologiche generali simili, che
occupano con stabilità determinati ambienti) vengono suddivisi in otto principali
tipologie in base alle categorie predominanti di vegetazione: foresta tropicale,
foresta temperata, foresta di conifere (taiga o foresta boreale), savana tropicale,
prateria temperata, macchia, tundra e deserto.
Le foreste tropicali sono quelle che presentano i più alti livelli di biodiversità, in
termini di ricchezza di specie sia vegetali che animali, ma allo stesso tempo
bisogna tenere presente che sono anche quelle che presentano i più alti tassi di
deforestazione e degradazione.
9
GESTIONE FORESTALE SOSTENIBILE E CERTIFICAZIONI
FORESTALI Sostenibilità, una parola ormai divenuta di moda e utilizzata così spesso, talvolta
in modo superficiale, che può far dimenticare il suo profondo significato.
Se si guarda alla definizione di sostenibilità nell’Enciclopedia Treccani, nel
campo ambientale ed economico viede definita come: “condizione di uno
sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione
presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare
i propri”.
Per un quadro più completo, di seguito riporto la definizione di gestione forestale
sostenibile descritta dalle Nazioni Unite: “[a] dynamic and evolving concept
[that] aims to maintain and enhance the economic, social and environmental
values of all types of forests, for the benefit of present and future generations”.
Nel campo forestale, sostenibilità significa quindi una gestione attenta e rispettosa
delle risorse forestali in modo tale da garantire alle future generazioni la
possibilità di beneficiarne allo stesso modo.
Mi preme sottolineare come nella definizione delle Nazioni Unite si parli non solo
di un valore ambientale, ma anche di un valore economico e sociale legato
all’ecosistema foresta.
Perché una gestione sostenibile delle risorse ambientali possa essere messa in
pratica, ci deve essere un quadro normativo nazionale che preveda una serie di
regolamenti forestali volti a tutelare tutte le iniziative riguardanti l’ambiente.
La certificazione forestale vuole così essere promotrice di una gestione forestale
sostenibile che tenga conto non solo, dell’ ovvio aspetto ambientale, ma anche di
quell’aspetto sociale ed economico che caratterizza le foreste di tutto il mondo. Si
prefigge quindi di premiare con la certificazione quelle foreste laddove vi è
un’attenta gestione nella protezione delle risorse naturali, un’attenzione verso il
rispetto dei diritti dei lavoratori, delle comunità locali e delle popolazioni indigene
e dove ci si orienta verso equi mercati dei prodotti legnosi e non.
10
Se prendiamo per esempio i 10 principi della buona gestione forestale proposti dal
Forest Stewardship Council2, vediamo che i primi quattro si riferiscono alla sfera
sociale:
1. Rispetto delle leggi nazionali e degli accordi internazionali
2. Tutela dei diritti dei lavoratori delle condizioni di lavoro
3. Riconoscimento e tutela dei diritti delle popolazioni indigene
4. Salvaguardia del benessere delle comunità locali
5. Uso efficiente dei prodotti e dei servizi delle foreste
6. Valori e impatti ambientali: conservazione dei servizi eco-sistemici
7. Attuazione di un piano di gestione forestale
8. Monitoraggio/valutazione della foresta e della gestione forestale
9. Salvaguardia delle foreste di grande valore ambientale
10. Implementazione delle attività di gestione previste
Una gestione forestale sostenibile significa quindi non solo una pianificazione
attenta delle risorse naturali, ma anche un importante riguardo a chi vive e
dipende strettamente dalla foresta.
Si calcola infatti che le persone impiegate full-time nel settore forestale (inteso
come lavoro in foresta esclusi gli altri settori della filiera legno) fossero circa 12.7
milioni nel 2010. L’impiego nel settore forestale contribuisce infatti al benessere
sociale, economico, ambientale della società (FRA, 2015)
Di questi 12.7 milioni di “impiegati forestali”, il 79 per cento si trovava in Asia,
particolarmente in India, Bangladesh e China (FRA, 2015).
2 Il Forest Stewardship Council (FSC) è un’organizzazione non governativa e non-profit
che promuove la gestione responsabile delle foreste di tutto il mondo. Fondata nel 1993
in risposta alle preoccupazioni sulla deforestazione globale, FSC è un’organizzazione con
una struttura di governance basata sulla partecipazione, la democrazia, l’equità e la
trasparenza. È un forum unico in cui le parti interessate provenienti da tutto il mondo si
incontrano e, attraverso processi multi-stakeholder basati sul consenso, definiscono i
criteri sociali e ambientali essenziali per la gestione forestale.
11
I paesi che presentavano il più alto numero di donne impegnate nel lavoro
forestale erano il Bangladesh (600 000), la Cina (301 000) e il Mali (180 000).
Solo 29 Paesi hanno riportato separatamente il numero di donne e uomini
impegnati in foresta e con questi dati si è riusciti a ricostruire che il maggior
numero di donne “forestali” si trova in Mali (90 percento) dove si occupa della
raccolta della legna da ardere e dei cosìdetti prodotti forestali non legnosi come
per esempio funghi e frutti di bosco, seguito poi da Mongolia (qui le donne sono
responsabili per la raccolta della legna da ardere, riforestazione ed educazione
ambientale) e Namibia (45 percento) e dal Bangladesh (40 percento) (FRA, 2015).
SOCIAL FORESTRY Non c’è da stupirsi se l’India presenta un’ importante parte della sua popolazione
coinvolta nel settore forestale. È proprio in India infatti che nel 1977 nasce il
concetto di social forestry. Il termine fu utilizzato per la prima volta dalla
Comissione Nazionale per l’Agricoluta indiana che aveva come obiettivo lo
sviluppo di un progetto volto a diminuire la pressione sulle foreste esistenti,
piantandone di nuove in aree abbandonate o precedendemente degradate
coinvolgendo le popolazioni locali nell’ottica di alleviare la povertà.
In poche parole il concetto di social forestry, che a molti può risultare nuovo viene
definito così: “Social forestry means the management and protection of forest and
afforestation of barren and deforested lands with the purpose of helping
environmental, social and rural development”.
Nasce e si sviluppa poi negli anni il concetto di community forestry, che vede
impegnati non solo esponenti politici nazionali e internazionali nelle decisioni in
campo forestale, ma anche le popolazioni locali e indigene, ancora strettamente
legate alla loro terra in alcuni Paesi del mondo. Antropologi e altri ricercatori nel
campo sociale hanno documentato diversi modi attraverso i quali le popolazioni
indigene e le popolazioni locali hanno gestito le foreste in modo sostenibile
attraverso diverse e antiche tecniche forestali. Durante il XVI secolo, periodo del
colonialismo europeo, molte terre vennero purtroppo confiscate agli indigeni e
soggette ad un intenso utilizzo che seguiva in qualche modo il modello europeo:
fino al XIX secolo vennero sfruttate senza nessuna regolamentazione che
12
controllasse le quantità di legname esportato. In aggiunta, durante il periodo della
Seconda Guerra Mondiale, si assiste ad un ancora più intensificata estrazione del
legname da parte di compagnie private in molte regioni tropicali e temperate.
L’idea della “community forestry”, inizia così ad emergere intorno al 1970 e 1990
come risposta all’intenso e non regolato utilizzo del legname che aveva portato
alla deforestazione e alla degradazione di vaste aree forestali. Popolazioni locali
iniziarono così la loro protesta verso lo sovra-sfruttamento che vedeva coinvolti i
loro territori, a reclamare i loro diritti su quelle terre a loro confiscate
ingiustamente e a fare pressione sui governi nazionali e alle organizzazioni inter-
governamentali come la World Bank, la FAO e la United Nations Forum on
Forests per trovare una soluzione all’ingiustizia sociale e alla povertà rurale in cui
gran parte di loro si ritrovava.
Nepal, Filippine e India sono stati i Paesi pionieri in questo senso. In Nepal, nel
1978 viene riconosciuto il diritto alla popolazione locale di gestire alcune foreste
di proprietà dello stato tramite un’istituzione politica chiamata “Panchayat”.
Viene poi stabilito il “Community Forest User Groups” che autorizza legalmente
la popolazione a prendere decisioni riguardo la gestione foresttale. Nelle
Filippine, il sistema social forestry diventa il programma ufficiale del governo nei
confronti della conservazione delle foreste e dello sviluppo rurale nel 1982. E
ancora in India, nel 1990 assistiamo all’istituzione del “Joint Forest Management”
che si propone di assicurare la partecipazione delle popolazioni forestali nei
processi decisionali riguardanti il forest management (S. Charnley, M. R.
Poe.2007).
Il concetto di community forestry può quindi essere visto come parte di un grande
movimento verso la gestione e la conservazione delle risorse naturali da parte
delle comunità locali che iniziò dapprima nei paesi in via di sviluppo intorno al
1980 e nei paesi più sviluppati intorno al 1990 (S. Charnley, M. R. Poe.2007).
L’ipotesi alla base di questo concetto è la “decentralizzazione” di parte del potere
decisionale dai governi centrali alle popolazioni locali (a stretto contatto con le
foreste): si dovrebbe quindi assistere ad un passaggio dei diritti, delle
13
responsabilità e delle autorità connessi al campo forestale (S. Charnley, M. R.
Poe.2007).
Che cosa i governi decentralizzano o devolvono alle comunità?
Dipende dalle diverse situazioni, ma possono includere diritti di accesso
all’utilizzazione dei prodotti forestali e loro benefici, diritti di scelta e potere
decisionale per quanto riguarda il management forestale più adatto (chi meglio
delle popolazioni indigene o locali conosce il funzionamento delle loro foreste?) ,
funzioni amministrative e in qualche caso il diritto di proprietà sulle terre. In
questa ottica la community foresty può essere un’ottima soluzione per dare voce a
che prima non l’aveva e viveva ai margini della società.
In aggiunta a questo beneficio sociale, la community forestry può anche essere un
modo per implementare una gestione sostenibile delle risorse naturali, in linea
quindi con la volontà di preservare la biodiversità per le generazioni future. Le
popolazioni locali e indigene, che vivono a stretto contatto con le foreste, sono le
prime ad essere incentivate alla loro cura essendo da esse strettamente dipendenti
per quanto riguarda cibo, acqua e rifugio. Altri studi hanno anche evidenziato
come le persone siano più predisposte ad assumersi la responsabilità del benessere
delle foreste qualora ci sia un senso di controllo e appartenenza su di esse (S.
Charnley, M. R. Poe. 2007).
Per riassumere, riporto i benefici sociali ed economici che delle community
forestry tratti da “Community Forestry in Theory and Practice: Where Are We
Now”?:
More equitable sharing of forest management rights and responsabilities
More equitable access to and control over forest resources
More equitable distribution of forest benefits among community members
Increased investment in the future productivity of forests
Better meeting of local peoples’ need for forest resources
Improvement of the standard of living
Alleviation of poverty
14
Reduction of conflict between local communities and government
authorities
Control of corruption
Resolution of forest mismanagement problems
Reduction of forest misure by individuals
Community capacity building
L’ideale della community forestry, se pur talvolta criticato come un meccanismo
volto a sfruttare il lavoro delle popolazioni forestali a vantaggio degli stati
(esportazione di legname a prezzo inferiore per far risparmiare le casse degli
stati), rappresenta un importante passo per le popolazioni locali verso il diritto di
accesso e controllo su quelle foreste che durante il colonialismo e post
colonialismo erano state loro sottratte e sottoposte ad una esportazione intensiva
senza il loro assoluto consenso e coinvolgimento (S. Charnley, M. R. Poe.2007).
FORESTE E POPOLAZIONI INDIGENE Il 13 settembre 2007 a New York, durante la 62
a Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, è stata adottata la Dichiarazione dei Popoli Indigeni [8].
L’identificazione di “popolo” ha accompagnato anche nella successiva
identificazione dell’espressioni peuples autochtones in francese, indigenous
people in inglese, pueblos indigenas in spagnolo e le loro varianti in russo,
chinese e arabo, le sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite (I. Bellier, L. Cloud, L.
Lacroix, 2017). L’espressione ha in un primo tempo generato diverse discussioni
riguardo le poste i gioco che la categorizzazione di “popoli indigeni” avrebbe
potuto innalzare in campo politico (I. Bellier, L. Cloud, L. Lacroix, 2017).
Nonostante ciò, secondo un comunicato stampa delle Nazioni Unite, essa
"rappresenta lo sviluppo dinamico delle norme giuridiche internazionali e riflette
l'impegno degli Stati Membri delle Nazioni Unite per muoversi in determinate
direzioni [8]. In aggiunta, l’ONU la descrive come “a significant tool towards
eliminating human rights violations against the over 370 million indigenous
people worldwide and assist them in combating discrimination and
marginalization” è [5].
15
Associando i concetti di terra, di territorio e di risorsa naturale tra loro, la
Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni designa uno spazio d’habitat e
qualifica in questo spazio, l’habitat autoctono. L’interpretazione che la Corte
interamericana dei diritti dell’uomo suggerisce all’idea di considerare il diritto al
territorio autoctono come un diritto collettivo, associato al diritto alla vita e
all’integrità culturale dei popoli. Il territorio autoctono si distingue in questo caso
dal concetto classico di territorio associato alla figura dello Stato e al suo diritto
(I. Bellier, L. Cloud, L. Lacroix, 2017).
