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LUIGI MATTIONI,architetto della ricostruzione(Villa Ida, la sua residenza cocquiese)
E’una casa d’atmosfera. Haun che di arioso, raccolto;il verde del giardino otto-
centesco crea poi una cornice sin-golare di alberi signorili e curati.Luogo ricercato e soprattuttoamato (lo si intuisce dai tanti par-ticolari architettonici) denota lapassione di chi l’ha voluto così.L’architetto Luigi Mattioni (1914– 1967), protagonista di primopiano nella Milano della rico-struzione (centinaia era i suoiprogetti “concepiti e realizzati aritmi serrati”), era solito tornarenella casa paterna di Cocquio, ac-quistata dai nonni nel 1902. Lasua attività, frenetica e ricercata,può essere sintetizzata in questafrase di Guido Zucconi nell’in-troduzione al testo “Luigi Mat-tioni – architetto della ricostru-zione” (Electa 1985): “Per quan-tità e dimensione, i progetti ela-borati dallo studio Mattioni tra il1950 e 1960 non troveranno al-cun paragone nel panorama pro-fessionale di Milano. Due pro-
getti in particolare mutano i termini dell’attività e ne ampliano la scala: il grattacie-lo di Milano e il centro Diaz, l’uno inteso come metafora multipiano di “Milanoche cresce”, l’altro inizialmente concepito come traduzione milanese del Rockefel-ler Center”. Un nome, dunque, il suo, di primo piano nella Milano caratterizzatadal bisogno dell’abitazione e dalla crescita tumultuosa. “Era una mente cartesiana –ricorda la figlia Ida – che ha risposto alle esigenze del dopoguerra: costruire in mo-do rapido e differenziato, in sintonia con una produzione tecnologica molto avan-zata e con materiali nuovi”. “I suoi modelli – si legge nel testo citato – sono tra i grat-tacieli di Park Avenue e le palizzate della Quinta Strada. Compiuto per l’inaugura-zione del negozio Olivetti di New York nell’aprile del 1959, il primo e unico viag-gio di Mattioni negli Stati Uniti è una sorta di pellegrinaggio nei luoghi conosciutie ammirati sulla carta: un po’ come il voyage en Italie del professore di belle arti cheper anni ha fatto copiare le rovine dell’antichità”. Continua Zucconi: “Di fronte al-l’eccezionale quantità di progetti e alla collocazione nevralgica di essi, si può affer-mare, senza tema di smentite, che non vi è, in quegli anni, professionista più deter-minante di Mattioni nel definire il nuovo volto di Milano. I circa duecento edifici ei tre milioni e mezzo di metri cubi da lui realizzati tra il 1950 e il 1960 rappresen-tano un apporto fuori dalla norma alla nuova fisionomia urbana. Ciò vale non sol-tanto per le fasce di espansione, ma soprattutto per i punti cardine del centro, dovei danni della guerra e i repentini incrementi di valore creano le condizioni per radi-
cali processi di sostituzione. Non vi è operazione di renewal, nella Milano degli an-ni Cinquanta, che non veda l’intervento di Mattioni: dal completamento della Rac-chetta alla creazione del centro direzionale, dalla trasformazione dell’asse centro –stazione alla sistemazione di piazzale Loreto. Non vi è nodo di primaria importan-za che non sia interessato da un progetto di Mattioni: da piazza San Babila a piazzadella Repubblica, da piazza Cavour a piazza Duomo. Il centro Diaz, il palazzo Om-sa, la torre Turati, il centro San Babila diventano così gli elementi segnaletici del pro-cesso di urban renewal”. Sono commenti lusinghieri che danno la dimensione del-l’impronta basilare lasciata dall’architetto cocquiese in Milano. A maggior ragione,desta quindi interesse la sua casa in paese “Villa Ida”, così raccolta, così intima, lon-tana dai modelli ritrovati nel capoluogo lombardo. “Qui – aveva detto quando la re-staurò nel 1956/58 – ho realizzato tutto ciò che non mi è stato permesso dalla rou-tine professionale”. Qui era la sua casa, lontana dagli ospiti importanti, dai viaggi im-portanti, dalla routine quotidiana. E’ il Mattioni che non lavora su nuovi progetti,ma su mura che hanno un vissuto antico, su pietre che parlano. Pietre da cui ha fat-to riemergere l’anima, curandone i dettagli, quasi un genius loci. “Pur introducendoelementi del comfort e del linguaggio moderno – si legge nel testo – egli mantenneinalterato l’originario impianto seicentesco. Statue, colonne, bifore, rivestimenti mu-sivi e marmorei completano una composizione minuziosamente studiata: una sor-ta di réflexion architecturale nel mezzo di un’attività frenetica”. Così grande rilievo eb-be il bel giardino, creato daiproprietari che vissero qui nel-la seconda metà dell’Ottocen-to, certi Mariani, che ebbero ungusto squisito ed una culturaraffinata, se si considera l’enci-clopedia botanica in greco chelasciarono quando vendetterola casa. Ci sono curiosità cheaffascinano e contribuisconoin parte a ricostruire le storiadella casa. Per esempio quelladata 1610 accanto al nome Cri-stoforo Boldetto, scoperta trale carte, oppure la presenza diun torchio antico giacché quisi coltivavano la vite e i gelsi. Sipuò dunque parlare di econo-mia curtense all’interno di que-sto edificio perché le struttureoriginarie lasciavano com-prendere appieno la sua fun-zione conventuale. Ne è testi-monianza tutt’oggi la presenzadella chiesa, prospiciente lastrada. Dedicata all’Assunta,conserva ancora il matroneo,protetto da una griglia.
Sorride la figlia Ida mentre ricorda il padre seduta nel suo giardino. Il suo è un sor-riso che lascia trasparire un affetto infinito nei confronti del genitore che l’ha lascia-ta troppo presto, improvvisamente. “Era molto orgoglioso di me”, dice mentre ricordaquel giorno a Roma, quando seduti su una carrozzella, velatamente le chiese scusaper il poco tempo che poteva dedicarle, assillato dal troppo lavoro. “Ma da ora in poi– le aveva detto – cercherò di recuperare”.
Federica Lucchini
L’Arch. Mattioni con la moglie e la figlia.
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