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Parrocchia Santa Maria a Piazza Corso biblico VIII L'ESODO E LA CONQUISTA (ES; LV; NM; DT; GS 1-11) • CONTESTO BIBLICO Mosè, la guida del popolo Gli inizi fondativi della storia di Israele sono "dominati" interamente dalla figura di Mosè, sotto la cui autorità viene posta l'intera Torah. Nell'ambito della fenomenologia religiosa è facilmente riscontrabile come l'uomo abbia sempre riconosciuto la necessità del tramite di altri uomini che rendessero possibile un contatto con il divino; si tratta di quei personaggi che Mircea Eliade chiama, in termini generali, gli «specialisti del sacro», e che, in altri termini, più pertinenti alla storia di Israele, potremmo definire «mediatori» e «guide» del popolo. La figura paradigmatica, da questo punto di vista, è appunto quella di Mosè: egli è colui che rende presente Dio in mezzo al popolo e rende presente il popolo davanti a Dio. Mosè è la guida spirituale, colui che, investito dello spirito di profezia, è capace di decifrare i segni di Dio. Come figura sacerdotale intercede per i fratelli diventando, in modo particolare, mediatore di perdono: egli scampa il popolo dal fuoco dell'ira divina (Nm 11,1-2), dai serpenti velenosi (Nm 21,4-9), prega in favore del fratello Aronne (Dt 9,20) e della sorella Maria colpita da lebbra (Nm 12,11-16). L'esodo e il decalogo: alle origini dell'identità La liturgia cristiana stabilisce una relazione diretta tra l'avvenimento centrale della fede - la risurrezione di Cristo - e la liberazione dalla schiavitù egiziana: «Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso» (Preconio della Veglia pasquale). Da questo punto di vista, la liturgia pasquale cristiana riprende la tradizione ebraica: «Eravamo schiavi di Faraone in Egitto; ma di là ci fece uscire il Signore, nostro Dio, con mano forte e braccio disteso. Se il Santo - benedetto Egli sia - non avesse fatto uscire i nostri padri dall'Egitto, noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, saremmo ancora schiavi di Faraone in Egitto [...]. Quanto più ci si sofferma a trattare dell'uscita dall'Egitto, tanto più si è degni di lode» (Haggadah di Pesach). Non solo la Pasqua, ma anche le feste ebraiche di Shavuot e di Sukkot hanno una relazione diretta con l'uscita dall'Egitto. Da questa constatazione è possibile intuire l'assoluta centralità dell'esodo nella tradizione biblica. L'identità religiosa del popolo di Israele, e addirittura l'identità stessa di Dio, trovano il loro tratto più caratteristico nell'avvenimento della liberazione dalla schiavitù egiziana: «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2; cfr. anche 1

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Parrocchia Santa Maria a PiazzaCorso biblico VIII

