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  • Lucius EtruscusALIENS vs BOYKA

    ~Una fan fiction

    ~Questi personaggi non mi appartengono, ma sono

    proprietà di20th Century Fox (Aliens) e Nu Image /

    Millennium Films (Boyka)

    Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo dilucro

    In fondo al testo riporto tutte le fonti che ho

    utilizzato per la stesura

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  • IndiceCreditiLa tramaL'autoreALIENS vs BOYKA

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    Note e FontiAltre opere di Lucius Etruscus

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  • CreditiQuesta storia è apparsa a puntate sul forum

    Alien e Predator Italia ogni venerdì, dal 9dicembre 2016 al 23 gennaio 2017.Parallelamente è apparsa a puntate, ogni weekend,sul blog 30 anni di ALIENS dall’11 dicembre2016 al 22 gennaio 2017.

    ~Prima edizione in eBook: febbraio 2017

    ~In copertina: elaborazione grafica dell’autore

    ~Scrivetemi o venitemi a trovare su google+,

    twitter, instagram e pinterest.

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    http://alienepredatoritalia.forumfree.it/https://aliens30anni.wordpress.commailto:[email protected]://m.google.com/app/basic/+LuciusEtruscus/postshttps://twitter.com/luciusetruscushttps://www.instagram.com/lucius.etruscus/http://it.pinterest.com/letruscus/

  • La tramaPer una missione fuori dal normale serve un

    uomo fuori dal normale. Quando il generale Rykovsi ritrova costretto a cercare un lottatoreeccezionale per una missione assurda, rivolgersi alcarcere di massima sicurezza Gorgon è lasoluzione migliore: qui vive e combatte il piùgrande lottatore del mondo. Anzi, come lui stessospecifica, il migliore dell’universo. Yurj Boyka,nato per combattere. Inizia così un’avventuraaliena... a suon di mazzate!

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  • L'autoreLucius Etruscus è vice-curatore di

    ThrillerMagazine e redattore diSherlockMagazine, gestore del database “GliArchivi di Uruk” e di vari altri blog, come“Fumetti Etruschi” (recensioni di fumetti di ognigenere), “Il Zinefilo” (dedicato al cinema di serieZ), “30 anni di ALIENS” (dedicato all’universodegli alieni FOX), il “CitaScacchi” (citazioniscacchistiche da ogni forma di comunicazione) edaltri ancora. Scrive saggi su riviste on line, hapartecipato (sia come giuria che come autore) alromanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?”(Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine haraccontato le indagini del detective bibliofiloMarlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena(ed altro ancora) sono narrati nel blog“NonQuelMarlowe”.

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    http://www.thrillermagazine.it/http://www.sherlockmagazine.ithttp://archividiuruk.wordpress.com/http://fumettietruschi.wordpress.com/http://ilzinefilo.wordpress.com/https://aliens30anni.wordpress.com/http://citascacchi.wordpress.com/http://nonquelmarlowe.wordpress.com/

  • ALIENS vs BOYKA

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  • Questi personaggi non mi appartengono, ma sonoproprietà di

    20th Century Fox (Aliens) e Nu Image /Millennium Films (Boyka)

    Questa fan fiction è stata scritta senza alcuno

    scopo di lucro

    In fondo al testo riporto tutte le fonti che houtilizzato per la stesura

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  • 1Dicembre 2230Pianeta LV-1074Carcere di massima di sicurezza noto comeGorgon

    Perché non andava giù? L’ultimo calcioavrebbe dovuto spegnere la luce.

    Da dieci minuti i due lottatori si stavanomassacrando mentre gli addetti del carcereaggiornavano le classifiche: mai qualcuno erarimasto in piedi per più di tre minuti affrontandoYurj Boyka.

    Ogni carcere della Compagnia impiantato suqualche sperduto pianetino del cosmo aveva il suotorneo di lotta interno, ma solo a Gorgon c’era ilcampione dei campioni, la macchina dacombattimento senz’anima che faceva guadagnareingenti cifre al direttore e a tutta la piramide di

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  • comando. Ufficialmente la Weyland-Yutanivietava e puniva quegli spettacoli di violenza, matrasmetterli a pagamento sugli schermi di ricchiscommettitori faceva chiudere più di un occhioalla Compagnia. Ormai era un live showirrinunciabile, famoso per tutto l’universo.

    Rapida sequenza, uno due, sinistro aconfondere e poi il destro a spazzare, e quandol’avversario pensa di essere stato colpito... èallora che si inizia a colpire sul serio.

    Boyka sapeva di essere una star, sapeva chetutto il personale del carcere, dal direttore finoall’ultima guardia ma anche molti detenuti, sierano arricchiti grazie a lui e al suo spettacolo.Boyka sapeva tutto ma nulla aveva valore per lui:solo l’esecuzione perfetta di una tecnica eraimportante, e se questo piaceva a milioni dispettatori e li rendeva ricchi con le scommesse...be’, era qualcosa che lo lasciava assolutamenteindifferente.

    Eppure il lottatore aveva tempi televisivi

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  • innati: era un animale da lotta... ma anche dapalcoscenico. Aveva imparato a non eseguire unatecnica per volta, a sferrare colpi fluidi e noncontratti, sapeva dov’erano disposte le telecameree si assicurava di colpire l’avversario rimanendonell’inquadratura. E che si vedesse l’espressionedi sofferenza della sua vittima, che alla fin fine eraquello che volevano vedere i suoi spettatori.

    Boyka per tutto questo otteneva solamente ilvantaggio di rimanere in vita e di ricevere cibo edacqua. A Gorgon questo è definito un "trattamentoda re", perché al contrario degli altri detenuti, cheogni giorno morivano di lavori forzati, per risse osul ring, quello dato al lottatore era vero cibo evera acqua.

    Spazzata sulle ginocchia, rendeva male invideo ma serviva a destabilizzare l’equilibrio,così l’avversario era lento a reagire mentre Boykaprendeva la rincorsa e lo colpiva al petto con ipiedi uniti. L’avversario cadde battendo la testama non era sconfitto: si stava rivelando un osso

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  • molto più duro del previsto.Tutta colpa dell’ospite, quell’uomo misterioso

    che stava assistendo al torneo nascosto nell’ufficiodel direttore, mentre gli occhi di tutti i detenuticercavano di capire chi fosse. Era l’uomo cheaveva trasformato un torneo violento, dove capitache l’avversario perda la vita, in una vera epropria esecuzione capitale, e il tutto con unsemplice pettegolezzo lasciato girare per ilcarcere. Chi vinceva sarebbe stato assunto comelottatore dalla Weyland-Yutani e avrebbe vissutouna vita da sogno nei blasonati ring di lusso sparsinello spazio. Ricchezza, donne, massima libertà:anche solo per metà di questa promessa l’interapopolazione carceraria di Gorgon avrebbe uccisochiunque mille volte.

    Boyka disprezzava tutto e tutti e se ne fregavadi quella promessa, lui non lottava per altromotivo se non la lotta in sé: era un lottatore, eratutto ciò che era, ed era tutto ciò che faceva.

    Buttarsi sull’avversario a terra non era proprio

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  • una mossa fotogenica, così il lottatore si lanciò inaria e, dopo una giravolta completa, caddeaddosso all’avversario colpendolo in volto. Boykacercava sempre di non arrivare a tecniche disoffocamento a terra, perché erano troppo pocospettacolari per il grande pubblico, ma era tempodi chiudere quell’incontro, anche se purtroppo noncon una delle sue mosse ad effetto che facevanoalzare le quotazioni.

    Passò il braccio intorno al collodell’avversario e gli incastrò il pomo d’Adamonell’incavo del suo gomito. Si afferrò le mani estrinse: pochi secondi e l’avversario non respiravapiù. Era un’esperienza intima del vincitore con ilvinto, Boyka provava vergogna ad essere guardatoda tutti mentre rapiva la vita dal suo avversariocon un contatto così stretto, ma non sembravaesserci altro modo per abbattere quel quintale dicarne flaccida.

    Si alzò, volse lo sguardo verso la finestra dacui il direttore era solito ammirare gli incontri ed

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  • alzò il proprio indice quasi ad indicare che ilprossimo sarebbe stato lui. Era la "firma" con cuichiudeva tutti gli incontri. E chissà che un giornonon avrebbe avuto davvero tra le mani quel vermedel direttore Markov.

    Da come la gente gridava Boyka capì chequalcosa non andava. Si girò e vide che quel pezzodi carne dell’avversario era di nuovo in piedi:forse meritava più di lui di vincere. E questo lofece infuriare. La vita lo aveva forgiato per essereil più grande lottatore dell’universo, perché tutto ilresto gli era stato negato: avrebbe difeso queltitolo con ogni mezzo.

    Si avvicinò all’avversario, che era ancoraintontito dall’essere stato quasi soffocato, e roteòsu se stesso, rilasciando tutta la sua potenza nellagamba che sollevò in aria: quando il suo piededestro interruppe la rotazione sul voltodell’avversario la potenza di Boyka si sprigionò...e la testa della vittima girò su se stessa più deldovuto. Quel barile di carne tremula non fece in

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  • tempo a toccare terra che già la folla gridava ilnome di Boyka.

    Alla fin fine lo spettacolo c’era stato.~

    «Non crederai davvero a quei serpenti dellaCompagnia?»

    Il vecchio sulla sedia a rotelle fissava allibitoBoyka che raccoglieva in giro i suoi stracci e liinfilava malamente in una sacca improvvisata.Sembrava impossibile che fosse arrivato per i dueil momento di dirsi addio, il vecchio aveva semprepensato che sarebbe stato lui a schiattare in quellafogna di prigione: mai, neanche per un istante,aveva pensato che quell’animale di Boyka se nesarebbe andato. Uscendo dalla porta principale.Uscendo vivo.

    «Credi davvero che quella gente ti permetteràdi girare libero per l’universo?» Il vecchio nonpoteva arrendersi all’evidenza: l’uomo con cuiaveva diviso l’angusta cella, la vita, la lotta e ilsangue negli ultimi trent’anni se ne stava andando

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  • senza battere ciglio.Quando Boyka afferrò i rozzi guantoni che

    usava per allenarsi si fermò, finalmente sovrastatoda quello che poteva assomigliare ad unsentimento. Erano i guantoni costruiti a mano dalcampione storico di Gorgon, il primo verolottatore invincibile, prima che Boyka distruggesseogni suo record. E ricevesse da lui in regalo queiquanti.

    «Portateli pure via», sibilò il vecchio sullasedia a rotelle. «Sono tuoi...» Un breve silenziotradì un’emozione. «Te li sei guadagnati.»

    Boyka non lo guardò e infilò i guanti nellasacca, quasi distrattamente.

    Il vecchio non desisteva. «Cosa succederàquando cercheranno la tua scheda? Quando tichiederanno perché non c’è alcuna traccia dellatua esistenza, cosa dirai? Come spiegherai che nonhai identità?»

    Il lottatore finalmente smise di rovistare nellacella e si girò a guardare il vecchio. «Se qualcuno

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  • me lo chiederà, gli risponderò con la semplicestoria di un campione carcerario che aveva tuttodalla direzione, comprese donne da tenere in cellaper compagnia. Un giorno una di queste morìpartorendo sul pavimento di una cella un ragazzinofrignante che nessuno ha mai riconosciuto, a cuihanno dato un nome a caso, Boyka, e che ècresciuto con la sola voglia di combattere. Vuoiche aggiunga qualcos’altro a questa storialacrimevole?»

