willy variln dalla parte della morte

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vittorio sgarbi

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  • Willy Varlin, dalla parte della morte

    Autor(en): Scarbi, Vittorio

    Objekttyp: Article

    Zeitschrift: Quaderni grigionitaliani

    Band (Jahr): 69 (2000)

    Heft 4

    Persistenter Link: http://dx.doi.org/10.5169/seals-52948

    PDF erstellt am: 02.06.2015

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    http://dx.doi.org/10.5169/seals-52948
  • VITTORIO SGARBI

    Willy Varlin, dalla parte della morte

    Vittorio Sgarbi (Ferrara 1952) e critico e storico delTarte e direttore detta Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Veneto. E autore di numerosi saggi e articoli, apparsisulle principali riviste specializzate. Con la Rizzoli ha pubblicato Davanti all'immagine(1989, Premio Bancarella 1990), II pensiero segreto (1990) e Va stanza dipinta (1993)che contiene il saggio qui riportato.

    Certe volte penso che viviamo tutti in unequivoco, credendo di vedere persone chenon ci sono e ignorando altre che sono presenti, come se prima di tutto non fossimocerti dei fondamenti della nostra stessa esistenza. Sempre pi spesso mi accade di parlare con uomini che non sono pi con noiinterrogandoli sulla verit delle cose chevedo per averne una prova certa attraversoil conforto del loro consenso; e sempre pispesso incontro incomprensione e confusione nei vivi, come se appartenessero ad unaltro mondo, non sentissero le cose che sento, non vedessero le cose che vedo. Sarperche i morti sono come il nostro specchio,vengono ricostituiti dalla memoria a nostraimmagine e somiglianza, perdono i limiti e idifetti legati alla condizione umana, sonoforti e incorruttibili.

    Hanno perso l'ombra della carne. Trovoperfettamente espressa questa situazionenelle parole di Philipp Otto Runge: I mieipi cari e migliori amici li ho trovati tra gliuomini che non vivono pi ed fe tutto il mioessere a gioire se in loro incontro me stesso. Ritorno a questi pensieri sulla vitalitdella morte ogni volta che mi accade di scrivere o parlare di Willy Varlin, un artistadella cui grandezza non mi pare possibiledubitare e sul qule sento invece, con unacerta insistenza, opinioni limitative e contraddittorie. una cosa strana in un'epoca

    in cui non esistono incompresi, in un epocain cui non si nega a nessuno il riconoscimento, anche convenzionale, di un valore, o laforza di una testimonianza. Mi riesce difficile pensare che Varlin possa apparire inco-municante, elusivo o non abbastanza artistacome alcuni vorrebbero obiettare al mio entusiasmo.

    So che c'fe in Varlin troppa forza di vita,troppa verit per consentirci dubbi o riser

    ve, e allora mi convinco che molti che cipaiono vivi sono soltanto tiepidamente vivi,sentono debolmente, non sopportano troppoforti emozioni.

    Varlin fe diretto, facilissimo o difficilissi-mo in proporzione della resistenza interiorealle emozioni. Oecorre una grande coscienza della nostra inutilit, della nostra progressiva dissoluzione per seguire la quotidianatestimonianza della sua dissoluzione che festoria di ogni uomo. Pochi quadri come i suoisono quadri di esistenza, segnali di un'estre-ma umana piet. Pochi pittori come lui sonodisarmati, e disarmati anche di arte, Timpro-prio strumento che ci fe stato aecordato peresprimere il sentimento della nostra vita.Varlin cerca continuamente di andare oltregli istituti dell'estetica, non crede alla bellezza della pittura se essa non giunge quasiinvolontariamente come complemento emodo di essere dell'esistenza. in ci Topposto di De Pisis o di Bonnard che ritrovano

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  • Dalla parte della critica

    quasi con meraviglia Tesistenza dentro Tarte. Varlin dipinge dalla parte della morte, inuna prospettiva difficile da assumere madrammaticamente autentica. Allora non posso accettare pi dubbi e riserve e mi tornano in mente i versi di Eugenio Montale:

    Avevamo studiato per l'aldilun fischio, un segno di riconoscimento.Mi provo a modularlo nella speranzache tutti siamo gi morti senza saperlo.

