102
VÄtâw|É XáÑÉá|àÉ Z|tvÉÅÉ _xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ|

Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

  • Upload
    buidien

  • View
    224

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

VÄtâw|É XáÑÉá|àÉ

Z|tvÉÅÉ _xÉÑtÜw|

VtÇà|? ÄxààxÜx

x ÑxÇá|xÜ| ‹

ÅÉÜtÄ|

Page 2: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

e|àÜtààÉ w| Z|tvÉÅÉ _xÉÑtÜw| ;DKEI< w| _â|z| _ÉÄÄ|? ctÄtééÉ _xÉÑtÜw|?

exvtÇtà|? `tÜv{xA

Page 3: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

VÄtâw|É XáÑÉá|àÉ

Z|tvÉÅÉ _xÉÑtÜw|

VtÇà|A ÄxààxÜx

x ÑxÇá|xÜ| ‹

ÅÉÜtÄ|

|Ç vÉÄÄtuÉÜté|ÉÇx vÉÇ Ät u|uÄ|Éàxvt ÑÜÉä|Çv|tÄx ÂctáÖâtÄx TÄu|ÇÉÊ w| VtÅÑÉutááÉ

Page 4: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Fu di statura mediocre, chinata ed esile, di colore bianco che volgeva al pallido, di testa grossa, di fronte quadra e larga, d’occhi cilestri e languidi, di naso proffilato, di lineamenti delicatissimi, di pronunziazione modesta e alquanto fioca, e d’un sorriso ineffabile e

quasi celeste”.

da “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi” (1880) di Antonio Ranieri.

Page 5: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

O patria mia, vedo le mura e gli archi

e le colonne e i simulacri e l’erme

torri degli avi nostri,

ma la gloria non vedo …

… … …

All’Italia …

Canti, I

Page 6: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

ZZZZiacomo ____eopardi.

Biografia. Giacomo Leopardi, al battesimo conte Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi, nasce a Recanati, un piccolo paesino situato su un rilievo del Subappennino marchigiano, in provincia di Macerata, Marche, (all’epoca appartenenti allo Stato Pontificio), il 29 giugno del 1798. Figlio del conte-letterato Monaldo (Recanati 1776-1847), un nobile colto che nutrì in ambito politico idee reazionarie, e da madre, la marchesa Adelaide Antici Mattei (Recanati 1778-1857). Primo di dieci figli, il piccolo Giacomo ricevette un educazione molto severa e rigida soprattutto da parte della madre, che a causa di problemi economici e familiari legati ai titoli nobiliari, resero al giovane poeta, un’infanzia molto infelice e priva di ogni affetto. All’età di otto anni circa, il piccolo Giacomino, fu istruito a casa, come era di costume nelle famiglie nobili del tempo, da due precettori gesuiti di Recanati. Dotato di un’intelligenza straordinariamente precoce che gli stessi precettori rimasero sbalorditi e attoniti per le capacità di apprendimento del ragazzo. Infatti, intorno ai dieci anni, continuò i suoi studi da solo, rintanandosi come un eremita nella biblioteca paterna (il padre Monaldo riuscì ad acquistare oltre 16000 libri e manoscritti di letteratura antica), per “sette anni di studio matto e disperatissimo”, come egli stesso lo definì. Imparò in brevissimo tempo il latino, il greco e la lingua ebraica. In seguito cercò di imparare in modo sommario lingue come l’inglese, il francese e il sanscrito (lingua ufficiale dell’India, dalla quale derivano molte lingue moderne del paese, primo fra tutti, l’hindi, la più diffusa). Appassionato di classici latini e greci, lesse e tradusse le opere e i frammenti di Mosco (poeta greco vissuto nel II sec. a.C.), Lucrezio,

Page 7: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Simonide di Amorgo, Epitteto, Esiodo, Orazio, Omero, Plutarco, Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec. a.C., autrice di nobili e raffinati versi poetici dedicati all’amore e ad Afrodite la dea della speranza. A proposito di Saffo, la leggenda ci racconta che la poetessa si suicidò per amore buttandosi da una rupe, perché il suo bel e giovane Faone, la rifiutò a causa del suo corpo brutto e deforme. Il Leopardi identificandosi a pieno con la poetessa di Lesbo, non solo per le affinità fisiche (sono entrambi splendide anime in un corpo brutto ma anche per l’infelicità che li accomuna entrambi), scrisse “L’ultimo canto di Saffo” , composto a Recanati nel maggio del 1822, durante il periodo cosiddetto di “crisi nera, orrenda e barbara malinconia”. Nel dicembre del 1817, il padre Monaldo ospita per alcuni giorni nel suo fastoso palazzo, la cugina Geltrude Cassi moglie del conte Giovanni Giuseppe Lazzari. Il Leopardi rimase colpito dalla bellezza raggiante della cugina che se ne innamorò perdutamente. Questo breve incontro e passione segreta, scrisse in questa occasione il “Diario del primo amore” e l’ “Elegia I” che verrà in seguito inclusa nei “Canti” con il titolo di “Il primo amore”. Ecco come egli descrive il proprio stato d’animo quando incontra per la prima volta Geltrude: “Io cominciando a sentire l’impero della bellezza, da più d’un anno desiderava di parlare e conversare, come tutti fanno, con donne avvenenti, delle quali un sorriso solo, per rarissimo caso gittato sopra di me, mi pareva cosa stranissima e maravigliosamente dolce e lusinghiera: e questo desiderio nella mia forzata solitudine era stato vanissimo fin qui. Ma la sera dell’ultimo Giovedì, arrivò in casa nostra, aspettata con piacere da me, né conosciuta mai, ma creduta capace di dare qualche sfogo al mio antico desiderio, una Signora Pesarese nostra parente più tosto lontana, di ventisei anni, col marito di oltre a cinquanta, grosso e pacifico, alta e membruta quanto nessuna donna ch’io m’abbia veduta mai, di volto però tutt’altro che

Page 8: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

grossolano, lineamenti tra il forte e il delicato, bel colore, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne, e, secondo me, graziose, lontanissime dalle affettate, molto meno lontane dalle primitive, tutte proprie delle Signore di Romagna e particolarmente delle Pesaresi, diversissime, ma per una certa qualità inesprimibile, dalle nostre Marchegiane”. (da “Diario del primo amore”). Tra il 1815 e il 1816 il Leopardi si dedica alla lettura di scrittori e poeti moderni come l’Alfieri, Monti, Goethe, Novalis, Schopenhauer, Foscolo e Madame de Staèl. Venuto a contatto con la cultura romantica, strinse amicizia con un’illustre intellettuale italiano tra i più celebri della letteratura neoclassica, Pietro Giordani. Grazie a quest’ultimo, il Leopardi tramite lettere, si libera di tutti i mali che lo imprigionano interiormente e sente nel profondo del suo animo “triste e solitario”, il bisogno di evadere da quelle triste mura di casa ormai invivibili e di esplorare la quotidianità del mondo esterno. Questo desiderio irrefrenabile di “evadere”, spingono a Giacomo Leopardi di progettare la fuga da Recanati di nascosto, ma il tentativo fu scoperto e messo in punizione per un gesto insignificante ed insolente. Il suo stato d’animo nel corso dei giorni peggiora precipitosamente a causa di una infermità agli occhi che gli impediva la lettura che era il suo unico conforto alla solitudine e alla malinconia. Così egli scrive in una lettera indirizzata al Giordani: “(…) sono due mesi ch’io non istudio, né leggo più niente, per malattia d’occhi, e la mia vita si consuma sedendo colle braccia in croce, o passeggiando per le stanze”. (Epistolario, 116). Siamo agli inizi del 1819. Il Leopardi chiuso in meditazione nelle alte mura del suo palazzo paterno e circondato dalle somme ed infinite colline del monte Tabor (secondo la tradizione, monte situato nelle vicinanze di Recanati), scrive il componimento più altosonante della sua stagione letteraria italiana, “L’infinito” . Con la pubblicazione del suo poema “L’infinito”, si apre per il Leopardi, il sipario della stagione dei “grandi idilli”.

Page 9: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Negli anni compresi tra il 1820-1822 inizia la stesura dello “Zibaldone”, un diario di impronta intellettuale dove il Leopardi appunta riflessioni di carattere filosofico, letterarie e linguistiche. Nel 1822 Giacomo Leopardi ha finalmente il permesso di uscire da Recanati, da quella “tomba de’ vivi” e come prima tappa si reca a Roma, a casa dello zio materno Carlo Antici. Nella futura capitale d’Italia, il Leopardi rimase basito dalla grandezza monumentale della città soprattutto per un uomo che ha vissuto in un piccolo paesino di provincia. Questo senso di grandezza e di allontanamento alla vita ritirata, spingono il giovane poeta di ricomporre di nuovo le valigie e di ritornare alla sua cara tanto odiata Recanati. Tornato di nuovo a casa e alla vita di prima, una esistenza come egli scrive “senza illusioni e affetti vivi (…), senza immaginazione ed entusiasmo”, si dedica alla stesura delle “Operette Morali”, il libro “più caro dei miei occhi” come lo definì lo stesso Leopardi. Scritto tra il 1824 e il 1832, le “Operette Morali”, sono una raccolta di prose (ventiquattro in totale) di carattere satirico, fantastico e filosofico dove il poeta descrive la genesi del suo “pessimismo cosmico”. Man mano la sua salute peggiora. Tenta senza esito il suicidio. Passa la maggior parte delle sue giornate tediose e lente a letto a causa dei problemi reumatici. Ristabilitosi non del tutto, nel 1825 un editore milanese Antonio Fortunato Stella, venuto a conoscenza delle sue doti eccezionali a livello letterario, gli offre l’occasione di lavorare con un assegno fisso mensile, per una serie di collaborazioni editoriali. Infatti, per il suo editore, il tipografo Stella di Milano, Giacomo Leopardi tradusse il “Manuale di Epitteto” (in greco � πίκτητος, filosofo greco antico vissuto nel I sec. d.C., esponente dello stoicismo e vissuto sotto l’Impero Romano), che non fu mai pubblicato. Nel 1830 l’editore restituì di persona il manoscritto tradotto in italiano (il testo originale scritto in lingua greca) e curato con l’aggiunta di

Page 10: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

una nota introduttiva al testo dal Leopardi con il titolo di “Preambolo del volgarizzatore”. Viaggia tra Milano e Bologna. Nella città del “Dolce stil novo”, si innamorò platonicamente della contessa Teresa Carniani Malvezzi. Studia e scrive edizioni di Cicerone, Petrarca, Dante e di scrittori di letteratura latina. Nel 1827 soggiorna a Firenze, dove strinse amicizia con Gian Pietro Vieusseux e con il gruppo di intellettuali della rivista periodica italiana, “Antologia”. Tra l’inverno e la primavera del 1828, il Leopardi si trasferì a Pisa. Qui il clima della città, tipicamente mite d’inverno, giova l’animo cagionevole del poeta a causa dei continui malesseri alle ossee e agli occhi. In questo clima di pace interiore, nella primavera del 1828, scrive l’idillio “A Silvia”, scritto poco dopo “Il Risorgimento”. Il poeta dedica la poesia a Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovanissima di tisi all’età di ventun anni, il 30 settembre 1818. Il poeta ricorda fedelmente e appassionatamente di lei quando la sentiva cantare la mattina con voce gioiosa e squillante che rinvigoriva l’animo di chiunque l’ascoltava. Purtroppo il ricordo della morte prematura di Silvia-Teresa, inaridisce il cuore del poeta e butta fuori tutta la sua rabbia interiore, scagliandosi contro la Natura, chiamandola con l’appellativo di traditrice e generatrice di sofferenza del mondo intero. Sul finire dell’anno 1828, le sue condizioni di salute si aggravano. Costretto a ritornare di nuovo a Recanati dove vi rimase per “sedici mesi di notte orribile”. Rinchiuso di nuovo nella sua buia e triste malinconia e senza rapporti esterni, il Leopardi impugna penna e calamaio e scrive senza interruzione i suoi più alti componimenti poetici, tra cui “Le ricordanze”, “Il sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il passero solitario” e il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. Il 5 settembre invia una lettera a Carlo Bunsen scrivendo: “Non solo i miei occhi, ma tutto il mio fisico, sono in stato peggiore che fosse mai. Non

Page 11: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

posso né scrivere né leggere, né dettare, né pensare”. Nell’aprile del 1830 lascia per sempre Recanati per ritornare a Firenze dove il 27 dicembre 1831 venne eletto socio dell’Accademia della Crusca (istituzione fiorentina che raccoglie studiosi ed esperti di linguistica e filologia italiana). Qui nella patria di Dante, sul finire del 1831, curò personalmente l’edizione dei “Canti”. Durante i convegni dei liberali fiorentini, il Leopardi strinse una solida e affettuosa amicizia col giovane esule scrittore napoletano, Antonio Ranieri. In questo breve ma intenso soggiorno fiorentino, il Leopardi s’innamorò perdutamente di Fanny Ronchivecchi Targioni Tozzetti, nobildonna fiorentina amante dei circoli letterari. Per il poeta fu l’ennesima delusione amorosa non ricambiata che gli ispirò a comporre un nuovo ciclo di canti il cosiddetto “Ciclo di Aspasia”, ciclo che prende il nome della celebre concubina di Pericle. Il “Ciclo di Aspasia” è una raccolta di poesie scritte tra il 1830 e il 1835 che contiene “Il pensiero dominante”, “Amore e Morte”, “A se stesso”, “Consalvo” e “Aspasia”. Nell’autunno del 1832 terminò gli ultimi due dialoghi delle “Operette Morali” cioè il “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere” e il celeberrimo “Dialogo di Tristano e di un amico”. Finalmente dopo tanti anni ottiene un modesto contribuito economico da parte della famiglia. Nel settembre del 1833 si trasferì definitivamente a Napoli, ospitato a casa dell’amico Antonio Ranieri. Qui il clima caldo della città partenopea, giova tantissimo la salute di Leopardi, soprattutto per chi soffre di dolori reumatici. Nel 1836 Napoli fu invasa dal colera. Per scampare dall’epidemia, il Leopardi e il suo amico Ranieri si trasferiscono a Villa Ferrigni o comunemente chiamata “Villa delle ginestre” a Torre del Greco in provincia di Napoli. La villa vesuviana proprietà acquistata dal marito della sorella di Ranieri, il Leopardi compose forse gli ultimi suoi canti cioè “La ginestra o Il fiore del deserto” e “Il tramonto della luna”. Il 16 febbraio 1837, Giacomo Leopardi rientra a Napoli. Le sue

Page 12: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

condizioni di salute non sono buone. Napoli è inginocchiata dal colera. Terrore e morte incombe la città. Il 27 maggio del 1837, detta a Ranieri l’ultima lettera per il padre Monaldo, promettendo di ritornare presto a Recanati. “Se scamperò dal cholèra e subito che la mia salute lo permetterà, io farò ogni possibile per rivederla in qualunque stagione, perché ancor io mi do fretta, persuaso oramai dai fatti di quello che sempre ho preveduto che il termine prescritto da Dio alla mia vita non sia molto lontano. I miei patimenti fisici giornalieri e incurabili sono arrivati con l’età ad un grado tale che non possono più crescere: spero che superata finalmente la piccola resistenza che oppone loro il moribondo mio corpo, mi condurranno all’eterno riposo che invoco caldamente ogni giorno non per eroismo, ma per il rigore delle pene che provo. Ringrazio teneramente Lei e la Mamma del dono dei dieci scudi, bacio le mani ad ambedue loro, abbraccio i fratelli, e prego loro tutti a raccomandarmi a Dio acciocché dopo ch’io gli avrò riveduti una buona e pronta morte ponga fine ai miei mali fisici che non possono guarire altrimenti. Il suo amorissimo figlio Giacomo” . (“Ultima lettera del Leopardi al conte Monaldo”, scritta a Napoli il 27 Maggio 1837). Con questa tristissima lettera, il 14 giugno 1837, a soli 39 anni, Giacomo Leopardi morì assistito fino alla fine, dal suo carissimo e amatissimo amico delle sue sventure, Antonio Ranieri. Grazie a quest’ultimo, le sue immortali spoglie non furono gettate in una fossa comune a causa dell’epidemia che ancora colpiva la città ma inumate ed accompagnate da un rito funebre e sepolto nell’atrio della chiesa di San Vitale , sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta, quartiere napoletano. Così scrisse nel registro di casa di Recanati, la cara sorella di Leopardi, Paolina: “A dì 14 giugno 1837 morì nella città di Napoli questo mio diletto fratello divenuto uno dei primi letterati di Europa. Fu tumulato nella Chiesa di San