Di seguito riporto gli articoli che promuovono il rispetto dei diritti delle
popolazioni indigene alle terre, ai territori e alle risorse naturali:
Articolo 25
I popoli indigeni hanno diritto a mantenere e rafforzare la loro specifica relazione
spirituale con le terre, i territori, le acque, le zone marittime costiere e le altre
risorse tradizionalmente di loro proprietà o altrimenti occupati e utilizzati, e a
tramandare alle generazioni future le loro responsabilità al riguardo.
Articolo 26
1. I popoli indigeni hanno diritto alle terre, territori e risorse che tradizionalmente
possedevano o occupavano oppure hanno altrimenti utilizzato o acquisito.
2. I popoli indigeni hanno diritto alla proprietà, uso, sviluppo e controllo delle
terre, dei territori e delle risorse che possiedono per motivi di proprietà
tradizionale oppure di altre forme tradizionali di occupazione o uso, come anche
di quelli che hanno altrimenti acquisito.
3. Gli Stati daranno riconoscimento e protezione legali a queste terre, territori e
risorse. Questo riconoscimento sarà dato nel dovuto rispetto dei costumi, delle
tradizioni e dei regimi di proprietà terriera dei popoli indigeni in questione.
Articolo 27
Gli Stati avvieranno e realizzeranno, di concerto con i popoli indigeni in
questione, un processo equo, indipendente, imparziale, aperto e trasparente, che
16
dia il dovuto riconoscimento alle leggi, alle tradizioni, ai costumi e ai regimi di
proprietà terriera dei popoli indigeni, allo scopo di riconoscere e aggiudicare i
diritti dei popoli indigeni riguardanti le loro terre, territori e risorse, ivi compresi
quelli che erano tradizionalmente in loro possesso o altrimenti occupati o
utilizzati. I popoli indigeni avranno diritto a partecipare a questo processo.
Articolo 29
1. I popoli indigeni hanno diritto alla conservazione e protezione dell’ambiente e
della capacità produttiva delle loro terre o territori e risorse. Gli Stati devono
avviare e realizzare programmi di assistenza ai popoli indigeni per assicurare tale
conservazione e protezione, senza discriminazioni.
2. Gli Stati devono adottare misure efficaci per assicurare che nessun tipo di
stoccaggio o smaltimento di sostanze pericolose abbia luogo sulle terre o territori
dei popoli indigeni senza un loro previo, libero e informato consenso.
3. Gli Stati devono anche adottare misure efficaci per assicurare, qualora sia
necessario, che vengano debitamente realizzati dei programmi di monitoraggio,
prevenzione e recupero della salute dei popoli indigeni, cosi come sono stati
concepiti e realizzati dai popoli colpiti da tali sostanze.
Articolo 30
1. Sulle terre o territori dei popoli indigeni non potrà avere luogo alcuna azione
militare, a meno che sia giustificata da rilevanti motivi di interesse pubblico o nel
caso vi sia il consenso o la richiesta da parte dei popoli indigeni in questione.
2. Prima di utilizzare le loro terre o territori per delle azioni militari, gli Stati
dovranno avviare reali consultazioni con i popoli indigeni in questione, per mezzo
di procedure appropriate e in particolare con le loro istituzioni rappresentative.
Nonostante la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni non sia, un cosi detto in
inglese, “legally-buinding”, e quindi non sia uno strumento giuridicamente
vincolante ai sensi del diritto internazionale, rappresenta comunque un passo in
avanti verso una mentalità più inclusiva.
17
Popoli indigeni di tutto il mondo hanno lottato e continuamente lottano non solo
per difendere i loro diritti sulle loro terre, ma anche per condannare un utilizzo
delle risorse molto spesso troppo intensivo da parte dello stesso Stato o da parte di
altri Paesi che di certo è molto lontano dall’idea di utilizzo sostenibile che sempre
più si cerca di incentivare.
Diviene quindi importante garantire la partecipazione delle popolazioni indigene
in tutti quei processi volti alla decisione dell’utilizzo delle risorse naturali, come
per esempio quelle forestali. Chi meglio di loro può aiutarci in questo processo di
utilizzo sostenibile? È così che la Dichiarazione si preoccupa di porre attenzione
anche al diritto di partecipazione dei popoli indigeni nei processi decisionali.
Articolo 10
I popoli indigeni non possono essere spostati con la forza dalle loro terre o
territori. Nessuna forma di delocalizzazione potrà avere luogo senza il libero,
previo e informato consenso dei popoli indigeni in questione e solo dopo un
accordo su di una giusta ed equa compensazione e, dove possibile, con l’opzione
del ritorno.
Articolo 28
1. I popoli indigeni hanno diritto alla restituzione o, quando questa non sia più
possibile, ad un equo risarcimento per le terre, i territori e le risorse che
tradizionalmente possedevano, oppure in altra forma occupavano o utilizzavano e
che sono stati confiscati, presi, occupati, utilizzati oppure danneggiati senza il loro
libero, previo e informato consenso.
2. A meno che non vi sia un diverso accordo stipulato liberamente con i popoli in
questione, il risarcimento sarà costituito da terre, territori e risorse di pari qualità,
estensione e regime giuridico oppure da un indennizzo pecuniario o da altro tipo
di risarcimento adeguato.
Comunicazione e dialogo tra le diverse parti diventa di fondamentale importanza
quando si tratta di esportazione delle risorse naturali. Gran parte di esse si trova
infatti in territori occupati ed utilizzati da popolazioni autoctone. Le più grandi
18
minacce alle quali la biodiversità e le risorse idriche sono sottoposte sono legate a
ai mercati minerari e delle risorse energetiche, alle industrie estrattive, all’utilizzo
di sistemi monoculturali e alle industrie del legno. Le comunità autoctone si
oppongono alla privatizzazione dell’acqua, alla costruzione di barriere
idroelettriche, autostrade, aeroporti. Queste strutture sono il risultato di decisioni
politiche passate prese la più parte senza la partecipazione delle comunità in
questione, malgrado i loro importanti impatti in termini spaziali, ambientali,
spirituali, socioculturali ed economici (I. Bellier, L. Cloud, L. Lacroix, 2017).
DEFORESTAZIONE: che cosa vuol dire e quali sono le conseguenze? Secondo la definizione riportata nel Forest Resource Assessment, la
deforestazione è: “The conversion of forest to other land use or the permanent
reduction of the tree canopy cover below the minimum 10 percent threshold”
(FRA, 2015).
La deforestazione è quindi la conversione permanente, o comunque per un lungo
periodo di tempo, di una superficie forestale in aree adibite ad altri usi, come
agricoltura o pascolo del bestiame, la costruzione di una diga o ancora di un’ area
urbana. Molto spesso la causa di perdita di superficie forestale è dovuta alla
conversione di quel terreno in piantagioni non responsabili, realizzate a danno di
foreste preesistenti, con l’utilizzo di una sola o pochissime specie, con uso
intensivo di agenti chimici antiparassitari e soprattutto senza il coinvolgimento
delle popolazioni locali e indigene.
Negli ultimi 25 anni, le foreste sono diminuite “solo” del 3.1 per cento, da 4001
milioni di ettari a meno di 4000 milioni, una diminuzione che si può definire
relativamente lenta se si pensa che nel 2011 si estraevano 200 milioni di m3
all’anno di legname in più rispetto al 1990 ma che allo stesso tempo la
popolazione è cresciuta del 37 per cento in questo periodo. Frutto della
diminuzione dei tassi di conversione delle foreste in alcuni paesi e invece
dell’aumento della deforestazione in altri (Tab. 2 ).
19
Tab. 2. Cambiamenti area forestale globale: 1990 e 2015. FRA, 2015
Le tabelle 3 e 4 mostrano dove sono avvenute le più grandi conversioni sia in
termini di deforestazione (Tab.3) che in termini di espansione forestale (Tab.4).
Si può notare come i paesi che presentano i più alti livelli di perdita in termini di
ettari forestali siano anche quelli rappresentati da uno minore sviluppo
economico.
Tab.3-4: La prima riportante la riduzione di copertura forestale, la seconda
l’aumento di copertura forestale nel periodo 2010-2015. FRA, 2015.
20
Il cambiamento negli ecosistemi boreali e temperati è stato graduale, a differenza
invece del declino per capita nei tropici che è quasi dimezzato negli ultimi
venticinque anni. Nei sub-tropici si è invece avuta una perdita del 35 per cento.
Dai grafici sottostanti è chiaro l’andamento di questo trend: le foreste sono
aumentate nei paesi ricchi e sono invece diminuite nei paesi meno sviluppati. Ma
quali sono le principali ragioni di questo divario?
Fig 2. Distribuzione annuale della superficie forestale nei biomi boreale,
temperato, subtropicale, tropicale (sinistra). Distribuzione forestale in
termini di classe sociale (destra)
Viviamo in un mondo in rapida estensione, la popolazione è in continua crescita e
così anche la domanda di cibo, fibre, legname e prodotti non legnosi (es. funghi e
frutti di bosco).
L’agricoltura intensiva a fini industriali è una delle principali cause della
deforestazione. In Sud America si trovano molte coltivazioni di soia, cereali e
colza (quest’ultima per la produzione di etanolo) in mano a poche multinazionali.
21
La gestione di queste coltivazione è in mano quindi ad un centinaio di imprese che
da sole gestiscono la metà dei prodotti agricoli provenienti da tutto il pianeta.[11]
In Indonesia, migliaia di ettari di superficie forestale vengono convertiti in
coltivazioni di olio da palma. Molte popolazioni locali si vedono così costrette a
lavorare per le grandi aziende proprietarie delle coltivazioni. [11]
Oltre che ai danni ambientali di cui già si è fatto accenno precedentemente, ci si
dovrebbe interrogare sulla condizione dei lavorati. Un rapporto stilato dalla
Bloomberg Businesweek, si legge che tra i circa 3,7 milioni di lavoratori del
settore, sono migliaia i bambini lavoratori. Allo sfruttamento minorile si
aggiungono le condizioni di lavoro: i lavoratori devono affrontare situazioni di
pericolo e di soprusi. Nel rapporto si parla addirittura di una sorta di “schiavitù”.
[ 10]
Paghe minime, condizioni di lavoro molto pesanti, mancanze di normative che regolino la
sicurezza sul lavoro, alloggi molto scadenti, spesso mancato accesso ad acqua potabile,
esposizione a fertilizzanti dannosi per la salute, sono alcune delle condizioni a cui i
lavoratori delle piantagioni di olio da palma sono costretti a sopportare. [10]
Si può quindi dire di essere di fronte ad una vera e propria violazione dei diritti
umani. Siamo ancora convinti di voler comprare quei biscotti che tanto ci
piacciono e ricchi di olio di palma?
Nella proposta di risoluzione del parlamento Europeo sull’olio di palma e il
disboscamento delle foreste pluviali si legge che “ rammenta che la Malaysia e
l'Indonesia, con una quota della produzione mondiale stimata tra l'85 e il 90 %,
sono i principali produttori di olio di palma e accoglie con favore l'incremento
dei livelli della foresta primaria malese a partire dal 1990, anche se resta
preoccupato per gli attuali livelli di deforestazione in Indonesia, con un tasso di
perdita complessiva del -0,5 % ogni cinque anni;” (osservazioni generali, punto
11) e riconosce di esserne il secondo importatore al mondo, con circa 7 tonnellate
all’anno. Si legge inoltre che circa la metà della superficie delle foreste disboscate
illegalmente sia utilizzata per la produzione di olio di palma per il mercato
europeo (osservazioni generali, punto 14). [2]
22
Inoltre, “ è pienamente consapevole della complessità della questione dell'olio di
palma ed evidenzia l'importanza di elaborare una soluzione globale basata sulla
responsabilità collettiva di numerosi attori; raccomanda vivamente l'adozione di
tale principio da parte di tutti i soggetti coinvolti nella catena di
approvvigionamento, tra cui l'UE e altre organizzazioni internazionali, gli Stati
membri, gli istituti finanziari, i governi dei paesi produttori, le popolazioni
indigene e le comunità locali, le imprese nazionali e multinazionali attive nella
produzione, nella distribuzione e nella trasformazione dell'olio di palma, le
associazioni dei consumatori nonché le ONG; ritiene inoltre che tutti gli attori
elencati debbano necessariamente partecipare alla risoluzione dei numerosi e
gravi problemi legati alla produzione e al consumo non sostenibili di olio di
palma attraverso un coordinamento dei loro sforzi”. [2]
Nelle raccomandazioni finali si legge inoltre che all’ UE viene chiesto di:
introdurre criteri minimi di sostenibilità per l'olio di palma e i prodotti che lo
contengono che entrano nel mercato dell'UE, garantendo che l'olio di
palma nell'UE:
- non sia causa di degrado degli ecosistemi, come la deforestazione delle
foreste primarie e secondarie, la distruzione o il degrado delle
torbiere o di altri siti di valore ecologico, direttamente o
indirettamente, e non sia causa di perdita di biodiversità, in
particolare per tutte specie animali e vegetali in pericolo;
- non sia causa di cambiamenti delle pratiche di gestione fondiaria con
impatti ambientali negativi;
- non sia causa di problemi e conflitti economici, sociali e ambientali, tra
cui in particolare i problemi del lavoro minorile, del lavoro forzato,
dell'accaparramento dei terreni o dell'espulsione di comunità
autoctone o locali;
- rispetti pienamente i diritti umani e sociali fondamentali e sia
pienamente conforme alle opportune norme sociali e del lavoro
concepite per garantire la sicurezza e il benessere dei lavoratori;
- permetta di includere i piccoli coltivatori di olio di palma nel sistema di
certificazione e garantisca loro di percepire una quota equa dei
profitti;
23
- sia coltivato in piantagioni gestite con moderne tecniche agro-ecologiche
onde orientare il passaggio a pratiche agricole sostenibili per
minimizzare gli effetti ambientali e sociali negativi;
[2]
Importante quindi riuscire a certificare l’olio proveniente da piantagioni attente a
rispettare i diritti dei lavoratori e a seguire criteri di sostenibilità. Molte famiglie
dipendono ora da questo tipo di attività, è bene quindi selezionare le aziende
produttrici in modo tale che, nel momento in cui si decida di bloccare
l’importazione dell’olio, non si tolga lavoro anche a quelle che lavorano in modo
corretto e attente ai diritti dei propri dipendenti, ossia rispettose dei diritti umani.