    Boyka strinse in modo plateale la sacca checonteneva la sua roba, a sottolineare che avevafinito di fare i bagagli: quello era un addio, e ilsuo sguardo gelido era l’unico saluto che avrebbedato.

    Mentre Boyka iniziò ad uscire dalla cella,dove fuori lo attendevano due guardie, il vecchiotentò un ultimo approccio. «Non ci rivedremo maipiù, per cui rispondi alla mia ultima domanda: èquesta la fine che sognavi?»

    Il lottatore si fermò sulla soglia della cella e

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  • voltò leggermente la testa. «La fine?» chiese.«Sai benissimo che ti uccideranno» continuò il

    vecchio cercando il suo sguardo. «È dunque valsala pena diventare un così grande lottatore solo peressere schiacciato come un verme dallaCompagnia?»

    Boyka si voltò fino a guardare negli occhi ilvecchio sulla sedia a rotelle. «Prima o poi sareimorto, qui dentro, in un modo o nell’altro: almenoprima di schiattare potrò vedere il mondo esternoper la prima volta. Dicono che è più grande diGorgon. E poi qui ormai ho raggiunto i dueobiettivi che mi ero prefissato da ragazzino.»

    Il vecchio lo guardò incuriosito. «Diventare ilpiù grande lottatore mai vissuto... e cos’altro?»

    Un ghigno apparve sul muso di Boyka.«Spezzare le gambe a quel verme di mio padre.»Si voltò e se ne andò senza aggiungere altro.

    ~Dopo un viaggio negli oscuri corridoi del

    carcere Boyka e le due guardie arrivarono ad un

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  • grande portone davanti al quale li aspettava ildirettore Markov in compagnia di un uomo indivisa.

    «Un combattimento eccezionale come sempre,Boyka» disse sorridente il direttore. «Cimancherai: sarà dura trovare qualcun altro al tuolivello.»

    «Nessuno è al mio livello» sibilò il lottatore,scatenando una risata grassa nell’uomo in divisa.

    «Yurj Boyka» continuò il direttore, «tipresento il tuo nuovo capo: il generale Rykov.»

    L’uomo in divisa si fece avanti con la manotesa, che Boyka ignorò. «Io non ho capi» si limitòa sibilare.

    Il generale rise di cuore, ritirando la mano.«Ho cercato per tutto l’universo un animale comete: questo è l’inizio di una bella collaborazione.»

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  • 2A bordo della USS Verloc

    Nella stiva dalla nave non si viaggiavacomodi, ma i soldati neanche se ne accorgevano:non erano previste comodità per loro, né si eranomai sognati di chiederle.

    USCM, United States Colonial Marines, ma gliStati Uniti erano lontani e i soldati seguono dasempre un capo, non un logo sulla carta intestata.La Weyland-Yutani era in pratica il loro padrone eil generale Rykov il loro condottiero: chiamatelisoldati, chiamateli marines, chiamateli mercenari,non ha importanza. Eseguono gli ordini del lorocondottiero e tanto basta.

    Boyka li chiamava schiavi, quelle rare volteche si era trovato a parlare di loro: le guardie delcarcere le odiava, i soldati li disprezzava. Il cheera peggio.

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  • «Sarebbe questo il grande campione?»Tutti erano seduti sulla panca che attraversava

    la stiva, assicurati da cinture di sicurezza. Boykaera distanziato dai soldati e con sua sorpresa nonera ammanettato, il che voleva dire che il generaleaveva molta fiducia in lui. O che era moltostupido.

    «A guardarlo sembra più un barbone distrada», continuò il soldato.

    Questo spostava l’ago della bilancia più sullastupidità che sulla fiducia.

    «Ci senti, barbone? Sei davvero così fortecome dicono?»

    Boyka guardava nel vuoto e si chiedeva daquale barzelletta fosse uscito quel soldatino dilatta. Chissà se il generale si sarebbe offeso seglielo avesse rotto...

    «Ti conviene piantarla, Dimitri» intervenne unaltro soldato. «Dicono che sia il più bravolottatore del suo carcere.»

    I soldati sbottarono in una risata fragorosa.

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  • «Dell’universo», si percepì appena.Il soldato in vena di scherzi fece segno ai

    compagni di abbassare la voce. «Hai dettoqualcosa, barbone?»

    Il lottatore non volse lo sguardo ma si limitò aprecisare con voce calma. «Sono il più grandelottatore dell’universo, non solo del mio carcere.»

    Il silenzio che seguì fu solo un’introduzionealla nuova risata scrosciante che esplose, con isoldati che si davano pacche sulle spalle. Dimitrisi sganciò la cintura di sicurezza e in pochi passifu subito addosso a Boyka. «Mettiamo le cose inchiaro, straccione», gli gridò in faccia sempre conil sorriso sulle labbra. «Noi Colonial Marinessiamo i più forti dell’universo: tu sei solo un muloche scalcia nella stalla.» Guardò il lottatore con unsorriso di scherno. «Di’ un po’, tu che parli diuniverso: hai mai visto qualcosa di diverso dellepareti della tua cella? Parli di qualcosa di cui nonsai nulla.»

    Boyka continuava a fissare il vuoto davanti a

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  • sé, così Dimitri dovette insistere. «Pensi di essereil primo “campione” che portiamo in giro? Seisolo un pezzo di carne sacrificabile, ti aspetta unamorte orribile, sai? Mi sa che ti convenivarimanere nel tuo buco di fogna a scontare la tuapena.» Dimitri avvicinò il volto per assicurarsiche il lottatore vedesse il suo sorriso crudele.«Perché poi sei finito in galera? Hai scippato unavecchietta?»

    Finalmente Boyka mosse lentamente gli occhi afissare il soldato. «Davvero vuoi conoscere la miacolpa?»

    «Sentiamo, straccione: cos’hai fatto permeritare un carcere duro come Gorgon? Si diceche...»

    Dimitri non finì la frase. Le gambe di Boykascattarono in una spazzata ai piedi del soldatomentre con la mano destra lo afferrò al volto e losbatté velocemente a terra: Dimitri cadderovinosamente senza accorgersi di nulla. Avevaancora gli occhi sbarrati dalla sorpresa quando si

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  • ritrovò un piede di Boyka a serrargli il collo e aimpedirgli di respirare. «Mi piace schiacciare lemerde.»

    ~

    Stazione orbitante del pianeta LV-1201

    «Ci sei andato giù pesante.» Il generale Rykovnon era affatto seccato nel pronunciare questeparole, semmai divertito dal fatto che uno dei suoirudi mercenari fosse stato messo al suo posto daun carcerato senza alcun addestramento militare.«Dimitri è un idiota ma esegue gli ordini allaperfezione, quindi è un buon soldato.»

    «È stato quindi un suo ordine quello distuzzicarmi?» Boyka si guardava in giro,meravigliato dal camminare in una stazioneorbitante quando nella sua intera vita – fino apoche ore prima – non aveva mai visto nulla al difuori delle mura di Gorgon. in realtà ciò cheveramente lo stupiva... è che non gliene fregava

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  • nulla.«No, il mio ordine era di assicurarsi che non ti

    facessi male durante il viaggio.» Rykov scoppiò inuna risata. «Avrei dovuto ordinare a te di non faremale ai miei uomini.»

    «Non sarebbe servito», rispose Boyka. Ilgenerale scherzava: lui no.

    Il lottatore seguiva il generale rimanendoindietro di un passo: vecchia abitudine dacarcerato. Rykov non sembrava badarci e con ungesto della mano invitò Boyka a guardare dallagrande vetrata a cui l’aveva portato.

    «Quello è LV-1201», disse il generale conparticolare enfasi, indicando il gigante rocciosoche riempiva la vetrata. «Un pianeta brullo earido, ma pieno di sorprese. Secoli fa aveva unclima diverso ed era popolato di mostruosecreature.»

    «Tutto questo fa parte del mio futuro?» Boykanon stava guardando il pianeta ma si limitava afissare la nuca del generale: quella domanda

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  • indicava chiaramente che non gli interessava ilgiro turistico della zona.

    Rykov si girò con un mezzo sorriso sullelabbra, a metà fra curiosità e stupore. «Sei un tipoche non perde tempo, vedo.»

    «Non sono qui in vacanza. So che le promessedel torneo erano solo una bugia, ma se finora nonmi avete ucciso vuol dire che avete dei piani perme, e voglio conoscerli. Dopo magari mi puòanche raccontare la storia del pianeta.»

    Il generale annuì. Quel lottatore non sembravauno che parla molto, era da lodare che avesse fattoun discorso così lungo senza tentennare. «Dritto alpunto: mi piaci, figliolo.»

    «Non sono suo figlio», sibilò Boyka. «Micreda, è meglio per lei che io non lo sia.»

    ~Rykov portò il lottatore in un’altra ala della

    Stazione orbitante, stavolta senza finestroni, eapprofittò della camminata per parlare: stavoltasenza premesse o introduzioni.

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  • «Il pianeta è sotto l’ala della Weyland-Yutani,ma in pratica è mio. Ho l’incarico di gestire unimpianto sotterraneo ma una frana ha fatto crollaretutto... seppellendo un oggetto che mi serve.»Aprendo l’enorme portellone della sala il generalesi voltò verso Boyka. «La tua missione è direcuperarmi quell’oggetto.»

    Entrando nella gigantesca sala il lottatorerimaneva sempre un passo indietro. «Capiscol’idea di mandare un carcerato a morire in un bucosotto terra, in fondo sono assolutamentesacrificabile, ma che c’entra il torneo di lotta?Perché ha cercato un lottatore?»

    Il generale continuava a camminare guardandoavanti. «Ho già organizzato diverse spedizionisotterranee, utilizzando minatori, soldati,mercenari e non so più che altro. Tutti fallimenti.»Rykov non lo disse, ma con “fallimenti” eraplausibile pensare che tutta quella gente fossemorta nell’impresa. «L’ultima speranza è unanimale più coriaceo degli animali che vivono là

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  • sotto.» Con una pausa teatrale il generale si voltò aguardare l’uomo che lo seguiva con sguardoaffilato. «Perché quella struttura sotterranea èall’interno di un nido alieno.»

    Boyka lo fissò serio ma il suo volto non tradìalcuna emozione. «Ripeto: che senso ha mandareun lottatore a morire dilaniato dagli alieni, opeggio ancora imbozzolato nel nido?» Il ciclovitale di quelle creature era così terribile daessere guardato con rispetto dagli ospiti violentidei carceri in giro per l’universo.

    Forse il generale sperava in una reazione dipaura, ma ormai era chiaro che non ne avrebbeottenute. Si voltò e si avviò verso il centro dellaenorme sala. «La frana ha lasciato degli spazitroppo angusti per organizzare un assalto diColonial Marines: dovrebbero procederelentamente, al massimo due per volta, il chevorrebbe dire una bella scorpacciata per quellebestiacce aliene. No, solamente un uomo inmissione solitaria può raggiungere la mia struttura

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  • sotto terra, ma un uomo solo non ha alcunapossibilità contro frotte di mostri.»