    II giorno che mon il mio parente pi caro,non so come cercai conforto istintivamente,per necessit, tra le pagine delle poesie diMontale. Sapevo cosa avrei trovato, ma nonpotevo prevedere con quanta intensit sisarebbe impresso in me, confermandomi unrapporto incomunicabile con i nostri cari che

    neppure la morte poteva interrompere. Varlin parla per loro, lui conosce il fischio, ilsegno di riconoscimento che noi stiamo ten

    tando: sappiamo che lui ci viene incontrocome un fantasma tra i fantasmi dalle zonepi profonde del silenzio. Di fronte alle suecoppiette davanti al Vesuvio ho la certezzadi questo dialogo supremo, di questa trasfi-gurazione di persona e natura, in un aldilnel qule la terra, Tacqua e i corpi sono senza peso, nella luce indistinta: come in unmare di latte. Galleggiano le fragili ed eva-nescenti figure degli amanti sospese in uneden luminoso dove il cielo e il fumo, Tacqua e il monte, Tasfalto e le nuvole sono unasola cosa: l'amore dei fidanzati fe come unabbraccio di angeli senza tempo, in un limbo di innocenza ed incoscienza. Come fe possibile non intenderlo? Come fe possibile giudicare Varlin inadeguato e limitato?

    Tornando a Bondo, il paese dove Varlinaveva trovato rifugio, anche nell'ordinenuovo che alle sue opere - un tempo dislo-cate quasi in ogni casa del paese, tra ma-

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    Varlin mentre dipinge, 1973, collezione privata

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  • Dalla parte della critica

    gazzini, stanze di alberghi, scuole, improv-visati atelier di restauro - fe stato dato, daiblocchi accatastati nelle rastrelliere prorompe una elegia cosi incontenibile che noirestiamo annichiliti, inerti, prosciugati. l'elegia stessa della vita che pulsa in ogniparticolare di ogni opera, incessantemente.Non ci sono salti o ripartizioni cronologi-che, differenze di atteggiamento o profonde evoluzioni. L'esistenza fe una correntecontinua che la pittura deve testimoniarema non fermare. Per questo il segno diVarlin fe fluido, non si chiude non si fermamai, trapassa di quadro in quadro come inun solo grande organismo.

    C'e un ritmo organico nelTopera diVarlin che sembra comporre un'unica immagine in continuo mutamento. Le operesono un corpo con i suoi tormenti e i suoiaccidenti. Questa corrente si diffonde inegual misura nelle immagini di uomini edonne e negli oggetti, negli esterni e negliinterni. Come raramente accade, il temposembra quasi non incidere sulla pittura diVarlin che non conosce variazioni, ma unaininterrotta, coerente e uguale crescitasolidale con quella biologica di Varlinuomo; difficile distinguere periodi se nonsulla base dei soggetti che, con conse-guente parallelismo, seguono gli eventidella vita stessa di Varlin. La contingenzadegli episodi e dei luoghi fe Tunica normadel pittore che ferma il suo occhio, sempre instabile o curioso, su una quotidiani-t piena di sorprese. Suo fratello maggiorefe Soutine: li accomuna una sorta di vitali-smo negativo, votato alla morte, come sein ogni soggetto fosse celata, sotto allusi-ve spoglie, una Vanitas.

    Nel 1923 Varlin fe a Parigi, dove rester undici anni. Nel 1930 inizia un rapporto di lavoro con Leopold Zborowski, equella data segna anche la data di nascitadel suo nome, che era in origine Willy

    Guggenheim. II pittore nella sua autobiografia scriver:

    Rientrando a casa, trovo un biglietto sulvaso da notte:"On Ta couvert. Ceia sentait trop mau-vais". Firmato Leopold Zborowski. Pro

    prio lui, quello che ha scoperto Modigliani e Soutine, e che adesso ha messogli occhi su di me. Contratto con Zborowski. Mi mostra una fotografia che glisomiglia: non e lui, bensi un rivoluzionario francese che aveva rovesciato lacolonna Vendome con Courbet. Zborowski trova che non avrei mai potutoavere successo con quel nome da bravoe ricco borghese, come Guggenheim: lostesso dei magnati americani delTarte edi grandi proprietari di scuderie parigi-ne: soprattutto, considerando che i mieiquadri rappresentavano il mondo deireietti. Da quel momento diventai Varlin, il nome del rivoluzionario amico diCourbet. Mentre ero ancora in vita, avevo gi l'onore d'una strada dedicata almio nome. Zborowski mi prende in affitto uno studio alla Ruche, dove hannocampato Archipenko, Soutine, Chagall eLeger. Vivo per un anno a Cros-de-Ca-

    gnes, nel Sud della Francia. Prima mostra alla galleria Sloden, Faubourg St.Honore. Viene prolungata, tanto fu ilsuccesso.