24
BIBLIOGRAFIA (Elena Vissa) ARTICOLI
FAO Global Forest Resource Assessment, 2015
S. Charnley, M. R. Poe, Annual Review of Anthropology 2007 “Community
Forestry in Theory and Practice: Where Are We Now”? 36:301-36
LIBRI
Irène Bellier, Leslie Cloud, Laurent Lacroix. Les Droits des Peuples Autochtones.
Des Nations unies aux société locales. 2017. Collection “Horizon Autochtones”.
Stefano Mancuso. Plant Revolution, le piante hanno già inventato il nostro futuro.
2017. Giunti Editore
Thomas M.Smith, Robert Leo Smith. Elements of Ecology. Edizione Italiana a
cura di Anna Occhipinti Ambrogi e Agnese Marchini. 2013 Pearson Italia.
FOTO
https://www.pexels.com/ (legname, medicine, farfalla)
WEBSITE
1. http://dizionari.repubblica.it/Italiano/B/bioma.php
2. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-
//EP//TEXT+REPORT+A8-2017-0066+0+DOC+XML+V0//IT#title1
3. http://www.fao.org/forestry/sfm/85084/en/
4. http://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf
5. http://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/FAQsindigenousdeclarati
on.pdf
6. https://en.wikipedia.org/wiki/Social_forestry_in_India
7. https://it.fsc.org/it-it/certificazioni
8. https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_dei_diritti_dei_popoli_indigeni
9. https://news.un.org/en/story/2007/09/231062-united-nations-adopts-
declaration-rights-indigenous-peoples
10. https://www.ideegreen.it/olio-di-palma-24714.html
25
11. https://www.tuttogreen.it/deforestazione-globale-la-vera-causa-e-
lagricoltura/
Alcune delle informazioni riguardanti il paragrafo “social forestry” sono state
inserite grazie al materiale provvisto durante il corso “Social Forestry” tenuto
dalla Prof.ssa Anna Lawrance ad Agripolis.
26
L’INCLUSIONE AMBIENTALE, I CONFLITTI SOCIO-AMBIENTALI,
I MODELLI DI GESTIONE AMBIENTALE di Antea Liberalesso
Introduzione L’intento di questo mio approfondimento è quello di aggiungere una visione più
sociale e politica al tema ambientale, che abbiamo ritenuto fondamentale in un
focus più generale di diritti umani e inclusione. Nonostante oggi si sia
maggiormente sensibili a questo tema a livello universale, in quanto valore, non
sembra sempre toccare profondamente come dovrebbe a livello locale, in quanto
declinato poi a seconda dei contesti di riferimento. Invece, non lo si può più
considerare secondario e bisogna ricordare che l’ambiente e la natura ci
riguardano tutti allo stesso modo, come riguarderà chi verrà dopo di noi. Vediamo
un’attuale sensibilità anche in alcune politiche avviate, come: il Programma delle
Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) come organo internazionale; i 17 obiettivi
ONU per lo sviluppo sostenibile, che per la dimensione ambientale fanno
riferimento al proteggere le risorse naturali e il clima del nostro pianeta per le
generazioni future e di garantire vite prospere e piene in armonia con la natura; la
licenza FLEGT, che conferma un legname e suoi derivati, destinato a
esportazione, prodotto legalmente; le certificazioni FSC (Forest Stewardship
Council), che garantiscono un prodotto realizzato con materiale proveniente da
foreste gestite correttamente dal punto di vista ambientale, sociale ed economico,
e assicura un elevato standard di salvaguardia delle caratteristiche delle foreste; il
programma PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes)
per il riconoscimento degli schemi di certificazione forestale nazionali; il processo
di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per prevenire effetti negativi legati
alla realizzazione di progetti, assieme a Valutazione Ambientale Strategica (VAS);
la recente disposizione europea, in attuazione dell’Agenda 2030, di una strategia
nella radicale riduzione della plastica. I paesi individuati e definiti più vulnerabili
nella lotta per ottenere lo sviluppo sostenibile sono: i paesi dell’Africa, i paesi
meno sviluppati, i paesi in via di sviluppo senza sbocco sul mare, i piccoli stati
27
insulari in via di sviluppo, i paesi in situazioni belliche e postbelliche; ma sono
presenti sfide anche all’interno di molti paesi a medio reddito. Dal punto di vista
ambientale alcune delle problematiche rilevate sono: l’esaurimento delle risorse
naturali; gli impatti negativi del degrado ambientale, compresi desertificazione,
siccità, degrado del territorio, scarsità d’acqua, perdita della biodiversità; il
cambiamento climatico, l’aumento della temperatura globale, l’innalzamento del
livello del mare, l’acidificazione degli oceani, la contaminazione e l’esaurimento
delle risorse idriche, l’emissione di sostanze tossiche, nonché la perdita del
controllo delle risorse necessarie alla sussistenza delle comunità locali.
Specificatamente riferiti alle foreste alcuni obiettivi fissati sono: il garantirne la
conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile, assieme alle paludi, montagne e
zone aride; promuovere una gestione sostenibile di tutte le foreste; arrestare la
deforestazione; ripristinare le foreste degradate e aumentare ovunque la
riforestazione e il rimboschimento; tutelare e proteggere la fauna e la flora
presenti. Aprirò il mio approfondimento con una riflessione sulle risorse naturali,
le quali, affinché rimangano tali nel futuro, necessitano di una gestione condivisa
attraverso processi e politiche che favoriscano l’inclusione ambientale; altro tema
di cui tratterò in collegamento alla natura del General course, ma concetto che si
capirà pienamente con una visione complessiva di questo elaborato finale. Mi
concentrerò, inoltre, sui conflitti socio-ambientali e fenomeni conseguenti, sugli
strumenti di gestione ambientale e dei conflitti, facendo riferimento anche ad
esempi concreti.
1. Risorse naturali e ambientali Le risorse naturali sono strettamente legate alla struttura economica in cui
risiedono, perché si tratta di un concetto relativo che varia a seconda del contesto
culturale di riferimento. Le risorse naturali si definiscono come gli elementi di un
ambiente naturale usati dall’uomo per soddisfare i propri bisogni, quindi ogni
materia non prodotta dall’uomo in grado di generare utilità economica. Le
possiamo suddividere in: risorse biologiche (terra, prodotti agricoli, materie prime
organiche, forestali, allevamento, pesca); risorse minerarie, estratte dal suolo
(metalli, materie prime inorganiche); risorse energetiche (legno, petrolio, sole,
28
uranio); risorse ambientali, che includono la preservazione del paesaggio, della
biodiversità e dell’ambiente. Perciò le risorse ambientali sono una categoria delle
risorse naturali. Le risorse si possono distinguere anche dal punto di vista della
rinnovabilità ed esauribilità, oggi si è sempre più consapevoli di quanto siano
essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo della popolazione umana. Una
foresta, per esempio, è una risorsa naturale rinnovabile per definizione, ma
esauribile o non esauribile a seconda che il flusso di prelievo non rispetti o rispetti
il flusso di ricrescita naturale. Sebbene molti effetti dello sfruttamento eccessivo si
facciano sentire a livello locale, la crescente interdipendenza delle nazioni e il
commercio internazionale di risorse naturali trasformano la loro gestione in una
questione globale. Qui entra la questione dello sviluppo sostenibile, il quale si
propone di mantenere o aumentare il patrimonio disponile per le future
generazioni e le risorse naturali sono una parte consistente di questo, perciò
diventano importanti collegate ai diritti umani e all’inclusione. Una risorsa si può
dire sostenibile se si aumenta o conserva la capacità di carico dell’ecosistema, se
si utilizzano solo energie rinnovabili per la sua raccolta e il suo utilizzo o se le
funzioni vitali del sistema vengono garantite da fonti e risorse rinnovabili e
sostenibili. Le risorse naturali sono importanti anche perché sono generalmente
fonti di materie prime che entrano nel ciclo produttivo, assieme a lavoro e
capitale, per fornire prodotti per il consumo finale, producendo anche rifiuti e
inquinamento. Nel 2014 la Comunità Europea ha identificato una lista di 20
materie prime di notevole importanza economica a elevato rischio di interruzione
di disponibilità.
29
Figura 1: distribuzione globale materie prime critiche
Vengono definite tali perché la loro produzione è concentrata in paesi esterni alla
Comunità stessa, a causa dell’instabilità economico-politica dei principali paesi
produttori, per la scarsa sostituibilità della materia prima e per il suo scarso
potenziale di riciclo. Queste materie sono, infatti, anche strategiche per le loro
peculiari caratteristiche che le rendono difficilmente sostituibili. Un’ulteriore
specificazione è che le materie prime sono per molta parte elementi chimici che si
trovano all’interno delle strutture di minerali, dai quali devono essere estratti
attraverso processi specifici che hanno un notevole impatto ambientale, sociale e
politico, in quanto comportano elevate quantità di energia, essendo processi che
richiedono alte temperature, utilizzano grandi quantità di acqua, emettono gas
nell’atmosfera e producono scorie (Gabriella Salviulo, 2018).
2. Inclusione ambientale Le emergenti questioni ambientali pongono nuove sfide la cui risoluzione conduce
alla costruzione di sistemi socio-ecologici resilienti e aree urbane maggiormente
sostenibili. L’inclusione è necessaria per risolvere e/o mitigare conflitti relativi
agli oneri che una parte della popolazione è costretta a sopportare a vantaggio di
altre parti sociali. Pertanto, un ambiente o quartiere inclusivo dovrebbero essere
intesi come spazi comunicativi entro i quali differenti prospettive si confrontano al
fine di raggiungere obiettivi quanto più possibile equi, pur nella consapevolezza
dei possibili conflitti tra interessi. Si tratta di tener conto delle molteplici istanze
della multiforme società contemporanea, che hanno prima di tutto necessità di
rappresentazione per l’ascolto. Ciò equivale a sostenere che lo strumento per un
territorio o una città inclusivi non può che essere la più ampia partecipazione di
classi e soggetti sociali. A sua volta la partecipazione chiama altre questioni di
implementazione dell’inclusione, come: la pari opportunità di accesso alle
informazioni, la necessità di una rappresentatività adeguata, la definizione di
standard minimi di qualità in grado di garantire giustizia ambientale, le modalità
del monitoraggio. Negli ultimi decenni l’attenzione per le questioni umane e
sociali ha riacquistato una rinnovata spinta propulsiva che pone oggi, ad esempio,
la progettazione ambientale volta a favorire lo sviluppo di un ecosistema sociale
30
vivibile, equo e sostenibile, attraverso l’integrazione delle esigenze dell’ambiente,
della società e dell’economia. Un ruolo fondamentale in questo processo va
attribuito all’evoluzione del concetto di ambiente. Tra il 1970 e il 1980 si passa
progressivamente da un’idea diffusa di ambiente inteso come clima e insieme di
fattori fisici dai quali l’uomo deve difendersi, al concetto di ambiente visto come
risorsa e riserva materiale alla quale attingere, sviluppando un approccio
strumentale. In questi anni si spinge verso la ricerca di tecnologie per il
contenimento dei consumi, per lo sfruttamento delle energie rinnovabili e
l’efficace sfruttamento delle risorse ambientali. L’avvento della coscienza
ecologica e la crescente consapevolezza sui limiti dello sviluppo, porta
successivamente ad una considerazione dell’ambiente come valore, patrimonio e
un bene da tutelare, orientando l’attenzione verso la salvaguardia e la riduzione
degli impatti. Con il Rapporto Brundtland, 1987, e l’avvio del dibattito sulla
sostenibilità, avanza l’idea di ambiente come sistema articolato e multifattoriale,
contribuendo alla configurazione di una progettazione ambientale green,
finalizzata a fronteggiare le emergenze ambientali minimizzando i consumi e
riducendo gli impatti del costruito sull’ambiente. In questo contesto sono stati
sviluppati, a livello globale, i protocolli di certificazione come strumenti di
supporto utili al perseguimento degli obiettivi di giustizia sociale, valorizzando
una dimensione etica. Nell’ultimo decennio le questioni sociali si sono
maggiormente imposte, diventando progressivamente ineludibili in rapporto alla
progettazione e alla pianificazione dell’ambiente, attraverso un atteggiamento non
standardizzato basato sull’adattamento, l’ascolto, la condivisione, e dunque,
inclusivo. La crisi ambientale e sociale, accentuata a cavallo di millennio, ha
prodotto una serie di ingiustizie, anche spaziali, che determinano una crescente
domanda di inclusione. Alcuni aspetti importanti per l’inclusività ambientale sono
stati sottolineati dalla Commissione Europea nei “5 obiettivi per quartieri ed
edifici sostenibili” dalla sezione Energia, ambiente e sviluppo sostenibile. 1.
