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IL VALORE DELLA CONOSCENZA. DALLA TEORIA AL KNOWLEDGE MANAGEMENT APPLICATO Relatore: Chiar.mo Tesi di Laurea di: Prof. Gabriele Micozzi Laura Paoletti Anno Accademico 2006 – 2007 INDICE Introduzione pag. I CAPITOLO PRIMO VERSO UNA KNOWLEDGE BASED ECONOMY 1.1 La nascita di un nuovo capitalismo economico pag. 1 1.1.1 Cosa si intende per economia della conoscenza? pag. 3 1.1.2 Alcuni pregiudizi da riconoscere e da correggere pag. 7 1.1.3 Perché si parla soltanto ora di capitalismo cognitivo? pag. 10 UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ” _______________________________________________________________ Corso di Laurea in Economia e Management

UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA ... · 1.1.4 Il sentiero di sviluppo della nuova disciplina pag. 13 1.2 La conoscenza come fattore produttivo: proprietà

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IL VALORE DELLA CONOSCENZA.

DALLA TEORIA AL KNOWLEDGE MANAGEMENT APPLICATO

Relatore: Chiar.mo Tesi di Laurea di:

Prof. Gabriele Micozzi Laura Paoletti

Anno Accademico 2006 – 2007

INDICE

Introduzione pag. I

CAPITOLO PRIMO

VERSO UNA KNOWLEDGE BASED ECONOMY

1.1 La nascita di un nuovo capitalismo economico pag. 11.1.1 Cosa si intende per economia della conoscenza? pag. 3

1.1.2 Alcuni pregiudizi da riconoscere e da correggere pag. 7

1.1.3 Perché si parla soltanto ora di capitalismo cognitivo? pag. 10

UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHEFACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ”

_______________________________________________________________

Corso di Laurea in Economia e Management

1.1.4 Il sentiero di sviluppo della nuova disciplina pag. 13

1.2 La conoscenza come fattore produttivo: proprietà e originalità pag. 20

1.2.1 Dati, informazioni e conoscenza pag. 21

1.2.2 Caratteristiche di una risorsa sui generis pag. 26

1.2.3 Alcune possibili tassonomie pag. 31

1.3 Perché gestire la conoscenza aziendale? pag. 37

1.3.1 Motivazioni di tipo esogeno ed endogeno pag. 38

CAPITOLO SECONDO

CONOSCENZA AL LAVORO: IL KNOWLEDGE MANAGEMENT

2.1 La gestione della conoscenza: alcuni concetti introduttivi pag. 47

2.1.1 Cos’è il knowledge management? pag. 48

2.1.2 Una breve storia della disciplina pag. 52

2.1.3 Il modello di Nonaka e Takeuchi pag. 58

2.2 Le implicazioni per l’assetto d’impresa pag. 65

2.2.1 I knowledge workers pag. 67

2.2.2 La Learning Organization pag. 72

2.2.3 Le tecnologie di gestione della conoscenza pag. 78

2.2.4 Un nuovo modello di creazione del valore pag. 88

2.3 Il sogno e il disincanto del knowledge management pag. 93

2.3.1 Le attività di un sistema di gestione della conoscenza pag. 94

2.3.2 I benefici economici, tecnologici ed organizzativi pag. 102

2.3.3 Le cause di un possibile insuccesso pag. 107

CAPITOLO TERZO

AL DI LA’ DEL KNOWLEDGE MANAGEMENT: LIBERARE LE POTENZIALITA’ NASCOSTE DIUN SISTEMA DI GESTIONE DELLA CONOSCENZA

3.1 Il knowledge management in cifre pag. 119

3.1.1 La rilevanza del fenomeno pag. 122

3.1.2 L’Unione Europea e la Strategia di Lisbona pag. 128

3.1.3 E l’Italia? pag. 135

3.2 KM significa soltanto gestione della conoscenza? pag. 141

3.2.1 Il KM come mezzo di apprendimento pag. 145

3.2.2 Il KM per il potenziamento della strategia di marketing pag. 149

3.2.3 Il KM a servizio dell’innovazione e della creatività pag. 153

3.2.4 Il KM come nodo di legame con il territorio pag. 158

3.3 Alcune prospettive future pag. 164

3.3.1 La domanda e l’offerta del KM che verrà pag. 166

CAPITOLO QUARTO

IKNOW: LA FANTASIA CHE DIVENTA REALTA’

4.1 La società Nautes e l’azienda iGuzzini Illuminazione:

il successo di una originale collaborazione pag. 169

4.1.1 L’azienda iGuzzini Illuminazione pag. 172

4.2.2 La società Nautes Srl pag. 175

4.2.3 Il knowledge management applicato pag. 178

4.2 IKnow: per saper fare uso di ciò che si conosce pag. 189

4.2.1 Le origini del nuovo sistema pag. 189

4.2.2 Il metodo, la strategia e la tecnologia Nautes pag. 196

4.2.3 Le fasi di realizzazione del progetto pag. 209

4.2.4 Come lavora iKnow? pag. 214

4.2.5 I benefici attesi pag. 230

4.2.6 Alcuni segreti da svelare pag. 239

4.3 Una possibile visione per gli anni a venire pag. 249

Conclusioni pag. 253

Allegati pag. 257

Bibliografia pag. 263

Webliografia pag. 273

Ringraziamenti pag. 275

INTRODUZIONE

Lo studio della conoscenza è uno degli elementi più profondi e sfuggenti della storia, che economisti,

sociologi e psicologi cognitivi hanno in passato affrontato sotto ogni aspetto, senza peraltro pervenire a

risultati accettati da tutti1.

La stessa Penrose nel testo “La teoria dell’espansione dell’impresa” cita: “… E’ chiaro che gli economisti

hanno sempre riconosciuto il ruolo dominante della conoscenza nei processi economici, tuttavia nella

maggior parte dei casi hanno ritenuto che il tema fosse troppo scivoloso per essere affrontato e non sono

giunti pertanto a risposte significative ed univoche”.

Per molti anni, infatti, il legame tra economia e conoscenza è rimasto praticamente assente dalla teoria

economica: la conoscenza era una risorsa del tutto invisibile; esistente ed importante certo, ma non

analizzabile in modo concreto, per le sue proprietà specifiche di mutevolezza e dinamicità.

Da qualche tempo però le cose sono cambiate. Impercettibilmente, ma progressivamente, l’economia dei

nostri giorni sta diventando un’economia cognitiva: da ogni luogo ci viene annunciato che stiamo

entrando a far parte di quella che viene definita knowledge era. Un’era nuova, nuovissima, destinata a

durare a lungo e a cambiare il mondo, cominciando proprio dal modo di funzionare della stessa

economia.

La conoscenza è infatti diventata, nell’immaginario collettivo dei nostri giorni, il deus ex machina del

capitalismo contemporaneo, capace di fornire alla stesso idee, soluzioni e linguaggi per innovare in

profondità i processi produttivi e di consumo.

Al contempo, però, anche il contributo del mondo economico è stato significativo: esso ha corredato la

risorsa-conoscenza dei mezzi necessari a far avanzare la frontiera del sapere in campi sempre più vasti e

impegnativi.

Questa forte sinergia e la continua e crescente interdipendenza tra economia e conoscenza conducono

necessariamente a considerare quest’ultima come un fattore chiave, come un elemento indispensabile a

cui si ricorre per spiegare le differenze tra imprese, tra regioni e tra paesi; il volano che ogni anno

alimenta la crescita del prodotto e della produttività, proponendo nuove tecniche, nuove soluzioni e nuovi

bisogni. A getto continuo.

L’era del lavoro e della proprietà sta finendo e con essa è la società industriale creata dalla rivoluzione

delle macchine e del capitale, ad uscire progressivamente dall’orizzonte della contemporaneità. Le forze

tradizionali non sono più il motore della crescita economica e delle attività che generano valore2.

1 Cfr. MOKYR J., “I doni di Atena. Le origini storiche dell’economia della conoscenza”, IL MULINO,Bologna, 2004, pag. 5

Questo grande cambiamento, già avviatosi da qualche tempo, sembra doversi consolidare nei prossimi

anni, divenendo anzi processo inevitabile e fulcro del futuro funzionamento dei sistemi economici.

Ed è proprio da tale consapevolezza che parte la necessità di gestire e di coordinare le forze che si

manifestano all’interno di questo complesso fenomeno in corso: occorre dotarsi di nuovi strumenti che

sappiano far fronte ed amministrare una risorsa sui generis che è, appunto, quella della conoscenza;

trasformare le organizzazioni in organizzazioni che apprendono, gestire in modo adeguato una nuova

categoria di lavoratori. Si tratta, in definitiva, di predisporre un idoneo sistema di knowledge management

che possa conferire alle imprese tutti i vantaggi che derivano da pratiche di condivisione della

conoscenza. Nel 2008, sostiene il Gartner Group, tre quarti degli aumenti di produttività delle imprese

saranno realizzati grazie al knowledge management e grazie ad altri miglioramenti nel lavoro basato sulla

conoscenza.

Non si tratta, però, di una tendenza che può essere data per scontato, né tanto meno di un fenomeno di

facile gestione: la convergenza tra due mondi che continuano ad essere tenacemente disallineati richiede

competenze e capacità del tutto nuove, che occorre saper creare e “coltivare” per procedere con successo

nella attività d’impresa. Il knowledge management, più che una disciplina, si configura pertanto come un

modo nuovo, ma obbligato, di vedere la trama e i significati sottostanti la produzione di valore nella

società contemporanea. Per utilizzare una metafora, che lo stesso Carlo Sorge ha addotto in una

conferenza da lui tenuta nel 2005: “Il knowledge management è una nuova e particolare “panoramica”

sul mondo esistente, che ci consente di leggere con occhi inediti e critici la realtà che si sta delineando

(Canevacci, 1995), una realtà nuova, all’interno della quale le regole di riferimento sono costituite dalla

globalizzazione, dall’information technology, dalla smaterializzazione del valore d’impresa”.

Impossibile non essere d’accordo con le parole di Sorge: anche il mondo accademico si sta muovendo in

questa direzione.

In coerenza con l’ormai consolidata resource based view si assiste alla nascita di una vera e propria

fabbrica dell’immateriale (Rullani, 2005): di una fabbrica dove agli aggettivi di concreto e reale si è

appoggiato quello di intangibile, dove all’attenzione al concetto di costo e di prezzo si è affiancato quello

di conoscenza e di informazione.

“Alla fine, scoperte, studi, articoli e dibattiti finiscono sempre per parlare di conoscenza3”: ed è proprio

l’importanza e la fatidica irrinuciabilità che ha assunto questa nuova risorsa nell’odierno contesto

competitivo, che ci ha condotto alla scelta di un simile tematica quale argomento di approfondimento per

la tesi di laurea. Scrivere una tesi sulla gestione della conoscenza è tutt’altro che semplice: riteniamo

però che l’ottenimento di risultati d’eccellenza per qualsiasi tipo di azienda siano sempre più legati ad

un’oculata gestione dei propri saperi, ad un serio coordinamento delle informazioni che sono presenti

nell’organizzazione, ad una marcata valorizzazione delle conoscenze degli individui. L’economia della

2 Cfr. RULLANI E., “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”,CAROCCI, Roma, 2004, pag. 13

3 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 193

trasformazione materiale è ormai soltanto lo “zoccolo di base” su cui è cresciuta un’economia

dell’immateriale diventata col tempo più importante e decisiva della sua matrice originaria.

Da queste consapevolezze nasce il nostro lavoro.

La tesi si suddivide in quattro capitoli, di cui l’ultimo dedicato ad un case history: riteniamo, infatti, che

una profonda comprensione degli aspetti teorici del knowledge management sia di fondamentale

importanza per sapersi muovere all’interno del nuovo contesto che si sta delineando, ma siamo

fermamente convinti che la capacità di capire gli aspetti più profondi dello stesso possa avvenire

unicamente “stando dentro le organizzazioni” e mettendo in atto le teorie e le tecniche che sono state fino

ad ora elaborate. Vediamo più in dettaglio i contenuti dell’elaborato.

Il primo capitolo si dedica all’analisi dei tratti salienti dell’economia della conoscenza: la comprensione

del fenomeno del knowledge management, ma soprattutto la giustificazione dell’urgenza di gestire la

conoscenza aziendale possono essere afferrati soltanto delineando il contesto macroeconomico all’interno

del quale ci troviamo a vivere, contesto che per le sue caratteristiche dimostra e spiega il perché sia ad

oggi tanto importante mettere in atto pratiche di knowledge management. In particolar modo passeremo

in rassegna, una possibile definizione del concetto di economia della conoscenza, per poi addentrarci

nello studio dell’evoluzione storica della stessa e dei principali contributi teorici che hanno caratterizzato

lo sviluppo della disciplina. Verranno poi analizzate le proprietà, le caratteristiche, le anomalie e le

originalità del nuovo motore del capitalismo cognitivo, alcune tassonomie della risorsa-conoscenza, per

andare, quindi, a concludere con l’analisi delle motivazioni che sottendono la nascita di un qualsiasi

sistema di knowledge management. Il primo capitolo costituisce il framework di riferimento, o meglio il

presupposto di base dell’intero elaborato: esso consente di dare significatività alle tematiche affrontate e

di avere la certezza che la nascita di una knowledge era non sia ascrivibile ad un fenomeno di scarsa

rilevanza o ad una “moda manageriale passeggera”. La conoscenza e il sapere sono, ad oggi,

effettivamente le uniche risorse su cui l’impresa dovrebbe fondare le proprie strategie per l’ottenimento di

un successo durevole e stabile nel tempo4.

Il secondo capitolo, partendo appunto da questa consapevolezza, si dedica alle vere e proprie dinamiche

del knowledge management. Anch’esso apre con una possibile definizione della questione in oggetto, per

poi affrontare ed analizzare il pensiero e gli studi di alcuni dei più importanti autori in materia, con

particolare attenzione al modello di Nonaka e Takeuchi. Il capitolo prosegue poi con la descrizione

dell’impatto sull’organizzazione d’impresa derivante dall’introduzione di sistemi di knowledge

management e pertanto affronta le tematiche relative ai knowledge workers, alla learning organization,

alle tecnologie di gestione della conoscenza e al modello di creazione del valore. La sezione si conclude,

quindi, con un paragrafo dedicato ad alcuni aspetti più prettamente pratici della disciplina che

concernono le fasi del ciclo di vita della conoscenza, i benefici che vengono addotti da pratiche di

4 Quando si parla di “moda manageriale passeggera” si fa riferimento a tutti quei fenomeni chepresentano una durata non maggiore ai tre o quattro anni e che lasciano il campo senza apportare alcunbeneficio significativo all’assetto d’impresa. Sicuramente non si tratta di aspetti che possono essereriferiti al knowledge management.

knowledge management e le cause che potrebbero decretare un possibile insuccesso dello stesso. La parte

conclusiva del capitolo apre, in parte, la strada alla terza sezione.

Il terzo capitolo esordisce, infatti, con alcune pagine dedicate ad una “panoramica numerica” in

merito alla rilevanza del fenomeno knowledge management per addentrarsi poi nello studio della

posizione europea ed italiana nella “partita dell’economia della conoscenza”. L’elaborato prosegue

quindi con l’esame di quello che abbiamo definito approccio “soft” alla gestione della conoscenza:

approccio che riteniamo possa consentire alle imprese di scoprire alcune potenzialità nascoste di un

sistema di knowledge management. Si parlerà, quindi, di sistemi di gestione della conoscenza come

mezzi di apprendimento, come strumenti di marketing, come nodo di legame con il territorio e

infine come sistemi di sviluppo dell’innovazione e della creatività. Si tratta, a ben vedere, di un

metodo nuovo ed originale di approcciare i saperi e le informazioni che permeano le nostre

organizzazioni5, che non mette in discussione i principi cardine del knowledge management ma che

anzi, proprio partendo da questi, li migliora e li arricchisce di contenuti ed aspetti fin’ora poco

considerati, che potrebbero permettere di ottenere risultati ancor più positivi rispetto a quelli

ottenuti in passato. Ovviamente non abbiamo la pretesa di aver elaborato un nuovo criterio o una

nuova teoria del knowledge management, ma sicuramente va riconosciuto che abbiamo cercato di

far emergere alcuni degli aspetti latenti di un sistema di gestione della conoscenza che

rischierebbero altrimenti di essere sottovalutati.

Il quarto capitolo, infine, si propone di dare valenza pratica a quanto teorizzato nelle parti

precedenti del lavoro e prende quindi in esame un interessante caso di studio al quale ho avuto

possibilità di partecipare in prima persona: la realizzazione di un sistema di gestione della

conoscenza (iKnow) da parte della società Nautes srl per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Come

accennato anche in precedenza il semplice racconto e la spiegazione delle tematiche del knowledge

management non basta più, serve un valore aggiunto che dia concretezza e pragmaticità

all’approccio concettuale che verrà tratteggiato nei primi capitoli6. Per questo motivo abbiamo

deciso, nell’ultima parte dell’elaborato, di proporre ed analizzare un interessante caso di studio che

completi e valorizzi gli aspetti teorici della disciplina. L’esperienza che viene qui proposta non fa

riferimento alla semplice descrizione di un case history già svolto, del quale ci limitiamo a

descriverne le dinamiche, ma di un progetto appena nato e tutt’ora in fase di evoluzione al quale ho

avuto possibilità di partecipare direttamente.

Durante lo stage della durata di due mesi che ho effettuato presso la società Nautes srl ho avutol’opportunità di partecipare in modo attivo alla realizzazione del sistema, potendo di fatto prendere partea quella che è stata per me una splendida esperienza professionale e personale che, fortunatamente,continuerà anche dopo la laurea. 5 Quello che verrà trattato nel terzo capitolo è frutto di una nostra elaborazione a partire dagli studicompiuti in merito all’argomento: abbiamo pensato ad un sistema di knowledge management nonsoltanto come sistema di gestione della conoscenza.6 Non a caso ogni capitolo sarà accompagnato da molti esempi e casi pratici, proprio perché a nostroavviso il knowledge management deve essere “più fatto che spiegato”.

Il capitolo si articola nella seguente maniera: dopo una breve introduzione in merito alla storia e aiprodotti delle aziende coinvolte nel progetto (Nautes e iGuzzini appunto), si prenderanno in esame isistemi di knowledge management ad oggi esistenti presso l’azienda illuminotecnica, per poi passare allavera e propria analisi di iKnow. Verranno descritti la strategia, il metodo e la tecnologia che sono statiprogettati, i benefici attesi dal nuovo sistema, le fasi di realizzazione del progetto e, in coerenza conquanto espresso nel terzo capitolo, esamineremo i risvolti futuri e le potenzialità nascoste del nuovoapplicativo.Le conclusioni del lavoro saranno dedicate al decretamento di un punto d’arrivo del percorso cheabbiamo compiuto.Da ultimo ci preme ricordare che il presente elaborato costituirà oggetto di pubblicazione all’interno dellarivista Economia & Management, in collaborazione con il Professor Azzariti e con il Professor Rullanidell’Università Cà Foscari di Venezia, i quali hanno “vagliato” l’elaborato e “decretato” che si tratta di unapproccio del tutto originale al knowledge management che merita di essere oggetto di ulterioriapprofondimenti. Parteciperò, inoltre, ad un convegno che si terrà il 23 Novembre 2007, nell’ambitodell’iniziativa “Campionaria per le qualità italiane”, sempre con il presente lavoro. Ulterioripubblicazioni avverranno entro il 2007 sulla rivista Incontroluce dell’azienda iGuzzini e sul quotidianoItalia Oggi.

CAPITOLO PRIMO

VERSO UNA KNOWLEDGE BASED ECONOMY

“Knowledge itself is power”Bacone

1.1 La nascita di un nuovo capitalismo economico

“Il 70% del valore di una società come Philips non è contabilizzato, è invisibile, immateriale. E’conoscenza”, sostiene Di Benedetto, presidente e amministratore delegato di Philips Italia: “In passatoPhilips focalizzava l’attenzione sulla produzione materiale di prodotti tangibili. Adesso, invece, è laconoscenza ad essere il prodotto finito, l’output del processo produttivo d’azienda”.Questa visione, di primo acchito un po’ insolita e curiosa dell’organizzazione d’azienda, costituisce inrealtà il contesto all’interno del quale gli odierni imprenditori devono sapersi muovere: la conoscenza èdivenuta il più prezioso fattore produttivo da gestire, l’unico in grado di consentire il raggiungimento dirisultati eccellenti, il presupposto imprescindibile, insomma, della strategia di ogni realtà imprenditoriale.Lo stesso Benjamin Franklin sostiene che l’investimento in conoscenza è quello che, oggi, paga il più altotasso d’interesse7, per tutte le imprese e perfino Marshall, nei suoi studi, ha affrontato questo temaquando si è reso conto che il vero interesse dell’economia risiedeva nella dinamica dei fatti e nelleconoscenze degli individui.Ancora molte sarebbero le citazioni da ricordare a tal proposito8, ma quanto appena detto ci sembrasufficiente per giustificare il forte incremento d’attenzione verso la nascita di un nuovo mondo, un mondoaffascinante e complesso, difficile e concreto, talvolta incomprensibile e talaltra scontato: il mondobasato sull’economia della conoscenza.Questo capitolo si propone proprio di analizzare quella che ad oggi viene definita knowledge basedeconomy, attraverso un percorso semplice e lineare: dall’analisi delle origini storiche della disciplina sipasserà ad un’attenta disamina delle caratteristiche della risorsa conoscenza, per poi concludere con lemotivazioni che sottendono la necessità di gestire i saperi d’azienda.Come già ribadito nell’introduzione del lavoro il core element di questa trattazione è costituito dalknowledge management, nelle sue “vesti” pratiche e teoriche: riteniamo però, che una sua efficacecomprensione ed analisi non possa prescindere dal contesto macroeconomico di riferimento.Capire in che cosa consiste l’economia della conoscenza, quando essa ha avuto origine e tutti gli altriaspetti che verranno di seguito analizzati, costituisce il presupposto fondamentale nell’approccio allagestione dei saperi aziendali, il framework di riferimento che contestualizza e da significatività alladisciplina del knowledge management. Ecco perché dedicare alcune pagine del lavoro allo studio dellaknowledge based economy.L’importanza dell’argomento in questione è ormai palese, ma verrà ulteriormente ribadita nel corso dellavoro: “Alla fine, scoperte, studi, articoli e dibattiti finiscono sempre per parlare di conoscenza9”. Nonci si può più permettere di ignorare la disciplina: si può essere più o meno d’accordo con leinterpretazioni della stessa; ma “abbracciare” i processi sottostanti l’economia della conoscenza e le sueimplicazioni per il sistema d’azienda è divenuto un must, un obbligo al quale gli imprenditori nonpossono mancare se intendono procedere con successo nella loro attività.

7 Questa affermazione è tratta da un discorso pronunciato da Benjamin Franklin nel 1967. Egli fu uno deipadri fondatori degli Stati Uniti d’America che partecipò alla stesura di tutti e tre i più importantidocumenti che hanno caratterizzato la storia degli USA.8 Altre citazioni a riguardo verranno citate nel proseguio del lavoro.9 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 193

Il presente capitolo vuole offrire una breve ma chiara panoramica del contesto che ha dato origine e chetutt’ora caratterizza un sistema di knowledge management.

1.1.1 Cosa si intende per economia della conoscenza?

In linea generale, possiamo parlare di economia della conoscenza ogni volta che ci troviamo di fronte adun segmento del sistema economico in cui il valore (utilità per i soggetti economici) viene prodottoattraverso la conoscenza10.Più in particolare con il termine economia della conoscenza si intende11:

- Un’economia nella quale la quota di occupazione ad alta intensità di conoscenza èpreponderante o comunque sensibilmente più alta rispetto al passato;

- Un’economia in cui il peso economico dei settori legati all’informazione è diventatodeterminante;

- Un’economia in cui la quota di capitale intangibile nello stock di capitale totale è diventatamaggiore di quella del capitale fisico.

Analizziamo più approfonditamente ognuno di questi aspetti12.In merito alle caratteristiche occupazionali, gli ultimi decenni si sono caratterizzati per una profondatrasformazione delle funzioni aziendali e del loro contenuto intrinseco. Esse sono diventate nellamaggior parte dei casi lavoro cognitivo, in cui le risorse umane non trasformano più la materia prima, magenerano conoscenze innovative che con il loro impiego saranno usate per trasformare la materia in utilitàe valore per il cliente. Il grafico seguente evidenzia questa tendenza per alcuni Paesi dell’ OCSE.Se la tendenza generale è assai evidente (il grafico mostra un marcato aumento della quota di lavoratoriqualificati sul totale degli occupati), i fattori alla base di una distribuzione così marcata a favore dellavoro qualificato sono difficili da individuare in modo altrettanto preciso.

-0,5 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

Canada (1981-1991)

Giappone (1980-1990)

Stati Uniti (1983-1993)

Germania (1980-1990)

Francia (1982-1990)

Italia (1981-1991)

lavoro non qualificato lavoro qualificato

10 La definizione è tratta da un’intervista condotta dal Sole 24 ore ad Enzo Rullani, 2004.11 Tale definizione è tratta da: FORAY D., “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, anno2000, pag. 9. In realtà occorre considerare come molte sono le definizioni elaborate dagli studiosi e dagliautori in merito al significato di economia della conoscenza. La scelta di questa definizione (piuttosto cheun’altra) si giustifica per il fatto che è in grado di illustrare in modo più significativo e opportuno i trattisalienti e le caratteristiche rilevanti della disciplina. Per la sua completezza essa si configura come il“manifesto” di questa nuova materia.12 L’approfondimento dei tre punti appena citati è tratto da FORAY D., “L’economia della conoscenza”,Il MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 38. E’ proprio dalle trasformazioni intervenute in ambitomacroeconomico che si comprende la nascita di una knowledge based economy e quindi anche ladefinizione appena citata di economia della conoscenza.

Grafico 1.1 Crescita dell’occupazione per lavoratori qualificati e non qualificati Fonte: OCSE (1996)

Certo è che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione favoriscono la sostituzione dellamanodopera non qualificata con quella qualificata, anche se in realtà non è sempre scontato: alcuni studiempirici dimostrano come l’effetto degli investimenti in tecnologia dell’informazione sulla dinamicadell’occupazione siano molto variabili ed aleatori e dipendano, quindi, in misura rilevante dalla naturadella tecnologia introdotta e dalla forma organizzativa scelta. Non esistono risultati univoci. Quindi perspiegare la crescita della quota di manodopera qualificata sull’occupazione totale occorrono motivazionipiù generali della semplice diffusione delle tecnologie informatiche; bisogna considerare l’impattodell’avvento di una knowledge era che comporta una maggiore esigenza delle imprese in termini dicompetenze e attitudini.I knowledege workers rappresentano, attraverso le loro capacità e le loro conoscenze, il bene principaledell’azienda e possono, a differenza dei lavoratori manuali addetti alla manifattura, possedere i mezzi diproduzione: “la conoscenza è immagazzinata nelle loro teste e possono quindi portarla con sé, ovunquevadano”13.Con riferimento al secondo aspetto sopra citato si coglie, invece, tutto il peso che la rivoluzione digitaleiniziata già a partire dagli anni ‘70 ha esercitato sul nostro sistema economico. La nascita di nuovistrumenti in ambito comunicativo e di nuovi metodi di elaborazione delle informazioni ha innescato unaforte crescita di imprese ad elevato contenuto di conoscenza. Come dimostra la figura 1.2.14

0 2 4 6 8 10 12

Svezia

Danimarca

Norvegia

Regno Unito

UE

Olanda

Germania

Australia

Italia

spesa pubblica per l'istruzione R&S software

Grafico 2.1 Investimenti in conoscenza, 1995 (percentuale Pil) Fonte OECD (1999)

Ai dati di questo grafico bisogna aggiungere alcune informazioni che riguardano la crescita annualemedia delle voci analizzate, dal 1985 ad oggi. Spicca fra tutti la Danimarca con una crescita diinvestimenti in innovazione pari al 4.4%, seguita poi da Finlandia, Giappone, Norvegia e Stati Uniti chesi attestano intorno al 3.7%. Dati poco confortanti per Olanda, Belgio e Italia che cresconorispettivamente al 0.9%, 0.1% e 1.3%. Gli altri Paesi si trovano in una situazione intermedia15.

13 Tratto da: DRUCKER P. F., “Il grande cambiamento”, SPERLING & KUPFER, 1995. Unatrattazione più approfondita dei knowledge worker e in particolar modo dei nuovi ruoli e delle nuovefigure che sono nate con l’avvento dell’economia della conoscenza verrà effettuata nel capitolo 2.14 Grazie ad alcuni recenti lavori dell’OCSE si è giunti ad una certa stabilizzazione delle stime sullecategorie di investimento in conoscenza per un dato Paese o settore. La figura evidenzia le disparità traPaesi OCSE in termini di investimento in istruzione pubblica, R&S, e programmi informatici. Ulterioriinformazioni in merito allo stato di avanzamento e recepimento dell’economia della conoscenza verrannotrattati nel proseguo del lavoro.15 In realtà si può affermare che c’è una convergenza in termini di crescita annuale media degliinvestimenti suddetti per i Paesi dell’OCSE. Dal 1985 ad oggi hanno speso in media tra l’8 e l’11% delloro PIL in investimenti legati alla conoscenza.

L’ultimo aspetto che rimane da analizzare riguarda la nascita di una nuova economia, un’economiadestinata a rendere visibili e analizzabili i processi attraverso cui le conoscenze generano valore passandoo meno attraverso la trasformazione materiale, nella consapevolezza che solo il patrimonio intangibiledell’impresa costituisce fonte di successo per la stessa. La tabella n. 1.1 conferma quanto appena detto.

Componenti dello stock reale 1929 1948 1973 2000

Capitale tangibile totale 6.075 8.120 17.490 28.525Strutture e macchinari 4.585 6.128 13.935 23.144

Stock 268 471 1.000 1537

Risorse naturali 1.222 1.468 2.555 3.843

Capitale non tangibile totale 3251 5.940 17.349 32.819Istruzione e formazione 2647 4.879 13.564 25.359

Saluta sicurezza 567 892 2.527 5.133

mobilità 37 169 1.249 2.327Tab 1.1 Stock di capitale reale lordo negli stati Uniti. (mld di dollari) Fonte: Kendrik1994

Mentre nel corso della metà del diciannovesimo secolo la crescita del capitale fisico ha contribuito per idue terzi all’aumento della produttività del lavoro a livello mondiale, tale contributo nel ventesimo eventunesimo secolo è sceso ad un valore tra un quarto e un quinto della crescita della produttività16.Questa è l’economia della conoscenza.1.1.2 Alcuni pregiudizi da riconoscere e da correggere

Dopo aver analizzato cos’ è l’economia della conoscenza ed aver approfondito i tratti salienti della stessadisciplina occorre soffermarsi su cosa non è questa nuova realtà, o meglio con che cosa non deve essereconfusa17.Ne forniamo una breve illustrazione nella tabella seguente.

L’economia della conoscenza

Non è Economia della ricerca né economia dell’informazione (pregiudizio settoriale)

Non è Economia dell’innovazione (pregiudizio storico)

Non va ad esclusivo vantaggio del produttore (pregiudizio competitivo)

Non è solo produzione ma anche propagazione di conoscenza (pregiudizio epistemologico)

16 Kendrick mostra come lo stock di capitale intangibile diviene equivalente allo stock di capitale fisicointorno al 1973 e che esso è oggi largamente dominante. Kendrick dimostra inoltre come il rapporto tracapitale intangibile e capitale tangibile è più che raddoppiato tra il 1929 e il 1990.17 In particolar modo Rullani parla non soltanto di che cosa non è l’economia della conoscenza ma anchedella necessità di riconoscere e superare quattro pregiudizi sui quali gli studiosi e l’intera societàrischiano di inciampare, dando così luogo a rappresentazioni errate della nuova materia. I quattropregiudizi sono: pregiudizio settoriale, pregiudizio storico, pregiudizio competitivo, pregiudizioepistemologico. Ognuno di essi verrà meglio analizzato nel proseguo del lavoro.

Tabella 2.1. Gli errori da evitare nella definizione di economia della conoscenza. Fonte: nostroadattamento ad uno schema proposto da RULLANI, “Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma,2004

L’economia della conoscenza non dovrebbe essere scambiata con l’economia della ricerca, perché nonha come scopo principale la produzione di conoscenza tecnologica; a seconda del settore e dell’impresache vengono presi in considerazione la quota di ricerca formale sulla produzione totale di conoscenza puòandare da “enorme” a “trascurabile”, e ovviamente altre attività possono svolgere un ruolo importante.Non c’è ragione di ritenere che la conoscenza che conta sia soltanto quella che nasce nel sistemascientifico-tecnologico o nella sfera delle professionalità “alte”, intellettuali e teoriche. Anche leconoscenze pratiche che non hanno legittimità scientifico-intellettuale, costituiscono un sistemaorganizzato, hanno una capacità accumulativa e una dimensione economica non effimera. La loropresenza non è meno importante della conoscenza messa in circolo dalla tecnologia. Anzi, molto spesso èil sapere pratico che rende un sistema capace di evolvere cambiando la sua struttura e il suocomportamento in funzione delle necessità competitive di volta in volta incontrate.L’economia della conoscenza non dovrebbe nemmeno essere confusa con l’economia dell’informazioneperché lo scopo dell’economia della conoscenza è lo studio della conoscenza come bene economico e nondell’informazione in sé18. Nella complessità dell’ambiente in cui operiamo non bastano più i bit e isoftware destinati all’intelligenza dei computer e delle macchine. Si necessita sempre dell’interventodell’uomo e dell’apprendimento tipico dell’uomo19. Il pericolo, in questo senso, è quello di non riuscire asuperare quello che Rullani definisce pregiudizio settoriale, ovvero quel pregiudizio che non rendecapaci di riconoscere che l’economia della conoscenza riguarda tutta l’economia attuale, non soloqualche settore specifico della stessa (ovvero quelli legati alla legittimazione scientifica e allacodificazione del sapere).Non esiste, come sostengono Gibbons e collaboratori (1994), un solo mode one di produzione dellaconoscenza, (che è quello che si appoggia ai settori high tech, e dell’innovazione), ma anche un modetwo, che ha un’applicazione trans-disciplinare, facendo di fatto configurare la nuova economia comeeconomia che riguarda tutto il mondo attuale.L’economia della conoscenza non dovrebbe essere assimilata neanche all’economia dell’innovazione,visto che non è centrata esclusivamente sullo studio di condizioni, modalità ed effetti del cambiamentotecnologico ed organizzativo. Non cadere in questa confusione significa superare quello che Rullanidefinisce pregiudizio storico. O meglio. Gli attori del processo nell’economia della conoscenza non sonosolo i “mitici innovatori schumpeteriani” (in particolare gli imprenditori), ma tutti coloro che imparanoqualcosa di nuovo, che prima o poi produrrà un effetto utile per l’economia. Le proprietà tipiche dellaconoscenza emergono soltanto se si ha in mente il circuito cognitivo nel suo insieme. Esse scompaiono sequesto circuito viene spezzato in singoli atti di innovazione, atomistici e indipendenti dal resto. Laproduzione di conoscenza è un fatto sociale, non del singolo e attiene al sistema culturale che sta a montedella singola impresa o del singolo settore che innova. Inoltre la dinamica della conoscenza non rispondesoltanto all’obiettivo utilitaristico di creare immediatamente valore (attraverso l’atto di innovazione), maha anche altre finalità. Essa nasce dal passato, attraversa il futuro e si propaga nel presente (singolo attodi innovazione), ma non si ferma qui.Ancora due aspetti rimangono da analizzare. Uno è quello che Rullani definisce pregiudizio competitivo el’altro è quello che viene denominato pregiudizio epistemologico. Il primo si sostanzia in un sillogismomai dimostrato, ma che molto spesso viene implicitamente assunto come valido da parte di studiosi edoperatori. Esso presuppone che, essendo la conoscenza la principale risorsa impiegata nella società dellaconoscenza20, essa vada a vantaggio di chi la produce rispetto a chi la utilizza acquisendola da altriattraverso il mercato o per imitazione o per apprendimento dall’esperienza altrui. Alcune recenti indaginihanno dimostrato però che le performance migliori sono avvenute in quei Paesi che sono “entrati per

18 La distinzione tra conoscenza e informazione verrà trattata nel paragrafo 1.219 Anche la mera replicazione di un’informazione o di un programma richiede un processo diapprendimento che mette in campo elementi di incertezza, di valutazione, di chiarificazione e di azione daparte di uomini e gruppi di uomini. Ciò riduce gli spazi disponibili per l’automatismo dell’informazione eaumenta la capacità di propagazione della conoscenza.20 Il concetto di produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza verrà approfondito nel proseguo dellavoro.

ultimi”, e proprio per questo hanno tratto maggior beneficio dalla moltiplicazione della conoscenza,grazie a pratiche imitative di varia natura. In poche parole si possono acquisire vantaggi nella “gara”competitiva sia producendo nuove conoscenze che lavorando nelle retrovie: non è affatto detto che laquota maggiore del valore tocchi al primo (produttore), rispetto al secondo (utilizzatore). Tutto questo èparticolarmente vero se si considera come, ad oggi, il sapere sia meno firm specific rispetto al passato.L’investimento hard in tecnologia è altamente aleatorio, quanto a convenienza e vantaggi competitivi emolto spesso tende a produrre benefici a favore dei follower e degli users, ovvero di chi sa usare bene laconoscenza degli altri21.L’ultimo pregiudizio da cui occorre liberarsi è di tipo epistemologico e consiste nel primato attribuito allaricerca di nuova conoscenza rispetto alla propagazione della conoscenza disponibile. Ma anche in questocaso opporre la produzione alla diffusione risulta molto spesso una “guerra di religione”, poiché seprendiamo per esempio due sistemi Paese come gli Stati Uniti e il Giappone, è noto a tutti chequest’ultimo è cresciuto, nel secondo dopoguerra, con vantaggi competitivi notevoli, grazie dapprima adun’ossessiva copiatura e poi a un miglioramento incrementale. Ma allargando la prospettiva aun’economia della conoscenza è quasi ovvio che la propagazione è il terreno sul quale si gioca la verapartita, soprattutto in un’economia interconnessa e globalizzata come quella odierna. La propagazione diconoscenza consente di portare a maturità il ciclo di vita della stessa attraverso lo sfruttamentosistematico dello stock esistente e attraverso ricombinazioni originali delle conoscenze. Non si parla piùsoltanto di exploration (del nuovo), ma anche expliotation (ri-uso) e extraction (del profitto) daconoscenze già esistenti22. Il miglior uso della nuova conoscenza è il suo impiego come stimolo eoccasione per l’ acquisizione di nuovo sapere.

1.1.3 Perché si parla soltanto ora di capitalismo cognitivo?

Questo breve paragrafo ha l’intento di rispondere ad un quesito che tutti gli economisti e gli studiosidell’economia della conoscenza si sono posti almeno una volta addentrandosi nell’applicazione dellamateria23. L’enigma in questione può essere agevolmente riassunto con la seguente espressione:“Economia della conoscenza: radicalmente nuova o dejà vu?” (volendo dirla con le parole di Rullani).Essa sembra essere apparentemente una scoperta o un’invenzione degli ultimi anni, ma in realtà laconoscenza è sempre stata una risorsa importante ai fini della produzione. Una risorsa sempre nuova,sorprendente, ma al contempo che affonda le sue radici nel vecchio, nel già noto24. Analizzando ilcarattere di novità della disciplina, occorre fare riferimento a due grandi cambiamenti che sono avvenutinegli ultimi anni:

- Sono enormemente aumentati gli investimenti fatti nella produzione e nella trasmissionedelle conoscenze (istruzione, formazione, R&S, management)25;

- Si sono grandemente ridotti i costi di codificazione, trasmissione e acquisizione delleconoscenze grazie al recente progresso tecnologico (ICT, Internet)26.

Ma in realtà la conoscenza, come sostengono gli scettici, non è così nuova come può sembrare a primavista. Essa è sempre stata un elemento fondamentale della vita dell’uomo e dunque anche della suaeconomia. Basti pensare che perfino la produzione dell’homo sapiens è stata considerata un’attività“sapiente”, perché si distingueva da tutte le altre attività produttive, naturali o animali, in quantoimpiegava nel lavoro le capacità intellettuali del cervello umano.

21 Questa considerazione è tratta da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria epratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 15022 Questi termini sono stati proposti da March, 1991. La produzione di conoscenza è legata infatti allapropagazione della stessa non solo dall’ovvia necessità di ripagare il costo del produttore, ma ancheperché avanzamenti importanti nel sapere sono effettuati dalla capacità di muoversi in campo apertosenza obiettivi troppo vincolanti, potendo così trovare cose molto diverse da quelle inizialmente cercate.23 Verrà demandato al paragrafo successivo lo studio particolareggiato del ruolo della conoscenza nelcorso della storia. Si è ritenuto opportuno dedicare un paragrafo alla nascita dell’economia dellaconoscenza poiché essa non risulta esse particolarmente chiara e semplice da comprendere.24 Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, anno 2004, pag. 10725 Si vedano le tabelle e i grafici illustrati nel paragrafo 1.1.126 Cfr. FORAY D., “L’economia delal conoscenza”, IL MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 9

Partendo da questi presupposti, la tesi che si propone in questo elaborato costituisce una sintesi, o megliouna diversa visione del dualismo appena delineato. E’ nel momento in cui la conoscenza diventa ilprincipale motore dell’economia moderna che siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione, destinataad incidere profondamente sulla pratica e sulla teoria economica27. L’economia della conoscenza non silimita a vestire con abiti nuovi la consueta economia delle merci, ma introduce davvero qualcosa diradicalmente innovativo nel meccanismo di produzione del valore, cambiando il funzionamentodell’inner core del sistema economico. La novità non è che la conoscenza produce valore ma che loproduce in altro modo. Pertanto, come si vedrà in seguito, non è vero che la conoscenza non è esistitafino a questo momento, ma soltanto che la sua gestione avveniva in modo inconsapevole e senzaconsiderare l’importanza della relazione tra conoscenza e valore.Tuttavia il nuovo che abbiamo di fronte non è la soluzione a tutti i problemi e i dilemmi nati nella societàindustriale. Semmai è fonte di nuovi conflitti che i futuri economisti e imprenditori dovranno essere ingrado di risolvere.Detto questo rimane ora da sciogliere un altro fondamentale quesito: “Perché si scopre ora e soltanto oral’uso della conoscenza come forza produttiva, quando, come appena detto, essa ha caratterizzato tutta lastoria della modernità industriale?” Ci sono almeno due rilevanti ragioni28.Prima di tutto il ritardo ha a che fare con le difficoltà che si incontrano nel ricondurre la conoscenza entroi canoni disciplinari prescelti dall’economia tradizionale. L’economia (intesa nel senso più classico eletterale del termine) nasce con un programma scientifico deterministico, che sta seguendo tutt’ora29. Laconoscenza, invece, è intrinsecamente complessa, non deterministica. L’economia della conoscenza nonpuò stabilirsi fin dall’inizio come disciplina adeguata a rappresentare il capitalismo industriale perché ledue polarità del suo oggetto (l’economia da una parte e la conoscenza dall’altra) si contraddicono sulterreno metodologico. Una sua accettazione e comprensione è un passo che ha richiesto del tempo.La seconda ragione rilevante risiede nei cambiamenti succedutisi nel mondo economico. Essi possonoessere sintetizzati in tre fattori principali ed hanno di fatto confermato la necessità di leggere il mondoeconomico in chiave cognitiva. Si fa riferimento a:

- La velocità del mutamento tecnologico,- La globalizzazione dell’economia,- L’incremento della competizione fra le organizzazioni.

L’economia della conoscenza comincia dunque ad operare due secoli e mezzo fa, attraverso lameccanizzazione, per svilupparsi poi nel fordismo, nell’economia dei distretti, nella new economy.Oggi ereditiamo tutto questo. Non possiamo dunque dire che sia una novità. Il capitalismo moderno èstato, è sempre stato, un’economia della conoscenza, nel senso che il valore è stato prodotto, in granparte, dalla propagazione e degli usi delle conoscenze disponibili.Vediamo ora, in maniera più approfondita, l’iter logico-storico che l’economia della conoscenza hacompiuto nel corso del tempo.

1.1.4 Il sentiero di sviluppo della nuova disciplina

Scopo di questo paragrafo è quello di fornire un breve excursus storico e logico sul ruolo che la risorsaconoscenza ha avuto nel corso del tempo, a partire dall’economia pre-moderna per arrivare alla neteconomy dei nostri giorni. In ogni periodo storico preso in considerazione verranno analizzatibrevemente i più importanti contributi teorici in merito.Uno schema renderà più agevole la lettura dell’intero paragrafo.

27 La conoscenza così come noi oggi la intendiamo diventa vera e propria forza produttiva fondamentalesolo con l’età moderna, verso la fine degli anni ’90 (come si vedrà meglio nel seguito del lavoro).28 Le motivazioni per cui si scopre solo ora l’economia della conoscenza sono state riprese e adattate daquanto sostenuto e affermato da RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma,2004, pag. 285 e AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica delknowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 14729 Con il termine programma deterministico si intende un programma per cui le variabili ambientali sonorazionalmente governabili, un programma basato su tecniche di produzione ripetitive che tendono aridurre i livelli di complessità.

PERIODO STORICO STILE DI CONOSCENZA

Economia pre-moderna Sistema apprendista-maestro

Capitalismo liberale Meccanizzazione del sapere

Economia fordista Conoscenza firm specific

Economia post-fordista Condivisione del sapere

Economia cognitiva Digitalizzazione e globalizzazione dellaconoscenza

Tab. 3.1 La suddivisione storica dell’economia della conoscenza. Fonte: nostro adattamento daRULLANI, “La fabbrica dell’immateriale”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 133

Analizziamo ora ognuno di questi aspetti30.Nell’economia pre-moderna, prevalgono le conoscenze empiriche di natura strettamente personale,ricavate dalla tradizione. Esse sono sedimentate nelle pratiche professionali e vengono trasmesse dipersona in persona tramite l’apprendistato diretto.In questo modo, oltre alle conoscenze di base, vengono propagati anche quei modi di lavorare e queipiccoli segreti che ogni maestro, o comunque ogni persona esperta di un mestiere, aveva imparato nelcorso degli anni di pratica31.Tutto cambia con l’avvento del capitalismo liberale. La rivoluzione industriale di inizio ‘800 accelerafortemente l’utilizzo del sapere scientifico meccanizzando la produzione delle aziende e utilizzando laforza-vapore come energia di base.Si vuole far fronte, in questo periodo, al paradigma di apprendimento diretto dell’epoca precedente,

andando ad incorporare tutto il sapere presente in azienda (nella mente delle persone) all’interno delle

“macchine”, che vengono, pertanto, considerate il nucleo portante dell’intera economia32.

L’utilizzo, poi, dell’energia elettrica e delle tecnologie legate all’uso del petrolio tra la fine del ‘800 e i

primi del ‘900 inaugurano un nuovo periodo di sviluppo capitalistico che assumerà la forma dell’impresa

fordista33. Essa nasce anche e soprattutto dalla consapevolezza che le macchine del capitalismo liberale

non possono essere impiegate per lo svolgimento di operazioni complesse e quindi per produrre, oramai,

la maggior parte degli oggetti di consumo e la maggior parte dei servizi richiesti. Essi sono troppo

30 Consapevoli che la vastità dei contributi teorici in merito impedisce una trattazione completa deglistessi, gli autori e le considerazioni che verranno approfonditi sono quelli che più di altri hannocontribuito alla nascita di questa nuova economia. A conferma dell’impostazione che abbiamo dato alparagrafo accorre un articolo pubblicato dalla Harward Business Review(www.elearningeuropa.info/index.php?page=doc&doc_id=7013&doclng=9me…), che distingue cinquefasi consecutive nell’evoluzione della teoria della gestione: management scientifico (dal 1922 al 1946),marketing e diversificazione (dal 1946 al 1960), strategia e cambiamento sociale (dal 1960 al 1972), sfidacompetitiva e ristrutturazione (dal 1972 al 1988), globalizzazione e conoscenza (dal 1988 al ?).L’impostazione che viene abbracciata in questo paragrafo è piuttosto particolare. Di solito vengonoelencate le fasi storiche dello sviluppo della disciplina e distaccatamente gli autori che hanno contribuitoalla stessa. In quest’ambito abbiamo voluto conciliare i due aspetti per comprendere meglio l’interolavoro.31 BOTTIN A..,“Il knowledge management”, anno 200232 Nel capitalismo liberale ritroviamo il contributo di Schumpeter, che con il termine di innovazionespiegato nel testo: “Teoria dello sviluppo economico”, intende anche l’utilizzo di nuovi macchinari,nuove tecnologie oltre che nuovi prodotti, apertura di nuovi mercati e introduzione di nuove modalitàorganizzative.33 Tratto dal primo workshop sull’Economia della conoscenza tenutosi a Ravenna nel Novembre del 2002

intricati per poter essere fabbricati dalle macchine rigide e ripetitive messe a punto dal capitalismo

liberale. La fabbrica fordista si caratterizza per alcuni aspetti fondamentali:

- La produzione di massa,

- La parcellizzazione del lavoro,

- La struttura verticale della catena di produzione,

- L’organizzazione fortemente gerarchica,

- La catena di montaggio.

Il fordismo, grazie a questo tipo di organizzazione, realizza un regime di uso della conoscenza che lo

contraddistingue nettamente dal paradigma precedente, ma che costituisce al contempo il suo principale

limite, il motivo per cui si necessiterà di andare al di là del paradigma taylorista34. Le conoscenze in

quest’ambito hanno natura firm specific e pertanto la loro propagazione è estesa solo ed esclusivamente

all’interno dell’azienda. Il loro uso rimane gelosamente salvaguardato “inside the factory wall”.

E’ questo, inoltre, il periodo35 in cui si esprimono: Hayek (The use of knowledge in society, 1945) ePenrose (Theory of the growth of the firm, 1959).Hayek ha trattato i problemi posti dalla diffusione di massa della conoscenza (volendo, quindi, in qualchemodo far fronte all’esclusività del paradigma appena citato) e dell’impossibilità di trasferire laconoscenza a un’agenzia di pianificazione centralizzata. Egli identifica due principali livelli di possessodella conoscenza: quello “personale”, dove risiedono le notizie e le informazioni sui fatti, cose oavvenimenti, e quello “di mercato”, dove interagisce e viene sintetizzata tutta la conoscenza distribuita trai singoli.La Penrose invece mette in evidenza l’importanza delle risorse umane e di quelle materiali nel servizioche rendono quando una conoscenza adeguata le mette in movimento. L’autrice distingue tra“esperienza”, vale a dire la conoscenza non accessibile a tutti, perché specifica di un contesto e“conoscenza oggettiva”, ossia l’insieme delle nozioni e delle informazioni che giungono a tutti i membridi una comunità in modo univoco e codificato36.L’importanza di questi contributi teorici non può essere messa in discussione.Ciò che, invece, è stato oggetto di successivo dibattito concerne i limiti connessi al modello fordista: ilprocesso dell’interiorizzazione delle conoscenze non funziona più.Il punto di svolta si è avuto, quindi, con la crisi del fordismo, quando il sapere produttivo ha iniziato adassumere forma socialmente distribuita. Le conoscenze hanno cioè cominciato a fluire nello spazio37.Esse sono uscite dal “recinto” in cui erano state confinate, cominciando a manifestare il loro caratteredistribuito, fluido, pervasivo, separandosi dai supporti materiali del passato e presentandosi nella loroautonomia di risorse distinte che vengono prodotte, scambiate, vendute, acquistate, imitate, condivise edimpiegate secondo leggi che eccedono o contraddicono il concetto tradizionale di merce38. Inizia così una 34 E’ in questo periodo che si parla di Management scientifico: la conoscenza è applicata al lavoro umanoe alla progettazione dei processi lavorativi (per esempio attraverso l’analisi del lavoro e gli studi su‘tempi e metodi’), vi è separazione tra pianificazione ed esecuzione del lavoro, la semplificazione estandardizzazione dei compiti, l’individuazione della migliore modalità di esecuzione dei processilavorativi. I principi del Management Scientifico sono ancora oggi applicati in settori quali fast foods ecall centres.35 Il fordismo ricopre gli anni che vanno dal primo decennio del Novecento fino alla fine degli anni ’60.36 La Penrose è in realtà il precursore della Resourece based Theory, filone diffusosi a partire dagli anni’80, il quale sostiene che il vantaggio competitivo dell’impresa si fonda sulle competenze e capacitàdistintive che ogni azienda possiede al suo interno. Secondo questa teoria l’impresa è una collection ofresources ottenute dalla esperienza e dalla conoscenza accumulata. Essa si è poi evoluta diventandoknowledge based theory.37 La crisi del fordismo e l’ingesso del post-fordismo sono stati ripresi e adattati da: RULLANI E., “Lafabbrica dell’immateriale”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 187-20938 E’ a questo particolare momento che molti autori fanno risalire la nascita dell’economia dellaconoscenza. Ovvero quando ci si libera dal paradigma fordista. Essa naturalmente non rimarrà immutata

nuova era: quella che viene comunemente chiamata la fase del capitalismo post-fordista o reticolare.Post-fordismo significa:

- Produzione snella,

- Piccola e media impresa (la quale può tranquillamente rimanere tale senza ostacolare la

propagazione delle conoscenze perché la contiguità fisica e culturale del sistema consente

di specializzarsi nelle filiere),

- Lavoro indipendente e individualizzazione del lavoro,

- Territorio come fabbrica diffusa (esso costituisce il contesto comune, il legame che

consente alle imprese relazionarsi tra loro)39.

La crescita sempre più appariscente di innovazioni che deriva dall’uso più accentuato di conoscenza

spinge a poco a poco le imprese a rompere l’integrazione verticale delle fasi di produzione per

concentrarsi sempre più su elementi di core business, lasciando ad altri soggetti lo sviluppo delle fasi

precedentemente internalizzate (lean production). La struttura gerarchica comincia a sfaldarrsi e

diventano molto più efficienti strutture organizzative di tipo reticolare. I distretti industriali costituiscono

una delle espressioni più significative di questo periodo.

Come per il modello fordista, anche in quest’ambito vanno ricordati alcuni contributi teorici: Simon

(Adaption Theories, 1978), Machlup (Knowledge and knowledge production, 1980) e Richardson (The

organization of industry, 1972).

Simon ha studiato molti dei temi propri dell’economia della conoscenza, come il ruolo della

memorizzazione nei processi di apprendimento, e può a giusto titolo essere considerato il vero precursore

dell’economia legata alla tecnologia dell’informazione. In coerenza con l’approccio territoriale

dell’economia post-fordista egli evidenzia due tipi di conoscenza/razionalità. Quella sostantiva e quella

procedurale. La prima rappresenta la consapevolezza che le azioni scelte rispondono alle esigenze

contingenti d’impresa. La seconda individua l’efficacia nei processi di scelta alla luce delle opzioni

possibili e dei limiti cognitivi umani. Egli rappresenta l’organizzazione come una macchina che processa

informazioni e che consente di alleggerire il lavoro dell’uomo.

Il lavoro di Machlup si applica, invece, ad un ambito molto vasto. Ciò deriva da una concezioneestremamente estesa dell’economia della conoscenza, che comprende i problemi dell’informazione, econseguentemente i problemi legati alla teoria delle decisioni. Definendo l’informazione come un tipoparticolare di conoscenza, Machlup si trova in modo naturale ad estendere il proprio campo diinvestigazione fino a definire come economia della conoscenza non solo l’analisi dei settoridell’informazione, l’esame della produzione di nuova conoscenza e lo studio dei meccanismi diacquisizione e trasferimento delle competenze (andando talaltro ad aggiungere alle categorie del know-how e del know-that anche quella del know-what), ma anche l’indagine sul vasto ambito della teoria delledecisioni e delle aspettative in situazioni di incertezza e di incompletezza dell’informazione.Il contributo di Richardson infine è particolarmente interessante da analizzare, essendo il primo adintrodurre il concetto di capacità (capability), identificando la stessa come l’insieme di conoscenze,

nel corso del tempo, ma come si vedrà nel proseguo del paragrafo si andrà pian piano modificando pergiungere a quello che noi oggi definiamo capitalismo cognitivo.39 Una trattazione più specifica, o meglio una chiave diversa di lettura della variabile territorio verràeffettuata nel terzo capitolo.

esperienze ed abilità combinabili nello svolgimento dei processi produttivi40. Secondo l’autore esse sonodiffuse in modo eterogeneo per cui è opportuno operare una divisione del lavoro, proprio in ragione dellecapacità su cui ciascuna impresa possiede un vantaggio comparato.Se è vero, come sopra citato, che esiste un divide che separa l’economia fordista dall’economia

territoriale/postfordista, è che cambia il ruolo della conoscenza, estraendola dal chiuso delle

organizzazioni proprietarie e mettendola in circolazione nei territori e tra i territori, è anche vero che

questo divide diventa più profondo e irreversibile con l’avvento della rete di comunicazione a distanza

(Internet), che trasforma i luoghi in piattaforme di interazione con altri luoghi, aprendo i circuiti

territoriali all’economia globale41.

Con questo processo attivatosi alla fine degli anni ’80 si apre di fatto l’ultima fase dell’iter logico che

abbiamo fin qui descritto: la fase del capitalismo cognitivo. Internet, le tecnologie ICT, la globalizzazione

permettono una propagazione della conoscenza istantanea e globale. Cambia pertanto con esse il modo di

operare delle economie e della vita individuale e sociale di ciascuno. Il concetto di distanza e di mercato

locale vengono radicalmente trasformati.

In questo modo si arriva al superamento del più grande limite dell’economia post-fordista: ilconfinamento della conoscenza all’interno dell’area locale di operatività dell’impresa e la necessaria edeccessiva focalizzazione sulla materialità dei beni prodotti.Nell’economia cognitiva42 la logica industriale fondata sulla produzione materiale arretra: il nuovo luogodi creazione del valore non è più l’impresa, ma la società, la cooperazione, gli accordi. I prodotti sonosempre più intangibili, usa e getta e sostituibili. L’economia delle materie prime, dei fattori produttivicapitale, terra e lavoro è stata soppiantata dall’economia della conoscenza. O meglio. Il lavoro e ilcapitale, ritenuti dagli economisti classici gli elementi fondanti alla base della produttività, devono essereriletti con un approccio di tipo cognitivista: il lavoro infatti tende a diventare lavoro intellettuale (e diconseguenza i lavoratori diventano sempre più knowledge workers), mentre il capitale assume la forma diasset immateriale (brevetti, marchi, saper fare).Il fatto di vivere nell’era della conoscenza, è ormai una certezza. Studi, incontri, dibattiti, articoli hannoevidenziato che il valore di un’azienda non è soltanto la somma dei suoi asset fisici (impianti, macchine,stabilimenti), ma è costituito soprattutto da elementi intangibili o di natura immateriale, cioè dallo stockdi conoscenze possedute dall’organizzazione nel suo insieme (competenze distintive, capacità operative,know how, etc…)43.Con questa affermazione si può dire che il “cerchio è chiuso”: abbiamo spiegato la nascita dell’economiadella conoscenza.

40 E’ il periodo in cui si inizia a diffondere la resource based theory. Richardson non può esserepropriamente considerato uno dei padri fondatori di questo filone, ma sicuramente egli proponeun’impostazione del lavoro coerente con l’approccio resource based.41 RULLANI E., “La fabbrica dell’immateriale”, Carocci, Roma, 2005, pag. 211-23142 Il termine economia cognitiva è stato coniato da Rullani e reso formale dopo l’attribuzione del premioNobel agli economisti Venron Smith e Kahnemam nel 2003.43 A testimonianza di quanto appena asserito sembra utile citare il contributo di un autore odierno: Volle(Economia della conoscenza ed economia delle reti di comunicazione, 2001). Egli sostiene che laconoscenza è il fattore di produzione essenziale, il vero patrimonio di ogni impresa. La ricchezza delleaziende risiede nelle conoscenze accumulate e disponibili. Da qui egli teorizza il passaggio e l’avvento diuna nuova economia. Oltre al contributo appena citato occorre ricordare come molte teorie sono stateelaborate in questi ultimi anni in merito all’economia della conoscenza, ognuna valida in sé ma moltodifferente dalle altre. Sicuramente un contributo fondamentale è quello di Rullani (L’economia dellaconoscenza, 2004 e La fabbrica dell’immateriale, 2005) in merito alla teoria di creazione del valore (dicui verrà effettuata trattazione nel §1.2.4), nonché quello di Nonaka e Tacheuci che verrà approfonditonel secondo capitolo.

1.2 La conoscenza come fattore produttivo: proprietà e originalità

Molto spesso la conoscenza (dal greco epistème, conoscenza) viene presentata come un concetto selfevident, che non ha bisogno di ulteriori specificazioni. Per chi si addentra nello studio della materia,infatti, è sorprendente constatare quanto poco definita sia la nozione di conoscenza, nonostante tutti iriferimenti che si fanno ad essa come risorsa chiave della società e dell’economia contemporanea.A nostro avviso però nulla può essere dato per scontato, specialmente quando si parla di una nuovarisorsa della quale si conosce ancora ben poco. L’Oxford English Dictionary, definisce la conoscenza nelseguente modo:“The fact of knowing a thing; familiarity gained by experience; acquaintance with a fact; consciousnessof anything; intellectual acquaintance with, or perception of, fact or truth, certain mental apprehension;the fact, state, or condition of understanding. The sum of what is known”44.Un’ulteriore definizione di conoscenza, che ci sembra utile riportare è la seguente45.La conoscenza è:

- Consapevolezza, ovvero coscienza acquisita nel tempo e nello spazio che deriva da unprocesso continuo di apprendimento basato sull’acquisizione di nozioni sul piano logico edell’esperienza,

- Utilizzo efficiente di dati e informazioni, insieme alle potenziali capacità e competenze,idee, intuizioni, esperienze, commenti e motivazioni delle persone.

Essa, inoltre è:- Presente nelle idee, attitudini e consuetudini, esperienze, talento, relazioni, percezioni,

concetti, ed è immagazzinata nelle menti delle persone, nei processi, documenti, prodotti eservizi,

- E’ l’utilizzo del capitale intellettuale.Avere la consapevolezza di quanto appena citato significa riconoscere che: “La conoscenza aziendale è ilfulcro delle operazioni d’azienda, costituendo la base sulla quale gli operatori economici possonoformare obiettivi, prendere decisioni e sviluppare conseguenti operazioni. La conoscenza èrappresentata tanto da elementi ben identificabili come i brevetti, quanto da elementi privi di una formaspecifica, come contatti con interlocutori ambientali o procedure consolidate di svolgimento deiprocessi”46.Dopo questa breve ma doverosa introduzione andiamo ad analizzare più in dettaglio le caratteristiche delnuovo motore del capitalismo cognitivo.

1.2.1 Dati, informazioni e conoscenza

“Knowledge is different from information” esordisce Verna Allee, nella sua opera del 1997. Questaconsiderazione apparentemente banale e scontata è in realtà fondamentale per circoscrivere il significatoe l’ambito di applicazione della risorsa conoscenza. Una risorsa che troppo spesso viene configuratacome una black box, come un qualcosa di indistinto e complesso all’interno del quale far confluiresignificati eterogenei e poco chiari. Presentiamo nella pagina successiva uno schema utile percomprendere il “senso” della risorsa conoscenza. 44 Il fatto di sapere una cosa, la familiarità acquisita con l’esperienza, la conoscenza di un fatto, lacoscienza di qualche cosa, l’apprendimento intellettuale o la percezione di un fatto o di una verità, lacomprensione mentale certa, il fatto, lo stato o la condizione di comprendere. La somma di ciò che èconosciuto.45 Questa ulteriore definizione è stata da noi elaborata sulla base dell’analisi di diversi contributi teorici,fra cui quello di Rullani, Quagli, e Foray.46 Tratto da AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore delal conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo”, ETAS, 2005, Pag.10

Tobin in LIEBOWITZ (1999) sostiene che: alla base della piramide e quindi dell’organizzazioned’azienda ci sono i dati, materiale grezzo e abbondante dell’informazione. I dati sono meri input47: inostri sensi ad esempio, creano dei dati. Essi potrebbero essere definiti come un insieme di fattiriguardanti gli eventi e il mondo.Nel livello immediatamente superiore c’è l’informazione, cioè dati selezionati e organizzati per esserecomunicati. Le informazioni sono normalmente archiviate in documenti e supporti multimediali.

Schema 1.1 La piramide della conoscenza Fonte: nostraelaborazione

Poi la conoscenza, cioè l’informazione rielaborata e applicata alla pratica.La conoscenza è un insieme di idee e prospettive, giudizi e aspettative, intuizioni e valori, metodologie eknow how accumulati, integrati e detenuti da un’impresa lungo un adeguato arco temporale e disponibiliper applicazioni operative di business nella gestione di specifiche situazioni e problemi.Ed infine al vertice della piramide troviamo la saggezza, conoscenza distillata dall’intuizione edall’esperienza.La tabella 1.4 illustra in maniera esemplificativa questo processo.

dati (data) ( + importanza + scopo = )

informazioni (information) ( + applicazione = )

conoscenza (knowledge) ( + intuizione + esperienza = )

saggezza (wisdom)

Tab 4.1 Relazione esistente tra dati, informazione, conoscenza e saggezza. Fonte: BOTTIN A., “Ilknowledge management”, 2002

47 Un dato è sostanzialmente un simbolo che non è ancora stato interpretato. Può essere una luce rossa sulcruscotto, così come una lista di misurazioni di un indicatore di processo. Preso a sé stante non ha unvalore informativo: certo, si può cercare all'intero di un database aziendale per trovare il nome di uncliente, ma affinché il dato possa essere utile è necessario localizzarlo in un contesto di riferimento. Solouna volta che viene fatta questa operazione il dato diventa informazione.

DATI

INFORMAZIONI

CONOSCENZA

SAPERE

Dopo questa breve classificazione sembra opportuno soffermarsi più a lungo sulla distinzione che esistetra conoscenza e informazione. Distinzione che ha a lungo tediato studiosi ed economisti e che è beneanalizzare più approfonditamente48.Volendo riassumere in poche righe la divisione appena citata possiamo dire che: l'informazione puòesistere indipendentemente da chi la utilizza, e quindi può in qualche modo essere preservata su unqualche tipo di supporto (cartaceo, informatico, ecc...), la conoscenza esiste solo in quanto esiste unamente in grado di contenerla. O meglio. La conoscenza è tale solo quando “nasce” con essaun'intelligenza che la utilizzi49.Ne deriva che la concezione di conoscenza va ben al di là della semplice informazione50. Foray sostieneche: “l’informazione è un insieme di structured and formatted data che sono e rimangono inerti e passivifin tanto quando non sono interpretati da un’intelligenza esterna.” La conoscenza è fondamentalmente unattributo di capacità cognitiva, non è solo sapere ma anche saper fare.Per comprendere ancor meglio questa distinzione è utile guardare alle condizioni nelle quali avviene lariproduzione della conoscenza e dell’informazione. Mentre il costo di replicare l’informazione si riduceal semplice costo fisico della copia (vale a dire praticamente a zero, grazie alle moderne tecnologie), lariproduzione della conoscenza è un processo molto più costoso, perché le capacità cognitive sono difficilida articolare esplicitamente e da trasferire ad altri. E’ famosa a riguardo la citazione di Polanyi:“sappiamo più di quanto non possiamo dire”. La riproduzione della conoscenza e quelladell’informazione sono quindi due fenomeni chiaramente distinti. Mentre la prima avviene mediantel’apprendimento e quindi attraverso la mobilitazione di risorse cognitive, l’altra avviene mediante laduplicazione: l’informazione può essere riprodotta anche mediante una fotocopiatrice.Quando la conoscenza viene distinta dall’informazione i problemi economici ad esse collegati possonoanch’essi essere studiati separatamente. Per quel che riguarda la conoscenza, il problema economicoprincipale è la riproduzione (problema dell’apprendimento), mentre la riproduzione dell’informazionenon pone particolari questioni (il costo marginale della riproduzione è prossimo allo zero). Il dilemmaprincipale posto dall’informazione è essenzialmente la sua tutela e come assicurarne la diffusione.Un'altra importante differenza tra conoscenza e informazione è legata alla facilità di trasmissione. Leinformazioni essendo per natura più simili a una sequenza di bit, in genere sono trasmesse più facilmentein modo impersonale e senza troppi attriti. La conoscenza è invece più simile ad una capacità di base enormalmente è trasmessa con sforzi e attriti che richiedono applicazione sia da parte del trasmettitore siada parte del ricevente e che implicano ben più di un semplice scambio.In realtà conoscenza e informazione non presentano soltanto divergenze: esse sono risorse profondamenteinterconnesse e tra di loro interdipendenti. L’informazione non ha alcun valore se non si trasforma inconoscenza, poiché non potrebbe essere impiegata. D’altro canto la conoscenza si deve trasformare ininformazione per essere trasferita con facilità e a costi relativamente bassi. Anzi, le informazioni sono ilveicolo della conoscenza stessa51. Basti pensare alla Boeing che per progettare l’aereo 777 ha codificatola conoscenza ad esso inerente in informazioni, trasferendola poi nel mondo a costi bassi e in tempibrevissimi. Fu disegnato un 777 virtuale completo e tridimensionale attraverso 2.000 terminali, utilizzatida altrettanti disegnatori e ingegneri. Questa codifica intensiva di conoscenza evitò il lungo e costosoesercizio di costruire modelli sperimentali completi di aerei. Ma questo non basta. Occorre creare una retedi collegamenti tra le diverse informazioni trattenute in modo tale da accrescerne il valore. Solodisponendo di un coerente inquadramento delle informazioni man mano ricevute, si può pensare diconoscere un determinato fenomeno e si è in grado inoltre di affrontare ogni questione attraverso unaconoscenza funzionale in grado di utilizzare le informazioni più idonee, di stabilire le relazioni piùrilevanti.

48 La trattazione che segue è frutto di una nostra elaborazione a partire da diversi contributi teorici.49 Cfr. QUAGLI A., “Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale”, GIUFFRÈ,Milano, 1995, pag. 6350 Abbiamo spiegato nel paragrafo 1.1.2 come economia della conoscenza sia un qualcosa diprofondamente differente rispetto all’economia dell’informazione51 In questo senso si esprime Rugiadini ne “I sistemi informativi d’impresa”. E sulla stessa scia siesprime anche Antonio Bandettini in “Decisioni e necessità di informazione nelle aziende” dove affermache: “.. di conseguenza l’informazione diventa vettore di conoscenze, formulate in termini quantitativi,dei fenomeni interni e esterni alla combinazione aziendale…”

Oltre alla distinzione tra conoscenza e informazione è doveroso esplicitare brevemente il significato e lediversità che intercorrono tra conoscenza e sapere52.Il sapere denota una conoscenza che è stata in qualche modo legittimata, certificata da un meccanismoistituzionale (che può essere scientifico, come l’approvazione da parte di alcuni studiosi). Altre forme diconoscenza, come ad esempio la capacità di far giardinaggio non necessitano del processo dicertificazione sociale tipico del sapere. Quello che distingue le due non è tanto la maggiore o minorescientificità, quanto il fatto di essere passate o meno attraverso un meccanismo istituzionale dicertificazione.L’economia della conoscenza include sapere e conoscenza, e quindi non è esclusivamente dedita allostudio della conoscenza certificata53.Abbiamo così risolto il problema della scatola nera della conoscenza.