Page 13: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Vitale, sulla via di Pozzuoli. Addio, Caro Giacomo: quando ci rivedremo in paradiso?”. Il Giordani, amico di “lettere” di Leopardi, scrive ad un amico ricordando tristemente il poeta: “Non è da dolere che abbia finito di penare; ma sì che per 40 anni abbia dovuto desiderare di morire: questo è il dolore immedicabile …” La mattina del 14 giugno è un giorno normale come tutti gli altri. La carrozza è pronta per la partenza. Leopardi beve una tazza di cioccolata calda e scherza con i suoi amici. E’ arrivato il momento di salire e di salutare tutti. Il dolce evento viene interrotto a causa di un attacco di asma del poeta. L’amico Ranieri allarmato e impaurito per l’aggravarsi delle condizioni fisiche del Leopardi, manda a chiamare il medico Niccolò Mannella. Così scrisse il Ranieri gli ultimi istanti di vita di colui che diventerà dopo la sua morte, l’icona della letteratura italiana: “Si rallegrò del nostro arrivo, ci sorrise; e, benché con voce alquanto più fioca e interrotta dell’usato, disputò dolcemente col Mannella del suo mal di nervi, della certezza di mitigarlo col cibo, della noia del latte d’asina, de’ miracoli delle gite e del voler di presente levarsi per andare in villa. Ma il Mannella, tirantomi destramente da parte, mi ammonì di mandare incontanente per un prete; che d’altro non v’era tempo. Ed io incontanente mandai e rimandai e tornai a rimandare al prossimo convento degli agostiniani scalzi. In questo mezzo, il Leopardi, mentre tutti i miei gli erano intorno, la Paolina gli sosteneva il capo e gli asciugava il sudore che veniva giù a goccioli da quell’amplissima fronte, ed io, veggendolo soprappreso da un certo infausto e tenebroso stupore e tentavo di ridestarlo con gli aliti eccitanti or di questa or di quella essenza spiritosa; aperti più dell’usato gli occhi, mi guardò più fisso che mai. Poscia: “Io non ti veggo più”, mi disse come sospirando. E cessò di respirare; e il polso né il cuore battevano più ed entrava in quel momento stesso nella camera frate Felice da Sant’Agostino, agostiniano scalzo;

Page 14: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

mentre io, come fuori di me, chiamavo ad alta voce il mio amico e fratello e padre, che più non mi rispondeva, benché ancora pareva che mi guardasse”. Il Giordani gli scrive un’ultima lettera il 5 giugno rimasta senza risposta: “… e spero che tu non dimentichi o dispregi tanto mio amore costante …”. Nel 1939 la sua tomba per una “improvvida iniziativa retorica” è stata traslata e collocata al Parco Vergiliano a Piedigrotta detto Parco della tomba di Virgilio, nel quartiere Mergellina a Napoli, dove tutt’ora riposa. Recenti studi confermano che il poeta morto di congestione viscerale (aumento patologico di sangue in un tessuto od organo) e non di colera come spesso viene scritto sui libri. Mentre, il suo corpo sarebbe stato gettato in una fossa comune e non come vorrebbe la tradizione seppellito e con rito religioso nella Chiesa di San Vitale in Fuorigrotta. Quindi ci domandiamo. Il monumento funebre innalzato in suo onore nel quartiere Mergellina a Napoli dove ospita anche la tomba del grande poeta latino Virgilio, è vuota? Purtroppo la verità non si saprà mai. Un dato è certo che il Leopardi ci ha lasciato una testimonianza letteraria vasta e cospicua da renderlo onore e fama in tutto il mondo. Così lo descrive il suo più grande critico letterario Francesco Saverio de Sanctis, che ebbe l’onore di conoscere e di assistere per la prima volta a una lezione di letteratura e di filosofia antica dell’illustrissimo e del grandissimo erudito, Giacomo Leopardi. “Quando venne il dì, grande era l’aspettazione … Ecco entrare il conte Giacomo Leopardi … Tutti gli occhi erano sopra di lui. Quel colosso della nostra immaginazione ci sembrò a primo sguardo, una meschinità. Non solo pareva un uomo come gli altri, ma al di sotto degli altri. In quella faccia emaciata e senza espressione tutta la vita s’era concentrata nella dolcezza del suo sorriso …” “La morte non è male: perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii. La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta

Page 15: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza”. (da “Pensieri”)

“ AL CONTE GIACOMO LEOPARDI RECANATESE

FILOLOGO AMMIRATO FUORI D’ITALIA

SCRITTORE DI FILOSOFIA E DI POESIE ALTISSIMO

DA PARAGONARE SOLAMENTE COI GRECI

CHE FINI’ DI XXXIX ANNI LA VITA

PER CONTINUE MALATTIE MISERISSIMA

FECE ANTONIO RANIERI

PER SETTE ANNI FINO ALLA ESTREMA ORA CONGIUNTO

ALL’AMICO ADORATO. MDCCCXXXVII ”.

Epigrafe posta sulla lapide di Giacomo Leopardi dettata e dedicata da Pietro Giordani (Piacenza 1774 - Parma 1848), amico di corrispondenza.

In queste pagine troverete una parte dei “Canti” leopardiani più celebri, brevi lettere e pensieri tratte dalle opere lo “Zibaldone”, “Operette morali” , “Diario del primo amore” e un breve frammento del “Il Manuale di Epitteto” tradotto da Giacomo Leopardi (manuale che verrà pubblicato dopo la sua morte per opera di Antonio Ranieri nell’edizione fiorentina delle Opere leopardiane).

Claudio Esposito

Page 16: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Bibliografia scelta. Giacomo Leopardi, “Canti”, introduzione, note e commenti di Fernando Bandini, Garzanti Editore, Milano 1989. Giacomo Leopardi, “Memorie del primo amore – Il primo amore”, a cura di Cesare Galimberti, Adelphi Edizioni, Milano 2007. Leopardi, “Canti”, a cura di Lucio Felici, Grandi Tascabili Economici Newton Poesia, Roma 2010. C. Salinari e C. Ricci, “Storia della letteratura italiana”, vol. III, l’Ottocento, con antologia degli scrittori e dei critici, Editori Laterza, Roma – Bari 1995. Salvatore Guglielmo e Hermann Grosser, “Il sistema letterario”, Guida alla storia letteraria e all’analisi testuale, vol. IV, Ottocento, Casa editrice, G. Principato S.p.A., Milano 1994. G. Baldi, S. Giusto, M. Rametti e G. Zaccaria, “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Letteratura italiana con pagine di scrittori stranieri, Analisi dei testi e critica, vol. III, tomo primo, dal Neoclassicismo al Verismo, Paravia, Torino 1997. Giacomo Leopardi, “Canti”, con una scelta da Le Operette Morali, I Pensieri, Gli Appunti, Lo Zibaldone, a cura di Francesco Flora, Edizioni Scolastiche Mondadori, Milano 1961. Giacomo Leopardi, “I Canti”, a cura di Luigi Russo, Sansoni, Firenze 1945.

Page 17: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Giacomo Leopardi, “Operette morali”, introduzione e note di Lorenzo Tinti, collana diretta da Giovanni Greco, Davide Monda ed Ezio Raimondi, Nuovi classici, Lorenzo Barbera Editore, Lavis, Trento 2010. Giacomo Leopardi, “Carissimo Signor Padre-Lettere a Monaldo”, introduzione di Matteo Palombo, nota di Franco Foschi, Edizioni Osanna Venosa, Lavello (PZ), 1997. Giulio Ferroni, Andrea Cortellessa, Italo Pantani e Silvia Tatti, “Storia e testi della letteratura italiana”, vol. 2C, Restaurazione e Risorgimento 1815-1861, Einaudi scuola, Milano 2003. Giacomo Leopardi, “Canti”, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna, (RN) 2005. “Prose di Giacomo Leopardi” , con le notizie della sua vita, volume unico, 7 edizione stereotipa, Edoardo Sonzogno Editore, Milano 1891. Attilio Marinari, Nicolò Mineo, Salvatore S. Nigro e Achille Tartaro, “Il primo Ottocento”, l’età Napoleonica e il Risorgimento, vol. VII, tomo primo, Editori Laterza, Roma-Bari 1977. Giacomo Leopardi, “Le passioni”, introduzione di Fabiana Cacciapuoti, Donzelli Editore, Roma 2010. Giacomo Leopardi, “Operette morali e Pensieri”, introduzione, note e commenti di Paolo Ruffilli e Ugo Dotti, Garzanti editore, Milano 1990.

Page 18: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Giacomo Leopardi, “La vita e le lettere”, scelta, introduzione biografica e note di Nico Naldini, prefazione di Fernando Bandini, Garzanti editore, Milano 1983. Leopardi, “L’amore, poesia, lettere e … pensieri”, a cura di Elvira Marinelli, Giunti editore Demetra, Firenze-Milano 2003. Giacomo Leopardi, “Lettere al fratello Carlo”, introduzione di Renzo Bragantini, nota di Franco Foschi, Edizioni Osanna Venosa, Potenza 1997. Giacomo Leopardi, “Paolina mia - Lettere alla sorella”, introduzione di Mariella Muscariello, nota di Franco Foschi, Edizioni Osanna Venosa, Potenza 1997. Giacomo Leopardi, “L’arte dello scrivere – Pensieri sull’alfabeto, la scrittura e lo stile (dallo Zibaldone)”, a cura di Gino Zaccaria, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2004. Giacomo Leopardi, “Appunti e ricordi”, introduzione e testo a cura di Emilio Pasquini, commento a cura di Paolo Rota, Carocci editore, Roma 2000. Epitteto, “Manuale”, con la versione latina di Angelo Poliziano e il volgarizzamento di Giacomo Leopardi, introduzione, traduzione e note di Enrico V. Maltese, Garzanti Editore, Milano 1990. Giacomo Leopardi, “Memorie della mia vita”, Edizione tematica dello Zibaldone di pensieri stabilita sugli indici leopardiani, a cura di Fabiana Cacciapuoti, prefazione di Antonio Prete, Donzelli Editore, Roma 2003.

Page 19: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Canti, lettere e pensieri …

morali

Giacomo Leopardi

Page 20: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“L'ultimo canto di Saffo”.

Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe,

Nunzio del giorno; oh dilettose e care Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,

Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l'insueto allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto

Polveroso de' Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo, Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli

Natar giova tra' nembi, e noi la vasta Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto

Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell'onda.

Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Infinita beltà parte nessuna

Alla misera Saffo i numi e l'empia Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L'aprico margo, e dall'eterea porta Il mattutino albor; me non il canto De' colorati augelli, e non de' faggi Il murmure saluta: e dove all'ombra

Page 21: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Degl'inchinati salici dispiega Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico piè le flessuose linfe

Disdegnando sottragge, E preme in fuga l'odorate spiagge.

Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?

In che peccai bambina, allor che ignara Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di giovanezza, e disfiorato, al fuso Dell'indomita Parca si volvesse

Il ferrigno mio stame? Incaute voci Spande il tuo labbro: i destinati eventi Move arcano consiglio. Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor. Negletta prole

Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo De' celesti si posa. Oh cure, oh speme

De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre, Alle amene sembianze eterno regno Diè nelle genti; e per virili imprese,

Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto.

Morremo. Il velo indegno a terra sparto Rifuggirà l'ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator de' casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano D'implacato desio furor mi strinse,

Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro

Page 22: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Giorno di nostra età primo s'invola.

Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra Della gelida morte. Ecco di tante Sperate palme e dilettosi errori,

Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno Han la tenaria Diva,

E l'atra notte, e la silente riva.

Canti, IX

Page 23: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Il primo amore”.

Tornami a mente il dì che la battaglia D'amor sentii la prima volta, e dissi:

Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!

Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi, Io mirava colei ch'a questo core

Primiera il varco ed innocente aprissi.

Ahi come mal mi governasti, amore! Perchè seco dovea sì dolce affetto Recar tanto desio, tanto dolore?

E non sereno, e non intero e schietto, Anzi pien di travaglio e di lamento Al cor mi discendea tanto diletto?

Dimmi, tenero core, or che spavento,

Che angoscia era la tua fra quel pensiero Presso al qual t'era noia ogni contento?

Quel pensier che nel dì, che lusinghiero

Ti si offeriva nella notte, quando Tutto queto parea nell'emisfero:

Tu inquieto, e felice e miserando,

M'affaticavi in su le piume il fianco, Ad ogni or fortemente palpitando.

E dove io tristo ed affannato e stanco

Gli occhi al sonno chiudea, come per febre Rotto e deliro il sonno venia manco.

Page 24: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Oh come viva in mezzo alle tenebre

Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi La contemplavan sotto alle palpebre!

Oh come soavissimi diffusi

Moti per l'ossa mi serpeano, oh come Mille nell'alma instabili, confusi

Pensieri si volgean! qual tra le chiome

D'antica selva zefiro scorrendo, Un lungo, incerto mormorar ne prome.

E mentre io taccio, e mentre io non contendo,

Che dicevi, o mio cor, che si partia Quella per che penando ivi e battendo?

Il cuocer non più tosto io mi sentia

Della vampa d' amor, che il venticello Che l'aleggiava, volossene via.

Senza sonno io giacea sul dì novello, E i destrier che dovean farmi deserto,

Battean la zampa sotto al patrio ostello.

Ed io timido e cheto ed inesperto, Ver lo balcone al buio protendea

L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto,

La voce ad ascoltar, se ne dovea Di quelle labbra uscir, ch'ultima fosse; La voce, ch'altro il cielo, ahi, mi togliea.

Page 25: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Quante volte plebea voce percosse

Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese, E il core in forse a palpitar si mosse!

E poi che finalmente mi discese La cara voce al core, e de' cavai E delle rote il romorio s'intese;

Orbo rimaso allor, mi rannicchiai

Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi, Strinsi il cor con la mano, e sospirai.

Poscia traendo i tremuli ginocchi Stupidamente per la muta stanza,

Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?

Amarissima allor la ricordanza Locommisi nel petto, e mi serrava

Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.

E lunga doglia il sen mi ricercava, Com'è quando a distesa Olimpo piove Malinconicamente e i campi lava.

Ned io ti conoscea, garzon di nove

E nove Soli, in questo a pianger nato Quando facevi, amor, le prime prove.

Quando in ispregio ogni piacer, nè grato M'era degli astri il riso, o dell'aurora

Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.

Page 26: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Anche di gloria amor taceami allora Nel petto, cui scaldar tanto solea, Che di beltade amor vi fea dimora.

Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea, E quelli m'apparian vani per cui Vano ogni altro desir creduto avea.

Deh come mai da me sì vario fui,

E tanto amor mi tolse un altro amore? Deh quanto, in verità, vani siam nui!

Solo il mio cor piaceami, e col mio core

In un perenne ragionar sepolto,

Alla guardia seder del mio dolore.

E l'occhio a terra chino o in se raccolto, Di riscontrarsi fuggitivo e vago

Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto:

Che la illibata, la candida imago Turbare egli temea pinta nel seno, Come all'aure si turba onda di lago.

E quel di non aver goduto appieno Pentimento, che l'anima ci grava,

E il piacer che passò cangia in veleno,

Per li fuggiti dì mi stimolava Tuttora il sen: che la vergogna il duro Suo morso in questo cor già non oprava.

Page 27: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro Che voglia non m'entrò bassa nel petto,

Ch'arsi di foco intaminato e puro. Vive quel foco ancor, vive l'affetto, Spira nel pensier mio la bella imago, Da cui, se non celeste, altro diletto

Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago.

Canti, X

Page 28: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Il passero solitario”.

D'in su la vetta della torre antica, passero solitario, alla campagna

cantando vai finché non more il giorno; ed erra l'armonia per questa valle.

Primavera d'intorno brilla nell'aria, e per li campi esulta, si ch'a mirarla intenerisce il core. Odi greggi belar, muggire armenti;

gli altri augelli contenti, a gara insieme per lo libero ciel fan mille giri,

pur festeggiando il lor tempo migliore: tu pensoso in disparte il tutto miri;

non compagni, non voli, non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;

canti, e così trapassi dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia

al tuo costume il mio! Sollazzo e riso, della novella età dolce famiglia, e te german di giovinezza, amore, sospiro acerbo de' provetti giorni,

non curo, io non so come; anzi da loro quasi fuggo lontano; quasi romito, e strano al mio loco natio,

passo del viver mio la primavera. Questo giorno ch'omai cede alla sera, festeggiar si costuma al nostro borgo. Odi per lo sereno un suon di squilla, odi spesso un tonar di ferree canne,

Page 29: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

che rimbomba lontan di villa in villa. Tutta vestita a festa la gioventù del loco

lascia le case, e per le vie si spande; e mira ed è mirata, e in cor s'allegra.