Preservare e valorizzare il patrimonio e conservare le risorse: riducendo il
consumo energetico e di materiali e migliorandone la gestione; migliorando la
gestione e la qualità delle risorse idriche; evitando il consumo di terra e
migliorando la gestione del territorio; preservando e valorizzando il patrimonio
31
costruito e naturale. 2. Migliorare la qualità dell'ambiente locale: preservando e
migliorando il paesaggio e il comfort visivo; migliorando la qualità degli alloggi e
degli edifici, la pulizia, l'igiene e la salute; migliorando la sicurezza e la gestione
dei rischi; migliorando la qualità dell'aria e riducendo l'inquinamento acustico;
minimizzando gli sprechi. 3. Garantire la diversità: assicurando la diversità della
popolazione, delle funzioni, dell'offerta abitativa. 4. Migliorare l'integrazione:
aumentando i livelli di istruzione e qualifica professionale; migliorando l'accesso
di tutti i residenti all'occupazione, ai servizi e alle strutture; migliorando
l'attrattiva del quartiere creando luoghi di vita e di incontro per tutti gli abitanti
della città; evitando mobilità indesiderata e migliorando l'infrastruttura di mobilità
ecocompatibile (trasporti pubblici, biciclette e passeggiate). 5. Rafforzare la vita
sociale: rafforzando la governance locale; migliorando i social network e il
capitale sociale. Per concludere, l’inclusione ambientale trova come elemento
centrale il concetto di sviluppo sostenibile, il quale si rifà della necessità di
cercare una equità di tipo intergenerazionale, per cui le generazioni future hanno
gli stessi diritti di quelle attuali, e anche di un’equità intra-generazionale, ossia
all’interno della stessa generazione le persone appartenenti a diverse realtà
politiche, economiche, sociali e geografiche hanno gli stessi diritti.
3. Conflitti ambientali Le questioni ambientali presentano un elevato livello di complessità: la
complessità riguardante le relazioni ecosistemiche (ambiente-ambiente)
interagisce con la complessità delle relazioni tra società e ambiente e con quella
delle relazioni tra gruppi sociali. Le numerose decisioni relative all’ambiente
spesso devono essere prese in condizioni di incertezza scientifica e in un quadro
di regole in continua evoluzione, consolidamento, miglioramento. A ciò si
aggiungono gli interessi delle diverse parti coinvolte in una decisione e la
dimensione valoriale che le diverse parti assegnano da un lato alla questione
ambientale, dall’altro al processo decisionale. Tale situazione di incertezza,
complessità, ambiguità, confronto tra interessi, progetti alternativi, proposte di
metodi e tecniche in competizione, costituisce un terreno fertile per la nascita e lo
sviluppo di conflitti (De Marchi, 2011). Per conflitto ambientale si intende un tipo
32
di conflitto sociale sorto attorno a cause di carattere ambientale, che possono
essere di diversa natura: conflitti che riguardano la localizzazione di infrastrutture
per la mobilità (strade, ferrovie); conflitti relativi ad impianti per il trattamento di
rifiuti e impianti per la produzione di energia; conflitti nella localizzazione di aree
protette; conflitti relativi a localizzazioni puntuali (una discarica), lineari (una
ferrovia) o diffusi (una norma che vale per tutto un determinato territorio);
politiche produttive o estrattive, politiche commerciali, finanziarie nazionali o
sovranazionali. Si possono classificare anche considerando gli attori in gioco: per
esempio conflitti tra pubbliche amministrazioni, conflitti tra amministrazioni
pubbliche e imprese, conflitti tra imprese e cittadini, conflitti tra gruppi sociali
(De Marchi, 2011). In via generale, un conflitto ambientale è caratterizzato dalla
concomitanza di due fattori: da un lato, la riduzione qualitativa o quantitativa
delle risorse ambientali disponibili (aria, acqua, biodiversità, terre coltivabili,
materie prime ed altri beni comuni di carattere finito); dall’altro, la presenza di
un’opposizione o resistenza da parte della società civile (comunità coinvolte o
danneggiate, organizzazioni e movimenti sociali) che si mobilita per difendere
l’ambiente, i beni comuni, i propri diritti, modelli differenti di gestione delle
risorse, la salubrità dei territori e la salute delle comunità residenti. Spesso i
conflitti riferiti alle politiche ambientali, territoriali o paesaggistiche, non risultano
accettabili da parte di gruppi sociali locali e sovra-locali. Ma sono anche
importanti occasioni di sperimentazione di percorsi di partecipazione popolare,
attivazione sociale, gestione alternativa delle risorse e dei territori. Sono
esperienze che è fondamentale valorizzare, utili a disegnare la mappa delle
alternative e del nuovo protagonismo sociale, diffuse ovunque, dal Nord al Sud
del mondo. I conflitti ambientali perciò sono momenti particolari di confronto tra
diversi progetti alternativi di uso del territorio e delle risorse che esprimono la
difficoltà e la debolezza delle procedure decisionali nel saper includere più attori
in decisioni complesse. Il conflitto ambientale, più che un’opposizione a qualsiasi
decisione, rappresenta una crescente domanda di protagonismo dei cittadini nei
confronti di un territorio vissuto e costruito collettivamente, una volontà di
riguadagnare controllo sulle proprie risorse.
33
Secondo alcune considerazioni derivanti dal lavoro di ricerca e mappatura del
Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali (CDCA), i conflitti ecologici
sono in aumento in Italia e in tutto il mondo, spinti dalla domanda di materiali ed
alimentati in primo luogo dalla ricca parte della popolazione. Nuove e vecchie
forme di estrazione si stanno espandendo in tutti i continenti, la maggior parte dei
siti utilizzati sono situati in posti difficilmente raggiungibili o negli ultimi
ecosistemi incontaminati del pianeta, che sono spesso abitati da indigeni e
comunità che praticano attività di sussistenza, portando ad una distribuzione delle
risorse ambientali ancor più iniqua. Le ingiustizie ambientali coinvolgono una
variegata rete di attori, comprese aziende che hanno già investito ingenti capitali
nel mercato delle risorse, nonché nuovi finanziatori alla ricerca di ritorni
economici. Il volume degli investimenti si sta spostando dai tradizionali schemi
coloniali alle nuove potenze emergenti che preannunciano futuri flussi di risorse
di carattere policentrico. Le forme di azione della popolazione includono mezzi
formali, come ricorsi e inchieste giudiziarie, azioni di lobbying sui governi e
referendum, nonché mobilitazioni informali, come azioni di protesta, barricate ed
occupazione di territori. Le compagnie restano quasi sempre impunite nonostante
le numerose violazioni delle normative ambientali ed amministrative e dei diritti,
mentre si registra un aumento delle persecuzioni giudiziarie e delle violenze
contro gli attivisti ambientali. Il ripensamento del modello di gestione delle
risorse, un sistema di controlli efficace e dotato di normative ambientali
stringenti, mutate politiche pubbliche e produttive, sono strade utili per fermare la
diffusione dei conflitti ecologici. Sono anche essenziali le funzioni di
partecipazione popolare alle decisioni che riguardano la gestione dei territori e gli
strumenti di controllo sociale diffuso da parte della cittadinanza. Tra le storie di
devastazione e spoliazione ambientale, si osservano anche molti casi di vittorie
dei movimenti di giustizia ambientale, grazie ad inchieste giuridiche che hanno
portato alla cancellazione dei progetti ed al reclamo dei beni confiscati. L’attività
della cittadinanza e delle comunità impattate è fondamentale per stimolare la
transizione verso un’economia più egualitaria e sostenibile.
34
Il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali (CDCA), aperto a Roma nel
2007, ha costruito e lanciato nel 2015 la prima piattaforma web italiana geo
referenziata, costruita assieme a dipartimenti universitari, ricercatori, giornalisti,
attivisti e comitati territoriali, che raccoglie le schede descrittive delle più
emblematiche vertenze ambientali italiane e delle esperienze di cittadinanza attiva
in difesa del territorio e del diritto alla salute. In tal senso, il portale mira ad essere
non solo un archivio in continua crescita, ma strumento di produzione diffusa di
documentazione, di partecipazione cittadina e di messa in rete di realtà territoriali,
oltre che strumento di visibilità e denuncia dei fattori di rischio ambientale
presenti da nord a sud del paese. Oltre all’Atlante italiano, è stato realizzato anche
l’Atlante Globale della Giustizia Ambientale, contenente circa 1.600 casi di
conflitto in tutto il mondo, nell'ambito del progetto europeo di ricerca Ejolt,
finanziato dalla Commissione europea, che ha comportato 5 anni di lavoro su
conflitti e giustizia ambientale con oltre 20 partner internazionali tra università e
centri studi indipendenti. Si tratta di strumenti molto conosciuti, utili ed
importanti. Negli Atlanti citati i conflitti ambientali denunciati comprendono
diversi settori: energia nucleare, estrazione mineraria e cave, gestione dei rifiuti,
biomasse e conflitti legati alle terre (foreste, agricoltura, allevamento), energia
(fossile, rinnovabile e giustizia climatica), gestione dell’acqua, infrastrutture
/cementificazione, turismo, conflitti legati alla conservazione della biodiversità,
industria/ manifattura/ installazioni militari.
35
Illustriamo ora concretamente qualche esempio di conflitto socio-ambientale a
tema forestale, utilizzando l’Atlante Globale della Giustizia Ambientale. Un
primo è rappresentato dal disboscamento illegale, a Masoala, in Madagascar. Qui
ci fu un boom del commercio di bois de rose, ossia legno di rosa, uno degli alberi
più rari al mondo, anche se il disboscamento e l'esportazione di palissandro dal
Madagascar sono vietati. Secondo un rapporto di The Guardian del 2013, la
destinazione finale è la Cina, si tratta di un'industria multimilionaria. Il direttore
generale dei parchi nazionali del Madagascar si è espresso su una “rete di mafiosi
di bois de rose molto potente”, dicendo che il legno è stato inizialmente spedito ai
paesi intermedi, dove sono stati redatti documenti falsi per legalizzare il carico.
Questa risorsa sta rapidamente scomparendo dall'isola, nel 2009, fino a 500.000
dollari in valore di bois de rose venivano spediti ogni giorno dal Madagascar. Il
disboscamento illegale e il contrabbando di bois de rose nei parchi nazionali di
Masoala e Marojejy nel nord-est del paese, sono esplosi dopo il colpo di stato nel
2009. Un'indagine di due ONG americane, Global Witness e l'Environmental
Investigation Agency, ha documentato la raccolta illegale e il traffico di legname,
destinati principalmente alla Cina, e ha stimato che una dozzina di operatori
privati e tre società principali hanno beneficiato del disboscamento illegale a
Masoala; tre banche hanno anche facilitato il commercio illegale di legname. La
36
frode è perpetrata dal sindacato e dagli amministratori del governo lungo ogni fase
del commercio di legname prezioso del Madagascar, in uno sforzo coordinato per
massimizzare il profitto e ridurre al minimo le tasse e le multe, grazie anche ad
una mancanza di chiarezza nella regolamentazione delle foreste.
Troviamo un secondo esempio nel conflitto di eucalipto nel Bangladesh
occidentale, qui nel 2007, gli abitanti dei villaggi indigeni abbatterono circa 6600
giovani eucalipti in una piantagione di 6 ettari di foreste demaniali. I residenti
hanno affermato che la terra è loro, perciò la vogliono indietro. Gli abitanti del
villaggio di Khorikashuli, che comprendevano per lo più tribali Lodha, erano
soliti coltivare più colture su questa terra, in quanto fornivano loro abbastanza
cibo per almeno 6 mesi all'anno. Andando indietro, nel 2001 i funzionari hanno
chiesto la terra ai margini dei loro campi, rilevando tutte le loro terre. La
piantagione di eucalipto è iniziata nel 2004 come un programma di gestione delle
foreste congiunte finanziato dal Ministero dell'ambiente e delle foreste
dell'Unione. Secondo lo schema, ogni famiglia nel villaggio riceverebbe il 25%
del denaro guadagnato dalla vendita degli alberi dopo i raccolti 10 anni dopo, ma
gli abitanti del villaggio dissero di non potersi permettere di aspettare così a
lungo. Le popolazioni indigene oggi bonificano la terra in base alle disposizioni
della legge sulle tribù e sugli altri abitanti delle foreste tradizionali, riconoscendo i
diritti forestali del 2006, ma l’atto che riconosce i diritti fondiari delle comunità
forestali che non hanno una prova documentaria di proprietà non è stato ancora
implementato. Il terreno in questione era originariamente una foresta di proprietà
di ricchi proprietari terrieri o reali locali. Il West Bengal Private Forests Act del
1948, che fu il primo tentativo dello stato di affermare il controllo sulle foreste del
Bengala meridionale, afferma che i diritti degli abitanti delle foreste dovrebbero
essere registrati e risolti dagli ufficiali di insediamento forestale nominati allo
scopo.