1.2.2 Caratteristiche di una risorsa sui generis

Nella knowledge based economy (OECD, 1999) le merci vengono prodotte usando la conoscenza comefattore primario fondamentale. Essa viene impiegata nei processi produttivi sia come fattore autonomo,sia sotto forma di conoscenza incorporata nelle persone, negli oggetti e nei servizi che contribuiscono alrisultato produttivo. Ma la conoscenza che serve per produrre merci è essa stessa una merce, ossia unprodotto che viene ottenuto dalle fasi di lavorazione e che può essere comprato e venduto sul mercato, alpari di tutti gli altri prodotti. Nella knowledge based economy, dunque, la conoscenza viene ad essere,nello stesso tempo, il principale fattore produttivo, ma anche il principale prodotto ottenuto dai processiproduttivi. Per dirla con Sraffa54, in un’economia basata sulla conoscenza la “produzione di merci amezzo di merci” diventa in gran parte “produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza”. In questoprocesso circolare, l’output (la nuova conoscenza ottenuta dal processo corrente) deve rigenerare leproprie premesse ripristinando le condizioni di partenza del ciclo produttivo. Ma la nuova conoscenza, adifferenza di quanto avviene alle merci materiali di Sraffa, non deve soltanto riprodurre il suo input (laconoscenza precedente). Deve fare molto di più: infatti deve innovare, adattare, sviluppare la conoscenzaprecedente per mantenere attive le condizioni che ne giustificano la propagazione e il riuso in contesti chesono sempre differenti da quello di origine. Uno schema aiuterà a comprendere meglio quanto appenadetto.

Schema 2.1. Come cambia la Schema 2.1 Come cambia la creazione di valore dall’economiapremoderna ad oggi. Fonte: nostroadattamentoaRULL

ANI E., “Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 150

Rullani

chiama la produzione di merci a mezzo di

merci lavoro energetico.Esso consiste nella trasformazione di materie prime in beni finiti tramite il lavoro di uomini e macchine.Il passaggio evidenziato nello schema è chiaro: ad oggi tutto o quasi il valore prodotto è mediato dallaconoscenza. Un lavoro che non passasse per la produzione di conoscenza sarebbe improduttivo nel 90%

52 Tratto da FORAY, “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, 2000, pag. 1853 Non a caso l’economia della conoscenza non è economia della ricerca. Vedi paragrafo 1.1.254 Un famoso libro di Piero Sraffa si intitolava, appunto,” Produzione di merci a mezzo di merci” (Sraffa1960). In esso riprendendo l’approccio dei classici, il processo economico era rappresentato come unprocesso circolare dove le merci (oggetti, macchine, edifici) sono ottenute impiegando – come input –ancora merci, ossia se stesse, oltre che, naturalmente, lavoro.

ENERGIA VALORE

CONOSCENZA VALORE

dei casi. Pertanto la conoscenza non è una “cosa”, ma è un processo nel senso che essa non ècristallizzata in una forma definita a priori ma emerge nel corso dell’azione, scoprendo possibilità cheerano impreviste e che risultano sorprendenti per gli stessi scopritori. Conoscere è processo anche perché,è qualcosa che i soggetti fanno mettendo in campo le loro inclinazioni e capacità. Più precisamenteconoscere significa costruire il mondo che gli attori devono condividere e abitare, scegliendolo a propriorischio entro una gamma di possibilità che la conoscenza aiuta ad esplorare, valutare, regolare, mettere incomune. Questo lavoro di “addomesticamento” e condivisione del mondo non si fa in un giorno. Marichiede un gioco paziente e interattivo di immaginazione, sperimentazione, elaborazione del nuovo. E’un processo che può essere definito come un endless work, un lavoro che non finisce mai. Nel circuitoconoscitivo non c’è un punto di inizio e non c’è un punto di fine55.Dopo questa breve introduzione passiamo ora in rassegna le più importanti caratteristiche della risorsaconoscenza56. Prima di percorrere la descrizione delle proprietà suesposte occorre fare una doverosapremessa.La conoscenza non è un bene come gli altri57. Tutta la costruzione dell’economia della conoscenza sta inpiedi se si parte dall’assunto che la stessa sia una risorsa produttiva sui generis, governata da leggi chedifferiscono sostanzialmente da quelle applicabili al lavoro, al capitale, alla terra. Una volta che lavoro ecapitale sono divenuti conoscenza, non sono più gli stessi. Si è prodotta una trasformazione irreversibile.La nuova risorsa si comporterà diversamente dai fattori di partenza che l’hanno generata. La rilevanzateorica di una scienza dedicata specificamente al fattore conoscenza si gioca su tale diversità. E’ daquesta dunque che occorre partire per delineare le caratteristiche distintive che rendono peculiare ilcapitalismo della conoscenza.

Caratteristiche della risorsa conoscenzaÈ’ moltiplicabile

Non è scarsaNon è divisibile

Non è escludibileNon è strumentale

E’ utileE’ un prodotto congiunto

E’ cumulativaNon è controllabile

E’ circoscrittaE’ tacita e vischiosa

E’ dispersa e frammentataE’ valida

E’ riproducibileE’ distribuitaE’dissipativa

Tab. 5.1 Caratteristiche della risorsa conoscenza Fonte: nostraelaborazione

1) La conoscenza è una risorsa che non si consuma, anzi essa è sempre nuovamente disponibile peraltri usi e pertanto si “moltiplica”. Ciò implica che, innanzitutto, la produzione di conoscenza èun processo irreversibile, che introduce una rottura tra passato e futuro58 e inoltre significa che

55 Tratto da FORAY, “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, 2000, pag. 2356 Le caratteristiche della conoscenza sono state rielaborate partendo da numerosi spunti quali quelli diRullani, Foray, Quagli..57 Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 28758 Mentre nel lavoro energetico costo di produzione e di riproduzione vengono a coincidere, perché perprodurre un bene materiale altro non si fa che ricalcare tutte le operazioni effettuate per la primaproduzione dello stesso, non lo stesso accade per la risorsa conoscenza. Il processo di riproduzione nonripercorre mai le stesse tappe del processo di produzione. Quando emerge una nuova conoscenza essacambia il punto di partenza di tutte le ricerche successive, si seguirà un percorso diverso da quello seguitoper la sua produzione.

il valore utile ottenibile dalla conoscenza, una volta prodotta è potenzialmente illimitato, potendoriutilizzare infinte volte la conoscenza disponibile59;

2) La conoscenza non è una risorsa scarsa, perché i suoi usi non sono concorrenti tra loro60; se cedouna conoscenza ad altri il mio uso non ne viene meno per il fatto che altri la stanno utilizzando;essa può essere adoperata contemporaneamente da una moltitudine di persone senza costiaddizionali;

3) Non è divisibile, perché i suoi costi e i suoi ricavi sono associati a processi sociali che leganopassato e futuro e intrecciano l’economia di un operatore con quella degli altri. Il suo costo èsolo in minima parte imputabile al singolo uso61;

4) Non è escludibile, perché è difficile impedire che altri possano usufruire della conoscenzadisponibile mediante copia, imitazione o attraverso la via più onerosa dell’apprendimentocreativo compiuto a partire dall’esperienza altrui62;

5) Non è strumentale, perché il conoscere non elabora solo i mezzi, ma cambia le relazioni e leidentità degli attori in gioco, modificando gli stessi fini. La conoscenza non è un mezzo persoddisfare scopi dati e non modificabili perché essa muta continuamente le sue premesse63;

6) E’ utile, nel senso che è sempre riferita ad un soggetto o ad un sistema utilizzatore interessato ilsemplice possesso di conoscenza non assicura all’impresa l’ottenimento dei vantaggi che da essapotrebbero derivare, è necessario che essa venga adeguatamente sfruttata attraverso uncomportamento intenzionale da parte degli individui64;

7) E’ spesso un prodotto congiunto. Ovvero la conoscenza è prodotta in un contesto di attività nellequali sono predominanti altre motivazioni (la produzione di un bene o la fornitura di unservizio);

8) E’ spesso cumulativa. Ovvero essa è capitale di consumo che permette agli agenti diintraprendere azioni, ed è capitale intellettuale che consente agli agenti di produrre nuovaconoscenza;

9) È difficilmente controllabile e genera esternalità. Un’impresa ha sempre più difficoltà acontrollare le proprie conoscenze che non i propri macchinari. Le occasioni per le fughe dinotizie sono numerosissime. Inoltre le stesse conoscenze hanno un impatto positivo sui terzi chele possono utilizzare gratuitamente;

10) E’ localmente delimitata e poco persistente. La nuova conoscenza è spesso di scarso valore perla società perché è prodotta in particolari contesti e con specifici obiettivi. Inoltre gli agentidimenticano se smettono di eseguire un compito o una procedura;

59 La conoscenza non si consuma nel singolo uso, è rinnovabile all’infinito. Ogni conoscenza comprendein sé uno stock potenzialmente infinito di valore utile corrispondente a tutti i possibili usi futuri. Più laconoscenza si diffonde più cresce il suo valore.60 La definizione standard di scarsità si riferisce a risorse disponibili in quantità limitata da impiegare inusi alternativi. Ogni uso è dunque associato ad un costo opportunità perché impedisce altre possibilità diimpiego. Nel caso della conoscenza la sua natura virtuale rende gli usi non rivali (non alternativi),portando a zero il costo opportunità di ciascuno.61 O meglio: il processo non può essere frazionato in segmenti spazio temporali oggettivamenteseparabili. E pertanto non c’è alcun meccanismo di mercato che porti ad una distribuzione dei ricavi cherispecchiando il contributo di ciascun periodo e di ciascun soggetto al risultato finale, possa consentireloro di coprire i costi sostenuti62 Rendere la conoscenza esclusiva e controllarla privatamente può essere possibile, ma sostenendo costirilevanti. La conoscenza tende continuamente a sfuggire all’entità che la produce. La conoscenza è unarisorsa che si propaga, superando i confini del controllo proprietario. O meglio. Noi non siamo idepositari ultimi del sapere. Abbiamo importato macchine, tecnologie, intercettato conoscenze altrui. Matale propagazione non si ferma con noi. Essa continua. E tutto ciò è agevolato dai processi diglobalizzazione. Le reti sono sempre più ampie e il valore aggiunto nella supply chain si sta spostandodalla produzione al design, alla progettazione, al servizio63 Non vi è separazione tra variabili esogene (fini) e variabili endogene (mezzi)64 Le qualità della conoscenza non esistono oggettivamente. Me devono essere apprezzate da qualcunoche sia disposto a pagare per esse. Inoltre anche la nuova conoscenza deriva da una scoperta o daun’invenzione. Essa non esiste in natura ma è prodotta dall’uomo

11) Talvolta è tacita e vischiosa, ovvero è non articolata né codificata, risiede nelle persone. Nederiva che è anche difficilmente trasferibile65;

12) La conoscenza è dispersa e frammentata. All’aumentare della specializzazione e delladivisione del lavoro la conoscenza tende a frammentarsi;

13) Valida ovvero utilizzabile in contesti diversi da quello di origine;14) Riproducibile a costi limitati e in tempi ragionevolmente rapidi per ciascuno dei diversi usi

richiesti;15) Distribuita da un sistema di trasferimento logistico che la preleva dal luogo/momento di origine

per renderla disponibile in ciascun luogo/momento di uso;16) La conoscenza è una risorsa dissipativa, da rigenerare continuamente perché perde valore nel

corso del tempo (basti pensare alle forme di imitazione della conoscenza).

1.2.3 Alcune possibili tassonomie

Carlo Simongini, presidente e amministratore delegato di Mazda Motor Italia S.p.a. sostiene che: “Ilvantaggio competitivo di un’azienda sta nella capacità di valorizzare le conoscenze importanti per ilbusiness e diffonderle all’interno dell’organizzazione, creando una cultura della condivisione del sapere,sfruttando a proprio vantaggio le nuove tecnologie, generando innovazione, anticipando i concorrenti eorientandosi al cliente. Promuovendo uno scambio ininterrotto di conoscenza fra tutti i membri si attivaun processo di apprendimento e formazione continua del personale e ciò determina maggioreinnovazione sia nei processi sia nei prodotti-servizi”66.Gli strumenti utilizzati in Mazda per la comunicazione interna, per far emergere le conoscenze tacite edimplicite, potrebbero essere sintetizzati nella frase “Comunicare, comunicando”. Le conoscenze cheemergono dai diversi incontri sono coltivate e alimentate quotidianamente, cercando il coinvolgimento ditutti. La loro diffusione avviene nel minor tempo possibile. Il loro occultamento è ritenuto un errore chepotrebbe creare difficoltà per la crescita dell’azienda.E’ proprio dalle parole di Simongini e dalla sua “teoria”/necessità di far emergere le conoscenze tacite edimplicite presenti in azienda che parte la trattazione di questo paragrafo.Al fine di una corretta gestione della conoscenza aziendale occorre preliminarmente saper riconoscere edistinguere le varie categorie di conoscenza, poiché esse vengono create e coordinate in modo diversoall’interno dell’organizzazione. Si possono annotare almeno tre classificazioni rilevanti in merito allaconoscenza67:

- Per tipologia, distinguendo tra conoscenza esplicita e tacita,

- Per contenuto, distinguendo tra conoscenza esplicita, esperenziale, endemica ed esistenziale.

- Per livello, distinguendo tra conoscenza individuale, di gruppo, organizzativa e di rete.

Il primo criterio prende in considerazione le due seguenti categorie di conoscenza (tralaltro già sostenuteda Polenyi)68:

- Conoscenza tacita. E’ personale, specifica del contesto e in quanto tale difficilmenteformalizzabile e comunicabile,

- Conoscenza esplicita. E’ codificata e trasmissibile attraverso un linguaggio formale.Si possono illustrare gli elementi di distinzione tra i due tipi di conoscenza attraverso la tabella 6.1.

Conoscenza tacita (soggettiva) Conoscenza esplicita (oggettiva)

65 Si fa in particolar modo riferimento alla nuova conoscenza. Il significato di conoscenza tacita verràtrattato nel paragrafo successivo66 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 3367 Cfr. TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledgemanagement. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24ORE, Milano, 2003, pag. 83. Una classificazione simile era già stata proposta da Nonaka e Takeuchi.68 Ci limitiamo in questa sede a chiarire il significato di questi termini per demandare al secondo capitolola modalità di gestione delle stesse.

SEMPLICE COMPLESSA

Conoscenza esperenziale (corporea) Conoscenza simultanea (qui ed ora)

Conoscenza analogica (pratica) Conoscenza razionale (mentale)

Conoscenza sequenziale (là e allora) Conoscenza digitale (teorica)

Tabella 6.1 Elementi distintivi dei due tipi di conoscenza. Fonte: Nonaka e Tachuci, The knowledgecrewating company, Oxford University press, New York 1995

Analizziamo più approfonditamente questi concetti69.Una conoscenza si definisce esplicita se riguarda informazioni strutturate come brevetti, documenti,regole, procedure ovvero qualcosa di codificato, disponibile e quindi facilmente trasmissibile econservabile. E’ quella forma di conoscenza che può in qualche modo essere rappresentata, o meglio, chepuò essere trasferita da un individuo ad altri tramite un supporto fisico, quale può essere un libro o unfilmato, o direttamente, attraverso una conversazione e una lezione. Un documentario, un manuale, uncorso, sono tutti contenitori di conoscenza esplicita. È conoscenza codificata ed elaborata e facilmentereperibile nei documenti o in formato digitalizzato.Si definisce, invece, tacita, se riguarda informazioni non espresse in forma documentale come lecompetenze, i valori, le intuizioni, l’esperienza della singola persona che lavora per un’azienda, in altritermini qualcosa che esiste come potenzialmente disponibile ma che non è codificato e risulta, quindi,difficilmente trasmissibile. E’ quella forma di conoscenza che ci è più propria, quella che si identifica conciò che sappiamo, anche se a volte non siamo capaci di esplicitarlo. Non tutta la conoscenza tacita è ineffetti esplicitabile, e quando lo è, non è detto che lo possa essere completamente. Il saper fare qualcosa èconoscenza tacita, così come lo è quella particolare forma di conoscenza al quale diamo il nome diintuizione, e che altro non è che la capacità di utilizzare in modo inconscio la propria esperienza perrisolvere in maniera apparentemente magica e inspiegabile, problemi anche molto complessi. E’soggettiva e personale e difficilmente catalogabile, destrutturata e difficilmente trasferibile, di valoreelevato.L’idea è che le capacità pratiche delle persone vadano ben oltre le conoscenze codificate che imparanonei libri di testo, che depositano nei brevetti o che scrivono nei progetti ingegneristici. Le persone sannodi più di quello che riescono ad esplicitare o a spiegare: basti pensare alla differenza che c’è tra il sapereimplicito che ci permette di organizzare discorsi, andare in bicicletta, suonare il piano e il sapere esplicitoche dovrebbe spiegare come riusciamo a farlo. Proprio per questo la conoscenza tacita è unica, fa storia asé, è legata al contesto in cui prende forma e emerge solo quando viene usata. Non esiste un processostandard che la produca, né tanto meno un mercato che possa scambiarla arrivando ad un prezzo diequilibrio. E’ il know how che si contrappone al know what della conoscenza esplicita70.Per concludere troviamo poi la conoscenza aziendale. Si può definire la conoscenza ziendale comel’insieme di ciò che l’azienda sa (conoscenza esplicita) e di ciò che essa non sa di avere (conoscenzatacita).71

La seconda categoria di analisi (quella del contenuto) analizza, invece, i diversi gradi di complessità dellaconoscenza 72. Ne vediamo una rappresentazione nello schema 3.1.

69 Occorre sottolineare come insieme a conoscenza tacita ed esplicita esista anche la conoscenzaimplicita, che è quel tipo di conoscenza accessibile attraverso quesiti e colloqui, ma deve prima venirecomunicata da parte del soggetto detentore e poi individuata per una sua esplicitazione.70 Molto spesso si usano come sinonimi di conoscenza tacita ed implicita i termini di conoscenzastrutturata e non strutturata. E’ un accostamento che può reggere bene, facendo la prima riferimento aquei saperi che vengono catalogati e resi disponibili a tutta l’organizzazione, la seconda riguarda, invece,i documenti presenti nell’organizzazione sotto varie forme, i verbali delle riunioni, le e-mail, insommatutta quella conoscenza legata all’individuo e al singolo contesto in cui è stata generata.71 Cfr. SORGE, “Gestire la conoscenza. Introduzione al knowledge management”, SPERLING &KUPFER, Milano, 2000., pag. 5-772 Cfr. DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successonell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001, pag. 115

CONOSCENZAESPLICITA

CONOSCENZAESPERENZIALE CONOS

CENZACON

Schema 3.1. La complessità della conoscenza Fonte: DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P.,“Da globale a metanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO,Bologna, 2001, pag. 115

La forma più semplice di conoscenza è quella che può essere resa pienamente esplicita, articolata ecodificata in modo da essere universalmente comprensibile. Si parla di un tipo di conoscenza che fariferimento alla conoscenza scientifica e a quella tecnica che possono essere catturate ad esempio in unbrevetto o in un programma.Ma non tutta la conoscenza può essere articolata e codificata: molto spesso si richiede un apprendimentoattraverso la pratica e l’esperienza. Molte abilità individuali e procedure operative rappresentanoconoscenza esperenziale, il gradino successivo nella scala della complessità della conoscenza.La conoscenza endemica è ancora più difficile da comprendere e comporta numerose problematicheperché si deve conoscere il contesto nel quale tale conoscenza è radicata73. Non si può pretendere diconoscere gli ingredienti del successo dell’azienda 3M solo per aver avuto accesso al suo piano digestione dell’innovazione. Sono conoscenze complesse che devono essere contestualizzate.Più complesso ancora è il tipo di conoscenza che si manifesta in ambito culturale, come l’arte, la musica,la moda: la conoscenza esistenziale è sia tacita, sia radicata nel contesto locale. Per capire una conoscenzadi questo tipo non è sufficiente calarsi nei “panni della fonte”; bisogna penetrare nella sua mente. Questotipo di conoscenza è rilevante perché comprende i valori e le emozioni che guidano movimenti disuccesso, come ad esempio i circoli di qualità in Giappone. Non riuscire a gestire e conoscere lacomplessità della conoscenza può portare a errori particolarmente dannosi74.Un’ultima classificazione merita di essere trattata75. E’ quella che distingue tra:

- Conoscenza individuale: è la conoscenza generata dal singolo individuo, quella che sidissolve con la fuoriuscita dall’organizzazione del suo creatore/possessore;

- Conoscenza di gruppo: di fatto si verificano le medesime circostanze appena descritte per laconoscenza individuale, con la differenza, però, che la generazione e detenzione della stessanon è in mano ad un unico individuo, ma ad un gruppo di persone76;

- Conoscenza organizzativa: è la conoscenza d’azienda, quella che si viene a creare a seguitodi una cultura fortemente orientata alla condivisione della conoscenza individuale e digruppo;

- Conoscenza di rete: è conoscenza organizzativa allargata, concernente non più soltanto lasingola impresa ma tutti gli attori della filiera in rapporto con essa77.

73 Consideriamo il caso Disney World. In Florida l’ospite/cliente riceve sempre un sorriso da un membrodello staff Disney, anche in caso di lamentela. Immaginiamo ora di dover creare un parco tematicoDisney fuori Orlando. Sarà sufficiente trasferire la conoscenza accumulata da Disney World in merito acosa faccia sentire il cliente coccolato? Sarà sufficiente adottare semplicemente la regola “sorridi sempreal visitatore?” Sicuramente no. Il cliente potrebbe percepire il sorriso come una presa in giro e il risultatosarà negativo per l’ospite e per la soddisfazione del dipendente. La spiegazione di tale fenomeno sta nelfatto che il sorridere sempre non è altro che la punta di un grande iceberg che rappresenta la conoscenza.Quell’imperativo contiene in sé un vasto insieme di assunti impliciti su che cosa generi la soddisfazionedel cliente. La regola del quando sorridere dipende perciò dal contesto. Se trasferisco la regola in uncontesto diverso e a persone che pensano e agiscono differentemente si potrebbero creare deifraintendimenti.74 Abbiamo deciso di riportare questa particolare classificazione di conoscenza in quanto si innesta benecon quanto verrà trattato nel secondo capitolo.75 Le categorie della conoscenza e le sue classificazioni sono innumerevoli. In questa sede abbiamoconsiderato quelle che a nostro avviso sono le più importanti. Nel capitolo successivo verrà chiarita ladifferenza tra conoscenza hard e conoscenza soft e quella tra conoscenza pubblica e privata, in sede ditrattazione del modello di creazione del valore. Bisogna inoltre considerare che a seconda di ciò che si stastudiando ed analizzando sarà migliore una classificazione piuttosto che un’altra.76 Pertanto l’eventuale fuoriuscita di uno degli individui costituenti il gruppo non determina la totaleperdita di conoscenza.77 Sono le conoscenze dei clienti, dei fornitori, dei partner strategici, che se ben gestite possono portare alraggiungimento di un vantaggio competitivo.

1.3 Perché gestire la conoscenza aziendale?

“What firms do?”. Kought e Zander (1996) aprono con questa domanda un saggio in cui la risposta è: leimprese producono ed elaborano conoscenza, dando forma, in questo modo, al loro coordinamento, allaloro identità e ai loro processi di apprendimento. Qualche anno prima, ad una domanda simile (Why firmsexist?) si sarebbe risposto che le imprese esistono per ridurre, con la gerarchia, i costi di transazione.Il cambiamento intervenuto nella domanda e ancor più nelle risposte, segnala che l’impresa è divenutauna knowledge based company: la sua esistenza si giustifica se innova, compete e genera valoreproducendo e usando la conoscenza.Quanto appena descritto basta a comprendere il notevole incremento di interesse, anzi il radicalecambiamento di rotta che si è avuto nel corso degli ultimi anni da parte di tutto il mondo politico edeconomico78. Il knowledge management e in particolar modo le sue implicazioni a livello aziendale sonooggi sotto le luci della ribalta scientifica e pubblica. Lo stesso Bacone sosteneva che gestire laconoscenza significa gestire il potere. Queste affermazioni vengono confermate da quanto asserito neiprimi due paragrafi del presente elaborato: viviamo in un’epoca dove la conoscenza costituisce ilprincipale fattore produttivo, il “motore” del nuovo capitalismo cognitivo. Le tradizionali fonti divantaggio competitivo non sono più capaci di produrre un risultato duraturo, tanto da decretare la nascitadi una nuova fonte di valore per l’impresa, stabile e sostenibile: la conoscenza79. Non si può pertantoignorare l’esistenza della stessa, né tanto meno si può prescindere da una sua corretta gestione: anzioccorre amministrare e coordinare nel miglior modo possibile tutte le variabili in gioco per non trovarsiin una posizione di svantaggio competitivo.Questo paragrafo, che conclude il primo capitolo del nostro lavoro, si propone infatti di mettere in luce,

da un lato l’importanza dell’argomento in questione e dall’altro la necessità, quasi l’obbligo, di gestire la

conoscenza aziendale attraverso adeguati strumenti. Questa sezione funge quindi da ponte con quanto

verrà trattato in seguito, in quanto prende in considerazione tutte le principali motivazioni per le quali le

imprese si dovrebbero dotare di un sistema di knowledge management80. Siamo convinti che è soltanto

comprendendo le cause ultime della materia che si può “abbracciare” anche tutto ciò che ne consegue.

1.3.1 Motivazioni di tipo esogeno ed endogeno

Per comprendere l’importanza dell’argomento occorre ora rispondere ad alcune importanti domande.

Perché, nonostante lo scetticismo di molti, dovuto anche alle comunicazioni spesso superficiali e confuse

di media e fornitori, il knowledge management continua a riscuotere successo?

78 Tratto da: RULLANI E., “L’Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 23179 Alcuni studiosi avevano avanzato l’ipotesi che fosse la tecnologia la nuova fonte di vantaggiocompetitivo. Ipotesi immediatamente smentita da esperienze reali che hanno dimostrato come latecnologia sia soltanto un fattore facilitante il conseguimento del vantaggio, non anche elementoessenziale dello stesso.80 Abbiamo deciso di trattare le motivazioni di un’oculata gestione della conoscenza prima di parlare delvero e proprio knowledge management perché ci sembrava più corretto, da un punto di vista logico,inserire questo aspetto al termine del primo capitolo, come naturale conseguenza al fatto che cicollochiamo in una knowledge era.

Perché molti grandi operatori del software stanno allestendo un’offerta di knowledge management e le

maggiori società di consulenza hanno creato centri di competenze ad hoc, e dal lato della domanda

sempre più aziende avviano progetti in questo campo?

La risposta è presto detta.

La competitività aziendale affonda le sue radici, oggi più che mai, nella necessità di catturare ogni aspetto

possibile della conoscenza per evitare che qualunque cosa che in qualche modo l’organizzazione ha

appreso possa andare perduta. In un momento storico in cui i vantaggi competitivi sono fenomeni

effimeri, le modalità di utilizzo dei dati (rendendoli accessibili oppure studiandoli dettagliatamente con

procedure analitiche) diventano sempre più importanti per il successo di un'azienda. Le imprese che

sottovalutano queste preziose fonti corrono il pericolo di mancare splendide opportunità e persino di

perdere per sempre le informazioni stesse. I dipendenti spesso sprecano tempo in lavorazioni già fatte

perché non sono consapevoli di attività simili già svolte da colleghi. I nuovi assunti non sanno dove

cercare le informazioni o a chi rivolgersi per avere una risposta. Potrebbe così accadere che i clienti

decidano di acquistare altrove e che i partner perdano opportunità strategiche. Tutto perché certe

informazioni rilevanti non si riescono a trovare quando se ne ha bisogno.

La soluzione a queste mancanze prende il nome di knowledge management.Il concetto di knowledge management è confuso81, ma non è una moda: ignorarlo costa 3.000 sterline

l’anno per dipendente, in termini di perdite di conoscenze interne, ricreazione di conoscenze già esistenti,

scarsa innovatività, sovraccarichi informativi, tempi di decisione troppo lunghi, incapacità di trovare gli

skill giusti per un dato progetto, non condivisione di best practise82. Ignorare la conoscenza in azienda,

insomma, costa.

A conferma di quanto appena detto basti pensare alle migliaia di informazioni che un’azienda produce eche potenzialmente potrebbe utilizzare a proprio vantaggio83. Ogni organizzazione genera grandi quantitàdi informazioni nel corso della propria attività, ma poche sono oggi in grado di far leva su questicontenuti per creare nuove opportunità o capitalizzare il patrimonio di conoscenza collettiva maturato.Milioni di documenti, e-mail, relazioni, prospetti, progetti e pagine Web oltre alla mole enorme diconoscenza tacita o non scritta in possesso dei dipendenti rischiano di restare nascosti e il loro potenzialeinutilizzato. Basti pensare ad esempio alla mole di conoscenze che viene generata per lo sviluppo e ilmantenimento di un prodotto in termini di descrizione di attività o di gestione dei risultati conseguiti; oancora la progettazione e la gestione della produzione e della logistica insieme al supporto alla retecommerciale che determinano grandi quantità di informazioni in termini di indagini di mercato,descrizione delle specifiche tecniche84. “In fondo la conoscenza permea tutto il sistema d’azienda, 81 Come si vedrà nel secondo capitolo non esiste un’unica ed universale definizione di knowledgemanagement.82 Tratto da una conferenza tenuta da MACORI I. di “GREEN TEAM”, “Knowledge management,esperienze e soluzioni di gestione della conoscenza aziendale”, 2002. La stima sopra citata in merito alleperdite in cui può incorrere un’azienda a causa di una mancata gestione della conoscenza è puramenteindicativa, non potendo fornire un dato certo ed universale per tutte le imprese. Di fatto, però, un lamancanza di un sistema di gestione della conoscenza costa.83 QUAGLI A., “Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale”, GIUFFRE’, Milano,1995. Citiamo a riguardo dei casi esemplificativi. L’importanza delle conoscenze relative alla modalità diacquisizione e lavorazione delle materie prime; le conoscenze di natura commerciale relative ad esempioall’andamento dei mercati di fornitura, nel sistema delle relazioni ricordiamo la comprensione dei clienti,dei loro gusti, o anche quella dei punti di forza e debolezza delle aziende concorrenti. Siamo immersi inun oceano di saperi che occorre gestire.84 Tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Gestione_della_conoscenza_aziendale

dall’attività di produzione al sistema delle relazioni, per arrivare fino al management”, sostiene Bassini,Direttore del personale di Actv Venezia Spa85.Quanto appena descritto rappresenta una prima macro motivazione che dovrebbe indurre le imprese adotarsi di un sistema di knowledge management.Citiamo qualche dato a conferma di quanto appena asserito86. La maggior parte delle aziende è soffocata

dalle sue stesse informazioni. Alcuni sostengono che questi dati "raddoppiano circa ogni 12-18 mesi" e

che le dimensioni dei principali archivi dati, ossia "quelli che raggiungono o si avvicinano alla soglia di

100 terabyte, probabilmente vengono triplicate ogni tre anni"87. Con l'aggiunta di ulteriori sistemi, nelle

aziende sono stati acquisiti molti più dati di quelli appena citati. Inoltre, l'aumento della regolamentazione

governativa in merito alla conservazione delle informazioni ha rafforzato questa tendenza.

Si consideri ad esempio la quantità di informazioni generata in relazione alle garanzie e alle riparazioni

nel settore automobilistico. Nel 2004, J.D. Power and Associates mise al primo posto la Hyundai Sonata

per il più alto livello qualitativo iniziale tra le macchine di media cilindrata. Per raggiungere questo

livello qualitativo è stato necessario molto lavoro e un utilizzo attento delle informazioni. Nell'America

del Nord, lo Hyundai North American Quality Center consente a Hyundai Motors di tenere traccia delle

informazioni acquisite tramite le richieste in garanzia. Il centro collabora con i team tecnici e di

progettazione per rispondere velocemente ai problemi, comunica con i gruppi di produzione per apportare

le necessarie modifiche alla linea di montaggio e illustra i problemi ai team di progettazione per evitare

che si ripresentino sui nuovi modelli. Grazie a strumenti di analisi avanzata, la Hyundai sta lavorando

sulla combinazione di gruppi di dati apparentemente isolati per prevedere i problemi prima che si

verifichino e diventino troppo costosi.

Un altro esempio nel quale grandi volumi di informazioni dell'ultimo minuto vengono utilizzati e

trasformati in conoscenze di importanza critica è quella dell’aeroporto internazionale di Zurigo. Tra i

primi 10 aeroporti europei per numero di passeggeri, l'aeroporto di Zurigo presenta una gestione

estremamente complessa con i suoi 180 partner e quasi 20.000 dipendenti. Quando si verificano ritardi in

un settore, dalla gestione dei bagagli al catering, l'intera struttura ne risente. Unique, la società privata che

gestisce l'aeroporto, ha compreso bene questi meccanismi e ha creato un software chiamato Zeus per

assicurare la gestione ottimale e integrata di tutte le attività dell'aeroporto. Sviluppato in soli tre mesi,

Zeus raccoglie e visualizza informazioni relative all'intero aeroporto: dati sui voli, statistiche sulla

puntualità, stato delle operazioni relative ai bagagli e molto altro. Per tutte le parti coinvolte, è di vitale

importanza disporre di informazioni in tempo reale per poter prendere decisioni essenziali e agire in

modo appropriato e tempestivo. Ad esempio, la torre di controllo può sapere istantaneamente quali voli

non sono ancora pronti al decollo e se, da qualche parte nell'aeroporto, gli addetti ai bagagli sono in

ritardo rispetto alle attività pianificate. Grazie a queste informazioni, la torre di controllo può spostare

velocemente gli aerei in altre aree dell'aeroporto per le operazioni di carico e scarico, riducendo i ritardi e

riportando l'intero aeroporto in linea con la programmazione. La grande quantità di dati che l’azienda

85 L’azienda Actv Venezia Spa è una municipalizzata di trasporti che opera nell’ambito della navigazionee del trasporto autmobilistico.86 Tratto da: Microsoft Corporation, “L’azienda people ready”, 200687 http://www.governmententerprise.com/showArticle.jhtml?articleId=175801775

possiede, insomma, ha valore solo se consente di reperire le informazioni più appropriate a sostegno di

una particolare decisione.

Lo scopo del knowledge management pertanto non è altro che quello di rendere disponibile il contenuto

del patrimonio informativo dell’azienda, in qualunque forma esso possa essere rappresentato, a coloro

che ne hanno bisogno per svolgere la propria attività.

O meglio. Il suo traguardo è quello di rendere esplicita, e quindi fruibile ai più, la conoscenza tacita ed

implicita che ogni figura professionale all’interno dell’azienda ha maturato con il suo lavoro, affinché

l’impresa ne tragga un vantaggio economico.

Per comprendere meglio i fenomeni appena descritti e l’”urgenza” di un sistema di knowledge

management all’interno di qualunque realtà aziendale occorre fare riferimento alle finalità che lo stesso si

prefigge e alle sue motivazioni intrinseche88.

Nella tabella successiva ne troviamo una chiara esplicitazione.

Iniziamo con la spiegazione delle motivazioni di tipo esogeno89.

Al momento attuale, l’incremento delle transazioni di mercato connesse alla conoscenza è

particolarmente rapido. L’aumento del tasso di crescita delle domande di brevetto, l’impressionante

ammontare di profitti derivante dalle licenze e l’esplosione dei costi associati alle cause per violazione

dei diritti di proprietà intellettuale sono tutti indicatori dello sviluppo impetuoso dell’ “economia di

mercato fondata sulla conoscenza”90.

Estensione dei mercati ad alta intensità diconoscenza

Disseminazione delle tecnologiedell’informazione

Motivazioni esogene

Nuovi metodi per la valutazione del capitaleintangibile

Non “reinventare la ruota”Incrementare le opportunità di innovazione

Creare valore economicoRisolvere nuovi problemi

Evitare occultamento e perdita di conoscenza

Motivazioni endogene

Incrementare la produttività e evitare perdite

Tabella 7.1 Le motivazioni del knowledge management. Fonte: nostro adattamento da FORAYD., “L’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 118 e 124 (per ciò che riguarda lemotivazioni esogene) e MARCORI I., nella conferenza “Il knowledge management”, 2002 (per lemotivazioni endogene)

88 Le cause che spingono all’adozione di un sistema di KM sono frutto di una nostra elaborazione apartire dall’analisi di diversi contributi. Le motivazioni che vengono elencate in quest’ambito sonopertanto quelle che a nostro avviso risultano essere le più evidenti e le più importanti.89 Cfr. FORAY D., “L’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 118 e 12490 Arora, Fosfori, Gambardella, 2001.

Ma i mercati della conoscenza sono inefficienti per definizione91. Acquirenti e venditori non sono ben

informati, inoltre, cosa ben più grave, l’unità prodotta è difficile da definire, visto che la conoscenza non

è venduta né a peso né a metro. In ordine a questo tipo di problemi, la gestione della conoscenza può

essere vista come un tentativo di migliorare l’efficienza dei mercati, da un lato proteggendo le

innovazioni, dall’altro facendo una gestione preventiva del problema, assicurandosi che le aree di ricerca

e innovazione rimangano libere92.

In più: per ciò che concerne le tecnologie ICT93, esse prima di diventare soluzioni si presentano come

problemi. L’introduzione di nuove tecnologie pone, in prima battuta, incertezze di adeguamento della

forma organizzativa d’azienda. Necessariamente si richiede, quindi, lo sviluppo di interfacce intra e inter

organizzative che ri-ottimizzino il passaggio di conoscenze tra i diversi nuclei costituitisi. Tale processo

viene nella maggior parte dei casi affrontato tramite un sistema di knowledge management.

Da ultimo poi non bisogna dimenticare come la valutazione del capitale intellettuale sia divenuta un

elemento fondamentale nella valutazione dell’impresa94. Osservando che le variazioni nel valore di Borsa

non erano affatto correlate a variazioni del valore contabile, l’impresa scandinava Skandia ha concluso

che la misurazione del capitale intangibile diventava un compito irrinunciabile, e soprattutto un dovere

nei confronti degli azionisti. E ovviamente per quantificare le attività intangibili occorre in primo luogo

identificarle attraverso tecniche di gestione della conoscenza.

Per ciò che concerne le motivazioni endogene95 possiamo dire che un sistema di knowledge management

consente innanzitutto di evitare di re-inventare soluzioni e di ripetere gli stessi errori commessi in

passato, attraverso il miglior uso possibile della conoscenza esistente. Molto spesso, infatti, i lavoratori

appartenenti alla stessa organizzazione possono trovarsi nella situazione di creare e ricreare

inconsapevolmente la stessa conoscenza. Il knowledge management mira a diminuire questa possibilità:

le informazioni vengono condivise per poter essere riutilizzate e trasformate in conoscenza utile96.

Si tratta poi di incrementare le opportunità di innovazione ricombinando e sfruttando sinergie e know how

intersettoriali. Il costo associato al mancato sfruttamento di un’invenzione (ignorare una buona idea) è

diventato così gigantesco che le imprese non possono più permettersi di “perdere uno o due treni di

91 Teece, 199892 E’ un processo che va al di là del semplice brevetto. Una strategia efficace di affermazione dellaproprietà intellettuale passa necessariamente attraverso la codificazione e l’organizzazione dellaconoscenza.93 Le tecnologie ICT saranno oggetto di approfondimento nel proseguo del lavoro.94 Il capitale intellettuale viene definito dal Dizionario Economico di Finanza e Mercati come: “l’insiemedelle risorse immateriali possedute o controllate da una società o da un organizzazione, che fornisce unvantaggio competitivo. Il capitale intellettuale include risorse quali la conoscenza e l’esperienza deidipendenti, i marchi, le informazioni e le relazioni con i clienti, i contratti, i beni di proprietà intellettualequali brevetti e diritti d’autore, nonché le tecnologie organizzative, i processi e i metodi”.Necessariamente la conoscenza, essendo una risorsa immateriale, è una componete del capitaleintellettuale. Il capitale intellettuale viene tradizionalmente suddiviso in capitale umano, capitalerelazionale, e capitale organizzativo.95Cfr. FORAY D., “L’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 118 e 124 eMARCORI I., nella conferenza “Il knowledge management”, 2002.96 Tratto da: SORGE, “Gestire la conoscenza. Introduzione al knowledge management”, SPERLING &KUPFER, Milano, 2000., pag. 10

seguito”. Diventa quindi essenziale adottare strategie organizzate per raccogliere e catalogare idee e

suggerimenti da parte dei lavoratori. In aggiunta alla gestione della conoscenza, l’incentivazione e lo

stimolo della creatività diventano essenziali.

Un ulteriore obiettivo è quello di creare valore economico direttamente a partire dallo stock di

conoscenza. La conoscenza condivisa e capitalizzata crea valore all’interno dell’organizzazione. Questa

consapevolezza deve appartenere ad ogni collaboratore. Il knowledge management si prefigge, pertanto,

l’obiettivo di definire strutture che favoriscano lo scambio, la condivisione e il conseguente riutilizzo

delle informazioni. Questo processo porta a sollecitare il consenso dei fruitori che sentono sempre più la

conoscenza come valore aggiunto.

Pratiche di knowledge management servono poi per risolvere e affrontare nuovi problemi che in passato

non esistevano. Si parla della necessità di aggiornare alcune prassi organizzative, di risolvere i nascenti

problemi di coordinamento, di individuare la risposta migliore ad ogni quesito, di reagire in modo

efficiente ed efficace ad un contesto complessivamente globalizzato che renderà il mercato molto più

dinamico e reattivo. Si tratta poi di evitare incapacità di apprendimento97, sia a livello individuale che a

livello organizzativo.

Un’altra motivazione a supporto e sostegno delle pratiche di knowledge management concerne il fatto di

sottrarsi ai fenomeni di occultamento e perdita di conoscenza. Per ciò che concerne l’occultamento, molto

spesso si verifica che le tradizionali prassi di lavoro alimentino nei dipendenti comportamenti di tipo

individualistico con il conseguente mantenimento della conoscenza in forma segreta. Il knowledge

management promuove, invece, meccanismi che facilitano l’accessibilità e la condivisione della

conoscenza. La perdita di conoscenza, inoltre, può essere dovuta all’interruzione di collaborazione tra

dipendente qualificato e impresa98. In questo caso il knowledge management si pone come obiettivo

quello di conservare il patrimonio intellettuale d’impresa archiviando adeguatamente la conoscenza

acquisita di ogni lavoratore.

Tutto ciò consentirà di incrementare la produttività d’azienda ed evitare così perdite. Oltre agli elementisopra citati anche altri fattori tipici di un sistema di knowledge management consentono di raggiungerequesto obiettivo. Ne ricordiamo alcuni: la capitalizzazione dei feed-back che all’organizzazionepervengono dagli stessi dipendenti, dai clienti, dai fornitori; l’abbattimento delle barriere geografiche efunzionali; il miglioramento dell’efficienza dei processi, la riduzione del time to market; ilperfezionamento delle relazioni con i clienti.A conclusione del paragrafo sembra opportuno riportare un particolare caso aziendale: quello della Nicespa., azienda che opera da circa 40 anni nel settore radio-elettronico dell’automazione dei cancelli. Ad uncerto momento Lauro Buoro, presidente di Nice spa, constatando quanto la tecnologia fosse stagnante, ildesign assente, i colori dei prodotti austeri, decise di fare una vera e propria rivoluzione: decise diintrodurre un sistema di knowledge management. Le difficoltà che incontrò non furono poche el’obiettivo di portare le persone a esternare le conoscenze considerate come bagaglio tecnico-culturale 97 L’apprendimento è fondamentale nell’economia della conoscenza. Per una trattazione più approfonditadell’argomento si rimanda al terzo capitolo.98 Basti pensare a quante gravi perdite di conoscenza si verificano ogni qualvolta un dipendente lascial’organizzazione o ad esempio ai danni derivanti dalla difficoltà degli individui a comunicare e

condividere con altri le proprie esperienze.

strettamente personale (quindi difficilmente condivisibile) fu arduo da raggiungere, ma nel momento incui si è arrivati al confronto delle varie esperienze per creare nuovi prodotti, si è reso palese quanto lacondivisione delle conoscenze rappresentasse un vantaggio per ognuno99.Queste le ragioni che hanno portato alla necessità di occuparsi della conoscenza e della sua gestioneattraverso la creazione di architetture di knowledge management. Passiamo ora all’analisi vera e propriadel “mondo” della gestione della conoscenza.

99 Il caso Nice s.p.a. è tratto da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria epratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, Milano, 2005, pag. 39.

CAPITOLO SECONDO

CONOSCENZA AL LAVORO: IL KNOWLEDGE MANAGEMENT

“Comunicare l’un l’altro,

scambiarsi informazioni è natura;

tener conto delle informazioni

che ci vengono date è cultura”.

W. Goethe

2.1 La gestione della conoscenza: alcuni concetti introduttivi

Il primo capitolo si è concluso con l’affermazione dell’urgenza e della necessità di introdurre sistemi digestione della conoscenza all’interno delle organizzazioni aziendali. Non è stato però detto in che cosaconsiste un sistema di knowledge management né tanto meno quali sono le sue implicazioni a livellod’impresa. L’obiettivo di questo capitolo è pertanto quello di fornire una panoramica quanto più possibilechiara e lineare in merito alle tematiche concernenti il knowledge management, senza la pretesaovviamente di elaborare un approccio valido in assoluto e migliore di quelli che sono già statiprogettati100. L’impostazione che viene seguita in questo capitolo è coerente con quanto trattato inprecedenza: riteniamo che soltanto comprendendo le dinamiche di fondo della disciplina si possonosviscerare le sue problematiche e proporre delle soluzioni ad hoc. Descrivere e contestualizzarel’argomento è pertanto fondamentale.La disciplina del knowledge management101 è oggi più che mai, una disciplina in fieri, mutevole edinamica, che copre trasversalmente tutti gli aspetti dell’essere e dell’esistenza di un’azienda, andandopertanto ad assumere la forma di scienza multidimensionale e dallo svolgimento irregolare. Le difficoltàche si incontrano, infatti, nella trattazione di un argomento di questa portata concernono proprio lamancanza di definizioni universalmente accettate e di regole di implementazione da seguireautonomamente, ma soprattutto partono dalla consapevolezza che molti sono ancora gli studi in corsod’opera e le problematiche da dover considerare e da dover affrontare. Inoltre, nonostante il knowledgemanagement sia un “fenomeno” che gode ormai di una fama a livello internazionale e sia al centro delleattività di molte aziende, una vera e propria determinazione e delimitazione è ben lontana dall’essere 100 Il capitolo prenderà in esame il concetto di gestione della conoscenza per poi passare all’analisi dell’impatto che essa ha a livello operativo d’azienda. Si conclude poi con l’illustrazione dei punti di forza ele cause di un possibile insuccesso della nuova disciplina della nuova disciplina. L’intento è quello difornire una visione sistematica di quanto già esiste in letteratura in merito al knowledge management, maal contempo di illustrare aspetti peculiari della materia che non sempre emergono dagli studi teoricifin’ora effettuati.101 D’ora in poi il termine knowledge management verrà spesso abbreviato con la sigla KM.

data. E’ la natura stessa della disciplina a renderne difficile una formalizzazione efficace. Consapevoli,quindi, dell’importanza e al contempo della insufficiente armonia di questo settore di studio abbiamodeciso di procedere con un approccio che metta in evidenza dapprima le basi teoriche della disciplina perpoi avanzare, nel terzo capitolo, con l’illustrazione di una particolare visione del knowledge management.Detto questo occorre procedere ora con l’analisi di ciò che si intende con il termine di knowledge

management.

2.1.1 Cos’è il knowledge management?

Una prima e seppur banale definizione di knowledge management potrebbe essere quella che parte dalla

stessa traduzione letterale del termine. Esso indica il complesso processo di gestione della conoscenza,

inteso come processo che consiste nell’acquisire, registrare, distribuire e utilizzare le informazioni in

ambito aziendale102. Ma knowledge management non è soltanto questo.

Un punto d’inizio per cercare di spiegare in modo più corretto in che cosa consiste questa nuova

disciplina parte dall’analisi di una delle definizioni date da Karl Wiing in Liebowitz (1999): “KM is the

systematic, explicit, and deliberate building, renewal, and application of knowledge to maximise an

enterprise’s knowledge-related effectiveness and returns from its knowledge assests”.103

Altre definizioni sono poi succedute a quella di Wiing. Fra le più significative ne ricordiamo alcune104.

I. La società di consulenza Ovum per KM intende “la funzione di sviluppo e gestione delle risorse

relative alle conoscenze tangibili (attività di ricerca e sviluppo, brevetti, database dei clienti, dei fornitori

e dei concorrenti) e intangibili (skill, esperienze, competenze delle persone inserite

nell’organizzazione)105;

II. Il Gartner Group sostiene che “il KM promuove un approccio integrato per identificare, catturare,

recuperare, condividere, e valutare tutto il patrimonio informativo presente in un’azienda. Questo

patrimonio include i database, i documenti, le procedure ma anche le competenze e l’esperienza presente

nella testa dei singoli che vi lavorano”. In base a tale definizione il Gartner Group ha intuito che la sfida

principale per un KM efficace ed efficiente sarà riuscire ad ottenere l’integrazione tra cultura e discipline

comportamentali con le più avanzate tecnologie disponibili in campo di ICT (Information and

Communicatio Technology);

102 Tale definizione è tratta dal dizionario economico di Finanza e Mercati.103 Traduzione: “il knowledge management è la sistematica, esplicita e deliberata costruzione,applicazione e rinnovamento della conoscenza per massimizzare l’efficacia della base conoscitiva diun’azienda e i relativi benefici”. In questa sede occorre anche ricordare come lo sviluppo teorico econcettuale del knowledge management ha avuto inizio nella prima metà degli anni ’90 a partire dagliStati Uniti e dal Giappone. L’Europa ha poi importato questa teoria e la diffusione del KM hageneralmente sinora interessato aziende multinazionali.104 Le definizioni che vengono riportate qui di seguito sono tratte da: BIANCHINI M., “Essere innovativinelle piccole e medie imprese”, relazione sul knowledge management per la società ItConsult, 2002. Lamoltitudine di definizioni qui fornite in merito al concetto di knowledge management non significa cheesistono diversi significati dello stesso, ma che, a seconda degli specifici obiettivi di analisi, si vadano avalorizzare determinate variabili piuttosto che altre.

III. Secondo lo studioso Hibbard, il KM è un processo per catturare tutte le competenze collettive

residenti in ogni dove di un’azienda (database, archivi cartacei e nelle teste delle persone) e distribuirle

in ogni parte dell’azienda stessa dove esse possono essere utilizzate per ottenere l’ottimizzazione

produttiva;

IV. Per lo studioso Petrash KM significa avere le giuste conoscenze nelle persone giuste al momento

giusto in modo da poter prendere le migliori decisioni possibili;

V. L’economista Macintosh afferma che il KM comporta l’identificazione e l’analisi della conoscenza

richiesta e disponibile, successivamente la pianificazione e il controllo delle azioni di sviluppo della

conoscenza stessa (considerata come un bene un’attività o meglio un asset) e l’adempimento agli obiettivi

organizzativi;

VI. O’Dell si limita ad affermare che il KM richiede un approccio sistematico per trovare, per capire e

per usare la conoscenza al fine di creare valore per l’azienda;

VII. Una definizione un po’ più completa la formula Beckman secondo cui il KM è la “formalizzazione

di” e “l’accesso a” esperienze, conoscenze e competenze che creano nuove capacità, incoraggiano

l’innovazione, rendono le performance aziendali di un livello superiore e aumentano il valore per il

cliente.

Nonostante l’eterogeneità dei contributi teorici e la varietà degli utilizzi delle pratiche di KM, occorre

considerare come esista, un’unica logica di fondo, un’unica ratio che ha guidato e guida il pensiero degli

autori e degli studiosi fin qui analizzati: il KM viene da tutti considerato un fenomeno complesso; un

fenomeno in grado di rendere tangibile e materiale il patrimonio conoscitivo d’azienda, simbolo per

eccellenza dell’immaterialità d’impresa. Esso è al contempo una strategia, una tecnologia e un prodotto: è

la risposta ad un problema aziendale complesso e interdisciplinare.

Un’altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi concerne ciò che il KM non è e non rappresenta106.

Infatti, tra le difficoltà che la stessa disciplina ha incontrato, ai suoi albori, nell'affermarsi come scienza a

se stante vi fu la facile confusione con l'information technology107.

Gli ultimi vent'anni sono stati caratterizzati dalla costante informatizzazione di tutte le attività. I mezzi

informatici hanno permesso la razionalizzazione del lavoro e la riduzione dei costi di gestione. Ma

soprattutto hanno permesso l'accumulo, la gestione, l'indicizzazione e la distribuzione delle informazioni

con una velocità e diffusione assolutamente inimmaginabili. In un primo momento questo è sembrato

sufficiente: i risultati erano buoni, il lavoro si svolgeva più velocemente e le informazioni necessarie si

reperivano con rapidità. Ad una analisi più approfondita però ci si rese conto che ad essere organizzati

erano soltanto i dati e le informazioni.

L'esperienza maturata sul campo, la capacità di improvvisare e tutte quelle attitudini particolari che

106 Così come per il primo capitolo era stato analizzato il concetto di economia della conoscenza e di “noneconomia della conoscenza”, anche nel caso del knowledge management ci è sembrato opportuno faretale precisazione.107 Cfr. DE ANGELIS R., “Creazione di conoscenza e processi aziendali”, relazione sul knowledgemanagement per la società ItConsult, 2002.

permettono al soggetto di trasformare le informazioni in conoscenza e saggezza rimanevano a beneficio,

però, del singolo lavoratore, che le portava con sé nelle proprie esperienze lavorative108. Un patrimonio di

abilità e competenze (e quindi valore aggiunto) che non entrava, dunque, a fare parte dell'azienda in

maniera definitiva ma solo temporaneamente, nel periodo in cui il rapporto lavorativo con i soggetti

esisteva.

L'attenzione si è quindi spostata dagli strumenti (information technology) verso le risorse umane che a

diversi livelli costituiscono il patrimonio informativo di un'azienda.

A questo punto la distinzione è evidente, l'IT è uno degli strumenti (forse il principale) che il KM utilizza

per raggiungere i suoi obiettivi. Ironicamente si potrebbe affermare che nonostante sia stata l’IT ad

ispirare la rivoluzione della conoscenza, ci vogliono le comunità umane per poterla realizzare.

Come dimostra lo schema nella pagina seguente.

A conferma di quanto appena asserito potrebbe essere citato un esempio109.

Schema 1.2Schema 1.2

Dall’information Technology al Knowledge management. Fonte: nostro adattamento da TONCHIA S.,TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Retiorganizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003,pag. 82

Prendiamo in considerazione la realizzazione di un call center come struttura di supporto telefonico ai

problemi del cliente. In quest’ambito, solitamente, l’operatore telefonico accede alle informazioni estratte

da una base di dati relativa ai clienti, le aggiorna secondo delle procedure di routine ben formalizzate e,

inoltre, una lineare sistematizzazione dei suoi compiti assicura il trasferimento delle informazioni corrette

al cliente. Questa burocratizzazione della conoscenza sul cliente risulta efficace per fornire un ottimo

servizio, ma il contributo dell’operatore in termini di apprendimento e di creazione di valore per

l’impresa è molto limitato. Pertanto la realizzazione di un call center di questo tipo non può essere

considerata un’attività di KM, perché il suo obiettivo è quello di migliorare processi e funzioni isolate,

non quello di promuovere una trasformazione fondamentale d’impresa verso la creazione di valore

economico e lo sviluppo della creatività.

2.1.2 Una breve storia della disciplina

108 Una definizione di ciò che si intende per dati, informazioni, conoscenza, saggezza è stato fornito nelparagrafo 1.2.1109 L’esempio è stato rielaborato da quanto asserito in: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledgemanagement. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI,Milano, 2004

L’ informationTechnology

Per il knowledgemanagement PER

È uno strumento Che è metodo

La conoscenza e l’apprendimento sono temi che hanno sempre interessato l’uomo, fin dai bagliori della

civiltà110.

La moderna storia del KM, o meglio, il concetto di KM così come noi oggi lo intendiamo, ha inizio nel1986 quando Karl Wiing, coniando il termine (vedi § 2.1.1), ne introduce i fondamenti durante unaconferenza allestita dall’Organizzazione Internazionale dei Lavoratori delle Nazioni Unite. A partire daquesto momento il concetto così formalizzato inizia ad interessare molti importanti aziende, soprattutto acarattere internazionale111.Nel 1989 a partire dalla Price Waterhouse si ha una prima diffusione ed integrazione del KM all’internodelle strategie di mercato delle aziende. Nel 1991 l’Harvard Business Review pubblica il primo articolo(Nonaka e Takeuchi) dedicato alla disciplina e nel 1993 è ancora Karl Wiing a dare alle stampe il primolibro (Knowledge Management Foundations). Nel 1994, anno del KM network, troviamo la primaconferenza sul KM, e l’inizio per le grandi aziende di consulenza di una prima offerta di servizi digestione della conoscenza ai loro clienti.Da questo momento in poi il KM godrà di un’attenzione sempre maggiore da parte del mondo delle

aziende, tanto da venire considerato indispensabile da molte società che nella realizzazione delle

infrastrutture necessarie alla sua implementazione hanno investito capitali ingenti.

Dal 1986 ad oggi, abbiamo assistito ad una profonda evoluzione del KM. Tradizionalmente si

distinguono due differenti cicli storici112:

- KM first generation,

- KM second generation.

KM first generation: è una prima fase che tende a ridurre il knowledge management alla sua componente

strumentale, l’information technology. Come analizzato in precedenza l’IT è sicuramente una

componente importante dell’intero processo ma di fatto non ne esaurisce tutte le potenzialità (vedi §

2.1.1). In questo primo momento l’obiettivo del knowledge management è un obiettivo pragmatico:

migliorare l’efficienza dell’organizzazione esplicitando e mettendo in comune la conoscenza che ogni

membro ha maturato nel corso del suo tragitto professionale. Gli investimenti si concentrano soprattutto

sullo sviluppo dei mezzi per rendere veloce e semplice l’archiviazione, la descrizione e la comunicazione

di dati e informazioni.

KM second generation: è una seconda fase che si è affiancata alla prima e che osserva la conoscenza dal

punto di vista della sua organizzazione gerarchica113. Il ciclo della conoscenza non può fermarsi, infatti,

alla trasmissione di dati e informazioni, ma deve fare riferimento anche alle conoscenze e alla saggezza.

110 Si rimanda al primo capitolo per ciò che concerne il ruolo della conoscenza nel corso della storia.111 Anche in questo secondo capitolo si necessita di fornire un breve excursus storico in merito agli autoriche hanno contribuito alla nascita della disciplina. Si tratta di un approccio che merita di essere trattato inmodo distinto rispetto a quello dell’economia della conoscenza poiché nel primo caso si è fattoriferimento alla nascita di una nuova “era” e alle relative teorie economiche che l’hanno accompagnata.In questo secondo caso si parla invece di gestione della conoscenza e pertanto di teorie a caratteremanageriale ed organizzativo. Anche in quest’ambito l’approccio è il medesimo che nel primo capitolo:accanto ad una descrizione storica vengono affiancati i contributi teorici. Economia della conoscenza eKM sono le facce di una stessa medaglia (la risorsa conoscenza), di cui una analizza il livellomacroeconomico e l’altra si concentra su quello microeconomico. Pertanto pur essendo intimamenteconnesse e interdipendenti l’una dall’altra in realtà presentano differenze in termini di letteratura diriferimento e di logiche di fondo.112La classificazione del KM è tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Knowledge_management#KM_First_generation:_la_gestione_dell.27informazione113 Si veda a proposito il paragrafo 1.2.1

La seconda fase del knowledge management si focalizza, pertanto, su come poter mettere a servizio di

tutta l’azienda le conoscenze professionali specifiche di ogni membro che ne fa parte. Questa logica

spinge il KM a diventare una sorta di “filosofia della collaborazione”, di filosofia della condivisione negli

ambienti di lavoro.

Questi particolari cicli storici appena descritti sono stati accompagnati da un complesso e vasto insieme

di studi che hanno caratterizzato e che caratterizzano tutt’oggi le dinamiche della disciplina oggetto di

analisi. La letteratura sul KM si divide in due grandi categorie: quella che riguarda la conoscenza in sé e

quella che fa riferimento al flusso di conoscenza114.

Nel primo filone la conoscenza viene definita come insieme finalizzato di informazioni attraverso cui un

individuo seleziona le azioni più opportune a fronte di determinati stimoli esterni, basandosi sulle proprie

categorie mentali e credenze.

La seconda corrente di studi sul KM giunge invece a definire dei modelli normativi nel processo di

gestione della conoscenza (che è anch’esso un processo di business) sottolineandone l’aspetto dinamico

nel tempo, come memoria storica dell’individuo e dell’organizzazione. Conseguentemente i temi di

ricerca riguardano:

- L’identificazione delle fasi del flusso della conoscenza;

- L’individuazione delle condizioni organizzative che possono supportare la fluidificazione

del flusso della conoscenza.

All’interno di questa seconda corrente di pensiero115 (a differenza della prima, dove non ci sono studi

significativi da menzionare) meritano di essere presi in considerazione almeno cinque diversi autori. Si fa

riferimento al modello di Arrow (The economics of information, 1984), allo schema di Senge (La quinta

disciplina, 1990), al contributo di Polanyi (The tacit dimension, 1966), agli studi di Davenport e Prusak

(Working knowledge. How organizations manage what they know, 1998) ed infine al lavoro di Nonaka e

Takeuchi (The knowledge creating company, 1991) che sarà oggetto di analisi nel paragrafo

successivo116.

114 Cfr. TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledgemanagement. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24ORE, Milano, 2003, pag. 81-89

115 Bisogna qui ricordare come sia nel primo filone di studi che nel secondo esistono molti altri contributiteorici rispetto a quelli presi in considerazione in questa sede. Si è ritenuto però opportuno inquest’ambito analizzare solo quelli più importanti e coerenti con l’impostazione del lavoro. Anche inquesto caso gli autori che verranno citati sono stati ripresi da: TONCHIA S., TRAMONTANO A.,TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Reti organizzative e nuove tecnologie:l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003Nella prima categoria di studi descritta ricordiamo anche Grant, 1996; Spender, 1996, Tisana, 2000.116 Il contributo di Nonaka e Takeuchi è forse il più significativo tra quelli appena citati, pertanto meritadi essere trattato in modo più dettagliato. Esso può essere ancora considerato come uno dei modelliispiratori delle moderne tecniche di knowledge management e anche ai fini del nostro lavoro essorappresenta un valido punto d’appoggio per la trattazione dell’argomento. Ad esempio la classificazionedi conoscenza riportata nel paragrafo 1.2.3 è ripresa dai due autori. O anche il ciclo di vita dellaconoscenza che verrà trattato in seguito si ispira in parte al seguente modello. Per questo motivo il lorocontributo merita un’analisi più approfondita.

In merito al contributo di Arrow emerge fra tutti il seguente aspetto: secondo l’autore l’informazione può

essere archiviata e schedata, ma per essere utile nelle decisioni deve essere recuperata. Inoltre, sostiene

Arrow, molti sono gli studi psicologici sui limiti delle capacità percettivo-sensorie degli esseri umani e

sui loro limiti come elaboratori di informazione. Ed è proprio questo aspetto (la limitata capacità umana

di acquisire e usare informazione) uno dei punti di debolezza di cui bisogna tener conto nell’elaborazione

di un sistema di KM117.

Senge, teorico dell’apprendimento organizzativo, ha avuto il merito di concepire e diffondere nella

comunità imprenditoriale il concetto di learning organization, nella convinzione che la capacità di

apprendere più velocemente degli altri costituisca una delle fonti di vantaggio competitivo sostenibile

nell’odierno contesto economico118. Egli, consapevole del fatto che gestire la conoscenza significa

essenzialmente apprendere dalla realtà, distingue tra le seguenti categorie:

- Padronanza personale, ossia consapevolezza del lavoro svolto. Al pari di un artista,

dobbiamo considerare la nostra opera come un prodotto dell’ingegno;

- Modelli mentali: imparare a conoscere, per poter cambiare le credenze profondamente

radicate in noi che influenzano la percezione e condizionano il nostro agire;

- Visione condivisa: è la forza che ci spinge a eccellere e a imparare per puro desiderio del

nuovo;

- Apprendimento di gruppo: i membri della squadra partecipano al dialogo e alla discussione

diminuendo i conflitti e incrementando la capacità del team;

- Pensiero sistemico: è la disciplina che integra e rende coerenti le altre quattro, traducendole

da teoria a pratica efficace.

Nel pensiero di Poalnyi, invece, la vera conoscenza non può essere formalizzata in regole o algoritmi,

essa è soprattutto conoscenza tacita. A partire dall'affermazione che «noi sappiamo più di quanto

sappiamo dire» lo studioso ungherese riconosce l’ esistenza di due dimensioni interdipendenti della

conoscenza: la dimensione esplicita si fonda sempre su una dimensione tacita precedentemente

interiorizzata. Nonostante la conoscenza possa indubbiamente essere sempre opportunamente articolata e

spiegata, la dimensione esplicita include sempre anche quella implicita.

Passiamo infine in rassegna il contributo di Davenport e Prusak. Gli autori considerano la conoscenza

come un bene oggettivo, tangibile e liberamente scambiabile sul mercato.

In questo contesto, il KM ha il compito di definire e di gestire l’insieme delle regole che permettono di

ridurre le barriere alla corretta codificazione e fruizione della conoscenza scambiabile tra persone di una

stessa organizzazione o di aziende diverse. Facendo inoltre riferimento alla struttura concettuale dei

sistemi di KM si possono individuare quattro modelli di governance informativa:

117 Arrow prende in considerazione anche altri aspetti come: la creazione di canali di informazione e ilsistema dei prezzi inefficiente nel nostro sistema economico. Si rinvia ad altra sede per questiapprofondimenti.118 Il tema dell’apprendimento organizzativo verrà affrontato meglio nel terzo capitolo. A nostro avvisouno dei limiti della teoria di Senge è quello di costruire un approccio parziale al KM. Questo aspettoverrà analizzato meglio nel proseguo del lavoro.

- anarchia informativa119;

- feudalesimo informativo120;

- federalismo informativo121;

- monarchia informativa122.

Dopo questa veloce panoramica in merito ad alcuni importanti studiosi di gestione della conoscenza è

doveroso descrivere il modello di Nonaka e Takeuchi. Il loro contributo è ancora oggi considerato uno

dei più validi per ciò che concerne la rappresentazione del ciclo di vita della conoscenza. Si vedrà anche

nel quarto capitolo, in sede di trattazione del caso di studio, come i rimandi alla teoria di KM dei due

autori siano numerosi. Ecco perché dedicare un intero paragrafo al loro contributo alla materia della

gestione della conoscenza.

2.1.3 Il modello di Nonaka e Takeuchi

“La conoscenza tacita nasce contestuale, ma può – con le opportune trasformazioni - diventare altro.Piuttosto che essere uno stato stabile della conoscenza, dovrebbe essere considerata un momento di unprocesso che, nel corso del tempo, la trasforma, facendole perdere la sua unicità e contingenza. E forseanche la sua appropriabilità”.Questa idea processuale della conoscenza viene in evidenza nella teoria della knowledge creating

company, che fa capo a Nonaka e Takeuchi.

Il modello si basa su due dimensioni relative alla creazione della conoscenza aziendale:- Dimensione ontologica: la conoscenza è creata solo dagli individui. Pertanto la conoscenza

organizzativa deriva dai processi di cattura, archiviazione, trasformazione e organizzazionedella conoscenza prodotta dagli singoli123;

119 Non si tratta di un vero e proprio modello, ma di una situazione che si presenta quando gli utenti nonadottano nessun vero sistema di KM. Ogni individuo gestisce la sua conoscenza, in modo autonomo edindipendente, secondo una propria personale concettualizzazione che non apporta nessun contributo“formale” alla conoscenza organizzativa. Davenport, riferendosi al caos informativo di Internet, affermache l’anarchia è un meccanismo molto rischioso, in quanto gli individui che mantengono i propri “silos”informativi, gestiscono la conoscenza in modo autonomo attraverso punti di vista personali e condividonoed accedono alle sole informazioni che loro stessi credono importanti. Così facendo, il quadro generale digestione della conoscenza collettiva (descritto in Berners-Lee, 1989 come rete semantica) vienecompletamente perso, e la conoscenza diverge in pochissimo tempo;120 Presenta una struttura totalmente distribuita, formata da gruppi completamente autonomi. Non esistenessun controllo centralizzato di conoscenza, al contrario ci sono piccole comunità e leader chegestiscono le relazioni e la conoscenza locale in modo dinamico e innovativo [Watts e Strogatz, 1998].Le modalità di integrazione e coordinamento tra i gruppi sono poche e si sviluppano in modo informale eautonomo121 Presenta un’architettura semi-centralizzata, formata da meccanismi e da procedure standard econdivise, che permettono ai singoli gruppi di scambiare conoscenza. Solitamente c’è un organocentralizzante che è responsabile per le informazioni presenti in azienda e definisce le procedure e i modiattraverso i quali i membri dell’organizzazione hanno più o meno autonomia gestionale. Una voltadefiniti i livelli di integrazione e le caratteristiche fondamentali del sistema, gli utenti sono piuttostoautonomi nel gestire la conoscenza locale nel modo che meglio soddisfa le loro esigenze e di scambiare“saperi” con altri gruppi attraverso meccanismi sia predefiniti dal centro, sia gestiti autonomamente122 Presenta un’architettura concettuale fortemente centralizzata, imposta da una funzione centrale checontrolla la maggior parte delle conoscenze organizzative. La monarchia informativa considera le “sacchedi resistenza” all’utilizzo del sistema di KM e la persistenza di modelli concettuali autonomi, come erroridi implementazione, o come resistenze locali al cambiamento.

- Dimensione epistemologica: evidenzia la distinzione tra conoscenza tacita ed esplicita124.Lo schema 2.2 mette proprio in relazione le dimensioni appena citate, individuando di fatto quattrodiversi momenti nel processo di creazione della conoscenza125.L’obiettivo che gli autori si sono prefissati nell’elaborazione del modello è quello di mettere l’impresanella condizione di usare le conoscenze giuste, al momento giusto e nel posto giusto, nella convinzioneche è proprio la risorsa conoscenza a costituire l’inopinabile base per il conseguimento delle propriefinalità.In particolar modo lo schema rappresenta un’astrazione dei processi che si applicano quotidianamente in

azienda. Tali processi possono essere così brevemente riassunti: la conoscenza esplicita viene utilizzata,

applicata ed internalizzata dagli individui e quindi dall’azienda ponendo in tal modo le basi per un suo

successivo sviluppo attraverso la creazione di nuova conoscenza tacita. A sua volta la conoscenza tacita

viene catturata e attraverso un processo di trasformazione viene resa trasferibile e comunicabile a tutti i

livelli organizzativi. Anche in questo caso uno schema può essere d’aiuto per la comprensione del

processo126.

Schema 2.2 La spirale della conoscenza Fonte: nostra elaborazione da: NONAKA

123 Per ulteriori approfondimenti si veda paragrafo 1.2.3124 La distinzione tra conoscenza tacita ed esplicita è stata già trattata nel paragrafo 1.2.3125 La dimensione ontologica contempla quattro diversi tipi di conoscenza: conoscenza individuale,conoscenza di gruppo, conoscenza organizzativa e interorganizzativa. La dimensione epistemologicaconsidera invece la dimensione tacita ed esplicita della conoscenza. Dalla combinazione di questevariabili emerge una spirale di conoscenza che si compone di quattro momenti: combinazione,esternalizzazione, internalizzazione e socializzazione. Ognuno di questi verrà analizzato meglio nelproseguo del lavoro.126 L’intero paragrafo è una sintesi di ciò che Nonaka e Takeuchi hanno esaminato nel testo: “Theknowledge creating company”, FREE PRESS, New York, 1991

DIMENSIONE

DIM

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Individuale Di gruppo Organizzativa Interorganizzativa

Combinazione

Socializzazione

Esteriorizzazione

Interiorizzazione

Schema 2.2 La spirale della conoscenza Fonte: nostra elaborazione da: NONAKA I.,TAKEUCHI H., “The knowledge creating company”, FREE PRESS, New York, 1991

Analizziamo ora in modo più corretto l’intero percorso appena citato. Esso si compone di quattro diversi

momenti, come mostra lo schema 3.2:

- Socializzazione: rappresenta un momento di condivisione di conoscenza tacita fra persone

che fanno esperienza comune dello stesso contesto127. In questa fase si verifica il passaggio

da una conoscenza tacita all’altra tramite la condivisione non esplicita della conoscenza

individuale;

- Esternalizzazione: è il processo mediante il quale si esprime la conoscenza tacita attraverso

concetti espliciti, in forma di metafore, ipotesi o modelli. E’ in questa fase che la

conoscenza entra a far parte dell’intera organizzazione uscendo dal “guscio-individuo”128;

127 La chiave per acquisire conoscenza tacita è l’esperienza condivisa, mancando la quale sarebbe difficilepenetrare il processo di pensiero di altre persone.128 E’ proprio l’esteriorizzazione la chiave della creazione di conoscenza, perché crea concetti nuovi edespliciti dalla conoscenza tacita. Uno dei sistemi per convertire la conoscenza tacita in conoscenzaesplicita è la sequenza metafora-analogia-modello. La metafora è un modo di percepire un oggettoimmaginandone simbolicamente un altro; l’analogia aiuta a capire l’ignoto attraverso il noto e a superareil divario che separa l’immagine dal modello logico. In questo modo una volta creati i concetti espliciti èpossibile costruire dei modelli.