Io solitario in questa rimota parte alla campagna uscendo,

ogni diletto e gioco indugio in altro tempo: e intanto il guardo

steso nell'aria aprica mi fere il Sol che tra lontani monti,

dopo il giorno sereno, cadendo si dilegua, e par che dica che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera del viver che daranno a te le stelle,

certo del tuo costume non ti dorrai; che di natura è frutto

ogni vostra vaghezza. A me, se di vecchiezza la detestata soglia evitar non impetro,

quando muti questi occhi all'altrui core, e lor fia vóto il mondo, e il dì futuro del dì presente più noioso e tetro,

che parrà di tal voglia? che di quest'anni miei? che di me stesso?

Ahi pentirommi, e spesso, ma sconsolato, volgerommi indietro.

Canti, XI

Page 30: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“L’ infinito”.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento

Odo strormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Canti, XII

Page 31: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“La sera del dì di festa”.

Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa:

Tu dormi, che t'accolse agevol sonno Nelle tue chete stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai nè pensi

Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno Appare in vista, a salutar m'affaccio,

E l'antica natura onnipossente, Che mi fece all'affanno. A te la speme

Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.

Questo dì fu solenne: or da' trastulli Prendi riposo; e forse ti rimembra

In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Piacquero a te: non io, non già, ch'io speri, Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo Quanto a viver mi resti, e qui per terra

Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi In così verde etate! Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto

Dell'artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;

E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito

Page 32: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov'è il suono Di que' popoli antichi? or dov'è il grido De' nostri avi famosi, e il grande impero Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio Che n'andò per la terra e l'oceano? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e più di lor non si ragiona. Nella mia prima età, quando s'aspetta Bramosamente il dì festivo, or poscia

Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia, Premea le piume; ed alla tarda notte Un canto che s'udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco, Già similmente mi stringeva il core.

Canti, XIII

Page 33: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Alla luna”.

O graziosa luna, io mi rammento che, or volge l'anno, sovra questo colle io venia pien d'angoscia a rimirarti: e tu pendevi allor su quella selva siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci il tuo volto apparia, che travagliosa era mia vita: ed è, né cangia stile, o mia diletta luna. E pur mi giova la ricordanza, e il noverar l'etate

del mio dolore. Oh come grato occorre nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso,

il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l'affanno duri!

Canti, XIV

Page 34: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Il sogno”.

Era il mattino, e tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole

Nella mia cieca stanza il primo albore; Quando in sul tempo che più leve il sonno

E più soave le pupille adombra, Stettemi allato e riguardommi in viso

Il simulacro di colei che amore Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.

Morta non mi parea, ma trista, e quale Degl'infelici è la sembianza. Al capo Appressommi la destra, e sospirando, Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Serbi di noi? Donde, risposi, e come

Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: nè mi credea Che risaper tu lo dovessi; e questo Facea più sconsolato il dolor mio.

Ma sei tu per lasciarmi un'altra volta? Io n'ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne?

Sei tu quella di prima? E che ti strugge Internamente? Obblivione ingombra

I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno; Disse colei. Son morta, e mi vedesti

L'ultima volta, or son più lune. Immensa Doglia m'oppresse a queste voci il petto. Ella seguì: nel fior degli anni estinta,

Quand'è il viver più dolce, e pria che il core Certo si renda com'è tutta indarno L'umana speme. A desiar colei

Che d'ogni affanno il tragge, ha poco andare

Page 35: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

L'egro mortal; ma sconsolata arriva La morte ai giovanetti, e duro è il fato Di quella speme che sotterra è spenta. Vano è saper quel che natura asconde

Agl'inesperti della vita, e molto All'immatura sapienza il cieco

Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, Taci, taci, diss'io, che tu mi schianti

Con questi detti il cor. Dunque sei morta, O mia diletta, ed io son vivo, ed era

Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma

Provar dovesse, a me restasse intera Questa misera spoglia? Oh quante volte

In ripensar che più non vivi, e mai Non avverrà ch'io ti ritrovi al mondo,

Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s'addimanda? Oggi per prova

Intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarre.

Giovane son, ma si consuma e perde La giovanezza mia come vecchiezza;

La qual pavento, e pur m'è lunge assai. Ma poco da vecchiezza si discorda

Il fior dell'età mia. Nascemmo al pianto, Disse, ambedue; felicità non rise Al viver nostro; e dilettossi il cielo

De' nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Soggiunsi, e di pallor velato il viso Per la tua dipartita, e se d'angoscia Porto gravido il cor; dimmi: d'amore Favilla alcuna, o di pietà, giammai

Page 36: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Verso il misero amante il cor t'assalse Mentre vivesti? Io disperando allora E sperando traea le notti e i giorni; Oggi nel vano dubitar si stanca

La mente mia. Che se una volta sola Dolor ti strinse di mia negra vita,

Non mel celar, ti prego, e mi soccorra La rimembranza or che il futuro è tolto Ai nostri giorni. E quella: ti conforta, O sventurato. Io di pietade avara

Non ti fui mentre vissi, ed or non sono, Che fui misera anch'io. Non far querela

Di questa infelicissima fanciulla. Per le sventure nostre, e per l'amore

Che mi strugge, esclamai; per lo diletto Nome di giovanezza e la perduta Speme dei nostri dì, concedi, o cara,

Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto Soave e tristo, la porgeva. Or mentre Di baci la ricopro, e d'affannosa Dolcezza palpitando all'anelante Seno la stringo, di sudore il volto Ferveva e il petto, nelle fauci stava

La voce, al guardo traballava il giorno. Quando colei teneramente affissi

Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, Disse, che di beltà son fatta ignuda? E tu d'amore, o sfortunato, indarno

Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi E mai più non vivrai: già ruppe il fato

Page 37: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia Gridar volendo, e spasimando, e pregne

Di sconsolato pianto le pupille, Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi Pur mi restava, e nell'incerto raggio Del Sol vederla io mi credeva ancora.

Canti, XV

Page 38: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Alla sua donna”.

Cara beltà che amore Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,

Fuor se nel sonno il core Ombra diva mi scuoti, O ne’ campi ove splenda

Più vago il giorno e di natura il riso; Forse tu l’innocente

Secol beasti che dall’oro ha nome, Or leve intra la gente

Anima voli? O te la sorte avara Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?

Viva mirarti ormai

Nulla spene m’avanza; S’allor non fosse, allor che ignudo e solo

Per novo calle a peregrina stanza Verrà lo spirto mio. Già sul novello Aprir di mia giornata incerta e bruna,

Te viatrice in questo arido suolo Io mi pensai. Ma non è cosa in terra Che ti somigli; e s’anco pari alcuna

Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella.

Fra cotanto dolore

Quanto all’umana età propose il fato, Se vera e quale il mio pensier ti pinge, Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora

Questo viver beato: E ben chiaro vegg’io siccome ancora

Page 39: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Seguir loda e virtù qual né prim’anni L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;

E teco la mortal vita saria Simile a quella che nel cielo india.

Per le valli, ove suona

Del faticoso agricoltore il canto, Ed io seggo e mi lagno

Del giovanile error che m’abbandona; E per li poggi, ov’io rimembro e piagno

I perduti desiri, e la perduta Speme de’ giorni miei; di te pensando, A palpitar mi sveglio. E potess’io

Nel secol tetro e in questo aer nefando, L’alta specie serbar; che dell’imago,

Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.

Se dell’eterne idee L’una sei tu, cui di sensibil forma Sdegni l’eterno senno esser vestita,

E fra caduche spoglie Provar gli affanni di funerea vita, O s’altra terra ne’ superni giri

Frà mondi innumerabili t’accoglie, E più vaga del Sol prossima stella T’irraggia, e più benigno etere spiri;

Di qua dove son gli anni infausti e brevi, Questo d’ignoto amante inno ricevi.

Canti, XVIII

Page 40: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“A Silvia”.

Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale,

Quando beltà splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e pensosa, il limitare

Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete stanze, e le vie dintorno, al tuo perpetuo canto,

allor che all'opre femminili intenta sedevi, assai contenta

di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi

così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte,

ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, d'in su i veroni del paterno ostello

porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce

che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti,

e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno.

Page 41: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Che pensieri soavi,

che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato,

e tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, perché non rendi poi

quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno, da chiuso morbo combattuta e vinta,

perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi; non ti molceva il core

la dolce lode or delle negre chiome, or degli sguardi innamorati e schivi; né teco le compagne ai dì festivi

ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco la speranza mia dolce: agli anni miei

anche negaro i fati la giovanezza. Ahi come,

come passata sei, cara compagna dell'età mia nova,

mia lacrimata speme! Questo è quel mondo? questi

Page 42: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi onde cotanto ragionammo insieme? questa la sorte dell'umane genti?

All'apparir del vero tu, misera, cadesti: e con la mano

la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano.

Canti, XXI

Page 43: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“La quiete dopo la tempesta”.

Passata è la tempesta: odo augelli far festa, e la gallina,

tornata in su la via, che ripete il suo verso. Ecco il sereno rompe là da ponente, alla montagna;

sgombrasi la campagna, e chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato

risorge il romorio torna il lavoro usato.

L'artigiano a mirar l'umido cielo, con l'opra in man, cantando, fassi in su l'uscio; a prova

vien fuor la femminetta a còr dell'acqua della novella piova; e l'erbaiuol rinnova di sentiero in sentiero il grido giornaliero.

Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride per li poggi e le ville. Apre i balconi, apre terrazzi e logge la famiglia: e dalla via corrente, odi lontano tintinnio di sonagli; il carro stride

del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core. Sì dolce, sì gradita

quand'è, com'or, la vita? Quando con tanto amore

l'uomo a' suoi studi intende? O torna all'opre? o cosa nova imprende?

Page 44: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Quando de' mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d'affanno; gioia vana, ch'è frutto

del passato timore, onde si scosse e paventò la morte chi la vita abborria;

onde in lungo tormento, fredde, tacite, smorte,

sudàr le genti e palpitàr, vedendo mossi alle nostre offese folgori, nembi e vento.

O natura cortese,

son questi i doni tuoi, questi i diletti sono

che tu porgi ai mortali. Uscir di pena è diletto fra noi.

Pene tu spargi a larga mano; il duolo spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto

che per mostro e miracolo talvolta nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana

prole cara agli eterni! assai felice se respirar ti lice

d'alcun dolor: beata se te d'ogni dolor morte risana.

Canti, XXIV

Page 45: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Il sabato del villaggio”.

La donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole,

col suo fascio dell'erba; e reca in mano un mazzolin di rose e viole,

onde, siccome suole, ornare ella si appresta

dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine

su la scala a filar la vecchierella, incontro là dove si perde il giorno;

e novellando vien del suo buon tempo, quando ai dì della festa ella si ornava,

ed ancor sana e snella solea danzar la sera intra di quei ch'ebbe compagni nell'età più bella.

Già tutta l'aria imbruna, torna azzurro il sereno e tornan l'ombre

giù da' colli e da' tetti, al biancheggiar della recente luna.

Or la squilla dà segno della festa che viene; ed a quei suon diresti che il cor si riconforta. I fanciulli gridando

su la piazzuola in frotta, e qua e là saltando, fanno un lieto romore;

e intanto riede alla sua parca mensa, fischiando, il zappatore,

e seco pensa al dì del suo riposo.

Page 46: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Poi quando intorno è spenta ogni altra face, e tutto l'altro tace,

odi il martel picchiare, odi la sega del legnaiuol, che veglia

nella chiusa bottega alla lucerna, e s'affretta, e s'adopra

di fornir l'opra anzi al chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia

recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,

cotesta età fiorita è come un giorno d'allegrezza pieno,

giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave,

stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo'; ma la tua festa ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

Canti, XXV

Page 47: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“A se stesso”.

Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,

In noi di cari inganni, Non che la speme, il desiderio è spento.

Posa per sempre. Assai Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, né di sospiri è degna

La terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.

T’acqueta omai. Dispera L’ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza

Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera,

E l’infinita vanità del tutto.

Canti, XXVIII

Page 48: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Il tramonto della luna”.

Quale in notte solinga, Sovra campagne inargentate ed acque,

Là ‘ve zefiro aleggia, E mille vaghi aspetti E ingannevoli obbietti Fingon l’ombre lontane Infra l’onde tranquille

E rami e siepi e collinette e ville; Giunta al confin del cielo,

Dietro Appennino od Alpe, o del Tirreno Nell’infinito seno

Scende la luna; e si scolora il mondo; Spariscon l’ombre, ed una

Oscurità la valle e il monte imbruna; Orba la notte resta,

E cantando, con mesta melodia, L’estremo albor della fuggente luce,

Che dianzi gli fu duce, Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale Lascia l’età mortale

La giovinezza. In fuga Van l’ombre e le sembianze

Dei dilettosi inganni; e vengon meno Le lontane speranze,

Ove s’appoggia la mortal natura. Abbandonata, oscura

Resta la vita. In lei porgendo il guardo, Cerca il confuso viatore invano

Page 49: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Del cammin lungo che avanzar si sente Meta o ragione; e vede Che a se l’umana sede,

Esso a lei veramente è fatto estraneo.

Troppo felice e lieta Nostra misera sorte

Parve lassù, se il giovanile stato, Dove ogni ben di mille pene è frutto, Durasse tutto della vita il corso.

Troppo mite decreto Quel che sentenzia ogni animale a morte,

S’anco mezza la via Lor non si desse in pria

Della terribil morte assai più dura. D’intelletti immortali Degno trovato, estremo

Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni La vecchiezza, ove fosse

Incolume il desio, la speme estinta, Secche le fonti del piacer, le pene

Maggiori sempre, e non più dato il bene. Voi, collinette e piagge,

Caduto lo splendor che all’occidente Inargentava della notte il velo,

Orfane ancor gran tempo Non resterete; che dall’altra parte

Tosto vedrete il cielo Imbiancar novamente, e sorger l’alba: Alla qual poscia seguitando il sole,

E folgorando intorno Con sue fiamme possenti,

Page 50: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi. Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora

D’altra luce giammai, né d’altra aurora. Vedova è insino al fine; ad alla notte

Che l’altre etadi oscura, Segno poser gli Dei la sepoltura.

Canti, XXXIII

Page 51: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Imitazione”

Lungi dal proprio ramo, Povera foglia frale,

Dove vai tu? - Dal faggio Là dov’io nacqui, mi divise il vento.

Esso, tornando, a volo Dal bosco alla campagna,

Dalla valle mi porta alla montagna. Seco perpetuamente

Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro. Vo dove ogni altra cosa,

Dove naturalmente Va la foglia di rosa, E la foglia d’alloro.