Un ultimo esempio è rappresentato dalla deforestazione nel bacino del fiume
Congo, nella Repubblica Democratica del Congo, qui la foresta tropicale
congolese è stata devastata e in alcuni casi trasformata in piantagioni per il
raccolto di aziende avide di disboscamento. Il Congo è sempre stato coinvolto in
diversi conflitti, causati dalla fretta di accaparrarsi le innumerevoli risorse delle
37
foreste e dei minerali nazionali. Lo sfruttamento industriale del legno non ha
portato alcun beneficio ai 40 milioni di persone che vivono in questo paese. La
deforestazione, l'inquinamento e la violenza minacciano i diritti di decine di
milioni di abitanti, causando gravi conflitti sociali e minacciando la straordinaria
biodiversità del paese. I conflitti con le compagnie del legname, alcune con
certificazione FSC, hanno portato arresti arbitrari, detenzioni e la morte di
manifestanti, con gli abitanti dei villaggi che bloccano camion trasportanti
legname. Greenpeace, insieme ad altre organizzazioni, fa campagna e insegue le
accuse contro le società di disboscamento abusando della certificazione FSC e dei
certificatori concessi, senza valutare adeguatamente i requisiti dell'azienda. Gli
scandali sulla devastazione della foresta congolese sono numerosi e coinvolgono
attori potenti.
I conflitti socio-ambientali comportano effetti che toccano varie sfere della società
civile: innanzitutto provocano negatività di tipo sociale come la disgregazione
sociale, la perdita del senso di comunità, la distruzione dell’economia locale, la
perdita di fiducia nelle istituzioni e la criminalizzazione dei cittadini richiedenti il
rispetto dei propri diritti e dei diritti dei propri figli; altro fattore negativo è
l’acculturazione che genera perdita dei propri usi e costumi in favore di stili di
vita standardizzati che privano le comunità locali delle loro specificità, a volte
provando la stessa distruzione di comunità. I cittadini in quest’ottica devono
imparare a gestire il proprio territorio senza delegare soggetti esterni che del
territorio non ne comprendono le specificità. Coloro che vivono il territorio
devono sperimentare processi di democrazia partecipata, in modo da non farsi
trarre in inganno dal racconto dell’adattamento, dalla compensazione e dalla
riparazione, ma iniziando a progettare nuovi sistemi di gestione del territorio,
tornando all’uso tradizionale della terra, al forte senso di comunità, all’aiuto
reciproco, all’auto-organizzazione e auto-indipendenza, senza che siano gli
speculatori di turno a decidere (Ilaria Scioni, 2013).
4. Razzismo ambientale e rifugiati ecologici Altri fenomeni collegati ai conflitti sono il razzismo ambientale e i rifugiati
ecologici.
38
Il razzismo ambientale si riferisce al fatto che le comunità più colpite dai conflitti
socio-ambientali sono quelle già svantaggiate dal punto di vista socio-economico,
spesso su tali comunità insistono già altri fattori di rischio ambientale (De Marchi,
2010). Perciò incidono maggiormente sulle popolazioni indigene, autoctone,
etnicamente discriminate, le comunità tradizionali (contadini, pescatori, minatori
artigianali, ecc.) e le minoranze etniche. I problemi della giustizia ambientale
investono tanto questioni di giustizia distributiva, equa distribuzione delle
ricchezze naturali e fruizione di beni primari, quanto questioni di giustizia
partecipativa: non sempre coloro che subiscono i danni ambientali sono coinvolti
nell’elaborazione delle linee politiche di cui sopportano gli effetti. Ciò avviene sia
su scala globale, sia all’interno dei singoli paesi, gli Stati Uniti ne sono l’esempio
più conosciuto. Qui gli effetti collaterali dell’industrializzazione come
l’inquinamento da rifiuti tossici e la discriminazione razziale, sociale ed
economica, sono spesso due facce della stessa medaglia. Le fasce della
popolazione connotate spesso da fattori etnici (nativi americani, ispanici,
afroamericani e altre minoranze), vedono ridotto il proprio diritto a gestire i
territori in cui vivono e lavorano, spesso denunciano la sproporzione
nell’esposizione all’inquinamento e un’iniqua applicazione di misure legislative.
Altre condizioni caratterizzanti il razzismo ambientale includono: assunti di base
fallaci nella previsione, valutazione e gestione dei rischi; scelta del sito e uso del
territorio basati su parametri discriminatori; pratiche di esclusione che limitano la
partecipazione di individui e di gruppi ai processi decisionali; informazioni alle
comunità scelte per i siti con minimizzazione dei rischi ed esagerazione vantaggi.
Altro esempio è legato alla Colombia, qui il 58% dei casi di conflitti ambientali
registrati fino ad ora colpiscono minoranze etniche, aree indigene, indios, afro-
colombiani, neri, e riguardano: estrazione di oro e carbone, progetti
infrastrutturali, dighe idroelettriche, piantagioni di palma da olio, petrolio,
legname ed altre risorse naturali. Più colpiti dalle conseguenze ambientali sono i
fiumi (36%), i boschi (24%), il mare e le zone umide. Inoltre molti gruppi etnici
sono stati espulsi dai loro territori a causa di questi programmi.
Per rifugiati ambientali/ecologici, invece, si intendono persone o gruppi di
persone che, per pressanti ragioni di un cambiamento improvviso o graduale che
39
influisce negativamente sulle loro vite o sulle loro condizioni di vita, sono
costretti a lasciare le loro dimore abituali o scelgono di farlo, temporaneamente o
per sempre, e che si spostano sia all’interno del loro paese, cosiddetti “sfollati
interni”, che oltre confine (2007, Organizzazione internazionale delle migrazioni.
Secondo un rapporto presentato dall’Internal Displacement Monitoring Centre,
nel 2015 i cosiddetti ‘sfollati interni’ sono stati 27,8 milioni in 127 Paesi, costretti
ad abbandonare la propria casa, anche contro la propria volontà, per catastrofi
naturali, conflitti, violenze. Legambiente nel suo dossier “Profughi Ambientali:
cambiamento climatico e migrazioni forzate” ha specificato che nel 2015 il
numero dei profughi ambientali ha superato quello dei profughi di guerra. Dai dati
del Centre for Research on the Epidemiology of Disasters, CRED, nel solo 2012 si
sono verificate 310 calamità naturali che hanno portato 9.330 decessi, 106 milioni
di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari.
Nel 2008-2014 hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni 157 milioni di
profughi. I rifugiati ambientali, a differenza dei profughi di guerra, non possono
chiedere asilo politico e non hanno diritti. L'Asia meridionale ed orientale è la più
colpita, in testa India (3,7 milioni di sfollati), Cina (3,6 milioni) e Nepal (2,6
milioni). Scappano a causa degli accaparramenti delle risorse idriche o
energetiche (i cosiddetti fenomeni del land grabbing e del water grabbing), della
desertificazione, inaridimento, dell’ innalzamento dei livelli delle acque e del
collasso delle economie di sussistenza locali, distrutte da catastrofi naturali, ma
anche da stravolgimenti indotti dall’uomo. Ma sono coinvolti anche i processi di
‘villaggizzazione’ forzata, inquinamento, smaltimento intensivo di rifiuti tossici,
scorie radioattive da bombardamenti. Secondo lo scienziato Mayer, entro il 2050
si raggiungeranno i 200/250 milioni di rifugiati ambientali e secondo il
Programma delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UNEP) nel 2060 in Africa ci
saranno circa 50 milioni di profughi climatici. Grammenos Mastrojeni,
diplomatico e coordinatore per l’eco-sostenibilità della Cooperazione allo
Sviluppo, sostiene che a questi fenomeni si può porre soluzione utilizzando un
approccio di cooperazione allo sviluppo eco-sostenibile e di tutela dell’ambiente,
iniziando a metterle in pratica con progetti in Senegal e Burkina Faso. Sostiene
anche che oggi si perdono 12 milioni di ettari di terreno all’anno, ma recuperare
40
un ettaro di terreno nelle zone di emergenza costa 120 dollari e comporta diversi
vantaggi, soprattutto se consegnati alla piccola agricoltura familiare perché si crea
un pozzo di carbonio che protegge la biodiversità, si mantengono le capacità
produttive di quella terra e crea reddito e lavoro per quelli che oggi sono costretti
a migrare.
5. Strumenti di gestione del territorio e soluzioni ai conflitti socio-
ambientali Introducendo questo focus, è prima di tutto importante parlare dei sistemi di
gestione ambientale, in quanto legati alla politica ambientale e del territorio. I
sistemi di gestione ambientale sono strumenti volontari, applicabili a una qualsiasi
organizzazione, che perseguono il miglioramento continuo delle prestazioni
ambientali attraverso lo sviluppo e l’attuazione della politica ambientale e la
gestione degli aspetti ambientali di un’organizzazione. Sono attuabili in base alla
norma UNI EN ISO 14001, caratterizzata dall’essere elaborata dagli enti di
normazione a livello internazionale e da un modello di certificazione che non vede
un coinvolgimento diretto degli enti di controllo, oppure conformemente al
Regolamento Europeo EMAS, che si caratterizza principalmente per la sua natura
istituzionale, in quanto regolamento comunitario prevede un registro europeo
delle organizzazioni registrate. Quest’ultimo presenta un valore aggiunto rispetto
alla norma ISO 14001, perché prevede anche l’obbligo per le organizzazioni di
redigere una dichiarazione ambientale che esplicita il rispetto degli impegni
ambientali assunti nell’ottica del miglioramento continuo. Sebbene siano nati
come strumenti di gestione a livello aziendale sono ormai da anni applicati anche
alle amministrazioni locali. Il sistema, una volta implementato, viene sottoposto a
verifica da parte di un ente terzo accreditato che rilascia un certificato di
conformità alle norme di riferimento (ISO, EMAS). Costituisce un efficace
supporto alle politiche ambientali locali, all’innovazione gestionale interna e al
miglioramento delle relazioni con il territorio ed i suoi vari attori. Rappresenta
inoltre un valido strumento di gestione ambientale, assicura la promozione della
trasparenza e dell’efficacia delle forme di governo e della gestione delle risorse.
Infine, migliora la partecipazione attiva, la formazione e comunicazione interna ed
41
esterna all’ente. Altro importante strumento, che può determinare una soluzione
concreta ai conflitti socio-ambientali, è il modello decisionale partecipato. Si
fonda sull’aumentare la partecipazione alle decisioni di autorizzazione e
localizzazione a monte delle procedure di VAS e VIA sulla promozione di del
dibattito pubblico e la valorizzazione di spazi partecipativi “paralleli” a quelli
procedimentali. Alcuni dei suoi obiettivi sono: l’impostare le relazioni tra tutti gli
attori territoriali su una base di giustizia e democrazia; l’estendere la mediazione
civile al caso dei conflitti ambientali; intervenire in modo preventivo, tempestivo
ed integrato; creare e formare nuove figure professionali e riqualificare le
professionalità esistenti. Queste caratteristiche le vediamo in particolare a Milano,
come progetto promosso dalla dalla Camera Arbitrale di Milano3. Guardando
questo strumento da una prospettiva maggiormente globale, in Francia, negli anni
Novanta, cresce il numero di conflitti intorno alla realizzazione di grandi progetti
infrastrutturali, in particolare legati ai trasporti. Alla luce di questi avvenimenti,
nel 1995, con l’approvazione della Legge Barnier, il Paese introduce nella propria
legislazione il Débat Public come strumento principale di confronto e dialogo con
i territori e le comunità coinvolte nella realizzazione di un impianto
infrastrutturale. Alla legge seguono altri strumenti normativi che strutturano il
Dibattito Pubblico, come la Commission Nationale Débat Public (CNDP). Questo
strumento in Francia è all’interno di una cornice molto strutturata in merito alla
partecipazione dei cittadini, che individua molti strumenti diversi e in continua
evoluzione. Il Débat Public è obbligatorio per i progetti che superano 300 milioni
di euro di investimento, riguarda progetti di interesse nazionale, che possono
avere un impatto ambientale e socio-economico, e viene organizzato nella fase di
studio di un progetto. Consente la possibilità di esprimere il proprio parere a tutti
coloro che si sentono coinvolti e di costruire un dialogo tra le parti che diventa di
nuovo possibile, in più il confronto con i cittadini arricchisce il progetto con
considerazioni e punti di vista nuovi che lo adattano meglio al contesto nel quale
verrà realizzato4. Nel ciclo di definizione delle politiche pubbliche sono sempre
più frequenti le modalità e gli strumenti attraverso i quali i cittadini sono inclusi
all’interno del processo decisionale, perciò i processi partecipativi includendo nel
3Da articolo “Come gestire i conflitti ambientali”, ARPAT, 2016.
