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LABORATORIO INGRANDITORI: SISTEMI A LUCE DIFFUSA O A CONDENSATORE? Il sistema di illuminazione condiziona in modo rilevante le prestazioni degli ingranditori; quali sono le caratteristiche dei due sistemi e quale conviene scegliere. La ricerca chimico-fotografica ha sempre considerato un dovere fondamentale pro- durre ogni sforzo per ridurre progressiva- mente le dimensioni della grana delle emul- sioni e ai giorni nostri la sua riduzione a una visibilità prossima allo zero ad in- grandimenti di 10x pare a portata di mano. Semmai si pone il problema opposto, ov- vero come sia oggi possibile esaltare l’ef- fetto grana a scopi espressivi, dato che an- che le pellicole di maggiore sensibilità han- no una granularità estremamente ridotta. L’emulsione di un qualsiasi film in B/N è composto da una sospensione di granuli di alogenuro d’argento dalle dimensioni più o meno fini, la quale viene stesa su un sup- porto trasparente di triacetato di cellulosa, tagliato poi nei vari formati, 135, 120, pel- licole piane eccetera. Come si sa, maggio- re è la sensibilità di un materiale sensibile e maggiore è la dimensione apparente dei granuli presenti nell’emulsione. Un tempo, circa trenta anni fa, parlando di pellicole “normali” destinate alle riprese in esterni senza particolari esigenze di rapi- dità, ci si riferiva a un film di 40/17 ISO o nel migliore dei casi di 100/21 ISO; oggi queste sensibilità sono considerate pelli- cole “lente”, dato che si ritiene materiale ordinario di lavoro una pellicola di 400/27 ISO, visto che la granulosità delle stampe da esse prodotte è decisamente buona e che sono in grado di risolvere situazioni mol- to diverse fra loro, dagli scatti in luce pie- na in esterni alle riprese in “available light” senza ausilio di illuminatori. Se poi pensiamo che esse si prestano sen- za problemi ad un trattamento spinto ri- spetto a sottoesposizioni intenzionali di 2 o 3 stop senza mostrare gli ingrossamenti della grana a cui ci avevano abituato le Tri- X o le HP4 anni Settanta, potremmo esse- re indotti a credere che il problema grana non esista più. In parte è vero; non esiste più se si considera la sua presenza come un fattore di disturbo, lo diventa se si ritiene che la granulosità di una stampa sia un mez- zo espressivo. Oggi sono passate di moda le foto molto ‘sgranate’, anche perché gli ultimi mate- riali fabbricati con tecnologie del passato sono stati progressivamente tolti di produ- zione; ricordiamo ad esempio la pur otti- ma Kodak Recording dalla sensibilità stra- biliante per l’epoca di 1250/31 ISO, con sensibilizzazione ai colori iperpancroma- tica spinta verso le prime fasce dell’infra- rosso; la sua scomparsa non è stata com- pensata da materiali analoghi, ma da pelli- cole più “ordinarie” anche se molto più sen- sibili. La grana di una pellicola Ma che cos’è la grana di una pellicola? Co- me si è detto, l’emulsione sensibile alla lu- ce contiene in sospensione nella gelatina gli agglomerati di cristalli di alogenuro d’ar- gento, cristalli di forma cubica, come nei materiali tradizionali, tabulare o ‘t-grains’. L’azione della luce colpisce il materiale sensibile e provoca un mutamento mole- colare dell’argento con la creazione di un’immagine latente che sarà resa visibile dallo sviluppo. L’intensità del fenomeno dipende dalla quantità di luce: una luce di debole intensità attiverà, rendendoli svi- luppabili, soltanto pochi germi di sviluppo sui granuli, mentre una luce forte sarà re- sponsabile della trasformazione di un nu- mero di germi molto più elevato. Al di là del materiale impiegato per la ri- presa, le dimensioni di questi granuli di- pendono anche dal tipo e dalle modalità di trattamento. Ad esempio, la temperatura più o meno elevata rispetto allo standard di 20°C, l’agitazione più o meno intensa, la composizione chimica del rivelatore più o meno energico, sia esso finegranulante o meno, influiscono sull’aggregazione dei granuli d’argento e quindi sulle loro di- mensioni. In questa sede sarà opportuno distinguere fra due termini che spesso ven- gono confusi, granularità e granulosità. Con granularità ci si riferisce solo al ma- teriale negativo, nel quale il granulo è un elemento ben definito e quantificabile sot- to alcune condizioni standard di misura- zione, mentre con granulosità ci si riferi- sce di solito alla percezione suscitata in un osservatore in condizioni medie dalla gra- na di una stampa: se la prima è misurabile con un densitometro, la seconda è sogget- ta a diversi fattori, quali il rapporto di in- grandimento del negativo in oggetto, la gra- dazione della carta, il sistema ottica-in- granditore-sorgente luminosa impiegato per la realizzazione della stampa che andiamo ad osservare; non ultima, la distanza a cui la fotografia viene osservata. La granularità di un film viene misurata con l’ausilio di un microdensitometro, in