Socializzazione Esternalizzazione

Combinazione Internalizzazione

Schema 3.2 Il processo di creazione e di condivisione della conoscenza in azienda. Fonte: nostraelaborazione da: NONAKA I., TAKEUCHI H., “The knowledge creating company”, FREE PRESS, NewYork, 1991

- Combinazione: è un processo di sistematizzazione dei concetti, che consente di passare da

una conoscenza esplicita ad un’altra129. E’ il momento in cui si organizzano le conoscenze

esplicite in visioni e descrizioni sintetiche, pronte per essere trasmesse in modo strutturato;

- Internalizzazione: consiste nel tradurre concretamente la conoscenza esplicita in una base di

creazione di conoscenza tacita. Essa viene trasmessa alle persone, con conseguente

arricchimento individuale sulla base di una capitalizzazione delle conoscenze e successiva

creazione di nuova conoscenza individuale130.

È questo tipo di trasferimento che consente realmente di chiudere il cerchio e di parlare di creazione di

nuova conoscenza organizzativa, poiché la nuova conoscenza diventata patrimonio aziendale si pone da

base per esperire nuovi comportamenti.

Il processo di creazione della conoscenza si compone pertanto di cinque fasi:

1. Condivisione di conoscenza tacita. E’ il momento in cui avviene nell’organizzazione la

diffusione del patrimonio inesplorato di conoscenza degli individui131. Il processo può

avvenire solo attraverso rapporti diretti e collaborazioni in gruppi di lavoro;

129 Gli individui scambiano e combinano conoscenza avvalendosi di diversi strumenti come documenti,incontri, reti informatiche; inoltre la riconfigurazione delle informazioni attraverso lo smistamento o lacategorizzazione può condurre a nuove forme di conoscenza.130 E’ un concetto legato a quello del learning by doing, cioè dell’apprendimento attraverso l’azione. Laconversione è tanto più facile quanto più la conoscenza è rappresentata in documenti e manuali che nefacilitino la trasmissione anche ad altri soggetti.131 Il processo di creazione di conoscenzaparte proprio dalla conoscenza tacita degliindividui, perché l’organizzazione da solanon è in grado di creare conoscenza. Labase di conoscenza dell’azienda è costituitadalla conoscenza dei dipendenti.

2. Creazione di concetti, che è il momento successivo alla condivisione, in cui si soddisfa

l’esigenza di articolare e strutturare quanto condiviso, rendendolo trasferibile in modo

più semplice;

3. Giustificazione di concetti. E’ il momento in cui il concetto creato durante la fase

precedente viene giustificato, ovvero si decide se esso è veramente degno di essere

perseguito. E’ la fase di razionalizzazione completa, dell’identificazione di un percorso

innovativo;

4. Costruzione di un archetipo. Una volta giustificati, nella quarta fase, i concetti vengono

convertiti in archetipi, che possono prendere la forma di un prototipo, di uno schema

operativo, di un valore di corporate, di un sistema di gestione innovativo o di un

prototipo, che dia concretezza alla nuova conoscenza così che possa essere possibile la

sua implementazione e diffusione aziendale;

5. Inter-livellamento di conoscenza: è una fase di cross-fertilization in cui la conoscenza

creata all’interno di una divisione viene trasferita verso una popolazione sempre più

ampia, per giungere fino ai livelli interorganizzativi e infine alle componenti esterne

(clienti, fornitori,…).

Il processo descritto da Nonaka e Takeuchi è un processo che non ha un reale inizio e una effettiva fine.In una organizzazione basata sulla conoscenza descrive, infatti l’intrinseco funzionamento di tutte le sueevoluzioni.Inoltre, sostengono gli autori, il processo di per sé non è garanzia di creazione di nuova conoscenza, mapone le basi affinché questo avvenga. Infatti il ciclo può essere percorso più volte fino a che laconoscenza prodotta non è quella adeguata e quindi effettivamente riutilizzabile.Un ultimo aspetto rimane ancora da analizzare.

In questo modello le condizioni per un’interazione agevole delle persone sono dovute al contesto sociale

ed organizzativo di riferimento che può facilitare o veicolare il processo di creazione e condivisione della

conoscenza.

Il contesto (“ba”) reagisce attivamente come parte dell’attività cognitiva di uomini e organizzazioni. Ma il

“ba” non si limita a rendere unica la conoscenza che contiene, esso è anche una matrice attiva che

sviluppa la conoscenza tacita degli individui traducendola in conoscenza dell’organizzazione.

I contesti organizzativi possono favorire diversi tipi di atteggiamento:

- Accaparramento della conoscenza: la creazione e lo scambio di conoscenza sono lasciati

all’intraprendenza individuale senza alcuno strumento di supporto;

- Scambio di conoscenza: esistono strumenti che facilitano l’interazione individuale e inoltre

la formazione dei gruppi tende a far prevalere un atteggiamento allo scambio, ma non alla

sua integrazione e trasferimento a tutta l’organizzazione;

- Crescita in comune: sono previsti strumenti che facilitano i processi di distribuzione della

conoscenza e di integrazione del gruppo nell’ambiente organizzativo;

- Condivisione della conoscenza; siamo di fronte ad un contesto che stimola l’applicazione e

l’internalizzazione delle conoscenze attraverso processi di crescita individuale e sociale.

L’organizzazione deve, dunque, fornire strumenti di indirizzo della conoscenza che consentano ad ogni

dipendente di percepire il processo di condivisione e trasferimento della stessa come parte integrante

della propria attività132.

Nonaka e Takeuchi suggeriscono inoltre lo stile di management e la struttura organizzativa che favorisce

la creazione di conoscenza. Il tradizionale modello top-down e il consueto modello bottom-up, risultano

entrambi incapaci di alimentare l’interazione dinamica necessaria alla creazione di conoscenza

organizzativa.

Il modello top-down concepisce la creazione di conoscenza entro i confini dell’elaborazione delle

informazioni. Il vertice riceve dalla base informazioni semplici e selettive, che utilizza allo scopo di

creare pianificazioni e ordini e che, alla fine, restituisce alla base. L’informazione è elaborata attraverso

una divisione del lavoro che lascia al top management il compito di creare i concetti di base e, ai membri

in posizione gerarchica inferiore quello di implementarli. I concetti elaborati al vertice diventano le

condizioni operative per i manager intermedi, che scelgono gli strumenti per realizzarli. L’assunto

implicito, retrostante a questo modello tradizionale di organizzazione è quello per cui solo il top

management è in grado di creare conoscenza e ne ha il diritto. La conoscenza creata dal vertice esiste al

solo scopo di essere elaborata o realizzata, e rappresenta quindi un mezzo e non un fine. Questo modello

di management, dunque, ostacola le modalità di conversione della socializzazione e

dell’esteriorizzazione.

Nel modello bottom-up, invece, ai principi della gerarchia e della divisione del lavoro, viene opposto

quello dell’autonomia. In luogo di una conoscenza creata e controllata dal vertice viene posta una

conoscenza creata e anche controllata dalla base. L’organizzazione bottom-up è piatta e orizzontale,

l’eliminazione della gerarchia e della divisione del lavoro riduce la distanza fra il vertice e la base. Il top

management dà pochissimi ordini ai dipendenti della line, i quali operano preferibilmente da soli, come

attori indipendenti e separati. Il principio operativo è l’autonomia e non l’interazione, ecco perché questo

modello limita le modalità della combinazione e dell’interiorizzazione. Per l’enfasi che pone

sull’autonomia, complica estremamente la diffusione e la condivisione della conoscenza

nell’organizzazione.

Considerati gli ostacoli che i due tradizionali stili di management pongono al completo sviluppo del

modello, gli autori considerano una terza possibilità, che non muove dall’alto o dal basso, ma dal centro

dell’organizzazione. Il termine usato per descrivere questo stile di management è “middle-up-down”. Il

soggetto creatore di conoscenza è rappresentato da manager intermedi, che agiscono attraverso un

processo di conversione a spirale che coinvolge sia il vertice, sia i dipendenti della line; i manager

intermedi si trovano all’intersezione dei flussi informativi verticali e orizzontali dell’impresa. Nel

modello middle-up-down, il top manager crea la vision dell’azienda, mentre il manager intermedio

sviluppa concetti comprensibili e attuabili dai dipendenti della line; la visione del top management si

132 Il modello di Nonaka e Takeuchi non esaurisce qui la propria valenza. Esso va a considerare altriaspetti come quelli concernenti gli ostacoli e i requisiti preliminari per l’implementazione di un processo

concretizza attraverso concetti di business o di prodotto a medio raggio. Nel far questo i manager

intermedi sintetizzano la conoscenza tacita immagazzinata dal vertice e dalla linea e la rendono esplicita

incorporandola in tecnologie, prodotti e programmi.

Secondo Nonaka e Takeuchi questo è lo stile di management che meglio riesce a supportare la creazione

di conoscenza all’interno delle aziende133.

2.2 Le implicazioni per l’assetto d’impresa

Quando si parla di KM non si può prescindere dall’analisi delle variabili organizzative fondamentali che

in esso sono coinvolte: risorse umane, organizzazione, tecnologia e creazione di valore.

Esse hanno subito un profondo mutamento con l’avvento del capitalismo cognitivo e del knowledge

management, cambiamento del tutto obbligato essendo di fatto controproducente restare ancorati ai

tradizionali confini posti dal vecchio sistema economico. “Nella Knowledge Era solo chi sa approcciare,

catturare, codificare, archiviare, indicizzare, gestire, distribuire, condividere e alimentare la

conoscenza, modellandola sulle proprie esigenze e veicolandola sapientemente nei processi della propria

organizzazione vince la sfida competitiva. Solo chi sa realizzare nel modo corretto il proprio progetto di

knowledge management, è destinato ad affermarsi a discapito di coloro che non sanno dare il giusto

valore alla conoscenza”134.

Ne deriva che le imprese che intendono utilizzare pratiche di knowledge management, orientate ai

risultati e rispondenti alle esigenze strategiche imposte dal mondo esterno, devono puntare su di una

pianificazione che consideri almeno quattro aspetti rilevanti dell’assetto d’impresa135. Come mostra la

figura 5.2.

Le variabili da gestire concernono:

- Le risorse umane. Introdurre un sistema di KM implica dei profondi cambiamenti nelle

dinamiche di gestione delle risorse umane: con esso si affacciano sul “palcoscenico

d’impresa” nuovi ruoli e nuove competenze;

- Le dinamiche organizzative: le vecchie strutture burocratiche mal si addicono ad un sistema

che richiede flessibilità e coordinamento. Si necessita invece di processi innovativi e

apertura al cambiamento;

- La tecnologia: è lo strumento essenziale che mette le persone in condizione di condividere

di creazione e di condivisione della conoscenza. Si rinvia ad altra sede per la trattazione di questiargomenti.133 Nel quarto capitolo si vedrà come molti degli aspetti appena citati troveranno pratica applicazione nelcaso di studio oggetto del presente elaborato.134 Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 10135 L’elenco che segue è frutto di una nostra elaborazione di quanto presente nel sito:microsoft.com/italy/dns/pract_know2.html.

le attività all’interno di strumenti conoscitivi;

- La creazione di valore: le tradizionali leve di generazione di valore hanno lasciato il posto a

nuovi fattori strettamente connessi alla risorsa conoscenza.

Schema 4.2Le dimensionidel Km Fonte: nostro adattamento da: www.microsoft.com/italy/mdns/pract_know2.html

E’ evidente a questo punto il carattere multidisciplinare sopra accennato del knowledge management.

“Introdurre sistemi di gestione della conoscenza”, sostiene l’Ing. Giuseppe d’Imporzano, amministratore

delegato e direttore generale di Sadi Spa, “significa ottimizzare il presente per preparare il futuro, dove

ottimizzazione del presente indica la creazione delle condizioni affinché persone preparate, tecnologie

d’avanguardia e eccellenza dell’organizzazione possano contribuire all’accrescimento del valore

d’impresa (risultato futuro)”136. Analizziamo ora ognuna di queste variabili in modo più dettagliato137.

2.2.1 I knowledge Workers

Il lavoro sta cambiando. Esso è diventato nella maggior parte dei casi lavoro cognitivo, in cui le risorse

umane non trasformano più la materia prima, ma generano conoscenze innovative che con il loro impiego

saranno usate per trasformare la materia in utilità e valore per il cliente.

Il settore dei knowledge workers raccoglie ad oggi oltre il 25% della forza lavoro di settori come servizi

finanziari, high tech, sanità, industria farmaceutica, media e intrattenimento. Si tratta, inoltre, di

“lavoratori” presenti a qualsiasi livello organizzativo, dalle vendite alla direzione aziendale.

136 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 69.137 Dopo un’impostazione prettamente teorica proposta nel primo paragrafo, abbiamo deciso di valutareed analizzare l’impatto che le pratiche di KM hanno addotto all’interno delle organizzazioni.

Risorse

Umane

Tecnologia

Creazione di valore

Organizzazione

Drucker sostiene che i knowledge workers rappresentano la risorsa più vitale delle aziende del 21° secolo.

Ma che cosa si intende con il termine Knowledge worker138? E soprattutto cosa fanno i knowledge

workers in azienda?

I knowledge workers sono i lavoratori che operano convertendo le informazioni in sapere, usando le

proprie competenze e interagendo con specialisti di processi di comunicazione e IT139. Insomma sono i

veri artefici dell’implementazione di un sistema di KM140.

Tuttavia essi sono anche la categoria di individui più difficile da definire e da

dirigere e richiedono modalità di gestione differenti per migliorarne i risultati e

aumentarne la produttività. “Il loro mestiere è quello di pensare” sostiene Drucker, “il che

implica una complessità e una responsabilità mai riscontrati prima”.

Come si può vedere dalla figura 5.2. il ruolo del knowledge worker abbraccia una molteplicità di

aspetti141.

Schema 5.2: I quattro ruoli principali del knowledge manager Fonte: nostra elaborazione daCASTELLI P., “Cercasi knowledge manager. Ruoli e competenze per la gestione della conoscenza”,Economia e Management, n. 1, 2003

Ruolo tecnologico: il Knowledge worker (in questo caso IT expert) è responsabile del funzionamento

operativo del sistema di KM, cura la gestione e il costante aggiornamento delle infrastrutture IT per il

KM e le eventuali applicazioni di supporto;

Ruolo innovativo: essendo il responsabile dei contenuti che vengono elaborati egli deve assicurare che il

sistema di KM sviluppi e contenga conoscenza di qualità e soprattutto che essa sia utile all’intera

138 Il termine knowledge worker verrà spesso abbreviato con la sigla KW139 Tale definizione è tratta da QUAGINI L., “Business intelligence e KM”, ANGELI, Milano, 2004, pag.160140 Basti pensare che un buon sistema di KM dipende per un 80% dal cambiamento delle persone e dellacultura aziendale141 Il ruolo del KM è frutto di una rielaborazione di quanto sostenuto in: AZZARITI F., MAZZON P., “Ilvalore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS,2005, pag. 181. Oltre al ruolo del knowledge manager sarebbe interessante comprendere quali sono lecompetenze, le conoscenze e le capacità che un lavoratore della conoscenza deve possedere. In genere,ma ancora gli studi sono in corso d’opera, il knowledge manager deve avere conoscenze di IT, linguestraniere, forte consapevolezza della propria impresa e del settore di appartenenza, e ovviamenteconoscenza delle risorse umane con cui lavora. A livello di capacità si identificano quella dicomunicazione e ascolto, di analisi e sintesi, di rapporti interpersonali. Le attitudini alla copertura delruolo concernono invece: entusiasmo, motivazione, curiosità, flessibilità, innovazione.

Principali responsabilità delKW

Ruolo tecnologico:

Responsabile del

funzionamento

operativo del sistema

Ruolo innovativo:

Responsabile dei

contenuti in termini

di qualità utilità e

Ruolo di processo:

Responsabile dei

processi di KM

Ruolo di

comunicazione:

Responsabile del

marketing di servizio

organizzazione e continuamente aggiornata. In questo senso il knowledge manager deve svolgere

un’opera di redazione, o perlomeno di traduzione, della conoscenza grezza per renderla comprensibile e

utile all’interno dell’impresa;

Ruolo di processo: il knowledge manager è chiamato a definire e gestire le procedure di creazione,

contribuzione, raccolta, utilizzo, diffusione e valorizzazione della conoscenza;

Ruolo di comunicazione: ovvero di continua promozione del KM all’interno dell’organizzazione

attraverso piani di comunicazione ed eventuali piani di change management 142.

Oltre agli aspetti appena delineati, quando si parla di knowledge worker non si può non fare riferimento

alla piramide dell’organizzazione intelligente di Choo Chun Wei raffigurata nello schema 6.2, la quale

mette in luce i protagonisti di un sistema di KM143. Lo schema di Choo Chun Wei del 1995 identifica

quattro figure professionali all’interno di un sistema di KM144:

Schema 6.2 La piramide dell’organizzazione intelligente. Fonte: nostra elaborazione da

BOTTIN A. “Il knowledge management”, 2002

Gli esperti del dominio (domain experts) sono coloro che creano ed utilizzano la conoscenza. La loro

142Il change management è definito anche "gestione del cambiamento" ed abbraccia tutte quelle attivitàcorrelate alla consulenza ed alla messa in opera di nuove risorse finalizzate al cambiamento organizzativodi un'azienda che ha necessità di svecchiarsi e dare un'impostazione moderna e adeguata ai tempi.Anticipiamo fin da subito che la tassonomia KM-change management, a nostro avviso, non sempre deveessere rispettata: un sistema di gestione della conoscenza non implica necessariamente un cambiamentonell’assetto d’impresa, anzi molto spesso tende ad impattare il meno possibile da questo punto di vista.Come si vedrà meglio nei capitoli 3 e 4.143 Per completezza d’informazione si riporta anche lo schema dell’organizzazione intelligente di ChooChun Wei, in quanto costituisce un importante contributo alla disciplina. In realtà il modello non è anostro avviso pienamente corretto poiché pretende di individuare a priori le figure che intervengononell’implementazione di un sistema di knowledge management. Come si vedrà meglio nel quarto capitolo(in sede di descrizione del sistema iKnow) i soggetti promotori ed utilizzatori del sistema cambiano dacaso a caso e pertanto non si può procedere con una loro definizione aprioristica. Ricordiamo inoltrecome con il termine di organizzazione intelligente si intenda un’organizzazione che sa che al centro deipropri risultati c’è la valorizzazione della mente di chi ne realizza consapevolmente i processi.144Cfr. http://siba2.unile.it/sinm/4sinm/interventi/sinmingo.html

DO

IT EXPERTINFORMATIONEXPERT

UTENT

principale attività è assicurare l'efficacia dell'intera organizzazione attraverso l'innovazione, l'adattamento

e l'apprendimento.

Gli esperti dell'informazione (information experts) sono coloro che organizzano la conoscenza in schemi

e strutture per facilitarne l'accessibilità, aumentarne il valore e favorirne l'utilizzo.

Gli esperti della tecnologia dell'informazione (IT experts) sono coloro che creano e gestiscono le

infrastrutture al fine di favorire i processi di elaborazione e scambio della conoscenza. Il loro ruolo è

quello di assicurare l'efficienza dell'intero processo.

Al centro della piramide dobbiamo invece posizionare l'utente-cliente "come massimo esperto del

dominio, il cui interesse preminente consiste nel separare la gestione dell'informazione da quella della

tecnologia dell'informazione, affinché non venga perduta la chiarezza degli obiettivi del sistema, che è

quella di fornire l'informazione all'utente affinché questa divenga conoscenza" .

Terminata l’analisi delle figure e dei ruoli che intervengono in un sistema di KM rimangono però da

sciogliere alcuni altri “nodi”. Uno di questi può essere efficacemente sintetizzato dalla seguente

domanda: dove si collocano all’interno dell’organigramma i knowledge workers145? Le soluzioni più

frequentemente adottate inseriscono il knowledge manager o nei sistemi informativi oppure nell’ambito

delle R.U. Talvolta però altre possibilità sono legate alla funzione aziendale in cui è nato il KM o che per

prima lo ha utilizzato, per esempio la R&S oppure il marketing. Infine una terza possibilità che viene

spesso caldeggiata è quella di avere un’unità di staff a sé stante, a supporto direttamente della Direzione

generale146. L’aspetto però forse più interessante da analizzare in merito alla gestione delle risorse umane

nei sistemi di KM è costituito dalla nascita di un nuovo ruolo dirigenziale: quello del Chief Knowledge

Officer (Cko147). Egli non è altro che il top-manager della conoscenza, un manager “nuovo” che deve

possedere parecchie qualità148, e che deve saper gestire un processo e una risorsa alquanto intricati.

Secondo Lester Thurow149 la storia recente di imprese americane che hanno perso delle grandi

145 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 182146 Un’altra interessante domanda alla quale sarebbe utile rispondere è: Come si gestiscono i knowledgeworkers? La strategia di H.R. prevista nel caso di KM prevede una serie di passi che vanno seguiti nellaprocedura: priorità e massima attenzione nelle fasi di selezione ed assunzione del personale (valutazionedelle qualità della persona, attitudine, personalità), particolare importanza nell’apprendimento/trainingdell’azienda (inserimento nel contesto aziendale, possibile affiancamento a persone che sono da piùtempo in azienda), processo di responsabilizzazione, maggiore autonomia (Il KW ha la responsabilità diportare avanti determinati compiti, gli vengono date fiducia e autonomia), revisione della performance esistema di incentivi (il lavoro del KW viene monitorato, analizzato, e se la performance è buonal’individuo è premiato, se la performance è cattiva l’azienda effettua una revisione per capire leproblematiche ed aiutare così l’individuo a migliorare il proprio rendimento).147 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 180148 Egli è sostenitore della conoscenza e dell’apprendimento; progettista, implementatore e capo squadradi un’infrastruttura della conoscenza; il primo collegamento tra fornitori esterni di informazioni econoscenze; il fornitore di input fondamentali nella creazione di conoscenze; il trascinatore nellacostruzione e nell’implementazione di un’architettura della conoscenza; un esperto in alcuni aspettifondamentali della KM come la creazione, la disseminazione e l’applicazione di conoscenza; un profondoconoscitore di pratiche di KM e di innovazione tecnologica; Competente in discipline come l’ICT, il BPR(Business Process Reengineering ovvero Gestione del Cambiamento Organizzativo) e soprattutto in KM.149 THUROW L., “Help wanted: a chief knowledge officer”, in: www.fastcompany.com/magazine/78/helpwanted.html,gennaio 2004

opportunità (come Polaroid, Apple, etc..) dimostra che, laddove manca un Cko riconosciuto manca anche

il presupposto per sconfiggere l’inevitabile declino. L’esempio che Thurow adduce per spiegare questa

affermazione è quello di Gates: secondo l’economista americano il magnate Gates è il prototipo del Cko,

in quanto ha passato le redini aziendali a Steve Ballmer e ha tenuto per sé la missione di architetto della

Microsoft al fine di prevedere come le emergenti tecnologie software potranno dialogare tra di loro ed

essere inserite in modo standard all’interno delle imprese. Focalizzarsi su questa scelta e non sulla corsa

all’impresa, determinerà il successo o il fallimento di Microsoft. Un ultimo aspetto rimane ancora da

considerare: nell’implementazione di sistemi di KM bisogna tenere necessariamente in considerazione il

fattore “cultura organizzativa”. La creazione di una knowledge culture significa “occupare lo spirito dei

lavoratori” con una logica di condivisione della conoscenza e rendere continuamente obsolete le proprie

acquisizioni, anche quelle di comprovato successo per fare in modo che si venga a creare un ambiente di

incertezza che spinga l’organizzazione alla ricerca di nuove conoscenze oltre i propri confini. Vedremo,

infatti, che le resistenze culturali rappresentano forse il maggiore ostacolo nell’implementazione di

sistemi di knowledge management. Affinché questo non avvenga, è indispensabile avviare un processo di

maturazione culturale dei dipendenti secondo due direzioni: 1) Diffondere una cultura “Knowledge

sharing”; 2) Incentivare la creazione di nuova conoscenza.

Esemplificativo è a riguardo il caso Riello. L’introduzione di sistemi di KM nell’azienda è significato

primariamente attenzione alle persone: l’intera organizzazione è stata trasformata in un team di persone

che collabora in maniera eccellente e che interscambia informazioni e conoscenze in maniera continua.

La creazione di una cultura della condivisione della conoscenza sta portando al raggiungimento di grandi

risultati150.

2.2.2 La Learning Organization

I cambiamenti in atto nella gestione delle risorse umane che sono stati appena descritti sono soltanto unapiccola parte di una trasformazione ben più profonda, che riguarda l’essenza stessa dell’organizzazioned’impresa.I vecchi giganti dell’era industriale – Exon, General Motors, Ford,…- cedono il passo ai nuovi colossidel capitalismo cognitivo: Disney, Microsoft, Sony. Nel 2050 basterà il 5% della popolazione adulta pergestire e far funzionare i settori produttivi tradizionali. Fattorie, fabbriche e uffici quasi completamenteprivi di personale saranno la norma di ogni paese. L’industria dell’esperienza è destinata a dominare. Leidee, l’immaginazione e la conoscenza sono i principali generatori di ricchezza151. Hamel afferma che ladiscriminazione non corre tra vecchie e nuove aziende e neppure tra aziende dot.com e imprese dell’eraindustriale, bensì tra coloro che sono in grado di introdurre profonde innovazioni e coloro che non losono. Ciò che fa la differenza non sono le tecnologie o il nuovo prodotto, ma la capacità di introdurreinnovazioni incrementali nei modelli di business. Nokia ne è la testimonianza: il suo successo non risiedetanto nella sua superiorità tecnica quanto nella sua capacità di immaginare il futuro. Questa breveintroduzione lascia intendere un concetto chiaro e definito: le organizzazioni sono cambiate, nella forma enella sostanza, adeguandosi di fatto a quello che risulta essere il moderno capitalismo cognitivo.

150 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 55.151 SALVEMINI S., da una conferenza su “Il trentino: Silicon valley della conoscenza”, 2003

Proponiamo ora uno schema che illustra le principali differenze tra l’azienda tradizionale e la nuovaorganizzazione operante nella Knowledge Era.

Variabili Azienda tradizionale Knowledge company

Focus strategicoObiettivi centrati sull’azienda, condifficoltà di ottenere feed back dal

cliente

Obiettivi centrati sulla trasmissionee condivisione di conoscenza versoil cliente e gli altri attori della filiera

Focus produttivoProduzione interna integrata, condifficoltà di gestire la gamma e le

personalizzazioni di prodotto

Integrazione dei processi produttiviverso l’esterno, supportata dacondivisione di vision e strategia

Forma organizzativa Integrazione tra i vari processiproduttivi e aziendali interni

Integrazione completa dei processi,supportata da condivisione di visione startegia

Risorse umane Fonte di costi Fonte di reddito

Informazione Strumento di controllo Strumento di comunicazione erisorsa

Fonte di reddito Tangibiles (moneta) Intangibiles (idee, apprendimento,R&S)

Tabella 1.2 Comparazione tra azienda tradizionale e knowledge company Fonte: nostro adattamento daTONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management.Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano,2003, pag. 209

La tabella mostra le principali trasformazioni che sono avvenute e che tutt’ora stanno avendo luogo

all’interno delle aziende152. I dati non hanno bisogno di molte spiegazioni: le nuove knowledge

companies non hanno nulla a che vedere con il passato, né in termini di obiettivi strategici e produttivi

(che da un forte accentramento sul processo produttivo interno all’azienda sono evoluti in obiettivi di

conoscenza proiettati anche fuori dall’azienda); né in termini di creazione di valore, che non è più

focalizzato sugli aspetti tangibili d’impresa ma sugli elementi immateriali della stessa.

E’ nata insomma una nuova organizzazione d’impresa; un’organizzazione che non accetta più il modello

del “comanda e controlla”, ma che crede che la creatività e l’iniziativa individuale siano molto più

importanti dell’omogeneità e della conformità. E’ nata insomma quella che viene comunemente chiamata

Learning Organization: un’organizzazione che stimola le singole risorse a “donare” il proprio sapere,

incoraggiandole ad apprendere e a trasformare le conoscenze individuali in conoscenze organizzative. La

sfida della Learning Organization non è quella di forzare ad adattarsi al modello dell’uomo organizzativo,

ma quella di costruire un sistema abbastanza flessibile tale da valorizzare la conoscenza di ciascuna

persona e garantire che le esperienze e le conoscenze individuali siano messe a disposizione dell’intera

organizzazione. Ne deriva che è attraverso il concetto di Learning Organization, che le aziende

dovrebbero individuare la via di sviluppo, una via impostata sulla capacità di combinare il “saper fare”,

legato alla storia e all’esperienza della singola azienda, con il “dover fare”, legato all’esigenza di restare

su un mercato in rapida evoluzione.

Vediamo meglio quali sono gli elementi caratteristici di un sistema di KM che spingono

un’organizzazione a diventare un’organizzazione che apprende. In correlazione allo schema sopra

152 Altre informazioni in merito ai cambiamenti avvenuti all’interno delle organizzazioni sono statetrattate nel primo capitolo, nel paragrafo1.1.4

delineato in merito alle funzioni del knowledge worker possiamo dire che il KM si compone di quattro

elementi fortemente correlati fra loro e che coinvolgono sistematicamente tutti i livelli d’impresa (schema

7.2)153:

- il monitoraggio top-down delle attività relative alla conoscenza;

- la creazione e il mantenimento della infrastruttura di conoscenza;

- il rinnovamento, l’organizzazione e la trasformazione dei knowledge asset;

- l’utilizzo dei knowledge asset per la realizzazione del valore.

Schema 7.2: Le quattro aree del KM

Fonte: MASSA M., MERLINO P., PULIAFITO P., “KM e vantaggio competitivo”, Sviluppo eOrganizzazione, n. 173, maggio-giugno 1999

La creazione di una struttura che aiuti e faciliti la realizzazione delle attività appena illustrate ha portato

all'ideazione del concetto di "learning organization": un'organizzazione in grado di gestire la propria base

conoscitiva, coordinando i flussi di conoscenza in modo da massimizzare il valore delle informazioni che

genera e acquisisce.

Per meglio definire il concetto di learning organization occorre fare riferimento al contributo di Peter

Senge154, uno dei padri fondatori della materia. Egli sostiene che: “Le organizzazioni che apprendono

sono quelle nelle quali le persone aumentano continuamente la loro capacità di raggiungere i veri

risultati cui mirano; nelle quali si stimolano nuovi modi di pensare orientati alla crescita; nelle quali si

lascia libero sfogo alle aspirazioni collettive, e nelle quali, infine, le persone continuano ad imparare

come si apprende insieme”.

Ma quali sono i punti fermi delle organizzazioni che apprendono? Da più parti si sostiene che esistano

cinque elementi distintivi attorno ai quali coagulare il profilo dell’organizzazione che sa fare

apprendimento organizzativo155 (schema 8.2).

153 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 180154 Un breve accenno all’autore è stato trattato nel paragrafo 2.1.2155 Cfr. QUAGLINO G.P., GHISLIERI C., “La leadership per l’apprendimento”, Sviluppo eOrganizzazione, n. 198, luglio-agosto 2003, pag. 37 - 47

Crescere in conoscenza

Ottimizzare la condivisionedelle informazioni

Riflettere sulla storia eapprendere dall’esperienza

Massimizzazi

Funzioni digoverno:

monitoraggio eincentivazione delleattività legate alla

conoscenza

Funzioni di staff:costruzione e

aggiornamentodell’infrastruttura

relativa allaconoscenza

Funzionioperative:creazione,

rinnovamento,costruzione e

organizzazione deiknowledge asset

Realizzazione delvalore dellaconoscenza:diffusione e

applicazione deiknowledge asset

Schema 8.2 L’organizzazione che apprende Fonte: QUAGLINO G.P., GHISLIERI C., “La leadershipper l’apprendimento”, Sviluppo e Organizzazione, n. 198, luglio-agosto 2003, pag. 37 - 47

Crescere in conoscenza: l’apprendimento è opportunità per acquisire nuove conoscenze ed è ritenuto

indispensabile per puntare all’eccellenza;

Ottimizzare la condivisione delle informazioni: condividere le informazioni significa apprendere dagli

altri e veicolare i propri saperi attraverso l’organizzazione,

Fondare l’azione sulla partecipazione: la Learning Organization si basa sul coinvolgimento di diversi

attori, sulle relazioni tra individui, sull’atto quotidiano di apprendere;

Orientarsi all’innovazione attraverso la trasformazione: il cambiamento è conditio si ne qua non per

parlare di apprendimento organizzativo. Nulla è più permanente del cambiamento diceva Eraclito.

Riflettere sulla storia e apprendere dall’esperienza: la storia di un’impresa è sicuramente importante

come base di partenza per capire l’insieme dei processi che rendono possibile l’utilizzo dell’esperienza

pregressa.

Arrivati a questo punto è lecito però porsi una domanda: esiste un’organizzazione universalmente valida

atta a supportare processi di gestione della conoscenza156? Secondo Beckman no, anche se ovviamente

esistono alcuni fattori che potrebbero agevolare lo svolgimento del processo: alti rendimenti; alta

attenzione al cliente; propensione al miglioramento; guida all’eccellenza; alta flessibilità e adattabilità;

alti tassi di competenze e conoscenze; alti tassi di apprendimento e di innovazione; strutture innovative di

ICT; autodirezione; competenze di valore e distribuzione della conoscenza; learning organization

insomma.

In altre parole il KM funziona solo se viene portato “dentro” ai processi aziendali e se non è tenuto come

una funzione separata agli stessi. Tutti gli interventi di KM tendono ad individuare per ogni fase dei

processi produttivi le corrispondenti attività di gestione della conoscenza prodotta in quella fase o

necessaria per svolgerla157.

Ad esempio per la progettazione e sviluppo di prodotti e servizi le soluzioni di KM sono in grado di

offrire metodologia per condividere le idee e focalizzare le best practise di progettazione; per lo sviluppo

del personale il KM valorizza le abilità e le competenze degli impiegati offendo formazione e

migliorando la motivazione,….

Quando si parla di learning organization e delle caratteristiche che le nuove aziende knowledge based

devono possedere, il riferimento alla coerenza dei sistemi di KM con i processi aziendali è

156 Nostra elaborazione da: PINE B.J., GILOMORE J.H., “The experience Economy. Work is theatre &every business a stage”, ETAS, 2005157 MORICI R., “KM: Approcci, soluzioni, casi”, Sistemi e impresa, n. 2, marzo 2000

Fondare l’azione sullapartecipazioneOrienta

imprescindibile: è il presupposto di base di un qualsiasi mezzo di gestione della conoscenza che voglia

essere vincente sul mercato158.

2.2.3 Le tecnologie di gestione della conoscenza

In un sistema di KM la componente tecnologica è di fondamentale importanza. E’ stato già ribadito nel

primo capitolo come l’Era del capitalismo cognitivo sia stata accompagnata da una massiccia rivoluzione

tecnologica: di fatto viviamo immersi in un mondo che comunica continuamente e velocemente con

strumenti quali Internet, posta elettronica, etc…. Inutile ribattere in quest’ambito sui vantaggi che mezzi

di tale portata hanno recato all’intera umanità. Ci preme però ricordare che essi sono di fondamentale

importanza per tutte quelle aziende che decidono di dotarsi di sistemi di KM: la riduzione del tempo

disponibile per prendere le decisioni e il costante aumento della quantità di informazioni disponibili

impongono alle stesse di fornire ai propri dipendenti strumenti validi per conseguire gli obiettivi

programmati, che consentano di trasformare il “perenne brusio del flusso di informazioni nella musica

della conoscenza”159. Il software ha l'esclusiva capacità di raggiungere questo obiettivo. Esso fornisce

l'infrastruttura, ossia le fondamenta per i sistemi più importanti di qualsiasi azienda, determinando inoltre

il grado di utilità di tali sistemi.

Quando si parla di strumenti di KM si deve fare necessariamente riferimento al concetto di Business

Intelligence. L’espressione BI (Business Intelligence) è stata coniata dal gruppo Gartner, colosso della

consulenza direzionale e delle ricerche di mercato, che l’ha definita come sistema per il reperimento di

qualsiasi informazione di importanza potenzialmente strategica per un’azienda. Essenzialmente essa

viene identificata come quel complesso sistema di regole, competenze e strumenti volti a trasformare i

dati aziendali in informazioni e quindi in conoscenza, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni e le

decisioni della line, dei vertici e degli azionisti. In realtà il concetto di BI è un concetto che si è evoluto

nel corso del tempo160.

Durante la seconda metà degli anni ’80 si parlava di Data Management e quindi del processo di

formalizzazione degli eventi aziendali in dati informativi. A tale fase fece seguito lo sviluppo di tecniche

e di metodologie che trasformassero questi dati in informazioni strutturate e finalizzate al supporto delle

decisioni aziendali, strategiche ma soprattutto operative (BI). Solo recentemente si nota un vero e proprio

158 In realtà la tematica dei processi aziendali è stata trattata soltanto alla fine del paragrafo non perchénon sia di rilevante importanza quanto perché essa riassume un po’ il senso della learning organization.E’ naturale e quasi scontato che i sistemi di KM debbano essere coerenti con i processi aziendali. Non acaso anche nel quarto capitolo, quando verrà trattato il case history vedremo che iKnow si configuracome metodo e strumento per valorizzare la conoscenza iGuzzini idoneo a far emergere le conoscenzetacite, quelle esplicite e quelle incorporate nei processi aziendali.159 www.microsoft.com/italy/mdns/pract_know2.html160 Cfr. QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni edelle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 127-128

processo che porta, dalle informazioni ottenute con gli strumenti di BI, alle azioni direzionali. Si parla di

Management Intelligence.

L’approccio chiave e discriminante del Management Intelligence è che le informazioni di per sé non

contribuiscono alla creazione di valore se non servono, attraverso il miglioramento dei processi

decisionali, a modificare le azioni da intraprendere.

Come mostra lo schema 9.2.

Si può intuire come questa definizione piuttosto ampia includa varie sottocategorie che vengono

identificate con sigle e nomi diversi, come Data Warehousing, Data Mining, BPM, CPM, CRM,

Scorecards, Dashboards, Budgeting, Planning fino ad includere aree confinanti come il Knowledge

Management.

Un sistema di MI passa necessariamente attraverso la disponibilità di strumenti e tecnologie adatti allo

scopo. L' information technology risulta essere pertanto un punto di partenza fondamentale

nell’implementazione di un sistema di MI e quindi di KM161.

Schema 9.2 “Da data management a management intelligence”Fonte: QUAGINI L. “Business Intelligence e Knowledge management”, ANGELI, Milano, 2004 pag.128

L'informatica è ormai una presenza familiare in tutte le attività lavorative, ma non deve bastare lapresenza di un computer a convincere che si hanno gli strumenti adatti. Quello che serve è una tecnologiache sia orientata alla condivisione delle informazioni in maniera semplice e veloce. Il ruolo dellatecnologia nell’ambito di sistemi di KM può essere sintetizzato nei seguenti termini162:

- Rendere possibile la codifica e la strutturazione della conoscenza di un individuo o di un

gruppo e restituire poi la stessa a tutta l’azienda,

- Aumentare la velocità con cui la conoscenza viene trasferita,

- Estendere le possibilità di interazione tra gli individui, creando nuove forme di

collaborazione.

Per ognuno di questi obiettivi sono disponibili soluzioni tecnologiche ad hoc.

161 Ovviamente in questa sede analizziamo le tecnologie di KM. Abbiamo ritenuto opportuno però citareil concetto di BI edi MI cui il KM è intimamente connesso.162 Quanto verrà trattato in merito alle tecnologie di KM è frutto di una nostra elaborazione da:FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. IlCaso it Consult”, 2005. In quest’ambito occorre sottolineare come lo sviluppo delle tecnologie

DATAMANAGEMENT

’85 – ‘90AZIONI DATI

BUSINESSINTELLIGENCE

’85 – ‘90

MANAGEMENTINTELLIGENCE

’85 – ‘90

DATI INFORMAZIONI

INFORMAZIONI AZIONI

Il seguente paragrafo si pone l’obiettivo di presentare una breve rassegna di questi strumenti e della loro

utilità nell’ambito delle attività di KM163. Dai casi aziendali citati in letteratura emergono

fondamentalmente tre categorie di soluzioni tecnologiche per il KM:

1. Repositories,

2. Sistemi di collaborazione,

3. Ambienti di analisi.

La tabella che segue mette in relazione queste tre categorie di strumenti con le attività di knowledge

management164.

REPOSITORIES SISTEMI DICOLLABORAZIONE

AMBIENTI DIANALISI

IDENTIFICAZION

E

TRASFERIMENT

O

SVILUPPO

Tab. 2.2 “Il ruolo della tecnologia nelle attività di KM” Fonte: nostro adattamento da: FUSCIANI V.,“ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. Il Caso it Consult”,2005

Analizziamo ora ognuna delle soluzioni tecnologiche citate.

- Repositories. Sono archivi di conoscenza che contengono qualunque informazione proveniente da

qualsiasi fonte interna o esterna all’azienda. La loro necessità si manifesta in modo più pressante dopo

la fase di identificazione della conoscenza aziendale (attraverso le mappe di conoscenza)165, in cui si ha

bisogno di una rappresentazione puntuale dei saperi individuati al fine del loro trasferimento e della

“mobilità” interna. I repositories possono assumere diverse configurazioni: File System, Posta

elettronica, Internet, Fax, Supporti multimediali, ecc… Solitamente si distinguono però due diversi tipi di

informatiche abbia favorito ed agevolato in modo consistente la creazione degli strumenti di KM cheverraano qui di seguito trattati.163 In questa sede non ci sembra opportuno dilungarsi sulle caratteristiche specifiche delle tecnologie diKM, in quanto gli strumenti a disposizione sono praticamente infiniti e le caratteristiche di ognuno di essipossono essere cambiate e combinate a seconda delle esigenze.Abbiamo pertanto optato per la soluzionedi fornire una breve panoramica di quelle che a nostro avviso risultano essere le tecnologie di KM piùsignificative ad oggi nell’odierno contesto competitivo.Nel quarto capitolo verrà trattata in modo più approfondito la tecnologia usta per l’azienda iGuzziniIlluminazione. Per ulteriori approfondimenti in merito alle tecnologie di KM si veda:http://www.itconsult.it/knowledge/ white_papers/pdf/itc_WP_Strumenti_Tecnologie_KM_Cap3.pdf164 Occorre in quest’ambito sottolineare come per attività di KM si debba intendere il ciclo di vita dellaconoscenza che verrà descritto in seguito. Fra le molteplici classificazioni delle tecnologie di KMesistenti in letteratura, in questa sede ne è stata considerata una di tipo pragamatico perché più delle altrefa comprendere l’utilità degli strumenti in questione.165 Si rimanda al paragrafo successivo per ciò che concerne le mappe di conoscenza.

repositories: quelli off line e quelli on line. I primi fanno riferimento a tecnologie quali Lotus Notes che

consentono l’archiviazione di informazioni e successive analisi della stessa veloci e flessibili166.

L’utilizzo dello strumento Web, invece, è particolarmente ideale per la gestione di informazioni

pubblicate attraverso diversi tipi di piattaforme informatiche e per la ricerca e il recupero di conoscenza

basata su documenti167. Sistemi come questi sono stati attivati da numerose aziende. Ricordiamo ad

esempio la Hewlett-Packard che rappresenta ad oggi un laboratorio importante per il knowledge

management basato sulle tecnologie Web. HP ha costruito per la Hewlett Packard un repository di

centinaia di migliaia di documenti che possono essere utili ai propri rappresentanti di sistemi informatici

nel processo di vendita. Il sistema si chiama Electronic Sales Partner (ESP) e permette l’accesso ad esso

da qualsiasi luogo, tramite un Web interno, a centinaia di migliaia di rapporti, presentazioni, descrizioni

tecniche delle macchine, etc... I documenti vengono inseriti nel repository su proposta dei membri della

HP, dopo essere stati valutati da un gruppo di persone che ne controlla l’unicità e l’utilità168. Il sistema

contiene un motore di ricerca, una funzione che permette di passare in rassegna i documenti per

categoria, strumenti per differenziare i permessi di accesso e per archiviare documenti che da tempo non

vengono consultati169.

- Sistemi per gestire la collaborazione. I sistemi di collaborazione sono quelle soluzioni che mirano a

connettere le persone tra loro (anche a distanza), facilitando la possibilità di trasferimento e sviluppo di

nuova conoscenza170. Sono strumenti particolarmente utili quando la conoscenza non è enunciabile e

quindi non ammette rappresentazioni. Esistono diversi strumenti per operare il trasferimento della

conoscenza e ognuno mette in contatto le persone a diversi livelli:

- Pagine gialle degli esperti: sono assimilabili ai repositories trattati in precedenza con la

differenza che con essi non vengono condivisi documenti di rappresentazione della

conoscenza, ma descrizioni di ciò che ciascuna persona sa e sa fare. Tale strumento offre

informazioni sulle persone dell’organizzazione, per esempio la loro formazione,

l’esperienza lavorativa con descrizione delle posizioni assunte all’interno e all’esterno

dell’organizzazione, i progetti a cui è coinvolto, le responsabilità assegnate o particolari

competenze.

166 Ad esempio Lotus Notes unisce funzioni di posta elettronica, calendario e pianificazione con unapiattaforma desktop avanzata per applicazioni collaborative.167 L’utilizzo di archivi basati su questa tecnologia si sta diffondendo notevolmente, dal momento chemigliaia di imprese si stanno impegnando in questo senso. Il Web, infatti, rappresenta una tecnologiaintuitiva, integrata con rappresentazioni audio, video e grafiche della conoscenza. La conoscenzaspecifica di un’area è spesso collegata ad un’altra conoscenza, e la struttura a ipertesti del Web facilitanotevolmente il trasferimento della ricerca da un “luogo” a un altro.168 Da questo caso emergono tutte le funzioni sopra citate del knowledge worker.169 Infine, ad ogni repository aziendale deve essere associato un sistema di Information Retrival. Esso ècostituito da strumenti per la ricerca dei dati che offrono continui miglioramenti, arricchendosi difunzioni per la classificazione in base alla rilevanza dei documenti, la possibilità di interrogare le basi datitramite linguaggi naturali e, in generale, varie nuove capacità che incrementano la velocità e la precisionenella ricerca delle informazioni.

- Sistemi di Groupware171: offrono la possibilità di interagire a distanza, avvalendosi di

strumenti di e-conference e Workflow172. Inoltre, con la crescita della larghezza di banda, le

possibilità dell’interazione a distanza crescono: è oggi possibile dialogare in tempo reale a

distanza arricchendo la conversazione di filmati, voce, documenti condivisi, ecc. Queste

soluzioni permettono di oltrepassare la barriera spaziale che renderebbe impossibile

l’interazione in contesti distribuiti.

- Strumenti di e-learning173: anche la formazione a distanza può essere considerata uno delle

nuove tecnologie che concorrono ad un progetto di knowledge management. Essa consente

di aggiornare professionalmente il personale. KM e e-learning hanno diversi punti in

comune: il Knowledge management ha come obiettivo primario la creazione di nuova

conoscenza, mentre l’e-learning ha come obiettivo primario la diffusine della conoscenza

esistente.

- Ambienti di analisi. Questi sistemi partono dal presupposto che la sovrabbondanza dei dati non implica

il possesso dell’informazione necessaria, anzi una massa spropositata degli stessi può coincidere con

l’incapacità di tirar fuori informazioni rilevanti. Non basta disporre di dati, occorre poterli analizzare.

Come è stato detto nel Capitolo 1, infatti, dai dati è possibile arrivare a delle informazioni e dalle

informazioni alla conoscenza. I sistemi che consentono di muoversi in questo senso prendono il nome di

Data Warehouse, e Data Mining.

Il Data Warehouse174 (DWH) è una piattaforma sulla quale vengono archiviati e gestiti dati provenienti

dalle diverse aree dell’organizzazione; tali dati, organizzati ad esempio per argomento e per riferimento

temporale, sono finalizzati al supporto del processo decisionale. Il padre fondatore del DWH è Immon,

170 Davenport, nella sua trattazione sulle tecnologie per il Knowledge management, afferma che il valorecritico della tecnologia nella gestione della conoscenza, riguarda proprio l’estensione e l’accelerazionedel trasferimento.171 Con Groupware si intendono l’hardware e il software che supportano il lavoro di gruppo. Leapplicazioni Groupware non devono essere intese come strumenti atti al rimpiazzo delle persone cheoperano in situazioni interattive, piuttosto devono essere percepite come un insieme di strumenti il cuiscopo è facilitare e sviluppare la collaborazione. Il Groupware consiste, quindi, in un insieme di prodotti“group oriented” progettati per permettere a persone diverse di lavorare e condividere informazioni.172 I sistemi di Workflow sono le tecnologie che consentono alle informazioni di essere distribuite ai variutenti del sistema, attenendo perciò al processo di distribuzione delle informazioni e facendo perciò partedi sistemi di Groupware. Permettono di codificare il trasferimento di conoscenza quando questo richiedeun metodo di diffusione più rigido e controllato. Ad esempio, il processo di generazione di una propostarichiede la raccolta a priori di Asset di conoscenza, la creazione di nuove informazioni e l’ottenimentodell’approvazione finale dell’intera proposta. Tutto questo iter richiede la preparazione di informazionistrutturate e ordinate, processo che coincide esattamente con le funzioni che devono essere offerte dal isistema di Workflow (distribuzione guidata di informazioni).173 Sono strumenti che si stanno diffondendo moltissimo. Si vedrà nel terzo e quarto capitolo come letecnologie di KM devono necessariamente essere anche strumenti di apprendimento.174 Ulteriori informazioni verranno approfondite nel quarto capitolo, in quanto iKnow è proprio unostrumento di knowledge Warehouse evoluto.

che lo definisce come una raccolta di informazioni integrata, subject oriented, time variant e non volatile

di supporto allo svolgimento dell’attività aziendale175.

- Integrata: significa che nel DWH confluiscono dati provenienti da più sistemi transazionali

e da fonti esterne;

- Subject oriented: il DWH è orientato a temi specifici dell’azienda (ad esempio clienti,

prodotti, ecc.) piuttosto che alle applicazioni o alle funzioni;

- Time variant: i dati archiviati nel DWH hanno un orizzonte temporale molto più esteso

rispetto agli archivi tradizionali. Nel DWH sono contenute una serie di informazioni relative

ad un determinato fenomeno in un determinato intervallo di tempo piuttosto esteso;

- Non volatile: tale caratteristica indica la non modificabilità dei dati contenuti nel DWH che

consente accessi di sola lettura.

Il Data Mining consente invece alle diverse aree applicative dell’azienda, il miglioramento dei processi

conoscitivi. Esso, infatti, è uno dei componenti del sistema di scoperta della conoscenza e può essere

definito come un “insieme di tecniche che consentono di effettuare l’esplorazione e l’analisi dei dati per

scoprire significative regole o modelli nascosti all’interno di archivi di grandi dimensioni in modo

automatico e semiautomatico”. Esso è un approccio multidisciplinare che riunisce un insieme di tecniche

quali la statistica, la visualizzazione, i sistemi basati sulla conoscenza e i sistemi ad autoapprendimento

che consentono di scoprire conoscenza e di tradurla in regole o modelli utili per risolvere problemi di

business. I processi di Data Mining avvengono secondo una metodologia chiamata On-Line Analitical

Program (OLAP). Il termine OLAP non indica una tecnologia, ma è un’etichetta con cui ci si riferisce a

tutte quelle funzioni analitiche che servono per trarre informazioni dai dati immagazzinati nelle Data

Warehouse e di rielaborare tali informazioni. Si tratta di una modalità che consente di accedere ai dati

mettendo l’utente in condizioni di realizzare sofisticate indagini a supporto del proprio processo

decisionale.

Esaurita l’analisi delle categorie tecnologiche sopra citate occorre ora passare in rassegna alcuni degli

strumenti “tradizionali” di KM, che ricoprendo molte delle attività anzidette non sono stati inseriti nella

classificazione, ma di fatto sono funzionali per la corretta implementazione di un sistema di gestione della

conoscenza176.

Internet: è stato da sempre protagonista all’interno di un Knowledge management system. Esso, infatti,

ha introdotto nelle imprese un nuovo modo di archiviare i dati, rispetto ai vecchi database e rappresenta,

al contempo, l’esempio migliore di un archivio della conoscenza, in questo caso esterno all’impresa,

contenente una quantità sterminata di documenti e di informazioni; inoltre, la sua tecnologia e i suoi

servizi, forniscono modalità di collegamento tra persone e informazioni senza precedenti177.

175 Fonte: http://www.cirsfid.unibo.it/didattica/upload/35_Lezione12.pdf. Tali aspetti saranno meglioricordati in sede di trattazione del caso di studio.176 Anzi, spesso le tecnologie tradizionali sono proprio il punto di partenza per l’implementazione disistemi di KM, come si vedrà meglio nel quarto capitolo.177 Insieme ad internet ricordiamo la messaggistica istantanea: offre un livello di sincronismo intermediofra la comunicazione vocale e quella asincrona (per esempio l’e-mail). Consente, cioè, una

Intranet: una Intranet è una rete privata, protetta da meccanismi di sicurezza, che utilizza gli standard e i

protocolli Internet per rendere accessibili applicazioni e informazioni esclusivamente alle persone

dell’azienda: pertanto l’accesso a tale rete è consentito solo ed unicamente ai soggetti autorizzati.

Sicuramente la Intranet, prima che arrivassero i Portali aziendali, qualche anno fa, era la punta di

diamante dei progetti di knowledge management. Essa, infatti, è un vero e proprio luogo virtuale grazie al

quale incontrarsi, avere a disposizione tutta la miriade di informazioni ed esperienze dislocate in azienda,

comunicare e quindi incrementare la propria capacità decisionale e operativa. Xerox, per esempio, già nel

1996 ha varato il sistema DocuShare, una Intranet con la quale gli utenti possono condividere documenti,

stabilendo anche quali sono i soggetti ammessi alla consultazione tramite un sistema di accessi. Ancora,

Simens Business Services ha reso disponibile in Intranet un library, in parte accessibile anche per la

propria clientela, per agevolare tra i propri consulenti lo scambio di conoscenze sull’implementazione

presso l’utenza del software SAP178.

Extranet: una Extranet, invece, è una business-to-business (B2B) Intranet che consente comunicazioni

limitate, controllate e sicure tra una Intranet aziendale e partner aziendali ben definiti e identificati. Una

extranet si configura quindi come un “bridge” basato sulla tecnologia Internet che consente ad

un’organizzazione di condividere informazioni riservate in modo sicuro e tempestivo con i propri partner,

fornitori e agenti, cioè con gli attori coinvolti nella propria catena del valore. Un’organizzazione che,

stabilendo meccanismi di sicurezza, estende specifici servizi della propria Intranet all’esterno verso i

propri partner e li abilita all’uso congiunto di applicazioni necessarie alla realizzazione del business, dà

vita ad una Extranet.

Portali aziendali: i Portali sono uno strumento nato non più di qualche anno fa con l’obiettivo di

aggiungere valore alla rete e quindi all’organizzazione e ai suoi dipendenti. Esso, infatti, si pone come lo

strumento che permette ad ogni lavoratore di sfruttare in modo più efficace ed efficiente la vasta quantità

di informazione e conoscenza che “viaggia” sulla Intranet aziendale. Tuttavia, per comprendere realmente

le funzionalità del portale dobbiamo definire nello specifico le funzioni che esso svolge ed i vantaggi che

porta all’azienda:

1) attraverso un portale le organizzazioni devono essere in grado di creare accessi strutturati alle

informazioni trasversalmente ai sistemi aziendali;

2) il portale fornisce un’interfaccia altamente personalizzata dell’azienda per ogni utente; esso cerca di

stabilire un ordine flessibile data anche la variabilità delle aziende che sono soggette a continui

cambiamenti.

La sfida, quindi, è quella di presentare le informazioni in modo che i dipendenti possano trovarle. E’ il

caso della Giostyle Spa che, partendo dal presupposto che ognuno è fornitore dell’altro, ha improntato

strumenti vincenti per la comunicazione d’azienda. Fra questi anche un portale aziendale, la cui gestione

comunicazione in tempo reale ma comunque in formato testo. Il vantaggio, afferma Gardner, è che si puòtenere una conversazione in tempo reale mentre si stanno facendo altre cose.178 Il caso Xerox è tratto da: 11° forum sulla gestione della conoscenza nelle organizzazioni, 25 novembre2006.

è affidata ad un team appositamente creato che consente di utilizzare correttamente tutte le informazioni

all’interno dell’organizzazione179.

Un’ultima considerazione merita di essere citata a conclusione del paragrafo. Quando si parla di

conoscenza lo strumento tecnologico è sicuramente importante, ma non sarà mai tanto efficace se

l’utilizzatore non ha volontà di sapere e di trasmettere informazioni180.

Pertanto non è automatico che a buoni strumenti di KM corrisponda il successo del sistema, occorre la

volontà e la capacità delle persone nell’operare nel giusto senso.

2.2.4 Un nuovo modello di creazione del valore

L’ultimo aspetto che rimane da analizzare circa le implicazioni di un sistema di KM per l’assetto

d’impresa concerne il sistema di creazione del valore181.

Il fine ultimo dell’impresa, come tutti sappiamo, è la creazione di ricchezza, ossia di valore. Ciò ne

garantisce lo sviluppo e la sopravvivenza duraturi, rendendo possibile la soddisfazione, secondo modalità

differenti, delle esigenze degli stakeholder che a vario titolo apportano risorse funzionali alla gestione

aziendale. Se è vero però che oggi viviamo in una Knowledge Era completamente differente rispetto al

precedente modello capitalistico occorre anche riconoscere il profondo mutamento che è avvenuto nei

processi di creazione del valore. Arrivati a questo punto è quindi lecito domandarsi: come riesce la

179 L’azienda Giostyle Spa opera nel settore plastico con la produzione di stoviglie e contenitori monousoin plastica e carta, bicchieri per vetrine, vasetti per yogurt. Fatta questa precisazione e prima diconcludere il paragrafo un ultimo aspetto merita di essere citato. Oltre a quanto già descritto esistonoanche altre tecniche innovative di KM, quali ad esempio: Brainstorming: è in grado di incentivare ilpensiero creativo e di convertire le esperienze tacite e personali in conoscenza esplicite. Le applicazionidi Brainstorming aiutano la classificazione, l’organizzazione e l’identificazione delle risorse diconoscenza, risultando utili per la creazione di strumenti idonei allo scopo. Sistemi Content Push:racchiude un approccio dinamico alla pubblicazione elettronica e rappresenta una caratteristicaimportante dei sistemi di knowledge management. Essi costituiscono il mezzo necessario per catturare leconoscenze desiderate all’interno della Knowledge Base, evitando agli utenti l’apprendimento dicomplesse tecniche di ricerca. Gli utenti si vedranno spedite via mail le informazioni più aggiornate dellaKnowledge Base. Agenti: sono una forma specializzata di Push Technology e possono essere controllatidirettamente dagli utenti finali, i quali sono in grado di specificare il tipo di conoscenza che intendonoricevere. Le funzioni offerte dagli Agenti sono estremamente preziose, specialmente in ambienti“Knowledge-intensive” dove non è possibile monitorare continuamente le risorse di conoscenza.Cruscotti aziendali e balanced scorecard: per la misura delle prestazioni aziendali e sistemi di reportingper viste statiche sulle informazioni.180 Molti degli strumenti qui descritti troveranno pratica applicazione nel quarto capitolo. Prima diconcludere, però, ci preme sottolineare un ultimo aspetto: le tecnologie di KM appena ricordate non sonole uniche in azienda che hanno ad oggetto la gestione delle informazioni organizzative. Basti pensare alsistema informativo d’impresa, all’ERP, al SAP: si tratta di sistemi che coordinano e danno valore allaconoscenza d’azienda e che necessariamente devono essere interdipendenti e interagenti con i sistemi diKM. Solo in questo modo si potrà effettivamente contribuire alla creazione di valore per l’impresa:attraverso softwares con diverse finalità che interagiscono con l’unico ed importante fine di gestire laconoscenza d’azienda.181 In quest’ambito si prenderà in considerazione come la risorsa conoscenza riesce a creare valore.

conoscenza o meglio i metodi di gestione della conoscenza a creare valore? Una possibile risposta a

questa domanda parte proprio dall’analisi dei nuovi fattori che determinano la creazione di ricchezza e il

conseguimento di un vantaggio competitivo182:

- v, ovvero l’efficacia di ciascun singolo impiego della risorsa conoscenza;

- n, che misura la moltiplicazione del valore mediante il ri-uso della conoscenza;

- p, che presidia la sostenibilità economica del processo nel corso del tempo, essendo pi la

quota del valore complessivo che va a beneficio dell’operatore i-esimo della filiera.

Il valore complessivo generato dalla conoscenza e dai processi di KM dipenderà pertanto dalle variabili v

e n. Ad ogni ri-uso delle informazioni, infatti, si ottiene un valore utile addizionale v che va ad

aggiungersi allo stock di valore ottenuto in precedenza. La crescita di n avrà quindi un effetto

moltiplicativo sul valore totale generato dalla conoscenza. In poche parole: all’aumentare dell’uso e del

ri-uso della conoscenza, aumenta anche l’efficacia del suo impiego, determinando di fatto un incremento

totale di valore. Citiamo un esempio. Se l’azienda si è dotata di una rete Intranet per la condivisione delle

informazioni è normale che quanto più gli utenti usano la rete e i saperi che in essa sono incorporati,

quanto più tali conoscenze saranno impiegate efficacemente per il raggiungimento degli obiettivi di

business.

Pertanto indicando con v* il valore medio di v calcolato sugli n usi otteniamo che:

V = v* n183

Dove:

V = valore totale generato dalla conoscenza

v* = valore medio di v calcolato sugli n usi

n = moltiplicazione del valore mediante il ri-uso della conoscenza.

Ne deriva che:

Ei = v* n pi

Dove:

Ei = valore di cui beneficia ogni particolare soggetto della filiera

v* = valore medio di v calcolato sugli n usi

n = moltiplicazione del valore mediante il ri-uso della conoscenza

182 Il modello di generazione del valore è tratto da RULLANI, “Economia della conoscenza”, CAROCCI,Roma, 2005, pag. 149 – 226. Il modello che qui riportiamo può essere riferito sia alla singola azienda e aisuoi saperi interni che all’intera filiera.183 Ovviamente per avere il reddito netto devo sottrarre a questo valore i costi sostenuti per la produzionee propagazione della conoscenza. Talvolta potrebbero essere pari a zero, talvolta, in virtù di adattamentiche devono essere fatti saranno più costosi.

pi = quota del valore complessivo che va a beneficio dell’operatore i-esimo della filiera.

L’obiettivo di ogni organizzazione è quello di far leva su n e su v* per produrre il massimo valore

possibile, compatibilmente col vincolo di mantenere i coefficienti di appropriazione pi in un range che

garantisca la sostenibilità del processo.

Come operare proficuamente sulle tre leve?

Analizziamo innanzitutto la leva della moltiplicabilità n.

In passato essa manteneva il bacino di impiego sotto il diretto controllo proprietario, costituendo di fatto

una “condanna” alla crescita dimensionale. In un’economia della conoscenza, invece, poiché il sistema di

moltiplicazione e propagazione può essere in parte anche esterno all’impresa, il bacino di riuso della

conoscenza può crescere notevolmente tramite la costituzione, ad esempio, di alleanze o joint venture.

Ci possono essere molti modi per far crescere il valore di n:

- Aumentando i volumi dei prodotti che si ottengono adottando una medesima tecnologia, una

stessa macchina o soluzione tecnica. Così facendo la conoscenza originale viene usata più

volte, generando un valore pari all’utilità dei miglioramenti o dei servizi ottenuti con il re-

impiego della stessa base di conoscenza,

- Aumentando il bacino geografico o il periodo di tempo in cui la stessa conoscenza viene

impiegata nella soluzione di problemi simili,

- Sviluppando nuove applicazioni a problemi e a campi inizialmente non considerati, ma in

cui la conoscenza si rivela comunque utile.

La seconda leva da impiegare nell’accrescimento del valore della conoscenza è quella dell’efficacia nei

singoli usi.

Efficacia significa che la conoscenza deve creare vantaggio per l’utilizzatore. In realtà questo non è

sempre vero, o meglio è vero soltanto in parte. Occorre sottolineare, infatti, come il valore d’uso di una

conoscenza sia innanzitutto un valore di filiera184. Pertanto quando andiamo ad agire sulla variabile v

occorre tenere in considerazione non solo il consumatore finale ma anche e soprattutto i produttori e

propagatori della stessa conoscenza. Essi devono dare senso al tempo e alle risorse impiegate per

produrre o propagare saperi destinati ad essere utili anche ad altri. Ne deriva che le conoscenze si

classificano in hard e soft.

Le conoscenze hard, tipicamente codificate, sono in genere finalizzate a creare vantaggi oggettivi,

misurabili (nelle prestazioni tecniche o nelle funzioni offerte all’utilizzatore). Le conoscenze soft puntano

sui significati e sulle emozioni collegate all’esperienza cognitiva. In generale, nella filiera le conoscenze

di tipo hard, collegate alle prestazioni di un abito o un’automobile riescono a raggiungere livelli elevati

di efficacia solo se si accoppiano a conoscenze del secondo tipo che agiscono invece sui significati e sulle

emozioni soggettive del singolo utilizzatore. Occorre vincere una doppia sfida:

184 L’economia della conoscenza è necessariamente un’economia di filiera, non di singola impresa. Laproduzione di valore non è analizzabile a livello di singola impresa, ma solo esaminando il circuitocomplessivo che la porta dal produttore ai molti utilizzatori e che comprende sempre una pluralità dicontributi, di punti di vista, di significati possibili.

- Realizzare la moltiplicazione della conoscenza nella filiera e non più nella singola

impresa185;

- Bilanciare benefici monetari con le utilità intrinseche che ciascun partecipante trae

dall’esperienza di produzione o di propagazione della conoscenza.186

Bisogna, inoltre, considerare come v sia il risultato della somma di tre fattori diversi:

- Il prezzo monetario che il consumatore finale della conoscenza paga ai suoi fornitori diretti

e che questi riversano sui fornitori a monte della filiera, fino ad arrivare al produttore di

conoscenza iniziale;

- La rendita psicologica che il consumatore finale ottiene a proprio vantaggio se riesce a

pagare un prezzo inferiore rispetto all’effettiva utilità ottenibile dalle conoscenze acquisite

da terzi;

- Il valore intrinseco psicologico che produttori e consumatori assegnano all’esperienza

cognitiva che hanno fatto.

Infine la terza leva, quella della sostenibilità economica del processo moltiplicativo è dettata dal carattere

pubblico o privato della conoscenza.

La conoscenza ha carattere pubblico quando viene condivisa non solo tra gli utilizzatori, ma anche tra i

produttori. Esempi possono essere dettati dalla scienza, dalla pubblica istruzione, di cui beneficiano una

miriade di soggetti privati.

La conoscenza assume carattere privato quando è delimitata da confini tracciati da chi l’ha generata187. In

questo caso la maggior parte delle conoscenze utilizzate nell’economia è protetta:

- Da diritti di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, copyright)188;

- Dal fatto che il costo e il tempo richiesti per la riproduzione rimangono elevati.

Un esempio può essere quello di conoscenze mantenute segrete (pensiamo alla formula della coca-cola) o

di conoscenze talmente specifiche da non poter essere utilizzate in contesti diversi da quello del

produttore. La specificità delle conoscenze e i relativi contesti di uso sono spesso lontani e diversi perché

mancano ponti che colleghino persone, imprese e contesti differenti. Servono cioè:

185 Tale passaggio pone il problema di come trovare una distribuzione del valore complessivamentegenerato che consenta di riprodurre i diversi ruoli e i diversi investimenti che hanno contribuito aprodurre e propagare conoscenza.186 C’è un bisogno di dare senso al lavoro dei collaboratori e al proprio investimento, andando anche oltreil compenso monetario. Per esempio il musicista suona anche per il proprio piacere generando un doppiocompenso, per la prestazione e per fare un qualcosa che gli piace.187 La moltiplicazione genera vantaggi per l’utilizzatore, lo stesso non può essere detto per il produttore.Si possono infatti avere situazioni in cui se non viene tutelata la capacità di appropriazione del valoregenerato, il rendimento del capitale investito nella produzione di nuova conoscenza tende a zero inquanto chiunque entra in possesso della conoscenza la sfrutta al massimo, diventando a sua voltaproduttore e rivendendola ad un numero più grande possibile di potenziali utilizzatori. Tale attività èdestinata a proseguire fintanto che il prezzo si azzera. La conoscenza in questo modo diventa un benepubblico che è facilmente accessibile. Questo può arrecare grave danno al primo produttore perché hainvestito tempo e risorse per generare nuova conoscenza mentre è fortemente auspicabile dai secondiproduttori che possono acquisire nuova conoscenza a prezzi bassi.188 È esemplificativo in quest’ambito il caso Geox. L’azienda è proprio grazie ai brevetti che può contaresu conoscenze e competenze distintive che non possono essere facilmente copiate

- Un sistema efficiente di comunicazione, con linguaggi e metodologie capaci di allargare il

campo di applicazione della conoscenza inizialmente prodotta in un contesto che è diverso

da quelli di destinazione e di uso;

- Un sistema logistico che consenta di trasferire a basso costo un contenuto cognitivo nel

tempo e nello spazio, colmando la distanza tra momento e luogo di produzione e momento e

luogo di impiego;

- Un sistema di incentivi e di garanzie, fiducia e responsabilità che giustifichino la cessione

ad altri delle conoscenze possedute dando allo scambio adeguate motivazioni.

I tre drivers del valore, pur operando in campi distinti sono fortemente interdipendenti. Essi devono agire

in modo complementare al fine di garantire un impiego efficace, una moltiplicazione e distribuzione in

forme adeguate della conoscenza, sia all’interno dell’impresa che fra le imprese della filiera.

Pertanto la conoscenza viene prodotta, si propaga e può rigenerarsi attraverso nuovi investimenti solo se

il livello dei tre drivers crea una base di valore sufficiente a rendere conveniente e auto-propulsivo il

processo. Questo è il motore che mancava alle imprese nell’economia pre-industriale e che la modernità

ha messo in movimento due secoli e mezzo fa.

2.3 Il sogno e il disincanto del knowledge management

Questo paragrafo, l’ultimo del secondo capitolo, si propone di prendere in considerazione gli aspetti più

prettamente “tangibili” e pratici del KM. Le immagini fin qui delineate in merito alla gestione della

conoscenza potrebbero, infatti, lasciar trapelare che lo stesso sia un fenomeno prettamente teorico,

distante dalle nostre realtà aziendali. Termini quali knowledge worker o Learning Organization sembrano

più delle belle filosofie piuttosto che concrete attualità. Ma in realtà il KM è un fenomeno più realistico e

pratico di quanto non si possa pensare189: esso coinvolge da vicino tutte le organizzazioni portandole a

conseguire vantaggi competitivi tramite “il più veloce apprendimento della realtà rispetto alle

organizzazioni concorrenti e tramite la creazione/accumulazione di conoscenze che permettano di

anticipare i cambiamenti rispetto alle altre aziende”.