Canti, XXXV

Page 52: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Pensieri e lettere. “La mia vita, prima per necessità di circostanze e contro mia voglia, poi per inclinazione nata dall’abito convertito in natura e divenuto indelebile, è stata sempre, ed è, e sarà perpetuamente solitaria, anche in mezzo alla conversazione, nella quale, per dirlo all’inglese, io sono più absent di quel che sarebbe un cieco e sordo. Questo vizio dell’ absence è in me incorreggibile e disperato. (…) Da questa assuefazione e da questo carattere nasce naturalmente che gli uomini sono a’ miei occhi quello che sono in natura, cioè una menomissima parte dell’universo, e che i miei rapporti con loro e i loro rapporti scambievoli non m’interessano punto, e non interessandomi, non gli osservo se non superficialissimamente. Però siate certo che nella filosofia sociale io sono per ogni parte un vero ignorante. Bensì sono assuefatto ad osservar di continuo me stesso, cioè l’uomo in se, e similmente i suoi rapporti col il resto della natura, dai quali, con tutta la mia solitudine, io non mi posso liberare. Tenere dunque per costante che la mia filosofia (se volete onorarla con questo nome) non è di quel genere che si apprezza ed è gradito in questo secolo; è ben sì utile a me stesso, perché mi fa disprezzar la vita e considerar tutte le cose come chimere, e così mi aiuta a sopportar l’esistenza; ma no so quanto possa esser utile alla società, e convenire a chi debba scrivere un Giornale”. (“Epistolario”, 422)

“Non ho più pace, né mi curo d’averne. Farò mai niente di grande? nè anche adesso che mi vo sbattendo per questa gabbia come un orso? In questo paese di frati, dico proprio questo particolarmente, e in questa maledetta casa, dove pagherebbero un tesoro mi facessi frate ancor io (…)”. (“Epistolario”, 117)

Page 53: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“L’uomo perfettamente moderno, non prova quasi mai passione o sentimento che si lanci all’esterno o si rannicchi nell’interno, ma quasi tutte le sue passioni si contengono per così dire nel mezzo del suo animo, vale a dire che non lo commuovono se non mediocremente, gli lasciano il libero esercizio di tutte le sue facoltà naturali, abitudini ec. In maniera che la massima parte della sua vita si passa nell’indifferenza e conseguentemente nella noia, mancando d’impressioni forti e straordinarie”. (“Zibaldone”, 266,1)

“Io non ho mai sentito tanto di vivere quando amando, benché tutto il resto del mondo fosse per me come morto. L’amore è la vita e il principio vivificante della natura, come l’odio il principio distruggente e mortale. Le cose son fatte per amarsi scambievolmente, e la vita nasce da questo. Odiandosi, benché molti odi sono anche naturali, ne nasce l’effetto contrario, cioè distruzioni scambievoli, e anche rodimento e consumazione interna dell’odiatore”. (“Zibaldone”, 8 Gennaio 1820)

“Sono entrato con una donna (Fiorentina di nascita) maritata in una delle principali famiglie di qui, in una relazione, che forma ora una gran parte della mia vita. Non è giovane, ma è di una grazia e di uno spirito che (credilo a me, che finora l’avevo creduto impossibile)supplisce alla gioventù, e crea un’illusione maravigliosa. Nei primi giorni che la conobbi, vissi in una specie di delirio e di febbre. Non abbiamo mai parlato di amore se non per ischerzo, ma viviamo insieme in un’amicizia tenera e sensibile, con un interesse scambievole, e un abbandono, che è come un amore senza inquietudine. Ha per me una stima altissima; se le leggo qualche mia cosa, spesso piange di cuore senz’affettazione; le lodi degli altri non hanno per me nessuna sostanza, le sue mi si convertono tutte in sangue, e mi restano tutte nell’anima. Ama ed

Page 54: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

intende molto le lettere e la filosofia; non ci manca mai materia di discorso, e quasi ogni sera io sono con lei …” (“Lettera a Carlo Leopardi”, Bologna 30 Maggio 1826)

“Quell’emozione, quell’ondeggiamento e confusione di pensieri e di sentimenti tanto più indistinti e indefinibili quanto più vivi, che parte par che abbiano del materiale, parte dello spirituale, ma molto più di questo, in modo che par ch’egli appartengano interamente allo spirito, anzi alla più alta e più pura e più intima parte di esso”. (“Zibaldone”, 29-30 Agosto 1823)

“Cara Fanny. Non vi ho scritto fin qui per non darvi noia, sapendo quanto siete occupata. Ma in fine non vorrei che il silenzio vi paresse dimenticanza, benché forse sappiate che il dimenticar voi non è facile. Mi pare che mi diceste un giorno, che spesso ai vostri amici migliori non rispondevate, agli altri sì, perché di quelli eravate sicura che non si offenderebbero, come gli altri, del vostro silenzio. Fatemi tanto onore di trattarmi come uno de’ vostri migliori amici; e se siete molto occupata, e se lo scrivere vi affatica, non mi rispondete. Io desidero grandemente le vostre nuove, ma sarò contento di averne da Ranieri o dal Gozzani, ai quali domando …” (“Lettera a Fanny Targioni Tozzetti”, Roma 5 Dicembre 1831)

“(…) Della salute sic habeto (vada sempre così). Io per lunghissimo tempo ho creduto fermamente di dover morire alla più lunga fra due o tre anni. Ma di qua ad otto mesi addietro, cioè presso a poco da quel giorno ch’io misi piede nel mio ventesimo anno per introdurre nella cosa un che di sovrumano, ho potuto accorgermi e persuadermi, non lusingandomi, o caro, né ingannandomi, che il lusingarmi e l’ingannarmi pur troppo m’è impossibile, che in me veramente non è cagione necessaria di morir presto, e purché m’abbia infinita cura, potrò vivere, bensì strascinando la vita coi denti, e

Page 55: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

servendomi di me stesso appena per la metà di quello che facciano gli altri uomini, e sempre in pericolo che ogni piccolo accidente e ogni minimo sproposito mi pregiudichi o mi uccida: perché in somma io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi s’andava formando e mi si doveva assodare la complessione. E mi sono rovinato infelicemente e senza rimedio per tutta la vita, e rendutomi l’aspetto miserabile, e dispregevolissima tutta quella gran parte dell’uomo, che è la sola a cui guardino i più; e coi più bisogna conversare in questo mondo: e non solamente i più, ma chicchessia è costretto a desiderare che la virtù non sia senza qualche ornamento esteriore, e trovandonela nuda affatto, s’attrista, e per forza di natura che nessuna sapienza può vincere, quasi non ha coraggio d’amare quel virtuoso in cui niente è bello fuorché l’anima”. (“Lettera a Pietro Giordani”, Milano – Recanati, 2 Marzo 1818)

“(…) Io v’aspetto impazientissimamente, mangiato dalla malinconia, zeppo di desiderii, attediato, arrabbiato, bevendomi questi giorni o amari o scipitissimi, senza un filo di dolce né d’altro sapore che possa andare a sangue a nessuno. Certo ch’avendo aspettato tanto tempo la vostra visita, adesso ch’è vicina, ogni giorno mi pare un secolo, né sapendo come riempirli (e quando anche per l’ordinario sapessi, ogni cosa mi dee parer vana rispetto alla conversazione vostra) sudo il core a sgozzarli. Direte: e lo studio? In questi giorni io sono come chi ha l’ossa peste dalla fatica o dal bastone: tanto ho l’animo fiacco e rotto, che non son buono a checchessia. Godo che Bologna vi piaccia ancora tanto da non sapere come ve ne staccherete. Fate conto che sia Recanati. Allora Il pigliarvene subito un puleggio, Un zucchero parravvi di tre cotte (“L’andarvene via subito vi sembrerà una fortuna grandissima” : verso tratto da “Il Malmantile racquistato” di Lorenzo Lippi (1606-1665). Ma quando sarete a Recanati, fate conto che sia

Page 56: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Bologna. Intanto amatemi, e, come vi ho detto, se potete senza fastidio, prima di arrivare scrivetemi. Addio. Addio”. (“Lettera a Pietro Giordani”, Bologna – Recanati 14 Agosto 1818)

“Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere, né muovermi altro che per forza dal luogo dove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte, non perch’io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo; e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione. Gli studi che tu mi solleciti amorosamente a continuare, non so da otto mesi in poi che cosa sieno, trovandomi i nervi degli occhi e della testa indeboliti in maniera, che non posso non solamente leggere né prestare attenzione a chi mi legga checché si voglia, ma fissar la mente in nessun pensiero di molto o poco rilievo”. (“Lettera a Pietro Giordani”, Recanati 19 novembre 1819)

“Cara Fanny. Vi scrivo dunque, benché siate prossima a tornare; non più per dimandarvi le vostre nuove, ma per ringraziarvi della gentile vostra il lunedì. Che abbiate gradito il mio desiderio di sentire della vostra salute, è conseguenza della vostra bontà. Mi avete rallegrato molto dicendomi che state bene, e che i bagni vi giovano, e così alle bambine, io ne stava un poco in pensiero, perché i bagni di mare non mi paiono senza qualche pericolo. Ranieri è sempre a Bologna, e sempre occupato in quel suo amore, che lo fa più lati infelice. E pure certamente l’amore e la morte sono le sole cose belle

Page 57: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

che ha il mondo, e le sole solissime degne di essere desiderate. Pensiamo, se l’amore fa l’uomo infelice, che faranno le altre cose che non sono né belle né degne dell’uomo … Addio, bella e graziosa Fanny. Appena ardisco pregarvi di comandarmi, sapendo che non posso nulla. Ma se, come si dice, il desiderio e la volontà danno valore, potete stimarmi attissimo ad ubbidirvi. Ricordatemi alle bambine, e credetemi sempre vostro Leopardi”. (“Lettera a Fanny Targioni Tozzetti”, Firenze 16 Agosto 1832)

“Io mi sentiva il cuore molto molle e tenero, e alla cena osservando gli atti e i discorsi della Signora, mi piacquero assai, e mi ammollirono sempre più; e insomma la Signora mi premeva molto: la quale nell’uscire capii che sarebbe partita l’indomani, né io l’avrei riveduta. Mi posi in letto considerando i sentimenti del mio cuore, che in sostanza erano inquietudine indistinta, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva né so di che, né anche fra le cose possibili vedo niente che mi possa appagare. Mi pasceva della memoria continua e vivissima della sera e dei giorni avanti, e così vegliai sino al tradissimo, e addormentatomi, sognai sempre come un febbricitante, le carte il giuoco la Signora … “ (“Diario del primo amore”)

“Non v’è uomo così persuaso della nullità delle cose, della certa e inevitabile miseria umana, il cui cuore non si apra all’allegrezza anche la più viva, (e tanto più viva quanto più vana) alle speranze le più dolci, ai sogni ancora i più frivoli, se la fortuna gli sorride un momento, o anche al solo aspetto di una festa, di una gioia della quale altri si degni di metterlo a parte. Anzi basta un vero nulla per far credere immediatamente al più profondo e sperimentato filosofo, che il mondo sia qualche cosa. Basta una parola, uno sguardo, un gesto di buona grazia o di complimento che una

Page 58: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

persona anche di poca importanza faccia all’uomo il più immerso nella disperazione della felicità, e nella considerazione di essa, per riconcigliarlo colle speranze, e cogli errori”. ( “Zibaldone”, 8 Settembre 1821)

“L’uomo disingannato, stanco, esperto, esaurito di tutti i desideri, nella solitudine appoco appoco si rifà, ricupera se stesso, ripiglia quasi carne e lena, e più o meno vivamente, a ogni modo risorge, ancorché penetrantissimo d’ingegno, e sventuratissimo. Come questo? forse per la cognizione del vero? Anzi per la dimenticanza del vero, pel diverso e più vago aspetto che prendono per lui, quelle cose già sperimentate e vedute, ma che ora essendo lontane dai sensi e dall’intelletto, tornano a passare per la immaginazione sua, e quindi abbellirsi. Ed egli torna a sperare e desiderare, e vivere …” (“Zibaldone”, 20 Febbraio 1821)

“Carluccio mio. Le tue lettere mi lasciano sempre un sentimento di tristezza; perché quando anche avessi mille cagioni di gioia, che non ne ho neppur una, non potrei mai stare allegro pensando che quell’oggetto che mi sta sempre nel cuore più assai di ogni mio bene o vero o immaginario, vive in tanta malinconia. Ti giuro che lo scopo della mia vita presente, il soggetto dei miei castelli in aria, delle mie principali speranze, non è altro che il rivederti. Della lode sono così annoiato, che procuro di schivarla. Gli altri piaceri che si potrebbero trovare in una città grande, sai che non fanno per me. Sicché non ho altra prospettiva che quella dell’amor tuo, e di tornare a goderne. Io ti rivedrò subito che avrò finito un lavorettaccio noioso che ho per Stella, e che non potrei fare a Recanati. Del resto mi sta sempre nell’animo come potrei trovar modo di cavarti, almeno per un poco di tempo, dal tuo deserto. Se la mia salute fosse migliore, e potessi faticar di più, son certo che ci riuscirei. Pure spero che qualche cosa mi debba riuscire anche nelle mie circostanze. Tu mi stringi l’anima

Page 59: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

a ricordarmi quella notte che ci lasciammo”. (“Lettera a Carlo Leopardi”, Bologna 14 Aprile 1826)

“Quella sera la vidi, e non mi dispiacque; ma le ebbi a dire pochissime parole, e non mi ci fermai col pensiero. Il Venerdì le dissi freddamente due parole prima del pranzo: pranzammo insieme, io taciturno al mio solito, tenendole sempre gli occhi sopra, ma con un freddo e curioso diletto di mirare un volto più tosto bello, alquanto maggiore che se avessi contemplato una bella pittura. Così avea fatto la sera precedente, alla cena. La sera del Venerdì, i miei fratelli giuocarono alle carte con lei: io invidiandoli molto, fui costretto di giuocare agli scacchi con un altro: mi ci misi per vincere, a fine di ottenere le lodi della Signora(e della Signora sola, quantunque avessi dintorno molti altri) la quale senza conoscerlo, facea stima di quel giuoco”. (“Diario del primo amore”)

“Io so dunque e vedo che la mia vita non può essere altro che infelice: tuttavia non mi spavento, e così potesse ella esser utile a qualche cosa, come io proccurerò di sostenerla senza viltà. Ho passato anni così acerbi, che peggio non par che mi possa sopravvenire: contuttociò non dispero di soffrire anche di più: non ho ancora veduto il mondo, e come prima lo vedrò, e sperimenterò gli uomini, certo mi dovrò rannicchiare amaramente in me stesso, non già per le disgrazie che potranno accadere a me, per le quali mi pare d’essere armato di una pertinace e gagliarda noncuranza, né anche per quelle infinite cose che mi offenderanno l’amor proprio, perché io sono risolutissimo e quasi certo che non m’inchinerò mai a persona del mondo, e che la mia vita sarà un continuo disprezzo di disprezzi e derisione di derisioni; ma per quelle cose che mi offenderanno il cuore: e massimamente soffrirò quando con tutte quelle mie circostanze che ho dette, mi succederà, come necessarissimamente mi deve succedere, e già in parte m’è succeduta

Page 60: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

una cosa più fiera di tutte, della quale adesso non vi parlo”. (“Lettera a Pietro Giordani”, Recanati 2 Marzo 1818).

“Mi pasceva della memoria continua e vivissima della sera e dei giorni avanti, e così vegliai sino al tardissimo, e addormentatomi, sognai sempre come un febbricitante, le carte il giuoco la Signora; contuttochè vegliando avea pensato di sognarne, e mi parea di aver potuto notare che io non avea mai sognato di cosa della quale avessi pensato che ne sognerei: ma quegli affetti erano in guisa padroni di tutto me e incorporati colla mia mente, che in nessun modo né anche durante il sonno mi poteano lasciare. Svegliatomi prima del giorno (né più ho ridormito), mi sono ricominciati, com’è naturale, o più veramente continuati gli stessi pensieri, e dirò pure che io avea prima di addormentarmi considerato che il sonno mi suole grandemente infievolire e quasi ammorzare le idee del giorno innanzi specialmente delle forme e degli atti di persone nuove temendo che questa volta non mi avvenisse così”. (“Diario del primo amore”)

“Narrasi che tutti gli uomini che da principio popolarono la terra, fossero creati per ogni dove a un medesimo tempo, e tutti bambini, e fossero nutricati dalle api, dalle capre e dalle colombe nel modo che i poeti favoleggiarono dell'educazione di Giove. E che la terra fosse molto più piccola che ora non è, quasi tutti i paesi piani, il cielo senza stelle, non fosse creato il mare, e apparisse nel mondo molto minore varietà e magnificenza che oggi non vi si scuopre. Ma nondimeno gli uomini compiacendosi insaziabilmente di riguardare e di considerare il cielo e la terra, maravigliandosene sopra modo e riputando l'uno e l'altra bellissimi e, non che vasti, ma infiniti, così di grandezza come di maestà e di leggiadria; pascendosi oltre a ciò di lietissime speranze, e traendo da ciascun sentimento della loro vita incredibili diletti, crescevano con molto contento, e con poco meno

Page 61: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

che opinione di felicità. Così consumata dolcissimamente la fanciullezza e la prima adolescenza, e venuti in età più ferma, incominciarono a provare alcuna mutazione. Perciocché le speranze, che eglino fino a quel tempo erano andati rimettendo di giorno in giorno, non si riducendo ancora ad effetto, parve loro che meritassero poca fede; e contentarsi di quello che presentemente godessero, senza promettersi verun accrescimento di bene, non pareva loro di potere, massimamente che l'aspetto delle cose naturali e ciascuna parte della vita giornaliera, o per l'assuefazione o per essere diminuita nei loro animi quella prima vivacità, non riusciva loro di gran lunga così dilettevole e grata come a principio”. (“Operette Morali”- Storia del genere umano, Capitolo 1).