Valsasnini, Andrea - Ingranditori

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LABORATORIO

INGRANDITORI: SISTEMI A LUCE DIFFUSA

O A CONDENSATORE?Il sistema di illuminazione condiziona in modo rilevante le prestazioni degli

ingranditori; quali sono le caratteristiche dei due sistemi e quale conviene scegliere.

La ricerca chimico-fotografica ha sempreconsiderato un dovere fondamentale pro-durre ogni sforzo per ridurre progressiva-mente le dimensioni della grana delle emul-sioni e ai giorni nostri la sua riduzione auna visibilità prossima allo zero ad in-grandimenti di 10x pare a portata di mano.Semmai si pone il problema opposto, ov-vero come sia oggi possibile esaltare l’ef-fetto grana a scopi espressivi, dato che an-che le pellicole di maggiore sensibilità han-no una granularità estremamente ridotta. L’emulsione di un qualsiasi film in B/N ècomposto da una sospensione di granuli dialogenuro d’argento dalle dimensioni piùo meno fini, la quale viene stesa su un sup-porto trasparente di triacetato di cellulosa,tagliato poi nei vari formati, 135, 120, pel-licole piane eccetera. Come si sa, maggio-re è la sensibilità di un materiale sensibilee maggiore è la dimensione apparente deigranuli presenti nell’emulsione. Un tempo, circa trenta anni fa, parlando dipellicole “normali” destinate alle riprese inesterni senza particolari esigenze di rapi-dità, ci si riferiva a un film di 40/17 ISO onel migliore dei casi di 100/21 ISO; oggiqueste sensibilità sono considerate pelli-cole “lente”, dato che si ritiene materialeordinario di lavoro una pellicola di 400/27ISO, visto che la granulosità delle stampeda esse prodotte è decisamente buona e chesono in grado di risolvere situazioni mol-to diverse fra loro, dagli scatti in luce pie-na in esterni alle riprese in “available light”senza ausilio di illuminatori.Se poi pensiamo che esse si prestano sen-

za problemi ad un trattamento spinto ri-spetto a sottoesposizioni intenzionali di 2o 3 stop senza mostrare gli ingrossamentidella grana a cui ci avevano abituato le Tri-X o le HP4 anni Settanta, potremmo esse-re indotti a credere che il problema grananon esista più. In parte è vero; non esistepiù se si considera la sua presenza come unfattore di disturbo, lo diventa se si ritieneche la granulosità di una stampa sia un mez-zo espressivo. Oggi sono passate di moda le foto molto‘sgranate’, anche perché gli ultimi mate-riali fabbricati con tecnologie del passatosono stati progressivamente tolti di produ-zione; ricordiamo ad esempio la pur otti-ma Kodak Recording dalla sensibilità stra-biliante per l’epoca di 1250/31 ISO, consensibilizzazione ai colori iperpancroma-tica spinta verso le prime fasce dell’infra-rosso; la sua scomparsa non è stata com-pensata da materiali analoghi, ma da pelli-cole più “ordinarie” anche se molto più sen-sibili.