    Arrivato davanti ad una struttura senza insegnené scritte, quasi una scatola anonima in mezzo allastanza, il generale si voltò e guardò estasiatoBoyka. «Ecco perché dalla Compagnia mi sonofatto inviare questo giocattolo.»

    Premette un qualche pulsante non visibile agliinesperti e la grande scatola cominciò ad aprirsi,anzi: la sua superficie sembrò scorrere su se stessafino a scomparire al proprio interno, lasciandovisibile una grande teca di vetro, con all’interno...

    «Un’armatura!» sbottò il lottatore. «Tutta qual’arma segreta?»

    Rykov sorrise. «Da tempo la Weyland-Yutaniper operazioni di “disinfestazione” utilizza unesoscheletro potenziato a comandi mentali, magarine hai sentito parlare: è un carrozzone chechiamano Berserker. È una roba ingombrante edifficile da manovrare, e soprattutto friggecompletamente il cervello del poveraccio che la

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  • deve guidare. Così la Divisione Armi stastudiando una versione più piccola e maneggevole:come questo prototipo.» E con la mano indicòl’armatura come un consumato venditore.

    «Può bastare contro gli alieni? A prima vistami pare di no.»

    Rykov non badò al commento e proseguì. «Unochassis di titanio ricoperto di protezioni di chitina.Sai cos’è la chitina?» Ricevette uno scrollamentodi spalle. «È la materia che costituisce il corpodegli alieni: quest’armatura è immune al lorosangue acido perché è costruita con la loro stessapelle. Un sofisticato meccanismo idraulico,compresso e nascosto dietro la schiena, permetteai muscoli artificiali dell’armatura di moltiplicareper dieci la forza umana.» Qualche secondo disilenzio per far assimilare l’informazione. «Conquesta bellezza addosso, darai i colpi più potentiche un essere umano potrà mi sferrare.»

    Finalmente la monoespressione di Boykacominciò a contrarsi in un sorriso. «Sta dicendo...

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  • che devo prendere a calci quei mostri?»Il generale lo guardava divertito. «Esattamente.

    Potrei mandare un mio soldato, esperto di campi dibattaglia e addestrato a situazioni di forte stress,ma sarebbe tutto inutile: al massimo potrebbesparare agli alieni e per esperienza questo nonserve a molto, quando sono in tanti. Inoltrequest’armatura non può resistere a lungo se glixenomorfi, con la loro forza mostruosa,cominciano a “giocarci”. No, mi serve un animaleda combattimento, qualcuno che corra veloce inquel buco e sappia tenere a distanza quellecreature... prendendole a calci!»

    Boyka aveva occhi solo per l’armatura, lìesposta aperta e scintillante: era l’oggetto piùbello che avesse mai pensato di ammirare. «È unpiano assurdo e suicida, sicuramente verròsmembrato e la Compagnia perderà il suo preziosoprototipo...»

    «Ma...?» chiese sorridendo il generale.«... Ma è qualcosa di troppo eccitante per

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  • rinunciare. Combattere contro degli alieni è unasfida che un lottatore non può lasciarsi sfuggire.»

    «Sapevo che ti sarebbe piaciuta», gongolòRykov azionando un’altra leva invisibile e facendoaprire lentamente la teca. «Perché non la provi evediamo come ti sta?»

    Per la prima volta nella sua vita... Boykasorrise.

    ~Quando l’ultima cinghia fu tirata e l’ultima

    serratura fu bloccata, Boyka si sentì goffo e un po’ridicolo, a ritrovarsi strizzato in quel costumemetallico. «Tranquillo, l’intero chassis ha sensoridi adattamento che entro qualche secondoleggeranno il tuo corpo e vi si adatteranno.»

    Già mentre il generale parlava, il lottatoresentì una sensazione piacevole per tutto il corpo: isensori lo stavano “palpando” per capirlo. Nelgiro di qualche istante Boyka si sentì bene comenon lo era mai stato in vita sua. Era statoaddestrato da suo padre ad essere consapevole di

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  • ogni muscolo, ad avere il totale controllo sulproprio corpo, ma ora quella sensazione eraamplificata: in quel momento si sentiva davvero ilpiù forte dell’universo. Anche perché ora lo erasul serio.

    «Dalla tua faccia mi sembra di capire che ti citrovi bene», disse divertito il generale. «Muoviti,fai come se ti stessi allenando, vediamo comel’armatura reagisce ai tuoi input.»

    «A che?»Rykov agitò una mano in aria. «Tu mena, e non

    preoccuparti.»Boyka fece qualche passo tentennando,

    scoprendo poi che invece riusciva a muoversi confluidità. Dopo un altro paio di passi iniziò adagitare le mani, poi le braccia, poi a roteare ilbacino. Era incredibile, quell’armatura reagiva alsuo corpo come fosse una semplice tuta.

    «Attento, che qui è pieno di macchinaricostosissimi: vatti ad esercitare laggiù, su quellapedana.»

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  • Boyka si mosse velocemente per provare comeera la corsa: perfetta. «Attento generale, che nonmi tolgo più di dosso questo capolavoro.»

    L’entusiasmo del lottatore lo stava distraendo,così non si accorse del punto dove Rykov lo avevafatto arrivare, né che ora il generale stavaticchettando qualcosa su una tastiera. «È quelloche spero, figliolo.»

    Il “figliolo” riportò il lottatore con i piedi perterra. Stava già per rispondere seccato quando siaccorse di qualcosa che ormai non poteva piùfermare: delle larghe vetrate si stavano alzandodal pavimento ed ormai lo avevano quasi del tuttoimprigionato in una gabbia trasparente. «Chediavolo significa, questo?» gridò il lottatore,mettendosi d’istinto in posizione di guardia.

    «Sangue freddo, ragazzo: questa è l’ultimaprova per capire se l’armatura funziona.»

    Neanche quando Boyka era ragazzo qualcunoaveva mai osato chiamarlo ragazzo. La rabbiastava montando e il lottatore stava per iniziare a

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  • prendere a pugni il vetro che lo circondava...quando sentì un inquietante sibilo provenire da unaparatia che si stava alzando dietro di lui. Qualcosastava per entrare nella sua gabbia...

    «Reagire freddamente in una situazione dipanico è la base per capire la pasta di un soldato:credo che per un lottatore valga la stessa regola.»La voce di Rykov risuonava nelle orecchie diBoyka, grazie alle casse presenti nel casco dellasua armatura. «Ti presento il tuo nuovoavversario... e spero vivamente che non sial’ultimo.»

    Stagliandosi sul bianco delle pareti della sala,il corpo nero insettiforme dello xenomorfosembrava anche più grande di quanto già nonfosse. I suoi denti erano già snudati e pronti acolpire.

    «Uno degli alieni che abbiamo catturato perstudiarlo e svelarne i misteri.»

    La creatura non perse tempo e scattò in avanti,pronto a mordere l’intruso.

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  • «Linguafoeda acheronsis, è il nome latino cheho proposto per classificarlo, il nome scientifico.»

    In un lampo il mostro aveva acquisito unavelocità incredibile, ed era già su Boyka...

    «Significa...»Un pugno sferrato con velocità incredibile fece

    compiere alla testa dell’alieno un giro quasicompleto, crollando a peso morto sul lottatore inarmatura, che non mosse un solo passo.

    «Significa...» ripeté inebetito il generale, congli occhi fissi sullo spettacolo di Boyka che siscrostava di dosso la creatura senza vita.

    «Avere un nome latino non mi impedirà dispaccargli il culo.»

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  • 3Pianeta LV-1201Sito Zeta

    Dopo trent’anni passati senza mai vedere nullaal di fuori del suo carcere, Boyka nel giro di ungiorno aveva viaggiato nello spazio ed ora sitrovava su un altro pianeta: non male per ungaleotto.

    Aveva scoperto che non soffriva durante glisbalzi inevitabili dei viaggi spaziali, della perditadi gravità o di pressione: era come se il suo corpose ne fregasse di dove si trovava. Era unamacchina per combattere e solo di quello sipreoccupava.

    LV-1201 era davvero un postaccio, stando aquei pochi metri di superficie che aveva intravistoappena sceso dalla navetta. Il generale Rykov erarimasto sulla Stazione Orbitante ma in realtà era

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  • sempre con lui, collegato via radio alla suaarmatura – o qualcosa del genere: Boyka nonaveva prestato attenzione alle spiegazionifornitegli – e quindi vedeva tutto ciò che illottatore vedeva e poteva intervenire impartendoordini o consigli. In pratica ora Boyka eral’estensione di Rykov.

    Prima di lasciarsi i due si erano guardati negliocchi, rimanendo in silenzio per qualche secondo.Poi Boyka aveva dato voce al pensiero dientrambi. «Una volta che sarò sulla superficie,cosa mi impedisce di far fuori i tuoi uomini eandarmene per conto mio?»

    Era un discorso onesto, da uomo a uomo, einfatti aveva usato il “tu”. Il generale lo apprezzò.«Sarebbe stato strano se non ti fossi posto questadomanda», rispose sorridendo, poi alzò una manoin aria. «Il mio computer da polso ha già caricatoun software che mi permetterebbe di fermareimmediatamente l’armatura, e nel caso di fare inmodo che ti stritoli. Sarebbe però un dannato

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  • spreco: ho grandi progetti per te.»«Progetti?»Rykov annuì. «Potrei farti allenare i miei

    uomini, addestrarli al combattimento corpo acorpo, e se riuscissi ad avere più armature insiemetireremmo su un’élite di soldati invincibili...» Gliocchi del generale brillavano. «Pensa a quello chepotremmo fare insieme, Yurj...»

    Nessuno lo aveva mai chiamato per nome, pertutti era solamente Boyka: certe cose intenerisconoanche il cuore più duro. Ma Boyka non avevacuore. «Cosa mi impedisce di strapparti il bracciocosì che non puoi usare quel computer da polso?»

    Rykov rise di gusto. «Mi piace la tuaschiettezza. Il computer da polso è collegato aibattiti del mio cuore: appena il segnale siinterrompe... finisci stritolato.» Decise di fugarealtre domande rimaste in sospeso. «Stai perscendere su un pianeta abitato solo da animalisconosciuti e xenomorfi incazzati: anche seriuscissi a liberarti dal mio controllo... dove

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  • andresti?» Diede una pacca sull’armatura. «Bastadomande, ora: mettiti il cuore in pace e va’ aspaccare il culo a quei mostri.»

    Boyka restituì la pacca sulla spalla... ma con isuoi muscoli rinforzati diede uno spintone chemandò il generale in terra. «Non è del mio cuoreche devi preoccuparti.»

    ~Durante la discesa verso il suolo Boyka si era

    esercitato ed ormai sentiva l’armatura come ilproprio corpo, gli sembrava impossibile che nonpotesse resistere agli attacchi alieni, vista lasensazione di invincibilità che dava.

    Atterrati, prima che il portellone si aprisse siaccorse che tutti i soldati si infilavano dei caschistrani, con dei tubi che... L’intuizione lo colpìfolgorandolo: erano dei respiratori. L’atmosferadel pianeta non era respirabile!

    «Ehi, non dovrei averne uno anch’io?» chiesead un soldato.

    Questi si girò e Boyka riconobbe Dimitri,

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  • quello che aveva pestato sulla Verloc. «No», glirispose il soldato. «Tu no!»