“Ieri, avendo passata la seconda notte con sonno interrotto e delirante, durarono molto più intensi ch’io non credeva, e poco meno che il giorno innanzi, gli stessi affetti, i quali avendo cominciato a descrivere in versi ieri notte vegliando, continuai per tutto ieri, e ho terminato questa mattina stando in letto. Ieri sera e questa notte c’ho dormito men che pochissimo, mi sono accorto che quella immagine per l’addietro vivissima, specialmente del volto, mi s’andava a poco a poco dileguando, con mio sommo cordoglio, e richiamandola io con grandissimo sforzo, anche perché avrei voluto finire quei versi de’ quali era molto contento, prima d’uscire del caldo della malinconia. Avanti d’addormentarmi ho previsto con gran dispiacere che il sonno non sarebbe stato così torbido come le notti passate, e così è successo, ed ora tutti quegli affetti sono debolissimi, prima per la solita forza del tempo, massimamente in me, poi perché il comporre con grandissima avidità quei versi, oltre che m’ha e riconciliato un poco colla gloria, e sfruttatomi il cuore, l’avere poi con ogni industria ad ogni poco incitati e richiamati quegli affetti e quelle immagini, ha fatto che questi non essendo più

Page 62: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

così spontanei si sieno infievoliti. Ma perché essi mi vadano abbandonando, non me ne scema il voto del cuore, anzi più tosto mi cresce, ed io resto inclinato alla malinconia, amico del silenzio e della meditazione; e alieno dai piaceri che tutti mi paiono più vili assai di quello c’ho perduto. E insomma io mi studio di rattenere quanto posso quei moti cari e dolorosi che se ne fuggono: per li quali mi pare che i pensieri mi si sieno più tosto ingranditi, e l’animo fatto alquanto più alto e nobile dell’usato, e il cuore più aperto alle passioni”. (“Diario del primo amore”).

“Amelio filosofo solitario, stando una mattina di primavera, co’ suoi libri, seduto all'ombra di una sua casa in villa, e leggendo; scosso dal cantare degli uccelli per la campagna, a poco a poco datosi ad ascoltare e pensare, e lasciato il leggere; all'ultimo pose mano alla penna, e in quel medesimo luogo scrisse le cose che seguono. Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale. Si veggono gli altri animali comunemente seri e gravi; e molti di loro anche paiono malinconici: rade volte fanno segni di gioia, e questi piccoli e brevi; nella più parte dei loro godimenti e diletti, non fanno festa, né significazione alcuna di allegrezza; delle campagne verdi, delle vedute aperte e leggiadre, dei soli splendidi, delle arie cristalline e dolci, se anco sono dilettati, non ne sogliono dare indizio di fuori: eccetto che delle lepri si dice che la notte, ai tempi della luna, e massime della luna piena, saltano e giuocano insieme, compiacendosi di quel chiaro, secondo che scrive Senofonte”. (“Operette Morali” – Elogio degli uccelli, Capitolo 17)

“Carluccio mio. Il certo si è che veramente è un gran tempo che noi siamo divisi, cioè che una metà di noi stessi è divisa dall’altra, e che

Page 63: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

questa divisione, contraria alla mia natura, mi riesce sempre più penosa. La malinconia, che spesso mi prende qui come a Recanati, ha ora per me un carattere più nero di prima, e rare volte ne risulta una certa allegria interna, come spesso mi accadeva costì. Sento che sono senza appoggio e senza amore. Se non avessi avuto delle spese straordinarie da fare per la mia malattia e per garantirmi dal freddo, cose che mi costano un diavolo, a quest’ora avrei un poco di danaro di avanzo, e forse potrei dirti, fa un viaggetto fin qua, e staremo qui qualche giorno insieme. Spero in ogni modo che questa primavera potrò venire a rivederti, e allora discorreremo. Intanto fatti coraggio per amor mio”. (“Lettera a Carlo Leopardi”, Bologna 6 Gennaio 1826)

“L’uomo il più sensibile per abito e per natura, il più nobile, il più affettuoso, il più virtuoso, occupato anche attualmente, poniamo caso, da un amore il più tenero e vivo, se con tutto ciò è suscettibile del timor violento, trovandosi in un grave pericolo (vero o immaginato) abbandona l’oggetto amato, preferisce (e dentro se stesso e coll’opera) la propria salvezza a quella di quest’oggetto, ed è anche capace in un ultimo pericolo di sacrificar questo oggetto alla propria salute, dato il caso che questo sacrifizio (in qualunque modo s’intenda) gli fosse, o gli paresse dovergli esser giovevole a scamparlo. Tutti i vincoli che legano l’animale ad altri oggetti, o suoi simili o non si rompono col timore”. (“Zibaldone”, 26 Giugno 1822)

“Ieri sera la continua malinconia di tre giorni, la spessa e lunga tensione del cervello, tre notti non dormite, l’inquietudine, il mangiar meno del solito, m’aveano alquanto indebolito, e istupiditami la testa; nondimeno io era e sono contento di questo stato di malinconia uguale uguale, e di meditazione, vedendomi anche l’animo più alto, e non curante delle cose mondane e delle opinioni e dei disprezzi

Page 64: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

altrui, e il cuore più sensitivo molle e poetico. Questa notte per la prima volta son tornato al sonno così lungo com’è d’ordinario, e ho sognato della solita passione, ma per poco nel fine, e senza turbamento. Oggi durano appresso a poco gl’istessi pensieri e sentimenti di ieri e di ieri sera, la stessa svogliatezza al cibo e ad ogni diletto, in particolare alla lettura, e massime di cose d’amore, perché come io non posso vedere bellezze umane reali, così né anche descritte, e mi fa stomaco il racconto degli affetti altrui. In genere questa svogliatezza a ogni cosa e specialmente allo studio, mi pare così radicata in me, che io non so vedere come ne uscirò, non facendo con piacere altra lettura che quella de’ miei versi su questo argomento, e di queste righe. Alle ragioni del presente mio stato addotte di sopra mi pare che vada aggiunta quella dell’essermi riuscite nuove ed insolite le maniere della Signora, cioè le pesaresi (vedute da me di raro), se bene non conversando io punto mai con donne, parrebbe che anche le maniere marchegiane dovessero riuscirmi pressoché nuove, e però da questa parte non ci fosse ragione perché non m’avessero a fare l’istesso effetto. Nondimeno credo che bisogni fare qualche caso anche di questa osservazione, perché è naturale che la maggior novità mi dovesse riuscire più grata, ed eccitarmi maggiormente all’attenzione: e mi par poi che la sperienza la confermi”. (“Diario del primo amore”)

“Contessa mia. L’ultima volta che ebbi il piacere di vedervi, voi mi diceste così chiaramente che la mia conversazione da sola a sola via annoiava, che non mi lasciaste luogo a nessuno pretesto per ardire di continuarvi la frequenza delle mie visite. Non crediate ch’io mi chiami offeso; se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti, e le vostre parole, benché chiare abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte. Ora vorrei dopo tanti tempo venire a salutarvi, ma non ardisco farlo senza vostra licenza. Ve la domando istantemente, desiderando assai di ripetervi a voce che io

Page 65: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

sono, come ben sapete, vostro vero e cordiale amico Giacomo Leopardi”. (“Lettera a Teresa Carniani - Malvezzi”, Bologna – s.d. , ma Ottobre 1826)

“Mia cara Contessa. Finalmente un libro che mi vien da voi, mi dimostra che voi vi siete ricordata di me, una volta almeno, dopo la mia partenza: e una soprascritta di vostro carattere mi assicura che il libro non è opera postuma, e che mi viene per dono, e non per testamento o per codicillo. Le molte lettere che voi mi volevate scrivere, e mi avete promesso più volte, si son ridotte ad una soprascritta. Se mai aveste intenzione di cominciare adesso, cioè dopo cinque mesi, sappiate che non siete più in tempo, perch’io parto per Bologna questa settimana, o, al più tardi, in principio dell’altra. Perciò non vi dirò nulla del vostro libro, dove io ammiro la sobrietà e il buon giudizio della prefazione, la purità della lingua e dello stile, e le tante difficoltà superate. Né anche vi domanderò nuove di voi: perché spero che presto potrò dirvi a voce tutto quel che vorrete sapere, e domandarvi tutto quello che vorrò saper io. Intanto amatemi, come fate certamente, e credetemi your most faithful friend, or servant, or both, or what you like (“Il vostro più fedele amico, o servitore, o tutt’e due, o ciò che vi piace”.) (“Lettera a Teresa Carniani - Malvezzi”, Bologna – Recanati 18 Aprile 1827)

“Carluccio mio. Purché tu mi conservi te stesso, e quel tuo cuore, che, come quello di tutti gli uomini nati grandi, è sempre fanciullo, io non ti domando altro; e se il comunicarti con me per lettera ti dà pena, io son ben lontano dal pretenderlo. Forse ancor io, nel tuo stato, proverei ripugnanza a metter in carta i miei sentimenti. Intanto voglimi bene, e tienimi per quello che ti ha amato e ti ama più che qualunque persona che sia nata o che possa nascere. Io verrò subito che potrò, e verrei ora; ma sono costretto ad aspettare il

Page 66: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

freddo, perché sai che in viaggio, la cosa che io temo e che sono obbligato ad evitare soprattutto, è la riscaldazione, a cui sono soggettissimo: e per questo pericolo, debbo anche astenermi da piccoli viaggetti di poche miglia qui ne’ contorni, i quali farei con buone compagnie che m’invitano. Già sai che ho rinunziato spontaneamente al piacere di vivere in città grande, e di trovarmi tra molti buoni amici, per tornare a star con te, che mi sei sinonimo di vita. Addio. (“Lettera a Carlo Leopardi”, Firenze 18 Settembre 1828)

“Mia cara Antonietta, mia cara Adelaide. Della mia salute eccovi brevemente. Tutti i miei organi, dicono i medici, son sani; ma nessuno può essere adoperato senza gran pane, a causa di un’estrema, inaudita sensibilità che da tre anni ostinatissimamente cresce ogni giorno; quasi ogni azione e quasi ogni sensazione mi dà dolore. Godo assaissimo che la salute vostra sia tollerabile. Son venuto qua (dove ho pur quantità d’amici) per ragioni che sarebbe lungo a dire; starò finché dureranno i miei pochi danari; poi l’orrenda notte di Recanati mi aspetta. Non posso più scrivere. Vi saluto tenerissimamente tutti”. (“Lettera ad Antonietta Tommasini”, Parma – Firenze 19 Giugno 1828)

“Cara Paolina. La tua lettera m’è stata molto gradita, come sempre mi saranno quelle che mi scriverai, ma mi dispiace pur molto di sentirti così travagliata dalla tua immaginazione. Non dico già dalla immaginazione, volendo inferire che tu abbia il torto, ma voglio intendere che di lì vengono tutti i nostri mali, perché infatti, non v’è al mondo né vero bene, né vero male, umanamente parlando, se non il dolore del corpo. Vorrei poterti consolare, e proccurare la tua felicità a spese della mia; ma non potendo questo, ti assicuro almeno che tu hai in me un fratello che ti ama di cuore, che ti amerà sempre, che sente l’incomodità e l’affanno della tua situazione, che

Page 67: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

ti compatisce, che in somma viene a parte di tutte le cose tue. Dopo tutto questo non ti ripeterò che la felicità umana è un sogno, che il mondo non è bello, anzi non è sopportabile, se non veduto come tu lo vedi, cioè da lontano; che il piacere è un nome, non una cosa; che la virtù, la sensibilità, la grandezza d’animo sono, non solamente le uniche consolazioni de’ nostri mali, ma anche i soli beni possibili in questa vita; e che questi beni, vivendo nel mondo e nella società, non si godono né si mettono a profitto, come sogliono credere i giovani, ma si perdono intieramente, restando l’animo in un vuoto spaventevole”. (“Lettera a Paolina Leopardi”, Roma 28 Gennaio 1823)

“(…) Io sto competentemente bene del corpo. L’animo dopo lunghissima e ferocissima resistenza, finalmente è soggiogato, e ubbidiente alla fortuna. Non vorrei vivere, ma dovendo vivere, che giova ricalcitrare alla necessità? Costei non si può vincere se non colla morte. Io ti giuro che avrei già vinto da lungo tempo, se m’avessi potuto certificare che la morte fosse posta in arbitrio mio. Non avendo potuto, resta ch’io ceda. Né trovo oramai che altra virtù mi convenga, fuori della pazienza, alla quale io non era nato”. (“Lettera a Pietro Giordani”, Piacenza – Recanati 5 Gennaio 1821)

“Carluccio mio. Ti scrissi ultimamente una lunga lettera alla quale non vedo risposta. Dai 21 di Maggio in qua, che Paolina mi scrisse, non ho più un cenno da casa. Per amor di Dio scrivimi, e non mi lasciar in questa oscurità. Senza le nuove vostre, io non posso viver quieto un momento. Oggi è il nostro San Vito. Ti diverti tu nulla, o sei sempre così tristo? Dio mio, vo contando i giorni dopo i quali io ti rivedrò: credimi che sarà presto, e che io non ho maggior desiderio. Carluccio mio caro, scrivimi. Salutami tanto Babbo, Mamma e i fratelli. Io penso sempre a te, parlo sempre di te, anche a rischio di

Page 68: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

parer di poco buon tuono. Io t’amo quanto la vita. Non mi abbandonare. Ti bacio con tutta l’anima. Addio, addio”. (“Lettera a Carlo Leopardi”, Bologna 15 Giugno 1826)

“Paolina mia. Ringrazia tanto e poi tanto la Mamma del suo caro dono, che io conserverò come una reliquia, e dille che la consolazione di vedere il suo carattere per me è stata tanta, che quasi dubitavo di travedere. Salutala poi mille milioni di volte per parte di Angelina, che saluta anche Babbo e te Carlo e Luigi quanto si può mai salutare al mondo. Qualche settimana fa, passeggiando per Bologna solo, come sempre, vidi scritto in una cantonata Via Remorsella. Mi ricordai d’Angelina e del numero 488, che tu mi scrivesti in una cartuccia la sera avanti la mia partenza. Andai, trovai Angelina, che sentendo ch’io era Leopardi, si fece rossa come la Luna quando s’alza. Poi mi disse che maggior consolazione di questa non poteva provare, che sogna di Mamma ogni notte, e poi centomila altre cose. Di salute sta benissimo, ed è ancora giovanotta e fresca più di me; colorita assai più di prima. Ha un molto bel quartiere, e fa vita molto comoda. E’ stata poi da me più volte col marito, che al viso, agli abiti e al tratto, par proprio un Signore. Mi hanno invitato a pranzo con gran premura, e ho promesso di andarci. Mangerò bene assai, perché si tratta di un bravo cuoco, e da quel che mi dice Angelina, ogni giorno fanno una tavola molto ghiotta. Oggi vado a portarle un Sonetto che mi ha domandato per Messa novella. Puoi credere che ogni volta che mi vede, mi domanda della Mamma, di cui non può finir di parlare, e di voi altri”. (“Lettera a Paolina Leopardi”, Bologna 9 Dicembre 1825)

“Paolina mia. Tu scrivi colla tua solita sensibilità, e mi consoli in tre modi; perché mostri di volermi tanto bene, perché mi persuadi che la sensibilità si trovi al mondo, perché risvegli la mia ch’è pur troppo addormentata come tu sai, non verso te in particolare ma

Page 69: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

verso tutto l’universo. Se tu pensi a me in Recanati, non credere ch’io sia tanto distratto in Bologna, e fossi anche in Parigi, ch’io non pensi a te ogni giorno. A proposito di Parigi, sappi ch’io sono venuto da Milano a Bologna con tre francesi, a da Bologna a Milano era andato con due inglesi. Vedi quanta materia di osservazioni e di racconti per le nostre serate d’inverno, perché ti puoi immaginare con quanta dimestichezza e intimità si viva coi suoi compagni quando si viaggia, e però quanto campo io abbia avuto di osservare i costumi e i caratteri di quei signori. Aspetto qui Giordani a momenti, e già gli ho scritto del tuo sposalizio concluso. Dammi pur sempre le notizie del giorno di Recanati, che ho moltissimo piacere di sentirle, perché mi son fatto curioso assai più di prima. Dà un bacio per me a Pietruccio, e mille alla Mamma, alla quale raccomanda di aversi cura. Salutami caramente Luigi, e pregalo per me che mi scriva due righe, dove mi dia le sue nuove. Finisco perché sono le dodici. Addio, mia cara, addio addio. Procurerò di aver nuove d’Angelina”. (“Lettera a Paolina Leopardi”, Bologna 10 Ottobre 1825)

“Perché avete tralasciato di scrivermi, o carissimo? V’ha forse dispiaciuto qualche cosa nell’ultima mia? Se così è, già sapete di certo ch’ella dispiace molto meno a voi che a me; ma io non so che cosa possa essere stata: questo so, che né voi senza ragione adirarvi, né io se non contro il volere e l’opinione mia v’ho potuto offendere. Ma non perdonerete voi un primo fallo o anche un terzo e un quarto ad un amico? e ad un amico come son io? e un fallo poi senza dubbio involontario, poiché né pure congetturando posso conoscere né come né se io abbia fallato. Ma se anche volete punirmi, punitemi altrimenti che col silenzio, e non vogliate usare con me l’estremo del rigore. M’abbandonerete anche voi così solo e abbandonato come sono? e quando ho bisogno di conforto per sostenere questa infelice vita, voi seguitando a tacere, seguiterete a sconfortarmi infinitamente come fate? O vi sono improvvisamente uscito della memoria, ed è