La grana di una pellicolaMa che cos’è la grana di una pellicola? Co-me si è detto, l’emulsione sensibile alla lu-ce contiene in sospensione nella gelatinagli agglomerati di cristalli di alogenuro d’ar-gento, cristalli di forma cubica, come neimateriali tradizionali, tabulare o ‘t-grains’. L’azione della luce colpisce il materialesensibile e provoca un mutamento mole-colare dell’argento con la creazione diun’immagine latente che sarà resa visibiledallo sviluppo. L’intensità del fenomeno

dipende dalla quantità di luce: una luce didebole intensità attiverà, rendendoli svi-luppabili, soltanto pochi germi di svilupposui granuli, mentre una luce forte sarà re-sponsabile della trasformazione di un nu-mero di germi molto più elevato.Al di là del materiale impiegato per la ri-presa, le dimensioni di questi granuli di-pendono anche dal tipo e dalle modalità ditrattamento. Ad esempio, la temperaturapiù o meno elevata rispetto allo standard di20°C, l’agitazione più o meno intensa, lacomposizione chimica del rivelatore più omeno energico, sia esso finegranulante omeno, influiscono sull’aggregazione deigranuli d’argento e quindi sulle loro di-mensioni. In questa sede sarà opportunodistinguere fra due termini che spesso ven-gono confusi, granularità e granulosità.Con granularità ci si riferisce solo al ma-teriale negativo, nel quale il granulo è unelemento ben definito e quantificabile sot-to alcune condizioni standard di misura-zione, mentre con granulosità ci si riferi-sce di solito alla percezione suscitata in unosservatore in condizioni medie dalla gra-na di una stampa: se la prima è misurabilecon un densitometro, la seconda è sogget-ta a diversi fattori, quali il rapporto di in-grandimento del negativo in oggetto, la gra-dazione della carta, il sistema ottica-in-granditore-sorgente luminosa impiegato perla realizzazione della stampa che andiamoad osservare; non ultima, la distanza a cuila fotografia viene osservata. La granularità di un film viene misuratacon l’ausilio di un microdensitometro, in

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genere dotato di una finestrella del diame-tro di 48 micron, che vada a leggere a 12xil materiale da testare, con una densità dif-fusa pari a 1 per le pellicole invertibili, ead 1 più il valore del velo e del supportoper le pellicole negative.

Il controllo della granaQuando occorre ridurre i valori di granu-larità si possono usare dei rivelatori appo-siti che incorporano dei solventi del gra-nulo di alogenuro d’argento, oppure si puòricorrere ad una procedura di sviluppoorientata allo stesso risultato. O.F. Ghedi-na ricorda nel suo Fotoricettario che, a par-te la struttura fisica degli agglomerati dialogenuro d’argento presenti nelle emul-sioni, le dimensioni degli stessi dipendo-no anche dal tipo di esposizione che il ne-gativo subisce, dalla qualità della sorgen-te luminosa e dal trattamento in fase di svi-luppo. È noto infatti che una eccessiva so-vraesposizione del materiale provoca unnaturale ingrossamento della grana dopolo sviluppo, mentre una sottoesposizione

In alto la cappa illuminante dell’ingrandi-tore Meopta e in basso il complesso filtroanticalore e condensatori.

Ingranditore a luce condensata Meopta Opemus 6 con cap-pa illuminante, gruppo condensatori pianoconvessi e slit-ta portafiltro: in evidenza il filtroanticalore per separare lacappa dal sistema condensatori-portanegativi.

Vetrino superiore dell’ingranditore Meopta, leggermente smerigliato per ridurre il feno-meno degli anelli di Newton, spesso presenti con vetri pianparalleli non lavorati. Al centro,in evidenza, il sistema di messa a fuoco semiautomatico Meopta: estraendo il cassetto por-tanegativi è necessario far collimare due sottili strisce luminose per eseguire correttamen-te la messa a fuoco senza far ricorso ad un focometro.