A testimonianza della “pragmaticità” di un sistema di KM ricordiamo brevemente alcune delle sue

innumerevoli applicazioni: creazione di database per la gestione dei clienti, implementazione di attività di

benchmarking, introduzione di nuove tecnologie per gestire gli ordini, coordinazione del retail, sviluppo

delle competenze e delle capacità degli individui, creazione di una memoria aziendale, che come quella

189 LANZA A., “Knowledge governance. Dinamiche competitive e cooperative nell’economia dellaconoscenza”, EGEA, Milano, 2000

degli individui raccolga informazioni su clienti e i fornitori. Ma KM significa anche gestione delle

relazioni interne ed esterne, modificazione dei prodotti esistenti, analisi di eventuali malfunzionamenti

nei processi aziendali, fidelizzazione del cliente, programmazione di campagne pubblicitarie.

Scopo della successiva trattazione sarà quello di capire ciò che sta dentro un sistema di gestione della

conoscenza per comprenderne i punti di debolezza e quindi tutte le eventuali soluzioni da adottare190.

2.3.1 Le attività di un sistema di gestione della conoscenza

Prima di passare in rassegna ciò che viene svolto in azienda da un sistema di KM è utile chiarire unaquestione di fondo: un qualsiasi progetto di gestione della conoscenza deve essere coerente con gliobiettivi strategici d’impresa, altrimenti rischia di rimanere un sistema inutilizzato e per il quale sonostate spese inutilmente ingenti risorse. L’iter logico che deve caratterizzare un qualsiasi sistema di KM èrappresentato dalla seguente figura.

Schema 10.2 “Dalla strategia di business alle attività di KM” Fonte: CAPPELLIN R., “Le retidi conoscenza e innovazione e il knowledge management territoriale”, FRANCO ANGELI, Milano,2003

Un esempio aiuterà a comprendere meglio lo schema191. L’azienda Coloplast realizza prodotti per chi ha

subito una stomia o una mastectomia, o per chi ha subito delle lesioni cutanee. A questi pazienti, cui la

medicina ha ridato speranza, Coloplast ha l’obiettivo strategico di restituire sicurezza ed indipendenza,

con soluzioni innovative e qualitativamente superiori, che aiutano giorno per giorno a tornare con

serenità alla propria vita, ai propri affetti, al proprio lavoro. L’azienda ha innestato un buon sistema di

KM dove gli obiettivi sono: sviluppare il prodotto migliorando il coordinamento fra lo stesso e le

esigenze del cliente e della sua particolare situazione, comprensione profonda dei desideri del

consumatore e della sua particolare situazione, sviluppo e formazione di collaboratori idonei a questo

scopo. Le azioni di KM che sono state realizzate sono molteplici. Se si prende a riferimento ad esempio

l’obiettivo dello sviluppo dei dipendenti/collaboratori, Coloplast risponde con un’attività di KM che è la

presentazione aziendale presso le Università. Lo scopo è quello di selezionare il personale “migliore” per

190 In quest’ambito molteplici sarebbero gli argomenti da analizzare, dal costo di un sistema di KM allefasi di realizzazione dello stesso. Abbiamo ritenuto opportuno però concentrarci su elementi più“standard” come ad esempio le attività di KM, e i suoi benefici poiché gli aspetti sopra citati variano inmisura eccessiva da azienda ad azienda e sarebbe pertanto controproducente elencare tutte le casistiche adispostone. Questi aspetti verranno invece analizzati nel quarto capitolo quando si prenderà in analisi ilsistema iKnow. Lo stesso discorso vale per le forme in cui si sostanzia il KM, che verranno brevementeelencate di seguito. Anche in questo caso non riteniamo opportuno fornire un mero elenco delle possibiliapplicazioni del KM poichè ci sembra più corretto parlarne attraverso esempi pratici, tecnologie, beneficiche vengono addotti.191 L’esempio dell’azienda Coloplast è rielaborato da quanto presente in: CHIUCCHI M.S., “Alle radicidel capitale intellettuale”, in rivista italiana di ragioneria ed economia aziendale, luglio agosto, 2002

BUS KM KM KM

i loro traguardi. Da qui si evince l’importanza di garantire unitarietà e coerenza tra gli obiettivi di

business e le attività di KM.

Molto significativa risulta essere poi un’affermazione riportata dalla stessa azienda: “Mentre si tende a

non tollerare il disordine in un laboratorio e a tenere in ordine gli strumenti di lavoro, è prassi consueta

che le idee non siano organizzate e che si dimentichi per periodi anche lunghi di classificare la nuova

conoscenza. E’ questa la difficoltà maggiore: tenere in ordine il laboratorio delle idee è un’attività

quotidiana, costosa, difficile e non remunerativa”.

Questa affermazione apre la strada per l’analisi di un importante concetto, quello del ciclo di vita della

conoscenza ovvero delle attività che vengono svolte da un sistema di KM in azienda. Non tutte le imprese

gestiscono in maniera intenzionale le fasi di un sistema di KM, cioè non tutte le imprese hanno pratiche

di raccolta e selezione delle nuove idee o hanno codificato almeno una parte delle loro conoscenze su

manuali o supporti elettronici. Probabilmente processi di generazione e utilizzo di conoscenza si attivano

in maniera automatica, portando, perché no, all’ottenimento di rilevanti benefici: tuttavia bisogna

ammettere che la gestione consapevole dell’intero ciclo produce maggiori e più sicuri vantaggi.

Questo paragrafo ha proprio lo scopo di analizzare il ciclo di vita della conoscenza, o meglio le attività

che occorre svolgere per l’implementazione di un corretto sistema di KM nelle aziende. Occorre imparare

a gestire e valorizzare un tipo di capitale che non è più quello tangibile: un capitale difficile da osservare

e da elaborare, a volte non noto neanche a chi lo possiede. Uno schema renderà la trattazione

dell’argomento più semplice.

Figura 11.2 Il ciclo di vita della conoscenza Fonte: CAPPELLIN R., “Le reti di conoscenza e

innovazione e il knowledge management territoriale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2003

Le attività di un sistema di KM prendono la forma di un processo circolare che si autoalimenta, creando

di volta in volta le sue stesse premesse per l’attivazione di un nuovo ciclo192 (come mostra la figura 11.2).

Un progetto di KM è caratterizzato generalmente da sei macro categorie di attività193:

192 L’analisi del ciclo di vita della conoscenza è frutto di una nostra elaborazione a partire da numerosicontributi teorici quali quello di Foray, Rullani, Quagini, Quagli.193 Le categorie di attività qui descritte devono essere considerate delle “macro categorie”. All’interno diognuna di esse esistono altre importanti attività che verranno esplicitate in questo stesso paragrafo.

Valorizzazione Analisi

Codificazione

Accesso Organizzazione

Generazione

Analisi e acquisizione della conoscenza. Questa fase si sostanzia nell’identificazione delle aree di

conoscenza rilevanti, nell’individuazione delle conoscenze critiche assenti e da reperire all’esterno o

all’interno e quindi nella comprensione del problema di business al fine di correlare gli obiettivi di

conoscenza agli scopi da esso definiti.

L’attività di identificazione della conoscenza è lunga e delicata194.A livello metodologico, gli

strumenti di cui questa attività si serve sono le metodologie di rilevazione del dominio della conoscenza

da anni utilizzate nell’ambito dell’ingegneria della conoscenza195: l’intervista, l’analisi di protocollo, il

laddering, la classificazione dei concetti, le repertory grids196. L’insieme di queste tecniche da luogo o

meglio si sostanzia in una “mappa” delle conoscenze, che individua “chi possiede quali saperi”

all’interno dell’organizzazione. In termini generali, “le mappe della conoscenza sono rappresentazioni

grafiche degli esperti, degli assetti, delle fonti, delle strutture o delle applicazioni della conoscenza”.

Alcuni tipi di mappe sono:

- Topografie della conoscenza: identificano le persone che possiedono particolari conoscenze,

indicandone anche il livello. La tabella 3.2 riporta un esempio di topografia della

conoscenza.

CommercioElettronico

Comunità on-line Ipertesti Grafica per siti

Web

Davide XXXXXX XXXXXX

Paolo XXX XXXX XXX XXXXXX

Marco XXXX XXXXXX XX

194 L’analisi dell’attività di identificazione della conoscenza è tratta da: QUAGINI L., “Businessintelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’eradigitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004195 L’ingegneria della conoscenza è un insieme organicamente articolato di metodi, tecniche e strumentiper la rappresentazione e la gestione efficace ed efficiente del patrimonio di conoscenze individuali e diun’organizzazione.196 L’intervista è il metodo più facile e intuitivo. Essa può essere strutturata o non strutturata: le intervistenon strutturate sono condotte solitamente nelle fasi iniziali del progetto mentre quelle strutturate mirano araccogliere informazioni sulle relazioni e sui concetti chiave. Nell’analisi di protocollo, il comportamentodell’esperto viene osservato e analizzato in modo diretto, al fine di estrarre strutture significative; questatecnica richiede di norma il supporto di mezzi audio e video. Nel laddering: l’esperto e l’analistacostruiscono un grafo che rappresenta il dominio di conoscenza nei termini delle relazioni tra gli elementidel dominio e delle soluzioni ai problemi. Il grafo prende la forma di una gerarchia di alberi. Questatecnica è usata soprattutto nella prima fase dell’esplorazione del dominio. La classificazione di concetti,prevede la presentazione all’esperto un insieme di carte su ciascuna delle quali è stampata una parola checorrisponde a un concetto appartenente al dominio; le carte vengono mischiate e all’esperto viene chiestodi dividerle in un numero prefissato di gruppi oppure in un numero qualsiasi che egli ritenga opportuno.Esistono molteplici varianti di questa tecnica, che permette di scoprire nuovi punti di vista, concetti eattributi ed è per questo particolarmente utile quando si lavora su domini non familiari. Le repertorygrids, sono sistemi in cui gli esperti di fronte ad una serie di elementi del dominio devono in modoreiterato scegliere tre elementi in modo che due siano simili tra loro e diversi dal terzo, dando le ragionidella scelta. Il processo va avanti finché l’esperto non sia più in grado di utilizzare alcun criterio didifferenziazione.

Tabella 3.2 “Topografia della conoscenza” Fonte: FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo dellaConoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. Il Caso it Consult”, 2005

- Mappe degli assetti di conoscenza: mostrano dove e con che modalità sono immagazzinati

specifici assetti di conoscenza (su supporto cartaceo, in formato elettronico, nella testa di un

ex-dipendente, e così via.). Mappe di questo tipo danno informazioni sul livello di

aggregazione della conoscenza.

- Sistemi informativi geografici: mostrano l’organizzazione geografica degli assetti di

conoscenza. Una mappa geografica delle aree di vendita, ad esempio, è utile per pianificare

le attività di marketing.

- Mappe delle fonti della conoscenza: mostrano quali persone in una squadra, in

un’organizzazione, o nell’ambiente esterno possono apportare conoscenza utile a

determinati task.

- Mappe di best practices: consistono nella costituzione di un archivio di casi risolti

consultabili da tutta l’organizzazione. In pratica, l’operatore coinvolto in un’interessante

esperienza, descrive il problema affrontato, la soluzione adottata, il risultato ottenuto e

l’apprendimento che ne ha ricavato. Si tratta proprio della descrizione e relativa soluzione di

specifici problemi.

La seconda sub fase di questo primo macro processo, che segue quella di identificazione della

conoscenza è la fase di acquisizione della stessa. Qualora si ritenesse necessario acquisire nuova

conoscenza, questo processo può avvenire sia internamente197 (ad esempio mediante corsi di

aggiornamento per il personale, idee e proposte dei membri dell’organizzazione) che dall’esterno

(mediante collaborazioni, assunzioni, acquisizioni,…). L’acquisizione esterna ha il vantaggio di essere

più rapida di quella interna, anche se quest’ultima viene assimilata meglio dalle persone (clienti, attori

istituzionali). La scelta dell’utilizzo di un modo o dell’altro rappresenta un trade-off tempi/prestazioni.

Selezione e Codificazione della conoscenza198. E’ un processo che consiste nella classificazione della

conoscenza al fine del suo immagazzinamento e distribuzione; nella sua documentazione per la creazione

di basi di conoscenza accessibili a tutti, nella produzione di archivi di conoscenze interne strutturate e

informali; nella creazione di archivi di conoscenze esterne, nel rendere esplicita la conoscenza implicita

che risiede nelle persone. La codificazione riduce i costi e migliora l’affidabilità delle operazioni di

immagazzinamento e memorizzazione199.

197 In questo caso il processo prende il nome di selezione della conoscenza in quanto fa riferimentoall’analisi delle esigenze dell’azienda e alla conseguente ricerca delle conoscenze richieste all’internodella base di dati già esistente.198 Cfr. FORAY D., “L’economie de la connaissance”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 67199 La codificazione presuppone almeno tre condizioni: creazione di un messaggio fissato su un supporto,creazione di un modello relativo alla conoscenza tacita tramite un’operazione di scomposizione ericomposizione degli elementi della conoscenza, creazione e sviluppo di un linguaggio che consenta dileggere il codice, la conoscenza

L’accesso. Consente la distribuzione tempestiva della conoscenza agli utilizzatori, facilita lo scambio di

conoscenza tacita, ridisegna i processi organizzativi in funzione della circolazione e diffusione delle

conoscenze. La distribuzione di conoscenza è un processo che deve possedere diverse proprietà. Deve

essere innanzitutto mirato. E ciò per i seguenti motivi: per garantire la riservatezza delle informazioni200,

evitare di fornire della conoscenza inutile alle singole persone e quindi non far passare in sordina

conoscenza per loro di reale importanza. La distribuzione dovrebbe inoltre essere bidirezionale. Quasi

sempre, infatti, chi è a valle della catena produttiva o distributiva riesce a cogliere degli aspetti pratici che

sfuggono agli strateghi o comunque a chi deve prendere le decisioni. Il porre attenzione ai feed-back

degli utenti finali permette da un lato di poter valutare il progetto di KM e di migliorarlo, dall’altro

permette di ottenere nuovi input per un successivo sviluppo del progetto stesso. Inoltre la distribuzione

della conoscenza non può e non deve avvenire in modo strutturato ma deve svilupparsi in via informale,

come un processo spontaneo: basti pensare, ad esempio, quando un dipendente domanda ad un collega

seduto ad una scrivania vicina come predisporre una richiesta di finanziamento (si assiste in questo caso

ad un vero e proprio trasferimento di conoscenza); quando un agente di vendita nuovo assunto investiga

presso l’agente sostituito i bisogni espressi da un particolare cliente in un’area del mercato; quando un

ingegnare domanda ad un altro, che si trova in fondo allo stesso corridoio, se questi non abbia mai

affrontato uno specifico problema. In tutti questi casi si parla di trasferimento spontaneo della

conoscenza. Altro è, invece, una strategia specifica di trasferimento, che a seconda del tipo di conoscenza

che deve essere trasferito e a seconda della cultura organizzativa dell’azienda o del paese in cui ci si

trova201, assumerà connotati diversi.

L’organizzazione. La conoscenza va organizzata e catalogata in modo da renderla accessibile a chiunque.

Ciò risulta essere piuttosto facile per ciò che concerne la conoscenza esplicita, meno per la conoscenza

tacita. Ove possibile, e dove vi sia la convenienza economica a farlo, la conoscenza tacita andrebbe

pertanto esplicitata in forma tangibile o quantomeno codificabile. Questo processo presuppone l’adozione

di un approccio integrato e collaborativo o comunque di una cultura della condivisione della

conoscenza202 volta ad accumulare senza soluzione di continuità l’esperienza, a trattenere la memoria

aziendale e del personale esperto, a minimizzare i rischi di perdita di personale chiave.

La generazione. Se la conoscenza di cui si ha bisogno non è disponibile né internamente né esternamente

(ad esempio per applicazioni altamente innovative), è necessario crearla. La creazione può avvenire in

200 Ad esempio i progetti relativi ad un nuovo prodotto hanno generalmente valenza strategica edovrebbero essere distribuiti solo alle figure strettamente interessate al processo innovativo dellosviluppo di nuovi prodotti, per evitare che tali informazioni possano finire prematuramente nelle mani deicompetitor.201 Questa ultima distinzione significa che non è possibile, e per certi aspetti neanche desiderabile,imporre un modello, ad esempio, giapponese, alle imprese americane dove i giapponesi hanno una culturasecondo cui i lavoratori, di qualunque status, trascorrono insieme molto del tempo non lavorativo, mentregli americani sono orientati verso una cultura gestionale adatta alla logica degli “uffici virtuali”. InGiappone, le cene aziendali e le visite collettive ai locali notturni fanno parte di una cultura diffusa nelleimprese. Queste occasioni fungono come importante meccanismo di condivisione della conoscenza, maanche come meccanismo di creazione di fiducia202 Si è già parlato nel paragrafo 2.2.1 del ruolo della knowledge culture.

qualunque funzione aziendale, dalla R&D, alla Produzione, al Marketing. Creare conoscenza non è

semplice: per farlo è necessario favorire creatività e innovazione. Inoltre è bene che le persone che creano

nuova conoscenza abbiano anche avuto modo di applicarla, in modo da condividere insieme alle idee

anche i risultati concreti conseguibili. Creazione e arricchimento della conoscenza possono avvenire

tramite diverse modalità tra cui ricordiamo la già citata produzione di nuova conoscenza o l’assemblaggio

di conoscenza esistente, l’aiuto ai dipendenti a generare nuove idee in modo più efficace,

l’apprendimento continuo, l’autoformazione, l’e-learning, l’utilizzare l’errore come fonte di

apprendimento. Fondamentalmente però i metodi di generazione di conoscenza si identificano in due

macro categorie: la ricerca, o meglio R&S, definita come l’insieme dei processi di creazione intellettuale

intrapresi su base sistematica allo scopo esplicito di accrescere lo stock di conoscenze e l’apprendimento

che consente di acquisire informazioni attraverso lo studio, la conoscenza, l’insegnamento. A prescindere

dalla modalità di creazione di conoscenza aziendale ciò che rileva è che il processo di generazione debba

essere un processo continuo e non un momento che si manifesta solo in caso di bisogno.

La valorizzazione. Valorizzare la conoscenza significa gestire la conoscenza come asset aziendale,

potenziare il capitale intellettuale, capitalizzare sul patrimonio di conoscenze acquisite dall’azienda,

sviluppare le competenze e il know how del gruppo anche tramite la vendita di conoscenza e soluzioni e

applicare la conoscenza alle decisioni e alle opportunità di business.

Questa fase ricomprende in sé una molteplicità di sottofasi fra cui quella di internalizzazione della

conoscenza, che è fondamentale per accrescere la base conoscitiva dell’organizzazione203, quella di

applicazione della conoscenza per la quale si ritiene che la stessa non debba essere mai fine a sé, ma

debba essere messa in movimento per essere utilizzata 204 e infine la fase di misurazione della

conoscenza. Un progetto di KM deve essere sempre valutato. E’ quindi importante innanzitutto fissare

degli obiettivi stimabili e operare il processo di calcolo non sulle performance del progetto stesso

(numero di documenti raccolti, numero di utenti,…), ma sulle performance aziendali legate al suo

business (livello di soddisfazione del cliente, miglioramento del time to market, tasso di errori nei

processi)205.

2.3.2 I benefici economici, tecnologici ed organizzativi

203 Le persone devono capire e assimilare le informazioni che gli giungono in modo da evitare di doverlecercare ogni volta che ne hanno bisogno. Il linguaggio e il modo in cui sono scritti i documenti risultaessere quindi una caratteristica rilevante.204 La conoscenza che non viene utilizzata e assimilata dalle persone è una conoscenza inutile. Il dogmadi questa fase è: semplicità. Fornire all’utente ciò di cui ha bisogno attraverso pochi e semplici passi (adesempio se un utente deve fare delle modifiche ad un documento non posso fornirgli un documento inpdf). La semplicità spinge gli utenti ad utilizzare gli strumenti introdotti durante il progetto di KM,favorendone il successo.205 In questa sede non verrà affrontato il problema del controllo. Sta di fatto che esso è un processofondamentale per la definizione dello stato di conoscenza e la successiva elaborazione della strategia.

Si è parlato nel paragrafo 1.3 della necessità per le aziende di dotarsi di sistemi di KM e delle motivazioni

che spingono le organizzazioni a gestire la propria conoscenza. Da quanto detto in quella sede ne deriva

necessariamente che qualora un sistema di KM consenta di affrontare almeno una delle motivazioni sopra

descritte esso apporti inevitabilmente benefici all’intera organizzazione. Il seguente paragrafo passa in

rassegna i vantaggi che le imprese possono ottenere dall’implementazione di un sistema di KM. Tali

vantaggi si concretizzano essenzialmente in benefici di ordine economico, tecnologico ed

organizzativo206. I benefici economici di un sistema di KM verranno analizzati attraverso casi pratici ed

esperienze reali raccolte dalla bibliografia di riferimento. Non è possibile definire a priori quanto faccia

risparmiare un sistema di KM, perché tutto cambia a seconda dello strumento che si decide di

implementare, della reticenza o meno delle persone al suo utilizzo, della modalità di implementazione,

degli scopi che si intendono raggiungere. Riportiamo di seguito alcune tabelle che mostrano i risultati

conseguiti da alcune importanti aziende.

Buckman Laboratories Il trasferimento di conoscenza e delle best practise ha conferito il10% di aumento annuo del fatturato

Texas InstrumentsTexas Instruments ha ottenuto un risparmio di 1,5 miliardi di dollariall’anno grazie al confronto e allo scambio delle best practise fra 13

stabilimenti produttori di circuiti integrati

Dow chemical Le prime attività di gestione del “capitale come conoscenza” hannocondotto con sé un immediato risparmio di 40 milioni di dollari

Chevron 100 persone di Chevron hanno condiviso idee sull’uso dell’energiae hanno generato un iniziale risparmio di 150 milioni di dollari

Kaiser PermanebteIl confronto delle migliori pratiche interne ha aiutato a ridurredrasticamente il tempo speso ad aprire nuove cliniche, senza

problemi di costi nella fase delicata di start up

Tabella 4.2 Casi di imprese che hanno adottato sistemi di KM Fonte: Fonte: SHIN M., “Aframework for evaluating economics of knowledge management systems”, Information & Management,42, 2004, pag. 180

Oltre a questi dati è interessante analizzare anche alcuni altri progetti che riguardano diversi settorimerceologici:

206 L’impostazione del paragrafo è frutto di una nostra elaborazione su spunto della bibliografia che verrà

Settore TelecomunicazioniProgetto CRM

Descrizione

In un call center è stato realizzato un sistema diinterrogazione da parte degli operatori a un

database contenete le risposte alle domande piùricorrenti. Nel caso di una nuova richiesta,

l’operatore inserisce direttamente la soluzione neldatabase rendendola così disponibile agli altri

operatori

Benefici Risparmio del 20% sul tempo di risposta deglioperatori

Tabella 5.2 Alcuni esempi di KM applicato Fonte: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledgemanagement. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI,Milano, 2004, pag. 170

Tabella 6.2 Alcuni esempi di KM applicato Fonte: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledgemanagement. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI,Milano, 2004, pag. 170

I dati contenuti nelle tabelle parlano da sé: qualora si decida di implementare un sistema di KM e qualoratale implementazione sia corretta207, i benefici in termini di risparmio di costi sono pressoché certi. Inlinea generale si può affermare che un sistema di KM consente di raggiungere questi risultati in quantopermette di: diffondere le conoscenze all’interno di tutta l’organizzazione e pertanto di avere un accessopiù facile e veloce alle stesse informazioni; acquisire maggiore capacità di conservazione delleconoscenze interessate, che divengono così meno soggette alle vicende dell’operatore e meno esposte adusura fisica; ottenere maggiore flessibilità di impiego per la possibilità di modificare più agevolmente leconoscenze in questione; e infine avere maggiore trasferibilità all’esterno, utilizzando dei linguaggiadatti.Passiamo ora ad analizzare i vantaggi che vengono addotti dall’introduzione delle tecnologie di KM208. A

prescindere dal tipo di strumento che viene utilizzato i miglioramenti in campo sono pressoché uniformi.

Per il dipendente si tratta di beneficiare di un’interfaccia di lavoro migliore che ha un unico punto di

accesso a informazioni e strumenti, di trarre profitto da una maggiore collaborazione perché la

comunicazione è più veloce, efficiente e diffusa, di conseguire una maggiore produttività perché le

informazioni sono quelle rilevanti, e infine di conquistare una maggiore facilità di amministrare e

autoamministrarsi in virtù della chiarezza e della semplicità delle informazioni a disposizione.

Anche per l’azienda i benefici non sono meno rilevanti e possono essere riassunti nelle seguenti

categorie: migliore “raccolto” dagli asset di conoscenza in termini di condivisione e riutilizzo,

miglioramento della memoria istituzionale e del mantenimento degli asset corporate, riduzione dei costi

amministrativi, maggiore capacità di controllo sui processi di creazione, archiviazione, accesso e uso

dell’informazione, maggiore fidelizzazione del personale grazie al più intenso senso di appartenenza

citata nelle apposite note.207 Si vedrà nel successivo paragrafo come talvolta sistemi di KM non funzionino a causa di una cattivainterpretazione e gestione degli stessi.208 Per approfondimenti sulle tecnologie di KM si veda § 2.2.3. La classificazione dei benefici addotti dalsistema tecnologico sono frutto di una nostra elaborazione sulla base degli studi condotti.

Settore ManufacturingProgetto Post vendita

Descrizione

Un’azienda produttrice di stampanti ha una rete dimanutentori sparsi in tutto il mondo. Ogni

manutentore possiede un computer in cui sonodescritti gli interventi di riparazione. Quando unmanutentore scopre un modo più efficiente pereffettuare una riparazione o si accorge di difetti

che è meglio correggere prima che ci sia unarottura lo inserisce nel database dove viene resodisponibile a tutti gli altri manutentori del globo

BeneficiRiduzione del 20% del tempo di interventi di

manutenzione, delle visite ripetute e dei costi deiricambi in garanzia

all’azienda. Rimane infine da analizzare la categoria dei fruitori esterni all’azienda (clienti, fornitori,

azionisti). In quest’ambito occorre fare una duplice distinzione: tecnologia accessibile dai fruitori esterni

e tecnologia non accessibile dai fruitori esterni. Nel primo caso si riscontrano benefici in termini di:

riduzione di errori nelle comunicazioni a clienti e fornitori, riduzione dei tempi di reperimento

informazioni da parte di soggetti esterni, incremento della quantità di dati accessibili a tali fruitori. Nel

secondo caso i benefici saranno per lo più di carattere generale e concerneranno il miglioramento delle

relazioni con il mondo esterno all’impresa.

Rimangono ora da analizzare i benefici in termini organizzativi che un sistema di KM è in grado di

apportare. In prima battuta occorre sottolineare come sia rischioso sintetizzare in poche righe i vantaggi

organizzativi che derivano da un sistema di KM, in quanto si tratta di elementi meno immediati ed

intuitivi di quanto si possa pensare. Essi concernono, inoltre, tutte le aree organizzative d’impresa. In

termini generali si può agevolmente affermare che un buona struttura di KM comporta vantaggi in

termini di209:

- Progettazione e sviluppo di prodotti e servizi. La collaborazione all’interno di gruppi multidisciplinari

assicura alla progettazione di prodotti e servizi la formulazione delle caratteristiche più rispondenti alle

esigenze dei clienti. Catturando i contributi del commerciale, del marketing, della progettazione e degli

altri gruppi di lavoro, le soluzioni di KM sono in grado di offrire una metodologia per condividere le idee

e focalizzare le best practise di progettazione e di sviluppo. Mettendo insieme le idee e le informazioni, il

progetto avanza in modo più rapido ed efficiente e si riduce l’incidenza del lavoro duplicato210.

- Gestione degli utenti e delle problematiche: il KM permette di analizzare le problematiche, i modelli di

acquisto e le aspettative dei clienti ed è essenziale per sviluppare e migliorare i rapporti chiave con gli

stessi. Consente inoltre di ridurre il time to market e al contempo di aumentare il grado di successo dei

prodotti, incrementando la qualità intrinseca percepita dal cliente211.

- Pianificazione aziendale. La sfida più difficile per le aziende consiste nel rivedere continuamente le

strategie d’ogni singola area, dal magazzino fino all’ufficio del dirigente: le informazioni devono essere

condivise ai diversi livelli e l’autorità decisionale va ampiamente distribuita. Il KM offre un accesso

sistematico ai dati aziendali, alle informazioni sulla concorrenza e sui dati di mercato che supportano il

processo decisionale212.

209 Rielaborazione e interpretazione da: BERNARDI G., BIAZZO S., FECCHIO S., SIMONETTI A.,TOGLIANI C., “Organizzazione, competenze, knowledge management”, FRANCO ANGELI, Milano,2004210 A testimonianza di ciò accorre il caso che descriveremo nel quarto capitolo. Il brief elettronico diprodotto e il knowledge warehouse iKnow sono fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti.211 Esemplificativo a riguardo sono i sistemi di CRM. Il Customer Relationship Management (CRM) è unapproccio utilizzato dalle grandi aziende per raccogliere tutti i dati ritenuti necessari per capire la propriaclientela e anticiparne i bisogni così da poter programmare adeguati interventi sulla gamma dei prodottiofferti, sulle capacità di produzione, sul marketing e sulle attività di supporto alla vendita.212 Si potrebbe parlare in questo caso di Enterprise Resource Planning (ERP) che sono sistemi utilizzatidalle aziende (in special modo quelle manifatturiere) per meglio gestire e pianificare la produzione,l’approvvigionamento, i magazzini, le relazioni con i fornitori e con i clienti, gli ordini.

- Miglioramento dell’efficienza e della qualità, attraverso la documentazione della conoscenza posseduta,

la creazione di basi di conoscenza, la riduzione della possibilità di errore e il raggiungimento di obiettivi

non inizialmente previsti (si fa riferimento ad esempio alle memorie tecniche, data base di best practise).

- Gestione e sviluppo del personale. I sistemi di KM efficaci sono in grado di valorizzare le abilità e lecompetenze degli impiegati, offrono formazione, forniscono informazioni aziendali aggiornate,migliorano le conoscenze e le motivazioni degli impiegati, garantendo maggior coinvolgimento nelledecisioni operative.- Potenziamento dei processi operativi, facilitando l’accesso alla conoscenza interna e all’uso della

conoscenza disponibile per velocizzare il decision making e ottimizzare i processi (un esempio è

costituito dalle yellow pages sopra descritte).

Conclusa l’analisi dei benefici che un sistema di KM è in grado di apportare andiamo ora ad analizzare i

fattori che invece potrebbero decretarne l’insuccesso.

2.3.3 Le cause di un possibile insuccesso

Non sempre le cose vanno come appena descritte. Anzi molto spesso accade che alle alte aspettative che

l’azienda si attende dall’introduzione di un sistema di KM non corrispondano in realtà significativi

benefici né da un punto di vista economico né da un punto di vista organizzativo. La mancanza di risultati

in questi termini non è però da attribuire alla scarsa efficacia degli strumenti di gestione della conoscenza:

è stato più volte ribadito nel corso del lavoro come un sistema di KM correttamente costruito possa

consentire di ottenere buoni risultati. Ciò che rimane pertanto da analizzare è: cosa significa il termine

“correttamente costruito”? O meglio. Quali sono gli ostacoli che si frappongono ad una corretta

implementazione di un sistema di KM?

In quest’ultimo paragrafo del secondo capitolo cercheremo di analizzare quali sono gli impedimenti che

si possono manifestare in sede di gestione della conoscenza e pertanto cercheremo di studiare il perché un

sistema di KM non consente di raggiungere una condizione di successo e di superiorità competitiva. Alle

problematiche che verranno di seguito illustrate verrà in parte fornita risposta nel terzo e nel quarto

capitolo, attraverso, rispettivamente, un approccio teorico del tutto particolare al KM e attraverso la

creazione di un nuovo sistema di gestione della conoscenza: iKnow213.

Anche in quest’ambito, come nel paragrafo precedente, è utile fare una distinzione delle diverse

problematiche e delle cause di insuccesso che si possono manifestare. Essenzialmente la classificazione

contempera i seguenti fattori214:

- Problematiche connesse alle risorse umane,

- Problematiche connesse alla non comprensione dello strumento,

- Problematiche legate al costo e alla complessità del KM,

213 Come verrà anche sottolineato in seguito il metodo che verrà descritto nel terzo capitolo non puòessere propriamente considerato come la risposta alle problematiche che vengono di seguito elencate,quanto come orientamento generale che deve sottendere qualsiasi sistema di KM.

- Problematiche di natura tecnologica,

- Problematiche di natura organizzativa.

Iniziamo con l’analisi del primo fattore215. I classici impedimenti all’implementazione di pratiche di KM

partono dall’assunto ormai consolidato negli individui, ma mai dimostrato, secondo il quale sapere è

potere216. In coerenza con questo assunto gli individui mettono in campo un comportamento volto a

differenziare se stessi all’interno dell’organizzazione tramite un’ossessiva focalizzazione sullo sviluppo

delle conoscenze personali e al contempo tramite una totale assenza di atteggiamenti volti alla

condivisione delle stesse con gli altri individui. Tutto ciò porta alla manifestazione delle seguenti

situazioni:

- La conoscenza viene accumulata anziché distribuita217;

- Le conoscenze sviluppate da altri vengono spesso ignorate dal singolo anziché usate in situazioni di

lavoro in cui altri ci sono già passati;

- Le conoscenze e le competenze non vengono spesso valorizzate dalla cultura aziendale, andando così a

perdere un prezioso valore, quello del capitale intellettuale;

- Coloro che distribuiscono conoscenze e competenze non vengono considerati molto utili al sostegno

della causa dell’incremento reddituale dell’azienda.

Esistono diversi fattori che possono condurre alla nascita di resistenze alla condivisione della conoscenza.

La tabella seguente mostra i più significativi tra questi fattori.

Fattori Barriere preventive per l’effettiva condivisione della conoscenza

FontePaura della perdita di egemonia

Mancanza di conoscenza aggiornataMancanza di commitment

Contesto

Debole collocazioneRelazioni ostili tra fonte e riceventeLimiti nella conoscenza individuale

Incompatibilità culturaleDiversità di conoscenza dovuta alla mancanza di esperienza comune o

all’ambiente

Conoscenza trasferitaLimiti nell’interpretazione

Immobilità della conoscenzaAmbiguità causale

RiceventeLimiti nella capacità di trasferire conoscenza

Nessuna informazione o esistenza della conoscenzaLimiti nella capacità di istituzionalizzare l’applicazione di nuova

214 Anche in questo caso la classificazione delle problematiche è frutto di una nostra elaborazione.215 Rielaborato da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica delknowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005216 Citazione di Bacone. In realtà l’assunto è vero nella misura in cui si intende la conoscenza comerisorsa primaria di vantaggio competitivo negli odierni contesti economici. Non è più vero quando lo siriferisce alla singola persona. Il fatto che gli individui condividano informazioni non significa cheperdano il potere che hanno acquisito poiché questo è dato dalla capacità di utilizzare le stesseinformazioni.217 Si può incontrare una certa resistenza da parte di esperti gelosi dell’indispensabilità del proprio ruolo,spesso raggiunto dopo anni di esperienza. Ma tale prospettiva riduce la conoscenza ad una sorta dibagaglio personale che il proprietario può portare via quando lascia l’azienda, arrecando un dannoeconomico alla stessa.

conoscenza

Tabella 7.2 Barriere alla condivisione della conoscenza Fonte: SHIN M., “A frameworkfor evaluating economics of knowledge management systems”, Information & Management, 42, 2004,pag. 187

Oltre a quanto appena detto, merita di essere analizzata un’altra problematica che di fatto si interpone alprocesso di condivisione della conoscenza. Anch’essa fa riferimento ad un’erronea convinzione dasfatare, ma che in realtà permea molto spesso i pensieri e l’agire dei lavoratori che si vedono immersi inun sistema di knowledge management: il timore che l’introduzione del sistema significhi “tagli alpersonale”. Dello stesso avviso è Jeremy Rifkin (1995) il quale in “The end of the works” sostiene infattiche con l’inizio dell’era della conoscenza finisce l’era del lavoro. Secondo l’autore la conoscenzatrasferisce la forza produttiva alle macchine, e pertanto il lavoro umano è destinato a diventare eccedenterispetto ai bisogni dello stesso. L’errore di Rifkin però è quello di considerare l’economia dellaconoscenza come economia della quantità e non della qualità218. La smentita a quanto affermato da Rifkinla si ha quando si considera la conoscenza per ciò che essa consente effettivamente di fare: adottaresoluzioni che riducono i costi e realizzare esperienze nuove che aumentano l’utilità percepita. Se ci siconcentra solo nel primo aspetto abbiamo un uso efficientistico della conoscenza e quindi inevitabilmenteci troviamo nella situazione ipotizzata da Rifkin secondo cui si impiegheranno meno fattori e menolavoro per produrre la conoscenza. Considerando il secondo aspetto invece la conoscenza viene vistaquale elemento che serve per saggiare possibilità nuove, per produrre un’esperienza che sia significativae preziosa. Ne deriva pertanto che una corretta interpretazione della risorsa conoscenza prevede dilavorare sulla qualità del contesto competitivo e sulle condizioni cognitive dello stesso, quali ad esempiopotrebbero essere l’immaginazione, la creatività. Questo processo dovrebbe aver luogo prima ancoradell’analisi degli aspetti materiali della stessa risorsa.A testimonianza di quanto appena detto anticipiamo il caso iGuzzini che verrà trattato nel quarto capitolo.

L’introduzione di sistemi di KM in azienda (quale ad esempio il brief elettronico di prodotto) non è

significato assolutamente tagli al personale. “Anzi”, sostiene l’Ing. Mandozzi219, “con questo sistema si

ha la possibilità di risparmiare tempo. Tempo che viene impiegato per lo svolgimento di altre funzioni.

Di fatto la nostra mole di lavoro è aumentata e ci troviamo pertanto nella condizione di assumere nuovo

personale”.

Effetto totalmente contrario a quello ipotizzato da Rifkin.

Detto questo passiamo ora all’analisi della seconda problematica sopra citata: la mancata comprensione di

ciò che effettivamente il KM è e rappresenta220. Come più volte citato nel corso del lavoro non bisogna

cadere nell’errore di confondere la gestione della conoscenza con la semplice gestione dell'informazione

documentata e strutturata, o addirittura con il semplice intervento di tipo tecnologico volto alla mera

introduzione di un qualche strumento di gestione della conoscenza. Il KM riguarda la totalità degli aspetti

d’impresa, dalle risorse umane, alla cultura, allo stile organizzativo.

Aziende convinte di aver adottato un sistema di KM “attrezzandosi” con una semplice tecnologia di

document management o con la creazione di una rete Intranet o di un portale sono destinate

all’insuccesso. In questi casi il KM si configura esclusivamente come un mero aggiornamento di dati,

218 Cfr. RULLANI E. , “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”,CAROCCI, Roma, 2004, pag. 142219 L’Ing. Mandozzi è product manager dei prodotti fluorescenza per l’azienda iGuzzini Illuminazione.220 FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. IlCaso it Consult”, 2005. Un breve accenno in merito a ciò che il KM non rappresenta è stato fornito nelparagrafo 2.1.1.

assumendo di fatto le sembianze di una “cattedrale nel deserto”, svuotata dei suoi contenuti innovativi.

Per citare altri esempi: alcune imprese collocano erroneamente nell’area del knowledge management

progetti di automatizzazione e distribuzione della produzione di reportistica finanziaria e contabile

correlata alla diffusione di strumenti di analisi e supporto alle decisioni; o ancora basti pensare alla

creazione, in molte aziende di posizioni di knowledge managers il cui ruolo però si limita a collezionare e

classificare documentazione relativa a specifici ambiti e creare degli indici che vengono diffusi a tutti i

potenziali interessati. Si tratta sicuramente di attività importanti, ma limitate e parziali rispetto a quelli

che sono gli obiettivi di un progetto di knowledge management.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Increased share price

Staff retention

Improved new product developement

Create additional business opportunity

Increase market share

New way of working

Reduced costs

Sharing best practise

increase profits

Improved productivity

Improved employee skill

Fastest response to key business issues

Better customer handing

Better decision making

Benefits expected Benefits realized :

Grafico 1.2 Benefici attesi e benefici realizzati da un sistema di KM Fonte:www.kpmg/consulting.com

Il grafico che segue, tratto dal “Knowledge Managemet Research Report 2000” della società KPMG221,

riporta l’analisi svolta su 161 organizzazioni in tutto il mondo mostrando chiaramente il fenomeno

appena descritto. Questo grafico mette in evidenza che il gap tra le aspettative delle imprese e i reali

benefici conseguiti con un progetto di KM dipendono dalla difficoltà a comprendere la vera e più ampia

implicazione dello stesso sistema. Infatti, le imprese realizzano e non pienamente solo quei benefici più

strettamente legati ad una migliore gestione dei dati e delle informazioni all’interno dell’azienda. Si parla

quindi di: miglioramento dei processi decisionali (86%), migliore gestione dei clienti (83%) e maggior

221 Estratto dal sito www.kpmg/consulting.com

prontezza nel far fronte alle problematiche chiave del business. Di fatto non si ottengono pienamente le

aspettative attese in maniera totale per nessuna delle variabili considerate.

Delineata questa particolare questione occorre ora soffermarsi su di un altro aspetto: quello concernente i

costi e la complessità di un sistema di KM. Ciascun processo aziendale può essere osservato sotto il

profilo del proprio contributo al più generale equilibrio economico. La gestione della conoscenza non

sfugge a queste considerazioni e anche per essa è possibile tentare di individuare le modalità di incidenza

sull’economicità complessiva. I costi di un sistema di KM sono in genere molto elevati, come mostra la

seguente tabella.

British PetroleumHa speso 12 milioni di dollari nel 1995 per un programma pilota: un

terzo di queste risorse è stato investito per aiutare le persone alavorare in modo più efficiente

Delphi GroupUn a survey sull’implmentazione e le prospettive del KM ha

evidenziato che almeno la metà di 475 imprese statunitensi si aspettadi investire più di 500.000 dollari in tecnologia per il KM

Arthur D. Little Ha staff di 20-30 persone per singolo progetto che arriva a costareanche 10 milioni di dollari

Ernst &Young Offre dei sevizi di assestment fino alle procedure e pratiche di KM,con costi di 2-3 milioni di dollari

Mitre Cop Ha investito sino ad oggi 7,2 milioni di dollari nel Mitre InformationInfrastructure

Tab. 8.2 Costi e casi aziendali di KM Fonte: SHIN M., “A framework for evaluatingeconomics of knowledge management systems”, Information & Management, 42, 2004, pag. 183I costi di un sistema di KM fanno ad esempio riferimento all’eventuale impiego di consulenti esterni, alconsumo di tempo da parte di operatori interni, all’elaborazione di sistemi di comunicazione,all’acquisizione esterna di informazioni222. In genere si tratta di costi piuttosto ingenti, specialmente perciò che concerne il costo di produzione del “primo esemplare” (basti pensare ad esempio allarealizzazione di un sistema di CRM che potrebbe costare svariate migliaia di euro). Occorre infattisottolineare che il costo di produzione degli “esemplari successivi” è in genere molto ridotto se nonaddirittura pari a zero (il CRM una volta creato necessita soltanto di essere aggiornato). Inoltre il costo dicodificazione, di trasmissione e di acquisizione è all’inizio relativamente consistente, diminuisce poirapidamente con l’evoluzione e l’adozione delle tecnologie e con l’adattamento dell’organizzazione223. Ilfattore “costo” potrebbe apparire pertanto a prima vista come un deterrente o meglio come uno deiproblemi che si manifestano nell’adozione di un sistema di KM. In realtà questo non è sempre vero. Certoè che un sistema di KM costa, ma bisogna chiedersi quanto costa privarsi di metodi di gestione della

222QUAGLI A., “Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale”, GIUFFRE’, Milano,1995. In questa sede occorre sottolineare che è vero che i costi di un sistema di KM sono elevati ma èanche vero che essi vengono ammortizzati in periodi brevissimi se il sistema è ben progettato.223 L’entità di questi costi dipende molto dal tipo di conoscenza. Ad esempio se considerol’acquisizione della seguente conoscenza in campo medico: “far bollire l’acqua per evitare certemalattie”, sicuramente il costo iniziale sarà stato alto, ma è un tipo di conoscenza che ha un pubblicovastissimo e pertanto è stata codificata, trasmessa e acquisita a costi bassi. Discorso inverso vale per unaconoscenza astronomica sviluppata da un’unica persona. La tendenza generale è quella di unadiminuzione del costo di formalizzazione e trasmissione a seguito delle tecnologie ICT. Il costo diacquisizione ha un andamento più incerto. È ancora alto per le conoscenze specializzate, ma gliinvestimenti in istruzione e formazione ne stanno provocando una diminuzione.

conoscenza. Il segreto consiste ancora una volta nella corretta implementazione del progetto, onde evitaredi sprecare ingenti risorse senza ottenere risultati224.Per quanto riguarda la complessità di un sistema di KM occorre fare riferimento a diversi aspetti quali225:- Non è detto che vi sia possibilità di cogliere ciò che è realmente importante di una conoscenzaincorporata nell’uomo. Ad esempio un venditore di successo può non comprendere quale sia lacaratteristica del suo comportamento che lo rende particolarmente efficace nel rapporto con il cliente,trattandosi spesso di sfumature della propria personalità.- L’esplicitazione di conoscenza può provocare poi degli attriti organizzativi. Riprendendo il precedenteesempio, se il rappresentante deve spiegare le sue modalità di contatto con il cliente alla direzione èevidente che ciò presuppone una successiva diffusione ad altri operatori così come è del pari evidente cheil rappresentante vede ridotto il suo potere.- Vi è inoltre il rischio che l’esplicitazione favorisca l’osservabilità da parte dei concorrenti o di altrisoggetti in grado di utilizzare a proprio vantaggio le conoscenze così diffuse226.- La gestione della conoscenza richiede un’attività di controllo affinché possa essere efficacemente

indirizzata verso il raggiungimento dei propri scopi. Ma le difficoltà del controllo sono molteplici tra cui

la ridotta capacità di misurare i risultati della gestione della conoscenza.

- Vi è poi la difficile comprensione delle relazioni causali governanti il processo, specialmente nella fase

di generazione delle conoscenze, che provoca la riduzione delle capacità di definire gli obiettivi in

termini di risultati e di comportamenti. Ad esempio quando si afferma che lo scopo dell’attività di ricerca

consiste nella predisposizione di metodi che consentano, una maggiore celerità nello svolgimento di

un’operazione, spesso non si definiscono preventivamente le azioni da compiere, ma si usa solamente il

riferimento al processo già esistente e si indica la direzione di miglioramento.

Anche in questo caso le complessità e l’apparente scarsa semplicità nell’implementazione di un sistema

di KM potrebbero costituire un freno all’adozione dello stesso. Ancora una volta però ci preme

sottolineare come molto dipenda da come e da chi viene introdotto il metodo di gestione della

conoscenza.

Ancora due aspetti rimangono da analizzare. Uno di questi concerne le problematiche tecnologiche.

Nell’implementazione di un sistema di KM potrebbe accadere che il software che viene introdotto non

risponda in realtà alle esigenze dell’impresa e che introduca altresì svariate problematiche prima non

esistenti. Le cause di una “cattiva” progettazione del sistema potrebbero essere molteplici: dalla mancata

comprensione delle aspettative d’impresa alle difficoltà di ordine pratico nel mettere a punto il sistema;

dalle richieste poco pertinenti dell’organizzazione alla scarsa coerenza con altri software già esistenti. Di

fatto però le problematiche che la maggior parte dei sistemi di KM in uso presenta sono le seguenti:

- Bassa pertinenza del recupero nella ricerca d'informazione;

224 Per citare un esempio: se il sistema di KM non è coerente con l’obiettivo di business è naturale che laspesa per l’implementazione dello strumento sia una spesa del tutto inutile. Qualora però vi sia unacorretta gestione della conoscenza il recupero dei costi è immediato. Come si vedrà in seguito nel quartocapitolo.225 Cfr. FORAY D., “L’economie de la connaissance”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 92226 In questo senso molte aziende preferiscono non brevettare procedimenti originali in quanto il solofatto di richiedere un brevetto richiama l’attenzione dei concorrenti. La gestione della conoscenza faaumentare il rischio che l’impresa perda il proprio capitale intellettuale. Uno dei vantaggi dellaconoscenza non organizzata è che essa rimane nascosta e protetta dai tentativi di appropriazione esterni equindi difficile da copiare e riprodurre.

- Bassa “ergonomicità” dell'interfaccia dell'utente;

- Eccessivi costi di analisi, progettazione, sviluppo ed implementazione;

- Non coincidenza tra "L'organizzazione della conoscenza" progettata per gli utenti con la

concezione del proprio dominio che ha l'utente finale;

- Confusione fra la “gestione dei contenuti” e la “gestione dei documenti”;

- Difficoltà per l'integrazione col sistema dell'impresa o organizzazione;

- Necessità di una costante identificazione del profilo dell’utilizzatore;

- Difficoltà di catturare e individuare la conoscenza tacita;

- Mancanza di metodi per mappare la conoscenza, distinguendola da quella superflua.

Anche in questo caso, qualora si manifestino queste tipologie di difficoltà, l’azienda potrebbe essere

portata all’abbandono dello strumento.

Oltre a quanto appena citato merita, in quest’ambito, di essere analizzato un ultimo aspetto, quello che

viene comunemente definito tranello dell’ ICT227. Spesso le organizzazioni aderiscono ad una tendenza

tecnologica perché esse confidano sulla capacità dell’ICT nel rendere possibile il recupero della

conoscenza. In realtà questo atteggiamento pone seri problemi di dipendenza: le aziende possono

diventare subordinate dei loro archivi digitali, con il rischio di trascurare la conoscenza tacita degli

individui. Oltre a questo va aggiunto il problema del deterioramento di conoscenza, per il quale la stessa

racchiusa in documenti o in sistemi esperti può velocemente diventare datata, ma non bisogna neanche

dimenticare la difficoltà per i lavoratori di inserire i dati delle esperienze passate nei sistemi informatici,

come nel caso dell’azienda IBM, dove gli ingegneri erano incapaci di esprimere le loro importanti

esperienze di apprendimento.

Concludiamo ora con l’analisi delle problematiche di tipo organizzativo228. Come anticipato in

precedenza l’economia della conoscenza non riguarda soltanto i settori high tech o quelli connessi alla

R&S, ma è un fenomeno che concerne tutti i comparti dell’odierno capitalismo, nonché la totalità delle

aziende ad esso appartenenti, siano esse aziende manifatturiere o aziende produttrici si software. Nella

pratica però quanto appena detto è stato spesso disatteso: la fioritura dell’interesse verso la gestione della

conoscenza è cominciata in un tipo di aziende ben preciso per via dei tratti strutturali e delle realtà

operative in essere. Per quanto riguarda i tratti strutturali, il KM ha trovato fertile sub strato sul quale

svilupparsi in aziende di grandi dimensioni, multibusiness, spesso operanti su scala globale, con

un’articolata struttura. Infatti proprio l’imponenza strutturale di queste aziende ha fatto nascere l’esigenza

di gestire i propri saperi in maniera organizzata, per evitare il rischio di una comunicazione interna

inefficace o la creazione di barriere e ostacoli ad una veloce ed efficiente diffusione intraorganizzativa

delle esperienze positive maturate da alcuni dipendenti. A conferma di quanto appena descritto

ricordiamo il premio “Most Admire Knowledge Enterprise” (MAKE), assegnato ogni anno dal 1998, alle

migliori organizzazioni knowledge based. Le società prime in classifica sono state, da sempre, aziende

227Cfr. BERNARDI G., BIAZZO S., FECCHIO S., SIMONETTI A., TOGLIANI C., “Organizzazione,competenze, knowledge management”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 125

multinazionali ad elevata dimensione e complessità, spesso società di consulenza, o società Technology

Based. La prima in classifica, ormai da qualche anno, è la Ernst & Young riconosciuta da tutti la migliore

nella capacità di creare, condividere ed utilizzare conoscenza (a seguito Cisco system, General Electric,

IBM). Questo dato dimostra come la diffusione del KM non riguardi ancora la totalità delle imprese, a

discapito di quanto invece dovrebbe accadere.

Da ultimo preme ricordare come l’introduzione di un sistema di KM debba essere accompagnata da una

trasformazione delle organizzazioni in Learning Organization229. Questo fenomeno purtroppo viene ancor

oggi sottovalutato conducendo di fatto all’introduzione di metodi di gestione della conoscenza all’interno

di organizzazioni “burocratiche”. Inevitabilmente un ambiente nel quale “ciascuno coltiva il proprio

orticello” risulta essere fallimentare e di poco aiuto nell'instaurare idonei sistemi di KM o anche

semplicemente nello sviluppare logiche di knowledge sharing , con il risultato di un completo abbandono

dello strumento che viene considerato deludente e dannoso.

Un sistema di KM inoltre deve essere accompagnato da una strategia di lungo periodo. E’ inutile

pretendere di ottenere significativi miglioramenti economici ed organizzativi nel breve periodo attraverso

una pianificazione annuale: il risultato sarebbe un sicuro naufragio della maggior parte dei progetti di

KM in atto oppure la limitazione degli stessi ad una semplice pratica di gestione documentale, come

spesso si è verificato in passato.

Esiste una relazione tra KM e vantaggio competitivo rappresentata da una strategia formulata ed eseguita

nel lungo termine.

Concludiamo il capitolo con la seguente affermazione230. Paradossalmente: se il sistema di KM non vienecorrettamente implementato esso è “causa dei suoi stessi mali”. Il fraintendimento della sua funzione, lareticenza del personale alla condivisione della conoscenza, l’eccessiva complessità nell’adozione possonooriginare nuove difficoltà che prima non esistevano. Per questo motivo una corretta interpretazione edapplicazione dello stesso, nonché il superamento degli ostacoli sopra citati sono condizioni necessarie eimprescindibili per una eccellente gestione della conoscenza.Se quanto appena detto è una verità inevitabile occorre anche ribadire però come non esista una soluzioneuniversalmente valida e riconosciuta allo scioglimento di dette problematiche. Esisteranno invece rispostead hoc per ogni particolare esigenza da risolvere: adeguate politiche motivazionali nei confronti dellareticenza del personale alla condivisione della conoscenza, idonei percorsi di formazione per il topmanagement che “fraintende” il significato degli strumenti di KM,….Partendo da questo presupposto ci sembra sterile e poco opportuno procedere con l’illustrazione dellechiavi risolutive alle suddette incertezze. Riteniamo che ciascuna soluzione sia specifica e strettamentelegata al contesto aziendale di applicazione e che pertanto non sia possibile delineare dei principi guidache possano assistere le organizzazioni nell’implementazione di un sistema di KM. Tutto cambierà aseconda che si tratti di un software di knowledge warehouse piuttosto che di una rete Intranet; chevengano implementati strumenti per la valorizzazione della conoscenza piuttosto che metodi dimiglioramento della comunicazione aziendale. La buona riuscita o meno di un sistema di KM stasoprattutto nell’abilità del knowledge manager di coinvolgere attivamente tutti i soggetti e di trasferire

228 PILATI A., PERRUCCI A., “Economia della conoscenza. Profili teorici ed evidenze empiriche”, ILMULINO, Bologna, 2005229 Quanto più l'azienda risulta essere burocratizzata tanto più è limitata dal punto di vista della capacitàdi innovare, di essere agile e flessibile sul mercato con la logica conseguenza di ricavare margini direndimento molto bassi e il sicuro insuccesso nel futuro.230 L’affermazione è tratta da: SWAN J., SCARBOUGH H., “The Paradox of KnowledgeManagement”,2005

loro la propria passione nel “mestiere di gestire la conoscenza dell’azienda”. Come ottenere questo noncostituisce oggetto di studio del presente elaborato.Il successivo capitolo prenderà pertanto in esame un approccio del tutto particolare al knowledgemanagement che ha l’obiettivo non tanto di risolvere i “mali” sopra elencati, quanto di costituire mezzodi miglioramento delle metodologie di gestione della conoscenza già esistenti e pienamente operanti chehanno ormai consentito di ottenere proficui risultati.Il capitolo quarto trasformerà in realtà quanto ipotizzato nelle parti precedenti del lavoro.

CAPITOLO TERZO

AL DI LA’ DEL KNOWLEDGE MANAGEMENT: LIBERARE LE POTENZIALITA’ NASCOSTE DIUN SISTEMA DI GESTIONE DELLA CONOSCENZA

Ciò che la scienza dovrebbe insegnarci è dubitare,considerare cioè che molte delle convinzionida noi accettate come vere possono in realtà

derivare dall’abitudine e dal pregiudizio,o possono semplicemente essere sbagliate.

Non c’è lezione più importante che un abitantedel nostro mondo inquieto possa imparare

R. H. March, Fisica per poeti

3.1 Il knowledge management in cifre

Il primo e il secondo capitolo hanno tracciato un percorso chiaro e definito del nuovo “DNA

dell’impresa” e dell’imminente contesto economico che si sta delineando: viviamo in una

Knowledge Era dove l’informazione e la gestione della conoscenza costituiscono importanti

vantaggi competitivi che le imprese sono chiamate a costruire e difendere. Viviamo nel secolo

dell’immaterialità, dove le organizzazioni devono saper edificare pazientemente le basi per un

nuovo modo di lavorare e un nuovo modo di generare valore.

La consapevolezza di questa rivoluzione epocale obbliga la classe scientifica, quella imprenditoriale

e quella politica ad interrogarsi su questi nuovi scenari di mercato, sui cambiamenti indotti dalle

nuove tecnologie, sulla formazione imprenditoriale e manageriale idonea a queste sfide.

Dunque: come poter ignorare il presente e il futuro delle nostre organizzazioni? Come poter

scavalcare la presenza di una risorsa che permea l’agire dell’intero mondo economico e sociale?

La gestione della conoscenza implica successo duraturo nel tempo e eccellenza dei risultati

aziendali231.

Il presente capitolo si propone di analizzare, partendo ovviamente da quanto già consolidato in

materia di KM, un modo del tutto particolare di approcciare i saperi e le informazioni che

permeano le nostre organizzazioni. Si tratta di un metodo nuovo ed originale232 che non mette in

discussione i principi cardine del knowledge management ma che anzi, proprio partendo da questi,

li migliora e li arricchisce di contenuti ed aspetti fin’ora poco considerati, che potrebbero

permettere di ottenere risultati ancor più positivi rispetto a quelli ottenuti in passato. Più che una

vera e propria “teoria del KM” si tratta in realtà di piccoli accorgimenti che fanno emergere le

potenzialità latenti e le possibilità nascoste dietro un sistema di gestione della conoscenza.

L’idea o meglio l’intuizione di questo particolare orientamento non è nata tanto da una reale

esigenza o da una particolare problematica presente e manifesta all’interno delle aziende

knowledge based233, quanto dall’intuizione di poter ricavare da questi strumenti un surplus fin’ora

non emerso, di poter trasformare gli stessi in un qualcosa di aggiuntivo rispetto alle funzioni per

cui sono stati originati.

231 IACONO G., “L’organizzaione basata sulla conoscenza. Verso l’applicazione del knowldgemanagement in azienda”, FRANCO ANGELI, Milano, 2000.232 Quello che verrà trattato nel terzo capitolo è frutto di una nostra elaborazione dagli studi compiuti inmerito all’argomento: abbiamo pensato ad un sistema di KM non soltanto come sistema di gestione dellaconoscenza. Ovviamente non abbiamo la pretesa di aver elaborato un nuovo approccio al KM, masicuramente abbiamo cercato di far emergere gli aspetti latenti di un sistema di gestione della conoscenzache rischierebbero altrimenti di essere sottovalutati.233 E’ vero che le problematiche di un sistema di KM sono molteplici, ma è anche vero che non esiste una“ricetta universale” per una loro risoluzione, come detto a conclusione del secondo capitolo.Ognuna diesse prevede una specifica attività di rimedio che potrà essere costituita ad esempio, per ciò che concernela reticenza del personale alla condivisione della conoscenza, da un’idonea politica motivazionale; perquello che riguarda una cattiva interpretazione dei sistemi di KM, da un’adeguata formazione del topmanagement in merito ai software che vengono introdotti in azienda. Pertanto l’approccio cheproponiamo qui non vuole essere la panacea alla risoluzione delle problematiche elencate nel secondocapitolo, quanto vuole rappresentare un modo migliore per intendere gli strumenti di KM, un modonuovo di concepire i sistemi di gestione della conoscenza che vada oltre l’approccio tradizionale fin’oraadottato.

Fino ad oggi abbiamo assistito all’implementazione di sistemi di knowledge management rivolti alla

valorizzazione, alla sistematizzazione e alla capitalizzazione della conoscenza e dei saperi presenti

nelle organizzazioni. Come più volte ribadito nel corso del presente lavoro tutte le imprese che si

sono dotate di un buon sistema di knowledge management hanno ottenuto significativi benefici

sotto molteplici punti di vista234: inutile ribattere ulteriormente le cifre citate nel secondo capitolo.

Occorre però considerare che i risultati così raggiunti e i vantaggi ottenuti in questo modo

potevano essere ancor più positivi andando a gestire la conoscenza aziendale in modo originale e

proattivo.

Perché non avvalersi ad esempio di una piattaforma e-learning come strumento di marketing oltre

che di apprendimento a distanza? Perché non utilizzare un software di knowledge warehouse come

mezzo di sviluppo della creatività oltre che come metodo di capitalizzazione della conoscenza?

Perché non permettere ad un sito Web di rappresentare un fattore di legame con il territorio

insieme alla sua originaria funzione di “illustrazione” dell’azienda?

Questi alcuni degli aspetti che verranno trattai nel presente capitolo.

La ratio che ha decretato la nascita di questo particolare approccio al KM è costituita dalla

impellente esigenza di versatilità, flessibilità e dinamicità che viene continuamente richiesta alle

organizzazioni. In un mondo in continuo divenire e che muta i suoi presupposti “ora per ora” il

KM non può più essere visto semplicemente come uno strumento di gestione della conoscenza.

Occorre liberarsi dell’approccio “miope” fin’ora adottato e intraprendere un nuovo cammino che

permetta di scoprire le potenzialità nascoste all’interno dei sistemi di KM235. Occorre scavalcare i

tradizionali confini e gli schemi settoriali tipici di un sistema di gestione della conoscenza: il KM

può essere molto più di quello che è stato fino ad oggi236.

Prima di procedere con l’illustrazione e l’analisi del particolare approccio al KM abbiamo ritenuto

opportuno fornire una “panoramica numerica” in merito allo stesso e al relativo contesto

macroeconomico in cui si colloca: l’economia della conoscenza. I dati che verranno di seguito

riportati non fanno altro che confermare l’imprescindibilità e l’importanza all’interno di tutte le

organizzazioni di sistemi di KM, ma al contempo rinnovano l’ennesimo ritardo dell’Unione

Europea e dell’Italia nella partita dell’economia della conoscenza.

234 Cfr. § 2.3.3235 Le problematiche connesse al KM sono state trattate nel § 2.3.4. quella appena citata non è una vera epropria problematica quanto un limite, una mancanza che potrebbe impedire il raggiungimento di risultatipositivi.236 Questo è anche l’approccio che abbiamo adoperato con la società Nautes srl nella progettazione delsoftware di knowledge warehousing iKnow per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Il case history appenacitato verrà trattato nel quarto capitolo. In realtà l’approccio che proponiamo si pone come secondariorispetto alla funzione principale di un sistema di KM che è quella di gestire la conoscenza delleorganizzazioni.

3.1.1 La rilevanza del fenomeno

L’importanza del knowledge management è ormai chiara.

Abbiamo già ribadito più volte nel corso del lavoro come la conoscenza sia il più prezioso fattore

produttivo da gestire: trascurare la molteplicità dei saperi presenti in azienda costa 3000 sterline

l’anno per dipendente. La Canon ha stimato inoltre che i lavoratori di un’organizzazione dedicano

in media fino a otto ore alla settimana alla ricerca di documenti necessari per l’espletamento del

loro lavoro: uno spreco notevole in termini di tempo e denaro, “tanto più che si tratta di un

problema facilmente risolvibile”237.

Il KM non è insomma un evento fortuito che passerà senza lasciare traccia di sé come parte degli

argomenti e delle mode manageriali che si sono succeduti nel corso del tempo; non è un fenomeno

accidentale destinato a scomparire dalle riviste di management con l’avvento di una nuova

tendenza. E’ un dato di fatto, è una necessità, è un elemento di vantaggio competitivo che occorre e

che conviene saper sfruttare.

Cosa significa concretamente tutto questo? Quanto conta effettivamente il KM in termini di

“numeri”? Vediamo alcuni dati che possono essere d’aiuto per contestualizzare il fenomeno.

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

Spesa in KM, M€

Grafico 1.3 Spesa in servizi di knowledge management espressa in miliardi di euro. Fonte: IDC, aprile2002

Dal grafico si evince chiaramente il trend crescente della spesa mondiale in servizi di KM238: essa è più

che triplicata dal 2001 al 2006 e tutto lascia intendere che non sia destinata a fermarsi. Basti pensare che

237 Tratto da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo.”, ETAS, 2005238 I dati che verranno riportati di seguito sono quelli a nostro parere più significativi, ma ovviamente nonesaustivi dell’importanza del fenomeno in questione. Alcune altre informazioni in merito alla spesa e agliinvestimenti in KM sono presenti nel secondo capitolo.

soltanto nel 1998 il mercato mondiale dei servizi per il knowledge management valeva 1,5 miliardi di

dollari239.

Se si considera che ad oggi soltanto una piccola percentuale delle aziende esistenti si sia attivata

nell’implementazione di sistemi di KM e che pertanto un’enorme fetta del nostro patrimonio

imprenditoriale si sta “attrezzando” o comunque dovrà necessariamente operare per gestire la propria

fonte di saperi aziendali, si capisce perfettamente come negli anni a venire la spesa in KM sarà destinata a

crescere ulteriormente. A ritmi vertiginosi.

La tabella successiva conferma il trend in atto. La spesa in KM degli USA rappresenta in modo

significativo quanto appena detto: dal 1999 al 2003 il denaro speso per gestire la conoscenza è cresciuto

di circa sei volte, decretando di fatto la nascita di un vero e proprio mercato del KM.

1999 2000 2001 2002 2003

Servizi 1300 2300 3700 5600 7900

Software 330 549 843 1292 1804

Infrastrutture 163 285 454 689 970

Risorse interne 244 427 681 1034 1456

Totale 2037 3561 5679 8615 12130

Tabella 1.3 La spesa totale in KM negli Stati Uniti espressa in milioni di dollariFonte: MASSA S., MERLINO M., “Produzione e marketing dei servizi professionali: il ruolo del KM”,Economia e Management n.1, 2005

Questo non è tutto: si stima infatti che le spese per la gestione della conoscenza saliranno negli anni a

venire del 40/50% l’anno, dal momento che la conoscenza viene riconosciuta fin da ora come valore e

patrimonio dell’impresa che occorre saper “curare” e mettere a profitto.

I dati che vengono di seguito elencati rinnovano ulteriormente questa tendenza240:

- Le società la cui attività principale dipende dalla conoscenza spendono tra il 5% e il 10%

del proprio fatturato annuo in sistemi di Knowledge Management interni;

- Nel 2002 più del 75% delle prime mille aziende del mondo della classifica del mensile

Fortune ha attivato al suo interno uno o più progetti di knowledge management,

principalmente al fine di incrementare il fatturato e l’utile, trattenere in azienda il talento e

le competenze, migliorare il servizio alla clientela;

- Il 25% dell’attuale forza lavoro è costituita da knowledge workers241; ovvero da lavoratori

che non trasformano più la materia prima, ma che generano conoscenze innovative che con

il loro impiego saranno usate per trasformare la materia in utilità e valore per il cliente.

239 Fonte: Check-up competitività, 2005 del Centro Studi Confindustria.240 I dati che verranno di seguito riportati sono tratti da: http://www.kmworld.com/

E ancora242:

- Il giro d’affari legato alla business intelligence, quindi relativo a una parte particolare del

settore, dal 2002 al 2005 ha conosciuto una crescita annua del 26,7 %;

- Tra il 1998 e il 2002 si è assistito ad un tasso di crescita media annua del 30% per le

soluzioni di workflow e text retrieval e del 40% per le soluzioni di document

management243;

- Le stime fatte dall’ IDC sul mercato mondiale dei portali sostengono una rapida crescita

nella diffusione di questa soluzione dai 454,9 milioni di dollari del 2001 a 2 miliardi di

dollari nel 2005, con un tasso di crescita annuo del 51% circa;

- Per il 2007 IDC prevede una crescita del 7% per il mercato italiano del software di

Document-Content Management, in linea con le performance fatte registrare lo scorso anno

(i dati a pre-consuntivo parlano di un +7,6% di incremento nel 2006)244;

- Ancora più dinamico è il ritmo di sviluppo del mercato dei cosiddetti Content Access tools,

ovvero dei motori di ricerca, degli strumenti di estrazione e visualizzazione dei contenuti,

delle soluzioni più innovative che combinano meccanismi di interrogazione di tipo statistico

con affinate tecniche di ricerca semantica. Questo segmento fa registrare una crescita a tassi

decisamente superiori alla media: 13,3% nell'anno appena chiuso e anche per il 2007 e il

2008 si stimano tassi a doppia cifra (rispettivamente 12,1% e 10,6%);

- La parte dell’infrastruttura di KM (data warehouse, document management, groupware)

cresce del 15% annuo e valeva nel 2003, 1,6 miliardi di dollari. La parte di accesso al KM

(enterprise portal, motori di ricerca, workflow) cresce del 43% annuo e valeva nel 2003 2,5

miliardi di dollari.

Il grafico 2.3 conferma quanto appena detto.

241 Dato già citato nel secondo capitolo.242 Fonte: http://www.jekpot.com/pagine/km4ple1.html243 Il significato di workflow è stato già ribadito nel secondo capitolo. Il text retrivial è un motore diricerca testuale in grado di gestire in modo efficiente l'enorme volume di informazioni che può contenereun testo (o più testi). Il document management comprende invece un insieme di strumenti software chepermettono di gestire elettronicamente i documenti che vengono prodotti e scambiati all’interno di unacerta organizzazione.244 Il content document management oltre ad essere un sistema come sopra delineato per la gestione delleinformazioni presenta in più funzionalità connesse alla amministrazione di siti web e intranet. Ribadiamoancora una volta che le soluzioni tecnologiche per il KM sono praticamente illimitate. Nel secondocapitolo abbiamo esposto quelle a nostro parere più significative.

0 1000 2000 3000 4000 5000 6000

2000

2001

2002

2003

2004

2005

Accesso Infrastruttura

Grafico 2.3 Mercato mondiale dei software di knowledge management , milioni di €, 2000-2005Fonte: IDC 2002

I dati parlano chiaro245: il settore del knowledge management rappresenta un’ottima opportunità

di business per tutte quelle società coinvolte nel sistema: le società di consulenza per prime, i

fornitori di tecnologia poi. Ma non solo.

Le previsioni di investimento delle imprese nei prossimi anni246 fanno ritenere che il KM diventerà un

settore di business significativo, in linea con le aspettative legate alla sua valenza strategica. La società

Metagroup a tal proposito sostiene che fra un paio d'anni i princìpi cardine del knowledge management

come l'innovazione e la collaborazione permetteranno di implementare le strategie di quasi tutte le

organizzazioni.

“Stiamo assistendo ad una vera e propria esplosione del mercato del KM per effetto del traino della new

economy misto alle conseguenze indotte dalla globalizzazione e per effetto della percezione della

conoscenza da parte delle aziende come un asset valorizzabile e strategico ai fini del business”, spiega

Federico Butera, presidente di Butera & Partners247.

Molte altre testimonianze potrebbero essere citate a riguardo: concludiamo però questo paragrafo con

alcuni dati a nostro avviso molto significativi.