    Anche senza questa esplicita indieazione,non fe difficile aecostare opere di Soutinedegli anni trenta come La femme couchee,detta anche La Sieste, della collezione Ca-staing, e il Nu del 1933 della collezione Ralph E. Colin, con un'opera dipinta da Varlinal suo rientro in Svizzera, nel 1935, comeFrauenportrait, dov'fe rappresentata in un'attitudine di riposo una donna con tutto il pesodel suo corpo. Rispetto a Soutine la pennellata fe pi liquida, veloce, quasi immateriale;e subito si avverte che Timpatto con la figurafemminile fe diretto, al di fuori di una volontd'arte che fe sempre attiva anche in Soutine.

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  • Dalla parte della critica

    Varlin rifugge dalla bella pittura cosi comedal freddo documento; dipingere per lui feuna necessit corporale, una quasi automati-ca funzione sensoriale, un prolungamentodell'occhio e della mano. Niente fe meno pittoresco, pi disabitato e inabitabile, dei suoiquartieri cittadini, pi antiromantico dei suoipaesaggi. Juradorfim Winter, del 1935, fe unalunga strada alberata fiancheggiata da case,una veduta fredda dentro, malincnica, checi comunica la sensazione dell'aria ghiaccia-ta. Teil der alten Tonhalle, del 1937, fe pocopi di un bozzetto veloce, con limpide indicazioni spaziali; cosi Strandrestaurant in Italien, del 1939, o Insel bei Montreux, del 1940.Di fronte a queste immagini pu bastare lacitazione del pittore stesso: Nell'atmosfera"voletevi tutti bene!" di quegli anni, c'eranosolo Hodler e Amiet, quadri di paesaggi alpini e gerani. Tutto questo causa in me unostato di ribellione e di nausea. evidenteche Tattitudine di Varlin fe cosi libera, anti-convenzionale e di disadorna autenticit, proprio come qualcosa che nasce dopo il rifiutodi tutto, post nausea. una sensazione inde-finibile, ma inequivocabile, che ritroviamoanche in una natura morta come La Scarpet-ta di raso, del 1949.

    Cosi, eventi straordinari come la guerratrascorrono sullo svizzero Varlin in modoinerte, senza lasciare traccia. L'Ufficiale diMarina italiano fe un uomo con il suo tormento, e nulla vale Tuniforme di parata, con lafascia e le medaglie. Non lo salveranno,come non hanno salvato prelati e dignitaridella corte reale allucinati nelle tele di Goya.

    Intanto Varlin fe arrivato in Italia. // ritratto dett'Ufficiale di Marina, del 1954, segnala il soggiorno a Venezia, la cui memoriae affidata a una serie di indimenticabili vedute, nelle quali fe prevalente la nota tragica, anche, e soprattutto, quando Tocchio diVarlin perlustri angoli apparentemente tranquilli. Nulla fe tranquillo a Venezia: ovunque

    c'fe un'ombra grigia di inquietudine, un cuposenso di angustia, che costringe a punti divista obbligati. Naturalmente non c'fe nientedi monumentale nella Venezia di Varlin, matutto ci che la fa caduca, ordinaria. II grigio della sporcizia lo attrae pi dello splendore dei marmi alla luce del sole. L'acquaferma dei canali ha il colore del bitume, e lebianche facciate dei palazzi sono apparizio-ni lontane. L'incanto di Venezia per Varlinfe la solitudine, il rumore dei passi nelle calli, Tatmosfera plumbea. In questa Veneziasegreta non c'fe nulla di esaltante e nulla diminaccioso. Varlin semplicemente camminalungo i canali, su fondamenta mal illuminate, e osserva con malinconia i palazzi chespecchiano in una luce livida le loro facciate segrete, incombenti e inutilmente grandiose per spazi cosi ridotti che non consentonodi vederle.

    Tanto potente fe per Varlin TattrazionedellTtalia che anche in un ambiente chiusoegli ne documenta la presenza attraversouna bottiglia di vermouth Cinzano, posta suun tavolo, in una stanza chiusa (1954). Lerapide indicazioni spaziali costruiscono unambiente con evidenti richiami agli internipsicologici, camere per soggiorni obbligati,di Francis Bacon. Ecco che la statuetta distesa e la bottiglia di Cinzano diventano unmodo diverso di esprimere la Vanitas. Peruscire dall'allegoria e tornare all'imminen-za della vita fe sufficiente l'immagine dellacameriera Livia dormiente su grandi cuscini (1955) o nell'atto di riawiarsi i capelli,davanti a uno specchio, (1955) in tutta latensione del suo corpo potente sottolineatodalle vistose curve del sedere e delle gambe. Varlin affida la sua impressione a unapennellata veloce e nervosa simile a quelladi un Boldini che abbia improvvisamenteinvertito il proprio campo di interessi. UnBoldini ribaltato, dal gran mondo alla strada, anche se lo studio di Varlin fe da qual-

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