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marcata, richiedendo un trattamento spin-to (push), è parimenti responsabile di un fe-nomeno analogo, anche se dovuto a causedel tutto opposte. L’esposizione in condi-zioni normali andrebbe infatti commisura-ta al minimo indispensabile per poter ave-re del segnale nelle ombre. Il trattamento del negativo ha un ruolo fon-damentale nel determinare un aumento op-pure una diminuzione delle dimensioni deigranuli. Se si sviluppa un negativo ad unatemperatura elevata, ad esempio maggioredei classici 20°C, si avrà una grana dimen-sionalmente più evidente di quanto sia pos-sibile ottenere trattandolo a temperature in-feriori, per intenderci a 18 °C; attenzioneperò a non far scendere ulteriormente latemperatura, poiché in quella situazionemolti rivelatori iniziano a perdere la loroefficacia, senza contare che il tempo ne-cessario a completare lo sviluppo potrebbeallungarsi eccessivamente. Anche la qualità della sorgente luminosadella ripresa influisce sulle dimensioni deigranuli; infatti una sorgente di luce lampotende a fornire una illuminazione molto in-tensa e breve che produce molti germi disviluppo all’interno dei granuli, mentre unasorgente di luce di bassa intensità, magarifornita da una comune lampadina dome-stica di media potenza produce un numerominore di germi di sviluppo sulla superfi-cie del granulo e richiede un’azione più pro-

LALA COMPOSIZIONE CHIMICACOMPOSIZIONE CHIMICA DELLO SVILUPPODELLO SVILUPPO

La composizione chimica del bagno è di basilare importanza per regolare le dimen-sioni della grana. Un bagno produce effetti diversi a seconda del suo grado di alca-linità, del tipo di agente rivelatore presente e della aggiunta di solventi del bromurod’argento; se il pH è elevato in genere la grana che si produce è grossa, infatti i ba-gni finegranulanti non superano il valore pH 9. L’idrochinone e il metolo danno una grana più evidente di quanto fornisca il fenido-ne o la p-fenilendiamina. I solventi del bromuro d’argento hanno la proprietà di scio-gliere lentamente il granulo mentre avviene lo sviluppo procedente dai germi for-matisi al momento dell’esposizione ma, dato che alla fine i granuli risulteranno piùpiccoli e quindi meno visibili in fase di stampa, si deve ricorrere (spesso ma non sem-pre) ad una maggiorazione della posa in sede di ripresa per coinvolgere un maggiornumero si granuli e compensare la riduzione dimensionale degli stessi indotto dalsolvente. Al contrario, l’impiego di bagni al para-amminofenolo in soluzione cau-stica, quali il Rodinal Agfa, consente un’esaltazione della grana, con un aspetto ni-tido e compatto, riducibile se si diluisce anche fortemente il rivelatore, ad esempioda 1+25 a 1+100, in modo che agisca in profondità e non in superficie. Oltre che sulle dimensioni, il rivelatore influisce anche sulla forma della grana, il cuiaspetto potrà essere quello di una trama fitta e compatta, oppure fioccosa e sfilac-ciata. Se si sviluppa una Kodak T-max 3200, esposta alla sua sensibilità dichiarata,in HC-110 concentrato, si otterrà una trama della grana ben diversa da quanto si ot-tenga con l’X-tol: fioccosa e irregolare nel primo caso, precisa e nitida nel secondo.La stessa gloriosa Kodak Recording mostrava una nitidezza piuttosto bassa e unagrana confusa se sviluppata in HC-110, ma acquistava una insospettabile acutanza euna trama nitida e secca se trattata in Rodinal 1+25 o 1+50. Con questo non bisogna pensare che l’HC-110 sia un pessimo rivelatore, ma a mioavviso funziona molto meglio sotto molti parametri a diluizioni spinte, da 1+31 insu che a diluizioni concentrate, ad esempio 1+7 o 1+15.