L'ESODO E LA CONQUISTA (ES; LV; NM; DT; GS 1-11) • CONTESTO BIBLICOMosè, la guida del popoloGli inizi fondativi della storia di Israele sono "dominati" interamente dalla figura di Mosè, sotto la cui autorità viene posta l'intera Torah. Nell'ambito della fenomenologia religiosa è facilmente riscontrabile come l'uomo abbia sempre riconosciuto la necessità del tramite di altri uomini che rendessero possibile un contatto con il divino; si tratta di quei personaggi che Mircea Eliade chiama, in termini generali, gli «specialisti del sacro», e che, in altri termini, più pertinenti alla storia di Israele, potremmo definire «mediatori» e «guide» del popolo. La figura paradigmatica, da questo punto di vista, è appunto quella di Mosè: egli è colui che rende presente Dio in mezzo al popolo e rende presente il popolo davanti a Dio. Mosè è la guida spirituale, colui che, investito dello spirito di profezia, è capace di decifrare i segni di Dio. Come figura sacerdotale intercede per i fratelli diventando, in modo particolare, mediatore di perdono: egli scampa il popolo dal fuoco dell'ira divina (Nm 11,1-2), dai serpenti velenosi (Nm 21,4-9), prega in favore del fratello Aronne (Dt 9,20) e della sorella Maria colpita da lebbra (Nm 12,11-16).L'esodo e il decalogo: alle origini dell'identitàLa liturgia cristiana stabilisce una relazione diretta tra l'avvenimento centrale della fede - la risurrezione di Cristo - e la liberazione dalla schiavitù egiziana: «Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso» (Preconio della Veglia pasquale). Da questo punto di vista, la liturgia pasquale cristiana riprende la tradizione ebraica: «Eravamo schiavi di Faraone in Egitto; ma di là ci fece uscire il Signore, nostro Dio, con mano forte e braccio disteso. Se il Santo - benedetto Egli sia - non avesse fatto uscire i nostri padri dall'Egitto, noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, saremmo ancora schiavi di Faraone in Egitto [...]. Quanto più ci si sofferma a trattare dell'uscita dall'Egitto, tanto più si è degni di lode» (Haggadah di Pesach). Non solo la Pasqua, ma anche le feste ebraiche di Shavuot e di Sukkot hanno una relazione diretta con l'uscita dall'Egitto. Da questa constatazione è possibile intuire l'assoluta centralità dell'esodo nella tradizione biblica. L'identità religiosa del popolo di Israele, e addirittura l'identità stessa di Dio, trovano il loro tratto più caratteristico nell'avvenimento della liberazione dalla schiavitù egiziana: «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2; cfr. anche 6,7; 29,45; Lv 11,45; 22,32; 26,11-13; Nm 15,41; Dt 4,32,40; 5,6; 6,20-24 ecc.). In questo orizzonte di senso, si capisce perché il ritorno dall'esilio di Babilonia verrà descritto (anche) come un nuovo esodo. Nel cammino esodico, un momento decisivo è costituito dalla tappa al Sinai, dove il Signore consegna al popolo le «tavole dell'alleanza», che recano incise le «dieci parole» (Es 20,1-21; Dt 5,1-22). Riposte e custodite nell'arca dell'alleanza, le tavole saranno per il popolo segno della presenza di Dio e della sua Parola. Il decalogo costituisce il testo centrale di tutta la tradizione religiosa di Israele, nel suo rapporto con l'alleanza, nelle sue molteplici modulazioni e momenti. Il primo momento dell'alleanza, la creazione (Gen 1-2), aveva unito l'intero universo al suo Creatore. Rinnovata in Noè (Gen 9,1-17), essa raggiunse un terzo stadio in Abramo sotto il segno della circoncisione e della duplice promessa: la terra e la discendenza (Gen 12,1-7; 15,1-19; 17,1-27; 22,1-18). Il Sinai costituisce la quarta tappa: Mosè e Israele diventano gli «eletti» della rivelazione e della comunicazione del disegno divino sulla terra (Es 19-24; Dt 5-7). Un quinto livello sarà realizzato con la tribù di Levi, consacrata al servizio di Dio presente nel suo Santuario (Es 32,25-29; Dt 10,1-9); la monarchia del re Davide unita al sommo sacerdozio rappresenterà un ulteriore passo in avanti. Resta ancora un momento, assolutamente decisivo, di questa storia di alleanze, che diventerà il segno della «nuova creazione»: esso sarà in realtà un «trampolino di lancio» verso il futuro, il Messia, re e sacerdote (cfr. Ger 31,31-34), nel quale si compirà la pienezza del disegno di Dio e la salvezza dell'umanità (cfr. Ef 1,3-14).