    Il lottatore non fece in tempo a rispondere cheil portellone si spalancò e i Colonial Marinescominciarono a scendere sulla superficie delpianeta. Era la prima volta nella sua vita che siritrovava a preoccuparsi dell’aria che respirava,era una questione che dava ovviamente perscontata: perché nessuno lo aveva dotato direspiratore? Possibile fossero così distratti da nonpensare che un galeotto come lui non era pratico diviaggi interplanetari?

    Cominciò a rantolare e a spingersi indietro,cercando di allontanarsi velocemente dalportellone: era completamente nel panico ed erauna sensazione a cui non era abituato.

    «Idiota!» Dimitri si avvicinò a lui ridendo. «Latua armatura è già dotata di ossigeno.»

    Il panico scomparì in un attimo per lasciarspazio alla vergogna: si era comportato come unbambino impaurito. Ma si rese conto che Dimitri

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  • non era lì per sfotterlo, anzi gli faceva segno dialzarsi e seguirlo. Boyka scattò in piedi percercare di riacquistare dignità, e cercava di nonguardare il soldato per non tradire vergogna.

    «Questo è per avermi quasi soffocato», disseDimitri. Boyka lo fulminò con gli occhi ma si reseconto che non lo aveva detto con malignità: il suosembrava quasi un sorriso amichevole. «Qui tra imarines funziona così: tu dài uno schiaffo a me ealla prima occasione te lo restituisco.»

    Funzionava così ovunque, non solo tra soldati.Boyka annuì. «Con questo siamo pari.» E si avviòverso l’uscita. «Ma alla prossima ti ammazzo.» Larisata di Dimitri lo accompagnò.

    ~Le porte massicce del Sito Zeta si aprirono con

    un rumore di metallo sfregante. IstintivamenteBoyka si portò le mani alle orecchie, rendendosipoi conto che le aveva ben chiuse nel cascodell’armatura. «Puoi regolare il volume dei suoniche provengono dall’esterno» si sentì dire.

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  • «Rykov?» chiese.«No, sono la tua coscienza... Certo che sono

    Rykov! Te l’ho detto che sarei rimasto incontatto.»

    «Non è piacevole.»«Spero non ti offenderai nello scoprire che non

    mi interessa.»Ora l’entrata del Sito Zeta era spalancata. A

    vederlo da fuori tutto sembrava tranne che uninsediamento coloniale: sembrava più l’entrata diuna miniera, ed in effetti Boyka già sapeva cheavrebbe dovuto scendere al suo interno.

    «Segui i miei uomini», disse la voce delgenerale all’interno del casco. «Ti porterannoall’ascensore.»

    Il lottatore seguì i soldati che gli facevano deigesti, entrando in quell’antro oscuro. La strutturaera spartana, sembrava fosse stata concepita nellapiù assoluta funzionalità: non esisteva nulla disuperfluo. «Sbrigati, non è una gita», gli gridavanoi soldati, e in effetti a forza di guardarsi intorno si

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  • stava attardando.Passarono per alcuni portelli e finalmente

    entrarono in un ampio salone che aveva al centrouna pedana elevatrice. «Ecco l’ascensore perl’inferno», disse un soldato attivando un pannellodi comandi lì vicino. «Va giù in discesa fino...»Non riuscì a finire la frase perché volò via.Afferrato con velocità fulminea dagli artigli di unalieno.

    Ci volle qualche istante perché tutti sirendessero conto di cosa fosse successo,rimanendo immobili in silenzio. Il soldato eradavanti ad un meccanismo e due enormi zampe dixenomorfo erano uscite dall’ombra e lo avevanoafferrato alla testa, sollevandolo di netto etrascinandolo nell’oscurità così velocemente cheprobabilmente la vittima stessa non si era accortadi nulla. Quando però la sala comandi si riempì digrida umane disperate, non ci fu più tempo per loshock.

    «Contatto!» gridò furente Dimitri, aprendo il

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  • fuoco con il pulse rifle verso l’ombra in cui il suocompagno era stato inghiottito. Da quando glixenomorfi erano diventati materia di studio, tuttigli addestratori militari iniziavano i loro corsi conun precetto che ogni soldato doveva assimilare sinda subito: se si finisce vittima di una creatura èinutile ogni tipo di salvataggio. Si aprirà il fuocoanche a rischio di uccidere la preda umana: meglioun soldato ucciso da fuoco amico che un alieno invita.

    Il rumore delle raffiche dell’arma di Dimitriesplose nella testa di Boyka: aveva dimenticato diabbassare il volume dei sensori audio del casco.Per farlo avrebbe dovuto fissare per tre secondi loschermo del menu alla sua destra, così che ilcontatto visivo lo azionasse e gli mostrasse leopzioni dell’armatura, tra cui plausibilmentedovevano esserci quelle dell’audio. Ma eraimpossibile farlo in preda alle convulsioni chequel rumore assordante gli provocava. L’unicasoluzione era...

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  • «Dov’è? Dove cazzo è l’insetto?» gridava unodei soldati.

    «Boyka, tu hai l’armatura: va’ lì a stanarlo...»Dimitri cominciò a voltare la testa in ognidirezione. «Boyka... Boyka!»

    «Cessate il fuoco!» gridò un altro, «Stiamosolo sprecando munizioni. Dov’è quel cazzone inarmatura? Mandiamo lui a...»

    «Non c’è», strillò Dimitri. «Il campione diRykov ci ha appena mollati qui.»

    «Cosa?»Un sibilo alieno riempì la stanza. Poi un altro.

    E poi altri.«Mio Dio...»«Questa zona doveva essere sicura.»«Quei mostri devono aver aperto una breccia.»«Via di qui, via di qui!»Le grida si susseguivano ansimanti e si

    sovrapponevano, ma i sibili e gli scricchiolii nonlasciavano spazio a dubbi: erano circondati. Isoldati arretrarono finché non videro un’ombra

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  • stagliarsi sulla porta: un drone, uno xenomorfoadulto che iniziava a snudare i denti affilati comerasoi.

    «Merda...» fu tutto ciò che Dimitri, il piùvicino, riuscì a dire.

    Il sibilo dell’alieno crebbe d’intensità fino adiventare quasi un grido disumano, uninnalzamento di tono... che rese ancora piùstupefacente il crack che lo fece interrompere. Unrumore secco tipico di un esoscheletro d’insettoche viene schiacciato: i denti del mostro erano giàpronti a scattare quando la sua lunga testa siritrovò completamente girata, quasi a fissare chida dietro lo aveva appena ucciso.

    Mentre il corpo tremolante della creatura siafflosciava, Boyka si fregava le manidell’armatura. «Scusate il ritardo: non trovavo ilfottuto menu audio.»

    I soldati lo fissarono allibiti mentre dopoqualche passo di rincorsa il lottatore saltò propriomentre un alieno scattava dal buio: i muscoli

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  • potenziati e il peso dell’armatura lanciata in voloscaturirono così tanta potenza che un semplicecalcio volante divenne una tecnica diannichilimento totale. Boyka e l’alieno siscontrarono in aria proprio mentre lo xenomorfospalancava le fauci: il piede del lottatore penetrònella bocca aliena come fosse burro, e la forza delsalto spinse il suo intero corpo all’interno diquello della creatura, che si aprì in due prima dicrollare a terra in una pozzanghera di sangueacido.

    Sceso in posizione sicura, Boyka si voltòverso i soldati. «Vi conviene andarvene: tra pocoscorrerà parecchio sangue acido.»

    Dimitri annuì e fece segno agli altri diarretrare. «Usa la leva gialla per azionarel’ascensore. E...» Gli fece un saluto militare,«grazie per essere tornato.»

    Un alieno sbucò alle spalle di Boykaafferrandogli le braccia con una morsa letale, ma illottatore fece subito scattare indietro la testa: il

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  • retro del suo casco sfondò il lungo craniochitinoso dell’alieno, che iniziò a barcollare. Uncalcio alto sferrato all’indietro fece volar via lacreatura con il petto sfondato.

    «Grazie il cazzo», strillò Boyka alla volta diDimitri. «Sei in debito, ora.»

    Mentre i soldati correvano fuori dal Sito Zeta,richiudendo le pesanti porte, Boyka si voltò incerca di altri avversari, cominciando a camminareper la sala con passo deciso. In un angolo buiovide l’alieno che aveva afferrato il soldato e orastava facendo scempio del suo corpo. La creaturasi voltò lentamente.

    «Perché non te la prendi con qualcuno alla tuaaltezza?» gli chiese sprezzante Boyka.

    In risposta l’alieno sibilò e si alzò lentamente.«Vieni qui, bello: fammi vedere come ti

    muovi.»«Piantala di pavoneggiarti e sbrigati ad

    ucciderlo!» tuonò la voce del generale nelleorecchie del lottatore.

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  • «Questo è il mio campo, Rykov: qui comandoio.»

    «E che diavolo vorresti fare?»«Studiare.» L’alieno si muoveva lentamente e

    con la sua testa senza occhi fissava Boyka che gligirava intorno. «Non si nasce campioni, lo sidiventa. E lo si diventa studiando.» La voce dellottatore era calma e concentrata. «Studiare sestessi per capire i propri difetti e correggerli.Studiare gli avversari per stabilire la strategia dicombattimento.»

    «Ma quale strategia?» urlava il generalenell’altoparlante. «Devi colpirli in testa e fine. Ilresto lo fa la tuta.»

    «È da molto tempo che non combatti, ehRykov?» Il “tu” tradiva costantemente una nota didisprezzo. «Puoi avere tutte le armi del mondo eperdere, se non sai come e quando usarle.»

    L’alieno fece scattare la testa in avanti,emettendo un feroce sibilo, ma il suo corpo non simosse. «Mi sta studiando anche lui», disse Boyka.

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  • «È abituato a vittime di carne, che probabilmenteavverte tramite il battito cardiaco. La mia tuta miisola, non sente il mio odore né il mio cuore, nonavverte l’adrenalina della paura, e tutto questo loconfonde. Altrimenti mi avrebbe già attaccato.»

    «Ma gli altri prima l’hanno fatto.»«Sì, perché ero in mezzo ai soldati, circondato

    a corpi caldi. Ora probabilmente per lui sonoun’ombra che si muove e basta.»

    Il corpo dell’alieno fremeva, indeciso.«Quanto ancora devi “studiare”?» chiesesarcastico il generale.

    I lenti movimenti di Boyka l’avevano portatovicino alla creatura, alla distanza giusta: conrapidità alzò il ginocchio destro e calò deciso ilpiede a colpire un ginocchio dell’alieno,sfracellandoglielo. «Sono all’esame finale.»

    Urlando ed agitando le braccia, il mostro sigettò in terra e cominciò ad attaccare Boyka, cheera però rapido ad indietreggiare. «Azzopparli nonserve a niente: anche trascinandosi sulle braccia

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  • sono veloci a spostarsi.»«Sarebbe questo il frutto del tuo studio?»

    chiese seccato Rykov. «Quando torni potrai farerichiesta di una cattedra di xenomorfologia, ma orafa’ fuori quel mostro.»

    Il lottatore caricò di nuovo la gamba eschiacciò la testa della creatura. «L’ho fatto soloperché non avevo più nulla da imparare: qui sottodecido io chi uccidere, quando e come.» Il silenziofu la risposta migliore.