I risultati di un’indagine condotta da Jeme Bocconi con il Gruppo Progman per determinare il

livello di comprensione ed utilizzo delle nuove metodologie e tecnologie di gestione

dell’informazione, conoscenze e processi formativi nel panorama delle grandi imprese italiane ha

rilevato che248:

245I dati da citare in questo senso sarebbero moltissimi: riteniamo però che quelli già riportati siano di persé sufficienti per comprendere la portata del fenomeno.246 Dichiarazione di Antonio Romano, research director di Idc.247 Tratto dal sito: www.tesigroupconsulting.it/248 Fonte: http://www.progman.it/documenta/Executive%20Summary_finale.pdf. Il campione analizzatoè formato da centocinquanta aziende definite per dimensione, settore merceologico e area aziendale diappartenenza dell’intervistato: Il 61% è composto da imprese che impiegano tra i 1000 e i 5000dipendenti e per il 23% da grandi gruppi che impiegano più di 5000 persone; I settori merceologicid’appartenenza sono quattordici, di cui il 38% appartenente alla categoria Manufacturing (non computer);

- La quasi totalità delle aziende intervistate (il 93%) considera la gestione e la

capitalizzazione del knowledge aziendale un fattore critico di successo;

- Il totale delle imprese del campione non ha una funzione dedicata di Knowledge

Management ma ne fa rientrare gli obiettivi tra i compiti della funzione Human Resources

(80%) e/o della funzione Organization (11%);

- Il 70% circa delle società intervistate ha speso meno di 500.000 euro per il 2003, solo il

10% ha previsto una spesa superiore ai 2.000.000 di euro per gli anni a venire.

Di conseguenza non vince chi è grande o è piccolo, chi è americano o giapponese, ma chi impiega

creativamente le sue conoscenze intellettuali, relazionali e sociali nei rapporti intra e inter

organizzativi249.

3.1.2 L’Unione Europea e la strategia di Lisbona

In questa breve sezione del terzo capitolo metteremo in luce le strategie e i comportamenti che l’Unione

Europea e lo Stato Italiano (che verrà trattato nel successivo paragrafo), hanno messo e stanno mettendo

in campo nella “partita dell’economia della conoscenza”250.

La scelta di inserire in questa parte dell’elaborato una sezione dedicata al contesto di riferimento non è

fuori luogo: le politiche macroeconomiche che vengono messe in atto a livello nazionale ed

internazionale influiscono moltissimo sulla situazione delle nostre imprese. In fondo gli investimenti in

KM dipendono anche da come l’Europa e l’Italia si attivano per favorire e diffondere una cultura

dell’innovazione e della gestione e condivisione della conoscenza251. Condizioni microeconomiche

La maggior parte degli intervistati (80%) appartengono alla funzione Human Resources.249 Di seguito riportiamo la classifica KMWorld delle 100 migliori aziende in ambito di KM e gestionedella conoscenza.ABBYY Software, Abrevity, Antarctica Systems, Appian, Apple, Aquire, Astoria,Attensity, Autonomy, Avenue A/Razorfish, AXS-One, BA-Insight, BEA, Brainware, Business Objects ,CAInc., Captaris, Citrix Systems, Clarabridge, Connotate , Contextware, Convera, Coveo, Deep WebTechnologies, DICOM Group/Kofax ,Dieselpoint, DocZone.com, eGain, Ektron,EMC/Legato/Documentum/Captiva, Endeca , Engenium, Exact, Exalead, Expert System , EXSYS,Extensis, FAST, FatWire , Global 360, HandySoft, Hewlett-Packard, IBM/Lotus/FileNet, InnodataIsogen, InQuira, Insightful , Interwoven, Inxight, ISYS Search Software, IxiaSoft, KANA, KazeonSoftware, KNOVA, KnowNow, Liberty IMS, Lockheed-Martin, Mark Logic, Mercado, Metastorm,Microsoft, MicroStrategy, MindTouch , Mondosoft, Nervana, Noetix, Northern Light, Nstein, OpenText/Hummingbird, Oracle/Stellent, PaperThin, Percussion , QL2, Quantum Art, Really Strategies,Recommind, SAP, SAS, SAVO, SchemaLogic, Serena Software, SharePoint, Siderean , SiteScape,SpringCM, SumTotal, SupportSoft, Tacit, Talisma, TEMIS, Teragram , TheBrain, TOWER Software,Traction Software, Vivisimo, WebSideStory, X1 Technologie, Xerox, XyEnterprise, Xythos, ZyLAB.250 La scelta di inserire in quest’ambito una sezione dedicata alle politiche europee ed italianenell’ambito dell’economia della conoscenza potrebbe sembrare di primo acchito un po’ fuori luogoe un po’ sconnessa dal core element del nostro elaborato che è costituito dal knowledgemanagement. A nostro avviso però quando si parla di sistemi di gestione della conoscenza non sipuò prescindere dall’analisi del contesto macroeconomico di riferimento. Ci è sembrato pertantodoveroso fornire una breve panoramica di quello che l’Europa e l’Italia hanno fatto e stannofacendo in tal senso. Tutto ciò anche in coerenza con la successiva parte del capitolo dedicataall’approccio olistico al che potrebbe contribuire seppur in minima parte al miglioramento dellasituazione italiana nel contesto dell’economia della conoscenza.251 Così come il secondo capitolo è stato preceduto da una parte introduttiva riguardante l’economia dellaconoscenza, che è servita a contestualizzare il fenomeno, anche in quest’ambito sembra opportunoanalizzare come l’Europa e l’Italia stanno affrontando la partita dell’economia della conoscenza.

(legate al comportamento della singola impresa) e condizioni macroeconomiche (connesse allo scenario

politico-economico italiano ed europeo) sono strettamente interdipendenti e reciprocamente

condizionanti: il successo dell’una dipende intimamente da come si comporta l’altra variabile. Per questo

abbiamo ritenuto opportuno inserire a questo punto dell’elaborato una sezione dedicata alla situazione

italiana ed europea.

Per citare un esempio: se l’Italia non recepisce le direttive europee della strategia di Lisbona in merito

alle politiche da adottare per diventare la più grande economia basata sulla conoscenza entro il 2010,

molto probabilmente non incoraggia “il proprio imprenditore” a dotarsi di sistemi di KM. Quale azienda

sarebbe stimolata a gestire la propria conoscenza all’interno di un Paese che non investe in ICT , in

politiche innovative e in formazione? Come poter operare nell’ambito del KM in un sistema che non si

attiva per l’erogazione di incentivi, di finanziamenti agevolati e altri strumenti di questo genere?

Lo scarso interesse ma soprattutto la mancanza di politiche adeguate da parte del proprio Paese di

appartenenza potrebbe condurre ad una “ignoranza” delle imprese ad esso appartenenti nei

confronti della tematica del KM: esse potrebbero essere all’oscuro ed inconsapevoli dell’esistenza

di sistemi di knowledge warehousing o di sistemi di document management, che potrebbero invece

rappresentare una svolta di fondamentale importanza per il successo dell’azienda. E quindi anche

del Paese in cui essa opera252.

Vediamo in dettaglio il contesto internazionale e le politiche adottate dall’Unione Europea nella

partita dell’economia della conoscenza.

“UE, la competizione è conoscenza”253: così titola un interessante articolo pubblicato recentemente

di Jan Figel, Commissario europeo per l’istruzione, la formazione e la cultura, scritto insieme alla

signora Maria Van Der Hoeven, Presidente di turno della UE. In questi ultimi anni il tema della

conoscenza come vantaggio competitivo, non solo per la singola impresa ma addirittura per un

sistema Paese, è uno dei temi core delle politiche europee. Per fronteggiare la competizione

internazionale, la bassa crescita economica, l’allargamento dell’Unione Europea e la conseguente

diminuzione del reddito medio pro-capite, nel Marzo del 2000 , a Lisbona, il Consiglio Europeo ha

deliberato un nuovo obiettivo strategico per il decennio 2000 - 2010: “Diventare l’economia basata

sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita

economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale254”.

Tra le aree di intervento fondamentali della Strategia di Lisbonaricordiamo255:

252 Questo discorso non è vero nella totalità dei casi, anche perché nonostante l’Italia sia molto indietro inquesto senso, esistono già alcune imprese che si sono mosse per gestire proficuamente la loro conoscenzaaziendale.253 FIGEL J., VAN DER HOeVEN J.A., “UE, la competizione è conoscenza“, IlSOLE 24 ORE, 16Dicembre 2004.254Fonte: Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie – Consiglio europeo straordinario di Lisbona, 23-24 marzo 2000, Documento di sintesi. In questa sede occorre anche sottolineare come il termineeconomia della conoscenza è entrato ufficialmente nel linguaggio economico-politico proprio con laStrategia di Lisbona.255 In realtà le variabili che vengono considerate dalla strategia di Lisbona sono molte. In questa sedeanalizziamo soltanto quelle che sono di maggior interesse per l’intero elaborato.

1) Occupazione, riforme economiche e coesione sociale;

2) Modernizzazione del modello sociale europeo;

3) Sostenimento del contesto economico sano e delle prospettive di crescita favorevoli.

Analizziamo meglio ognuno di questi aspetti. Per ciò che concerne il primo degli argomenti citati occorre

sottolineare che predisporre il passaggio verso un'economia e una società basate sulla conoscenza

significa prima di tutto migliorare le politiche in materia di società dell'informazione, attraverso la

costituzione di una information society per tutti, che determini l’incentivazione all’utilizzo di strumenti

ICT. Significa poi definire uno spazio europeo della ricerca e sviluppo256 per mantenere alta la capacità

competitiva dell’Unione, e infine significa accelerare il processo di riforma strutturale dell'innovazione

che si sostanzia nella creazione di un ambiente favorevole all'avviamento e alla crescita di imprese

innovative, specialmente di PMI.

Il secondo punto della strategia di Lisbona concerne invece la modernizzazione del modello sociale

europeo attraverso il forte investimento nelle persone e attraverso la costituzione di uno stato sociale

attivo. Ciò significa che gli individui sono la principale risorsa dell'Europa e su di essi dovrebbero essere

imperniate le politiche dell'Unione, anche al fine di eliminare o quantomeno ridurre i livelli di

disoccupazione, l'esclusione sociale e la povertà. Ne deriva necessariamente una forte attenzione

all’istruzione e alla formazione che si prospetta consentirà a tutti di vivere e lavorare nella società dei

saperi.

Da ultimo il Consiglio propone metodiche di messa in atto delle decisioni anzidette per le quali si

presenta un approccio più coerente e sistematico attraverso la mobilitazione dei mezzi necessari e

attraverso l’applicazione di un'adeguata combinazione di politiche macroeconomiche. In particolar modo

il settore privato e i partenariati pubblico-privato saranno lo strumento privilegiato per conseguire il

nuovo obiettivo strategico che dipenderà dalla mobilitazione delle risorse disponibili sul mercato nonché

dagli sforzi degli Stati membri. Ogni anno la Commissione presenta una relazione (Rapporto di

Primavera) al Consiglio Europeo nella quale vengono esaminati in dettaglio i progressi compiuti

nell’attuazione di questa strategia. Nel 2004 l’implementazione di queste riforme risultava del tutto

insufficiente, così come il mantenimento degli impegni da parte di ciascuno stato membro. Il World

Economic Forum257 ha prodotto un interessante rapporto “The Lisbon Review 2004” che evidenzia le

prestazioni degli Stati UE 15 (l’Europa dei quindici) nella partita dell’economia della conoscenza.

La tabella 2.3 riporta alcuni dati interessanti258. Lo schema non fa altro che confermare un dato già

consolidato: al vertice degli UE 15, con il miglior punteggio complessivo, si attesta la Finlandia, che

256 Basti pensare che la società Nautes che verrà in seguito approfondita è nata proprio dopo la vincita delconcorso E-capital indetto dalla Camera di commercio di Ancona nel 2001. Inoltre nel 2002 a Barcellonail Consiglio europeo ha ulteriormente rafforzato questa tendenza portando il livello degli investimenti inR&S ad un ammontare pari al 3% del PIL (soglia a cui sono vicini USA e Giappone) ed elevando alcontempo dal 56% al 66% la parte finanziata dal settore privato.257 Fonte:www.weforum.org258 La voce rank indica la classifica dei Paesi Europei in ordine decrescente di performance in merito allevariabili considerate. La voce score indica il punteggio (da 1 a 7) di ciascuno di essi facendo sempreriferimento ai fattori anzidetti.

realizza le migliori prestazioni anche in quattro degli otto obiettivi parziali dell’agenda di Lisbona: prima

nella diffusione dell’IT, prima nell’innovazione, ricerca e sviluppo, prima nella liberalizzazione del

mercato, prima nella promozione dello sviluppo sostenibile. Alle spalle della Finlandia si attestano

rispettivamente la Danimarca, la Svezia, il Regno Unito. Questi dati però presi di per sé non ci dicono

nulla o comunque ci dicono ben poco in merito al raggiungimento o meno degli obiettivi della strategia di

Lisbona.

Per comprendere come l’Europa già nel 2004 si trovava in una posizione di netto svantaggio competitivo

nella sfida dell’economia della conoscenza è utile richiamare l’ultima riga della tabella 2.3. Gli USA

battono l’UE sia nell’ ambito della promozione e diffusone dell’IT che nel campo dell’innovazione e

della ricerca e sviluppo (rispettivamente 5,86 a 4,61 e 6,08 a 4,41)259. Dato sconfortante se si pensa

anche al fatto che la strategia di Lisbona dell’anno 2000 aveva previsto che le spese in ricerca e sviluppo

dell’Unione dovessero essere pari almeno al 3% del PIL europeo.

EU 15

rank

scor

e

Info

rmat

ion

Soci

ety

Inno

vati

on e

liber

aliz

a

tion

Net

wor

k

indu

stri

e

sFi

nanc

ial

serv

ices

entr

pris

e

Soci

l

incl

usio

n

sost

enib

il

e

Finlandia 1 5.80 5.78 5.87 5.36 6.33 6.13 5.48 5.46 5.97

Danimarca 2 5.63 5.68 4.87 5.14 6.51 5.96 5.60 5.52 5.78

Svezia 3 5.62 5.71 5.57 4.91 6.37 5.80 5.29 5.46 5.89

Regno Unito 4 5.30 4.96 4.67 5.11 5.78 6.10 5.62 4.86 5.30

Danimarca 5 5.21 4.99 4.46 4.94 6.04 5.67 4.71 5.29 5.57

Germania 6 5.18 4.95 4.90 4.64 6.38 5.62 4.64 4.37 5.96

Lussemburg

o7 5.14 4.98 3.57 4.96 6.22 5.72 5.17 5.19 5.28

Francia 8 5.03 4.52 4.68 4.65 6.10 5.68 4.68 4.72 5.28

Austria 9 4.94 4.69 4.27 4.54 5.76 5.48 4.28 4.88 5.20

Belgio 10 4.88 4.08 4.45 4.63 5.74 5.39 4.69 5.12 5.64

Irlanda 11 4.69 4.14 4.18 4.47 4.89 5.59 5.30 4.62 4.91

Spagna 12 4.47 3.71 3.93 4.50 5.34 5.14 4.32 4.38 4.35

Italia 13 4.38 3.94 3.87 4.40 5.30 4.92 3.64 4.24 4.48

Portogallo 14 4.25 3.88 3.44 4.10 5.35 4.90 3.89 4.15 4.74

Grecia 15 4.00 3.16 3.44 3.96 4.99 4.74 3.78 3.90 4.29

USA 5.55 5.86 6.08 5.11 5.85 5.82 5.71 5.04 4.00

Tabella n. 2.3 Punteggio dei Paesi UE 15 Fonte: www.weforum.org/pdf/Gcr/LisbonReview/

259 Già dalla tabella 1.3 si evince la portata degli investimenti in Ict e in KM che gli Usa hanno attivatoormai da tempo.

Nel 2004, come dimostra la tabella 3.3 nessun Paese aveva raggiunto tale obiettivo.

Il quadro fin’ora descritto, pur nella sua estrema sintesi, mette in evidenza quanto lontana nel 2004 era

ancora l’Europa rispetto agli ambiziosi obiettivi stabiliti dalla Strategia di Lisbona. Nel 2005 è stata

pertanto effettuata una profonda rivisitazione delle politiche europee per l’economia della conoscenza.

Stato membro 2004Belgio 1.93

Repubblica ceca 1.28Danimarca 2.61Germania 2.49Estonia 0.91Grecia 0.58Spagna 1.07Irlanda 1.20Francia 2.16Italia 1.14Cipro 0.37

Lettonia 0.42Lituania 0.76

Lussemburgo 1.78Ungheria 0.89

Malta 0.27Paesi bassi 1.77

Austria 2.26Portogallo 0.78Slovenia 1.61

Slovacchia 0.53Finlandia 3.51Polonia 0.58Svezia 3.74

Regno unito 1.79

Tabella 3.3 Spesa per R&S in percentuale del PIL Fonte: Eurostat

Il rilancio della Strategia di Lisbona “obbliga” essenzialmente ad una ripresa della crescita europea

attraverso una serie di riforme i cui punti cardine sono:

- Rendere l’Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro;

- Fare in modo che conoscenza e innovazione rappresentino il fulcro della crescita europea;

- Elaborare politiche che consentano alle imprese europee di creare nuovi e migliori posti di lavoro260.

260 Il 6 aprile del 2005 poi sono state pubblicate due importanti comunicazioni: costruire il SER dellaconoscenza al servizio della crescita e il Programma quadro per la competitività e l’innovazione 2007 –2013, che cercano di creare un saldo binomio tra competitività economica competitività della societàdella conoscenza. Con la prima la Commissione ha proposto l’impiego di maggiori risorse nella societàeuropea della conoscenza, mediante un sostanziale aumento dei finanziamenti per lo spazio europeo diricerca che passano da circa 4 miliardi di euro l’anno del VI programma quadro a 10 miliardi di euro

Arrivati a questo punto è naturale chiedersi: come si colloca ad oggi l’Europa nella partita dell’ economia

della conoscenza? Il World Economic Forum ha rilevato nel 2007 i seguenti dati261: - Il tasso di crescita

dell’Unione si è attestato attorno al 2,7%, - Nel 2006/2007 sono stati creati sette milioni di nuovi posti di

lavoro con un aumento del tasso di occupazione dal 64% nel 2005 al 66% nel 2008 . “Si iniziano ad

intravedere i primi frutti della strategia rinnovata” sostiene la presidenza del Consiglio Europeo di

Bruxell dell’8 e 9 Marzo 2007, “ma la strada da fare è ancora molta”. A testimonianza dei progressi

raggiunti dall’Europa in questi ultimi anni e a “certificazione” che il percorso da intraprendere è appena

iniziato ci sembra utile riportare una tabella che mostra la situazione dell’Europa dei 25 rispetto a Stati

Uniti e Asia.

Eu25Average USA East Asia

EU averagerelative tothe USA

EU averagerelative tothe East

AsiaInformation Society 4.58 5.63 5.41 -1.05 -0.83

Innovation, R&S 4.24 6.01 5.23 -1.78 -0.99

Liberalization 4.52 5.21 5.13 -0.29 -0.21

Network Industries 5.36 5.72 5.96 -0.36 -0.59

Financial services 5.50 5.97 5.54 0.37 0.06

Enterprise 4.58 5.21 5.11 -0.63 -0.52

Social inclusion 4.40 4.58 4.87 -0.18 -0.47

Sustainable development 5.05 5.26 5.02 -0.21 0.03

Overall Lisbon Score 4.84 5.45 5.28 -0.61 -0.44

Tabella 4.3 Lisbon Scores: Comparing the UE, USA and East Asia Fonte: www.weforum.org/pdf/gcr/lisbonreview/report2006.pdfPerché nonostante i miglioramenti conseguiti rispetto al 2004, l’Europa è ancora molto indietro nei

confronti delle altre due potenze mondiali?

Non esiste una risposta univoca e certa a questa domanda: di fatto c’è la volontà da parte di tutti

gli Stati membri di intraprendere un cammino che conduca alla più grande economia basata sulla

conoscenza entro il 2010, ma sostanzialmente i risultati non sono ancora confortanti.

Gli investimenti nella onoscenza sono responsabili del 40-50 % della crescita economica europea: se si

vuole colmare il ritardo su Asia e Stati Uniti, l’Europa deve possedere una marcia in più, un percorso che

le consenta di recuperare il ritardo accumulato e di superare i concorrenti.

annui per il VII PQ. Il VII PQ intende investire: su una più vasta cooperazione europea tra Centri diricerca ed Enti pubblici Nazionali, sulla creazione di un triangolo della conoscenza al cui vertice si ponel’innovazione e che fa riferimento alla riorganizzazione delle relazioni tra ricerca, innovazione eformazione, nello sviluppo delle carriere.261 Citiamo in quest’ambito soltanto alcune delle stime elaborate dal WEF. Per un’analisi piùapprofondita delle suddette stime si veda il sito: www.weforum.org

3.1.3 E l’Italia?

Spesso l’Italia da l’idea di un Paese stanco e in declino262:

- Il Pil italiano è cresciuto nel 2004 dell’1,2%, meno che in Germania (1,6 %) o in Francia

(2,5%), o nel Regno Unito (3,1%);

- L’investimento in conoscenza è tra i più bassi dei paesi dell’OCSE: la spesa per ricerca e

sviluppo è pari all’1,1% del Pil, rispetto ad una media europea del 2%. Non c’è da stupirsi

se alla fine produciamo 72 brevetti per milione di abitanti contro i 153 che costituiscono la

media europea: la Helwtt-Packard, come ricorda spesso il sociologo Domenico DeMasi, da

sola possiede 24 mila brevetti e ogni giorno ne registra 11. L’Università La sapienza di

Roma, che conta 150 mila studenti, nel 2004 ha registrato 34 brevetti: quelli che HP realizza

in tre giorni;

- L’Italia non investe nel suo capitale umano: il numero di laureati tra i giovani è bassissimo:

il 12,5 % contro il 24% della Grecia.

Il quarto rapporto Enea sulla competitività evidenzia che: “La quota di commercio mondiale dell’Italia

nei comparti ad alto contenuto tecnologico è scesa nel 2001 al 2,29% contro un già esiguo 3,55% del

1990. Una perdita netta, quindi, del 35%. Per converso, nello stesso periodo, la quota della UE dei 15 è

diminuita meno del 10%”263. E’ il check-up annuale di Confindustria a dirci che l’Italia ha una

percentuale bassissima di imprese manifatturiere che lavorano fianco a fianco con gli Atenei: nel biennio

1998-2000 erano solo il 2,3% mentre in Finlandia si superava il 28%, in Svezia il 13% e in Francia,

Germania e Austria non si scendeva sotto l’8%264. Insomma: nella nuova economia dell’intangibile ci

collochiamo in una posizione di netto svantaggio rispetto a tutti gli altri Paesi. E pensare che la gestione

della conoscenza è una risposta obbligata alla crescente competizione sul piano dei costi proveniente

dalle economie meno sviluppate265.

262 I dati che vengono elencati qui di seguito sono tratti da: CIANCIULLO A., REALACCI E., “SoftEconomy”, BUR, 2005. L’intero paragrafo prenderà in considerazione quelle cifre e quelle statistiche chea nostro avviso rappresentano in modo più significativo la situazione italiana in merito all’economia dellaconoscenza.263 Cfr. FERRARI S., GUERRIER P., MALERBA F., MARIOTTI S., PALMA D., Quarto rapporto Enea“Italia nella competizione tecnologica internazionale”, ANGELI, Mialno, 2004, pag. 68264L’Italia nel Global Competitivness report è scesa tra il 2003 e il 2004 dal 41° al 47° posto, dopo laSlovenia, la Lituania e Cipro.265 Cfr. SACCO P.L., “Le carte vincenti dell’economia”, Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2005, pag. 8

Per comprendere in modo più significativo l’atteggiamento dell’Italia nella “partita” dell’economia della

conoscenza ci sembra utile analizzare i risultati che emergono dal calcolo dell’indice di orientamento al

valore aggiunto intangibile266.

266 L’indice viene calcolato in due versioni:sui ranghi (le posizioni che ciascun paeseoccupa nella classifica stabilita da ciascunindice) e sui valori assoluti (in termini di

scostamento percentuale dal valore ottenutodalla nazione in cima alla classifica). Gliintangibili riguardano l’economia dellaconoscenza: innovazione tecnologica e

culturale, creatività, diffusione sociale dellecompetenze e trovano applicazione in tutti isettori, dai più tradizionali ai più high tech.

Sette indici. Per misurare la capacità diadattamento ai nuovi scenari competitivi da

parte di un sistema paese bisognaconsiderare più indici. Il nostro studio

include i seguenti: growth CompetitivenessIndex of World Economic Forum(potenziale competitivo); Human

Developement Index dell’Undp (qualitàdella vita), Creativity Index di Richard

Florida (orientamento innovativo); tasso divariazione dello stesso creativity Index

Classifica per ranghiFinlandia 2,85

Danimarca 3,28Svezia 3,42Olanda 3,85Irlanda 5,40Austria 6,00Belgio 6,85

Regno Unito 7,83

(dinamismo innovativo); Subjective wellbeing Index di Ronald Inglrhart (qualità

della vita percepita); Corruption perceptionIndex di Transparency International (qualità

della governance istituizionale); PressFreedom Index di Reporters sans Frontieres

(openess in senso popperiano). Il nuovoindice. Le informazioni provenienti da

ciascuno dei sette indici e riferite in tutti icasi all’aggiornamento 2004, sono stateaggregate in un unico dato, che potremodefinire indice di orientamento al valoreaggiunto intangibile. Modulo di calcolo:somma degli scostamenti percentuali, per

ciascun indicatore, dal risultato dellamigliore nazione (punteggio assoluto,colonna 1), deviazione % dei punteggi

assoluti da quello della migliore nazione(colonna 2).

Germania 7,86Francia 9,71Spagna 9,85

Portogallo 10,70Grecia 12,14Italia 12,57

Tabella 5.3 Classifica per ranghi dei paesi dell’UE-14. Indice di orientamento al valore aggiuntointangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOA

SCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001

Classifica per grandezze assolutePunteggio assoluto Deviazione %

Finlandia 126 0Danimarca 229 -0,817

Svezia 285 -1,261Olanda 328 -1,603Irlanda 366 -1,904

Regno Unito 519 -3,119Austria 527 -3,182

Germania 457 -3,341Belgio 589 -3,674Spagna 683 -4,420Francia 690 -4,476

Portogallo 747 -4,928Grecia 893 -6,087Italia 931 -6,388

Tabella 6.3 Classifica per grandezze assolute dei paesi dell’UE-14. Indice di orientamento al valoreaggiunto intangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” inPADOA SCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano,2001Nel gruppo UE-14 il dato che esce fuori tanto sui ranghi che sui valori assoluti è il netto primato delle

nazioni Nord europee; Finlandia in primis, seguita da Danimarca, Svezia e Olanda; da ultimo troviamo

pesantemente staccate dalle altre Grecia e Italia267.

Analizzando la compagine G-7, la situazione non è poi così differente: il gruppo leader comprende gli

USA e il Canada: l’Italia in quest’ambito non solo arriva ultima ma addirittura è staccata di vari ordini di

grandezze da tutti gli altri Paesi.

Le tabelle 7.3 e 8.3 mostrano questi risultati.

Classifica per ranghiCanada 2,2

267 Questo dato è confermato anche dalle tabelle che sono state riportate nel paragrafo dedicatoall’Unione Europea.

USA 2,6Regno Unito 3,2

Germania 3,8Francia 4,6

Giappone 5,0Italia 6,6

Tabella 7.3 Classifica per ranghi Paesi G-7 Indice di orientamento al valore aggiunto intangibile.Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOA SCHIOPPA T. , “Ilcaso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001

Classifica per grandezze assolutePunteggio assoluto Deviazione %

USA 143 0Canada 152 -0,062

Regno Unito 184 -0,286Germania 191 -0,335Giappone 210 -0,468Francia 256 -0,790Italia 457 -2,195

Tabella 8.3 Classifica per grandezze assolute Paesi G-7 Indice di orientamento al valore aggiuntointangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOASCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001

Questa la situazione italiana: tanto nel contesto europeo che in quello G-7 l’Italia non abbandona

mai gli ultimi posti della classifica su ciascun indice.

Si tratta di segni troppo concordanti ed univoci per non prenderli in seria considerazione. Ricerca,

università e sistema formativo, innovazione tecnologica e culturale nonché diffusione delle

tecnologie dovrebbero essere la priorità assoluta della nostra agenda politica ed economica.

A tal proposito il governo italiano nella riunione del 14 ottobre 2005 ha definitivamente approvato il

piano italiano per la crescita e lo sviluppo (PICO)268. Il Piano indica le riforme, le misure e gli interventi

per perseguire gli obiettivi di Lisbona e rinnovarne la potenzialità. Cinque sono le aree di intervento

fondamentali:

- Ampliamento dell’area di libera scelta di cittadini ed imprese;

- Incentivazione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica;

- Rafforzamento dell’istruzione e della formazione del capitale umano;

- Adeguamento delle infrastrutture materiali e immateriali;

- Tutela ambientale.

268 In allegato si trova il Piano italiano per la crescita e lo sviluppo. Fonte: politichecomunitarie.it/Politiche_Comunitarie/UserFiles/Lisbona/PICO.pdf

La strada da fare però è ancora lunga. Spesso a fianco dei bellissimi propositi che vengono formulati

nelle programmazioni pluriennali o annuali (come il PICO) non si affiancano le dovute azioni per la loro

realizzazione.

E’ anche vero però che l’Italia è “Il Paese dalle mille risorse”, che riesce a superare creativamente le

difficoltà che le si pongono davanti, che ce la fa a sopravvivere inventando nuovi metodi di risolvere le

situazioni.

Anche in questo caso l’Italia non smentisce il suo ruolo: essa presenta delle peculiarità del tutto originali

rispetto agli altri Stati, che gli consentono di avere una posizione particolare nell’economia della

conoscenza e che gli permettono pertanto di attutire le negatività fin’ora esposte.

E’ vero che ci qualifichiamo negativamente per la debolezza di alcuni fattori (quali ricerca di base, R&S,

brevetti, istruzione superiore e formazione avanzata) tipici della knowledge based economy, ma d’altro

lato, ci distinguiamo positivamente, per la forza di una imprenditorialità diffusa e innovativa, per i sistemi

locali di divisione del lavoro cognitivo, per attività di straordinario successo nella produzione estetica

(moda, design, gusto) in settori tipici, per i rilevanti processi di apprendimento on the job, che hanno

prodotto sapere tacito, non rilevato formalmente come investimento269.

Grazie a questo sapere tacito locale si può affermare che anche in Italia si fanno ricerca e sviluppo (grazie

alla sperimentazione di nuovi prodotti e processi), sia pure nell’ambito di piccole nicchie ben definite e

con obiettivi di innovazione incrementale. Sostiene Rullani: “Oggi si tratta di prendere atto di quello che

è stato inventato e che funziona, se pur con qualche importante defaillance. Si sono creati i distretti

industriali, una forte immagine del made in Italy associata alla moda, alla qualità artigianale. All’Italia

serve pertanto una politica della conoscenza che parta da una definizione di identità, fissando le qualità

distintive del modello italiano anche nel modo di produrre e propagare la conoscenza”270.

Quello che proponiamo nel successivo paragrafo potrebbe essere pertanto raffigurato come un piccolo

aiuto in questa direzione: verrà infatti sostenuto un approccio originale ed olistico al KM che si innesta

benissimo con le peculiarità del nostro sistema economico.

I temi dell’innovazione e della creatività, quelli legati al territorio, nonché le materie connesse alle nuove

strategie di marketing costituiscono gli elementi della proposta che verrà di seguito illustrata: elementi

che potrebbero portare, come sostiene Rullani, ad una politica della conoscenza tutta italiana.

3.2 KM significa soltanto gestione della conoscenza?

269 Cfr. RULLANI E. , “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”,CAROCCI, Roma, 2004, pag. 86-102.270 In quest’ambito molto altro potrebbe essere citato in merito alla situazione italiana. Un ultimo aspettoperò va ricordato. Anche a livello regionale sono state attuate politiche per l’economia della conoscenza.Il progetto ALSO nella regione Marche finanziato nell’ambito del programma INTERACT ha l’obiettivo

KM significa soltanto gestione della conoscenza? Possiamo ridurre uno strumento di

datawarehouse ad un semplice archivio strutturato dei saperi aziendali?

Sicuramente no. Eppure molto spesso l’approccio che prevale nell’applicazione di sistemi di KM

è un approccio di questo tipo: infruttuoso, sterile e parziale, che pur consentendo all’azienda di

raggiungere dei grandi risultati sotto molteplici punti di vista, trascura alcune variabili e alcune

potenzialità che potrebbero migliorare ulteriormente questi risultati e avanzare così un criterio

di applicazione più consapevole ed informato271.

Spesso si sente parlare di possibilità velate o di opportunità intrinseche all’interno di sistemi,

processi, o software che non vengono sfruttate per i più svariati motivi: quanti benefici non

attesi si potrebbe ricavare da uno strumento di KM solo avendo la consapevolezza delle sue

applicazioni? Quante fonti aggiuntive di reddito l’impresa potrebbe generare e guadagnare

mettendo in atto una gestione più oculata dei propri sistemi di gestione della conoscenza?

Queste e altre domande simili troveranno risposta nel presente paragrafo. L’approccio che viene

qui proposto non ha la presunzione di essere una nuova scoperta o una nuova invenzione

nell’ambito del KM: esso vuole soltanto suggerire un criterio olistico e multidisciplinare di

intendere la gestione della conoscenza al fine di incrementare la consapevolezza negli

imprenditori e nelle imprese che un metodo di KM non consente soltanto di gestire la

conoscenza aziendale. Dà libertà di realizzare molto di più.

Ovviamente non bisogna dimenticare lo scopo fondamentale e la stessa motivazione di fondo di

un sistema di KM (qualunque esso sia): la valorizzazione dei saperi aziendali espliciti e impliciti

attraverso metodologia e strumentazione adeguata rimane il core element di un qualsiasi

sistema di gestione della conoscenza. E’ però necessario che accanto a questo approccio venga

diffusa la cognizione di dovere e di poter pretendere molto di più dal complesso del KM272.

Schema 1.3 Le potenzialità di un sistema di KM

Fonte: nostra elaborazione

di esaminare e sviluppare il legame fra i progetti territoriali finanziati tramite INTERREG e la strategia diLisbona. La regione marche gestisce in collaborazione con SVIM l’implementazione di ALSO.271 Abbiamo già sottolineato nel secondo capitolo come un sistema di KM correttamente applicatoconsenta di raggiungere rilevanti benefici. La tematica che viene trattata in quest’ambito si ricollega unpo’ al concetto già espresso nel § 2.3.4 dell’approccio parziale al KM. I sistemi di gestione dellaconoscenza non sono meri software di archiviazione dati. Essi sono molto di più ed hanno dellepotenzialità latenti che l’imprenditore non può più permettersi di trascurare.272 L’idea di questo particolare approccio è nata dallo studio delle tematiche del KM e dall’analisi (nondiretta) di alcuni case history all’interno dei quali si è palesemente dimostrato il mancato sfruttamentodelle potenzialità del KM.

KM MARKETING

TERRITORI

APPRENDIMENTO

INNOVAZIONE E

Questo surplus che deve emergere e che deve poter essere applicato dalle aziende concerne i

seguenti aspetti273:

- Il KM come sistema di apprendimento;

- Il KM come strumento di marketing;

- Il KM come mezzo di sviluppo della creatività;

- Il KM quale fattore di legame con il territorio.

Sulla falsariga del Soft Power proposto dal politologo americano Joseph S.Nye, che

prevede un potere dolce fondato sulla capacità di convincere, influenzare ed

affascinare gli individui; e sulla traccia di una Soft Economy ipotizzata da Cianciullo

e Realacci, che immagina un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione,

sull’identità, la storia, la creatività e la qualità, proponiamo in quest’ambito un

approccio soft (se così si può definire) al knowledge management274. Dove il termine

soft indica appunto la necessità di andare al di là dei tradizionali approcci alla

gestione della conoscenza e di leggere invece lo stesso metodo come strumento di

legame con il territorio, come elemento di supporto alla strategia di marketing e

quindi come fattore di sviluppo innovativo e creativo275, nonché naturalmente come

mezzo di apprendimento.

Se il Soft Power è la capacità di condizionare le vicende mondiali attraverso fonti di

potere intangibili, quali: cultura, ideologia e istituzioni in grado di attrarre gli altri;

se la Soft Economy è la capacità di creare economia in base a valori non riducibili

alle griglie fordiste, non misurabili con il metro della quantità ma con i saperi,

l’innovazione, la cultura, il paesaggio, le valenze simboliche e l’immaginario;

l’approccio soft al knowledge management si classifica come un buon antidoto per

soddisfare un importante obiettivo: migliorare la performance degli strumenti di KM

già esistenti nel mercato ed ottimizzare le prestazioni di quelli che devono essere

ancora implementati. Il tutto considerando gli stessi strumenti non più soltanto

come strumenti di gestione della conoscenza.

Quello che proponiamo è tra le altre cose un approccio che ben si combina con la

natura delle nostre imprese: facendo leva su elementi quali la creatività, la fantasia,

l’innovazione e il territorio esso si innesta benissimo all’interno di un Paese come

273 Ribadiamo di nuovo che KM significa principalmente gestione della conoscenza. Quelli che vengonotrattati in quest’ambito sono aspetti accessori del sistema, ma comunque non trascurabili.274 I concetti di Soft Power e Soft Economy sono tratti da: CIANCIULLO A., REALACCI E., “SoftEconomy”, BUR, 2005275 Citiamo un esempio: una rete Extranet può essere un potente strumento di marketing non soltanto neiconfronti dei clienti che possono accedere ad essa ma anche per “conquistare” nuovi clienti che attraversoil viral marketing verranno a conoscenza dell’azienda.

l’Italia dove questi valori costituiscono la scommessa principale del suo rilancio276.

Prima di iniziare con la trattazione delle tematiche sopra citate ci preme ricordare un ultimo

aspetto: come ribadito anche all’inizio del capitolo, quello che appoggiamo non è un metodo che

nasce per risolvere le problematiche e le difficoltà nell’implementazione di un sistema di KM. Esse

presentano soluzioni ad hoc, altamente specifiche e personalizzate e difficilmente enunciabili: la

loro trattazione risulterebbe pertanto essere infinita e sterile277.

Proponiamo invece un metodo per affinare, valorizzare e migliorare gli strumenti di gestione della

conoscenza, consapevoli che complessità, interconnessione e innovazione costituiscono i nuovi tratti

salienti della nostra quotidianità, nei confronti dei quali occorre dotarsi di “occhi nuovi” che

supportino e permettano di rileggere in chiave evolutiva gli strumenti di cui disponiamo.

E’ vero che il raggiungimento degli obiettivi organizzativi attraverso una corretta gestione del

proprio patrimonio conoscitivo è ciò che sta alla base del knowledge management; ma è anche vero

che da più parti, ormai, si sostiene, anzi si avverte la necessità di un ruolo "esteso" per lo stesso,

che sappia coinvolgere non solo le competenze interne di un'azienda. Un ruolo che cerca di cogliere

le sinergie con le discipline sopra elencate in modo da rendere più completo un progetto di KM,

anche se allo stesso tempo rende più difficile la reale definizione delle responsabilità sul progetto e

delle sue ricadute nel medio e nel lungo termine.

Un metodo trasversale, dunque, che prevede un forte impegno di diversi strumenti afferenti spesso

a funzioni di diversa pertinenza, e che impone una grossa complessità da gestire, che alle volte

spaventa coloro che si fanno sponsor del progetto.

“L’imprenditore oggi non ha il tempo e l’umiltà di ascoltare. E’ questo il rischio che ci porterà alla

paralisi dello sviluppo, non tanto i mercati concorrenziali della Cina. Oggi dobbiamo essere capaci di

veicolare maggiormente le informazioni all’interno delle nostre aziende in modo da non sperperare anni

d’esperienza.278”. Ma questo non basta279.

276 Ovviamente questo approccio non ha la pretesa di migliorare la situazione italiana nella partitadell’economia della conoscenza, ma soltanto di lavorare in modo più consapevole per ottenere beneficiaggiuntivi.277 Ci sembra inutile soffermarci sulle soluzioni che una particolare azienda ha adottato per il propriosistema di KM poiché queste sicuramente non saranno replicabili all’interno di altri contesti. Ci sembrapiù utile invece proporre un approccio generale che possa essere, se pur con qualche adattamento,applicato dalla totalità delle aziende che approcciano ad un sistema di KM. Nel proseguo del lavoro siparlerà spesso di tematiche quali innovazione, network,… Ci preme sottolineare che il KM e questonuovo particolare approccio al KM sono elementi che possono contribuire ad affrontare queste tematichema di certo non costituiscono risposta esaustiva ad esse. Il quarto capitolo prenderà in esame un softwaredi knowledge warehouse realizzato dall’azienda Nautes (presso la quale ho effettuato uno stage) perl’azienda iGuzzini illuminazione che oltre ad essere un software di gestione della conoscenza cercherà dimettere in atto quanto proposto nel presente capitolo.278 La citazione è di Giorgio Bertato, titolare di Novacart srl279 Non esistono delle statistiche che riguardano l’uso di sistemi di KM come sistemi trasversali emultidisciplinari, ma tutto lascia pensare che essendo già di per sé lo strumento di gestione dellaconoscenza uno strumento poco diffuso, molto probabilmente anche le sue applicazioni “extra” losaranno ben poco. Nonostante esse siano invece di una certa importanza.

3.2.1 Il KM come mezzo di apprendimento

La radice profonda da cui un’economia della conoscenza trae la propria linfa è la capacità di

apprendimento: non si conosce se non si apprende, non si apprende se non si conosce. Anche gli autori

Cook e Yanow sostengono che l’apprendimento è strettamente legato alla conoscenza: “It is the act of

acquiring knowledge”280.

Da questa breve introduzione si coglie immediatamente che quello tra apprendimento e conoscenza è un

legame quasi naturale: le organizzazioni imparano da sempre, spinte dalla necessità di sopravvivenza e

consolidano in cultura e tradizioni i risultati che hanno avuto successo. Paradossalmente però nella

maggior parte dei casi i fatti dimostrano che le organizzazioni fanno dell’apprendimento un uso molto

limitato281.

Non ricorderemo in quest’ambito la molteplicità di tecniche e metodi di apprendimento che le imprese

possono mettere in atto per lo sviluppo di capacità, competenze e abilità degli individui, poiché si

rischierebbe di dilungarsi su aspetti non concernenti il nostro elaborato: quello che ci preme richiamare è

invece l’importanza dei sistemi di KM quale fonte e metodo di apprendimento.

La condivisione della conoscenza rappresenta l’elemento cardine e unificatore che lega apprendimento e

KM: da un lato, infatti, non si può apprendere ed arricchire il proprio bagaglio di saperi se gli individui

non mettono a disposizione la loro conoscenza, dall’altro non si può parlare di KM se lo scopo ultimo

dello stesso non è quello della messa in comune delle informazioni di cui si dispone.

Figura 2.3 L’elemento comune tra sistemi di KM e sistemi di apprendimento Fonte: nostraelaborazione

L’apprendimento pertanto, in particolar modo quello organizzativo282, non può prescindere dalla

progettazione di sistemi di accumulazione, accrescimento e diffusione della conoscenza: in poche parole

280 Cfr GABRIELLI G., “Conoscenza, apprendimento, cambiamento. La gestione dei programmi diknowledge e change management”, FRANCO ANGELI, Milano, 2006, pag. 120281 Si è già detto nel secondo capitolo come le organizzazioni devono diventare delle “learningorganization”. Questo paragrafo vuole ribadire ulteriormente il concetto ponendo enfasi sul fatto chel’imprenditore debba necessariamente concepire un sistema di KM anche come sistema diapprendimento. Pertanto fra gli aspetti sopra citati questo dell’apprendimento è forse il più ovvio escontato poiché il legame che lo unisce al KM è immediatamente percepibile. Basti pensare ad esempio aiprocessi di e-learning, che rappresentano al contempo strumenti di KM e metodo di apprendimento.

282 L’apprendimento organizzativo altro non è che l’apprendimento dell’intera azienda che è dato dallasomma dei saperi appresi dai singoli individui.

Condivisione dellaconoscenza

(Attraverso mezzi diKM)

KM Apprendi

mento

non può prescindere da quello che viene comunemente definito “sistema di KM”. Applicazioni in grado

di formalizzare la conoscenza, di inserirla in una struttura reticolare accessibile al resto

dell'organizzazione nonché capaci di aggiornare continuamente la stessa sono i presupposti di fondo

della così detta learning organization283.

Una learning organization, come sostiene lo stesso Senge, è fatta da individui che assimilano, gestiscono

e traducono enormi quantità di informazioni interagendo con l’ambiente interno ed esterno: apprendere

dagli altri e veicolare i propri saperi attraverso l’organizzazione costituisce uno dei cardini fondamentali

di una struttura che apprende.

Citiamo a tal proposito un caso esemplificativo che aiuta a comprendere meglio l’importanza dei metodi e

delle tecnologie di KM ai fini dell’apprendimento. La costituzione di una rete intranet aziendale, oltre ad

essere strumento di supporto all’interazione e alla comunicazione interna d’impresa, costituisce un mezzo

di fondamentale importanza per il prelevamento e l’inserimento dei contenuti e delle conoscenze degli

individui ai fini del soddisfacimento delle proprie esigenze di apprendimento284. Ed è in questo modo che

le tecnologie permettono alle persone di sapere di più, di fare di più e di fare meglio: autorizzando

all’acquisizione e allo scambio di conoscenza e all’interazione per l’apprendimento continuo. Basti

pensare che fra le tecniche più rinomate di apprendimento organizzativo vi è la costruzione di mappe

mentali: ovvero diagrammi in cui idee e conoscenze sono rappresentate graficamente per stimolare il

pensiero, la comunicazione, la condivisione delle informazioni. Ad oggi, grazie allo sviluppo delle

tecnologie ICT i moderni sistemi di KM consentono di costruire le sopra citate mappe mentali divenendo

pertanto potenti strumenti per l'apprendimento, capaci di edificare vere basi di conoscenza concettuale285.

Vale però anche il discorso inverso: lo stesso processo di creazione e di utilizzo della conoscenza può

essere rappresentato come un processo dinamico di apprendimento di saperi espliciti e di cattura della

conoscenza tacita. Un efficiente sistema di KM si realizza anche attraverso un efficiente processo di

apprendimento. Quello che si dovrebbe innestare insomma all’interno di ogni organizzazione è un circolo

virtuoso per il quale la condivisione di conoscenze attraverso sistemi di KM porta all’arricchimento,

tramite processi di apprendimento, dei propri saperi. Questo percorso dovrebbe sfociare a sua volta in un

miglioramento dei contenuti di un sistema di KM grazie alle maggiori competenze, abilità e conoscenze

che sono state acquisite e che verranno necessariamente condivise286. Tra i benefici che un sistema così

concepito può apportare ricordiamo:

- Promuovere la formazione interdisciplinare;

- Investire in formazione permanente;

- Promuovere l’apertura mentale;

- Promuovere i livelli di istruzione dei lavoratori.

283 Per ulteriori approfondimenti si veda il § 2.2.3.284 SENGE P., “The fift discipline”, DOUBLEDAY, New York, 1990285 http://www.conceptmaps.it/KM-LearningTech-it.htm286 Non a caso si parla anche di convergenza tra i sistemi di KM e di Learning management che di fattohanno in comune il fatto che un knowledge object rappresenta essenzialmente un learning object quando

Questo è quanto accade in Rossi Moda Spa287, dove “L’informatica è stata da sempre considerata un

fattore fondamentale per l’ottenimento di molteplici risultati”, sostiene Luigino Rossi, presidente di Rossi

Moda Spa: l’informatica per diminuire i tempi di realizzazione delle collezioni, per comunicare in tempo

reale e necessariamente per apprendere dall’esperienza e dalla condivisione di best practise.

Anche in Sadi Spa la tecnologia e i metodi di KM vengono considerati un mezzo portante della learning

organization: essa consente di attivare un flusso bidirezionale di conoscenze tra l’azienda e il mercato,

che approva la comunicazione e quindi l’apprendimento di tutto il know how che deriva da entrambi i

“poli”.

Tecnica Spa è dello stesso avviso avendo basato il suo successo proprio sul trasferimento di sapere e sulla

sua veicolazione attraverso i giusti metodi288.

Il KM è quindi anche una strategia di apprendimento: diffonde l'informazione corretta alle persone

appropriate e nel momento giusto289, consentendo loro di apprendere e conoscere in modo continuo ed

esatto.

3.2.2 Il KM per il potenziamento della strategia di marketing

Secondo P. Druker: “Il Marketing è talmente importante che non può essere considerato come una

funzione separata… Esso è l’intera impresa considerata dal punto di vista del suo risultato finale, cioè il

soddisfacimento della clientela”.

Partendo dal presupposto che gli elementi costituitivi di una buona strategia di marketing (prodotti,

bisogni del cliente, mercati,…) necessitano di essere costantemente “alimentati” da flussi

informativi/conoscitivi per orientare efficacemente il processo di “pianificazione strategica”, è più che

legittimo pensare ad un’integrazione della disciplina del marketing con quella del KM, in special modo se

consideriamo entrambe le funzioni come omnicomprensive di tutte le attività aziendali sottoposte al

controllo del “cliente finale”290.

avviene un processo di sperimentazione e di interazione con il quotidiano, ovvero quando le informazioniintersecano le interazioni degli individui..287Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 59288 Anche i casi di Sadi Spa e Tecnica Spa sono tratti da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore dellaconoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005289 Basti pensare che sono gli stessi strumenti di KM (rete o posta elettronica) a supportare le modernetecniche di apprendimento collaborativo che è basato sull’interazione di gruppo.290 Le considerazioni di seguito riportate sono il frutto di una nostra elaborazione da: BIANCHINI M., “IlKM migliora la strategia di marketing”,2006. Ultimamente si sente spesso parlare di marketingknowledge management che viene inteso come processo che scavalca il CRM acquisendo, gestendo econdividendo informazioni e conoscenza sul cliente. In quest’ambito non si fa riferimento a questofenomeno quanto alla possibilità di utilizzare uno strumento di KM come mezzo di marketing strategico.

Il knowledge management è pertanto uno “strumento” per migliorare o meglio per “efficientare”

un’azienda strategicamente orientata al marketing, fungendo tralaltro anche da “propulsore” dello stesso

successo aziendale. Come avviene questo processo?

In primo luogo sistemi di KM consentono una migliore formulazione della pianificazione strategica di

marketing offrendo valore aggiunto nell’analisi degli elementi chiave che la compongono. Esposto il

piano strategico poi, si deve comunicare la mission all’interno dell’organizzazione, e anche in questo caso

il processo può avvenire, ad esempio, attraverso tecniche/strumenti di knowledge sharing. In questo

modo si crea nel personale un senso di condivisione degli obiettivi e di partecipazione all’attività

aziendale che non potrebbero essere raggiunti in altra maniera. La conoscenza intesa come informazione

elaborata ed esperienza formalizzata è quindi la risorsa chiave per poter predisporre un’efficace piano

strategico con una chiara definizione degli obiettivi e del portafoglio di attività da intraprendere e già

intraprese291.

Si parla in quest’ambito di conoscenza che deve ovviamente essere immagazzinata in un “sistema

informativo di Marketing” o meglio in un “sistema di KM” integrato e interagente di

persone/procedure finalizzato a raccogliere, classificare, analizzare, valorizzare e distribuire saperi

pertinenti, tempestivi e accurati.

L’integrazione tra le discipline del marketing e del KM, però, non esaurisce qui la sua valenza.

L’imprenditore deve avere la consapevolezza che i propri sistemi di gestione della conoscenza

rappresentano anche una valida forma di promozione dei prodotti che esso realizza e della stessa

immagine aziendale. Quando si parla di promozione però, occorre staccarsi dalle tradizionali

visioni della stessa: i classici metodi di lancio del prodotto non funzionano più e a maggior ragione

saranno scarsamente proficui per un sistema di KM.

Howard Schultz, fondatore e presidente della catena di bar Starbucks, ha recentemente dichiarato:

“Osservo quanto viene speso in pubblicità e mi stupisce che la gente creda ancora di ottenere un ritorno

da questi investimenti”.

Sembra che i dati sul fatturato pubblicitario 2005 gli stiano dando ragione: il mondo è cambiato,

soprattutto quello produttivo la cui nuova frontiera sembra essere costituita da una nuova forma di

marketing: il “Marketing Virale”. Wikipedia definisce il marketing virale come quell’”insieme di tecniche

di marketing che sfruttano reti sociali preesistenti per far crescere in maniera esponenziale la

consapevolezza di un dato marchio autoreplicandosi in un processo simile alla diffusione dei virus”292.

291 Secondo questa impostazione, nell’attività di pianificazione strategica, il top management deve“recuperare” dai propri responsabili di funzione informazioni/conoscenze circa: le opportunità di mercatoattraverso un processo di ricerca di mercato finalizzata ad acquisire la conoscenza di bisogni e desideri,della localizzazione, la ricerca e selezione dei mercati obiettivo ovvero la suddivisione per segmenti delmercato per consentire la selezione e la scelta di quelli verso i quali orientare la strategia, le posizioniassunte dai maggiori concorrenti nello stesso mercato obiettivo, il budget a disposizione per l’azionestrategica (di marketing) che si intende perseguire, il marketing mix ovvero le variabili controllabili dimarketing necessarie per conseguire gli obiettivi predefiniti.292 Possiamo allora definirlo come una qualsiasi azione/attività che stimoli le persone a passare un nostromessaggio di marketing ad altre persone, possibilmente aggiungendo credibilità al messaggio attraversoun loro endorsement dello stesso. Esempi tipici di viral marketing sono il far arruolare all’interno del

Molto più semplicemente il marketing virale consiste in un “passaparola” che sfrutta le altissime

potenzialità di internet. Mauro Lupi, Ad di Admaiora, piccola società di pubblicità online, sostiene che:

“il viral marketing è una tecnica tendenzialmente spontanea e disinteressata: un vero e proprio

passaparola che, grazie a internet, si propaga alla velocità della luce”293.

Un imprenditore italiano che ha avuto successo adottando tecniche di gestione aziendale orientate alla

gestione della conoscenza per lo sviluppo di strategie di marketing innovative è stato Ernesto Illy.

Secondo Illy: “è la scienza, nel senso dell’apice della conoscenza, che entra in gioco quando si vuole

realizzare un prodotto sempre di altissima qualità, controllatissimo e appagante anche sul piano

dell’esperienza estetica”. In questa fase i maestri della quantità, i praticoni dalla mentalità magica,

devono lasciare il posto agli scienziati, cioè a chi struttura la conoscenza in possibilità di creare stabilità

nell’offerta della qualità. Ed è la scienza stessa che evolve nella ricerca di nuove forme di strutture del

sapere, convogliando l’esperienza in conoscenza riproducibile. È un fenomeno ciclico “non zero sum”,

che va oltre i tradizionali sistemi di CRM per avvalersi di una forma particolare di marketing che è quella

del marketing virale.

A conclusione del paragrafo citiamo un ultimo esempio che rappresenta poi anche elemento di raccordo

con quanto verrà trattato nel quarto capitolo294: il caso della piattaforma e-learning “Lighthouse”

realizzata dalla società Nautes per iGuzzini Illuminazione. La piattaforma costituisce un esempio di

eccellenza nell’ambito dell’evoluzione di uno strumento di KM a mezzo di promozione dell’attività

aziendale. Lighthouse mette a disposizione di un qualsiasi fruitore esterno all’azienda tutta la conoscenza

iGuzzini nell’ambito dell’illuminotecnica permettendo così ad un architetto piuttosto che ad un

prescrittore o ad un lighting designer di studiare ed analizzare come si illumina un museo, un centro

commerciale o una chiesa. Il software, attraverso un’evoluta tecnologia, propone lezioni sulle tematiche

più complesse, simulazioni di ambienti attraverso laboratori virtuali, casi pratici di architettura della luce

a cui gli utenti della community possono ispirarsi per le loro attività lavorative.

IGuzzini sta ottenendo significativi vantaggi da questo sistema in termini di costi e di miglioramento

dell’immagine aziendale: Lighthouse è divenuto da strumento di formazione uno strumento di supporto al

nostro programma dei nuovi clienti da parte di clienti esistenti (in maniera attiva o passiva). Far sì che inostri utenti (o gli utenti internet in generale) passino e forwardino messaggi relativi al nostro brand inquanto divertenti/interessanti. Fare in modo che un nostro messaggio venga ospitato nella lorocorrispondenza e che entri a far parte delle loro conversazioni. Si tratta insomma di trasformare il nostrocliente/utente in “evangelista , in predicatore”: di quelli che quando li incontrate al bar vi rintronano sullasuperiorità etica /ideologica dell’open source e di Linux, quelli che finché non provate la loro marca disigarette, il loro ristorante preferito o andate in vacanza nel loro albergo non vi lasciano in pace. Percostoro c’è un’adesione quasi (o totalmente) etica al prodotto. Un coinvolgimento emotivo. Una sceltaforte di campo che fa loro ritenere che il mondo sarebbe un posto oggettivamente migliore se tuttiadottassero il loro prodotto preferito.293 La sua azienda questa primavera ha lanciato la prima fase di una campagna pubblicitaria italiana cheruotava attorno al blog “themonster.it”, il cui contenuto era incentrato sulla figura di un personaggiomisterioso travestito da lucertola gigante. I lettori del blog erano invitati a segnalarne gli avvistamentifacendo nascere una comunità di fan del mostro finché non è stato svelato l’arcano, ovvero si trattavadella nuova pubblicità Heineken.294 L’esempio è tratto da materiale ed esperienze raccolte personalmente durante il periodo di stageeffettuato presso la società Nautes Srl.

marketing strategico attraverso il forte “passaparola” che gli 8000 utenti della community hanno attuato

nei confronti del mondo esterno.

Un sistema di KM così consapevole consente fra le altre cose di:

- Valorizzare la conoscenza per scopi commerciali;

- Promuovere il mantenimento dei clienti;

- Investire in innovazione di marketing;

- Risparmiare risorse da destinare poi ad altri scopi.

Prima di concludere un ultimo aspetto, seppur marginale e di secondaria importanza, merita di essere

citato. Gli strumenti di KM, o meglio alcuni tra gli strumenti di KM (è anche il caso di Lighthouse)

consentono talvolta di vivere un’esperienza diretta con il prodotto, di creare un momento di

coinvolgimento sensoriale con quanto viene offerto dall’azienda295. Il fruitore della piattaforma

Lighthouse ad esempio, attraverso la possibilità che gli viene offerta di simulare ambienti o magari di

collocarsi all’interno di casi pratici di illuminotecnica attraverso laboratori virtuali, vive di fatto

un’esperienza e un coinvolgimento diretto con il prodotto potendo quindi provare, testare, sperimentare e

perché no divertirsi con lo stesso. E questo, in un mondo dove le esperienze vengono considerate la

quarta forma di offerta economica, dove occorre saper far vivere al consumatore un momento

memorabile di consumo296, rappresenta una forma di promozione dalla quale poter ricavare significativi

vantaggi297.

E’ vero che la funzione fondamentale di un sistema di KM rimane quella di valorizzare e gestire la

conoscenza aziendale, ma è anche vero che acquisire la consapevolezza che esso attraverso il viral

marketing (e talvolta il marketing esperenziale) possa diventare un buon sistema di promozione dei

prodotti aziendali è fonte di cospicui guadagni aggiuntivi. Perché dunque non sfruttare e mettere a

profitto questa opportunità?

3.2.3 Il KM a servizio dell’innovazione e della creatività

Le tecnologie di supporto al KM non servono soltanto per amministrare documenti ma sono utili anche

per abilitare la gestione della conoscenza finalizzata allo sviluppo di prodotti e servizi innovativi298.

Daniele Pagani, partner di Framfab, è convinto che la gestione della conoscenza produce valore quando

diventa "trasparente" ovvero quando entra a far parte dei processi operativi aziendali. "Un chiaro

esempio", ha sottolineato Pagani, "è il processo di innovazione, in cui le conoscenze ed il saper fare

295 Il fenomeno del marketing sensoriale che verrà citato è un fenomeno del tutto marginale nell’ambitodel KM che può essere applicato soltanto per un numero limitatissimo di sistemi di gestione dellaconoscenza.296Cfr. PINE B.J., GILOMORE J.H., “The experience Economy. Work is theatre & every business astage”, ETAS, 2005, pag. 20.297Walt Disney è l’esempio per eccellenza di quanto appena detto: mette in scena una produzionecompleta di visioni, suoni, sapori aromi e trame che formano un’esperienza unica.

rivestono una tale importanza che la loro gestione non può essere separata da quella del processo di

sviluppo di nuovi prodotti/servizi"299.

Queste le parole che ci sono sembrate più opportune per introdurre il tema di questo paragrafo: il

KM a servizio dell’innovazione e quindi della creatività. Anche in questo caso, come nel

precedente, vista la scarsa attenzione del mondo imprenditoriale verso la tematica in questione e

vista al contempo la centralità della stessa nell’odierno mondo economico abbiamo ritenuto

opportuno analizzare come i metodi di gestione della conoscenza possano supportare i processi

innovativi e creativi, divenuti ormai nuova materia prima che l’impresa deve saper lavorare.

“La creatività è la principale leva dell'innovazione, e l'innovazione è l'arma più efficace che abbiamo

per rispondere a molte necessità del presente, prima tra tutte la crisi economica”300.

Viene quindi spontaneo chiedersi: esistono degli strumenti per innovare realmente la propria

organizzazione o sono disponibili soltanto dei palliativi? Una risposta affermativa a questa

domanda è fornita proprio dalle metodologie di KM: la disciplina che studia la conoscenza

organizzativa e che si occupa di individuare le metodiche e gli strumenti atti alla sua gestione

consente anche un approccio basato sull'innovazione culturale, organizzativa e tecnologica.

Vediamo come. Partendo dal presupposto che dal nulla non si inventa nulla la conoscenza è un

elemento fondamentale per la creatività. E’ solo conoscendo e studiando cosa ci circonda che si

riescono ad avere idee innovative e soluzioni originali, in una parola quello che viene definito il

“colpo di genio”. Basti pensare che una delle tecniche più rinomate ed importanti di sviluppo della

creatività che è quella del brainstorming che prevede che i partecipanti allo stesso abbiano accesso a

tutte le informazioni, dati e saperi relativi al caso che dovranno affrontare e risolvere. Ma oltre a

questo c’è qualcosa in più: la creatività produce nuove conoscenze e la conoscenza immagazzinata e

gestita è fonte di nuove idee creative, input per la generazione di innovazione. Come dimostra lo

schema 2.3.

Schema 3.3 La reciproca interdipendenza tra conoscenza,creatività e innovazione Fonte: nostraelaborazione

298 Sostiene Carlo Sorge, Chairman Jeckpot, in un’intervista rilasciata nel 2004.299 Non a caso lo strumento di knowledge warehousing che verrà analizzato nel successivo capitolo èproprio funzionale allo sviluppo di nuovi prodotti.300 Tratto dalla relazione tenuta dal Dott. LONGO G., Ordinario di teoria dell’informazione alla Facoltàdi Ingegneria di Trieste, nel workshop LIBERAMENTE tenutosi a Civitanova Marche, il 18 novembre2007. Questa citazione mette in luce un particolare aspetto: anche se in maniera molto marginalel’approccio olistico qui proposto aiuta non soltanto le imprese a ricavare maggiori guadagni dai proprisistemi di KM, ma potrebbe contribuire al miglioramento della posizione italiana nel contestodell’economia della conoscenza.

CONOSCENZA CREATIVITA’ INNOVAZIONE

I sistemi di KM sono insomma in grado di portare l’azienda verso quel disequilibrio creativo che

non compromette però la sopravvivenza dell’impresa: essi consentono di sviluppare la “fantasia”

mettendo a confronto conoscenze diverse, incrociando saperi consolidati e operando un processo di

distruzione creatrice di quelli che sono i saperi pregressi e consolidati di un’organizzazione. Di fatto

le modalità con cui un sistema di KM è in grado di sviluppare innovazione e pensiero creativo sono

molteplici: ricordiamo in quest’ambito le più significative, partendo da quelle legate alla

metodologia del KM, per arrivare poi a quelle più strettamente connesse all’aspetto tecnologico.

La gestione aziendale che si affida ad un sistema di KM può contare su di una forte motivazione nei

collaboratori, i quali sviluppano un certo senso di “partecipazione” al mondo imprenditoriale. Quindi, il

fatto di condividere la preparazione della strategia ma anche la sua attuazione è per il management

un’opportunità per poter ottenere il massimo rendimento dalle idee, dalle conoscenze e dalla creatività di

tutti i partecipanti al mondo aziendale.

Il caso Geox Spa ne è la testimonianza evidente301: tra i fattori critici di successo dell’azienda spiccano

fra tutti la creatività, l’innovazione e il design. Dopo la brillante intuizione del suo fondatore in merito

alla “scarpa che respira”, le successive creazioni non si sono più basate su colpi di genio sporadici ed

illuminati. “E’ un metodo che può funzionare una volta, non due”, sostiene Mario Moretti Polegato,

titolare di Geox Spa. Attraverso un buon sistema di KM, che implica la condivisione delle conoscenze e

la partecipazione ai processi decisionali e attraverso la Geox School per l’apprendimento e la

formazione, i progettisti e i designers Geox vengono messi nelle condizioni di tirar fuori il loro talento

creativo per la generazione di nuovi prodotti e di nuove soluzioni per l’impresa. Non più intuizione

quindi (che ovviamente rimane importante), ma incentivo e metodo per l’inventiva e la fantasia.

Attraverso la gestione della conoscenza un’azienda è poi in grado di distaccarsi dal passato, ovvero dai

saperi acquisiti, dalle esperienze vissute e dai successi precedenti; questo perché il KM stimola la

curiosità, spingendo un’impresa ad affrontare le novità, ad assumersi i propri rischi ed ad accettare anche

un ipotetico fallimento.

Quando tra gli ingredienti utilizzati per produrre “creatività” sono presenti le informazioni, le conoscenze

e il pensiero, l’impresa è sulla strada giusta per sviluppare talenti interni. Raggiungere questo risultato

significa saper creare un ambiente in cui si diventa capaci di “imparare ad imparare”, ovvero un ambiente

fertile in cui l’organizzazione apprende ed educa ad una nuova “forma mentis”, a un nuovo modo di

pensare.

Un sistema di KM che tiene conto della sua capacità di influenzare i processi creativi ed innovativi

conduce all’ottenimento dei seguenti benefici302:

- Mettere in connessione elementi esistenti in modo originale;

- Promuovere l’esposizione a stimoli diversi;

- Promuovere le capacità di reagire in modo non conflittuale;

301 Cfr AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 14-17

- Accettare la diversità, la complessità e i conflitti;

- Vedere problemi nuovi;

- Accettare la sfida per poi costruire sulla base di questi stimoli in direzioni nuove (divergent

thinking);

- Rcercare informazioni in modo sistematico;

- Tollerare l’incertezza e il rischio di fallimento e destinare risorse certe ad obiettivi di medio

e lungo periodo;

- Assicurare l’indipendenza degli attori coinvolti nei processi d’innovazione;

- Scoprire qualche cosa di nuovo che assicuri una soluzione a questi problemi;

- Promuovere lo sviluppo di nuove produzioni e l’innovazione;

- Promuovere la capacità di collegare la creatività individuale e la realizzazione della nuova

idea;

- Promuovere il processo di distruzione creatrice o di dismissione di combinazioni produttive.

A conclusione del paragrafo ci sembra utile riportare alcune delle modalità con cui sistema di KM

stimola il pensiero creativo e quindi l’applicazione di tecniche e metodi di sviluppo del pensiero

laterale303. All’impostazione iniziale che vedeva la creatività come una capacità innata e non certo

come una tecnica passibile di insegnamento si è sostituito il principio della “programmabilità” della

stessa, nella convinzione che esista un aspetto logico, basato su un processo mentale organizzato,

per il quale è possibile utilizzare metodi che favoriscono l’espressione delle idee. E’ l’apollineo che

sta prevalendo sul dionisiaco.

L’Italia in questo si contraddistingue da sempre grazie alle intuizioni geniali del suo popolo, ma si

differenzia anche negativamente per la mancanza di strutture e metodiche rendono più facile la

nascita delle nuove idee. L’intento dunque di proporre il KM come metodo di sviluppo della

creatività è quello recuperare il ritardo accumulato nello sviluppo di tecnologia, talento e tolleranza

(le tre T teorizzate da Florida) attraverso una metodologia che consenta di studiare quell’atto unico

e imprevedibile che va sotto il nome di creatività.

In termini generali si può dire che la tecnologia porta innovazione ed efficienza alle imprese, arricchisce

l’esperienza delle persone, esplora il nuovo, il possibile, il globale, produce idee, visioni e soluzioni

inattese. In una parola, genera creatività304. Questo discorso è ancora più vero se si prendono a

riferimento i sistemi di KM.

Un sistema di document management ad esempio, che permette di archiviare e amministrare tutti i

documenti presenti in azienda attraverso la tecnologia web, consente tra le altre cose di applicare

una delle tecniche più rinomate e funzionali di sviluppo del pensiero laterale: la “tecnica della

302 Cfr. BARONE N. “Progetto mezzogiorno. Un grande laboratorio di eccellenza per lo sviluppoterritoriale basato sull’economia della conoscenza”, RUBBETTINO, 2005, pag. 56-59303 Il pensiero laterale viene definito da De Bono come quel pensiero che sa riconoscere le idee dominantiche polarizzano la percezione di un problema, cerca maniere differenti di guardare le cose, allenta ilcontrollo rigido del pensiero lineare, usa ogni chance per incoraggiare altre idee

bionica”. Tale tecnica prevede la risoluzione di problemi complessi tramite l’associazione degli

stessi ad eventi e questioni simili che sono stati già affrontati dall’azienda, dai quali poter prendere

spunto per un loro scioglimento. Un’azienda, quindi, che dispone di un sistema di document

management cataloga e archivia in modo strutturato e formale tutte le vicissitudini organizzative,

nonché le relative risposte. In questo modo sarà possibile quindi consultare ed imitare la tecnica

risolutiva tramite un semplice accesso al software di KM, mettendo così in atto una preziosa

procedura di sviluppo della creatività.

Basti pensare poi al semplice fatto di mettere per iscritto le proprie conoscenze, inserendole ad esempio

in una piattaforma e-learning o in un sistema di datawarehouse. Quale metodo migliore per la

generazione di idee originali? Anche in questo caso la tecnologia di KM altro non fa che identificarsi con

una particolare tecnica di sviluppo della creatività che prende il nome di “scrivere ciò che si sa”.

La stessa disposizione grafica dei contenuti inseriti nel software è poi funzionale alla generazione di idee

innovative. Lo stesso metodo della “mappa mentale”, che prevede una particolare distribuzione dei

contenuti da analizzare, sostiene che ciò possa aiutare nella ideazione di nuove soluzioni305.

In definitiva: innovazione e creatività sono elementi importanti sia per le aziende che per l’intero Paese.

Trascurarle significherebbe perdere delle grandi opportunità. Il KM dice di sì anche alle nuove

prospettive, al “salto” da un ragionamento all’altro e alla spinta della mente verso direzioni raramente

esplorate.

3.2.4 Il KM come nodo di legame con il territorio

Lo stretto legame che unisce le aziende al territorio in cui esse operano non è semplice da spiegare:

è un fenomeno molto ampio e dalle mille sfaccettature che presenta aspetti che talvolta sfuggono

all’occhio umano osservatore. Proviamo a spiegarlo con un esempio306. La FAAM (Fabbrica

Accumulatori e Autoveicoli di Montetrubbiano) costruisce batterie e veicoli elettrici in un piccolo

paese nella provincia di Ascoli Piceno: invece di spostarsi e di localizzare i propri stabilimenti dove

ci sono traffico e movimento, invece di aprire le proprie fabbriche guardando al costo del lavoro, si

è stabilita ed ha scelto le proprie sedi produttive nel piccolo ma incantevole territorio di origine.

FAAM è stata tra le poche aziende a livello nazionale ad aver chiuso un impianto nell’Europa

dell’Est per trasferirlo in Italia: serrande giù a Budapest per aprire a Monte Sant’Angelo.