Ingranditore a luce reflex Durst M 601, pro-genitore di molti apparecchi di costruzioneanaloga oggi in commercio. A destra il co-perchio della testa con lo specchio a 45° checonvoglia i fasci luminosi verso i due con-densatori intercambiabili a seconda del for-mato 135 o 120.

Ingranditore Durst M 601: al centro i due condensatori per il formato 120, uno dei quali de-ve essere impiegato con quello a lente rotonda per il formato 135; in evidenza l’ottica adat-ta per tale formato e il disco rientrante di montaggio.

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Particolare della ca-mera di diffusione del-la luce del FocomatV35; in alto l’ingres-so della luce prove-niente dalla alogena,schermato da un filtroanticalore, e in bassoun filtro distributore,leggermente opalinoal centro, per ottimiz-

zare la distribuzione della luce ai bordi, punto spesso dolente dimolti ingranditori a luce condensata.

lungata o energica da parte del rivelatoreal fine di ottenere una densità e un contra-sto accettabili, anche se i valori esposime-trici sono stati rispettati.

Il ruolo dell’ingranditoreSe fino a questo punto abbiamo visto cosaaccade al negativo, dobbiamo chiederci oracome venga influenzata la riproduzione del-la grana nella fase finale di stampa. Comeabbiamo già detto sopra, in questa sede par-leremo non di granularità del negativo, madi granulosità della stampa, ovvero dellamaggiore o minore visibilità della grananella riproduzione su carta sensibile. Non tutti gli ingranditori sono progettati al-lo stesso modo, infatti vi sono diverse scuo-le di pensiero circa la costruzione del si-stema di illuminazione del negativo, al dilà della realizzazione meccanica e dellaqualità relativa. Per quello che ci riguarda in questo mo-mento, non ha importanza ad esempio il ti-po della colonna, se essa sia verticale, in-

clinata o a bracci sospesi, né il tipo dellamessa a fuoco, manuale, semiautomatica ototalmente automatica; ci interessa inveceandare a vedere come è stato progettato erealizzato il sistema di illuminazione dellatesta di proiezione e il relativo percorso ot-tico della luce emessa prima di investire ilnegativo. Possiamo individuare tre tipi diversi di il-luminazione, il primo costituito da un si-stema lampadina-condensatore posti in ver-ticale sullo stesso asse, un secondo semprea condensatore in cui la luce della lampa-dina è convogliata mediante uno specchiosecondo un percorso a 90°, e un terzo nelquale la luce emessa da una sorgente pun-tiforme è proiettata in una camera di diffu-sione prima di arrivare ad illuminare il ne-gativo. Nei primi due casi la luce viene fornita dauna lampadina opalina dotata di filamentoa corona, nel terzo da una lampada aloge-na, il cui filamento viene detto puntiformeper la ridotta superficie di emissione, op-

LALA MISURAMISURA DELLADELLAGRANULARITGRANULARITÀÀ

I valori RMS (root mean square - of de-viation - cioè scarto quadratico medio)esprimono di fatto una media matematicadelle variazioni di densità che si possonomisurare su delle zone molto limitate delfilm in esame e il valore ottenuto rappre-senta lo scarto quadratico medio moltipli-cato per 1000. Tanto più elevato è questo valore, tanto piùgrosse saranno le dimensioni dei granulidi quel materiale. Vediamo un esempio. Leggendo le notetecniche fornite dall’Agfa per le sue pel-licole in B/N si possono trovare i valoriRMS di granularità delle varie emulsioniesposte in luce diurna per 1/50 di secon-do e trattate per 6 minuti in Refinal a 20°C;il valore di grana diffusa RMS (x1000) del-l’Agfapan APX 25 è pari a 7, per l’Agfa-pan APX 100 è pari a 9 e infine per l’Ag-fapan 400 è pari a 14.

Ingranditore Focomat V35 autofocus a luce diffusa con braccio oscil-lante sospeso e camma di messa a fuoco automatica di precisione. Alcentro la scatola di diffusione della luce proveniente da una alogena da75W. A destra il modulo per il filtro rosso di sicurezza, sostituibile a pia-cere con il modulo per carte MC o per il colore.