    Si diresse con passo rapido alla pedanaelevatrice e azionò la leva gialla, come gli avevadetto Dimitri. «Sai, Rykov», disse mentre lapedana iniziava la sua lunga discesa. «In questamissione potrei addirittura divertirmi...»

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  • 4Finita la sua lunga discesa nel cuore della

    montagna, la pedana si fermò in uno spiazzoimmerso nella semioscurità. Alcune lampade allepareti cercavano di illuminare senza successo unasala che sembrava essere troppo ampia per lastruttura che la Weyland-Yutani aveva costruito, osemplicemente lo stato d’abbandono aveva resotutto più cupo.

    «Dove vado ora?» chiese Boyka guardandosiin giro. «In questa armatura c’è per caso una tascacon la mappa del posto?»

    «Da quanto sei in carcere, figliolo?» risposecon tono paternalista il generale. «Non esistonomappe se non digitali.»

    «Abbiamo già affrontato la questione del“figliolo”, Rykov», sibilò Boyka. «E comunque inun carcere di massima sicurezza non sono molte leapparecchiature che ho potuto usare: se devi fare

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  • una mappa, la fai su carta.»Il generale sbuffò, avrebbe voluto

    controbattere che avrebbe usato il “figliolo” finchéil lottatore non si fosse deciso a mostrargli un po’di rispetto e chiamarlo generale, ma era davverosuperfluo affrontare ora quel discorso. «Guardaper cinque secondi in alto a sinistra, quel sensorerosso che vedi sul tuo visore, e apparirà la mappadell’intera struttura: usa gli occhi come ti hoinsegnato per scorrere ed orientarti. Comunque unavolta aperta, fissa il centro della mappa e strizzadue volte gli occhi, con decisione: apparirà uncursore fisso che ti indicherà sempre la strada daseguire.»

    Boyka eseguì e la mappa prima apparve poi sitrasformò in cursore. «Divertente», fu il suo unicocommento. «Posso sapere cosa indica quel coso,quel cursore? O è un segreto militare? Tanto sedevo seguirlo prima o poi saprò di cosa si tratta.»

    «Il cursore è impostato sulla strada più veloceattraverso le macerie della frana per raggiungere il

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  • tuo obiettivo, e se per qualche motivo cambistrada, lui ricalcola il percorso.»

    «Credevo che fosse un difetto delle guardienon rispondere mai alle domande, ma a quantopare i militari hanno lo stessa stoffa. Ora ciriprovo: in cosa consiste il mio obiettivo? Mipiacerebbe saperlo così da capire cosa cazzo stocercando in questo buco di culo.»

    Il tono era cresciuto in intensità durante lafrase, ma Rykov non aveva tempo di rimettere inriga un sottoposto così indisciplinato. Gli diededelle indicazioni sui menu da azionare, efinalmente disse con enfasi: «Eccolo, il tuoobiettivo.»

    Davanti agli occhi di Boyka apparve una fotodi un oggetto curioso, mai visto prima: una speciedi grande cerchio con all’interno un cerchio piùpiccolo collegato con dei raggi. «Sarebbe perquesto che tanti hanno perso la vita qua sotto? Ache serve questa specie di soprammobile?»

    Il sorriso Rykov trasparì dalla sua voce.

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  • «Segreto miliare...»«Non avevo dubbi», grugnì Boyka.Scese dalla pedana e cominciò a camminare

    lentamente verso la direzione che il cursore aforma di freccia gli indicava sullo schermo. Laluce già fioca andava a perdersi nell’oscurità deltunnel che il cursore gli indicava. «Visto che stoandando a morire per il tuo stupido soprammobile,posso almeno avere un po’ di luce?»

    Rykov sbuffò e fornì alcune indicazioni chefecero cambiare l’immagine del visore di Boyka.«Ora hai la visuale ad infrarossi studiata perindividuare gli xenomorfi: quando entreranno neltuo campo visivo, li vedrai leggermentefosforescenti.»

    «Spiegami una cosa, generale.» Malgradol’avesse chiamato con il suo grado, il tono dellottatore era tutt’altro che rispettoso. «Voi supersoldati della super Compagnia avete queste superarmi e super tecnologia... e poi vi serve un avanzodi galera per usarle?»

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  • «Una cosa sono le armi, un’altra è latecnologia. Tutto il software di quell’armatura ènato per scopi civili, perché così ci si puòguadagnare: costruire “super armi”, come lechiami tu, costa tanto e non fa guadagnare, vistoche poi in battaglia si rompono o vengonodistrutte. Così come investire nell’addestramentodi alto livello di soldati che poi gli alieni cimettono un secondo ad uccidere. A parte imercenari che fanno soldi per conto loro, il futurodella Compagnia è riposto negli scarti della civiltàcome te.»

    Un sibilo si avvertì chiaramente in lontananza.«Potrei essere d’accordo se il discorso non si

    basasse su un grave errore.» Boyka vide un’aureafosforescente in lontananza sulla sua strada. «Chenon esiste nessun altro come me!»

    ~Il lottatore continuò a camminare senza

    accelerare, mentre l’alieno che era apparsodavanti a lui procedeva spedito. Con un rapido

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  • sguardo aveva visto che non c’erano altri baglioriin giro: probabilmente era un drone solitariolasciato a guardia dell’entrata, ma Boyka non davanulla per scontato. Il ciclo vitale di quelle creatureera noto in ogni angolo dell’universo ma lo eramolto meno il loro comportamento, soprattutto acasa loro. Ma al di là di questo, un lottatore nondeve mai basarsi su ciò che gli altri credono disapere: l’avversario va studiato nel momento delloscontro, solo lì si può capire chi si ha davanti.

    Lo xenomorfo si fermò a pochi passi da lui esibilò violentemente. Boyka annuì: di nuovol’odore neutro dell’armatura confondeva il mostro,che non capiva cosa avesse davanti. Ma stavolta lacreatura non rimase ferma: spalancando le fauciscattò in avanti barrendo, sorprendendo illottatore.

    Boyka ruotò velocemente il busto così daschivare l’attacco della creatura: sottrarsiall’attacco frontale con il minor dispendiod’energie è la base di ogni forma di

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  • combattimento. La violenza del balzo dell’alienolo fece atterrare qualche passo lontano dallottatore, che prontamente lo afferrò per le spalle.

    «Sei pazzo?» gridò Rykov nell’interfono.«L’armatura non può contrastare la forza di unoxenomorfo!»

    L’alieno scosse violentemente le spalle e colpìBoyka facendolo volare via, sbattendo contro unaparete di roccia. «Ora ne sono sicuro», borbottò illottatore, che si rimise in piedi velocemente, giustoin tempo per un’altra carica dell’alieno.

    Lo spazio angusto del tunnel di roccia nonpermetteva molto movimento, quindi le tecnichedovevano per forza essere contratte: Boyka nonpoteva usare le mosse d’effetto che riservava agliincontri sul ring, bensì il close combat con cuidoveva sistemare questioni personali negli anfrattidella sua prigione. Mentre la creatura si fiondavasu di lui sibilando, il lottatore tornò a ruotare su sestesso per evitare la carica dell’avversario, mastavolta non si limitò a scansarsi: mentre la testa

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  • dello xenomorfo gli passava davanti sferrò uncorto ma potente pugno dritto davanti a sé,colpendo il collo del mostro e provocando unfiotto di sangue giallognolo.

    L’alieno si agitò e diede segno di tornareall’attacco, ma si vedeva che stava soffrendo e chela ferita lo rallentava: Boyka lo raggiunse, gliafferrò velocemente la testa e la strattonò fino astrapparla via, con un fiume di sangue che gli siriversò addosso.

    «Si può sapere perché ci hai messo tanto?»sbraitava intanto Rykov.

    «È la mia missione, giusto? In ballo c’è la miavita e la mia morte... e quindi qui comando io»,disse Boyka con tono tranquillo. «Conoscerel’avversario è la condizione principale delrimanere il miglior lottatore dell’universo, quindifinché gli alieni sono gestibili devo studiarli il piùpossibile.»

    «E cos’avresti imparato?» chiese sarcastico ilgenerale.

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  • «Che il loro collo è un punto debole come ilnostro, anche se non basta per fermarli. Chemalgrado l’armatura non posso affrontarli sulpiano della forza fisica, ma questo lo sapevi.»Rykov sbuffò. «E cosa più importante... cheparlano tra di loro.»

    Dopo un silenzio troppo lungo, il generaleriprese a parlare con un tono pacato. «Come fai adirlo?» Non era una domanda che esprimessecuriosità: il tono era quello di chi già sa larisposta.

    «L’alieno di sopra, nella sala dell’ascensore,mi stava studiando perché non aveva mai vistoqualcosa di simile, questo invece mi ha attaccatosenza esitazione. Non emetto odori né altro segnaleumano: perché questo mostro non è sembratodubbioso? Mi ha attaccato perché la creaturadell’ascensore prima di morire... deve averavvertito i suoi fratelli in qualche modo.»

    Un altro silenzio. «Pensiamo da tempo checomunichino ma non siamo mai riusciti a provarlo.

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  • Probabilmente si scambiano informazioni in varimodi. Date alcune somiglianze con le formichedella Terra abbiamo pensato ad un sistema dicomunicazione basato su feromoni ma i test nonhanno portato a nulla. È anche vero che sappiamocosì poco della loro biologia, ed è così difficilerecuperare xenomorfi vivi da studiare, che ognistudio è fermo al campo delle ipotesi.»

    «Magari scopro qualcosa e divento davveroprofessore di alienologia.» Mentre Rykov parlavaBoyka stava ultimando di trafficare con il corpodell’ultima creatura uccisa.

    «Si può sapere che stai facendo?» chiese ilgenerale.

    «Mi sono sparso un po’ sangue alienoaddosso: chissà che non riesca a lasciare gli altristupiti. Se sono stati “avvertiti” che un esseresenza odore è un pericolo da attaccare, magari sene sentono uno con il loro stesso odore dovrannopensarci un attimo prima scattare. A me bastaanche solo un istante di esitazione.»

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  • «Sicuro che sentire odore di sangue serva abloccare la loro aggressività? A occhio avrei dettoil contrario.»

    Il lottatore scrollò leggermente le spalleall’interno dell’armatura. «Provare non peggioreràla mia situazione.»

    ~Boyka riprese la sua discesa nel cuore della

    montagna, seguendo la direzione che il cursorevolta dopo volta gli indicava. Cercava dimantenere un’andatura regolare e tranquilla, siaper non disperdere energie sia per non rischiare diattirare troppo l’attenzione. La strada in discesanon sembrava essere particolarmente faticosa, mail problema sarebbe stato al ritorno, in salita.Inutile pensarci, meglio affrontare un problemaalla volta. Un problema come i sibili che d’untratto l’uomo sentì volare intorno a lui.

    Non vedeva nulla intorno a sé, le creaturedovevano essere annidate in qualche anfratto dellaroccia, quindi era inutile fermarsi ad aspettare.

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  • Continuò a procedere alla stessa velocità, come senulla fosse: magari questo e l’odore di sangueavrebbe confuso i sensi degli alieni.

    Continuò a procedere per due o trecento metriprima di vedere la sagoma di uno xenomorfoapparire davanti a sé, sulla destra. Non sembravaminaccioso, non era in posizione d’attacco: che iltrucco del sangue stesse funzionando?