CONTESTO STORICOIsraele in EgittoLa notizia dell'insediamento della famiglia di Giacobbe nella terra di Gosen/Ramses deve essere letta nell'ambito delle relazioni tra l'Egitto e la terra di Canaan. Le fonti documentarie egiziane, confermate dagli scavi archeologici, provano che popolazioni nomadi (chiamate shasu) provenienti da Canaan, dalla Transgiordania e dal Neghev, tentavano regolarmente di entrare in Egitto dai suoi confini orientali. Tali popolazioni erano ritenute dagli Egiziani inferiori per cultura e civiltà. «Ma sorse sull'Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe»: il libro

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dell'Esodo (1,8) riassume così circa 400 anni di storia, prima di addentrarsi nella narrazione dell'evento chiave della storia di Israele. Lo stanziamento della famiglia di Giacobbe in Egitto e la conseguente permanenza delle tribù israelitiche nella regione orientale del Delta del Nilo sono cronologicamente situate all'epoca degli Hyksos (ca. 1720- 1550 a.e), nome che significa probabilmente «governatori di terre straniere»: originari delle regioni di Canaan, e penetrati in Egitto attraverso un graduale processo migratorio, approfittando della debolezza del governo centrale, gli Hyksos si stabiliscono nella regione del Delta riuscendo a tenerla sotto controllo per quasi due secoli. Quando però, intorno al 1550 a.C, vengono sconfitti ed espulsi dal faraone Ahmose I, la situazione diventa sfavorevole anche per gli lsraeliti, considerati dei «miserabili asiatici, abitanti della sabbia», come tutti i nomadi che entrano ed escono dalla regione del Delta. Attorno al 1350 a.C, gli Egiziani iniziano le costruzioni delle grandi città deposito - Pitom e Ramses - nella zona vicina agli accampamenti di questi nomadi, nella parte più a est del Nilo, nel Gosen. Gli «immigrati» (tra cui, appunto, gli Israeliti) vengono sottoposti ai lavori forzati nella fabbricazione di mattoni e nell'attività di costruzione. Probabilmente è sotto il regno di Ramses Il (1304-1238 a.C), il più potente e grande costruttore, che la schiavitù raggiunge il suo apice: «gli Egiziani sottoposero i figli d'Israele a un lavoro massacrante: amareggiarono la loro vita con un duro lavoro nella preparazione dell'argilla e dei mattoni e con ogni genere di lavoro nei campi: lavori ai quali li costrinsero con dura schiavitù» (Es 1,13-14).L'esodo è un avvenimento storico?Per rispondere a questa domanda, occorre tenere presente quanto detto circa il valore storiografico delle narrazioni bibliche. Possiamo parlare dell'esodo come di un avvenimento «originario», cioè fondatore della storia di Israele come soggetto di diritto e di libertà, detentore quindi - in ogni suo membro e nella sua totalità - di quello statuto che permette di entrare in relazione con l'altro e con l'Altro, passando «dalla schiavitù (dell'Egitto) al servizio (di Dio)», L'ingresso nella terra: tre ipotesiL'ingresso di Israele nella terra di Canaan trova la sua attestazione in tre «gruppi» testuali: a) Gs 1-12 che descrive un evento unitario; b) Gdc 1,1- 2,5 che offre una versione più frammentaria; c) Gen 34; Nm 13-14; 32-34;Gdc 17-18 che presentano un'occupazione ora pacifica, ora militare, non unitaria. Storicamente, cosa è accaduto? Gli studiosi avanzano tre ipotesi: 1. La conquista, almeno nelle prime tappe, fu il prodotto di pacifici insediamenti nei territori delle città-stato più estese e meno popolate. In un secondo momento avrebbe assunto carattere violento. 2. La conquista sarebbe avvenuta in forma frammentaria da quattro gruppi distinti: Giuda, Simeone e Levi nel sud; Ruben, Gad e Manasse nella Transgiordania; Beniamino ed Efraim al centro; Aser, Zabulon e Neftali al nord. Questi ultimi, tra l'altro, non sarebbero mai stati in Egitto. 3. La conquista nascerebbe «dall'interno» come rivolta delle popolazioni rurali contro lo sfruttamento delle città-stato. Alcuni contadini, oppressi dalle tasse, avrebbero lasciato i territori delle città occupando le terre disabitate sugli altipiani, unendosi qui a gruppi semitici di pastori.ARCHEOLOGIALa stele di IsraeleIl più antico documento extra-biblico a fare menzione esplicita di Israele è la stele celebrativa del faraone Merneptah (figlio del grande Ramses Il), databile nella seconda metà del XIII secolo a.C., rinvenuta a Tebe e conosciuta anche come «stele di Israele». La stele si riferisce anzitutto alla vittoria del faraone contro la Libia (chiamata «Tehenu» e «Nove Archi») nel quinto anno del suo regno; ma le righe finali fanno riferimento alle conquiste nell'area siro-palestinese (chiamata «Hatti», «Canaan» e «Horu») e in modo particolare vengono menzionate le città di Àscalon, Ghezer e Yanoam. Israele viene menzionato solo con il determinativo onomastico, molto probabilmente perché non ancora sedentarizzato. Accettando una successione topografica, nella menzione delle località, da sud a nord, Israele dovrebbe risiedere nella media o alta Galilea. Ecco il brano: «I principi si sono prostrati e dicono: Pace! Àscalon è stato deportato, tra i Nove Archi nessuno alza la testa, abbiamo preso Ghezer, Tehenu è devastato; Hatti è in pace, Yanoam non esiste più, Canaan è privato della sua malvagità! Israele è stato annientato, Horu è come una vedova davanti all'Egitto, e non ha più discendenza». Espressioni come «distrutto; annientato; non ha più discendenza» fanno parte del frasario abitualmente impiegato per parlare di una vittoria totale. Le iscrizioni immediatamente successive che ricordano Israele sono di provenienza assira o moabita, scritte quasi 400 anni dopo quella di Merneptah.Le tracce della schiavitù