4Da “Il Dibattito pubblico tra Francia e Italia” di Agnese Bertello.
42
processo decisionale tutti i soggetti interessati. Le pratiche partecipative sono
nuove modalità di confronto, di apertura e cooperazione tra cittadini e pubblica
amministrazione, con l’obiettivo di arrivare a decisioni più efficaci anche nelle
politiche pubbliche5. Un ulteriore esempio simile di modello decisionale
partecipato si riferisce alle community forestry, un particolare modello di gestione
forestale che vede la comunità locale svolgere un ruolo significativo nella
gestione delle foreste e nelle decisioni sull'uso del territorio, nel sostegno facilitato
del governo e degli agenti di cambiamento, compresi i capi di popolazioni
indigene. Coinvolge anche la partecipazione di organizzazioni governative e non
governative. Ha guadagnato importanza a metà degli anni Settanta e ora si
possono vedere esempi di foresta comunitaria in molti paesi, tra cui Nepal,
Indonesia, Corea, Brasile, India e America settentrionale, centrale e meridionale.
Come anche lo sviluppo della social forestry, quale componente importante della
strategia indiana per far fronte all'equilibrio ecologico e alla crisi socioeconomica.
Interessante da trattare è anche il modello canadese di protagonismo di cittadini e
territori. In Canada, la provincia British Colombia ha istituito nel 1993 una
commissione tripartita formata dai rappresentanti delle First Nations (popolazioni
indigene), i rappresentanti del governo canadese e i rappresentanti del governo
provinciale. La British Columbia Treaty Cmmission è l’unica esperienza del
genere esistente nel panorama internazionale ed ha il compito di definire nuovi
trattati con le popolazioni indigene presenti all’arrivo degli europei nel XVIII
secolo (per questo chiamate First Nations). L’esistenza di un luogo formalizzato
per affrontare le questioni rappresenta un importante punto di forza. Stato e
Provincia sono interessati a riconoscere i diritti di uso del territorio, di caccia e
pesca finora oggetto di dispute, ai fini di poter garantire la certezza delle
concessioni per l’utilizzazione forestale e lo sfruttamento delle risorse minerali ed
energetiche del paese (Massimo De Marchi, 2010).
5Da “Vantaggi e criticità dei processi partecipativi”, Laura Marconi, 2015.
43
BIBLIOGRAFIA (Antea Liberalesso)
Documenti
-Documento ONU 2015 “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo
Sviluppo sostenibile”
“Il Dibattito pubblico tra Francia e Italia” di Agnese Bertello.
Articoli
-Articolo “La progettazione ambientale per l’inclusione sociale: il ruolo dei protocolli di certificazione
ambientale” di Erminia Attaianese, Antonio Acierno, Università di Napoli
- articolo “Rifiuti tossici? Non nel mio cortile (nel loro sì, però). Un’analisi del razzismo ambientale.”
di Serenella Iovino
-articolo “Rifugiati ambientali, in 28 milioni in fuga da cambiamenti climatici, violenze e inquinamento.
Ma senza alcun diritto” di Luisiana Gaita, 2016.
-articolo “Come gestire i conflitti ambientali”, ARPAT, 2016.
- “Vantaggi e criticità dei processi partecipativi”, Laura Marconi, 2015.
LIBRI
-Massimo De Marchi, 2011, “Conflitti socio-ambientali e cittadinanza in
movimento”
Website
-http://orizzontenergia.it/testi.php?id_testi=181
-http://cdca.it/perche-i-conflitti-ambientali
-http://cdca.it/atlante-italiano-dei-conflitti
-http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/razzismo-ambientale-
i-conflitti-colpiscono-minoranze-etniche-popoli-indigeni/
-http://www.sinanet.isprambiente.it/gelso/sviluppo-sostenibile/sistemi-di-gestione-
ambientale
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DEFORESTAZIONE, POLITICA ED EFFETTI SULLA SOCIETA’ di Edoardo Monaco
INTRODUZIONE
La deforestazione causa circa il 20% dei gas serra annualmente rilasciati
nell’atmosfera, (UNFCCC)6. Oltre a mettere a rischio di estinzione le specie
animali, la scomparsa di foreste e boschi aumenta il ritmo di erosione del suolo.
Le nazioni più colpite dal fenomeno sono Brasile, Indonesia, Myanmar, Nigeria,
Tanzania, Paraguay, Zimbabwe, Congo, Argentina e Venezuela (Forest resource
assessment, 2015) e come possiamo notare le più alte percentuali di area forestale
persa provengono da paesi in via di sviluppo. Le cause più significative sono
l’abbattimento degli alberi per far spazio ai campi da coltivare o agli allevamenti
di bestiame, la corruzione presente in questi paesi, ma anche il commercio di
legname pregiato da esportare (legale ed illegale). Il sistema più utilizzato per
radere al suolo le foreste è quello del ‘taglia e brucia ’ perché dopo l’abbattimento
degli alberi viene dato fuoco al sottobosco. Una pratica che oltre a rilasciare
immense quantità di CO2, accelera i fenomeni di erosione, provocando frane e
smottamenti del terreno. Simbolo della lotta alla deforestazione è l’Amazzonia, la
più grande foresta tropicale della Terra, considerato vero e proprio “polmone” del
Pianeta. Il 65% del bacino amazzonico si trova in Brasile, il resto si divide fra
Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana
Francese (Lega Ambiente, 2015).
Nonostante tutto il tasso di deforestazione globale netto si è ridotto di oltre il 50%
è quanto afferma il rapporto di valutazione globale della FAO, The Global Forest
Resources Assessment 2015. Tuttavia emerge che un numero crescente di aree
forestali è stato protetto, e che molti più paesi ne stanno migliorando la gestione,
attraverso le leggi, la misurazione e il monitoraggio delle risorse forestali, e con
un maggior coinvolgimento delle comunità locali nella pianificazione e nelle
politiche di sviluppo.
"Le foreste svolgono un ruolo fondamentale nella lotta contro la povertà rurale,
garantendo la sicurezza alimentare e fornendo mezzi di sostentamento", ha
6 UNFCCC: Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
45
affermato il Direttore Generale della FAO7, José Graziano da Silva, alla
presentazione del rapporto a Durban. "E forniscono servizi ambientali vitali,
garantendo aria e acqua pulite, la conservazione della biodiversità e la lotta contro
il cambiamento climatico". "La direzione del cambiamento è positiva, ma
dobbiamo fare di più", ha messo in guardia il Direttore Generale della FAO. Il
settore forestale ha un giro economico di circa 600 miliardi di dollari all'anno al
PIL mondiale e dà lavoro a più di 50 milioni di persone.
"La gestione delle foreste è notevolmente migliorata negli ultimi 25 anni", ha
affermato Kenneth MacDicken, alla guida del team della FAO che ha prodotto
il Global Forest Resources Assessment 2015. La FAO fa notare come una
gestione più sostenibile delle foreste si tradurrà in una riduzione delle emissioni di
carbonio da foreste e avrà un ruolo vitale nell'affrontare l'impatto del
cambiamento climatico (Global Forest Resources Assessment 2015).
La criminalità organizzata ha un ruolo importante e non trascurabile se parliamo
di deforestazione, si stima un giro d’affari che va dai 30 ai 100 miliardi di euro
ogni. (Legambiente, 2016). Per contrastare il problema l'Ue ha varato negli ultimi
anni i regolamenti Flegt 8e Timber Regulation
9, che impongono agli operatori
economici del settore legno di ottenere dai propri fornitori informazioni sulla
provenienza del materiale importato, per tentare di minimizzare il rischio di
provenienza da fonti illegali. Tra gli scopi principali c'è quello di fare luce sul
traffico illegale di legname ed evidenziare le falle degli attuali regolamenti Ue e
mondiali. (Ficocelli, 2016).
In particolare, almeno il 20% dei prodotti di origine forestale (derivati da legno e
carta) che arriva nel vecchio continente è importato illegalmente e senza alcuna
racciabilità, provenendo da processi di deforestazione, frode doganale, illeciti
amministrativi, corruzione e altri crimini ambientali e finanziari (La repubblica,
2016).
7 FAO - Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura
8 FLEGT : Forest Law Enforcement, Govern- ance and Trade (15 novembre 2016)
9 TIMBER REGULATION - (EU) 995/2010 : Nell’ottobre 2010 l’Unione Europea ha approvato
un regolamento per prevenire il commercio di legname illegale in Europa. Si applica al legno e a
tutti i prodotti da esso derivati, inclusa la carta e vieta alle aziende l’immissione e il commercio di
prodotti di origine illegale .
46
LE AZIENDE TRANSNAZIONALI E LA DEFORESTAZIONE
Secondo la definizione comunemente accettata dell’UNCTAD (United Nations
conference on trade and development), l’impresa transnazionale è una società di
capitali che opera in più di due distinti paesi e che ha il controllo di almeno una
filiale all’estero, giustificata dal possesso di un minimo del 10% del suo capitale
(Treccani, 2013).
E’un’attività in grado di toccare individui, comunità e ambiente in cui la
dimensione economica ed organizzativa porta ad interagire con i governi
esercitando un potere quasi politico. Esso può essere potere strumentale passivo
ossia la capacità di influenzare gli input delle decisioni politiche e dell’attività
regolativa, oppure attivo che consiste nella produzione normativa. Le imprese
transnazionali sono caratterizzate da un elevato margine di libertà nei confronti
dei vincoli posti dagli ordinamenti statali tanto nel diritto interno di uno stato
quanto in quello internazionale. Queste imprese transnazionali sono nella
posizione di eludere le norme ambientali e sui diritti umani, come anche di
concorrere alla loro protezione e realizzazione. E' evidente come violino norme in
materia di ambiente e trattamento dei lavoratori ad esse dipendenti. Il loro scopo
principale spesso e volentieri è massimizzare il profitto a discapito della tutela dei
diritti umani e delle norme riguardo la protezione ambientale (Elena Pariotti,
2013).
ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE INTERNAZIONALI E
DEFORESTAZIONE Vi sono prove crescenti che suggeriscono che le organizzazioni non governative
internazionali possono ridurre la deforestazione. Questo processo può verificarsi
in diversi modi. Innanzitutto, le organizzazioni non governative internazionali
cercano di cambiare le pratiche dei governi e delle istituzioni multilaterali, che
spesso coinvolgono il governo e i funzionari multilaterali di agenzie per attuare
restrizioni commerciali o sospendere le erogazioni di prestiti nel tentativo di
incitare altre nazioni a ridurre la deforestazione. Allo stesso tempo, le
organizzazioni non governative internazionali hanno anche fatto pressione sui
governi plasmando il linguaggio dei trattati internazionali. In tal modo,
47
influenzano il contesto normativo delle istituzioni globali. Pertanto, le
organizzazioni non governative internazionali sono in grado di segnalare
imbarazzanti insuccessi e ipocrisie delle nazioni, che esercitano pressioni sui
governi per adattare i comportamenti alle norme internazionali. Pertanto, è
diventato preferibile ignorare completamente i governi, sostenendo iniziative di
risoluzione dei problemi a livello subnazionale. In tal modo, le organizzazioni non
governative internazionali stabiliscono esempi e sostituiscono l'azione del
governo. Ciò può comportare la definizione di standard, la redazione di codici di
condotta e la creazione di linee guida tecniche. Ad esempio, il Forestry
Stewardship Council ha istituito un programma di accreditamento volontario per i
consumatori. Le aziende che partecipano al programma concordano su nove
principi di gestione forestale. Inoltre, le organizzazioni non governative
internazionali finanziano anche gli sforzi di conservazione e forniscono assistenza
tecnica a livello locale (ad esempio, la demarcazione delle foreste e dei progetti
agroforestali). Il supporto delle organizzazioni internazionali non governative
spesso non si ferma al successo del lancio di un progetto. A tale riguardo, le
organizzazioni non governative internazionali spesso forniscono
un'organizzazione e un supporto facilitato. Usano discorsi per stimolare l'attività
di movimento sociale all'interno di una. Una situazione emerge dove i movimenti
sociali locali, a loro volta, propagano l'ambientalismo all'interno della nazione. Di
conseguenza, i governi sono "schiacciati" dall'alto e dal basso per occuparsi di
problemi ambientali. Quindi, potrebbe essere il caso che le organizzazioni
internazionali non governative riducano la deforestazione (Rich b. 1989).