    Boyka continuò la sua andatura regolare comese niente fosse, sebbene non fu affatto piacevolepassare davanti alla sagoma dell’alieno, immobile,ma doveva comportarsi con disinvoltura: solo cosìpoteva ingannare i sensi delle creature.

    Con la coda dell’occhio vide la testadell’alieno ondeggiare lentamente ma riuscì apassargli davanti indenne: che avesse trovato ilsistema per aggirarsi indisturbato tra i mostri? Unartiglio che gli afferrò una spalla fu il segno checosì non era.

    Riuscì a trattenersi dal sussultare ma si reseconto che non poteva più camminare, visto che il

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  • potente arto alieno lo stava immobilizzando.«Perché ti sei fermato?» chiese Rykov.«Penso che un alieno stia cercando di capire

    chi diavolo sono io», sussurrò Boyka. «Finoradevo avere ingannato i suoi sensi ma ho paura chein questo istante stia ponendomi delle domande in“lingua xenomorfa”, o quel che è. Domande chenon avranno una risposta, quindi mi sa che tra unpo’...»

    Il lottatore non finì di parlare che lo xenomorfosnudò gli affilati denti che riempivano la suaampia bocca: l’esperimento era palesementefallito, quindi basta delicatezza.

    Mentre rispondeva a Rykov, Boyka aveva giàspostato lentamente il suo peso sulla gambacorrispondente alla spalla immobilizzatadall’artiglio alieno, quindi ora si limitò a sfruttarela pressione che quella esercitava sulla sua spallaruotando il busto nella direzione opposta: non soloquesto fece sbilanciare la creatura, che non sel’aspettava, ma la rotazione permise al lottatore di

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  • caricare e sferrare un calcio alto a spazzata.Quando il suo piede ritornò a terra, la boccadell’alieno non aveva quasi più denti.

    La velocità della tecnica aveva lasciato distucco lo xenomorfo, così Boyka pensò che potevaeseguire un altro veloce esperimento: afferrò conle mani il collo della creatura e, ruotandogliintorno, tentò di immobilizzare quel grande corpoviscido con una tecnica di soffocamento. Nonvoleva davvero soffocare quel mostro, erapalesemente impossibile: voleva provare a farsenescudo con gli altri suoi compagni che sicuramentesarebbero accorsi.

    Dopo un istante infatti lo schermo di Boyka siilluminò: erano apparsi dal nulla almeno cinque osei xenomorfi, sbucati fuori dalle pareti dopo chel’alieno in avanscoperta aveva smascherato laminaccia. Tutte le loro bocche erano aperte epronte ad attaccare, in un insopportabile concertodi sibili.

    Mentre indietreggiava lentamente Boyka puntò

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  • verso di loro la creatura rantolante che stringeva afatica tra le mani. «Rimanete lì dove siete o facciofuori il vostro amico», gridò l’uomo.

    «Ma sei impazzito?» lo redarguì il generale.«Stai davvero minacciando degli xenomorfi? Saiche anche se potessero capirti non cambierebbenulla?»

    Le parole di Rykov trovarono subito confermaquando i due mostri più vicini si avventarono suBoyka, dilaniando e strappando via il corpo delloro compagno rantolante. Non sembrava esserciamicizia o cameratismo tra gli xenomorfi.

    In un lampo il lottatore si ritrovò a terra, acausa della forte spinta dei due aggressori, e sirese conto che non poteva rimanere in quellaposizione durante un attacco: la sua armatura nonavrebbe retto alla forza congiunta di sei alieniincazzati. «Va bene», gridò a denti stretti, «lascuola è finita.»

    Ormai l’armatura si era come fusa con il suocorpo, quindi osò una tecnica che non aveva

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  • ancora provato: fece scattare le gambe in alto,contrasse gli addominali e quando i pieditornarono a terra il suo corpo si ritrovò eretto.L’essersi alzato così di scatto diede potenzaall’armatura, che nel movimento colpì in vari puntigli alieni circostanti. Quell’attimo di esitazionedoveva essere la sua arma migliore.

    Prima di tutto doveva uscire dal centro di quelcircolo di corpi chitinosi dagli artigli agitati inaria, quindi scelse una creatura e vi si avventò:pugno sinistro a destabilizzare, pugno destro asfondare. Mentre la testa dell’alieno ondeggiava ei barriti di dolore si levavano potenti, Boykaafferrò il corpo e con un colpo di reni se lo fecevolare sopra la testa fino a farlo cadere allespalle, addosso agli alti alieni.

    Non rimase a vedere il risultato di quellatecnica e corse in avanti, sentendo l’armaturapotenziare le sue falcate. Era impossibile batteregli xenomorfi in velocità ma non era quello loscopo della corsa. Il cursore si ingrandiva sullo

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  • schermo mentre Boyka correva verso l’obiettivo,ma i rumori alle sue spalle non davano spazio adillusioni: le creature gli erano già addosso.

    Approfittando della velocità acquisita, illottatore prese lo slancio ed eseguì un saltoall’indietro... pur se il suo corpo era lanciato inavanti. Il risultato fu che le sue gambe ruotaronoall’indietro e crollarono addosso all’alieno allesue spalle, sfondandogli il grande cranio.

    Servì una frazione di secondo agli alieni percapire che l’uomo era caduto in terra, ma ora chefermarono la corsa e gli si avventarono contro...Boyka era già di nuovo in piedi, pronto a colpire.Stavolta non aspettò la rincorsa e si limitò asferrare un calcio frontale in aria, prendendo inpieno uno degli alieni che si era lanciato contro dilui. Prima che la creatura potesse riprendersi, illottatore roteò il bacino e lanciò un calcio aspazzare, strappando via la parte anteriore dellatesta dell’alieno.

    Uno xenomorfo lo aveva intanto afferrato per

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  • le spalle ed un altro era pronto, con la secondabocca già estratta, a colpirlo da davanti. Poverixenomorfi, come se Boyka non si fosse trovato giàmille volte in quella situazione, nel carceredov’era nato e cresciuto. Il lottatore non ebbeneanche bisogno di pensarci, ma atteso il momentoin cui la lingua aliena era abbastanza vicina lasciòsemplicemente andare il suo istinto. Afferrò ipotenti artigli che gli bloccavano le spalle e li usòcome leva, saltando in una capriola: mentreroteava in avanti, le sue gambe unite colpirono dasotto la testa dell’alieno che lo bloccava e poicrollarono sulla testa di quello che lo stava percolpire. Quando Boyka toccò di nuovo terra,entrambe le creature erano fuori combattimento.

    Si spostò per affrontare l’ultimo alieno rimastoquando si rese conto che quello se ne rimanevaimmobile. «Hai paura, amico?» lo derise Boyka,camminando indietro e facendo segno alla creaturadi seguirlo. «Vieni da paparino...»

    Lo xenomorfo vibrava tutto e sibilava senza

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  • sosta, ma sembrava che qualcosa lo spingesse arimanere immobile. Incuriosito da quelcomportamento Boyka si guardava in giro, e soloallora si rese conto che il cursore stavalampeggiando. «Possibile sia già arrivato adestinazione?» chiese, ma nessuno rispose.«Rykov, mi hai sentito?» Silenzio. Che stavasuccedendo?

    Boyka smise di guardare l’alieno indeciso einiziò a procedere lentamente verso la direzioneindicata dal cursore lampeggiante, finché scorsedella luce che contrastava con la cupasemioscurità che c’era stata fin lì. Lentamenteraggiunse il varco illuminato e il lottatore si trovòdavanti un’enorme sala brillante con all’internoqualcosa di ignoto che non poteva capire.

    «E tu chi cazzo saresti?»Tutto si aspettava Boyka tranne di sentire una

    voce umana lì sotto. Una voce di donna...

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  • 5L’uomo e la donna si guardavano come se

    fossero due razze aliene allibite nello studiarsi avicenda.

    Boyka aveva trovato strano che lo xenomorforimasto in vita si fosse fermato e non lo avesseattaccato, ma quel curioso fenomeno era giàdimenticato: l’attenzione ora ricadevacompletamente sulla donna davanti a lui. Va beneche sin dall’inizio il lottatore aveva messo inconto di fare gli incontri più strani nel cuore di unamontagna piena di alieni... ma quello era davveroqualcosa che superava ogni immaginazione.

    «Si può sapere da dove arrivi?» chiese ladonna con tono aspro mentre impugnava tra lemani una qualche sorta di arma, brandendola inavanti con modo minaccioso. «Identìficati.»

    Una soldatessa, pensò Boyka: chi altri chiedead uno sconosciuto di “identificarsi”? «Mi stai

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  • minacciando con un bastone?» chiese il lottatore,ignorando la domanda. «Hai visto l’armatura cheho indosso? Pensi di farmi male con quello?»

    «Sì, l’ho vista l’armatura», rispose sprezzantela donna, «e questo vuol dire che ti ha mandatoquel verme di Rykov, ma... non è proprio da lui.»

    «Conosci quel simpaticone? Ehi, Rykov, quic’è una tua fan.» L’interfono dell’armaturarimaneva muto.

    «Incredibile, ti ha proprio mandato il generale.È inutile che gli parli, qui ogni onda radio ocollegamento è interrotto.»

    «Qui dove? Dove siamo? Come mai sai tuttequeste cose? E chi sei?» D’un tratto Boyka agitò lemani in aria. «Ah, ma che mi frega, mi prendoquello e me ne vado.» L’uomo indicò un punto alcentro dell’ampia sala. «Quel soprammobile è lamia missione: starà bene sul camino del generale.»

    Boyka aveva indicato l’oggetto visto in fotoche ora fluttuava al centro di un raggio che loponeva a mezz’aria, al centro esatto dell’ampia

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  • sala. Il lottatore neanche per un attimo si chiese ilmotivo di quella strana struttura: non era lì perfarsi domande né tanto meno per trovare risposte.

    «Ah, ora sì che riconosco il generale», dissequasi divertita la donna. «Sei qui per l’Artefatto,non per me.» La donna cambiò posizione fino ascimmiottare una posa militare. «Maggiore Dunjadegli United States Colonial Marines, ero lapupilla del generale Rykov finché non mi hamandata in questo inferno a recuperare l’Artefatto.Era una missione segreta di massima importanzache mi avrebbe garantito la promozione, inveceora sono bloccata qui.» Indicò svogliatamentel’oggetto fluttuante. «L’Artefatto è l’unica cosa chemi mantenga in vita, quindi prima di portarlo viadovremo metterci d’accordo.»

    Boyka sorrise. «Che brav’uomo, il generale.Prima manda la sua “pupilla” poi un galeottosubito dopo di lei: visto che non mi ha parlato dite, è chiaro che gli sei rimasta nel cuore.»

    Dunja storse la bocca in un sorriso amaro.

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  • «Non avendo più mie notizie deve avermi credutomorta, e in effetti avrei dovuto esserlo. È stato unmiracolo arrivare quaggiù, ma tornare indietro conl’Artefatto, come vuole Rykov, è impossibile.»

    «Si può sapere cos’è questo “Artefatto”, comelo chiami? Perché è così importante da mandarcicosì tanta gente a morire?» Anche in Boyka, ognitanto, si faceva strada un barlume di curiosità.