Page 70: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

possibile che vi siate scordato affatto di uno, il quale sapete che se morendo potrà ricordarsi, morendo si ricorderà di voi? O c’è forse qualche altra ragione del vostro silenzio? Per amor di Dio, scrivetemelo e subito: e qualunque cosa e comunque sia, scrivetemi, e fatelo come vi piace, che purché mi scriviate, sarò contento”. (“Lettera a Pietro Giordani”, Milano – Recanati 13 Febbraio 1818)

“Per pietà non mi scrivete più mai lettere come quest’ultima dei 13, alla quale subito rispondo. Non potete immaginare quanto di confusione e dolore provo per avere (involontariamente) rattristato un angelo come voi, che io adoro. Ma inchiodatevi bene bene in testa, che è affatto impossibile che io mi dimentichi di voi; se non muoio, o non divento matto, o in qualunque altro modo non mi dimentico prima di me stesso. (…) Credevo di vedervi in maggio: ma bisogna soddisfare a mio fratello; che non vuole aspettare; e bisogna andar prima a Venezia. Ad ogni modo ci vedremo in quest’anno; e sarò prima da voi che in Roma, e per questa sola cagione passerò per la via di Loreto, e non per la più breve di Toscana. (…) Caro Giacomo, vi raccomando la salute, e l’allegria. Se alla salute è indispensabile assolutamente l’uscire un poco di costì, m’inginocchierò a vostro padre; e forse si troverà modo a conseguirne questa grazia. Intanto non vi abbandonate così alla tristezza. Eh, se vi toccasse di patire quel che ho patito io, e tanti altri; che fareste allora? Sappiate godere tanti vantaggi che avete. Amatemi, e non dubitate mai di me; che v’assicuro, mi fareste grande ingiuria. Non crediate che io sia egoista, come i più. Benché lontano, benché non prima veduto, vi amo tenerissimamente; e vi amerò costantissimamente. Così potesse rallegrarvi e giovarvi il mio amore. Addio. Addio”. (“Lettera di Pietro Giordani”, Milano 21 Febbraio 1818)

Page 71: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Carluccio mio. Ti ringrazio tanto e poi tanto dell’affettuosa curiosità che ti ha dettata la tua lettera. E’ naturale che tu non possa indovinare il motivo del mio viaggio a Roma, quando gli stessi miei amici di Firenze, che hanno pure molti dati che tu non hai, si perdono in congetture lontanissime. Dispensami, ti prego, dal raccontarti un lungo romanzo, molto dolore e molte lagrime. Se un giorno ci rivedremo, forese avrò forza di narrarti ogni cosa. Per ora sappi che la mia dimora in Roma mi è come un esilio acerbissimo, e che al più presto possibile tornerò a Firenze, forse a marzo, forse a febbraio, forse ancor prima. Ho mandato costà i libri perché a me non servono. Guàrdati, ti scongiuro, dal lasciar trasparire che vi sia mistero alcuno nella mia mossa. Parla di freddo, di progetti di fortuna, e simili. Scusami se sono così laconico: non mi soffrire il cuore di dir di più,; poi ho una diecina di lettere da scrivere, e gli occhi malati”. (“Lettera a Carlo Leopardi”, Roma 15 Ottobre 1831)

“Chiudo oggi queste ciarle che ho fatte con me stesso per isfogo del cuor mio e perché mi servissero a conoscere me medesimo e le passioni; ma non voglio più farne, perché non si sa quando io mi risolverei di finire, e oramai poco potendo dire di nuovo, mi pare ch’io ci perderei il tempo, del quale io soglio far caso, ed è bene che torni a servirmene giacché la passione al tutto non me l’impedisce. La quale già si va dileguando, in tanto che io nelle mie occupazioni ricomincio ad amar l’ordine, quando ne’ giorni addietro non lo curava e più tosto l’odiava, e m’adatto al ridere, e al pensare di proposito ad altre cose, e allo studiare; eccetto che l’amor dello studio provo di racconciarlo colla passione, proponendo così in aria di scrivere qualche cosa dov’io possa ragionare con quella Signora, o introdurla a favellare; e immaginandomi di potere forse una volta divenuto qualche cosa di grande nelle lettere, farmele innanzi in maniera da esserne accolto con piacere e stima. E di questi stessi

Page 72: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

pensieri mi sono di quando in quando pasciuto anche ne’ dì passati. Io dunque ripiglio il consueto tenore di vita, perché la passione languente non mi sa più riempire la giornata; e langue la passione per difetto d’alimento, essendo stata proprio in sul nascere immediatamente strozzata dalla partenza del suo oggetto; laonde finora non s’è nutrita d’altro che di ricordanza e d’immagini, delle quali immagini, come ho detto, la fantasia mi s’è da più giorni impoverita: che certo s’io fossi in luogo dove potessi a mio talento praticare colla Signora, o anche solamente vederla di quando in quando, la passione non che ora languisse, menerebbe gran fiamma, e sarebbe veramente incominciata per me una fila di giorni smaniosissimi e infelici, com’io me ne posso avvedere considerando il tremito e l’inquietudine che mi muove il rappresentarmi un po’ vivamente al pensiero le forme e gli atti della Signora, il che oramai, come ho notato, di rarissimo e per pochissimo mi vien fatto. E così ora la passione sarebbe più vigorosa che non è, se dopo nata avesse avuto spazio di crescere alquanto e di pigliar piede nutrendosi d’altro che di rimembranza; ma di ciò fare non ebbe, come ho raccontato, altro spazio che una mezza sera. Contuttociò ella, nonostantechè langua come un lume a cui l’olio vada mancando, pur tuttavia dura e durerà fors’anche lungo tempo, sempre languendo e facendo vista di spegnersi, e tratto tratto mandando qualche favilluzza, come nelle ore di più ozio e soprattutto di malinconia, ch’io credo che l’animo mio dovrà per molto spazio risentire a ogni altra sua malattia questa piaghetta rimasa mezzo saldata. Ora di questo lungo solco che la passione partendo mi lascerà nel cuore, e che principalmente consisterà in un certo indistinto desiderio, e scontento delle cose presenti, e in accessi più o meno lunghi e risentiti della solita lamentevole e tenera ricordanza che in particolare mi sarà destata dagli oggetti esterni (come quelli che ieri specificai), non intendo di scriver più altro, bastandomi d’aver tenuto dietro agli affetti miei sino al vederli

Page 73: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

languire, ed essere chiaro del modo nel quale si spegneranno. E quando saranno spenti, caso che io riveda (come penso che rivedrò, e al presente lo desidero) quel fatale oggetto, mi rendo quasi certo che riarderanno violentissimamente; e così non dubito che se una volta mi sarà facile, purch’io voglia, di portarmi da me stesso a rivederlo, e molto più se l’occasione me ne verrà, io tremando e sudando freddo, e biasimando altamente me stesso, e dandomi del pazzo, e compassionandomi, senza però dubitare correrò a quel temuto diletto: salvo se la lunghezza del tempo, e più l’aver conservato con altre donne, e conceputo e provato altri affetti, e veduto più mondo, e incontrato più casi non m’avessero affatto sradicata dal cuore questa passione: la qual certo se finora con tanto poco alimento s’è sostenuta, e se più oltre benché debole si sosterrà, è forza che in gran parte lo riconosca dall’oziosità e dall’eterna medesimezza del mio vivere senza nessuno svagamento né diletto massimamente nuovo. E così da quello che né dì passati ho scritto, si fa bastevolmente chiaro ch’ella è nata dall’aver io inespertissimo giuocato e conversato alquanto famigliarmente con una persona d’aspetto più tosto bello, e di forme e di maniere fatte pel cuor mio; ancorchè questa seconda cagione è veramente secondaria, perch’io fo conto che con questa mia inesperienza, un altro bel volto, parlando e praticando nella stessa guisa con me, m’avrebbe similmente preso, anche con tutt’altri atti e sembianze. E ho detto ch’io mi riprenderei di qualunque azione che mi dovesse o risuscitare o rinfrancare questa passione nel cuore, non già perch’io di essa mi vergogni punto; che s’al mondo ci fu mai affetto veramente puro e platonico, ed eccessivamente e stranissimamente schivo d’ogni menomissima ombra d’immondezza, il mio senz’altro è stato tale ed è, e assolutamente per natura sua, non per cura ch’io ci abbia messa, immantinente s’attrista e con grandissimo orrore si rannicchia per qualunque sospetto di bruttura; ma per la infelicità ch’ella partorisce; imperocchè, posto che una certa nebbietta di malinconia affettuosa, come quella ch’io

Page 74: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

negli ultimi giorni ho provata, non sia discara, e anche diletti senza turbarci più che tanto, non così altri può dire di quella sollecitudine e di quel desiderio e di quello scontentamento e di quella smania e di quell’angoscia che vanno col forte della passione, e ci fanno s’alcuna cosa mai tribolati, e miseri. Ed io di questa miseria ho avuto un saggio nella prima sera e né due primi giorni della mia malattia, né quali al presente giudico di avere in fatti propriamente ed intimamente sentito l’amore: e quali sieno stati i sintomi e le proprietà e in somma il carattere di questo primo amor mio, si dichiara in quelle carte ch’io scrissi nel maggior caldo degli affetti; se non che ci puoi aggiugnere un manifesto desiderio di trovare nel mio volto qualcosa che potesse pur piacere: ma questo desiderio non l’ebbi nel primo giorno, nel quale anzi avvertentemente sfuggiva la vista e il pensiero della immagine mia, non altrimenti che facessi delle facce altrui. Del resto tanto è lungi ch’io mi vergogni della mia passione, che anzi sino dal punto ch’ella nacque, sempre me ne sono compiaciuto meco stesso, e me ne compiaccio, rallegrandomi di sentire qualcheduno di quegli affetti senza i quali non si può esser grande, e di sapermi affliggere vivamente per altro che per cose appartenenti al corpo, e d’essermi per prova chiarito che il cuor mio è soprammodo tenero e sensitivo, e forse una volta mi farà fare e scrivere qualche cosa che la memoria n’abbia a durare, o almeno la mia coscienza a goderne, molto più che l’animo mio era né passati giorni, come ho detto, disdegnosissimo delle cose basse, e vago di piaceri tra dilicatissimi e sublimi, ignoti ai più degli uomini. Non negherò dunque di avere in questo tempo con ogni cura aiutati e coltivati gli affetti miei, né che una parte del dispiacere ch’io provava vedendogli a infievolire non venisse dal gusto e dal desiderio ch’io avea di sentire e di amare. Ma sempre sincerissimamente detestando ogni ombra di romanzeria, non credo d’aver sentito affetto né moto altro che spontaneo, e non ho in queste carte scritta cosa che non abbia effettivamente e spontaneamente

Page 75: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

sentita: né ho pur mai voluto in questi giorni leggere niente d’amoroso, perché, come ho notato, gli affetti altrui mi stomacavano, ancorché non ci fosse punto d’affettazione; manco il Petrarca, comechè credessi che ci avrei trovato sentimenti somigliantissimi ai miei. Ed anche ora appena con grande stento e ritrosia m’induco a lasciar cadere gli occhi sopra qualche cosa di questo genere, quando me ne capita l’occasione. Ed io so molto bene di parecchi altri effetti che l’amore o talvolta o anche d’ordinario fa; ma perché in me non gli ha fatti, né io gli ho descritti, nonostantechè forse qualche volta n’abbia avuto qualche sentore, ma così dubbio o piccolo che non n’ho voluto far caso.

Il Lunedì e il Martedì 22 e 23

di Decembre 1817. Non avendo per l’addietro fatto parola né dato indizio della mia passione a chicchessia, la manifestai a mio fratello Carlo, fattigli leggere i versi e queste carte, ai 29 di Decembre, durandomi nell’animo, come ancora mi durano oggi 2 di Gennaio 1818, le vestigia evidentissime degli affetti passati, ai quali non manca per ridar su altro che l’occasione”. (“Diario del primo amore”)

“L’uomo d’immaginazione di sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo … sente subito e continuamente che quel bello, quella cosa ch’egli ammira ed ama e sente, non gli appartiene. Egli prova quello stesso dolore che si prova nel considerare o nel vedere l’amata nelle braccia di un altro, o innamorata di un altro, e del tutto noncurante di voi. Egli sente quasi che il bello e la natura non è fatta per lui, ma per altri (e questi, cosa molto più acerba a considerare, meno degni di lui, anzi indegnissimi del godimento del bello e della natura, incapaci di sentirla e di conoscerla ec.): e prova quello stesso disgusto e

Page 76: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

finissimo dolore di un povero affamato, che vede altri cibarsi dilicatamente, largamente, e saporitamente, senza speranza nessuna di poter mai gustare altrettanto”. (“Zibaldone”, 5 Marzo 1821) “L'anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi d'Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli Dei maggiori e minori, e gli altri abitanti della detta città, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. E scusandosi che per la sua nota povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, prometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato più bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona dintorno al capo. Concorsero a questo premio non pochi dei celesti per passatempo; cosa non meno necessaria agli abitatori d'Ipernéfelo, che a quelli di altre città; senza alcun desiderio di quella corona; la quale in sé non valeva il pregio di una berretta di stoppa; e in quanto alla gloria, se gli uomini, da poi che sono fatti filosofi, la disprezzano, si può congetturare che stima ne facciano gli Dei, tanto più sapienti degli uomini, anzi soli sapienti secondo Pitagora e Platone. Per tanto, con esempio unico e fino allora inaudito in simili casi di ricompense proposte ai più meritevoli, fu aggiudicato questo premio, senza intervento di sollecitazioni né di favori né di promesse occulte né di artifizi: e tre furono gli anteposti: cioè Bacco per l'invenzione del vino; Minerva per quella dell'olio, necessario alle unzioni delle quali gli Dei fanno quotidianamente uso dopo il

Page 77: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

bagno; e Vulcano per aver trovato una pentola di rame, detta economica, che serve a cuocere che che sia con piccolo fuoco e speditamente. Così, dovendosi fare il premio in tre parti, restava a ciascuno un ramuscello di lauro: ma tutti e tre ricusarono così la parte come il tutto; perché Vulcano allegò che stando il più del tempo al fuoco della fucina con gran fatica e sudore, gli sarebbe importunissimo quell'ingombro alla fronte; oltre che lo porrebbe in pericolo di essere abbrustolato o riarso, se per avventura qualche scintilla appigliandosi a quelle fronde secche, vi mettesse il fuoco. Minerva disse che avendo a sostenere in sul capo un elmo bastante, come scrive Omero, a coprirsene tutti insieme gli eserciti di cento città, non le conveniva aumentarsi questo peso in alcun modo. Bacco non volle mutare la sua mitra, e la sua corona di pampini, con quella di lauro: benché l'avrebbe accettata volentieri se gli fosse stato lecito di metterla per insegna fuori della sua taverna; ma le Muse non consentirono di dargliela per questo effetto: di modo che ella si rimase nel loro comune erario. Niuno dei competitori di questo premio ebbe invidia ai tre Dei che l'avevano conseguito e rifiutato, né si dolse dei giudici, né biasimò la sentenza; salvo solamente uno, che fu Prometeo, venuto a parte del concorso con mandarvi il modello di terra che aveva fatto e adoperato a formare i primi uomini, aggiuntavi una scrittura che dichiarava le qualità e gli uffici del genere umano, stato trovato da esso. Muove non poca maraviglia il rincrescimento dimostrato da Prometeo in caso tale, che da tutti gli altri, sì vinti come vincitori, era preso in giuoco: perciò investigandone la cagione, si è conosciuto che quegli desiderava efficacemente, non già l'onore, ma bene il privilegio che gli sarebbe pervenuto colla vittoria. Alcuni pensano che intendesse di prevalersi del lauro per difesa del capo contro alle tempeste; secondo si narra di Tiberio, che sempre che udiva tonare, si ponea la corona; stimandosi che l'alloro non sia percosso dai fulmini”. (“Operette Morali” – La scommessa di Prometeo, Capitolo 9)

Page 78: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

E tu, lenta ginestra, Che di selve odorate

Queste campagne dispogliate adorni, Anche tu presto alla crudel possanza Soccomberai del sotterraneo foco,

Che ritornando al loco Già noto, stenderà l’avaro lembo Su tue molli foreste. E piegherai Sotto il fascio mortal non renitente

Il tuo capo innocente: Ma non piegato insino allora indarno Codardamente supplicando innanzi Al futuro oppressor; ma non eretto

Con forsennato orgoglio inver le stelle, Né sul deserto, dove E la sede e i natali

Non per voler ma per fortuna avesti Ma più saggia, ma tanto

Meno inferma dell’uom, quanto le frali Tue stirpi non credesti

O dal fato o da te fatte immortali.