48
PAESI COINVOLTI NELLA DEFORESTAZIONE
BRASILE
Quando si parla di Brasile e deforestazione non si può non nominare la foresta
amazzonica, che da anni sta subendo una massiccia distruzione per soddisfare il
bisogno di legna e derivati a livello mondiale. Altri problemi come la scarsa
regolamentazione e il basso sviluppo economico di alcune aeree fan sì che il
fenomeno di deforestazioni dilaghi nella foresta. Negli ultimi anni il governo
brasiliano ha cercato di impegnarsi per sconfiggere la deforestazione, soprattutto
quella amazzonica. Ma per diversi motivi, tra i quali corruzione pubblica e
privata, coinvolgimento di importanti lobby e danni ambientali commessi per
compiacere le aspettative mondiali, il Brasile sta andando nella direzione
opposta.
RIFORMA BRASILIANA IN CONTRASTO ALLA DEFORESTAZIONE
Due sono state le politiche governative che hanno principalmente contribuito alla
riduzione della deforestazione. La prima, istituita nel 2004, è stato un piano
d'azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione nell'Amazzonia, che
coordina le attività di monitoraggio ambientale e di gestione del territorio svolte
da diversi governi ed agenzie. La seconda, a partire dal 2008, era legata al credito:
cioè, il credito rurale era subordinato al rispetto delle normative ambientali locali.
In Brasile la maggior parte dei nuovi terreni coltivati era in precedenza dedita al
pascolo e la maggior parte dei nuovi pascoli proveniva dalla radura della foresta.
Mentre i costi economici del controllo della deforestazione sono minimi per il
Brasile nel suo insieme, gli effetti sull'agricoltura nelle regioni di frontiera sono
più pronunciati. Gli agricoltori di queste regioni sono incentivati a sgomberare la
foresta, anche illegalmente. Possono essere necessarie politiche compensative per
rendere la conservazione delle foreste più accettabile e attuabile. Date le marcate
differenze tra i vari produttori in termini di dimensioni, capitale e tecnologia
utilizzata, queste politiche dovrebbero essere adattate per rivolgersi a gruppi o
aree specifiche poiché nessuna singola politica funzionerebbe bene per tutti. A
fine di promuovere una produzione agricola commerciale sostenibile, le politiche
49
dovrebbero concentrarsi sul miglioramento delle infrastrutture di trasporto,
sull'apertura dei mercati di esportazione e sulla riduzione delle pratiche di
esportazione.
La deforestazione della foresta amazzonica ha subìto una forte crescita tra il
1991 e il 2004, raggiungendo un tasso di perdita forestale annua di 27,423 km² nel
2004. Anche se il tasso di deforestazione ha avuto un rallentamento a partire dal
2004 (con re-accelerazioni nel 2008 e 2013), la superficie forestale rimanente
continua a diminuire (The Guardian, 2014). La rappresenta oltre la metà
delle rimanenti nel pianeta, e costituisce il tratto di più grande e più ricco di
biodiversità nel mondo. Il 60% della foresta è contenuto in Brasile, seguita dal
Perù con il 13%, la Colombia con il 10%, e con quantità minori in Venezuela,
Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana Francese. (Kirby, Laurance,
Albernaz et al., 2006)
LEGGE MP759 PER CONTRASTARE LA DEFORESTAZIONE.
L’ 11 luglio 2016 l’esecutivo guidato da Temer ha approvato la Legge MP
759, di fatto un condono che spiana la strada all’accaparramento delle terre,
rendendo più facile ed economico per i grandi proprietari terrieri ottenere la
proprietà di vaste aree forestali occupate abusivamente.
La MP 759 adottata nel 2016 è solo l’ultima di una serie di misure adottate su
pressione della cosiddetta lobby “bancada ruralista”. Ovvero quei rappresentanti
dell’agribusiness, membri del Congresso brasiliano, che vorrebbero smantellare i
progressi ambientali e sociali fatti dal Brasile dopo la fine del regime militare,
avvenuta nel 1985. Il disegno di legge è stato approvato in un momento di tagli
drastici dei fondi per i principali organi governativi, come l’agenzia
ambientale Ibama, l’istituto di riforma agraria Incrae l’agenzia responsabile per
le questioni indigene Funai.
La nuova legislazione MP 759 modifica il programma TerraLegal, introdotto
dall’ex presidente Lulanel 2009 come mezzo per consentire alle famiglie
contadine di acquisire la proprietà di terreni. Terra Legal era già stato utilizzato
in modo improprio, finendo per favorire i grandi agricoltori piuttosto che le
50
famiglie di contadini, grazie a prestanome che acquistavano porzioni di terra che
però di fatto erano controllate da poche grandi famiglie benestanti.
La MP 759 indebolisce inoltre anche la normativa ambientale. Viene infatti
abolito l’obbligo per i richiedenti di conservare intatta la foresta
sull’appezzamento da loro richiesto, pena la perdita del titolo di proprietà del
fondo. (Sauer e Zuniga, 2017).
FORESTA AMAZZONICA E BRASILE: L’Amazzonia non è un tema solo ecologico ma economico e geopolitico. Il taglio
illegale di legname e altre attività come il contrabbando di animali esotici
contribuiscono al degrado della foresta amazzonica, ma le cause principali che
provocano più del 90% dell’impatto della deforestazione sono l’allevamento del
bestiame e l’agricoltura, il suolo che non è occupato dal pascolo è assegnato alla
produzione di soia. Il settore bovino dell'Amazzonia brasiliana, incentivato dai
commerci internazionali di carni bovine e cuoio (Il sole 24 ore, 2018) è responsabile
di circa il 70% di tutta la deforestazione nella regione o di circa il 14% della
deforestazione totale annua del mondo, il che rende il maggior pilota mondiale di
disboscamento (Greenpeace, 2009).
Non c'è in nessun luogo in Brasile, o forse in qualsiasi parte del mondo, dove
l'agricoltura si è espansa a un ritmo o in una larghezza più sbalorditiva di quella
del Mato Grosso. Da solo produce ora dall'8 al 10% della fornitura mondiale di
semi di soia, ovvero ciò che equivale a un terzo del raccolto annuale del Brasile
(Richard P. 2018).
CAUSE DELLA DEFORESTAZIONE La deforestazione della foresta pluviale amazzonica può essere attribuita a molti diversi
fattori a livello locale, nazionale e internazionale. La foresta pluviale è vista come una
risorsa per il pascolo del bestiame, legni pregiati, spazi abitativi, spazi agricoli e lavori
stradali. Un rapporto di Greenpeace del 2009 ha rilevato che
il settore del bestiame nell'Amazzonia brasiliana, sostenuto dal commercio internazionale
di carni bovine e cuoio, era responsabile di circa l'80% di tutta la deforestazione nella
regione (Adam, David, 2015). Secondo un rapporto del 2006 dell'Organizzazione delle
51
Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, il 70% delle terre precedentemente
ricoperte di foreste nell'Amazzonia e il 91% delle terre disboscate dal 1970 vengono
utilizzate per il pascolo di bestiame (Steinfeld, Henning; Gerber et al., 2008).
Scienziati che hanno utilizzato i dati satellitari della NASA nel 2006 hanno scoperto che
la compensazione per terreni coltivati meccanizzati era diventata una forza significativa
nella deforestazione brasiliana dell'Amazzonia. Questo cambiamento nell'uso del suolo
può alterare il clima della regione. I ricercatori hanno scoperto che nel 2003, un anno di
massima deforestazione, oltre il 20% delle foreste dello stato del Mato Grosso sono state
convertite in terreni coltivati tanto che prezzi della soia sono diminuiti di oltre il 25% e
alcune aree del Mato Grosso hanno mostrato una diminuzione di grandi eventi di
deforestazione, suggerendo che l'aumento e la diminuzione dei prezzi per altre colture,
carne e legname potrebbero avere un impatto significativo sull'utilizzo futuro del
territorio nella regione (NASA, 2015).
CINA
La Cina si situa tra i primi paesi al mondo con il più alto tasso di deforestazione.
Questo dovuto sicuramente alla vastità del territorio nazionale e alla
concentrazione di foreste all’interno di esso. Altra causa è il forte sviluppo
economico che sta avendo piede in Cina negli ultimi due decenni. Il tutto
aggravato da una scarsa e non sufficiente regolamentazione in materia di
protezione ambientale e dalla concentrazione del governo rivolta più
all’aumentare l’economia del paese.
Negli anni 90 in Cina una serie di inondazioni provoca una grave erosione del
suolo, aggravata dalla deforestazione per creare terreni agricoli avvenuta
nell'ambito del "Grande balzo in avanti", il programma di industrializzazione
promosso dalla Repubblica Popolare Cinese negli anni Cinquanta e Sessanta.
L'arma migliore per contrastare l'erosione del suolo è la riforestazione, perché le
piante, e soprattutto gli alberi, fanno da interfaccia tra il terreno e gli agenti
atmosferici che lo minacciano. La Cina vara quindi, nel 1999, il Grain for Green
Program, che risulta essere uno dei più importanti e imponenti programmi di
riforestazione del mondo: miliardi di dollari investiti, diciassette anni di lavoro,
incentivi economici e supporti tecnologici alle famiglie delle zone rurali, e il
52
ripristino di milioni di ettari di bosco. Oltre a prevenire l'erosione del suolo, il
programma ha anche lo scopo di diminuire la povertà delle zone rurali, perché la
maggior parte delle foreste del programma sono costituite da alberi da frutto e da
legno. (National Geographic, 2016).
Secondo una ricerca condotta dal WWF10
e dalla Global Witness11
a riguardo del
traffico illegale di legname, il paese asiatico si appoggia a reti commerciali illegali
che fanno capo alla Birmania ed alla Russia e che da qualche tempo trasferiscono
il legname raccolto illegalmente direttamente nei porti cinesi. A queste due
associazioni ambientaliste si unisce la ONG britannica Environmental
Invastigation Agency (EIA)12
che in un suo rapporto pubblicato anni fa ha riferito
che l'import di legname illegale in Cina è notevolmente aumentato negli ultimi
anni a seguito di un incremento sostanziale della domanda delle imprese di
costruzione e dei grandi mobilifici.
La Cina, uno dei più grandi paesi al mondo che esporta e importa legname, ha
foreste che coprono solo il 40% del suo fabbisogno. Nel 2011 la Cina ha
importato 180 milioni di metri cubi di legname, il 28% rispetto al 2010 e del
300% rispetto al 2000. Secondo l'Environmental Invastigation Agency un terzo
del legname venduto lo scorso anno in tutto il mondo è stato acquistato dalla Cina
con una scarsa attenzione alla sua provenienza. A differenza delle amministrazioni
di Stati Uniti, Europa e Australia che, messe sotto pressione dalle opinioni
pubbliche, hanno adottato severe normative per controllare la provenienza del
legname grezzo, la Cina non ha preso misure efficenti al riguardo e permette che
nei propri porti continuino ad arrivare migliaia di tonnellate di legno 'non
tracciate'. (Environmental Invastigation Agency , 2012)
10
WWF : World Wide Fund for Nature – Organizzazione Non Governativa. 11
GLOBAL WITNESS :è una ONG internazionale fondata nel 1993 che lavora
per rompere i legami tra sfruttamento delle risorse naturali,
conflitti, povertà , corruzione e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. 12
ENVIRONMENTAL INVESTIGATION AGENCY : è una ONG che indaga
contro abusi ambientali.
53
LE RIFORME FORESTALI CINESI
Negli anni '50, durante il Grande balzo in avanti, la Cina lanciò il movimento
collettivo. All'inizio degli anni '80, in tutta la Cina, sono state attuate due
importanti riforme: la riforma del possesso di terre agricole e la riforma del
possesso forestale. Nel 1981, il Consiglio di Stato emanò la "Risoluzione sui
problemi relativi alla protezione e allo sviluppo delle foreste", nota anche come la
politica delle Tre riparazioni: chiarendo i diritti delle foreste, delimitando i lotti di
foreste private e stabilendo un sistema di responsabilità di produzione forestale.
Nel 1986, quando la politica di Three Fixes fu pienamente attuata, la maggior
parte del terreno forestale collettivo fu usato apparentemente per la gestione
individuale. Il contributo della silvicoltura ai redditi rurali era trascurabile;
l'applicazione della conservazione delle foreste si è fatta pian piano sempre più
difficile a causa della mancanza di cooperazione tra agricoltori. La riforma del
possesso collettivo di terre forestali è diventata una questione di alta priorità per il
governo cinese.
Nel 2003 è stato pubblicato il documento n. 9, Risoluzione sullo sviluppo delle
foreste. L'obiettivo chiave di questo nuovo cambio di riforma della proprietà
forestale riguarda la riqualificazione e la ridistribuzione dei diritti dei cittadini
sulle foreste. Permette la distribuzione di foreste di proprietà del villaggio agli
abitanti del villaggio. Il villaggio in questo caso era libero di accettare o meno la
riforma. In caso di accettazione della riforma, i cittadini hanno ricevuto diritti ben
definiti per specifici appezzamenti forestali. Una volta che la terra è
individualizzata, i singoli abitanti del villaggio sono responsabili della gestione
del terreno. La loro gestione è limitata dalla legge sulle foreste. La legge
proibisce la conversione di terreni boschivi in terreni non forestali (articolo 15) e
stabilisce che la raccolta del legname sia regolamentata (articolo 29), il
rimboschimento è richiesto entro due anni dalla raccolta (articolo 31) e qualsiasi
disboscamento deve essere consentito da l'amministrazione forestale attraverso un
permesso di registrazione (articolo 32).