    La donna si pulì la visiera della maschera perl’ossigeno. «Dunque non ti ha detto niente, non sose è un segno buono o cattivo. Comunque...» Iniziòa girare in tondo agitando lentamente le mani,quasi a tenere una lezione ad un pubblicoinvisibile. «Un’antica e misteriosa civiltà haimbrigliato una forza sconosciuta in un oggetto, chenoi chiamiamo “Artefatto”, in grado di irraggiareuna specie di aurea psico-chimica che inibisce glixenomorfi e li tiene a debita distanza.»

    «Ecco perché il mostro si è fermato, quandosono arrivato nei pressi di questa sala.»

    Dunja si immobilizzò e guardò l’uomo

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  • incuriosita. «Di solito quando snocciolo questachiacchierata perdono tutti attenzione alla primaparola...»

    Boyka fissava l’oggetto in aria. «Quandocresci in un carcere pieno di gente che vuole bereil tuo sangue, presti la massima attenzione a ogniparola.»

    «Quindi... non stavi scherzando: sei davveroun galeotto?» Dunja cominciò a gesticolare.«Prima manda me, un maggiore dell’esercitodall’addestramento di alto profilo, la migliore deimercenari al suo servizio, e poi manda uno scartoumano? Perché allora non ha mandato subito te,invece di sacrificare me?»

    «Perché gli scarti vengono chiamati a risolverei problemi solo dopo che i migliori hanno fallito.»

    Dunja agitò un dito alla volta dell’uomo, checontinuava a non guardarla. «Io non ho fallito,sono riuscita a spingermi fin quaggiù superando gliattacchi di xenomorfi che...»

    «Sì, sì, ho capito, ma ora immagino che se

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  • porto via l’Artefatto da quel raggio di luce perdeogni effetto, e un esercito di mostri invade questabella sala. Mi sbaglio?»

    «No, non sbagli», borbottò la donna con il ditorimasto a mezz’aria. «E il problema non è tantol’esercito di mostri... Cioè sì, è un bel problema,ma non è l’unico. Da giorni mangio le schifosescorte alimentari lasciate dai minatori dellaCompagnia e studio la sala, centimetro percentimetro, in cerca di una soluzione per...»

    «Da giorni? Cristo, ma da quant’è che seiqui?»

    La donna si irrigidì, anche a colpa dellosguardo irridente dell’uomo. «Pensi che sia colpamia? Non è che mi si è incastrato un tacco nellagrata di un tombino. E poi gradirei che tirivolgessi a me con il mio grado: l’essere unavanzo di galera non ti esime dal rispetto che...»

    «Basta con le cazzate, Dunja», disse Boykacalcando l’accento sul nome, detto al posto delgrado, «e dimmi cos’hai scoperto in questa tua

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  • lunga analisi della zona.»La donna sbuffò. «Ho trovato una parete

    abbastanza fragile da poter abbattere con glistrumenti di fortuna che ho assemblato, tipo questopiccone che ho in mano. E a proposito, non mi haidetto il tuo nome: visto che ci stiamo divertendo achiamarci in modo informale, mi piacerebbesaperlo.»

    «Chiamami Boyka, non ci tengo al mio grado»,rispose l’uomo con un mezzo sorriso.

    «Ah, non ci tieni?» Dunja congiunse le braccia,stizzita. «Perché avresti anche un grado...»

    «Sì», rispose l’uomo divertito. «Sono il piùgrande lottatore dell’universo. Ma non ci bado,chiamami solo Boyka.»

    «Dovevo immaginarmelo», bofonchiò ladonna. «Comunque ho iniziato ad abbattere laparete sperando in una scorciatoia verso l’uscita oqualsiasi altra cosa che potesse aiutarmi, inveceho solo scoperto in quale altro modo ero fottuta.»

    «E sarebbe?»

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  • «Vieni, ti ci porto così ti rendi conto.» Dunjainiziò ad attraversare la grande sala, seguita daBoyka. «A proposito, se Rykov ti ha permesso diutilizzare la sua preziosa armatura Berserkerdoveva avere grande fiducia in te: fiducia cheovviamente non ha riposto in me.»

    «Vedi che neanche tu usi il grado? Perché nonchiami Rykov “generale”?»

    «Perché quella merda d’uomo mi ha mandato amorire qua sotto, quindi mi permetto di essereindisciplinata nei suoi confronti.»

    Boyka sghignazzò. «Dice che un soldatoaddestrato non potrebbe resistere agli attacchidegli alieni, visto che l’armatura non può nullacontro la loro forza. Io invece neutralizzovelocemente la minaccia così posso usare almeglio l’armatura.»

    Dunja si voltò, mentre camminava. «Parli beneper essere cresciuto in galera.»

    «Rimarresti stupita di quanti uomini di letterela Weyland-Yutani ha mandato in galera,

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  • inventando accuse per giustificare il carcere duro.Giornalisti e scrittori che hanno osato pubblicaretesti di denuncia invece che di adorazione acomando, gente che ha messo in gioco la vita perfar conoscere la verità: ho più stima di loro chedei soldati che “combattono per la libertà”.»Dunja si voltò a fulminarlo con un’occhiataccia,ma lui fece finta di non accorgersene. «Io liproteggevo e loro mi davano lezioni. Mi piaceva,in mezzo all’odio e alla violenza era una belladistrazione e mi aiutavano a capire tante cose. Mierano simpatici, e loro erano contenti che unabestia come me li proteggesse da altre bestie.»

    «Bene, dottor Boyka», lo prese in giro ladonna, quando furono arrivati dall’altra parte dellasala. «Questa è la parete di cui ti parlavo, ed ilmotivo per cui non puoi portare via l’Artefatto: setu lo facessi, infatti, interromperesti la forza chetiene a bada... lei.»

    L’uomo si sporse fino a guardare attraverso labreccia sulla parete: dall’altra parte vide degli arti

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  • immobili di xenomorfo. «Ci sono degli alieni, saiche novità? E come sai che uno di loro èfemmina?»

    Dunja scosse la testa. «Non sono “alieni”... èun solo alieno. La Regina madre...»

    Solo allora Boyka mise a fuoco le immagini diarti che vedeva e si rese conto che formavano ununico, gigantesco corpo, decisamente più grande ditutte le creature che aveva incontrato finora. «Cimancava solo la Regina, ora siamo al completo»,sibilò l’uomo. «Dici che è rimasta bloccata quadentro dalla forza dell’Artefatto?»

    Dunja agitò le spalle. «Non posso essernecerta, non sappiamo molto di questa sala e dellaciviltà che l’ha costruita, chissà quando. Ma sonoabbastanza sicura che appena disattivatol’Artefatto quella “signora” si sveglierà... e cimetterà un secondo a distruggere la parete edentrare in questa sala, richiamando in aiuto ognimostro esistente in questa montagna.

    Boyka non ce la faceva a distogliere lo

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  • sguardo. Aveva rispetto per la forza e la potenza, ela Regina era quanto di più forte e potenteesistesse nell’universo... Forse addirittura più dilui! «Una creatura così grande non può essereveloce, e poi è impossibile che passi per il tunnelche porta all’uscita. Ora che la “signora” sisveglia e inizia a muoversi noi saremo già sullavia del ritorno.»

    «Certo, e gli alieni faranno l’inchinovedendoci passare. Devi essere pazzo, già cisaranno frotte di mostri pronti ad attaccarci,figurati quanti ne arriveranno quando la Reginaordinerà ad ogni suo “figlio” di darci addosso.Non resisteremmo un solo minuto.»

    Boyka finalmente si scosse e dalla brecciaspostò lo sguardo sulla donna. «Sicuramente ioresisterò più di qualche minuto.»

    Dunja si pulì di nuovo la visiera per fissarel’uomo negli occhi. «Mi stai dicendo che te nefreghi, che ti prenderai l’Artefatto e fuggirailasciandomi qui a morire? Sono questi i valori che

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  • ti hanno insegnato quegli scrittori così saggi?»I due si guardarono per secondi che

    sembrarono un’eternità. «Tu sei già morta, Dunja»,riprese Boyka con un tono di voce confidenziale.«Lo sei da giorni, e anch’io sono morto, perchénon mi faccio illusioni: appena consegnato quelsoprammobile a Rykov lui mi farà fuori. Non puòlasciare in libertà una bestia forte come me. Ma diquesto mi occuperò a tempo debito: non sono unoche fa piani a lunga scadenza.»

    «Dovresti, invece, ed è proprio ora ilmomento di iniziare a farne.» Dunja indicòl’Artefatto senza distogliere gli occhi da Boyka.«Hai in mano tutto ciò che Rykov desidera, unostrumento per controllare gli alieni per il qualesarebbe disposto a fare qualsiasi cosa: devigiocartela bene, questa carta, non darla viasperando che poi succeda qualcosa che ti salvi.»

    «Se non esco di qui con quell’oggetto sonodestinato a fare la tua stessa fine: Rykov midimenticherà in un attimo. Al massimo si dispererà

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  • per l’armatura che ha perso, ma continuerà acercare altri volontari da mandare al massacro.»

    «E se lo portassi fuori io, l’Artefatto?» Unaltro lungo silenzio passò tra i due. «Tu hail’armatura, io no; tu sei un lottatore fenomenale, aquanto mi dici, io no; tu puoi resistere a lungo agliattacchi alieni, io no. La soluzione è ovvia: mentretu tieni a bada gli alieni, qui, io corro per il tunnelcon l’Artefatto.»

    «È davvero una splendida idea», dissesorridendo l’uomo. «In fondo è proprio così chesono sopravvissuto in carcere: fidandomi degliestranei e affidando la mia vita nelle loro mani.Non si può davvero sbagliare.»

    «Di cosa hai paura? Siamo su un planetoidedisabitato, dove vuoi che vada? E poi mica devistarci un’ora, qui sotto con gli alieni: dammicinque minuti di vantaggio, dieci al massimo, e poimi vieni dietro. Nessuno ci sta aspettandoall’uscita, dovranno mandare una scialuppa dallaVerloc per recuperarci e quindi avrai tutto il

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  • tempo di raggiungermi.»«Un piano perfetto, ma io ne ho un altro

    migliore: cominciamo a correre insieme per queltunnel, con l’Artefatto in spalla, e il primo chearriva vivo in superficie ha vinto. Che ne dici?»

    «È così che sei sopravvissuto in carcere?Lasciando i tuoi compagni indietro a morire?»

    Per qualche strano motivo, la frase colpìduramente Boyka. «Tu non sei un mio compagno»,bofonchiò.

    «Pensi davvero che Rykov ti accoglierà abraccia aperte?» continuò la donna. «Pensidavvero che ti farà salire sulla sua astronaveprima di pugnalarti alle spalle? Manderà i suoiuomini a recuperare l’Artefatto e ti farà ucciderequi, su questo schifo di pianeta: non può rischiarea farti salire sulla Verloc, forte come sei.» Visto ilsilenzio di Boyka, Dunja continuò. «Se invece cipresentiamo insieme sarà diverso, sono ancora unmaggiore dell’esercito e gli uomini di Rykov miascoltano. Più di una volta il generale se l’è presa

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  • per il mio ascendente sui suoi soldati: a medaranno retta quando dirò loro di farti salire abordo. E insieme spodesteremo quel verme diRykov.»