Operare, lavorare ed essere legati al proprio territorio è una scelta strategica di difficile attuazione e che

tocca in positivo e in negativo molteplici aspetti della realtà d’impresa307: dal reclutamento delle persone,

304 Tratto dalla relazione tenuta da Giovanni Padula, e Creatitivity Group Europe, in occasione delWorkshop “LIBERAMENTE” tenutosi a Civitanova marche il 18 novembre 2007.305 Le tecniche di sviluppo della creatività che sono state qui citate sono tratte da: FLORIDA R.,“L'ascesa della nuova classe creativa : stile di vita, valori e professioni”,MONDADORI, Milano, 2003.306 Cfr. CIANCIULLO A., REALACCI E., “Soft Economy”, BUR, 2005, pag. 201-207.307 Questo è quanto sostiene il Dott. Ceregioli, responsabile Centro Studi e Ricerca della iGuzzini.

alla condivisione della cultura e dei valori, dalle relazioni con le altre aziende, al cambiamento

dell’assetto organizzativo308.

Che una parte consistente delle conoscenze di un’azienda sia localizzata, ossia legata ai luoghi in cui ha

preso forma e in cui viene riprodotta e rinnovata è ormai assodato ed altrettanto accertato è il bisogno di

dialogare con queste conoscenze locali309: l’integrazione si attua attraverso le persone che operano in

azienda e che provengono dalle aree geografiche limitrofe portando con sé un ricco patrimonio di

esperienze, di tradizioni e di umanità locali; nello sviluppare le proprie architetture in sintonia con

l’ambiente dove vengono calate, traendone spunti sia nell’elaborazione degli stili sia nell’utilizzo dei

materiali e infine nell’implementare la giusta infrastruttura tecnologica che consenta un dialogo aperto e

continuo tra aziende e territorio.

Ne è un esempio il Gambero Rosso, un gruppo nato da una costola del “Manifesto” che è arrivato a

gestire un complesso da 14 milioni di fatturato annuo: La Città del Gusto, 5000 metri quadri coperti e

2500 metri quadri di terrazze collegati da scale mobili, vetrate, grandi finestre sul Tevere, dove trovano

spazio le aule e i laboratori della scuole di formazione gastronomica, un teatro della cucina, un negozio di

oggettistica specializzata, un sito web, una rivista e la televisione satellitare310.

Queste le ragioni che hanno spinto a trattare e ad approfondire un simile aspetto: per consentire ai sistemi

di KM presenti in azienda di contribuire ad assodare l’importante legame con la terra d’origine della

stessa impresa.

Non si vuole in quest’ambito fare riferimento propriamente al concetto di knowledge management

territoriale (TKM)311, con il quale si indica invece la valorizzazione del potenziale di innovazione, la

competitività e quindi lo sviluppo economico di reti di imprese e cluster locali tramite un’azione sui

processi d’apprendimento interattivo e di creazione della conoscenza. Si vuole invece analizzare un

progetto di più limitata capacità che riguarda l’estensione e l’adattamento delle procedure di knowledge

management presenti in azienda ad un’economia locale, per l’attivazione di uno scambio reciproco tra

imprese e tra impresa e ambiente al fine di ottenere mutui vantaggi.

Si tratta insomma di prendere coscienza e consapevolezza della rete di relazioni implicite che si instaura

tra le imprese appartenenti ad un medesimo contesto: rete nella quale si dovrebbero far transitare

informazioni, conoscenze e competenze favorendo così da una parte l’abbandono di modalità troppo

implicite, complesse e lente di scambio di informazioni e introducendo dall’altra una prospettiva nuova

nelle politiche di trasferimento tecnologico. Un esempio calzante è costituito in quest’ambito dalla

308 Si dice che tocca in positivo e in negativo gli aspetti d’impresa poiché ad esempio se si prende ariferimento la forza lavoro il fatto di non delocalizzare significa costo del personale più alto (aspettonegativo) ma al contempo significa maggior facilità di reperimento dello stesso, unitarietà di valori ecultura, maggiore affidabilità (aspetto positivo).309 Cfr. RULLANI E., “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”,CAROCCI, Roma, 2004, pag. 126. Il territorio è depositario di conoscenze localizzate, che essendolegate all’esperienza di chi opera o vive nel contesto locale, sono condivise da produttori, lavoratori,consumatori locali.310 Cfr. CIANCIULLO A., REALACCI E., “Soft Economy”, BUR, 2005, pag. 12-13.311 Il TKM è tratto da: BARONE N. “Progetto mezzogiorno. Un grande laboratorio di eccellenza per losviluppo territoriale basato sull’economia della conoscenza”, RUBBETTINO, 2005.

realizzazione di reti extranet: l’imprenditore deve assumere la consapevolezza che dei sistemi strutturati

di collegamento con il mondo esterno consentono di soddisfare contemporaneamente due importanti

esigenze: sistematizzare e velocizzare il flusso di conoscenze da e verso fornitori e clienti ma anche

(come detto sopra) avere un modo nuovo e più efficiente di relazionarsi con il territorio e con le imprese

che vi sono collocate.

La capacità di guardare anche all’esterno dell’azienda ricorrendo a esperti di altri settori e ai propri

partner, la possibilità di alimentare tutto il sistema territoriale con database che lavorino dati provenienti

da diverse realtà all’interno dell’azienda, ma anche capire e mettere in gioco le conoscenze implicite nel

sistema locale, comprendere ed organizzare le conoscenze acquisibili attraverso la rete e mettere a

disposizione della comunità i propri saperi312 rappresentano elementi che un sistema di KM consapevole

del suo legame con il territorio non può accantonare.

Si sente oggi parlare moltissimo del concetto di capitale relazionale e della sua importanza per

l’assetto competitivo d’impresa: il particolare approccio al KM che qui proponiamo implica lo

sviluppo e la valorizzazione di questa forma specifica di capitale intellettuale. Il capitale relazionale

o capitale sociale rappresenta, appunto, l’insieme dei legami che si instaurano tra l’impresa e tutti i

suoi stakeholders.

Da qui deriva la necessità per l’imprenditore di comprendere che i sistemi di KM che ha attivato ed

implementato nella propria azienda debbano essere utilizzati anche come sistemi di legame con il

territorio dai quali poter ottenere numerosi vantaggi. Ne ricordiamo alcuni:

- Promuovere “l’apertura esterna” dell’azienda e incentivare i network di conoscenza e

innovazione;

- Assicurare un accesso veloce alle diverse conoscenze e competenze interne ed esterne;

- Promuovere le collaborazioni interdisciplinari;

- Investire in capitale sociale;

- Promuovere il consenso su una strategia di sviluppo comune;

- Mantenere i clienti;

- Analizzare in modo più puntuale l’ambiente esterno;

- Promuovere la fusione delle conoscenze esistenti;

- Promuovere spin off;

- Creare joint venture.

In tutto questo le tecnologie di KM giocano un ruolo di fondamentale importanza.

Per concludere il paragrafo ci sembra utile non dilungarci ulteriormente sul legame tra impresa, KM e

territorio anche perché questo presenta una molteplicità di aspetti che esulano dalla trattazione

312 Ovviamente occorre sottolineare il fatto che esistono delle conoscenze che non possono essereassolutamente divulgate all’esterno. In quest’ambito come del resto in tutti gli ambiti del KM si fapertanto riferimento a quelle informazioni che l’azienda decide di mettere a disposizione. Inoltre quandosi parla di sistemi di KM orientati al territorio è ovvio che non si fa riferimento alla totalità dei sistemi diKM: ad esempio un portale aziendale progettato per migliorare lo scambio di informazioni nell’impresaprobabilmente non ha senso leggerlo come strumento di legame con il territorio.

dell’elaborato313. Ci sembra invece conveniente, anche per chiarire meglio l’argomento in questione,

terminare con una serie di esempi che mettono in luce quanto appena citato.

Il concetto di un’impresa che deve essere in grado di orchestrare e gestire proficuamente il

complesso patrimonio di conoscenze disperse nelle comunità locali in cui opera è ben rappresentato

dall’azienda farmaceutica giapponese Eisai. Il successo dell’azienda mostra i vantaggi che derivano

dall’apporre la giusta enfasi sulle connessioni locali314. Sia a Boston che a Cambridge Eisai ha

istituito laboratori di ricerca e sviluppo diretti da scienziati locali con una buona reputazione nella

comunità scientifica e collegati con i laboratori delle eccellenti università locali. Ciò che è derivato

da queste tecnologie di connessione è un forte afflusso di conoscenza utile all’organizzazione e un

importante miglioramento dei livelli di profitto d’impresa.

La Dun&Bradstreet, invece, attua una diversa strategia: essa vende e mette a disposizione ciò che chiama

“database informativo delle maggiori aziende del mondo”315. Si tratta di un particolarissimo prodotto

costituito dagli archivi dei propri clienti che vuole rappresentare pertanto la trasformazione di un mero

dato operativo in una risorsa nuova e di particolare pregio in termini di conoscenza per una molteplicità

di aziende.

Il progetto Treviso Tecnologia316 nell’ambito del Distretto della calzatura sportiva ha previsto la

costituzione di un'infrastruttura di e-Knowledge Management a supporto dello sviluppo delle conoscenze

per il design di prodotto. L'obiettivo dell’infrastruttura è anche quello di rivitalizzare e di aggregare il

know how e le relazioni disperse fra i soggetti presenti nel territorio ed operanti nel design, che sovente si

trovavano anche in stato di sofferenza di comunicazioni. Il progetto ha anche rafforzato il collegamento

fra le attività del corso di laurea in Disegno Industriale di Treviso (corso dello IUAV di Venezia) con i

differenti soggetti locali. In questo modo è stato possibile, da una parte, valorizzare i saperi taciti del

distretto con conoscenze codificate e con nuovi apporti sinergici, dall'altra diffondere e contaminare gli

stessi saperi con altre esperienze e conoscenze di realtà e materie diverse per ulteriori sviluppi, sia

progettuali che operativi per lo sportsystem. Il progetto viene supportato da un portale e da un sito

internet che consentono di svolgere anche delle attività a distanza.

Durante la quarta edizione di un forum organizzato a Roma da JEKPOT, Ken Moran, vice presidente

internazionale di Meridio, società satellite del gruppo ICL, ha illustrato come esempio il customer web

portal di Scottish & Southern Energy (S&SE) del Regno Unito. Un progetto web che permette la

visualizzazione automatica dei documenti relativi alla situazione contabile ed amministrativa degli utenti

della S&SE. "Il mantenimento dei clienti esistenti", ha dichiarato Moran, "nonché l'incremento della base

313 Quando si parla di territorio si dovrebbe fare riferimento ai network, alla cultura e ai valori, allerisorse umane, etc… scopo di questo paragrafo non è però quello di trattare gli aspetti appena citatiquanto quello di manifestare l’importanza di un sistema di KM come fattore di legame con il territorio.314 Il caso è tratto da: DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Lestrategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001315 Anche questo caso è tratto da: DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale ametanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001316Il caso è tratto da: http://www.tvtecnologia.it/innovazione/dettagliEKMDicamo.asp

utenti attratti dal nuovo sistema di gestione e la riduzione dei costi erano gli obiettivi della società. E li

abbiamo realizzati".

Secondo Marco Donnamaria, KM director di Tc System, una soluzione di e-document management

permette tra l'altro di "automatizzare i processi di verifica ed integrazione dei documenti tra sede e

territorio, monitorare costantemente lo stato dei processi, nonché garantire l'integrazione con il sistema

informativo aziendale".

Quanto detto basta a giustificare l’importanza che i sistemi di KM hanno come fattori di legame

con il territorio. L’imprenditore deve essere consapevole di questi aspetti. Ma non solo317.

3.3 Alcune prospettive future

Concludiamo il terzo capitolo con alcune considerazioni di carattere generale. Che i sistemi di KM e la

gestione della conoscenza siano diventati elementi imprescindibili per qualsiasi tipo di organizzazione è

ormai assodato. I dati citati a tal proposito sono stati numerosi nel corso dell’elaborato.

Ma altrettanto consolidata è anche l’ipotesi di un allargamento dei sistemi di KM rispetto alla “mera”

gestione della conoscenza: perché non sfruttare un software di document management come mezzo di

apprendimento? Perché non consentire ad una piattaforma e-learning di essere strumento di promozione

dell’immagine aziendale attraverso il viral marketing? Perché non adoperare una rete extranet come

mezzo di sviluppo della creatività e di legame con il territorio d’appartenenza d’impresa?

A queste domande abbiamo risposto nel presente capitolo, cercando di far percepire l’importanza di un

approccio olistico, multidisciplinare e multidimensionale alla gestione della conoscenza: come sopra

citato i benefici potrebbero essere notevoli.

Quello che ci preme ricordare ora, però, concerne alcuni particolari aspetti relativi al KM che forse

potrebbero essere passati in secondo piano nel corso della trattazione:

- In primo luogo il fatto di concepire i sistemi di gestione della conoscenza come sistemi che

vanno oltre l’amministrazione dei saperi d’azienda non implica alcun tipo di cambiamento

per l’organizzazione: né per quanto riguarda il software di KM (non devono essere

introdotti cambiamenti tecnologici), né per ciò che concerne la metodologia di applicazione

ed utilizzo dello stesso. L’unico adeguamento che viene richiesto è una presa di coscienza

da parte dell’intera organizzazione delle potenzialità intrinseche di un sistema di KM: il che

317 A conclusione del presente paragrafo ci preme sottolineare come gli aspetti appena citati in merito allepotenzialità del KM costituiscono elementi di natura secondaria rispetto al inner core dello stesso, che èappunto quello della valorizzazione della conoscenza aziendale. Nonostante questo essi possonocontribuire al raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, rispettoall’impostazione tradizionale al KM. Ribadiamo ulteriormente che non abbiamo la pretesa di averindividuato un nuovo approccio al KM, ma soltanto di aver fatto emergere alcune potenzialità latentidello stesso: potenzialità che anche gli stessi Azzariti e Rullani (Docenti presso l’Università Cà Foscari diVenezia, nonché autori di numerose pubblicazioni e testi sul KM e sull’economia della conoscenza)hanno considerato interessanti ed originali.

significa sapersi avvalere di vantaggi non programmati da uno strumento che è nato per

svolgere altre funzioni;

- A proposito di cambiamento: molto spesso al termine di KM viene associato quello di

change management. Questo accostamento a nostro avviso però non è sempre corretto: il

cambiamento non è condizione essenziale per l’introduzione di sistemi di KM318. E’ vero

che le organizzazioni devono diventare delle learning organization, i lavoratori dei

knowledge workers, ma è anche vero che ciò non implica lo stravolgimento organizzativo

dell’impresa. A nostro avviso gli unici cambiamenti che andrebbero apportati riguardano

quelli che servono per la rimozione degli ostacoli alla corretta implementazione di un

sistema di KM, quale ad esempio potrebbe essere un’adeguata formazione verso quei

manager che non sono propensi alla condivisione della loro conoscenza. In questo modo si

apportano piccoli mutamenti all’azienda, funzionali al sistema di KM che avrà pertanto una

chance in più per essere accettato proprio perché non stravolge l’assetto organizzativo

d’impresa;

- L’approccio citato nel presente capitolo non è estendibile a tutti i sistemi di KM. Ad

esempio, non tutti i software sono elemento di collegamento con il territorio e non tutti gli

strumenti rappresentano mezzi di viral marketing. Basti pensare ad esempio ad una rete

intranet aziendale: è progettata per essere utilizzata all’interno dell’organizzazione e

difficilmente può costituire elemento di legame con il territorio. Occorre quindi saper

individuare i sistemi giusti per ciascun approccio, in modo tale da valorizzare per ognuno di

essi le proprie “potenzialità nascoste”;

- Non bisogna da ultimo dimenticare un importante aspetto: l’elemento core di un sistema di

KM è costituito dalla sua capacità di gestire le conoscenze aziendali chiave per il

miglioramento dell’organizzazione. Gli elementi citati nel presente capitolo sono pertanto

elementi accessori di un sistema di KM che, pur essendo importanti, costituiscono un

surplus, un aspetto aggiuntivo rispetto a quello centrale che è dato appunto dalla gestione

della conoscenza. Per questo motivo è stato dedicato ampio spazio all’analisi del KM nel

senso “classico” del termine ed è stato dedicato soltanto un breve capitolo al nuovo

approccio.

318 Questo concetto verrà anche ripreso nel quarto capitolo. Non a caso l’approccio Nautes prevede per isuoi clienti il mantenimento della esistente struttura organizzativa, senza operare sconvolgimenti. Questonon significa che la tematica del cambiamento non sia importante, anzi tutt’altro; riteniamo però chenell’ambito del KM non debbano essere necessari profondi mutamenti per l’introduzione dello stesso. Omeglio: molto dipende da che cosa intendiamo con il termine di cambiamento. Come sopra ribadito seesso significa stravolgimento organizzativo dell’assetto d’impresa, allora si tratta di un fenomeno che nonappartiene al mondo del KM. Se con esso invece si intende flessibilità organizzativa e rimozione degliostacoli ad una sua corretta implementazione allora stiamo parlando di un cambiamento naturale delmondo del KM.

3.3.1 La domanda e l’offerta del KM che verrà

Quali prospettive attendono il KM negli anni a venire? Essenzialmente il futuro del KM va analizzato da

due differenti punti di vista: quello della domanda e quello legato dell’offerta dei servizi di KM319.

Per ciò che concerne il lato della domanda le stime sopra citate (§ 3.1.1) lasciano intendere un forte

sviluppo del mercato del KM: nei prossimi anni molte organizzazioni inizieranno a gestire la

propria conoscenza, consapevoli della necessità di non lasciare la stessa in forma latente all’interno

degli individui e al contempo consci del bisogno di “convogliare” i flussi informativi verso

destinazioni proficue all’interno dell’organizzazione. Non si possono fornire dati certi in merito, ma

considerando il ritmo di crescita del mercato del KM tutto lascia intendere che si avranno negli

anni a venire consistenti investimenti in questa direzione.

Punto ancora controverso e incerto è costituito invece dall’offerta di servizi di KM: essi vanno di pari

passo con l’evoluzione delle nuove tecnologie e cambiano dinamicamente a seconda dei sistemi software

che l’ICT mette loro a disposizione. Pertanto per conoscere in maniera esatta che cosa un sistema di KM

ci consentirà di fare in futuro occorre sapere con precisione cosa l’evoluzione dell’IT consentirà di

mettere in atto: dato difficilissimo da poter reperire considerato il forte tasso di sviluppo di questo settore

che produce innovazioni tecnologiche in maniera continua, ora per ora.

Quello che è certo è che sicuramente un avanzamento in campo ICT permetterà di ottenere software di

KM più competitivi e funzionali per la stessa azienda, di progredire nel campo della gestione dei saperi,

di ottenere risultati eccellenti sotto molteplici aspetti.

Il tema sarebbe lungo e difficoltoso da affrontare: citiamo pertanto in quest’ambito alcuni casi

esemplificativi delle tendenze in atto320.

Attualmente i software per la ricerca di informazioni (come ad esempio i motori di ricerca) rintracciano le

pagine web o i documenti ad esse collegati sulla base di un qualche tipo di codice di programmazione,

con il risultato di trovare spesso dei file che non centrano nulla o comunque centrano poco con ciò che si

voleva ricercare. Da poco tempo è nata quindi una nuova disciplina che va sotto il nome di web

semantico321 che ha lo scopo di risolvere o meglio di migliorare l’aspetto appena citato. Il presupposto di

base della nuova scienza è quello di chiedersi: perché quando si pone una domanda ad una qualsiasi

persona la risposta della stessa è centrata e coerente con quanto richiesto, mentre quando si interroga un

motore di ricerca spesso questo trova pagine che non centrano nulla con il quesito formulato? La risposta

è che gli esseri umani, a differenza delle macchine, comprendono il significato e quindi il contenuto di

quanto viene domandato. Scopo pertanto del web semantico è quello di permettere ad un qualsiasi

elaboratore di capire il senso e il significato che viene espresso nelle pagine web, in modo tale che i link

vengano formulati non più sulla base di codici di programmazione ma in base alle informazioni effettive

319 Fonte: nostra elaborazione320 Anche in questo caso l’evoluzione delle tecnologie ICT meriterebbe sezione a parte. Citiamo però duecasi esemplificativi che a nostro avviso più degli altri impattano sul mondo del KM.321 Tratto da: www.websemantico.org

richieste dall’utente. In questo modo si potranno fornire all’utilizzatore risposte più mirate e corrette di

quanto non avviene oggi.

Questo importante sviluppo rappresenterebbe per il KM un significativo passo in avanti nella qualità

delle informazioni che vengono gestite: la maggior parte dei sistemi di KM è infatti dotata di un motore

di ricerca (basti pensare ai portali, alle intranet, extranet, document management, datawarehousing,…) e

modificare lo stesso permettendo l’analisi delle conoscenze in base al loro contenuto, significherebbe per

l’utilizzatore avere disponibilità di informazioni più precise e puntuali, con tutti i conseguenti risvolti

positivi che esso comporta in termini di tempo e costi.

Un’ulteriore innovazione tecnologica che merita di essere citata è quella che fa riferimento allo

studio di strumenti di intelligenza artificiale volti a capovolgere il rapporto uomo-informazione:

non più il primo alla ricerca della seconda, ma esattamente il contrario. Questa evoluzione

permetterebbe di definire un profilo che descriva quale tipo di conoscenza necessita ogni tipo di

utente: ancora una volta i sistemi di KM potrebbero beneficiare di questa particolare tecnologia

andando a definire non più in maniera casuale le conoscenze più opportune per ciascun tipo di

utilizzatore del sistema322.

Ricerche e studi sono anche attivi nell’ambito dei metodi di archiviazione della conoscenza. E’ vero che i

costi di stoccaggio e di recupero dei dati sono crollati grazie alle moderne tecnologie ma ciò ha

comportato anche dei seri problemi legati alla memorizzazione e catalogazione di vecchi documenti323.

Oggi è ancora possibile leggere i rotoli di papiro del Mar Morto mentre un CD-ROM vecchio di 15 anni è

illeggibile perché non ci sono più programmi e computer adeguati. In questo senso il settore ICT si sta

muovendo per risolvere il problema della leggibilità della conoscenza archiviata senza che questo

significhi però freno allo sviluppo dell’innovazione324.

Con queste parole si conclude il terzo capitolo: nel successivo prenderemo in esame il case history del

nostro lavoro. Si tratta di un software di knowledge warehouse: iKnow, elaborato dalla società Nautes srl

per l’azienda iGuzzini Illuminazione.

322 QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delleperformances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004323 Cfr. FORAY D., “L’economie de la connaissance”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 150324 Si potrebbe trattare ad esempio di mantenere dei sistemi di lettura speciali per la conoscenza archiviatain modo tale da non avere il problema dell’obsolescenza del supporto.

CAPITOLO QUARTO

IKNOW: LA FANTASIA CHE DIVENTA REALTA’

Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa.

Albert Einstein

4.1 La società Nautes e l’azienda iGuzzini Illuminazione: il successo di una originale collaborazione

Trattare il knowledge management soltanto da un punto di vista teorico ci sembrava riduttivo e parziale:

siamo convinti che la comprensione degli aspetti più profondi di un sistema di gestione della conoscenza

possa avvenire unicamente “stando dentro le organizzazioni” e mettendo in atto le teorie e le tecniche che

sono state fin qui descritte. Il semplice racconto e la spiegazione delle stesse non basta più, serve un

valore aggiunto che dia concretezza e pragmaticità all’approccio concettuale tratteggiato nei precedenti

capitoli325. Per questo motivo abbiamo deciso, nell’ultima parte dell’elaborato, di proporre ed analizzare

un interessante caso di studio che completi e valorizzi gli aspetti teorici fin qui delineati.

L’esperienza che verrà di seguito descritta concerne la realizzazione di un importante sistema di gestione

della conoscenza: iKnow, sviluppato dalla società Nautes Srl per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Non si

tratta in realtà di un case history “già svolto” del quale ci limitiamo a descriverne le dinamiche, ma di un

progetto appena nato e tutt’ora in fase di evoluzione, al quale ho avuto possibilità di partecipare

direttamente. Inutile rimarcare l’importanza che questo periodo di attività ha assunto per me e per questo

lavoro: non soltanto per la collaborazione che ho potuto instaurare con due splendide realtà locali che

sono quella della iGuzzini Illuminazione, ma soprattutto quella di Nautes s.r.l.; ma anche per

l’opportunità che ho avuto di comprendere a fondo tutte le implicazioni concernenti la materia del KM.

Un ringraziamento speciale va fin da ora alla società Nautes e in particolar modo all’Ing Gialletti per

avermi accolto con tanto entusiasmo nella loro struttura, ma soprattutto per avermi dato l’opportunità di

vivere una splendida esperienza professionale e personale326: esperienza che abbiamo amato definire

come esperienza a “tutto tondo”.

325 Non a caso anche nei precedenti capitoli che erano prettamente teorici abbiamo riportato molti esempie casi pratici, proprio perché a nostro avviso il KM deve essere “più fatto che spiegato”. Tutte leinformazioni contenute nel presente capitolo sono frutto di una nostra elaborazione e di quanto appresoovviamente durante il periodo di stage.326 Dopo la laurea riprenderò la collaborazione con la società Nautes, che ringrazio fin da ora perl’opportunità concessami.

Infatti, il mio contributo alla realizzazione del progetto iKnow è stato piuttosto particolare: sono stata

ospite, come appena detto, delle strutture della società Nautes presso la quale ho effettuato uno stage di

due mesi, ma al contempo ho avuto diretto contatto con l’azienda iGuzzini Illuminazione, in occasione

dei frequenti incontri e delle riunioni con i manager di area per la presentazione ed illustrazione del

progetto. In questo modo ho potuto costruire una visione a 360 gradi dell’intero lavoro, riuscendo da un

lato a contribuire e a partecipare alla preparazione dello stesso e dall’altro ad analizzare i fabbisogni e le

criticità dell’azienda che si troverà poi ad utilizzare il sistema.

Alcune considerazioni meritano di essere chiarite prima di iniziare con la trattazione del capitolo.

Come si vedrà anche nel seguito del lavoro iKnow è una nuova struttura di knowledge warehouse

realizzata da Nautes per iGuzzini: un metodo e una tecnologia che consentono effettivamente di dar vita

ad un reale vantaggio competitivo, che riescono a scavalcare le problematiche descritte nel secondo

capitolo, ma soprattutto che si presume saranno in grado di apportare numerosi benefici all’azienda, sia in

termini economici che in termini organizzativi.

Ed è proprio qui che entra in gioco un’altra considerazione fondamentale: si parla di benefici presunti e

non di benefici ottenuti poiché iKnow ad oggi non vede un’effettiva implementazione presso la iGuzzini;

“l’inizio dei lavori” (come verrà meglio in seguito descritto) scatterà tra breve, Settembre 2007, per avere

un’effettiva operatività del software a Gennaio 2008. Per ora l’applicativo, dopo aver attraversato presso

la società Nautes la fase di progettazione preliminare (realizzazione del prototipo), è stato presentato

all’azienda, ne sono state illustrate le caratteristiche e le modalità di funzionamento ed è tutt’ora in una

fase di preparazione, vista l’imminente operatività che verrà richiesta dopo il periodo estivo. Ne deriva

necessariamente che alcune delle considerazioni che verranno effettuate nel seguito del lavoro sono frutto

di studi ed analisi in merito a ciò che ragionevolmente si manifesterà in Guzzini, non potendo appunto

godere di un riscontro reale dell’impatto di iKnow sull’organizzazione d’azienda.

Un ultimo aspetto rimane ancora da considerare: il mio contributo in questa bellissima esperienza non ha

riguardato tanto la parte tecnologica del sistema di knowledge warehouse, in quanto per la stessa, Nautes

si dota di un team di ingegneri allo scopo dedicati. Mi sono occupata invece, insieme ad un altro team di

lavoro, della parte metodologica, strategica ed organizzativa del sistema in questione327. Questa

precisazione è di particolare importanza perché spiega le motivazioni per cui si è deciso di trattare

soltanto alcuni e non altri aspetti di iKnow.

327 Nei successivi paragrafi, attraverso la trattazione di ciò di cui mi sono occupata, si capirà meglio checosa significa progettazione metodologica del software. La realizzazione di iKnow ha previsto lacostituzione di un team di lavoro (oltre a quello degli ingegneri) che prevedeva fra i membri anche me.Ho collaborato con delle splendide persone che non soltanto mi hanno fatto comprendere ciò che si stavafacendo ma mi hanno anche permesso di essere propositiva e di contribuire attivamente al progetto. Ilperiodo di stage non è stato soltanto finalizzato alla realizzazione della tesi di laurea: mi sono occupataanche di altre attività di routine della società Nautes come ad esempio la preparazione di relazioni per iconvegni, la realizzazione del nuovo sito Web che è stato recentemente messo on line, l’analisi della loropiattaforma e-learning,……..

Il capitolo esordisce con una breve introduzione in merito alle realtà aziendali sopra citate e prosegue poi

con l’analisi dell’applicativo, evidenziandone le fasi di realizzazione, le funzionalità, i motivi di una sua

introduzione, i potenziali benefici e gli elementi distintivi che consentiranno di ottenere successo.

Il primo breve paragrafo del presente capitolo si propone di descrivere le due splendide realtà locali danoi prese in esame: quella dell’azienda iGuzzini Illuminazione e quella della società Nautes srl, attraversouna rappresentazione del loro profilo storico e delle attività principali di business. Si passerà poi passarealla descrizione dei progetti di KM che sono già attivi presso l’azienda iGuzzini e per concludereovviamente con la descrizione dell’applicazione iKnow.

4.1.1 L’azienda iGuzzini Illuminazione

La iGuzzini, nata nel 1958, produce apparecchi di illuminazione per interni e per esterni: è la prima

azienda italiana, per fatturato, nel settore dell’illuminotecnica nonché una delle più importanti a livello

europeo328. Sotto il diretto controllo (insieme a Teuco e F.lli Guzzini) della finanziaria Mariano Guzzini

(Fimag), la società si compone ad oggi di 11 filiali, con più di mille dipendenti raggiunti nel 2007, ed un

fatturato di 190 milioni di euro ottenuto nel 2006.

La missione dell’azienda è ambiziosa: “Non si tratta soltanto di produrre apparecchi di illuminazione al

massimo della qualità, ma anche di studiare, capire e far capire la luce, rendendone migliore

l’integrazione con l’architettura. Il nostro impegno nel settore illuminotecnico è a 360 gradi”, sostiene

Adolfo Guzzini, amministratore delegato della iGuzzini, “ dalla luce per l’arredo urbano, al terziario,

fino ai musei, agli spazi commerciali e alle strutture di accoglienza”.

Per questo, fin dai primi anni della sua nascita iGuzzini ha collaborato con i più famosi tra gli architetti ei lighting designers del mondo: Giò Ponti, Rodolfo Bonetto, Bruno Gecchelin, Renzo Piano, RichardRogers, Norman Foster, Gae Aulenti, Piero Castiglioni, Jean Michel Wilmotte, per citarne alcuni. E,siccome progettare la luce non significa soltanto illuminare spazi, ma anche avere consapevolezza di tuttigli aspetti legati alla qualità dell’ambiente luminoso, negli interni come negli esterni, hanno collaboratocon iGuzzini anche un bel numero di ricercatori, medici, sociologi, fisici, appartenenti ai più importantienti di ricerca internazionali: Harvard University, M.I.T di Boston, Università “La Sapienza” di Roma,Politecnico di Milano, Istituto Centrale per il Restauro, CNR.La nascita dell’azienda iGuzzini risale al 1958, come detto sopra, quando i figli di Mariano Guzzini,Raimondo, Giovanni, Virgilio, Giuseppe e Giannunzio, fondano, il 30 giugno, Harvey Creazioni per laproduzione di oggetti artistici in rame smaltato.Nel 1964 il salto è notevole: Giancarlo Capici disegna il primo catalogo e si acquisiscono le primemacchine per la lavorazione dei metalli per la produzione di apparecchi illuminanti. Luigi Massoni nellostesso anno viene chiamato a costruire l’immagine complessiva di Harvey per ciò che concerne, inparticolar modo i prodotti, il display, l’imballaggio.Nel 1973, anno della crisi del petrolio, i costi delle materie plastiche salgono di tre volte, mettendo fuorimercato molti prodotti dell’azienda. È in quest’anno che Adolfo propone ai fratelli di concentrarel’attenzione sulla produzione di apparecchi illuminotecnici, a discapito di quelli di arredo e decorativi. Nederiva una profonda ristrutturazione dell’azienda dal punto di vista societario, organizzativo e produttivo.Il 26 ottobre 1973 si inaugura il nuovo stabilimento della iGuzzini (di Raimondo Guzzini e fratelli) aRecanati e il 31 Dicembre si costituisce la iGuzzini Spa.

328 Tutte le informazioni concernenti l’azienda iGuzzini sono tratte la suo sito ufficiale:http://www.iguzzini.com/html/it/index.html

Occorrerà aspettare il 1981, il 26 giugno, per la nascita della iGuzzini illuminazione e soltanto l’anno

successivo per la venuta della finanziaria di famiglia: Fimag, Finanziaria Mariano Guzzini.

Nel 1984 poi la prima filiale estera a Monaco: iGuzzini illuminazione Deutschland.

Nel 2001 si completa il progetto dello studio MCA/Architects con l’inaugurazione del nuovo magazzino

a gestione informatizzata per un totale di 9.300 metri quadri: nasce la iGuzzini così come oggi la

conosciamo329.

Per ciò che concerne, invece, la produzione illuminotecnica della iGuzzini, inutile elencare e descrivere lemigliaia di prodotti che l’azienda realizza. Sembra però opportuno, in questa sede, richiamare alcuni deglieventi fondamentali e dei successi che hanno caratterizzato la storia dell’azienda.Velocemente proponiamo: nel 1988 l’inizio della collaborazione con Renzo Piano dove viene messo apunto il proiettore Lingotto330, nel 1989 l’illuminazione del Louvre331, nel 2004 un importante interventoal ponte di Mostar in Croazia, realizzato in stretta collaborazione e secondo le indicazioni dell’UNESCO,l’illuminazione poi del Beauborg di Parigi, quella della Galleria Borghese a Roma, del Luxor in Egitto,dell’Expo di Siviglia, del Museo Vaticano.Nel 1991 viene conferito il Compasso d’Oro a tutte le aziende del Gruppo "Per aver sviluppato nel tempouna filosofia progettuale e produttiva di grande coerenza in cui la cultura del design ha rappresentato uncomune denominatore e un elemento di distinzione".Nel 2004 cinque tra i prodotti realizzati dall’azienda figurano come icone del Made in Italy alla mostradella storia del design italiano degli ultimi 50 anni a Pechino (50 + 2Y)332.Fra le iniziative più recenti che stanno riscuotendo un enorme successo ricordiamo quella di “Conoscerela forma”333, con la quale l’azienda ha realizzato una fedele riproduzione del satiro danzante di Prassiteleche viene illuminato attraverso diverse tecniche e metodologie. Il visitatore di “Conoscere la forma” entranelle interpretazioni luminose date dagli autori che partecipano al progetto, legge la scultura sotto lediverse luci e i diversi modi di percepire di ognuno di loro e immagina così la sua illuminazione delSatiro.Innovazione e grande passione insomma contraddistinguono l’azienda iGuzzini.Questi i tratti salienti di una splendida realtà locale che ha fatto della luce uno scopo di vita, nellaconvinzione che la progettazione illuminotecnica svolga un ruolo di grande importanza in tutti gli ambitidell’attività umana.4.1.2 La società Nautes s.r.l.

Nautes è nata nel Giugno del 2001 come vincitrice del concorso E-capital334 indetto nello stesso annodalla Camera di Commercio di Ancona. Primo spin off dell’Università Politecnica delle Marche335, 329 La storia dell’azienda è consultabile al sito: http://www.iguzzini.com/html/it/102.html330 Lingotto è uno dei prodotti di maggior successo dell’azienda.331 IGuzzini è l’unica tra le aziende italiane del settore a figurare come fornitrice del museo parigino.332 Altre iniziative: http://www.iguzzini.com/html/it/2360.html333 Per ulteriori informazioni: http://www.iguzzini.com/html/it/621.html334 E-capital è un’iniziativa di business plan competition destinata agli universitari marchigiani, chefin’ora ha portato alla nascita di oltre 20 aziende335 Spin-off è un termine inglese (traducibile, in maniera forse non del tutto propria, con derivativo oderivato, alla lettera significa "ruotato via, al di fuori") che indica: nel mondo economico una società chefaceva parte in origine di una più grande, ma che è adesso indipendente; in diritto societario, una spin-offuniversitaria è una società di capitali sorta dall'idea di dare una ricaduta aziendale e produttiva ad un'ideanata dal contesto della ricerca tecnologica universitaria. La nuova realtà può essere considerata come unariorganizzazione più efficiente del processo produttivo. Quindi, l’essenza dello Spin-off consistenell’aiutare un aspirante imprenditore a trasformare un’idea, una potenzialità, un’opportunità produttiva,tecnologica o di mercato, che qualcun altro non vuole o non può sfruttare in termini commerciali, in unanuova impresa. Per definire Spin-off la creazione di una nuova impresa si sono proposte a livello europeodelle condizioni che devono essere soddisfatte: creazione di una nuova impresa a partire da unitàpreesistenti (organizzazioni); generazione di una nuova sorgente di attività (nuova impresa autonoma,produzione di nuovo bene, utilizzo di nuovo processo o nuova tecnologia); presenza di misure disostegno attivo da parte di un’organizzazione madre. Pertanto non è definibile come Spin-off:

Nautes si pone come ponte tra studio e innovazione, come applicazione concreta dei risultati della ricercauniversitaria alle realtà aziendali con cui entra in collaborazione336. Fra i partecipanti al capitale socialeNautes figurano l’Università Politecnica delle Marche (4%) e iGuzzini Illuminazione (20%), da semprepartner d’eccellenza della società. Situata a Jesi, conta ad oggi circa 25 addetti, con un fatturato che nel2006 si aggirava attorno al milione di euro337. Il Knowledge Management è il core business di Nautes:esso si sostanzia nella fornitura della metodologia di lavoro e della tecnologia adeguata a supporto dellasistematizzazione e valorizzazione dei flussi di conoscenza delle organizzazioni con l’obiettivo ultimo dimassimizzare l’efficienza e l’efficacia dell’intera azienda. I settori di attività si concentrano pertanto sulcorporate knowledge management, sull’e-learning e sul Web services.“La conoscenza è il patrimonio più grande di una organizzazione”, sostiene Marco Gialletti,amministratore delegato di Nautes. “Nostro obiettivo è fornire un utile supporto alla capitalizzazione ealla valorizzazione del know how per l’ottimizzazione degli obiettivi di business”. Nautes vanta unportafoglio clienti che comprende ad esempio Fastnet, Fondodirigenti, Omasud, Banca Marche, Seda edha per di più ottenuto nel corso degli anni molteplici certificazioni: ISO9001:2000, certificazione partnerMicrosoft, accreditamento FSE dalla Regione Marche338, SA8000339. Nautes è anche laboratorio diricerca accreditato dal MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca).Per comprendere meglio la realtà aziendale di cui stiamo parlando e con la quale ho avuto possibilità dicollaborare forniamo ora una breve panoramica in merito ai prodotti, o meglio alle soluzioni software emetodologiche che Nautes realizza340.Lighthouse è la piattaforma proprietaria341 di e-learning che Nautes offre per l’erogazione e la fruizione dicorsi di formazione a distanza. Svariate sono le piattaforme e-learning realizzate da Nautes: ricordiamo“Lightcampus”, per iGuzzini Illuminazione342; “EmasLearning”, il progetto formativo della scuola Emasdi Ancona dove Nautes ha curato la progettazione didattica per la formazione dei futuri consulenti erevisori Emas e infine il progetto formativo della Regione Marche sul D.Lsg 626/96 con l’obiettivo diistruire i dipendenti circa la normativa sulla sicurezza.Compass è lo strumento Nautes di gestione integrata dei processi, che fornisce supporto alle scelte delManagement. Un esempio a tal proposito è costituito dall’Integrated Process Management Systemrealizzato in Skycar Project343, dove è stata fornita consulenza al fine di supportare operatori ecoordinatori di programma per la realizzazione di un nuovo prodotto.Helix: per la pianificazione collaborativa di progetti complessi e coordinati, in ambito pubblico e privato.Ariel è finalizzato invece alla gestione della comunicazione interna con lo scopo di garantire la diffusionedella conoscenza aziendale e la valorizzazione della cultura d’impresa. Un esempio è costituito da“iLive”, progetto realizzato per la iGuzzini che verrà analizzato nel prossimo paragrafo.

l’esternalizzazione (in quanto manca il requisito della novità); la filializzazione (in quanto manca ilrequisito dell’autonomia); i processi di uscita spontanei (in quanto manca il sostegno attivo). L’analisieffettuata sui regolamenti permette di capire che ci sono 3 diverse definizioni o tipologie di Spin-off:Vengono definiti spin-off dell'"Università" esclusivamente quelle società per azioni o a responsabilitàlimitata alle quali l’"Università" partecipa in qualità di socio; Società di alta tecnologia, costituite o dacostituire, previste dal d.lgs. 297/99 e dal D.Murst 593/00; Vengono definiti all’interno del regolamento 2modelli di spin-off con differenti denominazioni: Spin off universitario è la società per azioni o aresponsabilità limitata nella quale l’Università partecipa in qualità di socio mentre lo Spin off accademicoè la società per azioni o a responsabilità limitata nella quale l’Università non abbia una quota dipartecipazione. Estratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Spin-off336 Lo stesso termine “Nautes” deriva dal greco e significa esploratore, a simboleggiare che Nautesesplora nuove soluzioni nell’ambito della gestione della conoscenza.337 I dati che vengono forniti in questo paragrafo sono stati raccolti durante il periodo di stage effettuatopresso la società Nautes srl.338 L'accreditamento è un atto con cui l'amministrazione pubblica competente - la Regione Marche nelnostro caso - riconosce ad un organismo la possibilità di proporre e realizzare azioni di formazioneprofessionale e di orientamento finanziate con risorse pubbliche.339 E' uno standard internazionale che elenca i requisiti per un comportamento eticamente corretto delleimprese e della filiera di produzione verso i lavoratori.340 Tratto da: http://www.nautes-ke.com/default.html341 Tutte le piattaforme tecnologiche sono di proprietà Nautes.342 Il progetto Lightcampus verrà analizzato nel proseguo del lavoro.343 Skycar è il nuovo velivolo di Aviazione Generale progettato e sviluppato dall’azienda OMA SUD.

Sextant si occupa di capitalizzazione della conoscenza: codifica, consolidamento e utilizzo efficace deisaperi delle organizzazioni344.Il CMS (Content Management System) è rivolto alla gestione dei contenuti dei siti Web. Un bel piano dilavoro in tal senso è stata la realizzazione di un portale per la Camera di Commercio di Ancona,interamente dedicato al tema della responsabilità sociale e dello sviluppo sostenibile. Il sito dell’Istitutosuperiore E.Mattei di Recanti prevede invece un portale strutturato per aree tematiche ciascuna rivolta adun target specifico, per soddisfare le richieste di tutti gli attori della scuola: studenti, docenti, genitori,aziende. Il Document Management System: consente di razionalizzare il processo di archiviazione dellaconoscenza; controllare la revisione dei documenti secondo regole di sistema oramai consolidate pressotutte le organizzazioni (come Iso 9001:2000); gestire e controllare le modifiche dei contenuti cheimpattano su altri documenti; sostituire ed eliminare gran parte della carta. E’ il caso OmaSud,un’azienda che ha avviato un processo di progettazione, sviluppo, certificazione, realizzazione ecommercializzazione di un velivolo di aviazione generale (SKYCAR) di concezione fortementeinnovativa in termini di configurazione, prestazioni, tecnologie realizzative ed equipaggiamenti. Questoprocesso ha reso necessario un adeguamento dell’intera organizzazione. Nautes ha propostol’introduzione di un sistema di gestione della conoscenza attraverso il quale l’elevato numero didocumenti prodotti è coordinato da un Modulo di Document Management con il quale il Manager e gliOperatori controllano le revisioni, gli step di approvazione e le ricadute sui contenuti di altri documentigarantendo la tracciabilità nei confronti della normativa di riferimento. I benefici sono stati notevoli.Il Virtual Community System è la soluzione Nautes per la creazione di una comunità virtuale, unapiattaforma web based che permette la creazione di una rete, l’interazione e lo scambio di informazionitra utenti lontani e dislocati geograficamente. Essa comprende: forum di discussione tematici, ricercaavanzata in base alla tipologia di contenuti, possibilità di effettuare survey e report sui risultati deiquestionari, possibilità di allegare programma o file informativi agli eventi.Questo è in poche parole ciò che Nautes realizza: eccellenza nella gestione della conoscenza aziendale.

4.1.3 Il knowledge management applicato

In questo paragrafo verrà brevemente descritto lo stato dell’arte dei sistemi di KM ad oggi attivi e

funzionanti presso la iGuzzini.

L’azienda recanatese può essere a buon titolo annoverata tra le più innovative sul territorio marchigiano

in merito a politiche di gestione della conoscenza, avendo di fatto attivato una molteplicità di metodi che

le consentono di “curare” in modo adeguato il proprio patrimonio di informazioni345. Gran parte di questa

eccellenza scaturisce proprio dalla collaborazione che l’azienda ha instaurato con la società Nautes circa

sette anni fa e che ancora ad oggi permette di ottenere ottimi risultati346.

Partendo dal presupposto (come più volte ribadito nelle pagine di questo lavoro) che viviamo in unaKnowledge Era, dove il know how e la conoscenza delle aziende e delle persone in essa presenti sono ilvalore aggiunto che consente di imporsi sul mercato e di ottenere vantaggio competitivo, è necessariorendersi conto che occorre programmare e saper gestire il valore che la conoscenza di cui si disponeriesce a fornire.

344 In quest’ambito si colloca anche il software iKnow. Le soluzioni descritte fin’ora fanno parte dellaSuite Nautes.345 Non esistono dati che possono validare in maniera certa questa affermazione. Sta di fatto che iGuzziniha attivato ad esempio la prima università di illuminotecnica on line, elemento di forte innovazionetecnlogica, che non è presente in nessuna altra azienda marchigiana.346 Non tutti questi progetti sono stati implementati dalla società Nautes. Abbiamo comunque ritenutoopportuno ricordare tutte le attività di gestione della conoscenza che sono ad oggi presenti in azienda. Inparticolar modo Nautes ha realizzato per iGuzzini: Lightcampus, iLive, Il Brief elettronico di prodotto,iKnow. Invece il sito Internet, il CRM, il catalogo on-line, il client data manager sono stati realizzati daaltre società di consulenza.

Questo discorso è vero e valido per la totalità delle imprese e delle realtà industriali del sistemaeconomico, nessuno escluso ed è ovviamente ancor più significativo per una realtà come quella dellaiGuzzini, sensibile da sempre a queste tematiche.Il KM in Guzzini si identifica essenzialmente in due diverse tipologie di progetti: i progetti di diffusionedella conoscenza e i progetti di gestione della conoscenza. Rientrano tra i primi il sito web istituizionale,il catalogo on line dei prodotti, l’iniziativa Lightcampus e il progetto iLive. Fra i secondi facciamorientrare il brief elettronico di prodotto, il CRM e il Client data manager.Analizziamo brevemente ognuna di queste iniziative347.Il sito web iGuzzini rappresenta un’interessante forma di interfacciamento dell’azienda con il mondoesterno. Oltre alla parte più tradizionale dedicata ai prodotti, alla storia e agli eventi rilevanti troviamoalcuni aspetti sicuramente più innovativi che permettono ad una qualsiasi tipologia di utente di soddisfarele proprie esigenze. Studenti, imprenditori, clienti, fornitori, curiosi possono scaricare documenti,partecipare ad iniziative o semplicemente essere aggiornati sulle informazioni per loro più rilevanti. Essopuò, a buon titolo, essere considerato quale mezzo di legame con il territorio, in coerenza con quantoespresso nel terzo capitolo, in quanto consente di attivare un flusso bidirezionale di conoscenza che va avantaggio dell’azienda e dell’intero sistema in cui essa si colloca.Qui di seguito vediamo l’interfaccia del sito web iGuzzini.

Immagine 1.4 Home page del sito internet iGuzzini Fonte: www.iguzzini.it

Da non trascurare è poi il catalogo on line dei prodotti348.L’archiviazione e la comunicazione delle immagini è un tema di grande attualità da quando l’archiviodigitale è diventato uno strumento commerciale strategico per le numerose attività cuiesso può sovrintendere. Si tratta in questo caso di gestione della “conoscenza

347 Le informazioni riportate in questo paragrafo sono volutamente concise per lasciare più spazioall’analisi del software iKnow. Tali informazioni sono tratte da fonti diverse: materiale interno Nautesmesso a disposzione per la formazione dei dipendenti, sito istituzionale iGuzzini, intervista al Dott.Ceregioli e all’Ing Mandozzi dell’azienda iGuzzini Illuminazione.348 Il catalogo on line dei prodotti è stato realizzato dalla società Bontex srl. Si veda il sito:http://www.bontex.it/AjarisHome.html

visiva” iGuzzini che ha permesso all’azienda di ottenere numerosi benefici sottomolteplici punti di vista:

- Incremento delle vendite, grazie ad un più facile reperimento dei prodotti;- Riduzione dei tempi gestione clienti, che scelgono direttamente da catalogo;- Miglioramento dell’immagine aziendale, per via dell’introduzione di una

nuova tecnologia che va ad efficientare i processi aziendali;- Magguiore visibilità a livello internazionale;- Trasferimento delle vecchie brochure nel sistema on line.

Immagine 2.4 Il catalogo on line dei prodotti Fonte: http://catalogo.iguzzini.it

Sempre nell’ambito della diffusione della conoscenza ricordiamo l’iniziativa Lightcampus realizzata dallasocietà Nautes349. Il 20 Febbraio 2002 è stata lanciata la prima Università di illuminotecnica on line dellaiGuzzini Illuminazione con lo scopo di promuovere i valori propri dell’azienda attraverso la diffusionegeneralizzata della cultura della luce, intesa come conoscenza di una corretta soluzione illuminotecnicacapace di influire sulla qualità della vita, sulla fruizione di oggetti d’arte, sull’immagine di un’attivitàcommerciale. Lightcampus è un software:To enjoy. Un luogo di incontro e dibattito dove poter esprimere opinioni, partecipare alle discussioni etrasmettere la propria conoscenza, acquisendo valori e contenuti.To learn. Per acquisire le basi dell’illuminotecnica, conoscere le soluzioni e formare un bagaglio dicompetenze costruendo un percorso didattico che si trasforma in esperienza formativa.To innovate. Un luogo per diffondere sapere comune, know how e pratiche consolidate allo scopo dicostruire in maniera attiva e consapevole un ambiente di scambio e condivisioneTo apply. Uno spazio per capire come cultura progettuale e competenze acquisite si applicano a situazionireali per concretizzarsi in casi di successo.

349Per maggiori informazioni: http://lightcampus.iguzzini.com

Immagine 3.4 Lightcampus Fonte: http://lightcampus.iguzzini.com

Il target di riferimento è costituito essenzialmente da: operatori di settore, installatori tecnici, architetti,con un ampio spettro di competenze e di curiosità di livello tecnico universitario, ma tutti condisponibilità di tempo bassa. Infatti la piattaforma (come già anticipato nel terzo capitolo) presentalezioni sulle tematiche più complesse, simulazioni di ambienti attraverso laboratori virtuali, casi pratici diarchitettura della luce a cui gli utenti della community possono ispirarsi per le loro attività lavorative.Insomma, non un mero strumento di gestione della conoscenza ma una vera e propria modalità di

apprendimento e di comunicazione innovativa, che consente di ottenere vantaggi a 360 gradi grazie ad unapproccio non delimitato, ma completo ed esaustivo a quello che risulta essere il KM 350.Da ultimo ricordiamo un altro importante progetto realizzato da Nautes per iGuzzini: iLive.ILive è un software per la gestione della comunicazione interna, nato dall’esigenza di regolare la stessa inmaniera più efficace e tempestiva. Si tratta in sostanza della rete Intranet aziendale, all’interno della qualetransitano ora in maniera ordinata e vantaggiosa conoscenze di vario tipo ad utilità interna:dall’aggiornamento dei prodotti, alle iniziative cui partecipa l’azienda; dagli eventuali corsi di formazioneo convegni importanti per la iGuzzini, agli eventi strategici del territorio351. Anche in questo caso Nautesha dimostrato di saper gestire nel migliore dei modi il software iLive: esso non si limita alla semplicefruizione delle informazioni, ma è vero strumento di condivisione e di valorizzazione della conoscenza,che permette all’azienda di attivare un vero e proprio processo di apprendimento. Le informazionicontenute nel sistema vengono fruite ed immagazzinate dagli individui per un loro futuro utilizzo.

350 Tratto da LANARI L., “Strutturare il KM per il marketing strategico: il progetto iGuzziniLightcampus”, in E-learning, ottobre 2005, pag. 58. Nonostante il costo di implementazione iniziale dellapiattaforma fosse di € 50.000 e il costo di manutenzione annua di € 30.000, iGuzzini sostiene che talicosti sono stati recuperati nel giro di brevissimo tempo, grazie alle potenzialità dello strumento che non èstato più soltanto mezzo di apprendimento ma anche di promozione dell’immagine aziendale. Per fare unesempio: se un architetto ha bisogno di sapere informazioni su come illuminare un museo piuttosto cheun centro commerciale, nella piattaforma Lightcampus può trovare tutte le informazioni necessarie, iconsigli e i suggeriementi più utili, nonché effettuare prove o demo. Perché è stato introdottoLightcampus?IGuzzini basa il proprio successo principalmente sulla qualità e sulle caratteristiche delprodotto. Ma affinché ciò possa essere realizzato l’azienda deve fare in modo che il proprio personale etutti i collaboratori esterni (prescrittori, architetti, designer) abbiano la giusta formazione e le corretteconoscenze per l’espletamento dei loro compiti. Inizialmente i corsi di formazione avevano luogodirettamente in azienda, in luoghi e tempi stabiliti. Con l’aumentare, però, del numero dei partecipanti si ècapito che non era più conveniente per l’azienda questo tipo di politica (per motivi di tempo delformatore e anche di spazio). Si è pertanto deciso di sfruttare le potenzialità di internet e di arrivare inmaniera diretta presso ciascun fruitore, attraverso una piattaforma che consentisse a ciascun destinatariodi svolgere autonomamente il proprio corso di formazione. Ad oggi Lightcampus conta 8000 iscritti e perl’azienda il risparmio e i vantaggi sono stati notevoli.351 Tratto da un’intervista condotta al Dott. Ceregioli del Centro studi e Ricerca iGuzzini. Ed è qui cheforse si riesce a capire meglio che cosa si vuole intendere con la visione a 360 gradi del case history presoin esame: quello che verrà esposto è frutto di una nostra elaborazione da quanto appreso dall’aziendaiGuzzini durante i momenti di incontro, ma anche e soprattutto da quanto effettuato all’interno dellasocietà Nautes.

Immagine 4.4 iLive Fonte: http://ilive.iguzzini.it/

Passiamo ora all’analisi della seconda categoria di metodi di KM: gli strumenti di gestione dellaconoscenza.Il sistema di CRM presente in Guzzini nasce con l'obiettivo di aiutare l’azienda nella fidelizzazione deiclienti, ma anche col fine di realizzare nuove opportunità intervenendo dove il cliente ha necessitàprevedibili e soddisfabili. Fidelizzare il cliente significa conoscerlo, capire e prevederne i bisogni,comprenderne i tempi e rispondere alle sue segnalazioni. Il CRM è lo strumento che consente di averesempre presente questa situazione, di anticipare le necessità ed in definitiva di mantenere viva nel cliente,l'attenzione per l'azienda352.L’immagine successiva mostra l’interfaccia del sistema CRM iGuzzini.

352Il sistema CRM è stato elaborato dalla società CDM tecnoconsulting. Fonte:http://www.cdmtc.it/news.php?id=19

Immagine 5.4 CRM Pivotal Fonte: http://www.cdmtc.it/news.php?id=19

Il progetto di Client data Manager invece353 ha lo scopo di dotare l’azienda di strumenti avanzati, ma, al

contempo di facile utilizzo per la corretta gestione dei processi di accesso, deduplica, standardizzazione, e

bonifica dei dati, anche in tempo reale, indipendentemente dal formato e dalle strutture informative ove

vengono quotidianamente prodotti e custoditi.

Spesso il più grande scoglio da superare per le aziende è la mole di dati sporchi (campi vuoti, non

aggiornati, assenza di standard comuni, ecc…) disseminati in molteplici e complessi sistemi, che

ostacolano e/o impediscono lo scambio informativo tra azienda-clienti-fornitori. Nasce per questo motivo

l’esigenza di dotarsi di strumenti che consentano di sopperire a questa esigenza andando a gestire i dati

associati con le entità fondamentali del business.

353 Il sistema di client data manager è stato sviluppato dalla società COPERON Technologies. Si veda ilsito: http://www.coperon.com/clients.php

Immagine 6.4 Client Data Manager Fonte:

http://www.coperon.com/clients.php

Da ultimo prendiamo in considerazione il brief elettronico di prodotto elaborato dalla società Nautes periGuzzini354.Si tratta di un software in grado di creare una piattaforma di conoscenze comuni per incrementareefficienza ed efficacia nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti. L’obiettivo del brief è: facilitare lacomunicazione interna ed esterna355; creare una banca dati aggiornata e consultabile negli anni; convertireil materiale cartaceo in elettronico356.

354 Del brief elettronico di prodotto verranno ripresi alcuni aspetti successivamente.355 Tra l’ufficio marketing e quello di progettazione, la produzione, ufficio fotometrico, il CdG e ilmercato, come citato sopra.356 Ricordiamo brevemente cos’è un brief di prodotto. Il brief è un documento che raccoglie leinformazioni, gli obiettivi e le richieste del cliente, finalizzati al progetto di comunicazione. Il tuttoordinato e razionalizzato da chi lo scrive, in genere l'account o il responsabile di progetto. Scopo del briefè fornire al gruppo dei creativi tutte le informazioni e gli input necessari per sviluppare il progetto. Perusare una metafora, il brief è una mappa che serve a chi legge per capire e orientarsi nelle richieste delcliente. Quindi ha due requisiti essenziali: chiarezza ed esaustività. E naturalmente una serie di sotto-regole, che sono per lo più dettate dal buonsenso e dall'esperienza. Tratto da:http://www.mestierediscrivere.com/testi/brief.htm

Immagine 7.4 Il brief elettronico di prodotto Fonte: materiale interno della società Nautes

Oltre ai sistemi appena citati iGuzzini si dota in realtà di altri strumenti di gestione della conoscenza chenon possono essere collocati specificamente nell’una o nell’altra categoria di KM sopra citata, ma checomunque meritano di essere descritti per la loro valenza strategica.Si fa riferimento, ad esempio, al sistema FaultFinder elaborato dalla società Nautes per l’assistenza alpost vendita della iGuzzini illuminazione. Il progetto ha l’obiettivo di aumentare le risoluzionitelefoniche di assistenza post vendita e di ridurre gli interventi tecnici in loco. Nautes ha fornito lapiattaforma proprietaria Sextant e la consulenza a supporto per l’analisi del processo di gestione reclami:grazie all’utilizzo di Sextant e della rete di conoscenza implementata nel sistema, l’operatore del callcenter iGuzzini può rispondere in maniera mirata e immediata alle richieste di assistenza. Non si trattapertanto di un sistema così come descritto nel secondo capitolo357 di mera burocratizzazione dellaconoscenza volto al miglioramento di singole funzioni aziendali, ma si tratta di un vero e proprio sistemadi apprendimento per l’operatore, che genera vantaggio competitivo ed effettiva creazione di valore.Editoria iGuzzini: l’azienda realizza numerose pubblicazioni fra le quali ricordiamo la rivista

“Incontroluce”, e “iLibriGuzzini” e mette poi a disposizione di utenti esterni ed interni all’azienda una

biblioteca abbastanza fornita.

In coerenza poi con quanto affermato nel terzo capitolo l’impresa è promotrice attiva di numerose

iniziative di gestione della conoscenza a livello territoriale: basti pensare alla costituzione del Centro

Studi e Ricerca diretto dall’Arch. PierGiovanni Ceregioli, per la promozione della cultura della luce e

dell’immagine aziendale a livello territoriale. Ricordiamo poi l’iniziativa: “Paesaggio dell’eccellenza”

attraverso la quale le più grandi aziende recanatesi (25 per la precisione, fra cui appunto anche iGuzzini)

mettono a disposizione il proprio patrimonio industriale all’interno di un museo358.

Questi i sistemi di gestione della conoscenza in iGuzzini Illuminazione.

Dopo questa breve panoramica in merito agli strumenti di KM già attivi in azienda passiamo ora inrassegna iKnow: il sistema di knowledge warehouse progettato da Nautes per la capitalizzazione dellaconoscenza iGuzzini.Come ribadito anche in precedenza il caso di studio che verrà di seguito proposto non si esaurisce in unamera descrizione di un processo già avvenuto, ma costituisce un’esperienza nuova ancora in corso disvolgimento: esperienza alla quale ho avuto possibilità di partecipare direttamente359.

357 Vedi paragrafo 2.1. Il sistema Fault Finder così come tutti gli altri software Nautes rispecchiano apieno quello che viene sostenuto nel presente elaborato: un sistema di KM non deve essere concepitocome semplice mezzo di archiviazione delle informazione e ove possibile deve essere invece letto comestrumento di apprendimento, di marketing….., come già citato nel capitolo 3.358 Le ultime due iniziative citate, anche se così potrebbe non sembrare, possono essere considerate apieno titolo dei sistemi di gestione della conoscenza in quanto rappresentano comunque un patrimonioinformativo che è stato catalogato e messo a disposizione dell’azienda e degli utenti esterni.359 Ribadiamo nuovamente che la trattazione del progetto non è completa. Si tratta di un’iniziativa appenanata che verrà ovviamente descritta per ciò che fin’ora è statorealizzato.

4.2 IKnow: per saper fare uso di ciò che si conosce

Il seguente paragrafo prende in esame l’applicativo iKnow: il sistema di Knowledge Warehouse per lagestione e la valorizzazione della “conoscenza iGuzzini”. Il percorso che abbiamo deciso di seguire perl’illustrazione dello stesso è semplice e lineare: si procederà pertanto con l’analisi delle motivazioni chehanno indotto la nascita di iKnow, per poi passare all’esposizione degli obiettivi, della strategia, dellatecnologia e della metodologia Nautes. Si andrà, quindi, a concludere con la trattazione degli sviluppifuturi e dei potenziali benefici che il sistema sarà in grado di apportare, senza trascurare ovviamentel’esame degli aspetti più peculiari citati nel terzo capitolo.

4.2.1 Le origini del nuovo strumento di gestione della conoscenza

Il paragrafo precedente ha messo in luce i numerosi progetti di gestione della conoscenza che sono attiviad oggi presso la iGuzzini: inutile ribadire come si tratti di programmi che hanno consentito all’aziendadi ottenere significativi risultati sotto molteplici punti di vista. Chiedersi quindi perché introdurre unnuovo sistema di KM, ma soprattutto quali sono i suoi obiettivi è più che legittimo.L’Arch. Piergiovanni Ceregioli, Direttore del Centro Studi e Ricerca iGuzzini, ad inizio 2007, avevamanifestato quanto segue: “I sistemi di gestione della conoscenza già attivi in azienda ci offronoconsiderevoli vantaggi, ma presentano spesso dei passaggi che sono oscuri e ridondanti. E’ innegabileche le problematiche che gli stessi sistemi hanno consentito di risolvere sono state innumerevoli, ma leesigenze da soddisfare e le questioni da migliorare sono ancora tante”.In linea generale queste sono le motivazioni (già da tempo avvertite anche da Nautes), che hannodecretato la nascita di iKnow.Ed è stato proprio l’input fornito dall’Arch. Ceregioli che ha spinto la società Nautes alla costituzione diun team di lavoro il cui obiettivo era ed è quello di porre rimedio alle questioni appena citate.Il mio periodo di stage, fortunatamente, è iniziato proprio in questo particolare momento, momento in cuiil gruppo Nautes si accingeva ad effettuare l’analisi delle esigenze e delle problematiche presenti inGuzzini.Prima di procedere con la descrizione delle stesse, però, ci sembra interessante sottolineare come taleprocedura abbia assunto presso la società di consulenza un carattere piuttosto particolare: l’esclusivacollaborazione e il rapporto ormai da tempo instaurato con l’azienda illuminotecnica si sostanzia infrequenti incontri settimanali e regolari “meeting” di aggiornamento, che necessariamente comportanouna profonda conoscenza reciproca e una mutua consapevolezza delle specifiche esigenze.Inevitabilmente ciò permette di sviscerare e comprendere tutti gli aspetti positivi e negativi della realtàaziendale e di giungere quindi a comprendere le necessità da soddisfare in modo del tutto naturale edistantaneo. Non tanto quindi interviste, strumenti di analisi dei fabbisogni o classici studi di mercato, macolloqui, semplici chiacchierate e frequenti scambi di idee sono stati lo strumento che ha permesso aNautes (o meglio che ha sempre, anche in passato, permesso a Nautes) di elaborare alcuneconsiderazioni360. Con il team di lavoro di cui facevo parte abbiamo pertanto rilevato quanto segue:- Il bisogno di informazione, di consolidamento e standardizzazione delle conoscenze aziendali si ètradotto spesso, come abbiamo precedentemente visto, nella costruzione di repositories del know how edi mere banche dati documentali in merito a quanto era stato progettato e realizzato. Ad un elogio diquesti sistemi in quanto capaci di far emergere e di razionalizzare saperi, esperienze ed informazioni,occorre affiancare il fatto che non hanno consentito, né stimolato l'interazione tra utenti e gestori deglistessi know-how repositories. Basti pensare al brief elettronico di prodotto implementato nell’areamarketing e progettazione e al sistema CRM gestito dal commerciale: quante informazioni poterscambiare da un’attenta interazione fra questi strumenti che oggi non vengono scambiate? O ancora: larete intranet iLive e il sito web istituzionale presentano spesso esposte le medesime conoscenze: perché

360 Occorre in quest’ambito sottolineare come la mancanza di strumenti formali di analisi delle esigenzenon significhi scarsa professionalità dell’azienda. Vedremo infatti in seguito come la realizzazione delsoftware iKnow consta di tecniche ed analisi altamente specifiche e tutt’altro che spontanee. Il fatto chele esigenze dell’azienda emergano spontaneamente è sinonimo invece di forte rapporto di reciprocità trale due realtà.

non permettere un reciproco interfacciamento dei software per il reperimento delle informazionicomuni34?- Per quanto fino ad ora si sia cercato di rendere la conoscenza aziendale distribuita e disponibile a tutti simanifestano in realtà ancora troppi problemi a riguardo: accumuli di informazione, difficoltà direperimento dei documenti, obsolescenza degli stessi, confusione e poca efficienza nel loro utilizzo, nonomogeneità dei formati, mancanza di un’esplicitazione delle conoscenze degli individui sono soltantoalcune delle problematiche che si scoprono in Guzzini. Tutto ciò non consente alla risorsa-conoscenza dipassare allo stadio in cui si pone e si manifesta come un vero asset intangibile, dotato di una funzione diaccelerazione e di moltiplicazione di valore. Per citare un esempio: dove reperire un’intervista a RenzoPiano? Dove poter trovare l’analisi affidabilità clienti? Il nuovo assunto sicuramente brancolerà nel buio,ma anche coloro che sono già da tempo in azienda non sanno spesso a chi rivolgersi. E’ lo stesso Ing.Mandozzi35 a confessarci che ad esempio non sa dove poter rintracciare materiale inerente i fornitoriGuzzini che gli torna invece spesso utile nell’espletamento del suo lavoro. E questo non perincompetenza dello stesso ingegnere: in una grande azienda come quella della iGuzzini, che conta più di1000 persone, è naturale non conoscere chi detiene quel particolare documento piuttosto che un altro.Tutto ciò provoca poi delle enormi perdite di tempo: basti pensare al caso in cui non si riesce ad esempioa reperire il diretto interessato che ci deve dare un’importantissima informazione o magari al caso in cuici si sbaglia ad inviare un file provocando di fatto danni rilevanti361. Gli esempi da citare anche in questocaso potrebbero essere infiniti.- Nonostante siano stati avviati numerosi progetti di KM, si tratta in realtà di programmi che gestiscono ediffondono una conoscenza di tipo locale e circoscritta. Basti pensare ad esempio al brief elettronico cheha gestito e gestisce tutt’ora soltanto le informazioni inerenti lo sviluppo del nuovo prodotto. Si tratta diun sistema importante certo, ma limitato e parziale rispetto alle migliaia di informazioni presenti inazienda che aspettano di essere valorizzate.E’ a partire dalla constatazione di questi aspetti che si è manifestata l’esigenza di far lavorare iGuzzini inmodo migliore: “Nell’era della conoscenza non sono ammesse aziende che operano con questeproblematiche”, ha dichiarato Marco Gialletti ad inizio anno. Ed è così che abbiamo deciso di porrerimedio alle questioni anzidette realizzando un sistema di KM in grado di adottare un approccio integratoe collaborativo che sappia diffondere una cultura della condivisione della conoscenza in tuttal’organizzazione. Questo progetto nasce, quindi, come risposta organizzativa e tecnologica alle esigenzeoperative dell’azienda iGuzzini; al tempo stesso, esso è stato pensato anche come un'occasione disistematizzazione e coordinamento di una serie di strumenti e metodologie di sviluppo organizzativo e digestione dei sistemi informativi che già da tempo sono stati creati e fanno parte integrante della cultura edelle pratiche istituzionali d'azienda.Lo sviluppo di un prodotto illuminotecnico richiede una grandissima varietà di conoscenze e sollevaquestioni su cui è coinvolta tutta l’organizzazione. I manager Guzzini devono, infatti, condividere saperitecnico-scientifici della più svariata natura: ambientali, tecnologici, sociologici e così via; devonoconoscere come sono stati affrontati e risolti i vari problemi nei progetti già sviluppati, acquisire contempestività informazioni sui temi dell’illumonotecnica a livello nazionale ed internazionale. Si tratta,inoltre, di fare in modo che tale conoscenza possa circolare verticalmente (dai vertici alle struttureoperative e viceversa) e orizzontalmente (sia all'interno da progetto a progetto; sia all'esterno tra iGuzzinie i suoi partners).

34 Molto spesso accade che chi gestisce il sito web reperisce un’informazione che viene cercatacontemporaneamente dal parte del gestore di iLive. Anche facendo riferimento al brief elettronico e alCRM la situazione che si presenta è la medesima: occorre sottolineare che molte sono le informazionicontenute nel CRM che potrebbero essere d’aiuto al brief elettronico di prodotto e viceversa: ma comescambiare tali informazioni? Gli esempi a riguardo potrebbero essere ancora molti: inutile proseguire conun’elencazione degli stessi. Il messaggio che deve passare è chiaro: non esiste collegamento tra i sistemidi KM ad oggi attivi in Guzzini.35 L’Ing. Mandozzi è product manager dei prodotti fluorescenza iGuzzini ed è uno dei manager di areacon cui avevamo più stretto contatto.361 Inutile citare altri esempi, anche in questo caso il concetto è chiaro: manca in Guzzini un sistema chegestisca in modo strutturato tutta la conoscenza presente in azienda.