Focomat V35: vista dall’altodella testa illuminante, con sor-gente alogena puntiforme.

Focomat V35: camera di diffu-sione e modulo luce di sicurez-za alloggiati; la luce provenientedall’alogena entra nella came-ra e si diffonde prima di illumi-nare in basso il portanegativi.

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pure da una sorgente di luce diffusa ‘fred-da’, non ad incandescenza, ma in grado difornire luce diffusa. Nei sistemi a condensatore la luce che col-pisce il negativo viene riflessa maggior-mente dalle zone più annerite e pertantonelle zone più chiare della stampa si avràuna perdita di dettaglio maggiore rispettoa quanto avviene con i sistemi a luce dif-fusa. Quindi il primo tipo di illuminazione for-nisce stampe più contrastate e ‘trasparen-ti’, in apparenza dotate di maggiore acu-tanza, impressione dovuta per lo più ad unmaggiore contrasto, il secondo invece pro-duce stampe caratterizzate da una scala to-nale più estesa. La differenza è abbastanza sensibile tantoche se stampiamo normalmente con unacarta n.2 con un sistema a luce condensa-ta, per ottenere all’incirca la stessa separa-zione tonale con un ingranditore a luce dif-fusa sarà necessario utilizzare una carta digradazione n.3.Il maggior contrasto può essere attenuatomediante l’interposizione di un filtro opa-lino o finemente smerigliato fra la sorgen-te luminosa e il gruppo ottico del conden-satore, ma occorre tenere presente che que-sto determina una perdita di luminosità dicirca un diaframma. Ma cosa c’entra tutto questo con la ripro-duzione della grana? Se osserviamo le stam-pe dello stesso negativo ricavate da in-granditori diversi potremo notare che le di-

mensioni apparenti della grana sono in ef-fetti differenti. Diamo per scontato che l’ottica impiegatasia la stessa o per lo meno della stessa qua-lità, ad esempio un obiettivo con schema asei lenti simmetrico, oppure a tre-quattrolenti asimmetrico. Allo stesso rapporto diingrandimento, la luce condensata produ-ce una granulosità dell’immagine maggio-re rispetto a quella prodotta da una luce dif-fusa. Se estendiamo queste considerazioni al ca-so dei granelli di polvere presenti sul ne-gativo, alle abrasioni dell’emulsione o aigraffi del supporto, questi difetti sarannoevidenziati in misura maggiore se l’in-granditore ha un sistema a luce condensa-ta. Il vantaggio di un sistema a luce diffu-sa è quindi costituito dalla sua capacità diattenuare la granulosità dell’immagine e direndere meno evidenti i segni di polvere egraffi; inoltre questa illuminazione produ-ce una scala tonale più estesa, rendendomeno necessarie leggere bruciature localie dando la possibilità di utilizzare una car-ta di gradazione leggermente più contra-stata. Il vantaggio di un ingranditore a lu-ce condensata sta invece nella maggiorebrillantezza e nel contrasto più elevato del-le stampe; questo ingranditore inoltre di-spone di una “forza luminosa” maggioreche si traduce in tempi di posa minori a pa-rità di potenza applicata.

Andrea Valsasnini

Immagine di riferimento. Negativo Agfapan APX 400, carta Iford n.3.

Massimo ingrandimento della colonna conMeopta Opemus 6. Grana un poco sfumatama contrastata, scala tonale ridotta.

Massimo ingrandimento della colonna conDurst M 601. Grana ancora appariscente,scala tonale ancora più contratta della fotoprecedente a causa dell’impiego di un con-densatore circolare per formato 135. Le al-te luci sono scarsamente riprodotte e la gra-na ha un notevole microcontrasto.

Massimo ingrandimento della colonna conLeitz Focomat V35 autofocus. Le alte luci so-no più ricche di dettagli con una grana unpoco meno appariscente che nei casi prece-denti, regolare e compatta.