“ La ginestra o il fiore del deserto ” Canti, XXXIV, vv. 297-317

Page 79: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Dello stesso”.

Umana cosa picciol tempo dura, E certissimo detto

Disse il veglio di Chio, Conforme ebber natura Le foglie e l'uman seme. Ma questa voce in petto

Raccolgon pochi. All'inquieta speme, Figlia di giovin core, Tutti prestiam ricetto.

Mentre è vermiglio il fiore Di nostra etade acerba, L'alma vota e superba

Cento dolci pensieri educa invano, Nè morte aspetta nè vecchiezza; e nulla Cura di morbi ha l'uom gagliardo e sano.

Ma stolto è chi non vede La giovanezza come ha ratte l'ale,

E siccome alla culla Poco il rogo è lontano.

Tu presso a porre il piede In sul varco fatale Della plutonia sede, Ai presenti diletti

La breve età commetti. Nega ai mortali e nega a’ morti il fato.

E’ una libera traduzione di un frammento di Simonide di Amorgo, poeta giambico greco antico vissuto nel VII secolo a.C.

Canti, XLI

Page 80: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Dolcissimo, possente dominator di mia profonda mente;

terribile, ma caro dono del ciel; consorte ai lùgubri miei giorni,

pensier che innanzi a me sì spesso torni. Di tua natura arcana

chi non favella? Il suo poter fra noi Chi non sentì? Pur sempre che in dir gli effetti suoi

le umane lingue il sentir propio sprona, par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona.

Come solinga è fatta la mente mia d’allora

che tu quivi prendesti a far dimora! Ratto d’intorno intorno al par del lampo

gli altri pensieri miei tutti si dileguàr. Siccome torre

in solitario campo, tu stai solo, gigante, in mezzo a lei. Che divenute son, fuor di te solo,

tutte l’opre terrene, tutta intera la vita al guardo mio!

Che intollerabil noia gli ozi, i commerci usati,

e di vano piacer la vana spene, allato a quella gioia,

gioia celeste che da te mi viene!

“Il pensiero dominante” Canti, XVI, vv. 1- 28

Page 81: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Torna dinnanzi al mio pensier talora il tuo sembiande, Aspasia. O fuggitivo per abbitati lochi a me lampeggia in altri volti; o per deserti campi, al dì sereno, alle tacenti stelle, da soave armonia quasi ridesta,

nell’alma a sgomentarsi ancor vicina quella superba vision risorge.

Quanto adorata, o numi, e quale un giorno mia delizia ed erinni! E mai non sento mover profumo di fiorita pioggia, né di fiori olezzar vie cittadine,

ch’io non ti vegga ancor qual eri il giorno che né vezzosi appartamenti accolta,

tutti adorati dè novelli fiori di primavera, del color vestita

della bruna viola, a me si offerse l’angelica tua forma, inchino il fianco

sovra nitide pelli, e circonfusa d’arcana voluttà; quando tu, dotta

allettatrice, fervidi sonanti baci scoccavi nelle curve labbra

dè tuoi bambini, il niveo collo intanto porgendo, e lor di tue cagioni ignari con la man leggiadrissima stringevi al seno ascoso e desiato. Apparve

novo ciel, nova terra, e quasi un raggio divino al pensier mio. Così nel fianco

non punto inerme a viva forza impresse il tuo braccio lo stral, che poscia fitto ululando portai finch’a quel giorno si fu due volte ricondotto il sole.

Page 82: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Raggio divino al mio pensiero apparve, donna, la tua beltà. Simile effetto fan la bellezza e i musicali accordi,

ch’alto mistero d’ignorati Elisi paion sovente rivelar. Vagheggia il piagato mortal quindi la figlia della sua mente, l’amorosa idea,

che gran parte d’Olimpo in sé racchiude, tutta al volto ai costumi alla favella pari alla donna che il rapito amante vagheggiare ed amar confuso estima.

Or questa egli non già, ma quella, ancora nei corporali amplessi, inchina ed ama. Alfin l’errore e gli scambiati oggetti conoscendo, s’adira; e spesso incolpa

la donna a torto. A quella eccelsa imago sorge di rado il femminile ingegno; e ciò che inspira ai generosi amanti

la sua stessa beltà, donna non pensa, né comprender potria. Non cape in quelle anguste fronti ugual concetto. E male al vivo sfolgorar di quegli sguardi

spera l’uomo ingannato, e mal richiede sensi profondi, sconosciuti, e molto

più che virili, in chi dell’uomo al tutto da natura è minor. Che se più molli e più tenui le membra, essa la mente men capace e men forte anco riceve.

“Aspasia” Canti, XXIX, vv. 1-60

Page 83: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Uno degli errori gravi nei quali gli uomini incorrono giornalmente, è di credere che sia tenuto loro il segreto. Né solo il segreto di ciò che essi rivelano in confidenza, ma anche di ciò che senza loro volontà, o mal grado loro, è veduto o altrimenti saputo da chicchessia, e che ad essi converrebbe che fosse tenuto occulto. Ora io dico che tu erri ogni volta che sapendo che una cosa tua è nota ad altri che a te stesso, non tieni già per fermo che ella sia nota al pubblico, qualunque danno o vergogna possa venire a te di questo. A gran fatica per la considerazione dell'interesse proprio, si tengono gli uomini di non manifestare le cose occulte; ma in causa d'altri, nessuno tace: e se vuoi certificarti di questo, esamina te stesso, e vedi quante volte o dispiacere o danno o vergogna che ne venga ad altri, ti ritengono di non palesare cosa che tu sappi; di non palesarla, dico, se non a molti, almeno a questo o a quell'amico, che torna il medesimo. Nello stato sociale nessun bisogno è più grande che quello di chiacchierare, mezzo principalissimo di passare il tempo, ch'è una delle prime necessità della vita. E nessuna materia di chiacchiere è più rara che una che svegli la curiosità e scacci la noia: il che fanno le cose nascoste e nuove. Però prendi fermamente questa regola: le cose che tu non vuoi che si sappia che tu abbi fatte, non solo non le ridire, ma non le fare. E quelle che non puoi fare che non sieno o che non sieno state, abbi per certo che si sanno, quando bene tu non te ne avvegga”. (“Pensieri”, VIII)

“Nessuno è sì compiutamente disingannato del mondo, né lo conosce sì addentro, né tanto l'ha in ira, che guardato un tratto da esso con benignità, non se gli senta in parte riconciliato; come nessuno è conosciuto da noi sì malvagio, che salutandoci cortesemente. non ci apparisca meno malvagio che innanzi. Le quali osservazioni vagliono a dimostrare la debolezza dell'uomo, non a giustificare né i malvagi né il mondo”. (“Pensieri”, XXI)

Page 84: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“I giovani assai comunemente credono rendersi amabili fingendosi malinconici. E forse, quando è finta, la malinconia per breve spazio può piacere, massime alle donne. Ma vera, è fuggita da tutto il genere umano; e al lungo andare non piace e non è fortunata nel commercio degli uomini se non l'allegria: perché finalmente, contro a quello che si pensano i giovani, il mondo, e non ha il torto, ama non di piangere, ma di ridere”. (“Pensieri”, XXXIV)

“Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco”. “Operette Morali” Capitolo 19. “Preambolo”. Questo Frammento, che io per passatempo ho recato dal greco in volgare, è tratto da un codice a penna che trovavasi alcuni anni sono, e forse ancora si trova, nella libreria dei monaci del monte Athos. Lo intitolo Frammento apocrifo perché, come ognuno può vedere, le cose che si leggono nel capitolo della fine del mondo, non possono essere state scritte se non poco tempo addietro; laddove Stratone da Lampsaco, filosofo peripatetico, detto il fisico, visse da trecento anni avanti l'era cristiana. È ben vero che il capitolo della origine del mondo concorda a un di presso con quel poco che abbiamo delle opinioni di quel filosofo negli scrittori antichi. E però si potrebbe credere che il primo capitolo, anzi forse ancora il principio dell'altro, sieno veramente di Stratone; il resto vi sia stato aggiunto da qualche dotto Greco non prima del secolo passato. Giudichino gli eruditi lettori. “Della origine del mondo”. Le cose materiali, siccome elle periscono tutte ed hanno fine, così tutte ebbero incominciamento. Ma la materia stessa niuno

Page 85: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

incominciamento ebbe, cioè a dire che ella è per sua propria forza ab eterno. Imperocché se dal vedere che le cose materiali crescono e diminuiscono e all'ultimo si dissolvono, conchiudesi che elle non sono per sé né ab eterno, ma incominciate e prodotte, per lo contrario quello che mai non cresce né scema e mai non perisce, si dovrà giudicare che mai non cominciasse e che non provenga da causa alcuna. E certamente in niun modo si potrebbe provare che delle due argomentazioni, se questa fosse falsa, quella fosse pur vera. Ma poiché noi siamo certi quella esser vera il medesimo abbiamo a concedere anco dell'altra. Ora noi veggiamo che la materia non si accresce mai di una eziandio menoma quantità, niuna anco menoma parte della materia si perde, in guisa che essa materia non è sottoposta a perire. Per tanto i diversi modi di essere della materia, i quali si veggono in quelle che noi chiamiamo creature materiali, sono caduchi e passeggeri; ma niun segno di caducità né di mortalità si scuopre nella materia universalmente, e però niun segno che ella sia cominciata, né che ad essere le bisognasse o pur le bisogni alcuna causa o forza fuori di sé. Il mondo, cioè l'essere della materia in un cotal modo, è cosa incominciata e caduca. Ora diremo della origine del mondo. La materia in universale, siccome in particolare le piante e le creature animate, ha in sé per natura una o più forze sue proprie, che l'agitano e muovono in diversissime guise continuamente. Le quali forze noi possiamo congetturare ed anco denominare dai loro effetti, ma non conoscere in sé, né scoprir la natura loro. Né anche possiamo sapere se quegli effetti che da noi si riferiscono a una stessa forza, procedano veramente da una o da più, e se per contrario quelle forze che noi significhiamo con diversi nomi, sieno veramente diverse forze, o pure una stessa. Siccome tutto dì nell'uomo con diversi

Page 86: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

vocaboli si dinota una sola passione o forza: per modo di esempio, l'ambizione, l'amor del piacere e simili, da ciascuna delle quali fonti derivano effetti talora semplicemente diversi, talora eziandio contrari a quei delle altre, sono in fatti una medesima passione, cioè l'amor di se stesso, il quale opera in diversi casi diversamente. Queste forze adunque o si debba dire questa forza della materia, movendola, come abbiamo detto, ed agitandola di continuo, forma di essa materia innumerabili creature, cioè la modifica in variatissime guise. Le quali creature, comprendendole tutte insieme, e considerandole siccome distribuite in certi generi e certe specie, e congiunte tra sé con certi tali ordini e certe tali relazioni che provengono dalla loro natura, si chiamano mondo. Ma imperciocché la detta forza non resta mai di operare e di modificar la materia, però quelle creature che essa continuamente forma, essa altresì le distrugge, formando della materia loro nuove creature. Insino a tanto che distruggendosi le creature individue, i generi nondimeno e le specie delle medesime si mantengono, tutte o le più, e che gli ordini e le relazioni naturali delle cose non si cangiano o in tutto o nella più parte, si dice durare ancora quel cotal mondo. Ma infiniti mondi nello spazio infinito della eternità, essendo durati più o men tempo, finalmente sono venuti meno, perdutisi per li continui rivolgimenti della materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e quelle specie onde essi mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e quegli ordini che li governavano. Né perciò la materia è venuta meno in qual si sia particella, ma solo sono mancati que' suoi tali modi di essere, succedendo immantinente a ciascuno di loro un altro modo, cioè un altro mondo, di mano in mano.

Page 87: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Della fine del mondo”. Questo mondo presente del quale gli uomini sono parte, cioè a dir l'una delle specie delle quali esso è composto, quanto tempo sia durato fin qui, non si può facilmente dire, come né anche si può conoscere quanto tempo esso sia per durare da questo innanzi. Gli ordini che lo reggono paiono immutabili, e tali sono creduti, perciocché essi non si mutano se non che a poco a poco e con lunghezza incomprensibile di tempo, per modo che le mutazioni loro non cadono appena sotto il conoscimento, non che sotto i sensi dell'uomo. La quale lunghezza di tempo, quanta che ella si sia, è ciò non ostante menoma per rispetto alla durazione eterna della materia. Vedesi in questo presente mondo un continuo perire degl'individui ed un continuo trasformarsi delle cose da una in altra; ma perciocché la distruzione è compensata continuamente dalla produzione, e i generi si conservano, stimasi che esso mondo non abbia né sia per avere in sé alcuna causa per la quale debba né possa perire, e che non dimostri alcun segno di caducità. Nondimeno si può pur conoscere il contrario, e ciò da più d'uno indizio, ma tra gli altri da questo. Sappiamo che la terra, a cagione del suo perpetuo rivolgersi intorno al proprio asse, fuggendo dal centro le parti dintorno all'equatore, e però spingendosi verso il centro quelle dintorno ai poli, è cangiata di figura e continuamente cangiasi, divenendo intorno all'equatore ogni dì più ricolma, e per lo contrario intorno ai poli sempre più deprimendosi. Or dunque da ciò debbe avvenire che in capo di certo tempo, la quantità del quale, avvengaché sia misurabile in sé, non può essere conosciuta dagli uomini, la terra si appiani di qua e di là dall'equatore per modo, che perduta al tutto la figura globosa, si riduca in forma di una tavola sottile ritonda. Questa ruota aggirandosi pur di continuo dattorno al suo

Page 88: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

centro, attenuata tuttavia più e dilatata, a lungo andare, fuggendo dal centro tutte le sue parti, riuscirà traforata nel mezzo. Il qual foro ampliandosi a cerchio di giorno in giorno, la terra ridotta per cotal modo a figura di uno anello, ultimamente andrà in pezzi; i quali usciti della presente orbita della terra, e perduto il movimento circolare, precipiteranno nel sole o forse in qualche pianeta. Potrebbesi per avventura in confermazione di questo discorso addurre un esempio, io voglio dire dell'anello di Saturno, della natura del quale non si accordano tra loro i fisici. E quantunque nuova e inaudita, forse non sarebbe perciò inverisimile congettura il presumere che il detto anello fosse da principio uno dei pianeti minori destinati alla sequela di Saturno; indi appianato e poscia traforato nel mezzo per cagioni conformi a quelle che abbiamo dette della terra, ma più presto assai, per essere di materia forse più rara e più molle, cadesse dalla sua orbita nel pianeta di Saturno, dal quale colla virtù attrattiva della sua massa e del suo centro, sia ritenuto, siccome lo veggiamo essere veramente, dintorno a esso centro. E si potrebbe credere che questo anello, continuando ancora a rivolgersi, come pur fa, intorno al suo mezzo, che è medesimamente quello del globo di Saturno, sempre più si assottigli e dilati, e sempre si accresca quello intervallo che è tra esso e il predetto globo, quantunque ciò accada troppo più lentamente di quello che si richiederebbe a voler che tali mutazioni fossero potute notare e conoscere dagli uomini, massime così distanti. Queste cose, o seriamente o da scherzo, sieno dette circa all'anello di Saturno. Ora quel cangiamento che noi sappiamo essere intervenuto e intervenire ogni giorno alla figura della terra, non è dubbio alcuno che per le medesime cause non intervenga somigliantemente a quella di ciascun pianeta, comeché negli

Page 89: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

altri pianeti esso non ci sia così manifesto agli occhi come egli ci è pure in quello di Giove. Né solo a quelli che a similitudine della terra si aggirano intorno al sole, ma il medesimo senza alcun fallo interviene ancora a quei pianeti che ogni ragion vuole che si credano essere intorno a ciascuna stella. Per tanto in quel modo che si è divisato della terra tutti i pianeti in capo di certo tempo, ridotti per se medesimi in pezzi, hanno a precipitare gli uni nel sole, gli altri nelle stelle loro. Nelle quali fiamme manifesto è che non pure alquanti o molti individui, ma universalmente quei generi e quelle specie che ora si contengono nella terra e nei pianeti, saranno distrutte insino, per dir così, dalla stirpe. E questo per avventura, o alcuna cosa a ciò somigliante, ebbero nell'animo quei filosofi, così greci come barbari, i quali affermarono dovere alla fine questo presente mondo perire di fuoco. Ma perciocché noi veggiamo che anco il sole si ruota dintorno al proprio asse, e quindi il medesimo si dee credere delle stelle, segue che l'uno e le altre in corso di tempo debbano non meno che i pianeti venire in dissoluzione, e le loro fiamme dispergersi nello spazio. In tal guisa adunque il moto circolare delle sfere mondane, il quale è principalissima parte dei presenti ordini naturali, e quasi principio e fonte della conservazione di questo universo, sarà causa altresì della distruzione di esso universo e dei detti ordini. Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno di questa nuove creature, distinte in nuovi generi e nuove specie, e nasceranno per le forze eterne della materia nuovi ordini delle cose ed un nuovo mondo. Ma le qualità di questo e di quelli, siccome eziandio degl'innumerabili che già furono e degli altri infiniti che poi saranno, non possiamo noi né pur solamente congetturare.