A ben vedere si tratta di esigenze complesse e variegate, che in prima istanza potrebbero sembrare didifficile risoluzione da parte di un unico strumento di KM. Abbiamo, però, cercato di rispondere allestesse con la realizzazione di un sistema organico che consenta di raggiungere i seguenti obiettivi362:- Offrire un “luogo” semplice e trasparente in cui tutti gli utenti autorizzati possano reperire velocementeinformazioni, dati, documentazioni aziendali importanti e sempre aggiornate. Si tratta in poche parole di“certificare” la conoscenza posseduta e creare basi di sapere accessibili a tutti;- Dare apporto di efficacia ed efficienza nella gestione e diffusione della conoscenza con lo scopo difavorirne la circolazione e la valorizzazione. Solo così le conoscenze esperte possedute in diversi puntidell’organizzazione garantiranno presidio di mercati e clienti nonché innovazione continua degli assettid’impresa;- Integrare dove possibile gli strumenti tecnologici ed organizzativi pre-esistenti tramite un struttura checonsenta l’interfacciamento e il dialogo tra questi;- Diffondere una cultura della condivisione della conoscenza attraverso una struttura di gestionestandardizzata e flessibile. Ricordiamo a tal proposito che KM non significa soltanto introduzione dinuova tecnologia ma esprime anche e soprattutto gestione dei knowledge workers e introduzione di unalearning organization363;- Incrementare la produttività attraverso una gestione più razionale delle informazioni rilevanti; in questomodo ogni individuo sarà in grado di reperire velocemente e in modo certo tutte le informazioni di cuinecessita andando di fatto a diminuire il tempo di svolgimento dei propri compiti e avendo pertanto piùtempo a disposizione per svolgere altre attività;- Evitare occultamento e perdita di conoscenza. Per ciò che concerne l’occultamento, molto spesso si

verifica che le tradizionali prassi di lavoro alimentano nei dipendenti comportamenti di tipo

individualistico con il conseguente mantenimento della conoscenza in forma segreta. IKnow si pone

l’intento di promuovere, invece, meccanismi che facilitano l’accessibilità e la condivisione della

conoscenza. La perdita di conoscenza, inoltre, può essere dovuta all’interruzione di collaborazione tra

dipendente qualificato e impresa364. In questo caso l’applicativo di KM si pone come obiettivo quello di

conservare il patrimonio intellettuale d’impresa archiviando adeguatamente la conoscenza acquisita di

ogni lavoratore. Citiamo un esempio. Se l’Ing Mandozzi decide di lasciare l’organizzazione e di portare

via con sé tutte le conoscenze che ha appreso durante il rapporto di lavoro, sicuramente provocherà

all’azienda gravi perdite difficilmente recuperabili, in termini di profitti, di cattiva gestione del nuovo

entrante, etc….;

362 Approccio integrato e collaborativo significa che iKnow deve essere in grado di far dialogare isoftware ad oggi esistenti in azienda e provvedere alla risoluzione delle suddette problematiche. Unaimportante precisazione prima di procedere. IKnow è stato per ora progettato per essere introdottosoltanto nell’area marketing e progettazione perché sono le aree che più delle altre sono coinvolte nelprocesso di sviluppo del nuovo prodotto e considerando l’importanza che questa attività ha per iGuzzinisi è deciso dapprima di far partire il sistema in queste aree per poi diffonderlo a macchia d’olio nelle altrefunzioni aziendali. Approccio a scaglioni quindi per consentire un passaggio graduale che permetta aNautes di avere il tempo di progettare ed inserire le conoscenze rilevanti, ma al contempo che consenta aiGuzzini di “prendere mano” con il sistema. Anche tutti gli altri sistemi di KM, ma in generale tuttal’attività iGuzzini è molto incentrata sul prodotto: “Il prodotto è l’elemento chiave, il cardine e ilfondamento del nostro successo”, sostiene l’Ing. Mandozzi. Esso incorpora in sé e rende fruibile unodegli elementi fondamentali che fa andare avanti il mondo intero: la luce. Necessariamente si sta parlandodi un prodotto che ha una grande responsabilità: quella di governare la vita degli uomini, fissandosensazioni, colori e forme e facendo di volta in volta apparire la realtà in modo diverso. Ecco perché tantaenfasi sul prodotto iGuzzini e ovviamente iKnow non può sfuggire a questo meccanismo.363 Vedi § 2.3.4364 Basti pensare a quante gravi perdite di conoscenza si verificano ogni qualvolta un dipendente lascial’organizzazione o ad esempio ai danni derivanti dalla difficoltà delle persone a comunicare e condividere

- Risolvere nuovi problemi: con questa espressione indichiamo la volontà e la capacità di iKnow direplica migliore ad ogni incertezza, di reazione in modo efficiente ed efficace ad un contestocomplessivamente globalizzato che renderà il mercato molto più dinamico e competitivo;- Creare valore economico: la conoscenza condivisa e capitalizzata crea valore all’interno

dell’organizzazione. In questo senso iKnow favorisce lo scambio, la condivisione e il conseguente

riutilizzo delle informazioni;

- Innovare: ignorare una buona idea è diventato un fatale errore che le imprese non possono piùpermettersi di compiere. Lo spirito di fondo che deve guidare l’agire di ogni organizzazione deve essere:se c’è bisogno di un nuovo applicativo è necessario adottarlo, perché aspettare? Se un individuo proponequalcosa che possa migliorare anche di poco la vita dell’azienda è indispensabile metterlo in atto. IKnowrappresenta il carpe diem di questo processo365;- Non “reinventare la ruota”: iKnow consentirà di evitare di re-inventare soluzioni e di ripetere gli stessierrori commessi in passato, attraverso il miglior uso possibile della conoscenza esistente. Molto spesso,infatti, i lavoratori appartenenti alla stessa organizzazione possono trovarsi nella situazione di creare ericreare inconsapevolmente la stessa conoscenza: iKnow rende disponibile un patrimonio di saperi daconsultare ogni volta che si intraprende un qualsiasi tipo di attività;- Codificare la conoscenza tacita e organizzare quella precedentemente dislocata sotto diverse forme, ma

anche risolvere i problemi di comunicazione tra gli uffici, capitalizzare e valorizzare la conoscenza

esistente, incrementare efficienza ed efficacia dei processi. Organizzare quindi sistemi di

patrimonializzazione delle informazioni aziendali attraverso la documentazione di processi, progetti,

prodotti, ricerche, best practice e così via.

- Instaurare relazioni sempre più proficue tra tutti coloro da cui dipende il successo del prodotto; il che

significa orientamento alla qualità ed al lavoro di squadra. Aumentare la visibilità e la valorizzazione del

proprio capitale intellettuale (in tutte le sue forme: conoscenza tacita, esplicita, esperienze…), attivando

un circolo virtuoso di apprendimento e diffusione delle soluzioni e delle innovazioni prodotte sia

all'interno che verso l'esterno, significa aumentare l'efficacia e l'efficienza delle persone nei processi

knowledge intensive, consentendo a chi è coinvolto sui progetti di raggiungere obiettivi qualitativamente

superiori in tempi inferiori. Tutto ciò consentirà di: offrire un supporto alla soluzione di problemi di varia

natura per rendere rapidamente operative le persone; valorizzare gli interventi organizzativi, attivare un

processo di apprendimento organizzativo basato sull'esperienza via via accumulata nella realizzazione

delle singole tratte, definire in modo congiunto le specifiche tecniche ed organizzative per la gestione del

sistema e co-progettare con gli utenti la soluzione attraverso progressivi momenti di verifica.

Per riassumere: l’obiettivo di iKnow è quello di massimizzare il valore dell'informazione proveniente

dall'esterno e valorizzare le conoscenze e i saperi interni. Tutto quello che deve essere conosciuto deve

essere messo a disposizione nel modo più semplice possibile e attraverso modelli di classificazione chiari

ed univoci.

E’ da questo essenziale modello di capitalizzazione del sapere che il progetto si propone di sviluppare, a

partire dai sistemi di documentazione e di condivisione dell'informazione, un livello di diffusione

progressivamente più ampio, omogeneo e rapido che integri e metta a disposizione di tutti i professional

con altri le proprie esperienze. Questi aspetti sono già stati ampiamente trattati nel secondo capitolo: quivediamo la traduzione degli stessi in realtà.365 Non a caso iKnow nasce proprio dall’ascolto delle esigenze degli individui in azienda e dalla volontàNautes di innovare il sistema di gestione dei saperi iGuzzini.

diversi tipi di know-how, di conoscenze e di dati all’interno di più strutturati e complessi "information

network".

Dal punto di vista tecnologico, questo modello si traduce nel passaggio da sistemi di patrimonializzazione

che raccolgono, gestiscono e trasferiscono informazioni in maniera localizzata e puntuale a sistemi di

diffusione, integrazione e crescita delle conoscenze all'interno di un information network (Knowledge

Sharing System), allineando le potenzialità delle tecnologie di connessione con i modelli socio-

organizzativi reali all’interno di un’organizzazione366.

4.2.2 Il metodo, la strategia e la tecnologia Nautes

“Nautes non vende prodotti e servizi, ma offre soluzioni ad alto contenuto di conoscenza”, sostieneMarco Gialletti, “Ed è questo uno degli aspetti che ci ha consentito di ottenere successo nel mercato”.L’intento degli strumenti Nautes è quello di creare sistemi di metodologie, processi e tecnologiefinalizzati a gestire in modo ottimale le conoscenze aziendali chiave, spesso contenute in mododisorganico in documenti, procedure, competenze ed esperienze dei dipendenti. Conoscenze che poisaranno necessarie per conseguire specifici obiettivi di miglioramento di singole attività nel brevetermine, o saranno magari utili per sostenere il vantaggio competitivo dell’azienda nel medio-lungotermine. Un nuovo modo di lavorare, insomma, il cui obiettivo è quello di integrare la tecnologia con lacultura e i processi aziendali, usando la prima come veicolo per gestire e far giungere le conoscenzedell’azienda ai singoli dipendenti.Tutto questo è particolarmente vero per iKnow. Con iKnow esiste un unico ed imprescindibile obiettivocondiviso da Nautes e iGuzzini: la voglia di crescere insieme condividendo conoscenze e articolandol’uso delle stesse in modo scientifico, tramite le più avanzate tecnologie di KM.Prima di iniziare la trattazione del presente paragrafo occorre però effettuare alcune doverose premesseche concernono tre particolari aspetti delle realtà coinvolte nel sistema: l’importanza del partnertecnologico e metodologico che viene scelto nella progettazione delle strutture di KM, la specificitàdell’organizzazione interna iGuzzini in merito alle funzioni knowledge based ed infine la peculiarità delflusso di conoscenza che caratterizza, percorre e attraversa l’azienda illuminotecnica. Soltantoesplicitando questi aspetti si riusciranno a comprendere poi tutte le successive scelte in merito al nuovosoftware di knowledge warehouse. Iniziamo con il primo aspetto. Spesso il successo di una soluzione diKM dipende dal partner che si sceglie per lo scioglimento delle proprie problematiche: come tuttisappiamo non esiste risposta unica ed universalmente accettata alle questioni che un sistema di gestionedella conoscenza può sollevare. Pertanto, a seconda del soggetto che effettua l’analisi e quindi della suaprofessionalità che manifesta sul campo, si avranno risposte completamente differenti che possono esserepiù o meno pertinenti alle esigenze dell’azienda. Nautes da questo punto di vista si pone come partner:complementare alle competenze d’impresa (Nautes interviene quando l’azienda non ne ha le capacità),propositivo di evoluzioni (Nautes sa cogliere gli sviluppi futuri dei sistemi ad oggi esistenti) e capace difornire soluzioni (Nautes da risposta concreta ai problemi aziendali). “E’ anche e soprattutto grazie aquesta brillante collaborazione che iGuzzini ha potuto incrementare il proprio successo di mercato”,sostiene l’architetto Ceregioli, responsabile del Centro studi e Ricerca iGuzzini367, “Non so se conun’altra società di consulenza avremmo ottenuto gli stessi risultati”. Per ciò che concerne il secondoaspetto sopra citato occorre sottolineare che in iGuzzini non esiste un vero e proprio sistema interno diKM, o meglio per dirla in parole povere, guardando l’organigramma aziendale, in staff non è collocatal’area “gestione della conoscenza”. E’ vero che per ciascuna funzione aziendale esistono singoli progettidi intervento guidati dal responsabile di funzione, come è il caso ad esempio del brief elettronico diprodotto che concerne l’aera Marketing e Progettazione, ma di fatto non esiste un ufficio di

366 Verrà chiarito meglio in seguito l’aspetto tecnologico di iKnow.367 Il Dott. Ceregioli era uno dei soggetti con cui ci relazionavamo più spesso.

coordinamento generale. E’ ad esempio la società Nautes che per i propri progetti funge da guida e daresponsabile di KM.L’aspetto più rilevante però, fra quelli sopra citati, ai fini del nostro lavoro è costituito dall’analisi edall’identificazione dei flussi di conoscenza in entrata e in uscita presso l’azienda iGuzzini.

Schema 1.4 Il flusso di conoscenza iGuzzini Fonte: nostra elaborazione

Dalle nostre analisi risulta che i principali centri di produzione della conoscenza sono: l’Ufficioprogettazione prodotti (concept e progettazione prodotto), l’Ufficio progettazione illuminotecnica(concept e progettazione illuminotecnica), l’Ufficio Marketing (lancio prodotti, formazione, definizionestrategie di vendita) e l’Ufficio CSR (comunicazione istituzionale). La conoscenza prodotta viene fruitadalla sede centrale e dalle filiali per lo svolgimento delle attività ordinarie, dai venditori per lapromozione dei prodotti e dei progetti aziendali e infine dai clienti/distributori. Il processo di produzionee fruizione della corporate knowledge è illustrato nella figura seguente.Dopo queste doverose premesse andiamo ora ad analizzare il core element di iKnow: ovvero la strategiache abbiamo deciso di adottare, la metodologia di applicazione che intenderemo seguire e quindi latecnologia che verrà adoperata in azienda. Procediamo però per passi e rispondiamo al primo quesito:qual è la strategia che abbiamo scelto per inserire e diffondere iKnow all’interno dell’organizzazione368?Un'unica parola basta per rispondere a questa domanda: innovazione. La strategia del nuovo sistema diknowledge warehouse è essenzialmente all’insegna dell’innovazione: innovazione sia di tipo tecnologico,che di tipo organizzativo.Per quanto riguarda il primo aspetto, sarà necessario minimizzare l’impatto che le nuove tecniche

introdotte avranno sull’organizzazione. Si renderà pertanto necessaria una fase di affiancamento

368 Ribadiamo ancora una volta che quanto viene qui esposto è frutto del lavoro che ho effettuato insiemeal team di cui facevo parte durante il periodo di stage, per questo motivo non ci sono riferimentibibliografici.

Marketing

iGuzzini

Progettazione

Progettazione C. studi/ricerca

Sedecentrale

Clienti

Filiali

Vendita

tecnologico e metodologico piuttosto consistente369, fino a rendere la piattaforma introdotta il vero e

proprio “sistema nervoso” dell’organizzazione. Questo è la riprova di quanto affermato nel terzo capitolo:

il concetto di KM non va necessariamente “a braccetto” con quello di change management. Anzi molto

spesso si rivela che lo scopo ultimo di un sistema di gestione della conoscenza sia quello di impattare il

meno possibile sull’assetto d’impresa, proprio per permettere una facile introduzione e un altrettanto

semplice utilizzo dello stesso. Iknow, come un qualsiasi altro strumento di KM, non implica

necessariamente dei cambiamenti organizzativi: “Si tratta di sistemi già di per sé difficili da far recepire

all’impresa; se accanto a questi mettiamo anche stravolgimenti organizzativi, di sicuro non otterremo

successo. Il KM richiede un approccio graduale, quasi impercettibile”370.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, si può fare riferimento alla teoria del Knowledge

Management, ovvero al processo di valorizzazione in chiave strategica del sistema di conoscenze di

un’organizzazione, secondo cui il governo ingegnoso dei processi di corporate knowledge si sviluppa

attraverso tre fasi principali: produzione, gestione e divulgazione della conoscenza371.

- Fase di produzione. Nello svolgimento del proprio lavoro i dipendenti creano conoscenza attraverso

processi di associazione, collaborazione, scambio ed interazione interpersonale. Per far si che l’utilizzo

del capitale conoscitivo diventi una pratica lavorativa accettata e condivisa bisogna creare le condizioni

affinché la conoscenza si rigeneri “automaticamente” e con il minimo sforzo. La minimizzazione dei costi

e la massimizzazione dell’efficienza si ottengono solamente se la conoscenza viene gestita

contestualmente alla sua produzione. IKnow è stato progettato per permettere la realizzazione di questo

processo: successivamente vedremo meglio come;

- Fase di gestione: per la fase di gestione abbiamo deciso di servirci di contenitori di conoscenza

strutturata (modelli) per l’archiviazione e la capitalizzazione della conoscenza prodotta. Questo perché la

strutturazione dei modelli di conoscenza offre un duplice vantaggio: la gestione e la raccolta della

conoscenza avviene in maniera coordinata e consapevole e inoltre la struttura modellizzata offre già

implicitamente una mappa di navigazione della conoscenza che permette la consultazione trasversale dei

dati a seconda dei punti di vista più significativi per l’utente. Vediamo nella successiva immagine un

esempio di come verrà gestita la conoscenza iGuzzini: a partire dalle diverse attività che vengono svolte

in azienda, si riporta l’elenco di tutto il materiale ad esse concernente, con indicazione da chi

eventualmente dover reperire lo stesso, della sua disponibilità corrente o meno, della sua rilevanza.

369 Quando si parla di affiancamento si fa riferimento ad una fase iniziale di introduzione del softwareall’interno della quale tutti i potenziali utilizzatori dovranno essere seguiti, formati e introdotti al nuovosistema: siamo convinti che iKnow non può essere installato in azienda e poi lasciato a se stesso, sirischierebbe di non sfruttare tutte le potenzialità e ancor peggio di non risolvere le problematiche per cuiè stato introdotto.370 Questo è quanto sostiene la Dott.ssa Lanari, knowledge manager Nautes nonché guida del nostrogruppo di lavoro.371 Queste fasi potrebbero sembrare in contrasto con quelle citate nel paragrafo 2.3.1. In realtà non è così:a ben vedere si tratta degli stessi identici stadi riassunti però in poche tappe. Occorre anche sottolineareche il ciclo di vita della conoscenza assuma connotati differenti a seconda dell’organizzazione che si staprendendo in esame e a seconda dell’approccio che la società di consulenza decide di adottare e

Macrocategoria

Categoria Indice delmateriale

Link almateriale

Stato delmateriale Riferimento

Rilevanza (da 1

a 5)Indicazioni

dell’architetto sul

progetto

IntervistaP.

CastiglioniPresente Scataglini 5

Foto Fotochiesa

Ulterioriimmagini

dascaricare

Poeta 1

Indicazionidel

committente

CD foto infatte infase diprova

Presente Poeta 1

Raccolta delleinformazionipreliminari

Indicazionidel

progettista

IntervistaGiraldi Presente Corsalini 2

Descrizionedegli obiettivi

di progetto

Indicazionisull’effettoda ottenere

Effettiluminosi

Manca ilprima

dell’intervento

Corsalini 2

Progettidella

concorrenza

CDpresentazi

onedefinitiva

Presente Cinquanta 3Raffronto conla concorrenza

Info sullaconcorrenza

Spiegazione Giraldi Presente Poeta 4

Elencoipotesi

alternative

Foto primosopralluog

oPresente Corsalini 4

Descrizioneipotesiscartate

Mancante Manca Corsalini 5Definizionedelle sceltealternative

Spiegazionedella

soluzione

Presentaz.Powerpoint

Presente Corsalini 5

Lightconcept Mancante Da creare Corsalini 4

Relazioneprogetto Mancante Da creare Corsalini 2

Calcoloilluminotec

nico

Piante eprospetti Presente Corsalini 3

Progetto dimassima

TavoleCAD

TavoleCAD Presente Corsalini 3

Progetto

SimulazioneRendering

conphotoshop

Testopresentzio

nedefinitiva

presente Poeta 4

ovviamente dello strumento che si decide di introdurre. In questo caso le tappe salienti sono: produzione,gestione e divulgazione della conoscenza. Analizziamo quindi queste tre fasi calate nel sistema iKnow.

Tabella 1.4 Esempio di modalità di gestione della conoscenza Fonte: nostra elaborazione

- Fase di divulgazione: la diffusione dei dati archiviati nel sistema può avvenire secondo due modalità

principali: direct publishing ovvero accesso diretto alla conoscenza tramite interfacce web e enhanced

publishing che significa invece accesso alla conoscenza dopo l’editing “strategico” e finalizzato

all’utilizzo che ne farà l’utente (mail, newsletter,…).

IKnow consente, a seconda delle esigenze di usare entrambe le tipologie di divulgazione372.

La strategia Nautes prevede pertanto di individuare una classe di strumenti per intervenire sul

raggiungimento degli obiettivi dell'organizzazione: aumentare l'efficacia e l'efficienza delle persone nei

processi knowledge intensive, raggiungere obiettivi qualitativamente superiori in tempi inferiori, offrendo

al contempo un supporto alla soluzione di problemi di varia natura e rendendo rapidamente operative le

persone. IKnow si basa sulla convinzione che l’efficacia di un sistema di knowledge management

dipende dalla capacità di gestire tutti i tipi di conoscenza posseduta dalle organizzazioni. In particolare

Nautes fonda il proprio approccio sull’individuazione di quattro diversi tipi conoscenza: quella esplicita

(ossia la conoscenza contenuta nei documenti), quella creabile (ovvero quella nascosta nei dati e frutto

dell’elaborazione di questi), conoscenza incorporata nei processi aziendali e conoscenza tacita (che

risiede nella testa delle singole persone)373. Sulla base di queste considerazioni possiamo pertanto

affermare che il nostro sistema di knowledge warehouse assolva ad una triplice ed importante funzione:

quella di “gestione documentale”, che consiste nell’ amministrazione di tutti i documenti e di tutte le

informazioni aziendali in formato digitale; nella collocazione, archiviazione e ricerca degli stessi, nella

loro semplice redazione, rendendo altresì facili tutte le forme di comunicazione e contatto fra gli utenti.

Questa particolare funzione favorisce quindi la circolazione e il reperimento della conoscenza esplicita

all’interno dell’organizzazione.

Si parla poi di “mappatura delle competenze” (vedi tabella 1.4) che, invece, permette di rintracciare la

conoscenza tacita presente in azienda. Questa componente della conoscenza è molto difficile da

diffondere, in quanto è legata al soggetto che la detiene. Tuttavia, attraverso la costituzione di mappe che

individuano “chi fa cosa” e “chi sa cosa”, è possibile rintracciare i soggetti che detengono le conoscenze

tacite ricercate, per poter eventualmente apprendere da questi tramite socializzazione, oppure per affidare

direttamente ad essi determinati compiti374. La “descrizione dei processi”, infine, permette di individuare

e gestire la conoscenza incorporata nei processi aziendali. Essa consente di identificare le singole attività

componenti, gli attori preposti allo svolgimento di tali attività e, quindi, le capacità/competenze possedute

da questi soggetti375. In questo senso riteniamo che iKnow sia una soluzione che si differenzia dagli altri

372 Questi aspetti della strategia saranno maggiormente chiari quando si tratterà il paragrafo 4.2.4.Vedendo come lavora iKnow emergerà come questi elementi sono stati totalmente rispettati.373 I diversi tipi di conoscenza richiedono anche una diversa modalità di gestione. Pertanto ogni sistemadi KM, pur configurandosi come sistema unico deve in realtà possedere diverse caratteristiche gestionali.374 Da questa affermazione si coglie l’importanza del modello di Nonaka e Takeuchi, al quale abbiamoinfatti dedicato un paragrafo nel secondo capitolo.375 La mappatura dei processi avviene attraverso quello che nel secondo capitolo abbiamo definitoworkflow management, il quale consente di esplicitare e rendere visibile i processi aziendali. Per quanto

sistemi di knowledge warehouse presenti sul mercato: esso consente attraverso un unico software di

integrare le tre componenti appena citate376.

Dopo aver analizzato la strategia di introduzione del software iKnow passiamo ora all’analisi del secondoaspetto sopra citato: la metodologia ipotizzata da Nautes per la gestione della “conoscenza iGuzzini”.Anche in questo caso diverse potrebbero essere le soluzioni a riguardo: non esiste, come sappiamo,un’unica risposta all’esigenza di amministrare i propri saperi e pertanto lo stesso iKnow avrebbe potutoassumere una diversa connotazione se fosse stato redatto da un’altra società di consulenza.Dopo attente analisi e dopo numerose prove e tentativi, ma grazie soprattutto all’esperienza e allaprofessionalità degli altri soggetti del team di lavoro, è stato deciso di articolare il sistema di knowledgewarehouse su tre livelli: Knowledge Map, Knowledge Frame e Knowledge Asset. L’analisidell’organizzazione aziendale verrà effettuata al fine della modellizzazione delle knowledge structuresimplicate nei processi e nei flussi informativi consolidati all’interno dell’azienda. L’obiettivo dell’analisisarà la definizione di contenitori strategici, costituiti da una struttura dati gerarchica, che saranno assunticome modelli per l’indicizzazione di tutte le conoscenze, i processi, le attività e in genere le entitàrilevanti del dominio di conoscenza indagato. Attraverso la definizione di tali contenitori verrà resodisponibile uno schema descrittivo comune, coerente con il contesto operativo, mediante il quale saràpossibile armonizzare le descrizioni delle informazioni formulate da diversi utenti e costruire una base diriferimento comune per tutte quelle attività che comportano uno scambio di informazioni.

Schema 2.4 La metodologia Nautes Fonte: nostra elaborazione

riguarda la conoscenza creabile, questa emerge dall’elaborazione e dalla creazione dei dati presenti nelsistema.376 Di solito gli strumenti di KM assolvono soltanto ad una delle funzioni citate, trascurando tutte le altree configurandosi quindi come sistemi parziali alla gestione della conoscenza.

Knowledge map

Pre-analisi dimarketing

Cocept In Produzione Lan

Knowledge frame

Analisi delleesigenze

Ricerche di mercatoAnaAnalisi

deiprezzi

Knowledge asset

Feed backdi catalogo

La costruzione del sistema su tre livelli è un’ ipotesi arbitraria assunta come prassi metodologica che

consente di facilitare la modellizzazione e la strutturazione della conoscenza: in questo modo, infatti, il

sistema è di più agevole utilizzo e comprensione poiché va di fatto a “parcellizzare” le conoscenze da

archiviare e a suddividere le competenze che ciascun individuo ha nel sistema377.

Le Knowledge Map (macro-contenitori ad albero) sono la rappresentazione dei processi strategici di

gestione della conoscenza e rappresentano le diverse fasi della catena del valore del prodotto. Ciascuna

Knowledge Map include una serie di Knowledge Frame, contenitori di conoscenze dello stesso tipo,

modellizzate a priori e strutturate secondo la logica dei processi operativi di gestione della conoscenza. A

ciascun contenitore modellizzato (Knowledge Frame) vengono associati i Knowledge Asset pertinenti,

ovvero i prodotti di conoscenza risultanti dai processi aziendali. Ogni nodo terminale del sistema

(knowledge asset) può contenere: un form di inserimento dati (brief elettronico), un documento allegato

(foto, video,…), un applicativo,…

Schema 2.4 La metodologia Nautes Fonte: nostra elaborazione

Immagine 8.4 La struttura ad albero su tre livelli del metodo Nautes Fonte: nostra elaborazioneLa figura 9.4 mostra l’esempio di un applicativo articolato su tre livelli tramite una struttura ad albero,secondo la quale la knowledge map (pre-analisi di marketing) contiene un insieme di knowledge frame(tra cui analisi delle esigenze) dal quale a sua volta accedere ai knowledge assets (feed back dicatalogo…)378.Procediamo ora con l’analisi dell’ultimo aspetto sopra citato: la tecnologia sviluppata da Nautes periKnow. Perché è stato scelto proprio uno strumento di knowledge warehouse?Come già analizzato nel secondo capitolo il datawarehouse (DWH) è definito come una piattaforma sullaquale vengono archiviati e gestiti dati provenienti dalle diverse aree dell’organizzazione379; tali dati sono

377 Anche in questo caso si vedrà nel paragrafo 4.2.4 come il metodo sia stato tradotto in realtà.Attraverso la suddivisione su tre livelli si suddividono anche le competenze e i ruoli degli individui: iknowledge manager hanno determinati compiti che sono coerenti con la loro posizione lavorativa, iknowledge executive degli altri,….. In quest’ambito ci preme sottolineare come il software non è diagevole comprensione, ma il tutto rimarrà più chiaro andando a vedere il suo funzionamento nel § 4.2.3.378 In questo caso così come quando descriveremo il funzionamento del software abbiamo citatoesclusivamente elementi riferiti allo sviluppo del nuovo prodotto (area marketing e progettazione).Ricordiamo che iKnow verrà infatti dapprima introdotto soltanto in questi uffici per poi diffondersi sututta l’azienda.379 Cfr. QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni edelle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 111.

aggiornati, integrati e consolidati dai sistemi di carattere operativo per supportare tutte le applicazioni dibase alle decisioni. Si tratta quindi di una collezione di informazioni non modificabili, organizzati perargomento e per riferimento temporale, finalizzati al supporto del processo decisionale380. Un aspettoperò deve essere notato: la definizione appena data parla di sistemi di datawarehouse; iKnow invece siconfigura come sistema di knowledge warehouse. Di fatto da un punto di vista tecnologico edorganizzativo non cambia nulla tra le due opzioni, ovvero per la seconda valgono gli stessi meccanismiappena descritti, ma ciò che rileva è che quello che viene catalogato da iKnow non è il dato primitivopresente in azienda, ma bensì la conoscenza degli individui e dell’organizzazione, ovvero il datotrasformato ed evoluto a forma utile. Secondo la tassonomia presentata nel primo capitolo i manager nelprocesso decisionale non hanno tanto bisogno di dati grezzi, quanto di dati elaborati ovvero diconoscenza. Iknow, tramite un processo che raccoglie conoscenze simultaneamente alla loro produzione,permette di consultare fin da subito informazioni utili per il processo decisionale e non dati che dovrannoessere ulteriormente elaborati. Per quanto riguarda poi la scelta di un sistema di knowledge warehousepiuttosto che di un’altra tecnologia di KM si è trattato in sostanza di una scelta obbligata: per gli scopiche si intendeva raggiungere e per le problematiche da risolvere in Guzzini, questo sistema era l’unico dapoter adoperare381.Vediamo più in dettaglio la piattaforma tecnologica iKnow.La piattaforma tecnologica (Knowledge Warehousing System) sarà una soluzione di tipo distribuito che,

gestita a livello centrale, sarà accessibile a diversi condizioni da tutti gli uffici attraverso un apposito

applicativo. La conoscenza verrà gestita localmente da unità organizzative autonome che scambieranno

dati e informazioni condividendo uno schema concettuale omogeneo, secondo un modello di

“federalismo informativo”. Un sistema che, grazie ad un approccio multiutente, sarà in grado di

raccogliere, gestire e divulgare tutte le conoscenze dell’organizzazione, anche quelle rappresentate dai

dati delle più piccole unità che la compongono. Di seguito illustriamo le caratteristiche tecnico-funzionali

del sistema. Dal punto di vista funzionale, il Knowledge Warehousing System sarà composto da quattro

macroaree (Interfaces):

380 Con riferimento all’aspetto tecnologico, come sopra citato, ci limitiamo ad esporre i tratti salienti delsistema, non essendo stata di mia competenza la redazione degli stessi. Riportiamo per completezza lecomponenti di un’architettura di DWH: - Procedure di accesso ai dati (ETL). L’acronimo ETL(extraction, transofmation, loading) si riferisce alle tre attività estrazione, trattamento e caricamento deldato. Quest’ultimo viene quindi estratto da fonti eterogenee quali il sistema informativo d’impresa, glistrumenti di supporto interni (fogli elettronici), conoscenze immagazzinate negli individui (interviste); lafase successiva di trattamento è finalizzata a uniformare i dati tramite un’attività di pulizia: possonoinfatti essere non omogenei, inconsistenti o semplicemente ridondanti. I diversi formati vengono mappatiper mezzo di strumenti parametrici e successivamente filtrati per l’attività di caricamento a regime. Ilmomento di caricamento implica un processo di ordinamento e di previa aggregazione dei dati,supportato dall’attività di monitoraggio centralizzato dell’invio e della ricezione dei flussi dialimentazione. - Struttura interna dei dati: gli aspetti da definire, relativi alla struttura interna, sonoinerenti al modello da utilizzare, relazionale piuttosto che multidimensionale, al livello di dettaglio,dipendente dalla complessità delle realtà specifica, ed al livello di normalizzazione, orientato allaminimizzazione delle ridondanze. Fattore critico è poi la determinazione della dimensione temporale, siain termini di profondità che di frequenza di aggiornamento. - Metadati: esiste una serie di dati cheesplicitano e contestualizzano i dati veri e propri. Si tratta di informazioni relative alla provenienza, allatipologia, significato e storicità dei dati numerici. Anche iKnow si compone di questi elementi: adesempio con riferimento all’ETL sappiamo che per gran parte della conoscenza verrà estratta dalla“mente” degli individui (alcuni colloqui sono già iniziati) e dai diversi supporti interni all’organizzazione.La struttura interna dei dati è invece in fase di definizione come verrà analizzato meglio in seguito.381 Questa conclusione è stata raggiunta grazie alla profonda conoscenza delle tecnologie di KM che ilteam di lavoro ha acquisito nel corso del tempo. Inutile in quest’ambito stare ad elencare il perché altrisoftware di KM non sarebbero stati opportuni: per l’obiettivo di archiviare in modo strutturato i saperiaziendali, la tecnologia di supporto è costituita dai sistemi di DWH.

1. Area Configurazione;

2. Area Utenti;

3. Area Knowledge Warehousing;

4. Area Documenti.

L’area configurazione permette di delineare i parametri di base che saranno utilizzati nel sistema. Le

funzionalità principali sono pertanto: configurazione e gestione utenti ,ovvero creazione, modifica ed

eliminazione dei soggetti che possono accedere al sistema; configurazione e gestione documenti, ovvero

della conoscenza utile ai processi decisionali; creazione delle tipologie di media associabili a ciascun

nodo e gestione delle estensioni dei files382. Come dice il termine stesso, quest’area si propone di

strutturare l’intero sistema;

L’area utenti. Le funzionalità principali dell’area utente sono: creazione, modifica, ed eliminazione del

singolo utilizzatore, dei gruppi di utenti che sono stati creati o dell’intera struttura organizzativa. Le

principali tipologie di utente che verranno gestite dal sistema sono: administrator (AD); knowledge

manager (KM); knowledge executive (KE) e operatore (OP). Vedremo meglio nel paragrafo 4.2.4 il ruolo

di questi soggetti;

L’area knowledge warehousing è l’area principale del software, in cui possiamo distinguere due

sottoaree: i Modelli e i Knowledge Process.

- Sottoarea modelli. Questa sottoarea è finalizzata alla creazione della vera e propria struttura del sistema

sulla base della strategia e del metodo precedentemente delineati. Knowledge Map, raggruppamenti di

Knowledge Frame e Knowledge Asset verranno visualizzati mediante una struttura ad albero e

costituiranno l’indice completo del modello. Le funzionalità principali di questa sottoarea sono pertanto:

creazione modifica, eliminazione di Knowledege Map tramite un interfaccia strutturata ad albero,

creazione, modifica eliminazione di Knowledege Frame, possibilità di aggregare più Knowledege Frame

in un gruppo, possibilità di stampare Knowledge Map, Knowledge Frame e Knowledge Asset, possibilità

di assegnare utenti con i diritti di visualizzazione e/o modifica sugli Knowledge Asset383,….

- Sottoarea knowledge process. Partendo da una Knowledge Map (modello pre-caricato nel sistema),

viene data la possibilità di creare un Knowledge Process, ovvero di personalizzare lo “scheletro”

progettato a seconda del processo di gestione della conoscenza che più si addice alle esigenze dell’utente.

Pertanto l’utente che accede all’applicativo visualizzerà un vero e proprio indice ad albero del quale potrà

selezionare i soli Knowledge Frame necessari al Knowledge Process di sua competenza; si tratta

insomma di adattare il modello alle proprie necessità conoscitive;

L’area documenti. Le principali funzionalità di questa area sono essenzialmente la ricerca trasversale dei

Knowledge Asset, caricati secondo diversi criteri di screening384.

382 Per ora le funzionalità sono quelle descritte. Sicuramente in futuro potrebbero essere diverse.383 Anche in questo caso, come prima, le funzionalità future del sistema potrebbero essere differenti.Ricordiamo che iKnow è in una fase di preparazione per una sua applicazione dopo l’estate.384Quanto fin qui descritto sarà accessibile dal lato client del sistema, ovvero dal database iKnow. Esistepoi anche un lato web che permette invece di consultare la conoscenza archiviata.

Questa la strategia, la metodologia e la tecnologia che abbiamo progettato per iGuzzini.

4.2.3 Le fasi di realizzazione del progetto

Prima di analizzare ed illustrare come “funziona” iKnow abbiamo ritenuto opportuno inserire unparagrafo che prenda in esame le fasi di realizzazione del progetto e quindi la tempistica di messa in attodello stesso, in modo tale da poter comprendere anche lo stato attuale dei fatti e in generale avere un’ideapiù chiara di tutto il piano di lavoro.Dopo la fase iniziale di diagnosi organizzativa che abbiamo detto sopra essere avvenuta in modo del tutto

naturale e dopo un’altrettanto attenta definizione della strategia e del metodo da seguire sono state

definite le attività di realizzazione del progetto: in sostanza le fasi che devono essere realizzate per

l’implementazione di iKnow.

Un primissimo step che è stato già affrontato, una sorta di fase zero del progetto, ha riguardato la

progettazione operativa del software, ovvero la costruzione e realizzazione pratica dell’applicativo, per

permettere sia a noi che all’azienda di poter vedere concretamente in che cosa consisterà il programma.

Ad oggi esiste quindi un prototipo del sistema: diciamo prototipo poiché l’attuale iKnow è praticamente

allo stato primitivo, non contenendo ancora le conoscenze iGuzzini, che verranno mappate soltanto a

partire dal prossimo settembre385.

Ci si potrebbe a questo punto domandare come sia possibile progettare un sistema di KM prima di

iniziare le fasi realizzative dello stesso.

La risposta è relativamente semplice considerando le informazioni fino ad oggi emerse dalla fase

preliminare di analisi: esiste molta documentazione relativa ai progetti, che va resa disponibile in archivi

condivisi; esiste un patrimonio di esperienze distintive accumulate nel corso del tempo, in particolare di

esperienze informali e conoscenze tacite, in merito al quale è necessario identificare una modalità che

consenta almeno in parte di esplicitarle, raccoglierle e riutilizzarle nei nuovi progetti; esiste un bacino di

esperti e persone molto qualificate e specializzate, rispetto al quale è necessario riuscire ad identificare e

mettere in connessione chi è in grado di fornire un supporto esperto per l'interpretazione della

documentazione o per la risoluzione di problemi già affrontati; esistono molti altri strumenti e materiali a

disposizione delle persone, ad esempio attraverso l'intranet, o il brief elettronico di prodotto, rispetto ai

quali è necessario focalizzare con maggiore chiarezza cosa effettivamente le persone utilizzano e di quali

conoscenze e supporti hanno bisogno per lavorare.

Si è rilevato, inoltre, che la crescente complessità della società e il conseguente bisogno di flessibilità, ha

fatto nascere il bisogno di una razionalizzazione nella gestione delle informazioni il cui esubero ha

motivato la stessa all’adozione di tecnologie idonee ad amministrarle386.

385 Ricordiamo ancora una volta che io e il mio team di lavoro non ci siamo occupati della partetecnologica del sistema. Tralasciamo quindi quest’ambito per concentrarci invece sugli altri aspetti chesono stati oggetto del nostro studio.386 GRAND R., “The resource based theory of competitive advantage: implication for strategyformulation”, in California management review, primavera, 1991

Rimane pertanto da realizzare la porzione più corposa del lavoro, quella relativa alla gestione delpatrimonio conoscitivo.La tabella seguente mostra le fasi di realizzazione del progetto, che abbiamo ipotizzato sia così composto(fasi che inizieranno a partire da settembre 2007)387.

Incontri e interviste al managementRaccolta informazioni sulle attività e raccolta

documentazioneStudio oggetti da modellizzare

Validazione dei modelli

Analisi e modellizzazione della conoscenzaaziendale

Supporto operativo a regimeCostruzione area modelli

Costruzione area knowledge processConsultazione indicizzata web

Personalizzazione grafica

Progettazione e sviluppo del knowledgewarehousing system

Testing della piattaformaInstallazione e configurazione del sistema

Tuning del sistema integratoInstallazione e messa a punto del sistemaFormazione operativa sul software

Tabella 2.4 Le fasi di realizzazione del progetto Fonte: nostra elaborazione

Analizziamo meglio ognuna di queste fasi.- Analisi e modellizzazione della conoscenza aziendale. Questa importante fase del progetto altro non èche quella che abbiamo definito nel secondo capitolo “mappatura delle conoscenze aziendali”388. Si trattain sostanza di individuare chi detiene quali conoscenze. Il metodo che abbiamo deciso di utilizzare perl’analisi dell’organizzazione aziendale è il seguente389:

- Incontri ed interviste al Management al fine di delineare il contesto di riferimento dell’azienda

(dominio di conoscenza);

387 In questo senso la trattazione di iKnow non è completa: poiché le fasi di realizzazione del progettodevono ancora trovare pratica applicazione.388 Secondo quanto affermato nel capitolo 2 e in coerenza con quanto sopra definito in merito allastrategia aziendale ribadiamo ulteriormente che: la strategia di knowledge management deve essereintrinsecamente legata alla strategia organizzativa aziendale; deve favorire l’acquisizione di una culturaaziendale che consideri la conoscenza e la sua gestione come parte integrante dei processi;l’investimento in capitalizzazione nel Knowledge Management in termini di risorse e tempo delle risorseumane coinvolte deve consentire l’acquisizione di significativi vantaggi di business.389 I metodi da seguire in quest’ambito sono molteplici. Riportiamo a titolo esemplificativo lametodologia adottata per TAV. Identificazione delle esigenze top-down, attraverso l'individuazione dellepriorità strategiche in merito alla gestione delle conoscenze: l'attività è stata realizzata attraverso l'analisie la valutazione del "portafoglio di conoscenze" (brevetti, competenze organizzative, software, knowhow, competenze professionali, etc.) per identificare le core competences in relazione alle strategiedell'azienda, e la definizione di un piano d'azione per la manutenzione del portafoglio (azioni diinnovazione, codifica, diffusione, dismissionedelle conoscenze).Il metodo utilizzato è lo “StrategicPortfolio Approach" adottato in Italia da Butera e Partners in collaborazione con il Cibit. II portafoglioviene costruito attraverso un processo a cascata (tre/quattro focus group) che coinvolge il Topmanagement ed il management di business. Identificazione delle esigenze bottom-up, attraverso l'analisidelle esigenze di condivisione delle conoscenze e delle effettive pratiche di lavoro delle persone.L'obiettivo di questa attività è di comprendere quali conoscenze le persone utilizzano effettivamente nellapratica quotidiana di lavoro, ossia quali fonti utilizzano, come accedono alle conoscenze necessarie siaall'interno che all'esterno, come scambiano conoscenze e informazioni con i colleghi o con altre funzionidell'organizzazione.

- Raccolta di informazioni relative alle attività svolte e alla documentazione prodotta o utilizzata

con successiva rielaborazione e sintesi delle informazioni;

- Studio sui possibili oggetti/eventi da modellizzare e sulle relative classi di appartenenza (questi

modelli dovranno costituire la base di conoscenza aziendale);

- Validazione dei modelli.

- Progettazione e sviluppo del Knowledge Warehousing System390. L’obiettivo principale di questa fase

è quello di implementare la piattaforma tecnologica iKnow, tenendo conto delle istanze di usabilità e di

ergonomia delle interfacce. Lo scopo è quello di realizzare un ambiente software di collaborazione e

condivisione tra le risorse dell’organizzazione. Le attività di questa fase sono:

- Analisi: Indagine preliminare sul contesto in cui il prodotto software deve inserirsi e sulle

caratteristiche che deve esibire. Tali attività prevedono la raccolta dei dati tramite colloqui tra i

partner di progetto e gli sviluppatori;

- Progettazione. Sulla base della specifica dei requisiti prodotta dall'analisi, si redige il progetto

del software in cui si definisce come tali requisiti saranno soddisfatti, entrando nel merito della

struttura che dovrà essere data al sistema software. Le attività di progettazione hanno come

obiettivo la definizione delle linee essenziali della struttura del sistema da realizzare (progetto

architetturale e progetto di dettaglio);

- Sviluppo. Le attività di sviluppo hanno come obiettivo l’implementazione o codifica del sistema,

ovvero: implementazione dei singoli moduli che costituiscono il sistema, integrazione di tali

moduli per formare il sistema complessivo;

- Testing. Le attività di testing (test funzionali, test di performance, test d'istallazione) sono

finalizzate all’individuazione delle carenze di correttezza, completezza e affidabilità delle

componenti software in corso di sviluppo.

- Installazione e messa a punto del sistema. Le attività principali di questa fase sono:

- Installazione e configurazione del sistema;

- Testing del sistema integrato al fine della sua messa a punto (Tuning);

- Formazione operativa sul software agli utenti.

Vediamo concretamente la tempistica di realizzazione del progetto.

Settembre

2007

Ottobre

2007

Novembre

2007

Dicembre

2007

Gennaio

2008

Knowledge warehouse

Analisi e modellizz.

Interviste al managementRaccolta informazioni

Oggetti da modellizzareValidazione dei modelli

Supporto operativo

390 Ricordiamo che esiste già ad oggi un prototipo del sistema.

Progettazione e sviluppo

Costruzione area modelliCostrruzione k. process

Consultazione webPersonalizzazione graficaTesting della piattaformaInstallazione

InstallazioneTuning del sistema

Formazione sul software

Tabella 3.4 GANT del progetto Fonte: nostra elaborazione

Questi i tempi previsti per la realizzazione del progetto. Salvo particolari problematiche si inizierà alavorare dopo il periodo estivo per concludere il programma ad inizio 2008391.Dopo la laurea mi occuperò personalmente del progetto: ringrazio fin da ora Nautes per l’ooportunità chemi viene concessa.

4.2.4 Come lavora iKnow?

In questo paragrafo verrà illustrato il funzionamento e la struttura di base del software: dalla sua modalità

di costruzione fino al suo utilizzo per la fruizione di conoscenza. Di fatto questa sezione costituisce la

traslazione pratica della strategia e del metodo sopra delineati, ciò che da sostanza alle teorie di gestione

della conoscenza esposte nel presente elaborato. Necessariamente però la descrizione di come “funziona”

iKnow va di pari passo con la definizione delle figure professionali che devono intervenire, a diverso

titolo, nell’implementazione del progetto. Come sopra delineato i “lavoratori della conoscenza” che

abbiamo pensato per iKnow sono: amministratore del sistema, knowledge manager, knowledge executive

e operatore392. Considerando la scarsità di tempo a disposizione di ogni manager, ma al contempo la

necessità di dotarsi di strumenti funzionanti e all’avanguardia, abbiamo deciso di impostare il sistema

nella seguente maniera: ad ogni soggetto è stato assegnato uno specifico ruolo al quale corrispondono

specifiche competenze (che identificano fin da subito e in maniera chiara l’attività che il manager deve

svolgere). L’attività risulta essere ovviamente coerente e in linea con la posizione che l’individuo ha

all’interno dell’organizzazione, per agevolare sia la funzionalità del sistema, che le stesse mansioni dei

manager nei confronti di iKnow.

- L’administrator (AD) IT è l’utente che “tutto può”, è colui che all’interno del sistema ha la capacità dicompiere un qualsiasi tipo di operazione e di modifica del software. Nel nostro caso l’AD è rappresentatoda tutti i manager Nautes che hanno progettato l’applicativo e che vi devono pertanto accedere in 391 Anche in questo caso il mio contributo non è stato notevole: il timing dell’operazione può esserestabilito soltanto da chi ha esperienza a riguardo. Dopo la laurea, considerando che si sono verificatidurante il periodo di stage i presupposti per una prosecuzione del rapporto di lavoro, continuerò adoccuparmi del sistema iKnow.392 Ricordiamo così come affermato nel secondo capitolo che gli operatori di un sistema, i così dettiknowledge worker cambiano da caso a caso. In quest’ambito si è ritenuto opportuno avvalersi dellequattro figure che ora andremo a descrivere: nulla vieta che esistano delle soluzioni migliori di questa.Questo aspetto costituisce la dimostrazione pratica di come KM non significhi soltanto innovazionetecnologica ma anche gestione di knowledge worker e di un’organizzazione knowledge based.

qualsiasi modo e momento per verificarne lo stato ed apportare eventuali migliorie393. L’amministratoreIT ricopre pertanto prevalentemente un ruolo tecnico che si caratterizza per il possesso di competenzeavanzate nella configurazione di tutto il sistema394.- Il knowledge manager (KM) è invece in grado di creare dei modelli di riferimento (lo “scheletro” del

sistema, la suddivisione nei tre livelli sopra citata) in base alla visione strategica della corporate

knowledge che egli ha. In coerenza con quanto fin qui detto questo ruolo verrà ricoperto sia da manager

Nautes che da manager di area iGuzzini (quali ad esempio l’Ing. Mandozzi), che possono beneficiare

rispetto ad altri di una panoramica complessiva e di una visione d’insieme di tutti i processi aziendali. In

termini pratici il KM è colui che si occupa della creazione di modelli di raccolta dati che dovranno poi

essere riempiti dagli altri attori del sistema.

- Il knowledge executive (KE) è il responsabile che operativamente adatta il modello precedentemente

creato alle specificità aziendali, personalizzandone la struttura e i contenuti. Anche in questo caso

saranno KE i capi area iGuzzini, che meglio di altri, proprio per il ruolo che ricoprono, saranno in grado

di inserire quegli elementi di conoscenza che sono caratteristici dell’area organizzativa di cui sono parte.

- L’operator (OP) è l’utente responsabile della singola porzione di conoscenza (Knowledge Asset),deputato al suo caricamento nel sistema o alla sua produzione secondo le specifiche del KnolwedgeExecutive. L’OP è rappresentato da managers di area iGuzzini adibiti allo scopo.Passiamo ora a vedere in dettaglio le attività che devono essere svolte da ciascun utilizzatore, potendoattraverso questa descrizione, vedere di fatto il funzionamento del sistema395. La figura seguente cimostra sinteticamente come il knowledge manager crea il modello di contenitore della conoscenza, lorende pubblico e fruibile al knowledge executive, il quale dà vita ad un contenitore di conoscenzapersonalizzato. Il contenitore viene pubblicato e quindi reso visibile all'operatore. L'operatore effettua lacompilazione del modello con i contenuti appropriati. Le schede compilate tornano poi al knowledgeexecutive che le controlla e le valuta. Qualora fossero corrette egli provvede poi ad archiviarle rendendocosì disponibile, consultabile e fruibile da tutti quella particolare conoscenza, che pertanto si collocanell'archivio iGuzzini.

Schema 2.4 Flusso sintetico iKnow Fonte: nostra elaborazione

393 Non è prevista ovviamente la stessa cosa per i manager iGuzzini per i quali non avrebbe sensoconsentire loro di modificare il sistema.

394 Non a caso l’AD non verrà analizzato nel corso del lavoro, proprio perché ricopre un ruolo tecnico enon anche di configurazione delle conoscenze del sistema.395 Ricordiamo un ulteriore aspetto: i ruoli che sono stati appena citati sono per ora immodificabili.Qualora ad esempio il KM acceda ad attività che non gli sono state assegnate (come ad esempiol’inserimento di file o contenuti) appare una messange box che dichiara l’impossibilità di svolgerel’operazione. Addirittura si potrebbe anche verificare il caso di una impossibilità di accesso alle stessefunzioni. Abbiamo ritenuto importante introdurre questo meccanismo per consentire il migliorrecepimento possibile del sistema. Basti pensare alla confusione che si potrebbe generare se ognimanager potesse compiere un qualsiasi tipo di operazione. Oltre a questo, attraverso il nostro metodo,consentiamo a tutti i soggetti presenti in azienda di contribuire alla realizzazione del software: questocondurrà di fatto ad un incremento della motivazione degli individui e all’attivazione di processi diapprendimento.

Creazionemodello dicontenitore

diconoscenza

KM KE OP KE Tutti

Creazionedel

contenitore PubPu Compilaz. del

contenitore

Publishingdella

conoscenza Co

Schema 3.4 Flusso sintetico iKnow Fonte: nostra elaborazione

Vediamo più in dettaglio però l’intero processo, anche con l’aiuto di immagini396. Come appena dettol’attività del knowledge manager si sostanzia essenzialmente nella creazione di modelli di raccolta dati suistanza di quanto emerge dalla fase di analisi della conoscenza aziendale397. Il suo compito consistepertanto nella realizzazione strutturale dei tre livelli di divisione sopra citati (knowledge map, knowledgeframe e knowledge asset), dove il termine strutturale significa che il KM si occupa esclusivamente dellaforma da dare al modello, non anche della personalizzazione dello stesso o dell’inserimento deicontenuti398.La fase di modellizzazione può essere portata avanti, a nostro avviso, soltanto dalle figure di KM da noidesignate, in quanto dotate di una visione unitaria e completa dell’attività aziendale, necessaria per lacreazione dei tre livelli su esposti. Un esempio di modello di raccolta dati potrebbe essere: materiale di uncorso e-learning o anche sviluppo di nuovi prodotti399, come mostra la seguente figura.

396 Le immagini sono tratte dal prototipo di iKnow ad oggi esistente.397 Bisogna sottolineare come il KM lavora su client ossia sull’applicazione Winows installata sul PC ecosì pure il Knowledge executive, mentre l’operatore ha soltanto l’interfaccia Web ovvero si connette ainternet e compila le schede che gli sono state assegnate. In quest’ambito indichiamo la sigla KM sta perknowledge manager e non per knowledge management.398 Come ogni strumento di Data Werehouse queste strutture sono immodificabili nel senso che una voltaideate rimangono tali nel corso del tempo. Per questo si dice che sono modelli “a priori” e “una volta pertutte”. Bisogna però ricordare che esse possono essere personalizzate nei contenuti da parte di KM e KE,coloro che hanno accesso al software non come semplici fruitori do conoscenza.399 Citiamo quelli che ipoteticamente potrebbero essere dei modelli di conoscenza, non avendo ancoraeffettuato la fase di analisi e modellizzazione della stessa. Un altro aspetto ci preme sottolineare inquest’ambito: la descrizione di iKnow che proponiamo non è particolarmente dettagliata. Questo perevitare di appesantire il lettore con aspetti che a nostro avviso sono trascurabili. Citiamo invece ciò cheper noi costituisce elemento meritevole di essere analizzato. Per fare un esempio: oltre al fatto di dire cheil KM crea i modelli di conoscenza, si potrebbe anche citare come tali modelli vengono creati (step bystep), ma riteniamo che in questa sede non sia opportuno, essendo questi aspetti più interessanti inveceper chi dovrà poi utilizzare concretamente il modello. O ancora sulla destra delle immagini che vengonodi seguito riportate ci sono dei dettagli, che per il discorso appena effettuato decidiamo di tralasciare.

Immagine 9.4 Interfaccia di creazione di un modello Fonte: nostra elaborazione

Successivamente il modello così creato deve essere strutturato attraverso un indice con

una organizzazione ad albero, contenente tutte le voci connesse o comunque più correlate al modello di

riferimento. Nel nostro caso al modello di reperimento del materiale del corso e-learning

corrisponderanno le seguenti voci di indice: definizione del contesto, raccolta delle interviste, articoli

correlati. Al modello di sviluppo di nuovi prodotti assoceremo invece: analisi di mercato, analisi del ciclo

di vita dei prodotti, realizzazione proptotipi…400. Come si può notare dalla figura 10.4.

400 Nel periodo di stage mi sono occupata personalmente della realizzazione di alcuni modelli diconoscenza, accedendo al sistema tramite le diverse tipologie di utente.

A

STRUTTURA MODELLO

Reperimento materiale corso e Learning

Reperimento materiale corso e LearningNome

Destinatari Tutti i Knowledge executive

Annulla Salva

Dettagli m odello Libreria di schede

Descrizione

Stato Non pubblicato

Autore Paolo Rossi

Etichette

Nuova voce di indice Nuova scheda M odifica scheda Dettagli Pubblica Invia a Hom e Elim ina

Scegli iconaIcona

STRUTTURA MODELLONuova voce di indice Nuova scheda Modifica scheda Dettagli Pubblica Invia a Hom e Elim ina

Reperimento materiale corso e Learning

Contesto

Progetto

IntervisteNome

Descrizione

Scegli iconaIcona

Libreria di schede Dettagli indice

Tipologia Voce di indice

Etichette

Annulla Salva

Realizzazione

Interviste

Articoli

Immagine 10.4 Indice ad albero del modello di contenitore di conoscenza Fonte: nostraelaborazione

Si passa poi alla creazione della struttura del terzo livello di analisi: le “schede” di conoscenza. All’intero

delle schede saranno poi consultabili i contenuti veri e propri, (“la conoscenza iGuzzini”) che dovranno

essere inseriti successivamente dall’operatore401. La scheda si compone una parte fissa che viene

compilata dal KM e che è costituita dal nome scheda, dalla descrizione della stessa, da eventuali etichette

di riconoscimento, dall’operatore che dovrà compilarla,… e una parte dinamica che verrà riempita dal KE

e che consente di personalizzarla a seconda delle esigenze. La scheda riportata nell’immagine successiva

riguarda ad esempio l’intervista ad un architetto (Renzo Piano) che sicuramente si collocherà nell’ambito

della voce di indice precedentemente creata che è “interviste”. Allo stesso modo, se si considera il

modello di sviluppo di un nuovo prodotto e la voce di indice “analisi di mercato” sicuramente il KM non

potrà fare a meno di inserire la struttura delle schede: analisi della concorrenza, analisi dei prezzi. Sarà

poi il KE a personalizzare il tutto a seconda delle esigenze.

Immagine 11.4 Interfaccia creazione schede Fonte: nostraelaborazione

401Le schede possono essere: schede già esistenti che vengono importate all’interno del modello da una“libreria” precostituita (in questo caso accedo alla libreria e con un motore di ricerca trovo quello che miserve) oppure possono essere generate direttamente in fase di creazione del modello, qualora non ve nefossero di disponibili nella libreria. La libreria è un archivio contenente diverse strutture di schede.

M o d e l lo

Vo c e i n d i c e 1Vo c e i n d i c e 2

Vo c e d i i n d i c e 2 .1

Vo c e d i i n d i c e

Sc e g l i i c o n a

L ib r e r ia d i sch e d e

D e t t a g l i in d ice

Vo c e i n d i c e 2 .1

D a t i sch e d a So f t w a r e A l le g a t i e l in kModifica scheda

Descriz ione

Trascina gli oggetti in quest’area

Icona

I n t e r v i s t a a l l ’ a r c h i t e t t o

Sa lva e ch iu d iSa lva n e l la l ib r e r iaA n n u l l a

Nome

Cam po di testo libero Per l’inserimento di testo disposto in una sola riga (max 50 caratteri)

Area di testo libero Per l’inserimento di testo disposto in multiriga

Selezione m ultipla Per la selezione di più voci tram ite check

Selezione singola Per la selezione di una sola voce tram ite bottone

Menu a tendina Per la selezione di una voce da un m enù a scomparsa

Cam po num erico Per l’inserimento di una quantità tram ite scorrimento

Data Per l’inserimento di una data tram ite calendario

Sc e g l i i c o n a

Autore Paolo Rossi

Data Per l’inserimento di una data tram ite calendario

Data Per l’inserimento di una data tram ite calendario

Data Per l’inserimento di una data tram ite calendario

Sc h e d aTipologia

E t i c h e t t e

O p e r a t o r e

Si arriva quindi in questo modo alla struttura completa del modello, composta da indice e da relative

schede correlate. Ne vediamo una rappresentazione nell’immagine 12.4. Il modello viene quindi

pubblicato, ovvero reso accessibile a tutti i KE destinatari dello stesso402.

Il KM, però, non esaurisce qui le proprie funzioni: può infatti ricercare i modelli da lui creati, ricercare i

contenitori di conoscenza, modificare le schede,….. Si tratta in realtà di funzioni secondarie sulle quali

non intendiamo dilungarci. Andiamo ora ad analizzare il ruolo del knowledge executive.

Immagine 12.4 Interfaccia modello completo di conoscenza Fonte: nostra elaborazione

Il KE crea contenitori di conoscenza a partire dai modelli costituiti dal KM.

I contenitori di conoscenza altro non sono che la personalizzazione e la contestualizzazione dei modelli

generici precedentemente creati: il KE, attraverso una procedura guidata (wizard) che lo conduce passo

passo nelle operazioni che deve fare, va di fatto ad inserire elementi prettamente specifici della propria

realtà aziendale, che fanno pertanto configurare quella conoscenza come conoscenza “tipica” e

caratteristica iGuzzini.

Il primo step nella creazione di un contenitore di conoscenza è la scelta di un modello, uno tra quelli che

gli ha messo a disposizione il KM68. Come mostra la seguente figura.

402 Ci si potrebbe chiedere il motivo per cui la parte tecnica di creazione delle schede o della strutturagenerale non venga effettuata dalla società Nautes. La risposta è duplice: da un lato perché soltanto chista dentro i processi aziendali riesce ad articolare in modo corretto il modello di conoscenza; secondo poi

STRUTTURA M ODELLONuova voce d i ind ice Nuova scheda M odifica scheda Dettagli Pubblica Invia a Hom e Elim ina

Libreria di schede Dettagli scheda

...Testo libero

...Selezione singola Prova 1

prova2

Prova 3

Prova 4

Dati scheda

Software

urlLightcampus

Descrizione

Icona

Intervista all’architettoNom e

Scegli icona

Autore Paolo Rossi

SchedaTipologia

Etichette

O peratore

Reperimento m ateria le corso e Learning

Contesto

Progetto

Realizzazione

Interviste

Articoli

Interv ista all’architetto

Interv ista al progettista interno

Interv ista al progettista elettrico

Interv ista al comm ittente (indicazioni)

Immagine 13.4 Interfaccia scelta del modello Fonte: nostra elaborazione

Il secondo step del wizard prevede la personalizzazione del contenitore: esso non si chiamerà piùgenericamente “materiale corso e-learning”, ma ad esempio “corso e-learning del Sole 24 ore”, percontinuare con l’esempio sopra citato. La personalizzazione prevede anche la possibilità di inserireimmagini o ad esempio eliminare parti che non sono necessarie: il tutto per una migliorecontestualizzione dell’oggetto di conoscenza. Ne vediamo una rappresentazione nell’immagine 14.4.Nel terzo e nel quarto step del wizard si procede poi con una ulteriore personalizzazione del modello,andando dapprima a modificare l’indice, ovvero la struttura ad albero precedentemente creata e poi aprovvedere ad una corretta pianificazione delle schede, indicando ad esempio la data di consegna,l’operatore che la dovrà compilare, i suggerimenti nella compilazione, (è questa la su accennata partedinamica della scheda, che consente di adattarla alle specificità aziendali)….

per responsabilizzare l’azienda sull’utilizzo del software. Non dimentichiamo che l’intento è quello direndere l’azienda iGuzzini pienamente autonoma nell’utilizzo del software.68 A questo scopo è previsto un motore di ricerca dei modelli. Ricordiamo che il KE non può creare deimodelli ex novo: se non trova quello che si addice al suo caso invia richiesta al KM. La scelta del wizardper il KE scaturisce dal fatto che spesso i capi area hanno poco tempo e quindi poca pazienza per cercareall’interno del software le attività che devono compiere: è pertanto più utile, per ora, un sistema che liguidi nell’espletamento della loro attività.

Progetto illuminotecnico

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Modello 1 Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus.

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Descrizione: L'e-learning (traducibile come apprendimento elettronico) è un settore applicativo dell’IT che utilizza il complesso delle tecnologie Internet per distribuire online contenuti...

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CREAZIONE CONTENITORI

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Pianifica schede Pubblica il ContenitoreModifica indice

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CREAZIONE CONTENITORI

Materiale corso e learning Sole24OreMateriale corso e learning Sole24OreNome contenitore

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Contesto

Progetto

Realizzazione

Interviste

Articoli

Intervista all’architetto

Intervista al progettista interno

Intervista al progettista elettrico

Intervista al committente (indicazioni)

Immagine 14.4 Interfaccia personalizzazione del contenitore Fonte: nostra elaborazione

Con l’avanzamento negli step del wizard e quindi con la personalizzazione della struttura si viene aformare la vera e propria conoscenza iGuzzini. L’ultimo step del wizard previsto per il KE riguarda lapubblicazione del contenitore: il sistema riepiloga tutte le informazioni che sono state introdotte eprocede quindi poi con la pubblicazione dello stesso, divenendo così disponibile a tutti gli operatori per lacompilazione. Ovviamente il knowledge executive, considerando che è il soggetto deputato al publishingdella conoscenza, avrà a disposizione un’interfaccia di monitoraggio e ricerca dei contenitori diconoscenza per vedere “lo stato di avanzamento dei lavori”. In esso potrà controllare se le schede sonostate pubblicate, archiviate o semplicemente consegnate, dopodiché provvederà alla pubblicazione dellaconoscenza, facendola divenire di fatto conoscenza consultabile70.

Immagine 15.4 Interfaccia pubblicazione del contenitore Fonte: nostraelaborazione

Vediamo ora il ruolo dell’ultimo soggetto rimasto da analizzare: l’operatore. Come detto primal’operatore, a differenza degli altri due soggetti che lavorano sul client (ovvero sulla piattaforma iKnow),opera su web, occupandosi di fatto dell’inserimento del vero e proprio oggetto di conoscenza.Essenzialmente la parte web è suddivisa in due sezioni fondamentali: portfolio delivery, che è la partedove si collocano le schede che devono essere compilate e che sono state precedentemente immesse dalKE (area verde) e archivio conoscenza, che è invece la parte di conoscenza già archiviata, consolidata emessa a disposizione di tutti (area rossa).

70 Si vedrà meglio tra poco la parte relativa alla conoscenza archiviata. Anche per il KE le funzioni diiKnow non si limitano a questo: sarà per lui possibile ricercare contenitori (ricerca semplice oavanzata),….

Pubblica

CREAZIONE CO NTENITORI

Salva e chiudi Indietro

Scegli un M odello Personalizza il contenitore

M odifica indici Pianifica schede Pubblica il Contenitore

Intervista a Renzo Piano Operatore: Paolo Rossi Consegna : 24/12/2006

Intervista a Castiglioni Operatore: Paolo Rossi Consegna : 24/12/2006

Intervista al progettista elettrico Operatore: Paolo Rossi Consegna : 24/12/2006

Intervista al com m ittente Operatore: Paolo Rossi Consegna : 24/12/2006

Riepilogo schede

Annulla

M ateriale corso e learning Sole24OreInterviste

Articoli

Intervista a Renzo P iano

Intervista al progettista Castiglioni

Intervista al progettista elettrico

Intervista al com m ittente (indicazioni)

Immagine 16.4 Interfaccia lato web Fonte: nostraelaborazione

Nell’area portfolio delivery l’operatore si trova le schede da compilare, (precedentemente passate inmano a KM e KE), con evidenziate le priorità e le date di consegna. Qui di seguito vediamo l’interfacciache appare cliccando sopra l’icona “portfolio delivery”. Selezionando una di queste schede l’operatoreaccede alla parte che egli deve redigere, potendo anche vedere i suggerimenti che sono stati forniti per lacompilazione e quant’altro inserito precedentemente.La scheda da compilare si compone di tre parti: quella dedicata all’inserimento di dati, quella indirizzataall’apposizione di allegati e quella rivolta all’interfacciamento con altri software71. Come dimostra lasuccessiva immagine.

71 La parte di interfacciamento ad altri software deve essere ancora messa a punto; da notare come tuttociò che è stato teorizzato sia stato già fin da ora messo in pratica.

Immagine 17.4 Interfaccia compilazione scheda Fonte: nostra elaborazione

Da ultimo, dopo aver compilato la scheda, l’operatore dovrà consegnare la stessa al knowledge executivetramite il normale processo di pubblicazione; il KE a sua volta procede al controllo per l’archiviazione diconoscenza.Questi i ruoli dei knowledge workers e le funzionalità di iKnow. Rimane soltanto un ultima sezione datrattare: quella relativa alla consultazione della conoscenza archiviata.La consultazione della conoscenza archiviata può essere effettuata, come visto sopra, da qualsiasi utenteinterno all’azienda. Accedendo tramite una maschera di log in dove inserire username e password l’utenteha subito evidenziati gli ultimi inserimenti nell’archivio (collocati a sinistra) e le schede informative piùvisitate (collocate a destra), alle quali si può accedere immediatamente. Ogni scheda è composta da nome,data archiviazione e contenitore d’appartenenza.La figura seguente mostra l’interfaccia che appare all’utente consultatore di conoscenza.

Schema 18.4 Interfaccia consultazione conoscenza Fonte: nostraelaborazione

Accedendo poi ad un qualsiasi oggetto di conoscenza si apre l’interfaccia che appare in figura 20.4403. Lascheda si compone di una parte centrale per una visualizzazione e consultazione veloce delleinformazioni (troviamo infatti al centro l’immagine, il responsabile,…), a destra sono collocati i link atutti i software di KM presenti in azienda che potrebbero tornare utili all’utilizzatore e altri eventualicollegamenti che si ritiene possano servire per avere delucidazioni su quella particolare conoscenza.Infine sulla parte sinistra della scheda troviamo la struttura del contenitore cui essa appartiene.Contenitore dal quale è possibile accedere rapidamente, tramite un semplice click, a tutti i contenuti adesso appartenenti.

403 La disposizione dei contenuti all’interno del software è un concetto che verrà successivamente ripreso.

Schema 19.4 Interfaccia scheda di conoscenza Fonte: nostraelaborazione

Si possono inoltre effettuare ricerche trasversali tra le schede archiviate, cliccando sulle parole chiave(responsabile, etichette, operatore) che le caratterizzano: in questo modo vengono visualizzati tutti glioggetti di conoscenza che hanno la stessa parola chiave selezionata404. I risultati della ricerca possonoessere ulteriormente filtrati e ordinati secondo diversi criteri in quanto talvolta le liste selezionatepotrebbero essere molto lunghe. Inoltre un motore di ricerca interno permette di selezionare rapidamentetutta la conoscenza archiviata ma anche quella delivery.Questo è iKnow.E’ vero che la parte descritta in questo paragrafo è una parte piuttosto tecnica e forse talvolta di difficilecomprensione, ma è anche vero che è di fondamentale importanza per comprendere tutti gli aspettiprecedentemente trattati in merito alla strategia e al metodo Nautes, nonché per capire tutti gli elementiche verranno di seguito illustrati: dai benefici del sistema in questione, agli sviluppi futuri dello stesso.Procediamo ora con l’illustrazione degli ultimi e conclusivi aspetti del capitolo.

4.2.5 I benefici attesi dal nuovo sistema di knowledge warehousing

Prima di procedere con la trattazione del seguente paragrafo ci sembra utile fornire qualche breveinformazione in merito al fattore “costo” del progetto iKnow405. Dalla tabella 4.4 la prima impressione

404 La ricerca può essere effettuata anche secondo altri criteri: ad esempio cliccando su di un qualsiasicontenitore di conoscenza appare una lista di contenitori correlati, ossia di contenitori che derivano dallostesso modello. Se il contenitore riguarda quindi il corso e-learnig del sole 24 ore, i contenitori correlatisaranno costituiti da tutti gli altri corsi e-learning presenti in azienda.

405 In relazione a quanto descritto in precedenza si riporta nel seguito la parametrizzazione economicainerente la proposta, suddivisa per le seguenti voci di prezzo: Prezzi inerenti il supporto consulenziale perla durata del progetto, Prezzi inerenti la progettazione e lo sviluppo della Piattaforma, Prezzi inerenti

che si avverte è quella di una spesa piuttosto ingente per l’introduzione del software: certamente la cifrapresa di per sé potrebbe sembrare alta e ingiustificata per un progetto di gestione della conoscenza, mavogliamo citare a riguardo le parole dell’Ing. Mandozzi riferite al brief elettronico di prodotto, concepitoda Nautes per i Guzzini nel 2004. Il costo del brief eletteronico ammontava a circa 100.000 €. Alladomanda rivolta in merito al payback period, l’Ing. Mandozzi ha risposto che: “Il periodo di recuperodell’investimento è molto molto breve, seppur non quantificabile in modo preciso. Posso affermare concertezza che il costo è stato riottenuto con una sola linea di prodotto e in meno di un anno. Inoltre iltempo che il software ci permette di risparmiare lo possiamo investire in altro modo, andando di fatto adincrementare ulteriormente il profitto d’impresa”.

installazione, configurazione e tuning di Sistema, Prezzi inerenti servizi di formazione operativa, Prezziinerenti servizi di assistenza e manutenzione.