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In Egitto, la manodopera ordinaria era costituita da soldati, prigionieri di guerra e servi addetti al tempio e alla reggia. Questi ultimi in genere erano schiavi o discendenti di schiavi. Una scena della tomba di Rechmare, sotto la XVIII Dinastia, rappresenta alcuni uomini che producono e trasportano mattoni e le iscrizioni dicono: «... gli schiavi che sua Maestà ha condotto per i lavori del tempio (di Amon a Tebe) ... fabbricanti i mattoni per costruire i magazzini (di Arnon)», É noto che Amenofis Il (XV sec. a.C) abbia condotto in Egitto dalla sua campagna in Asia oltre 3600 prigionieri di guerra. Due papiri del regno di Ramses Il (1304-1238 a.C) prescrivono di distribuire le razioni ai soldati e agli schiavi che portano pietre per le costruzioni nella regione di Menfi. Ramses IV, nel 1150 a.C. circa, invierà una spedizione alle miniere dello Wady Hammamat composta da operai specializzati, 5000 soldati, 200 marinai, 800 schiavi e 2000 uomini dediti al servizio presso il tempio e la reggia. Quale Sinai?La tradizione che identifica il monte Sinai con il Gebel Musa, dove sorge il monastero di Santa Caterina, nella penisola tra il golfo di Suez e il golfo di Aqaba, è relativamente recente: risale a una tradizione cristiana del IV secolo d.C. - riconducibile alla pellegrina spagnola Egeria, che visita il luogo introno al 383 - ed è ignorata dall'ebraismo. Il Gebel Musa non è nemmeno la cima più alta della zona. Certa è una cosa: fin dal III secolo d.C., quest'area viene popolata da mnaci e anacoreti cristiani, che tra il IV e il VI secolo edificano una serie di eremi e monasteri nelle valli adiacenti al Gebel Musa. C'è chi propone altre localizzazioni: una tradizione documentata a partire dal VI secolo colloca la montagna 5 km più a nord, presso il Gebel Serbai; altri ancora - tra i quali Eusebio di Cesarèa e Giuseppe Flavio - suggeriscono la regione dell'Arabia settentrionale, dove la presenza di alcuni vulcani renderebbe più verosimile la descrizione dei fenomeni che accompagnano la teofania nel testo biblico. In Arabia il Sinai viene collocato anche dalla tradizione paolina di Gal 4,25. Il toponimo «Arabia», però, nell'antichità veniva applicato anche alla zona a sud-est della Palestina, penisola del Sinai compresa ... Una curiosità: nel 1980 un archeologo italo-israeliano, Emmnuel Anati, ha ipotizzato la localizzazione del monte Sinai sul Har Karkom molto più a nord e fuori dalla penisola del Sinai. Su tale montagna egli trovò resti risalenti al III millennio a.C. e agli inizi del Il, tra cui iscrizioni e steli che testimonierebbero la presenza di un culto. Tale ipotesi continua ad essere considerata come poco plausibile in quanto stravolge la cronologia biblica e utilizza i testi sacri in modo soggettivo. Il mistero quindi rimane, alimentato dai diversi nomi con cui la montagna è chiamata nel testo biblico: Sinai, Oreb, Paran.