Page 90: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Perché i celesti danni Ristori il sole, e perché l’aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta Delle nubi la grave ombra s’avvalla;

Credano il petto inerme Gli augelli al vento, e la diurna luce Novo d’amor desio, nova speranza Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte Pruine induca alle commosse belve; Forse alle stanche e nel dolor sepolte

Umane menti riede La bella età, cui la sciagura e l’atra

Face del ver consunse Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Di febo i raggi al misero non sono

In sempiterno? ed anco, Primavera odorata, inspiri e tenti Questo gelido cor, questo ch’amara

Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?

“Alla Primavera, o delle favole antiche” Canti, VII, vv. 1-19

Page 91: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna?

Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi.

Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli?

Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore.

Sorge in sul primo albore Move la greggia oltre pel campo, e vede

Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera:

Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita,

La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo, Mezzo vestito e scalzo,

Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle,

Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa

L'ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, Varca torrenti e stagni,

Cade, risorge, e più e più s'affretta, Senza posa o ristoro,

Page 92: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva Colà dove la via

E dove il tanto affaticar fu volto: Abisso orrido, immenso,

Ov'ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale E' la vita mortale.

Nasce l'uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso

La madre e il genitore Il prende a consolar dell'esser nato.

Poi che crescendo viene, L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre

Con atti e con parole Studiasi fargli core,

E consolarlo dell'umano stato: Altro ufficio più grato

Non si fa da parenti alla lor prole. Ma perchè dare al sole, Perchè reggere in vita

Chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura, Perchè da noi si dura? Intatta luna, tale E' lo stato mortale.

Ma tu mortal non sei, E forse del mio dir poco ti cale.

“Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”

Canti, XXIII, vv. 1-60

Page 93: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

"Io qui vagando"

Io qui vagando al limitare intorno, Invan la pioggia invoco e la tempesta, Acciò che la ritenga al mio soggiorno.

Pure il vento muggia nella foresta, E muggia tra le nubi il tuono errante, Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta.

O care nubi, o cielo, o terra, o piante, Parte la donna mia: pietà, se trova Pietà nel mondo un infelice amante.

O turbine, or ti sveglia, or fate prova

Di sommergermi, o nembi, insino a tanto Che il sole ad altre terre il dì rinnova.

S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia Le luci il crudo Sol pregne di pianto.

Frammento

Canti, XXXVIII

Page 94: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Scherzo”

Quando fanciullo io venni

A pormi con le Muse in disciplina, L'una di quelle mi pigliò per mano;

E poi tutto quel giorno La mi condusse intorno

A veder l'officina. Mostrommi a parte a parte

Gli strumenti dell'arte, E i servigi diversi

A che ciascun di loro S'adopra nel lavoro Delle prose e de' versi. Io mirava, e chiedea:

Musa, la lima ov'è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza.

Ed io, ma di rifarla Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca? Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.

Canti, XXXVI

Page 95: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Il Manuale di Epitteto”.

Le cose sono di due maniere; alcune in potere nostro, altre no. Sono in potere nostro la opinione, il movimento dell'animo, l'appetizione, l'aversione, in breve tutte quelle cose che sono nostri propri atti. Non sono in poter nostro il corpo, gli averi, la riputazione, i magistrati, e in breve quelle cose che non sono nostri propri atti. Le cose poste in nostro potere sono di natura libere, non possono essere impedite né attraversate. Quelle altre sono deboli, schiave, sottoposte a ricevere impedimento, e per ultimo sono cose altrui. Ricordati adunque che se tu reputerai per libere quelle cose che sono di natura schiave, e per proprie quelle che sono altrui, t'interverrà di trovare quando un ostacolo quando un altro, essere afflitto, turbato, dolerti degli uomini e degli Dei. Per lo contrario se tu non istimerai proprio tuo se non quello che è tuo veramente, e se terrai che sia d'altri quello che è veramente d'altri, nessuno mai ti potrà sforzare, nessuno impedire, tu non ti dorrai di niuno, non incolperai chicchessia, non avrai nessuno inimico, niuno ti nocerà, essendo che in effetto tu non riceverai nocumento veruno. Ora se tu sei desideroso di pervenire a questo sì felice stato, sappi che a ciò si richiede sforzo e concitazione d'animo non mediocre, e che di certe delle cose di fuori tu déi lasciare il pensiero al tutto, di certe riservarlo per un altro tempo, e attendere alla cura di te medesimo sopra ogni cosa. Che se tu vorrai ad un'ora procacciare i predetti beni ed anco dignità e ricchezze, forse che tu non otterrai né pur queste, per lo studio che tu porrai dietro a quelli, ma di quelli senza alcun dubbio tu sarai privo, i quali sono pur così fatti, che solo per virtù di essi si può goder beatitudine e libertà. Per tanto a ciascuna apparenza che ti occorrerà nella vita, innanzi ad ogni altra cosa avvézzati a dire: questa è un'apparenza, e non è punto quello che mostra di essere. Di poi togli ad esaminarla e farne saggio con quegli espedienti che tu sai, e prima e massimamente con vedere se ella appartiene alle cose che sono in nostra facoltà o vero a quelle che non sono. Ed appartenendo a

Page 96: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

quelle che non sono, abbi apparecchiata in tuo cuore questa sentenza: ciò a me non rileva nulla. Sovvengati che l'intento dell'appetizione si è il conseguire ciò che ella appetisce, e l'intento dell'aversione il non incorrere in ciò che ella fugge. E colui che non ottiene quel che appetisce, è senza fortuna; colui che incorre in quel che egli schifa, ha cattiva fortuna. Ora se l'animo tuo non ischiferà se non solamente, delle cose che sono in nostro potere, quelle tali che saranno contro natura, non ti avverrà d'incorrere in cosa alcuna alla quale tu abbi contrarietà. Ma se egli sarà vòlto a schifare i morbi, la povertà, la morte, tu avrai cattiva fortuna. Astienti dunque dall'aversione rispetto a qual si sia cosa di quelle che sono in nostro potere, e in quella vece fa di usarla rispetto alle cose che, nel numero di quelle che sono in tua facoltà, si troveranno essere contro natura. Dall'appetizione tu ti asterrai per ora in tutto. Perciocché se tu appetirai qualcuna di quelle cose che non dipendono da noi tu non potrai fare di non essere sfortunato; e delle cose che sono in potestà dell'uomo, non ti si appartiene per ancora alcuna di quelle che sarebbono degne da desiderare. Per tanto tu non consentirai a te medesimo se non se i primi movimenti e le prime inclinazioni dell'animo ad appetire o schifare, con questo però che elle sieno lievi, condizionali e senza veruno impeto. Abbi cura di ricordare a te medesimo il vero essere di ciascheduna cosa che ti diletta o che tu ami o che ti serve ad alcuno uso, incominciando dalle più picciole. Se tu ami una pentola, dire a te stesso: io amo una pentola; perciocché se ella si spezzerà, tu non avrai però l'animo alterato. Se tu bacerai per avventura un tuo figliuolino o la moglie, dirai teco stesso: io bacio un mortale; acciocché morendoti quella donna o quel fanciullino, tu non abbi perciò a turbarti. Qualora tu pigli a far che che sia, récati a mente la qualità di quella cotale operazione. Se tu vai, ponghiamo caso, al bagno a lavarti, récati al pensiero le cose che accaggiono nel bagno; la gente che ti spruzza, che ti sospinge, che ti rampogna, che ti ruba. E per metterti a

Page 97: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

quell'atto più sicuramente, tu dirai fra te stesso: io voglio ora lavarmi, e oltre di ciò mantenere la disposizione dell'animo mio in istato conforme a natura. E il simile per qualunque faccenda. Così se per avventura al lavarti ti sarà occorso alcuno impaccio, tu avrai pronto il modo di consolarti dicendo: io non voleva fare solamente questo, ma eziandio mantenere la disposizione dell'animo mio in grado conforme a natura. Ma io non la manterrò in cotale stato, se io mi cruccerò di questo che ora m'interviene. Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni che eglino hanno delle cose. Per modo di esempio, la morte non è punto amara: altrimenti ella sarebbe riuscita tale anche a Socrate; ma la opinione che si ha della morte, quello è l'amaro. Per tanto, quando noi siamo attraversati o turbati o afflitti, non dobbiamo però accagionare gli altri, ma sì veramente noi medesimi, cioè le nostre opinioni. Egli è da uomo non addottrinato nella filosofia l'addossare agli altri la colpa dei travagli suoi propri, da mezzo addottrinato l'addossarla a se stesso, da addottrinato il non darla né a se stesso né agli altri. Guarda di non insuperbire di alcuna eccellenza o di alcun pregio altrui. Se un cavallo montando in superbia dicesse: io son bello, ciò sarebbe per avventura da comportare. Ma quando tu ti levi in superbia dicendo: io ho un bel cavallo, avverti che tu insuperbisci di un pregio che è del cavallo. Sai tu quello che è tuo? l'uso che tu fai delle apparenze delle cose. Sicché quando nell'usare di queste apparenze tu ti reggerai conforme a quello che la natura richiede, allora tu piglierai compiacenza di te medesimo a buona ragione: imperocché quello sarà un pregio tuo proprio. Siccome in una navigazione, poiché il legno ha dato in terra a qualche porto, se tu esci del legno per fare acqua, tu puoi bene ancora venir cogliendo per via qua una chiocciolina, là una radicetta, ma egli ti conviene però aver sempre il pensiero alla nave, e voltarti spesso, per intendere se il piloto ti chiama, e chiamandoti, lasciare tutte quelle cose, per non avere a esser cacciato dentro legato come si fa delle

Page 98: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

pecore; così nella vita, se in cambio di radicette o di chioccioline ti si porgerà una donnicciuola o un putto, niente vieta che tu non lo debba pigliare e godertelo. Ma se il piloto ti chiama, corri tosto alla nave senza voltarti, lasciata stare ogni cosa. E se tu sarai vecchio, non ti dilungherai dal legno gran tratto, per non avere a mancare quando il piloto ti chiami. Tu non déi cercare che le cose procedano a modo tuo, ma voler elle che vadano così come fanno, e bene starà. La malattia si è un impaccio del corpo, ma non della disposizione dell'animo, solo che esso non voglia. L'esser zoppo si è impaccio della gamba, ma non della disposizione dell'animo. Il simile dirai per ogni accidente che ti sopravvenga. Imperciocché troverai che esso sarà di natura da fare impaccio a qualche altra cosa, ma non a te proprio. A ciascuna cosa esteriore che ti occorra, rivolgiti sopra te stesso e cerca quale delle facoltà che tu hai, si possa adoperare verso di quella. Se tu avrai veduto un bel garzone o una bella donna, troverai che da poter usare verso di queste cose, tu hai la facoltà della continenza. Se ti occorrerà una fatica da sostenere, troverai la facoltà della tolleranza. Se una villania, la pazienza. E così accostumandoti, tu non ti lascerai trasportare dalle apparenze delle cose. Non dir mai di cosa veruna: io l’ho perduta, ma bene: io l’ho restituita. Ti è morto per avventura un figliuolo? tu l’hai renduto. Morta la tua donna? tu l'hai renduta. Ti è stato tolto un podere? or non è egli renduto anche questo? Ma colui che me ne ha spogliato è un ribaldo. Che fa egli a te che quegli che ti aveva dato il potere te lo abbia richiesto per via di tale o di tale altra persona? Fino a tanto poi che egli ti lascia tenere o il terreno o che che altro si sia, pigliane quel pensiero che tu prenderesti di una cosa che fosse d’altri, come fanno dell’albero i viandanti.

Manuale tradotto da Giacomo Leopardi.

Page 99: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

“Lettere di Giacomo Leopardi sull’Epitteto”.

“Lettera ad Antonio Fortunato Stella” – Milano - Bologna 25 Gennaio 1826.

“Al più presto possibile consegnerò al signor Moratti il ms. dell'Epitteto (Opera alla quale ho un affetto particolare) con prefazione e giunte, e in una lettera annessa le spiegherò distintamente l'uso che io bramerei che Ella ne facesse, se tale sarà il suo piacere”.

“Lettera a Carlo Bunsen” – Roma - Bologna 1 Febbraio 1826

“Spero di poterle, di qui a non molto, mandare un esemplare del Manuale di Epitteto che si stamperà presto, in Milano, tradotto da me ultimamente con tutto l'amore e lo studio possibile. Vi ho premesso un brevissimo preambolo sopra la filosofia stoica, che io mi trovo avere abbracciato naturalmente, e che mi riesce utilissima”.

“Lettera ad Antonio Fortunato Stella” – Milano - Bologna 4 Febbraio 1826.

“Signore ed amico pregiatissimo. Alla favorita sua dei 28 prossimo passato. Consegnai al signor Moratti il 2° volumetto del Petrarca, e con questa gli consegno, raccomandandoglielo caldamente, il ms. dell'Epitteto, che ho ben riveduto e corretto, alzandomi a bella posta da letto. Confesso che ne sono stato soddisfatto assai: almeno è certo che io non saprei far di meglio. Avrei molto caro che ella ne fosse contenta altresì, e che le piacesse il mio parere, che sarebbe di stamparlo così come io gliel mando, in una edizioncina elegante, la quale crederei che non dovesse avere cattivo incontro. Altrettanto

Page 100: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

farò poi per l'Isocrate, che sarà un altro volumetto un poco maggiore, e che si potrebbe stampare nella stessa forma, rinunziando al progetto della Scelta dei Moralisti; se mai per accrescere il volume dell'Epitteto, ella volesse aggiungervi la mia Comparazione delle sentenze di Bruto e di Teofrasto”.

Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte

Ingenerò la sorte.

Cose quaggiù sì belle

Altre il mondo non ha, non han le stelle.

Nasce dall’uno il bene,

Nasce il piacer maggiore

Che per lo mar dell’essere si trova;

L’altra ogni gran dolore,

Ogni gran male annulla.

“ Amore e Morte”

Canti, XXVII vv. 1-9

“Sono nato ad amare, ho amato e forse con tanto affetto quanto può mai cadere in anima viva…”

Frammento del “Dialogo di Timandro e di Eleandro”.

Page 101: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec

Claudio Esposito. Nato a Campobasso il 30 di ottobre 1979. Nel 1998 si diploma presso il Liceo Artistico Statale “Giacomo Manzù” di Campobasso. Dopo gli studi liceali, ha approfondito e conseguito qualifiche informatiche con le quali ha collaborato professionalmente con diverse aziende nel settore per poi, con la sua vena artistica, in una prestigiosa e affermata azienda della moda italiana. Da sempre appassionato di arte e di letteratura antica e classica, ha pubblicato in collaborazione con la biblioteca provinciale “Pasquale Albino” di Campobasso, una raccolta di poesie della poetessa greca Saffo. Ringraziamenti. Desidero ringraziare la Biblioteca Provinciale “Pasquale Albino” di Campobasso, per la realizzazione dell’opera. Grazie. Per le illustrazioni, in copertina “La meditazione sulla storia d’Italia” (1851) opera di Francesco Hayez (Venezia 1791-Milano 1882), olio su tela, collezione privata. Mentre, per sfondo pagina, “Apollo e Dafne” (1908) opera di John William Waterhouse (Roma 1849-Londra 1917), olio su tela, collezione privata.

Page 102: Z|tvÉÅÉ xÉÑtÜw| VtÇà|? ÄxààxÜx x ÑxÇá|xÜ| ‹ ÅÉÜtÄ| · Platone, Catullo, Anacreonte, Alceo di Mitilene e Saffo la poetessa greca vissuta tra il VII e VI sec