Se il cambiamento della forestazione e del raccolto continuerà ai tassi attuali nei
54
villaggi riformati, prevediamo un aumento notevole della copertura forestale e del
volume di attività ad essa connesse (Xie LY, Berck P at al, 2016).
STATI UNITI
Gli Stati Uniti sono secondo il rapporto della FAO uno dei paesi al mondo con il
più alto tasso di deforestazione, questo dovuto alle grandi aree forestali che
possiede e alla presenza di aziende e società che sfruttano il territorio per scopi
economici. Queste aziende sono impegnate principalmente nel taglio di legname,
taglio e trasporto del legname e produzione di trucioli di legno nel campo del
legno (US EPA, 2012).
Gli Stati Uniti sono il secondo produttore e consumatore di prodotti forestali e
rappresentano circa un quarto della produzione e del consumo mondiale, e sono
anche il secondo produttore mondiale di legname di conifere e latifoglie. Il più
grande problema che si pensa affronterà la deforestazione negli Stati Uniti è il
disboscamento illegale nelle foreste. Più di 83 milioni di acri sono stati persi a
macchia d'olio dal 2005 ad oggi. Il servizio forestale degli Stati Uniti afferma che
il disboscamento illegale è il più grande problema della deforestazione perché è
quasi impossibile monitorarlo e fermarlo. Continua negli Stati Uniti e in altri paesi
e spesso accade quando le aziende ignorano i loro permessi e vanno al di là di ciò
che è loro concesso di raccogliere (US National Interagency Fire Center, 2011)
SOLUZIONI PER CONTRASTARE LA DEFORESTAZIONE
Le aziende possono avere un impatto introducendo politiche "zero deforestazione"
che puliscono le loro catene di approvvigionamento. Ciò significa tenere i propri
fornitori responsabili della produzione di materie prime come legname, manzo,
soia, olio di palma e carta in modo da non alimentare la deforestazione e avere un
impatto minimo sul clima. Le aziende dovrebbero fissare obiettivi ambiziosi per
massimizzare l'uso di legno, pasta di cellulosa, carta e fibre riciclate nei loro
prodotti. Puoi fare la differenza nella lotta per salvare le foreste facendo scelte
informate quotidiane. Usando meno materiale, mangiando cibo sostenibile e
scegliendo prodotti in legno riciclati o certificati , possiamo essere tutti parte del
movimento verso la deforestazione zero. Se vogliamo fermare la deforestazione,
55
abbiamo bisogno che i governi facciano la loro parte. Ciò inizia con il reprimere
la corruzione e assicurare un'applicazione corretta delle norme di conservazione
delle foreste. La corruzione alimenta il disboscamento illegale e la gestione
insostenibile delle foreste, che a loro volta possono alimentare il crimine
organizzato o persino i conflitti armati. Inoltre c’è il bisogno da parte dei leader
mondiale che adottino politiche ambiziose di conservazione delle foreste nazionali
e internazionali basate sulle ultime scoperte scientifiche. Negli Stati Uniti, leggi
come l'Endangered Species Act13
, il Wilderness Act14
, il Lacey Act15
e
la Roadless Rule16
aiutano a proteggere le nostre foreste e impediscono l'ingresso
nel mercato statunitense di prodotti legnosi illegali. Sosteniamo e usiamo anche
regole regionali come la moratoria di Amazon Soy e trattati globali come
la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di
estinzione (CITES)17
per proteggere le foreste e le specie in via di estinzione che
fanno affidamento sugli habitat forestali. Forests for Climate è una proposta
innovativa per un meccanismo di finanziamento internazionale per proteggere le
foreste tropicali. Nell'ambito di questa iniziativa, i paesi in via di sviluppo con
foreste tropicali possono impegnarsi a proteggere le loro foreste in cambio
dell'opportunità di ricevere finanziamenti per gli sforzi di rafforzamento delle
capacità e riduzioni a livello nazionale delle emissioni di deforestazione. Ciò
fornisce un forte incentivo per i paesi in via di sviluppo a migliorare
continuamente i loro programmi di protezione delle foreste (Greenpeace, 2008).
13
ENDANGERED SPECIES ACT : è una delle poche decine di leggi ambientali
americane approvate negli anni '70 e funge da legislazione per attuare le
disposizioni delineate nella Convenzione sul commercio internazionale in specie
minacciate di flora e fauna selvatiche. 14
WILDERNESS ACT: Un atto per stabilire un sistema nazionale di
preservazione del deserto per il bene permanente di tutto il popolo e per altri
scopi. 15
LACEY ACT: Protegge sia le piante che la fauna selvatica creando sanzioni
civili e penali per coloro che violano le regole e regolamenti. 16
ROADLESS RULE: è una politica di conservazione che limita la costruzione di
strade e il conseguente impatto ambientale su aree designate di aree pubbliche .
17 CITES : indaga e fa campagne contro il crimine e gli abusi ambientali.
56
RUSSIA
La Russia è uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di perdita di terreno forestale
annuale. Le aeree principalmente a rischio sono le foreste del nord della Russia, fino ad
arrivare all'Alaska. La Taiga russa rientra dell’ecosistema della Grande Foresta del Nord,
con un’estensione 16 milioni di km2 dall’Alaska alla Russia, passando per il Canada e la
Scandinavia. La Grande Foresta del Nord rappresenta un terzo delle foreste rimaste sulla
Terra ed è il secondo più grande ecosistema terrestre del mondo, dopo le foreste tropicali.
Più del 60 per cento della Grande Foresta del Nord, circa 950 milioni di ettari, si trova
proprio in Russia, dove le inefficaci leggi forestali permettono la frammentazione o la
radicale trasformazione delle foreste, in modo da spingere le aziende nel settore del legno
e della carta focalizzarsi verso le foreste vergini. Ad esempio la regione russa di
Arcangelo, che si estende per 31 milioni di ettari, è vista dall’industria del legno e della
carta come una “miniera di legname”. In particolare, fanno parte di questa regione gli 835
mila ettari del Paesaggio Forestale Intatto conosciuto come Foresta Dvinsky, divenuti
ormai il fulcro di un acuto conflitto tra gli interessi di conservazione forestale e le mire
del settore del legname e della carta. Fra il 2000 e il 2015 la Foresta Dvinsky ha perso
oltre 300 mila ettari di Paesaggi Forestali Intatti, mettendo a rischio l’habitat di una delle
ultime popolazioni di renne selvatiche, già in via d’estinzione. Una delle soluzioni per
fermare la massiccia deforestazione in atto in quest'aerea del mondo sarebbe quella di
interrompere il flusso di prodotti derivanti della Foresta Dvinsky e degli altri Paesaggi
Forestali intatti della regione di Arcangelo. È dovere di queste aziende fermare la
distruzione di una delle ultime foreste vergini (evitando di acquistare legno e derivati
provenienti da aree di questa zona) d’Europa e preservare aree forestali intatte che non
hanno eguali in Europa in termini di dimensioni e biodiversità. (Greepeace e la Stampa,
2017)
CANADA
Il Canada è uno dei paesi a più alto tasso di deforestazione del mondo, ma ultimamente è
anche uno dei paesi che la sta contrastando in modo migliore applicando leggi a difesa
dell’ambiente. Il tutto questo dovuto all’enorme quantità di foreste che ci sono e alla
Grande Foresta del Nord o Foresta Boreale, è una delle zone più verdi del mondo: ha una
superficie di 16 milioni di chilometri quadrati, circa il doppio della Foresta Amazzonica.
Rappresenta oltre un quarto delle foreste rimaste al mondo ed è il secondo più grande
ecosistema terrestre del mondo, dopo le foreste tropicali.
57
La Grande Foresta del Nord occupa più della metà del territorio canadese, ospita più di 20
mila tra specie animali e vegetali ed è casa di un alto numero di popolazioni indigene,
svolgendo anche un ruolo fondamentale nel mitigare i cambiamenti climatici globali. Ma
attualmente solo l'8 per cento della superficie forestale del Canada è protetta dalla
legislazione e molte aree della Foresta Boreale sono minacciate dalla deforestazione. Una
delle principali società canadesi che sta contribuendo alla distruzione della foresta è la
Resolute Forest Products, una delle più importanti nel settore del legno e della carta. Ha
sede in Canada, a Montreal, e fornisce carta per la produzione di libri, riviste, giornali,
cataloghi, volantini, elenchi telefonici. Per farlo, però, gestisce in maniera non
sostenibile aree della Foresta Boreale canadese, violando i diritti delle popolazioni
indigene che la abitano da sempre, e devastando l’habitat della fauna e della flora. Dopo
varie battaglie legali tra la Resolute Forest Products e Greenpeace che la denuncia per
diffamazione, la corte d’appello di Ontario ha dato ragione a Greenpeace definendo
scandalose e vessatorie le accuse di Resolute. Queste strategie intraprese dalla Resolute
vengono denominate Strategic Lawsuit Against Public Partecipation, si tratta di cause
civili che pur essendo basate su accuse infondate, hanno come scopo di disincentivare la
protesta pubblica, andando a colpire le tasche delle parti chiamate in causa.
(Greenpeace, 2017).
58
BIBLIOGRAIA (Edoardo Monaco)
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- National geographic, Cina, riforestare non basta. Settembre 13, 2016
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59
- US EPA, 2012
- US National Interagency Fire Center, 2011
- Greenpeace, Solution to deforestation 2008
- Greenpeace, l'industria della carta sta distruggendo le ultime foreste, Marzo 20,
2017
- Greenpeace, Un’ultima minaccia per le ultime foreste boreali Canadesi.
Marzo 22, 2017
60
CONCLUSIONI GENERALI
Diritti Umani e Ambiente, un’associazione che purtroppo molto spesso sembra
non avere una connessione diretta e non essere inclusa nella mentalità di gran
parte della popolazione. Sarebbe bello capirne le motivazioni. Disinteresse?
Mancanza di informazioni? Difficile accesso a questo tipo di informazioni perché
forse mascherate dalle grandi multinazionali che speculano sullo sfruttamento
delle risorse naturali a danno delle popolazioni locali?
Probabilmente gran parte delle persone mancano di concetti basilari, di concetti
chiave fondamentali per comprendere l’importanza della foresta nelle sue più
ampie sfumature. Manca il riconoscere che le foreste si, sono questione di specie
vegetali e animali, ma anche di persone. Noi dipendiamo strettamente da loro.
È così che iniziamo il nostro elaborato definendo in termini tecnici che cos’è la
foresta e l’importanza che gli ecosistemi forestali ricoprono nella nostra vita
quotidiana. Ma le foreste sono appunto anche questione di persone. Ci sembrava
doveroso riservare una parte alle popolazioni indigene, da sempre le prime in
difesa dei loro territori e spesso allontanate brutalmente per far spazio ai lavori di
grandi industrie minerarie o del legno. Negli ultimi anni si fa avanti il concetto di
community forestry, delineato nell’ambito della social forestry, un campo per
molti ancora sconosciuto, ma che ricopre una certa importanza nello studio di
norme volte all’inclusione di popolazioni indigene e popolazioni locali nei
processi decisionali riguardanti l’ambiente: la base per una società globale più
inclusiva e rispettosa dei diritti di ogni persona.
Il concetto di deforestazione viene in un primo momento spiegato in termini
tecnici e analizzato oltre che nelle sue conseguenze ambientali, anche in quelle
sociali ed economiche. È un problema di vasta portata che ha effetti sull’ambiente,
sulle politiche interne degli Stati e sulle popolazioni del posto.
Abbiamo analizzato le varie politiche (efficienti o meno) che gli Stati hanno
adottato per contrastare questo fenomeno che sta prendendo piede su scala globale
dagli anni 60’, legato in modo esponenziale all’aumento della popolazione e di
61
conseguenza all’aumento di risorse necessarie per soddisfare i bisogni di essa. E’
chiaro che senza la volontà degli Stati e il contributo della popolazione la
deforestazione e quindi lo sfruttamento dei lavoratori ad essa collegato rimane un
problema di difficile soluzione.
Importante quindi che ad impegnarsi non siano solo le ONG ambientali, i governi
o altre associazioni ambientali, ma che l’impegno parta da tutti anche nel più
piccolo. Acquistare prodotti che provengono da foreste gestite in modo sostenibile
o da piantagioni sostenibili, acquistare mobili in legno dal falegname del paese
(che molto più probabilmente lavorerà legno proveniente da boschi vicini), o
ancora acquistare carne e latte da vacche allevate da allevamenti non intensivi o
ancora meglio da piccole fattorie limitrofe (e qui entra in gioco anche il benessere
animale!) che quindi si nutriranno da pascoli limitrofi, è sicuramente un
importante contributo nella lotta contro la deforestazione, lo sfruttamento delle
risorse forestali e del rispetto di quelle popolazioni che si vedono allontanate dalla
propria casa per soddisfare le comodità e il benessere dei Paesi ricchi del mondo.
Per concludere in poche parole l’idea che ci ha portati a scrivere il nostro
elaborato finale concentrandoci sulle foreste, finiamo riportando un detto indiano:
“Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume
avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può
mangiare il denaro”.