Abbiamo ragione di ritenere che lo stesso discorso possa essere perfettamente traslato ad iKnow: non

andiamo qui a stimare in quanto tempo verrà recuperato l’investimento406, ma siamo fermamente convinti

che l’applicativo consentirà di risolvere molte delle problematiche sopra esposte, convenendo di fatto

all’ottenimento di numerosi benefici. Senza considerare poi il fatto che al di là dei costi di progetto,

come d’altronde tutti gli altri strumenti di gestione della conoscenza introdotti da Nautes, non si tratta

tanto di mezzi optional per l’azienda, quanto di vere e proprie necessità, con uno scopo ed una missione

ben definiti. La loro introduzione pertanto si configura come un obbligo, facendo passare in secondo

piano il fattore costo appena citato.

Qui di seguito riportiamo la proposta economica Nautes.

PREZZO(euro)AMBITO

UNA TANTUM ANNUALESupporto consulenziale per la durata

del progetto (Sett. 07 – Genn 08)18.700,00

Progettazione e sviluppo dellaPiattaforma Software

42.730,00

Installazione, Configurazione e Tuningdi Sistema

1.000,00

Servizi di formazione operativa 1.850,00

Servizi di assistenza e manutenzione 5.500,00

TOTALE 64.280,00 5.500,00

Tabella 4.4 Proposta economica Nautes Fonte: nostra

elaborazione

Per essa valgono le seguenti considerazioni.

Il lavoro di supporto consulenziale per la durata del progetto (5 mesi) vedrà coinvolte figure di tipoConsultant e Professional; il prezzo è stato calcolato considerando due mesi /uomo suddivisi inpercentuale uguale per le attività così come indicate nella prima fase del progetto: incontri e interviste almanagement, raccolta informazioni attività e documentazione, studio oggetti da modellizzare, validazionedei modelli, supporto operativo a regime. Per la progettazione e sviluppo della piattaforma definitisecondo le specifiche riportate in fase due sono state stimate giornate di lavoro distribuite per il livelloprofessionale coinvolto e per voce di dettaglio. Sono state previste cinque giornate di formazioneoperativa da parte di personale Professional sull’utilizzo del sistema onsite presso la iGuzzini. I servizi diassistenza e manutenzione sono considerati inclusi per la durata di sei mesi dall’installazione del SWpresso il cliente da parte di Nautes. Fatta eccezione per i primi sei mesi a decorrere dall’installazione dei

406 Anche se sarebbe interessante stimare il periodo di recupero dell’investimento, si tratta di un’analisiche esula dal nostro lavoro. Un altro aspetto ci preme ricordare in quest’ambito: il mio contributo è statopraticamente minimo nell’elaborazione dei costi del progetto, non avendo l’esperienza per poter deciderei prezzi da applicare. Soltanto con una profonda conoscenza degli strumenti che si andranno ad installaresi può capire anche quale prezzo far pagare al cliente.

moduli sviluppati, il servizio di manutenzione avrà un canone ricorsivo annuo fissato come da tabellapricing riassuntiva407.Ad oggi, gli uffici della iGuzzini illuminazione utilizzano applicativi diversificati dotati di database

spesso ridondanti e non sempre comunicanti tra loro, che danno come risultato finale una gestione non

coordinata né integrata della conoscenza aziendale. IKnow ha l’obiettivo di risolvere questi problemi e di

permettere all’azienda di lavorare in modo migliore, for a better light408.

Dopo questa breve illustrazione sulla dinamica dei costi passiamo ora in rassegna i potenziali benefici cheil sistema sarà in grado di apportare all’azienda. Si parla di benefici potenziali poiché, essendo iKnowuno strumento non ancora attivo ed implementato, non si possono di fatto riscontrare concretamente ivantaggi che esso è in grado di offrire. Riprendendo la classificazione riportata nel secondo capitolo(benefici economici, tecnologici ed organizzativi) abbiamo ragione di ritenere che409: iKnow consentiràdi ottenere innanzitutto enormi risparmi di tempo e denaro grazie ad un’oculata gestione della conoscenzaad oggi esistente: diffondere le conoscenze all’interno di tutta l’organizzazione avendo un accesso piùfacile e veloce alle stesse; acquisire maggiore capacità di conservazione delle conoscenze interessate, chedivengono così meno soggette alle vicende dell’operatore e meno soggette a usura fisica; otteneremaggiore flessibilità di impiego per la possibilità di modificare più agevolmente le conoscenze inquestione e infine avere maggiore trasferibilità all’esterno, utilizzando dei linguaggi adatti sono tuttielementi che consentono di fatto di ottenere significativi vantaggi da un punto di vista economico410.Per ciò che concerne, invece, i vantaggi che vengono addotti dall’introduzione della tecnologia iKnow411

prendiamo in considerazione due diversi punti di vista. Per il dipendente si tratta di beneficiare di

un’interfaccia di lavoro migliore che ha un unico punto di accesso a informazioni e strumenti, di disporre

di un linguaggio comprensibile ed intuitivo per accedere sia alla conoscenza storica che a quella in

tempo reale direttamente utilizzabili, di servirsi di un sistema personalizzato e dinamico che risponde alle

esigenze delle diverse categorie di utente. Si tratta anche di trarre profitto da una maggiore collaborazione

perché la comunicazione è più veloce, efficiente e diffusa, di conseguire una maggiore produttività

perché le informazioni sono quelle rilevanti, di conquistare una maggiore facilità di amministrare e

autoamministrarsi in virtù della chiarezza e della semplicità delle informazioni a disposizione e infine di

avere un’informazione integrata perché condivisibile con altre applicazioni. Per citare un esempio412:

accedendo al programma iKnow l’individuo ha di fatto l'ingresso a tutta la conoscenza presente in

azienda, non soltanto quella inerente lo specifico programma, ma anche quella catalogata all’interno degli

407 Modalità di pagamento: 30% al momento della sottoscrizione dell’offerta, il 30% a novembre ‘07,20% a dicembre ‘07 e il restante 20% a gennaio ’08, a conclusione lavori. L’offerta è stata accettata dalcliente.408 Per una luce migliore: slogan iGuzzini per una delle loro campagne promozionali.409 I benefici che vengono di seguito citati consentiranno di fatto di risolvere le problematiche sopra citatee di raggiungere gli obiettivi stabiliti per iKnow.410 E’ stato già detto nel secondo capitolo come tali vantaggi siano più da analizzare caso per caso chenon in termini generali ed è stato già ribadito come non è questa la sede che consente di calcolare ilrisparmio di costi. Sta di fatto che gli esempi di aziende che hanno ottenuto un significativo risparmioeconomico è numeroso e iGuzzini con iKnow non si sottrae a questo meccanismo. Qualora si decida diimplementare un sistema di KM e qualora tale implementazione sia corretta, i benefici in termini dirisparmio di costi sono pressoché certi.411 Per approfondimenti sulle tecnologie di KM si veda § 2.2.3.412 Riportiamo in quest’ambito tutti i potenziali benefici che iKnow sarà in grado di apportare. Sarebbeinteressante per ognuno di essi fornire un esempio chiarificatore, al fine di comprendere meglio il realevantaggio che verrà fornito. Per motivi di spazio ma anche di monotonicità del lavoro abbiamo deciso dielencare un esempio per ogni categoria di benefici. In fondo si tratta di aspetti che riprenderebbero quelloche è stato già trattato nel precedente paragrafo.

altri software come ad esempio il brief elettronico o il CRM. Grazie pertanto all’ interfacciamento

previsto dal nostro applicativo che consente di avere un unico “portale”, invece che molti si può ottenere

anche un continuo miglioramento nel suo utilizzo, velocizzando di fatto i tempi di svolgimento delle

proprie attività.

Anche per l’azienda i benefici non sono meno rilevanti: oltre ai “classici” vantaggi di un migliore

“raccolto” dagli asset di conoscenza in termini di condivisione e riutilizzo, miglioramento della memoria

istituzionale e del mantenimento degli asset corporate, maggiore capacità di controllo sui processi di

creazione, archiviazione, accesso e uso dell’informazione, iKnow presenta anche altre caratteristiche che

consentono di raggiungere significativi risultati. E’ un sistema scalabile e pertanto supporta architetture

con più server distribuiti; alleggerisce le funzioni aziendali da una serie di richieste di elaborazioni

standard per la produzione di report; sgrava gli altri sistemi informativi da continue richieste di dati.

Inoltre la tempestiva disponibilità delle informazioni consente di avere maggiore efficacia ed efficienza di

gestione413. Basti pensare a come sarà di fondamentale importanza per l’azienda disporre di un sistema

all’interno del quale possa essere contenuta tutta la conoscenza iGuzzini: non più perdite di tempo nella

ricerca dell’interessato che ci deve fornire l’informazione, non più migliaia di documenti presenti sulla

scrivania che creano confusione ed errori, non più “momenti morti” per la mancanza di un file per

procedere con il lavoro.

Rimangono ora da analizzare i benefici in termini organizzativi che iKnow sarà in grado di apportare:

- Miglioramento della qualità del prodotto e quindi delle fasi di progettazione e sviluppo dello stesso. Già

il brief elettronico, secondo quanto sostiene l’Ing. Mandozzi, aveva consentito di migliorare

notevolmente la qualità del prodotto, mettendo di fatto a disposizione un’eccellente conoscenza

metodologica ed organizzativa. Necessariamente iKnow consentirà di ottenere il medesimo risultato:

catturando i contributi del commerciale, del marketing, della progettazione e di tutte le altre funzioni

aziendali, catalogando gli stessi in maniera razionale e lineare e quindi favorendo l’accesso ad una nuova

conoscenza “di qualità”, il progetto di creazione del nuovo prodotto avanzerà in modo più rapido ed

efficiente grazie appunto alla disponibilità delle “informazioni giuste al momento e nel posto giusto”.

Basti pensare all’area marketing e progettazione iGuzzini: quale miglior facilitatore di iKnow? I problemi

insiti in queste aree sono molteplici: dalla inefficiente comunicazione, alle incertezze nello sviluppo del

prodotto, dalle confusioni documentali alle ridondanze degli strumenti esistenti. Il nuovo applicativo di

knowledge warehousing consentirà a tutta l’organizzazione di lavorare meglio;

- Miglioramento della pianificazione aziendale. Per una corretta pianificazione aziendale le informazioni

devono essere condivise ai diversi livelli e l’autorità decisionale va ampiamente distribuita. IKnow,

offrendo un accesso sistematico ai dati aziendali, è strumento di eccellenza per il supporto al processo

decisionale: le informazioni di un software di knowledge warehouse sono pertanto fonti preziose da cui

attingere nel processo di pianificazione;

413 Iknow è un sistema che per ora è accessibile soltanto ad utenti interni all’azienda. Nonostante questoperò esso potrà consentire significativi miglioramenti delle relazioni esterne all’impresa grazie ad unaeccellente catalogazione delle informazioni aziendali.

- “Abolizione” dei processi di change management: come più volte ribadito nel corso del lavoro

l’approccio Nautes, ma in particolar modo iKnow (che si tratta di un sistema che coinvolge tutta

l’organizzazione) non implica cambiamenti organizzativi. Certo è che si tratterà di introdurre nuovi

compiti e nuove competenze nell’utilizzo del sistema, sicuramente si tratterà di effettuare piccoli

cambiamenti per arginare le difficoltà che si potrebbero presentare, ma sta di fatto che il nostro intento è

quello di impattare il meno possibile sull’assetto d’impresa, onde evitare che lo strumento venga

“rigettato” dall’organizzazione. Non a caso anche lo stesso software è molto semplice da utilizzare414: le

giornate di formazione previste sono soltanto cinque e inoltre non ci sono particolari complicanze

tecnologiche che richiedono cambiamenti organizzativi;

- Sviluppo di un insieme di altri elementi che potrebbero essere così riassunti: differenziazione dai

competitors tramite uno strumento che consente di avere nei loro confronti un forte vantaggio

competitivo, creazione di un nuovo canale di comunicazione interna, utilità nel tempo dell’applicativo in

quanto personalizzabile e modificabile; velocizzazione dell'inserimento di nuovi collaboratori che sono

capaci di accedere fin da subito a tutte le informazioni di cui necessitano. Basti pensare al caso in cui un

dirigente lascia il suo posto di lavoro. Se egli non ha depositato tutti i propri saperi in azienda,

sicuramente il suo successore non avrà “vita facile” nel proseguire l’attività che gli è stata affidata;

qualora invece abbia provveduto a documentare tutte le proprie mansioni e tutti i propri saperi il nuovo

ingresso dirigenziale sarà sicuramente più agevole.

- Avviare processi di co-progettazione con gli utenti, in cui le persone che dovranno operativamente

utilizzare il sistema siano coinvolte come parte attiva della progettazione. Questa modalità consente di

individuare una soluzione che sia quanto più possibile vissuta come uno strumento di lavoro necessario e

imprescindibile, riducendo il rischio di rifiuto da parte delle persone. La sfida in questo caso è di fare in

modo che venga progettato uno strumento molto vicino alle pratiche di lavoro attuali ed auspicate delle

persone, riducendo la necessità di particolari meccanismi incentivanti per l'utilizzo. Progettare

congiuntamente le specifiche tecniche ed organizzative della soluzione di knowledge management

significa che: a fianco di uno strumento tecnico è necessario prevedere meccanismi per la sua gestione,

alimentazione e sviluppo che tengano conto del contesto organizzativo nel quale la soluzione si colloca,

prevedendo la definizione di figure organizzative e processi ad hoc.

A testimonianza che la molteplicità dei benefici che abbiamo appena elencato non sia soltanto una

“descrizione di un bel sogno che non si avvera”, citiamo alcuni esempi che testimoniano come un sistema

di knowledge warehouse, ma in generale un qualsiasi sistema di KM correttamente implementato,

possano condurre a risultati eccellenti e all’ottenimento di significativi vantaggi per l’azienda415. La

Boehringer Ingelheim, ha inserito di recente il sistema Google GSA: l’impresa impiegava il 15% del suo

tempo lavorativo nella ricerca dei documenti e delle informazioni necessarie per l’espletamento delle sue

414 Il fatto che lo strumento sia di facile utilizzo è stato sperimentato proprio su di me, persona esterna epoco pratica di sistemi KM. Entrare nel meccanismo è semplicissimo e si imparano fin da subito anchetutte le particolarità del sistema.415 Gli esempi sono tratti da: http://www.webb.it/event/eventview/5767/1/286,232/

attività, con una conseguente perdita di efficienza e di produttività da parte degli individui. Investire

risorse per la risoluzione di questa problematica ha portato notevoli benefici:

- Miglioramento delle performance;

- Risparmio di tempi e costi;

- Semplificazione dei processi;

- Miglioramento della qualità interna ed esterna;

- Sviluppo della conoscenza aziendale.

Anche il progetto MILK ( Multimedia Interaction for Learning and Knowing), progetto a livello europeo

che oltre alla gestione documentale si propone di attivare la comunicazione tra persone che si collocano

in luoghi e tempi diversi, consentirà alle aziende che decideranno di avvalersene di:

- Progettare e realizzare una soluzione di knowledge management che supporti il lavoro dentro e fuori

l’organizzazione;

- Ridurre tempi di lavoro e i costi ad essi connessi;- Conseguire risultati migliori rispetto al passato in termini di quantità e qualità.Da questi esempi si coglie come i benefici di un sistema di KM416 siano pressoché garantiti quando ilprogetto è ben concepito e ben utilizzato da parte dell’organizzazione: anche iKnow, pertanto, non puòessere avverso a questo destino, considerando la progettazione effettuata e la realtà all’interno della qualesi andrà ad inserire.Ovviamente iKnow non è un sistema perfetto e infallibile: sicuramente l’idea di una panacea alladefinitiva risoluzione dei problemi organizzativi è bel lontana dall’essere creata e di certo non può essereravvisata nel software di cui stiamo parlando. Basti pensare che durante la fase di revisione del prototipoad oggi esistente abbiamo già riscontrato la presenza di alcuni errori e di alcune migliorie che potrebberoessere effettuate417. Ne citiamo qui di seguito alcuni:- Nella fase di creazione delle schede da parte del knowledge manager, esse non possono essere

contemporaneamente salvate nella libreria e nel modello che si sta delineando. Sarebbe utile, pertanto,

poter apportare questa modifica che consenta di evitare inutili duplicazioni di attività;

- Alcuni campi obbligatori del sistema (come ad esempio la data di consegna, l’indicazione

dell’operatore), non sono funzionanti, consentendo di fatto la prosecuzione del lavoro anche senza una

loro compilazione;

- Nell’area della conoscenza archiviata, quando si decide di “filtrare” un particolare contenuto, non tutti i

criteri di filtraggio funzionano (ad esempio quando si accede alla scheda “concorrenti di riferimento” e si

sceglie di andare a consultare tutte le altre schede che come quella sono state create nell’ultimo mese, il

programma non risponde)418;

416 La sigla KM assume in questa parte conclusiva il suo significato originario di knowledgemanagement.417 Mi sono occupata in prima persona della fase di testing del software. Accedendo con le diversetipologie di utente avevo il compito di evidenziare eventuali anomalie che si verificavano durantel’utilizzo dello stesso ed apportarvi quindi correzione. Si tratta di errori piuttosto tecnici, ma a titoloesemplificativo ne riportiamo alcuni che con un’adeguata lettura del precedente paragrafo possono esserefacilmente compresi.418 Ricordiamo in quest’ambito come i pochi contenuti inseriti nel software non derivano da un processodi analisi e modellizzazione della conoscenza aziendale, ma bensì da alcune prove che abbiamo effettuatoper vedere la funzionalità del prototipo.

- Al momento della creazione di un nuovo utente, qualora si verifichi l’ipotesi di inserire una username

già usata, il sistema annulla automaticamente tutto ciò che è stato creato fino a quel momento, non

consentendo invece la sola modifica della password;

- La funzione di invio newsletter non sempre è attiva e pertanto non sempre è possibile contattare gli altri

utilizzatori del software;

- Rimane da perfezionare tutta la parte relativa al collegamento con gli altri applicativi presenti in

azienda419.

A queste problematiche si sta ponendo risoluzione. Ciò che ci preme sottolineare a conclusione di questo

paragrafo è che il sistema sicuramente presenterà in fase di introduzione delle difficoltà da superare e

degli ostacoli ad oggi non previsti (sia per Nautes che per iGuzzini); ma tutto lascia sperare che la

situazione evolva per il meglio, garantendo una rapida quanto efficace introduzione del software.

Questa visione particolarmente ottimistica della situazione scaturisce dalla considerazione di alcuni

elementi postivi che agevolano enormemente l’ingresso di iKnow. Innanzitutto l’azienda con cui si sta

lavorando (iGuzzini) è una realtà molto propensa all’innovazione tecnologica: abbiamo già citato come

sia una delle poche imprese marchigiane che si sta dotando di strumenti di KM evoluti. Ciò fa presumere

che non ci saranno particolari difficoltà di “accoglienza” da parte dei manager iGuzzini: iKnow entra in

un terreno già ampiamente collaudato dove problematiche di non condivisione della conoscenza per la

perdita di potere o di reticenza all’uso di nuove tecnologie costituiscono questioni superate ormai da

tempo. Tutto questo è rafforzato dal fatto che iKnow entra in azienda per rispondere a gravi

problematiche che impediscono di lavorare bene: l’idea che un software possa consentire di risolverle è

già di per sé un buon biglietto da visita per l’accettazione del sistema. L’unico “timore” che i manager

iGuzzini hanno manifestato al momento della presentazione di iKnow è stato quello “Di non avere tempo

per l’espletamento delle attività richieste a ciascun ruolo previsto dal sistema”. In realtà si tratta di una

problematica di poco conto che verrà immediatamente e naturalmente risolta al momento di utilizzo

pratico dell’applicativo: i manager realizzeranno fin da subito che il tempo richiesto per il mantenimento

di iKnow è praticamente minimo rispetto al tempo che lo stesso consentirà di risparmiare.

Un altro elemento di successo di iKnow concerne il fatto che esso scavalca il rischio, come citato nel

secondo capitolo, di introdurre un approccio parziale al KM: come verrà in seguito chiarito e come in

parte è stato già detto nell’elencazione dei benefici di iKnow, esso non è un semplice archivio di

conoscenza da utilizzare in modo sterile e del tutto spersonalizzato; inutile ribadire ulteriormente questo

concetto. Il fatto che sia orientato al lungo periodo poi, consente una sua integrazione nelle strategie

d’azienda, con conseguente utilizzazione a supporto dei processi decisionali. Avere insomma una “banca

dati” unificata, dove poter reperire in modo semplice e veloce tutte le informazioni di cui si necessita

consentirà ad iKnow di ottenere e far ottenere successo.

419 Mentre per ciò che riguarda il funzionamento del software abbiamo per esso mostrato nel precedenteparagrafo le immagini relative poiché anche se a livello primitivo esso presenta una struttura ben definitache rimarrà pressoché uguale nel corso del tempo, per la parte dedicata al collegamento con gli altriapplicativi, essendo ancora in fase di revisione, abbiamo preferito non mostrare alcuna immagine.

4.2.6 Alcuni segreti da svelare

In questo paragrafo prenderemo in considerazione gli sviluppi futuri di iKnow nonchè le sue“applicazioni trasversali”, in coerenza con l’approccio delineato nel terzo capitolo. Occorre fare però unapremessa prima di iniziare con la trattazione degli aspetti appena citati: l’evoluzione di iKnow è frutto diuna nostra elaborazione sulla base delle esigenze future dell’azienda e della situazione che ad oggi èpresumibile prevedere420. Considerando però la dinamicità e la rapidità con cui evolvono contesti etecnologie, molto probabilmente gli aspetti che vengono qui citati potrebbero essere facilmente disattesiin futuro, magari per il venir meno di alcune variabili che ad oggi sono state considerate importanti421.Elenchiamo qui di seguito alcuni miglioramenti che abbiamo previsto per iKnow negli anni a venire:- Essendo uno strumento di condivisione della conoscenza abbiamo immaginato che possa essere utile

consentire l’accesso allo stesso anche a filiali estere iGuzzini e non soltanto quindi a individui interni

all’azienda. Siamo fermamente convinti che una buona idea possa provenire da chiunque

nell’organizzazione, ma soprattutto che ciascuno di noi sia detentore di preziose informazioni che occorre

saper sfruttare: perché non arricchire, quindi, iKnow delle conoscenze depositate nelle filali estere? Per

l’attivazione di questo processo si necessiterà pertanto la traduzione multilingua del software e

l’introduzione di un sistema che consenta di traslare immediatamente alla lingua italiana quanto inserito

ad esempio da iGuzzini Detushland e viceversa422;

- L’interfacciamento con altri software è sicuramente uno degli aspetti distintivi di iKnow: esso consente

di consultare, a partire da una qualsiasi interfaccia dello stesso applicativo, tutta la conoscenza presente

negli altri sistemi di KM. Si pensi però alla possibilità che potrà essere fornita agli utenti, non soltanto di

consultare le conoscenze, ma anche di trasferire e spostare le stesse da un sistema all’altro. Pertanto: se ad

esempio sono nell’interfaccia di consultazione di una scheda e necessito di accedere ad un’informazione

contenuta nel sistema CRM, ad oggi posso entrare e visitare la stessa conoscenza tramite le funzionalità

esistenti e previste per iKnow. Con il nuovo applicativo si potrà invece “esportare” tale conoscenza (e

non soltanto consultarla) all’interno della scheda che si stava osservando, in modo tale che ad una

successiva rivisitazione della stessa l’utente non necessiti di ricercare di nuovo l’informazione nel sistema

CRM. Anche qualora non si abbia necessità di questa particolare conoscenza l’utilizzatore trova nella

scheda un link che potrebbe essere comunque d’aiuto;

- Dotare i motori di ricerca presenti in iKnow (ad esempio quello per la ricerca della conoscenza

archiviata, o quello per la ricerca delle schede, dei contenitori o dei modelli,…) di un sistema di web

semantico così come descritto nel terzo capitolo. Questo sistema consentirebbe l’individuazione più

immediata e mirata della conoscenza che si sta cercando. Se ad esempio si necessita avere informazioni in

merito all’illuminazione di strade basterà digitare letteralmente nel motore di ricerca il termine

420 Ci si potrebbe chiedere come mai siano presenti già degli sviluppi futuri del software che però nonvengono applicati. Non si tratta di una contraddizione: ad oggi le esigenze dell’azienda non richiedonoquesti tipi di evoluzioni, che pertanto se introdotte sarebbero praticamente inutilizzate; abbiamocomunque deciso di avanzare delle proposte per avere un comportamento proattivo e propostivo qualorasi manifestasse la necessità di apportare modifiche.421 Proprio per questo motivo non dedichiamo molto spazio a questa sezione.422 Il sistema viene richiesto per velocizzare la circolazione delle informazioni. Basti pensare a quantotempo si perderebbe se la sede centrale di Recanati dovesse tradurre tutto ciò che gli deriva dalla filialetedesca.

“illuminazione di strade”. Ad oggi invece il sistema non è così agevole: “l’illuminazione di strade” si

trova attualmente catalogata sotto la voce di conoscenza “illuminazione esterna”; pertanto se non si digita

la parola “esterno” non si accederà neanche alla conoscenza che si vuole trovare;

- Sarebbe poi interessante introdurre nel sistema di knowledge warehouse anche un sistema di data

mining: esso consentirebbe di “scavare” nei dati per svelare, attraverso algoritmi statistici, le relazioni che

esistono tra gli stessi in modo tale da riuscire a costruire una visione più completa ed esplicativa del

proprio business. Un esempio potrebbe consentire di comprendere meglio quanto appena detto: un

sistema di data mining può individuare gruppi di clientela con attitudini, gusti e comportamenti simili.

Inutile ribadire come l’identificazione e lo studio di questi rappresenterebbe un valido supporto per

definire strategie commerciali, di prodotto e promozionali;

- Includere applicazioni analitiche che offrano funzionalità predefinite per misurare, da vari punti di vista,

l’andamento del business e l’efficacia delle azioni scaturite dal processo decisionale (ad esempio

introdurre un insieme di indicatori calcolati automaticamente che poi vengono utilizzati per lo

svolgimento di azioni di tipo operativo);

- Velocizzare l’attività degli utilizzatori attraverso alcuni accorgimenti quali: inserimento di uno schema

riassuntivo della conoscenza contenuta nell’archivio, in modo tale che colui che vi accede riesca ad

analizzare fin da subito se si tratta di ciò che sta effettivamente cercando o meno; eliminazione graduale

della procedura guidata (wizard) prevista per il KE, per consentire uno svolgimento più rapido delle

proprie funzioni (ovviamente ciò va fatto con il trascorrere del tempo e con l’incrementare della

manualità con il sistema, altrimenti si rischia di ottenere l’effetto contrario), si potrebbe poi permettere di

inserire contenuti (knowledge asset) anche ad altri utenti che non sono operatori, anche in questo caso per

rendere più flessibile il sistema423;

Prima di passare all’analisi del secondo aspetto sopra citato ci preme fare richiamo ad un argomento ad

oggi molto sentito: i sistemi open source. Ormai da tempo sono scaricabili da internet in maniera

totalmente gratuita programmi di KM di vario tipo. Viene pertanto da chiedersi: perché spendere 64.000

€ per un software di knowledge warehouse quando è possibile prenderlo da internet ed utilizzarlo a costo

zero? Quello che vogliamo sottolineare in quest’ambito è che i sistemi open source hanno delle finalità

totalmente differenti rispetto ad un sistema di KM che viene progettato ex novo da una società di

423 Da notare come queste evoluzioni (in coerenza con quanto detto prima), non possono essere introdottefin da subito. Genererebbero confusione e scarsa ”complicità” con il sistema. Per adesso è stato infattiprevisto che la modalità migliore di operare è quella della suddivisione in tre livelli (i tre livelli sopracitati), che prevede la ripartizione di compiti e ruoli: in questo modo si consente di approcciare alsoftware in modo graduale. Per il futuro, oltre agli aspetti appena citati, sarebbe interessante creare unapplicativo di knowledge warehouse predefinito, ovvero contenente informazioni standard, giàpredisposte, che riguardano funzioni caratteristiche d’impresa: come ad esempio per gli acquisti sipotrebbe prevedere la voce fatture in sospeso, grado adempimento fornitore, tempi di consegna. Per levendite ad esempio il fatturato per cliente, ordini evasi ed inevasi. Per la gestione merci i resi a fornitore,i margini di acquisto… Si tratta di informazioni che tutte le aziende usano e che spesso necessitano diessere catalogate: perché non creare a priori queste informazioni? In questo modo si potrebbe dar vita adun sistema utile per una molteplicità di aziende, in quanto contenente informazioni già predisposte.Quello che rimarrebbe da fare è infatti soltanto la fase di personalizzazione del software con leconoscenze tipiche d’impresa.

consulenza. Questo perché i primi, essendo “confezionati”, contengono sistemi praticamente standard ai

quali l’azienda si deve adattare; il lavoro che invece viene svolto da una società di KM mira a valorizzare

le conoscenze specifiche dell’impresa cliente, costruendo una soluzione ad hoc e non standardizzata. E’

difficile trovare imprese con lo stesso sistema di KM. Non vogliamo però in questa sede denigrare i

sistemi open source, quanto sottolineare che tutto dipende dalle finalità che l’impresa deve soddisfare: a

seconda delle sue esigenze andranno a pennello dei sistemi ad hoc di KM oppure saranno sufficienti delle

soluzioni standard tipiche dei sistemi open source. Ad esempio se l’impresa ha bisogno di un semplice

archivio dati, non ha senso rivolgersi ad una società di consulenza, andranno benissimo le soluzioni che

si trovano in mercato. Viceversa qualora si tratti di risolvere problematiche complesse e di diagnosticare

la risposta più giusta a queste problematiche molto probabilmente non sarà sufficiente un semplice

archivio dati. Tutto dipende da ciò che si deve fare.

Andiamo ora ad analizzare le potenzialità nascoste di iKnow, in coerenza con quanto espresso nel terzocapitolo. Il nuovo applicativo di cui abbiamo fin qui discusso non può dimenticarsi che KM significaanche qualcosa in più rispetto all’attività di gestione della conoscenza. Abbiamo citato precedentementecome negli odierni contesti competitivi occorra saper sfruttare tutti gli aspetti che un sistema mette adisposizione, non soltanto quelli che sono stati progettati e quelli per cui il software è nato, ma anchequelli che sono più celati, non facili da vedere ma che potrebbero apportare numerosi benefici.Questo discorso dovrebbe essere applicato alla totalità dei sistemi di KM che vengono creati, anche perquelli che come iKnow sembrano essere ben progettati, validi e pertanto buoni sistemi già di per sè. Nona caso lo stesso approccio Nautes nell’elaborazione dei propri applicativi prevede sempre e comunque unsurplus, un valore aggiunto che non fa configurare i propri sistemi di KM soltanto come strumenti digestione della conoscenza, ma bensì come metodi per ottenere vantaggi non inizialmente previsti. Il briefelettronico di prodotto ne è un esempio evidente: nato come facilitatore dell’attività dell’ufficiomarketing e progettazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, esso si è arricchito nel corso del tempo distrumenti quali ad esempio l’elaborazione del budget delle vendite, la scheda concept di prodotto, letecniche di fissazione del prezzo,…. Tutto ciò ha consentito al brief elettronico di svolgere mansioni noninizialmente previste, decretando di fatto la nascita di un vero e proprio strumento di apprendimento e diinnovazione, così come esposto nel terzo capitolo. La stessa cosa è avvenuta per il già citatoLigthcampus: da piattaforma e-learning esso è divenuto strumento di marketing strategico424.Iknow non sfugge a questo meccanismo: partendo dal presupposto come sostiene Han Fei che “Ildifficile non è sapere, ma saper fare uso di ciò che si sa”, occorre far emergere di iKnow “una veste” chefin’ora non abbiamo considerato. Riprendendo la tassonomia proposta nel terzo capitolo occorre fare unaprima constatazione: l’utilizzo dell’applicativo è consentito, per ora, soltanto a personale internoall’organizzazione, pertanto è difficile inquadrare lo stesso come strumento di marketing o di legame conil territorio, essendo invece più coerente un suo utilizzo mezzo di apprendimento e di sviluppodell’innovazione e della creatività. Ovviamente nulla vieta di considerare iKnow come mezzo dipromozione dell’immagine aziendale, ad esempio: sta di fatto però che di solito il meccanismo del viralmarketing si attiva da parte di personale esterno all’azienda che venendo a contatto con i prodotti e isistemi della stessa ne rimane colpito e inizia un forte processo di “passaparola” che contribuisce apromuovere i prodotti e la cultura della stessa impresa. Ovviamente questo meccanismo potrebbe scattareanche con iKnow e con il personale interno all’azienda, anche se riteniamo sia poco probabile. In fondoquesto automatismo, qualora funzioni, sarebbe già dovuto partire con il berif elettronico o con tutti glialtri sistemi di KM presenti in azienda.Per ciò che riguarda, invece, il legame con il territorio si potrà parlare in questi termini di iKnow soltantoquando esso diverrà accessibile anche a filiali estere: si attiverà in questo modo un network di

424 Non intendiamo dilungarci ulteriormente sul brief elettronico di prodotto, anche se gli aspetti datrattare sarebbero moltissimi. Lasciamo invece spazio ad iKnow, elemento fondamentale del presenteelaborato.

conoscenze che transitando da un luogo all’altro permetteranno di legare intrinsecamente tutte le unitàorganizzative d’impresa425.Ci concentriamo pertanto ora sull’analisi di iKnow come strumento di apprendimento e come mezzo disviluppo dell’innovazione e della creatività.Come già ribadito nel terzo capitolo la condivisione della conoscenza rappresenta l’elemento cardine ed

unificatore che lega apprendimento e KM: da un lato, infatti, non si può apprendere ed arricchire il

proprio bagaglio di saperi se gli individui non mettono a disposizione la loro conoscenza, dall’altro non si

può parlare di KM se lo scopo ultimo dello stesso non è quello della messa in comune delle informazioni

di cui si dispone. IKnow è uno strumento di knowledge warehouse che consente di attivare questo

meccanismo: attraverso la formalizzazione della conoscenza, il suo inserimento in una struttura reticolare

accessibile a tutta l'organizzazione gli individui sono in grado di apprendere mentre usano il software,

contribuendo alla creazione di quella che è stata definita learning organization426. Citiamo un esempio

chiarificatore: quando il KE controlla le schede che sono state inserite dall’operatore, e pertanto utilizza il

software per le attività che gli sono state designate, egli indubbiamente verrà a conoscenza anche del

contenuto di queste schede, non potendo di fatto “baipassarle” in modo passivo. In questo modo egli

arricchisce la propria base di saperi e autoalimenta un processo di formazione su contenuti a lui anche

ignoti. O ancora si potrebbe verificare anche la seguente situazione: quando un qualsiasi utente accede ad

iKnow per cercare un’informazione, magari vengono fuori delle interfacce che non sono propriamente

pertinenti a ciò che si stava cercando. Nonostante ciò, l’utente può immagazzinare e venire a conoscenza

del contenuto che si è presentato, nella convinzione che questo potrebbe magari tornare utile in altre

circostanze427. Più di frequente si verifica invece un’altra ipotesi: colui che cerca un’informazione e

riesce immediatamente a trovarla, sicuramente studierà a fondo la stessa e si applicherà per una sua

comprensione al fine di metterla in atto nelle attività che deve svolgere. Se ad esempio un product

manager iGuzzini sta sviluppando un nuovo prodotto per l’illuminazione di un centro commerciale può

avvalersi delle conoscenze messe a disposizione da iKnow: questo processo conduce in modo del tutto

naturale ad apprendere come si illumina un centro commerciale e pertanto, qualora si riverifichi l’ipotesi

di dover illuminare lo stesso edificio, sicuramente lo svolgimento dell’intera operazione sarà più veloce,

potendo appunto disporre delle conoscenze che sono state precedentemente apprese428. Richiamiamo da

ultimo un importante aspetto prima accennato: la metodologia Nautes prevede la suddivisione di compiti

e competenze dei diversi utilizzatori del sistema, per permettere fin da subito un facile e corretto utilizzo

dell’applicativo. Un simile approccio consente (oltre al fatto di rendere più comprensibile il software) a

tutti i manager di contribuire all’immissione di conoscenza nel sistema: circostanza che già di per sé

425 Con riferimento al legame con il territorio notiamo come l’azienda iGuzzini, sia molto ancorata allapropria terra di origine, ne è stato parlato diverse volte nel corso del lavoro. Questo non significa peròche anche i sistemi di KM ad essa appartenenti abbiamo la stessa funzione.426 Per ulteriori approfondimenti si veda il § 2.2.3.427 Ovviamente questo è un processo che non sempre può essere attivato, magari il manager non ha tempodi approfondire la questione e quindi decide di oltrepassare l’interfaccia non pertinente.428 Gli esempi da citare potrebbero essere molteplici: riteniamo però che quelli esposti siano significativiper poter comprendere il concetto.

rappresenta una forma di apprendimento di ciò che viene catalogato e inserito nell’applicativo429. In

questo modo si attiva una forma di learning by doing dalla quale ciascun individuo può trarre significativi

benefici.

Anche per questo motivo si dice che sistemi di KM comportano un notevole incremento delle“prestazioni” degli individui: iKnow consente di valorizzare le abilità e le competenze dei manager,offrendo formazione, informazioni aziendali aggiornate e conoscenze utili. Questo processo conduceimplicitamente (oltre ad un aumento delle conoscenze aziendali) ad un forte incremento dellamotivazione degli individui, poiché viene loro garantito maggior coinvolgimento nelle decisionioperative430. Si scatena, insomma, un circolo virtuoso per il quale ad una valorizzazione delle conoscenzeaziendali corrisponde di fatto un incremento della motivazione di tutto il personale ed un miglioramentodella qualità delle attività che vengono svolte.Lo stesso processo si attiva nel flusso bidirezionale che esiste tra KM e creatività. Riprendendo i concettidel terzo capitolo si può affermare che è solo conoscendo e studiando cosa ci circonda che si riescono adavere idee innovative e soluzioni originali, in una parola quello che viene definito il “colpo di genio”.IKnow sembra essere studiato appositamente per questo scopo: basti considerare la grafica delleinterfacce del software, che prevede il collocamento dell’oggetto principale di conoscenza al centro dellapagina431 e disposti attorno allo stesso un insieme di altri elementi correlati che aiutano a fornire rispostaa ciò che si sta cercando. Questo sistema altro non è che quello delle “mappe mentali” precedentementedescritto, che prevede appunto un’oculata gestione degli oggetti nello spazio, al fine di generare ideeinnovative. In figura 20.4 troviamo rappresentata l’interfaccia di una scheda di conoscenza dalla quale èpossibile vedere la particolare e non casuale disposizione dei contenuti.Basti pensare poi al fatto che iKnow consente di consultare e quindi anche imitare la tecnica

risolutiva che si sta cercando tramite un semplice accesso al software, mettendo così in atto una

preziosa procedura di sviluppo della creatività. E’ la “tecnica della bionica” che prevede la

risoluzione di problemi complessi tramite l’associazione degli stessi ad eventi e questioni simili che

sono stati già affrontati dall’azienda, dai quali poter prendere spunto per un loro scioglimento.

Un’azienda, quindi, che dispone di un sistema di knowledge warehousing cataloga e archivia in

modo strutturato e formale le vicissitudini organizzative che si susseguono nel corso del tempo e

ovviamente anche le relative risposte, alle quali poter accedere per la risoluzione di problemi. Una

tecnica molto simile di sviluppo della creatività è quella dei “principi generali”, che viene

adoperata quando il problema è di difficile definizione e delimitazione: essa prevede di “accostare”

la questione da risolvere ad una generica soluzione che si approssima però al problema soltanto per

alcune variabili.

429 Si tratta di un metodo realizzato appositamente da Nautes che consente di apprendere mentre si stautilizzando il software, oltre che di rendere il sistema più agevole e più in linea con le esigenze delmanagement.430 Con questa affermazione viene meno anche una delle problematiche insite negli individui che vedonointrodotto nella loro postazione di lavoro un sistema di KM. L’introduzione di iKnow, così come quellain passato del brief elettronico non è significato tagli al personale, anzi, il risparmio di tempo che essihanno apportato, si è tradotto in un aumento della mole di lavoro, poiché ha consentito di svolgere altreattività che prima non venivano effettuate.431 Le tecniche di risoluzione che vengono qui citate sono tratte da: FLORIDA R., “L'ascesa della nuovaclasse creativa : stile di vita, valori e professioni”,MONDADORI, Milano, 2003.

Immagine 20.4 Interfaccia scheda di conoscenza Fonte: nostra

elaborazione

Anche in questo caso l’accostamento alla soluzione può essere operato grazie alla presenza di un

sistema di knowledge warehouse che consenta, come iKnow, di accedere a tutta la conoscenza

risolutiva aziendale.

Basti pensare poi al semplice fatto di mettere per iscritto le proprie conoscenze: quale metodo migliore

per la generazione di idee originali? Anche in questo caso la tecnologia iKnow altro non fa che

identificarsi con una particolare tecnica che prende il nome di “scrivere ciò che si sa”. Citiamo poi il

metodo dell’elencazione degli attributi che prevede di esprimere per iscritto tutte le caratteristiche del

prodotto o comunque del problema che si è delineato per procedere poi ad una riflessione sullo stesso per

trovare l’idea innovativa, l’illuminazione: la base di supporto ancora una volta potrebbe essere costituita

da un software di knowledge warehouse. Se ad esempio l’area marketing, dopo alcune analisi di mercato,

avverte l’esigenza di creare un nuovo prodotto sarà in questo caso sufficiente accedere ad iKnow per

prendere spunto da quanto esistente o magari analizzare elementi differenti e accostamenti inusuali che

secondo la tecnica della sinapsi sono fonte di numerose idee innovative432.

Per concludere: partendo dal presupposto che iKnow è nato per gestire in modo coerente e strutturato la

conoscenza iGuzzini occorre rendersi conto, però, di come esso non sia soltanto un sistema di accesso

alla conoscenza d’azienda, ma rappresenti di fatto anche un modo di incrementare i saperi organizzativi

432 Ci fermiamo qui con gli esempi riguardanti iKnow e la creatività, con la consapevolezza però chemolto altro potrebbe essere detto. Ci sembra però sufficiente quanto esposto per lasciar comprendere illegame tra i due elementi. Con riferimento all’innovazione d’impresa è stato già citato nel § 4.2.2 comeiKnow significhi innovazione tecnologica, strategica ed organizzativa.

attraverso processo di apprendimento continuo e attraverso un metodo di supporto nella fase di creazione

di nuovi prodotti (dove si necessita di idee creative). E’ vero che si tratta di “elementi accessori” rispetto

a quello principale di gestione della conoscenza, ma è anche vero che essi potrebbero determinare il

raggiungimento di significativi benefici aggiuntivi, fino a questo momento non considerati. Dunque:

perché lasciar fuggire queste opportunità? Perché non permettere ad iKnow di lavorare ancor meglio

rispetto alle prospettive delineate?

4.3 Una possibile visione per gli anni a venire

Il presente paragrafo chiude l’iter che abbiamo percorso nell’intero elaborato: esso si limiterà però a

descrivere brevemente alcune prospettive future in merito alle realtà aziendali qui raccontate,

demandando alle conclusioni il compito di fissare il punto di arrivo del lavoro.

Il percorso che abbiamo voluto seguire in questo capitolo è stato piuttosto chiaro e lineare, per consentire

anche ad una tematica complessa come quella del KM di risultare di facile comprensione per il lettore:

siamo partiti con una breve descrizione della storia e delle attività che vengono svolte da iGuzzini e

Nautes, abbiamo proceduto poi con l’elencazione dei sistemi di KM già attivi in azienda, per passare,

quindi, alla spiegazione del nuovo progetto di knowledge warehouse, iKnow, del quale mi sono occupata

personalmente. Esso è stato quindi declinato nei suoi aspetti fondamentali di: motivazione

dell’introduzione, obiettivi del sistema, strategia, tecnologia, funzionamento operativo dello stesso,

evoluzioni future….

L’impostazione scelta per l’esplicitazione di iKnow ha in realtà ricalcato le fasi affrontate dal nostro team

di lavoro nella progettazione del sistema: fasi che affondano le loro radici su di un approccio del tutto

logico e naturale che in genere viene seguito ed attuato per un qualsiasi sistema di KM.

Citiamo a titolo esemplificativo un altro progetto di gestione della conoscenza che mette in luce come gli

step di realizzazione del sistema siano pressochè uguali a quelli appena descritti per iKnow. Basti pensare

ad esempio al progetto di gestione della conoscenza realizzato per lo sviluppo della TAV433 (Treno Alta

Velocità). Il primo ed imprescindibile passo è stato quello di rispondere alla seguente domanda: “Perché

costruire un sistema di KM per TAV?”. Le motivazioni sono ovviamente molteplici. Lo sviluppo dell'alta

velocità in Italia richiede una grandissima varietà di conoscenze e solleva questioni su cui vi è nel paese

alta sensibilità sociale ed alta rilevanza politica. Gli attori di TAV devono condividere conoscenze

tecnico-scientifiche della più svariata natura: geologiche, ambientali, tecnologiche, sociologiche e così

via. Devono conoscere come sono stati affrontati e risolti i vari problemi nei progetti già sviluppati,

acquisire con tempestività informazioni sui temi su cui la opinione pubblica è sensibile, essere aggiornati

su quello che dicono le forze sociali e politiche sulle materie di pertinenza di TAV, ecc. Dopo aver capito

perché dotarsi di un sistema di KM, così come avvenuto per iKnow, si è proceduto con la definizione

della strategia e del metodo di lavoro. La metodologia prevede quattro macro-fasi:

1 - mappatura dei processi,

2 - analisi dei processi,

3 - redazione delle procedure,

4 - sperimentazione e validazione delle procedure.

Da ultimo si sono ipotizzati i benefici ottenibili dal sistema: valorizzare il capitale intellettuale di TAV e

aumentare la visibilità di tale capitale intellettuale, sia verso l'interno che verso il gruppo e il Paese,

attivando un circolo virtuoso di apprendimento e diffusione delle soluzioni e delle innovazioni prodotte

sia all'interno che verso l'esterno; aumentare l'efficacia e l'efficienza delle persone nei processi knowledge

intensive, consentendo a chi è coinvolto sui progetti di raggiungere obiettivi qualitativamente superiori in

tempi inferiori (offrendo un supporto alla soluzione di problemi di varia natura e rendendo rapidamente

operative le persone); valorizzare gli interventi organizzativi e gli investimenti sul sistema informativo.

Nonostante i sistemi di KM siano sempre molto differenti uno dall’altro, in realtà le modalità di

attuazione sembrano seguire un iter logico comune: quello che abbiamo descritto nel presente elaborato.

A conclusione del paragrafo ci sembra doveroso effettuare alcune considerazioni. Le imprese con cui ho

avuto possibilità di collaborare in questo periodo rappresentano a mio avviso esempi di eccellenza in

ambito di KM. La partnership che hanno avviato ormai da tempo ha consentito loro l’ottenimento di

successi non imitabili, successi che si sono propagati in entrambe le direzioni: l’azienda iGuzzini ha

avuto ed ha la possibilità di capitalizzare la propria conoscenza e di veder valorizzato il proprio

patrimonio di asset intangibili, con tutti i benefici che ne consegue. Nautes riesce, invece, ad avanzare

costantemente nella frontiera delle tecnologie e dei metodi per la gestione di conoscenza, potendo mettere

in pratica le proprie soluzioni di KM. Tutto lascia sperare che questa splendida collaborazione continui

anche in futuro: l’azienda illuminotecnica è sempre molto propensa all’introduzione di tecnologie

innovative e all’avanzamento nel campo della gestione della conoscenza; al contempo la società Nautes

essendo uno spin off dell’Università Politecnica delle Marche, mette in atto presso le aziende i risultati

delle ricerca universitaria. Come si evolverà questa relazione in futuro è difficile da definire: molto

dipenderà dallo sviluppo del mercato delle tecnologie, dalle esigenze che si manifesteranno in azienda,

dalle soluzioni che Nautes sarà in grado di proporre. Ma questi sono aspetti che per ora non ci

riguardano.

Alcuni dati confortanti provengono dall’analisi della situazione di altre relatà del tutto simili a quelle

appena descritte. Numerosi sono gli esempi di imprese industriali che hanno attivato, in passato, delle

partnership con società di consulenza in ambito di KM e che proseguono, ad oggi, la loro attività con

enorme successo. Citiamo fra tutti il caso della società di consulenza Eikom che da sempre collabora con

433 Cfr. FATALI G., “La progettazione di un sistema di KM: il caso TAV”, in Sistemi e impresa, n.1,Gennaio-Febbraio 2002, pag. 34-44

l’azienda Montenegro (specializzata nella lavorazione dei metalli): i sistemi attivati per l’azienda

industriale sono stati molteplici nel corso degli anni, fra cui il più recente è costituito da Panor@mix434

per la creazione di un unico punto d'accesso alle informazioni d’azienda e la

condivisione di conoscenza fra tutti gli operatori. Lavorare sfruttando le conoscenze

di cui si dispone è da sempre l’obiettivo congiunto di queste realtà, obiettivo che ha

consentito e consente tutt’ora di continuare una solida collaborazione all’insegna del

successo e dell’innovazione. Il caso da noi trattato nel presente elaborato non si

discosta molto da quanto appena descritto e tutto lascia sperare positive evoluzioni

future nella collaborazione fra Nautes e iGuzzini.

434 Fonte: http://www.eikom.it/articoli/index.html

CONCLUSIONI

Nel terzo millennio cosa possono ancora imparare le imprese che ancora non hanno imparato? Perché la

conoscenza in ambito aziendale è divenuta così importante? Quali sono gli strumenti da utilizzare per

raggiungere nuovi vantaggi competitivi sul mercato?

A queste ed altre domande abbiamo cercato di dare risposta nel corso della trattazione. La parte

conclusiva dell’elaborato, pertanto, si pone un duplice obiettivo: da un lato quello di fissare e di

focalizzare l’attenzione sugli aspetti di maggior rilevanza che sono emersi nel percorso che abbiamo

effettuato, dall’altro quello di ribadire l’importanza del KM quale approccio complessivo alla gestione

d’impresa, anche attraverso il case history prima presentato.

Che la gestione della conoscenza sia divenuta un elemento di fondamentale importanza per tutte le

organizzazioni è ormai fuori discussione: aziende del calibro di McDonald’s o di Coca-Cola non sono

diventate le multinazionali che conosciamo semplicemente vendendo panini o analcolici in tutto il

mondo, ma hanno avuto successo trovando modi per valorizzare il loro know how435.

Le imprese, in questo ultimo decennio, si sono trovate ad operare in una realtà caratterizzata da profonde

rivoluzioni tecnologiche, da una crescente flessibilità, da profondi mutamenti nelle professioni. Sono

ormai in molti a sostenere che ci troviamo in una fase di passaggio dall'era industriale all'era neo-

industriale o meglio post-industriale, nella quale per le imprese si è affermata l'importanza delle

competenze, delle conoscenze, delle capacità e dell'apprendimento continuo. Il segreto per lo sviluppo

competitivo risulta sempre più insito nella risorsa umana che si distingue attraverso la capacità degli

individui di acquisire, governare e applicare il patrimonio di conoscenze. In tale contesto si assiste ad una

progressiva erosione del valore delle tradizionali fonti del vantaggio competitivo: le risorse produttive

tradizionali, infatti, non sono più in grado di produrre un beneficio economico stabile e durevole nel

tempo. Ed è proprio in tale quadro che l’orientamento dei recenti studi ha evidenziato la centralità della

“conoscenza” come risorsa competitiva principale a disposizione delle imprese. Ciò non significa che nel

passato le organizzazioni non possedessero conoscenza, tuttavia, essa non era ancora considerata

l’importanza della relazione tra conoscenza e valore per l’impresa, in quanto lo sfruttamento dei

tradizionali fattori produttivi appariva sufficiente al fine di ottenere prestazioni competitive differenziali.

Oggi, al contrario, di fronte all’instabilità ambientale e alla erosione delle fonti competitive tradizionali,

una crescente rilevanza viene assunta dalla capacità dell’organizzazione di creare conoscenza e

diffonderla al proprio interno e tra organizzazioni diverse, unitamente alla capacità di gestirla e trasferirla

in attività che producano valore. “Così come per la produzione di un oggetto si parte dalla materia

prima, si elabora un semilavorato ed infine si giunge al prodotto finito, allo stesso modo per produrre la

conoscenza nell’ambito di un’azienda si parte dalla materia prima rappresentata dai dati, li si

435 DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successonell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001, pag. 46-56

compongono in modo opportuno per ottenere le informazioni, che distribuite alle persone giuste in tempi

rapidi portano alla conoscenza utile ai fini del processo decisionale”436.

Scopo del knowledge management è pertanto quello di avviare questo importante processo di

trasformazione, per rendere disponibile il contenuto del patrimonio informativo d’azienda, in qualunque

forma esso possa essere rappresentato, a coloro che ne hanno bisogno per svolgere la propria attività.

Abbiamo anche sottolineato, però, nel terzo capitolo, come KM non significhi soltanto gestione della

conoscenza, ma comunichi anche concetti quali: territori, creatività, apprendimento, azioni di marketing.

Il quarto capitolo ha tradotto in realtà quanto fin’ora descritto.

Ed è proprio a partire dall’ultima sezione del nostro elaborato che prendiamo spunto per la trattazione

della seconda parte delle conclusioni. Come più volte ribadito nel corso del lavoro e come speriamo sia

trapelato dal case history affrontato, il KM non fa riferimento esclusivamente ad un particolare aspetto

organizzativo d’azienda o magari alla semplice introduzione di una tecnologia di archiviazione dei dati:

la gestione della conoscenza è un modo nuovo di considerare l’intera organizzazione, in tutti i suoi

aspetti.

Il KM non deve, inoltre, essere considerato un punto di arrivo, ma un approccio dinamico all’attività

d’impresa e quindi un processo evolutivo che si estinguerà solo con la cessazione della stessa. Questo

nuovo modello di gestione mette in discussione le certezze di un’organizzazione altamente gerarchizzata,

che ostacola la comunicazione aziendale a causa della divisione in compartimenti “stagna” delle varie

aree, che mortifica ogni tentativo di attivazione di un’efficiente strategia basata sulla conoscenza. A

testimonianza che un approccio parziale al KM non è di per sé sufficiente per parlare di gestione della

conoscenza richiamiamo il caso di studio precedentemente affrontato. Dall’analisi svolta con la società

Nautes per l’azienda iGuzzini la situazione che ad oggi si prospetta è la seguente: esiste molta

documentazione relativa ai progetti, che va resa disponibile in archivi condivisi; esiste un patrimonio di

esperienze distintive accumulate nel corso del tempo, in particolare di esperienze informali e conoscenze

tacite, in merito al quale è necessario identificare una modalità che consenta almeno in parte di

esplicitarle, raccoglierle e riutilizzarle nei nuovi progetti; esiste un bacino di esperti e persone molto

qualificate e specializzate, rispetto al quale è necessario riuscire ad identificare e mettere in connessione

chi è in grado di fornire un supporto esperto per l'interpretazione della documentazione o per la

risoluzione di problemi già affrontati; esistono inoltre molti altri strumenti e materiali a disposizione delle

persone, ad esempio attraverso l'intranet, o il brief elettronico di prodotto, rispetto ai quali è necessario

focalizzare con maggiore chiarezza cosa effettivamente le persone utilizzano e di quali conoscenze e

supporti hanno bisogno per lavorare. Si è rilevato, inoltre, che la crescente complessità della società e il

conseguente bisogno di flessibilità, ha fatto nascere il bisogno di una razionalizzazione nella gestione

436 BOISOT M. H., “Knowledge assets: securing competitive advantage in the information economy”,OXFORD UNIVERSITY PRESS, Oxford, 1999

delle informazioni il cui esubero ha motivato la stessa all’adozione di tecnologie idonee ad

amministrarle437.

Questo processo ha comportato per l’azienda l’emergere di molte conoscenze di cui si ignorava la

presenza, semplicemente perché non si sapeva dove cercarle. L’acquisizione, quindi, di un’infrastruttura

tecnologica che razionalizzi il processo di conservazione, reperimento e trasferimento delle informazioni

dove servono e quando servono è di fondamentale importanza.

Ma questo non basta: è inutile disporre di una banca dati contenente preziose informazioni, se non

si riesce a valorizzarle attraverso l’adeguata esperienza e competenza di chi le utilizza. In questo

caso diventerebbero merce preziosa in mani sbagliate e si perderebbe la possibilità di utilizzarle

come fonte di conoscenza.

KM non è soltanto tecnologia applicata alle organizzazioni, ma è anche gestione dei knowledge workers,

abbattimento delle barriere alla condivisione della conoscenza, creazione di una learning organization.

“Sicuramente iKnow, pur essendo stato progettato in modo corretto, non avrà risvolti futuri se i manager

Guzzini non credono nel sistema e non sono disposti ad una condivisione delle loro conoscenze”,

sostiene Marco Gialletti, amministratore delegato Nautes.

Si tratta pertanto di avviare e di intraprendere un triplice processo: quello di maturazione culturale dei

dipendenti, orientato alla centralità della conoscenza, allo scambio, condivisione e diffusione delle

consapevolezze possedute438, di adottare modelli organizzativi in cui hanno rilevanza non più solo gli

aspetti tecnici tayloristici e quelli sociali-relazionali, ma anche quelli relativi alle interazioni intra ed inter

aziendali finalizzati alla condivisione di conoscenze (Sorge, 2000) ed infine garantire anche la presenza

di infrastrutture tecnologiche in grado di favorire la creazione di un ambiente interconnesso capace di

agevolare le comunicazioni tra utenti, lo scambio e la condivisione della conoscenza.

Come citato anche in precedenza, non possiamo dire che i sistemi di gestione della conoscenza che si

identificano nell’esclusivo impiego della tecnologia non consentono di ottenere vantaggi: l’utilizzo di

piattaforme, applicazioni, strumenti e infrastrutture permette all’organizzazione di migliorare, mantenere

e sfruttare tutti gli elementi caratteristici della sua base di conoscenza. Tuttavia, la loro introduzione non

è, di per sé, sufficiente a determinare un reale orientamento dell’azienda alla gestione dei propri saperi.

Affinchè ciò possa avvenire è necessario attuare una gestione della conoscenza che vada oltre i

tradizionali strumenti tecnologici e che faccia emergere l’importanza dei fabbisogni conoscitivi, cioè

delle conoscenze che un’azienda non ha o non sa di avere e di cui avrebbe bisogno per migliorare le

singole attività. Tutto questo ribadisce la significatività di una corretta valorizzazione del proprio

patrimonio intellettuale: non basta più adottare un sistema tecnologico, ma intorno a questo deve crescere

437 GRAND R., “The resource based theory of competitive advantage: implication for strategyformulation”, in California management review, primavera, 1991

438 A questo fine, fondamentale è il ruolo svolto dal management nella creazione di un ambiente internobasato sulla fiducia, l’appartenenza, il lavoro di gruppo e in cui possano trovare espressione lecaratteristiche e le aspirazioni individuali e in cui le persone possano partecipare attivamente al progettodi KM.

la coscienza che solo uno sviluppo mirato, volto ad integrare i sistemi tecnologici con i sistemi aziendali,

può supportare la circolazione e la diffusione di conoscenza.

“Dobbiamo evitare di restare scatole vuote rispetto all’innovazione”, dichiara Adolfo Guzzini, “Laddove

esiste un pensiero innovativo che si prefigga l’obiettivo di adottare una nuova tecnologia o un nuovo

metodo organizzativo esiste la concreta possibilità di ottenere risultati positivi. Si tratta di una sfida in

cui creatività, competenza, coraggio e lungimiranza rappresentano i fattori centrali”. L’importanza di

questa affermazione può essere compresa soltanto guardano i risultati ottenuti dall’azienda: 1000

dipendenti raggiunti nel 2007, con più di 190 milioni di euro di fatturato ottenuto nel 2006. E’ la voglia di

guardare avanti, di non fermarsi a ciò che è consolidato, di ricreare in modo originale quanto già esistente

che può fare di un impresa un impresa vincente. Sicuramente il KM in tutto questo gioca un ruolo di

fondamentale importanza.

Questi e molti altri aspetti hanno costituito preziosi insegnamenti che ho potuto ricavare dalla redazione

di questa tesi di laurea.

Quali altri elementi meritano di essere citati a conclusione dell’elaborato? Qual è la “morale della

favola”439?

- Per le persone la società della conoscenza ha cambiato la quotidianità. Non si può più fare a meno didomandare il sapere necessario per scegliere bene senza delegare ad altri.- Per le imprese la conoscenza rappresenta il principale fattore produttivo da dover gestire e valorizzareoggi come negli anni a venire.Il sistema della conoscenza costituisce insomma una parte molto importante del più generale e complesso

sistema d’azienda: rappresenta una risposta concreta ed efficace al buon funzionamento delle nostre

organizzazioni e delle nostre imprese.

Per questo motivo abbiamo deciso di approfondire la tematica del KM all’interno della nostra tesi di

laurea, per la sua irrinunciabilità e imprescindibilità negli odierni contesti competitivi, per il valore che un

suo approfondimento ed una sua applicazione può apportare alle persone e alle imprese.

439 AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledgemanagement prossimo e venturo.”, ETAS, 2005

ALLEGATI

ALLEGATO N.1

PICO: PIANO PER L’INNOVAZIONE, LA CRESCITA E L’OCCUPAZIONE

Quanto segue costituisce la sintesi del Piano italiano in attuazione del rilancio della Strategia europea di

Lisbona.

1.1 PremessaNel 2000, il Consiglio europeo di Lisbona ha individuato nella costruzione della più avanzata società

basata sulla conoscenza il fondamento della strategia di sviluppo dell’Unione affidando ai paesi membri

il compito di darne piena attuazione entro il 2010. A metà percorso, il Consiglio europeo del giugno 2005

ha manifestato insoddisfazione per i risultati raggiunti e deciso un rilancio della Strategia di Lisbona

perfezionando le procedure di esecuzione e coinvolgendo più direttamente la Commissione nel

perseguimento dell’obiettivo. Nelle istruzioni impartite dal Consiglio europeo è stato chiesto ai paesi

membri di presentare un loro Piano di attuazione tenendo conto delle peculiarità economiche e sociali

nazionali e di 24 linee-guida elaborate dagli organi dell’Unione. Partendo da questi presupposti, l’Italia

ha elaborato il proprio Piano, innestando alcune scelte capaci di far avanzare la frontiera della conoscenza

e della tecnologia su quanto è stato fatto finora in attuazione della Strategia di Lisbona.

1.2 Peculiarità dell’economia italianaL’economia italiana presenta una preponderanza di produzioni tradizionali realizzate da imprese di

piccole dimensioni a conduzione familiare vulnerabili alla competizione di prezzo.

Le produzioni di elevata qualità (il made in Italy) sono invece vulnerabili alla competizione sleale

(contraffazioni). Sono inoltre presenti dualismi territoriali e settoriali accentuati.

La nostra società civile è a sua volta caratterizzata da modi di soddisfazione delle esigenze solidaristiche

tali da incidere significativamente nella struttura dei bilanci pubblici e nell’azione delle imprese private,

peraltro già gravate dai costi della sovraregolamentazione esistente.

1.3 Obiettivi del PICOA seguito delle consultazioni effettuate e dei lavori svolti, le 24 linee-guida indicate dal Consiglio

europeo sono state raggruppate in cinque categorie operative prese come obiettivi prioritari del Piano in

un quadro di stabilità monetaria e fiscale: l’ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle

imprese; l’incentivazione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica; il rafforzamento

dell’istruzione e della formazione del capitaleumano; l’adeguamento delle infrastrutture materiali e

immateriali; la tutela ambientale.

Il Piano proposto indica che cosa lo Stato intende fare per migliorare le condizioni di ambiente

economico e sociale al fine di propiziare crescita e occupazione, ma soprattutto si prefigge di ampliare le

libertà di scelta dei cittadini affinché essi possano fare ciò che sanno e vogliono fare.

I produttori e i lavoratori saranno i beneficiari primi delle scelte, ma saranno i consumatori a essere i

maggiori beneficiari finali.

1.4 Strumenti da attivare

Il Piano comprende due categorie di interventi: provvedimenti aventi validità generale per il sistema

economico e progetti specifici con ricadute positive sulla produttività e competitività dell’economia

italiana.

1. I principali provvedimenti aventi validità generale consistono: -in una più ampia liberalizzazione

dell’offerta nel settore dei servizi in linea con gli orientamenti e le decisioni che sono in via di definizione

in sede europea; una più libera espressione sia del mercato nei settori indicati dall’Autorità garante della

concorrenza e dalle Autorità di settore, sia dei prezzi per l’intera economia; una più efficace legislazione

per prevenire le frodi in materia comunitaria e per contrastare le contraffazioni al fine di ridurre le

distorsioni che esse generano nel funzionamento dei mercati; - in un miglioramento delle prestazioni della

pubblica amministrazione e un contenimento dei suoi costi, prendendo come base di riferimento il Codice

per l’amministrazione digitale già approvato e il Sistema pubblico di connettività in via di attuazione;

nella creazione di un contesto normativo propizio agli investimenti, all’innovazione e allo sviluppo

tramite una significativa riduzione della quantità di legislazione esistente ed un miglioramento della sua

qualità (better regulation), per incidere sugli oneri regolatori e amministrativi che gravano sulle imprese e

sui cittadini; -in una migliore normativa concernente la vita delle piccole imprese e dei distretti produttivi,

allo scopo sia di accrescere la consapevolezza dell’importanza delle tecnologie digitali e del loro uso a

fini innovativi di processo e di prodotto, sia di promuovere un nuovo equilibrio tra flessibilità e sicurezza

del lavoro, sia di proteggere i brevetti e la collocazione dei prodotti e degli investimenti all’estero; nella

piena valorizzazione del capitale umano, attraverso una più efficace organizzazione del sistema di

istruzione di base e superiore e della formazione professionale, anche per il personale delle pubbliche

amministrazioni, che si estenda fino ad assicurare la formazione continua nell’intero ciclo di vita dei

cittadini, crei un habitat favorevole al diffondersi della cultura digitale, stimoli e supporti l’attività di

ricerca scientifica e, attraverso essa, l’innovazione tecnologica nei processi produttivi; -nella creazione o

il completamento di reti infrastrutturali per i collegamenti interni, intraeuropei e internazionali, con un

particolare impegno nella realizzazione delle autostrade del mare; -in un’incisiva attuazione della

“politica di coesione europea” volta a ridurre le disparità economiche tra aree interne all’Unione, con

particolare attenzione al Mezzogiorno d’Italia; -in una più efficace incorporazione nei processi produttivi

e nell’attività di consumo della domanda di protezione ambientale.

2. I principali progetti inclusi nel Piano riguardano: il completamento del progetto Galileo per la

creazione di una rete satellitare europea; la partecipazione alla realizzazione dei progetti europei Egnos e

Sesame per la gestione del traffico aereo; la realizzazione di piattaforme informatiche per la tutela della

salute, lo sviluppo del turismo, l’infomobilità, la gestione delle banche dati pubbliche e territoriali;

l’attuazione di 12 programmi strategici di ricerca nei settori della salute, farmaceutico e bio-medicale, dei

sistemi di manifattura, della motoristica, della cantieristica navale e aeronautica, della ceramica, delle

telecomunicazioni, dell’agroalimentare, dei trasporti e della logistica avanzata, dell’ ICT e

componentistica elettronica e della microgenerazione energetica; la creazione di 12 laboratori di

collaborazione pubblico-privata per lo sviluppo della ricerca nel Mezzogiorno nei settori della

diagnostica medica, dell’energia solare, dei sistemi avanzati di produzione, dell’e-business, delle bio-

tecnologie, della genomica, dei materiali per usi elettronici, della bioinformatica applicata alla genomica,

dei nuovi materiali per la mobilità, dell'efficacia dei farmaci, dell’open source del software, dell’analisi

della crosta terrestre; lo sviluppo di 24 distretti tecnologici, che estendono l’esperienza dei distretti

industriali italiani a settori ad alto contenuto tecnologico e potenziale innovativo; l’ampliamento e l’uso

razionale delle infrastrutture nel settore energetico e idrico; settori di rilevanza strategica aventi ricadute

tecnologiche nei processi produttivi e nel benessere dei cittadini e in condizione di garantire una migliore

tutela ambientale, con particolare attenzione alle fonti energetiche alternative.

Il PICO non è un Piano “chiuso” perché, oltre a considerare ciò che già è stato fatto in attuazione della

Strategia di Lisbona, ha accolto solo provvedimenti e progetti di pronta attuazione, che incidono una

tantum sulla spesa pubblica e sono capaci di attrarre risorse private. Il PICO resta aperto ad accogliere

nuovi contributi provenienti delle capacità progettuali del sistema economico e politico italiano ed

europeo, anche perché il meccanismo di nuovi finanziamenti pubblici è basato sul gettito derivante dalla

cessione di attività reali di proprietà dello Stato, secondo una logica di gestione patrimoniale (asset

management), e trova attuazione nelle scelte che su queste disponiblità verranno effettuate dal CIPE.

1.5 Risorse a disposizioneLe risorse finanziarie pubbliche messe al servizio del Piano sono in parte già incorporate negli

stanziamenti di cassa previsti in bilancio fino al 2005 e in quelli di competenza previsti per il triennio

2006-2008, nonché nelle dotazioni aggiuntive per la politica di coesione comunitaria e, per la parte

aggiuntiva, da fondi provenienti dalla cessione di attività reali dello Stato stimati nell’ordine dell’1% del

PIL per il triennio di Piano (equivalenti a 13 mld di euro), di cui 3 mld nel 2006. Complessivamente, nel

triennio 2005-2008, il bilancio statale italiano mette a disposizione, per il rilancio della Strategia di

Lisbona, complessivi 46 miliardi di euro, nel rispetto degli accordi raggiunti in sede europea, così

suddivisi (le cifre sono espresse in mld di €):

1. Area libera scelta: 0,6/ 0,2/ 1,3/ 2,1

2. Ricerca & sviluppo: 4,3/ 0,9/ 4,1/ 9,3

3. Capitale umano: 1,0/ 0,2/ 0,4/ 1,6

4. Infrastrutture: 23,6/ 2,5/ 5,2/ 31,4

5. Ambiente: 0,4/ -/-/-/ 1,7 2,1

1.6 Risultati attesiL’insieme dei provvedimenti e progetti faranno avvicinare le spese in ricerca e sviluppo (R&S)

all’obiettivo del 3% del PIL suggerito dalla Commissione, anche se il PICO avanza riserve sulla

significatività di questo parametro in generale e in particolare per una struttura economica come quella

prevalente in Italia. Più significativa appare invece la stima effettuata sull’impatto macroeconomico

derivante dall’attuazione del Piano: l’innalzamento del reddito potenziale attuale è valutato nell’ordine

dell’1%, con effetti disinflazionistici strutturali stimati in 30 centesimi di punto e un parallelo

rafforzamento del potere di acquisto salariale. Si valuta inoltre che esso induca un incremento

dell’occupazione nell’ordine dei 200 mila posti di lavoro, con una significativa concentrazione tra i

giovani.

Anche se non in misura quantificabile a priori, questi effetti aumenteranno per le sinergie create dalla

simultanea attuazione del rilancio della Strategia di Lisbona negli altri 24 paesi dell’Unione e dell’azione

che la Commissione europea espliciterà nei contenuti dopo la presentazione dei Piani nazionali. Ne

consegue che gli effetti del rilancio della Strategia di Lisbona potranno essere stimati correttamente una

volta valutati congiuntamente i contributi dati dalla Commissione di Bruxelles e dai paesi membri.

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