FLASHLa discesa degli Israeliti in Egitto L’episodio è narrato nei capitoli 42-47 della Genesi: dopo essere stato venduto da i fratelli per invidia (e ritenuto morto dal padre Giacobbe), Giuseppe si ritrova in Egitto dove acquista potere fino a diventare vizir del faraone; in occasione di una grave carestia, i figli di Giacobbe sono costretti a scendere dal faraone per acquistare grano. Qui si ritrovano con sorpresa a tu per tu con il fratello incaricato proprio della distribuzione del grano. Giuseppe invita così Giacobbe e l'intera famiglia in Egitto mentre il faraone mette a disposizione la terra di Gosen (Gen 47,5-6), chiamata anche «terra di Ramses» (47,11), proprio in riferimento al faraone Ramses II.

FLASHLa via dell'esodoLa questione relativa all'itinerario seguito dagli Israeliti per l'esodo è tra le più complesse. Molte delle località citate dalla Bibbia restano sconosciute, altre corrispondono a itinerari contraddittori. Tutte le tradizioni menzionano il «mare» ma non permettono di identificarlo. Le divergenze si spiegano meglio se si ammettono diversi esodi: alcuni ebrei, espulsi al tempo della cacciata degli Hyksos, avrebbero seguito la via costiera più a nord, controllata dagli Egiziani; altri fuggendo dai lavori forzati, avrebbero seguito più tardi la via del deserto sotto la guida di Mosè. Le singole tappe di tale cammino restano in ogni caso sconosciute.

FLASHMosè, l'umile intercessoreLa più grande preghiera intercessoria di Mosè è quella che fa seguito alla trasgressione del «vitello d'oro» (Es

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32,11-14.30-35; Dt9,7-19), quando, secondo una tradizione rabbinica basata su Es 32,32, Mosè giunge persino a offrire la propria vita in cambio di quella del popolo. Mosè passerà alla storia per due tratti forti della sua personalità: l'intimità con Dio (Es 19,9; 20,21; 24,18; Nm 12,7-8; Dt 34,10) e l'umiltà, che si esprime, per esempio, quando Dio concede il dono profeti co ad altri tra il popolo (Nm 11,24 - 29), senza che Mosè provi alcuna gelosia.

FLASHIl desertoNella tradizione biblica il deserto non è solo un luogo, ma anche un'esperienza teologica ed esistenziale: è lo spazio dell'attesa e dell'incontro, della prova e della crescita, del fidanzamento e del tradimento, della rivelazione e della tentazione, della crisi di fede e dell'esperienza della fiducia. Nella terra senza vita, Dio si presenta come l'unico punto di riferimento: manna, quaglie e acqua sono i segni della sua presenza amorosa e gratuita. All'uomo, tuttavia, è sempre lasciata la possibilità della ribellione e della mormorazione: Dio, in questo caso, si arresta e non impedisce nemmeno di essere ridotto alla «figura di un toro che mangia fieno» (Sal 106,20)!

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