    Boyka sbuffò. «Hai delle aspirazioni nientemale, per essere un topolino in trappola.»

    «Pensaci, è l’unica soluzione. È come quelproblema di logica in cui devi portare in barca treanimali che si mangiano a vicenda da una rivaall’altra, ma non potendo mai portarne più di due,così da essere costretto a scegliere con cura i tuoipassaggi. Ti ricordi? Hai un lupo, una gallina e...»

    «Sì, una volta mi hanno parlato di quellaroba», tagliò corto Boyka, «ma ho risolto subito ilproblema, senza tante chiacchiere.»

    «Ah, e come l’avresti risolto?»L’uomo scosse le spalle. «Semplice: prendi la

    gallina e le tiri il collo, poi fai vedere il cadavereagli altri animali e dici “Qualcun altro di voi vuoledarmi problemi?”»

    Dunja lo fissò allibita, notando che non c’era

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  • vena di umorismo nelle sue parole. «Capiscoperché Rykov ti ha dato fiducia... E sarei io...insomma, sarei io la gallina a cui tirare il collo,per risolvere velocemente il problema?»

    Boyka la fissò a lungo, in silenzio. «Sai, incarcere a noi campioni era concesso ogni lusso,comprese le donne. A volte erano delle tossicheinutili, ma capitava qualche donna lucida con cuimi piaceva stare, e ho notato che spessomantenevano ciò che promettevano. Non propriosempre, ma un numero accettabile di volte,soprattutto quando avevano paura delleripercussioni. Io non posso minacciarti, visto chese mi sbaglio morirò sbranato dagli alieni, ma tichiedo comunque di promettere: prometti chequando arriverà la scialuppa convincerai i tuoiuomini a prendermi a bordo? Prima di rispondere,ricorda che mentre la navetta atterrerà ti terrò almio fianco, e ci metterei un secondo a spezzarti ilcollo.»

    Il volto di Dunja si illuminò. Si mise una mano

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  • sul cuore e alzò l’altra. «Parola di mercenaria.»Risero entrambi. «Quindi ti va bene il mio piano?»

    «Quasi. Ho pensato ad una specie di varianteche potrebbe funzionare molto meglio.» Boyka siavvicinò alla parete e cominciò a prenderla apugni: enormi sbuffi seguivano le macerie mentrecadevano.

    «Ma che fai, sei impazzito?» gridò Dunja.«Faccio prima io con i miei pugni che tu con il

    tuo ridicolo piccone.»«Perché vuoi aprire la strada alla Regina?

    Così sarà più veloce al suo risveglio.»Boyka si voltò a guardare la donna. «Ecco il

    mio piano. Tu prendi l’Artefatto, ogni arma con cuisei arrivata e corri come un lampo su per il tunnel,sparando a tutto ciò che si muove. Io invece quimetto in atto la prima regola del carcerato.» Ediede un altro pugno alla parete.

    Dunja lo fissava come si fissa un folle. «Equale sarebbe questa prima regola?»

    Boyka non si voltò, e le rispose fissando la

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  • Regina immobile al di là della parete. «Appenaarrivi in un ambiente ostile... vai a pestare il piùforte, e gli altri ti lasceranno stare.»

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  • 6La misurazione del tempo perde importanza

    quando ci si trova nelle viscere di una montagna,dove l’illuminazione è sempre uguale e non esisteil giorno e la notte. Boyka non aveva idea deltempo che stava passando lì sotto, e la cosa lopreoccupava: era fondamentale uscire il primapossibile dalla sala e riprendere contatto conRykov, prima che il generale si stancasse diaspettare e dichiarasse fallito quell’ennesimotentativo, andandosene dall’orbita del pianeta.

    Considerare di vitale importanza la tempisticain un luogo dove il tempo non aveva alcunaimportanza era solo uno dei fattori destabilizzantidella situazione. E ammirare da vicino la sublimepotenza distruttrice della Regina Aliena nonaiutava affatto.

    Aveva completamente distrutto la pareteintorno al gigantesco xenomorfo ed ora stava

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  • passando una catena intorno al suo collo. Ilmagazzino dei minatori della Compagnia si erarivelato più utile del previsto e la robusta catenacreava un “guinzaglio” più che efficace... perqualsiasi creatura che non fosse una forza dellanatura come la Regina Aliena.

    Boyka non si faceva illusioni, il suo era unpiano assurdo ma non aveva molte scelte. E poi alui servivano solo pochi minuti, il temponecessario alla Regina per chiamare a sé tutti isuoi “sudditi”, così da distrarli dalla corsa diDunja verso la superficie.

    Il lottatore girò leggermente la testa e fissò ladonna con la coda dell’occhio: era insopportabilefidarsi di uno sconosciuto. Figuriamoci di unadonna...

    ~Dunja era addestrata alle situazioni di stress e

    durante quei terribili giorni non aveva mai ceduto,la sua divisa lo testimoniava: anche solosbottonarsi il colletto sarebbe stato un gesto di

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  • rilassamento che non poteva concedersi, perchéavrebbe aperto la via ad altri gesti simili e a forzadi rilassarsi sarebbe arrivata la disperazione. No,Dunja aveva tenuto duro ed ora era più pronta chemai: in un modo o nell’altro quella situazionestava per concludersi.

    Fece velocemente l’inventario delle munizionie la situazione era buona. L’Artefatto aveva tenutolontani gli alieni e quindi non aveva sprecato colpida quando era entrata nella sala. Riempì ognicaricatore fino al massimo e si assicurò di avere ilcolpo in canna: una canna tenuta perfettamentepulita anche durante quei giorni sotto la montagna.Perché un soldato è sempre un soldato, anche nellesituazioni più assurde.

    Raccolse le cartucce che le erano rimasteinfilandosele nelle tasche: una volta messosil’Artefatto in spalla avrebbe avuto le mani libere,così da poter ricaricare velocemente il pulse riflecon cui era scesa, sia con i caricatori cheall’occorrenza con proiettili sfusi. Altrettanto

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  • importanti erano le due granate che si assicurò condelicatezza ai fianchi. Il coltello invece sarebbestato del tutto inutile ma lo stesso lo assicurò allacintura, insieme alla pistola d’ordinanza, quasifossero amuleti che la facevano sentire tranquilla.

    Tracolla assicurata dietro la schiena, colpo incanna, sicura tolta e il pulse rifle impostato su“fottuto inferno”, cioè raffica ammazza-tutti.Qualcosa di sconsigliabile, visto che dopo qualchesecondo l’arma diventa incandescente e rischia diesplodere, ma in una montagna piena di mostri“qualche secondo” può essere la differenza tra lavita e la morte.

    Davanti a sé ora Dunja aveva l’ultimo “ferrodel mestiere”: una siringa contenente lo XenoZip,il mix metamfetaminico creato dalla Weyland-Yutani per dare sprint alle imprese di un soldato,che garantiva resistenza alla fatica, innalzamentodella soglia del dolore, euforia e abbandono diogni inibizione. Esattamente quello che serviva perlanciarsi in una missione così fottutamente assurda.

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  • La donna prese la siringa e se la assicurò inuna piccola tasca sul petto, dove fosse comodoprenderla poco prima di cominciare la corsa versol’uscita. Un’uscita che non rappresentavanecessariamente la sopravvivenza.

    ~Boyka assicurò l’ultimo lembo di catena

    attorno alla Regina.«Dici che reggerà?» si sentì chiedere da

    Dunja.La fulminò con gli occhi. «Non c’è altro che

    possiamo fare, quindi mi sembra una domandainutile.»

    Con pochi agili balzi il lottatore scalò lacatena fino a sedersi sulla schiena della Regina:con raccapriccio si rese conto che il corpo dellacreatura era tutt’altro che rigido: era un esserevivente tenuto in una qualche sorta di stasidall’Artefatto, e chissà che non fosse perfettamenteconscio della presenza dell’uomo. Boyka siincastrò dietro l’enorme testa allungata dello

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  • xenomorfo e afferrò saldamente le catene cheaveva intrecciato, in modo che stringessero sulcollo della creatura: provocando dolore nel suopunto debole, sperava di poterla gestire. O per lomeno limitare per qualche minuto la sua forzatitanica.

    Una volta sistemato, Boyka guardò Dunja. «Ioci sono. Ora tocca a te.»

    La donna rispose al suo sguardo annuendo.«Comunque vada, ti sono grata per non avermilasciato qui a morire.» Il tono di voce era neutro,quasi asettico: non era qualcosa che Dunja fosseabituata a dire.

    Boyka digrignò i denti. «Pensa invece acorrere veloce e a far scendere la navetta: sarà lìche dimostrerai la tua gratitudine.»

    ~La donna si avvicinò alla base dell’Artefatto e

    premette la sequenza di pulsanti per disattivare ilraggio di stasi, come Rykov le aveva insegnato. Inun lampo l’Artefatto cadde giù e finì tra le sue

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  • mani: velocemente lo imbrigliò nelle corde cheaveva preparato e se lo assicurò dietro la schiena.Quasi fosse una continuazione dello stesso gesto,la donna estrasse la siringa e si iniettò la specialemetamfetamina della Compagnia. Il tempo di farcadere a terra la siringa vuota e di imbracciare ilpulse rifle... e già sentiva che quella folle impresaera dannatamente fattibile. Miracoli dellachimica...

    ~Dunja era già scomparsa nel tunnel, diretta

    verso l’uscita a gran velocità, quando Boyka sirese conto di quel che aveva visto. «Perfetto, sononelle mani di una drogata.»

    Non finì di sibilare la frase che avvertìchiaramente una potente scossa sotto di sé: ancheattraverso l’armatura poteva avvertire l’enormexenomorfo rianimarsi, poteva sentire la potenteforza vitale dell’essere tornare a scorrere nelle suecarni chitinose. Era come assistere in diretta allanascita di un terremoto, come essere partecipe

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  • della roccia che prende vita.Appena sentì che la Regina iniziava a scuotere

    lentamente la testa, Boyka tirò forte le catene chestringeva tra le mani: la risposta fu un gridostrozzato che nacque come un rantolo nella goladello xenomorfo e salì d’intensità fino quasi astordire l’uomo. Era un grido di sorpresa misto adolore e disperazione, ma c’era da scommettereche quello fosse solo un lamento: il vero“messaggio” l’uomo non l’avrebbe mai potutosentire.

    Non passò che qualche secondo prima chedegli xenomorfi iniziarono a riversarsi nella sala,quasi titubanti ma ben decisi a correre in aiutodella loro Regina. Da lassù sembravano piccoli, aBoyka, ma sapeva che ognuno di loro era unpericolo mortale... e ne stavano arrivando a frotte.

    La Regina iniziò a muoversi facendo forzasulle catene che la imbrigliavano, e sembrò subitochiaro che queste non avrebbero retto a lungo.Boyka diede un altro strattone provocando un altro

    97

  • grido di dolore ma non si faceva illusioni: stavaprendendo tempo davanti all’inevitabile.

    Un alieno si arrampicò velocemente sul corpodella Regina e il lottatore lo scalciò viafacilmente, facendolo ricadere: sarebbe stato cosìfacile anche con gli altri? Già subito due creaturesalirono insieme ai due lati: Boyka invece diaffrontarle strattonò la Regina tanto che fu questastessa, balzando verso l’alto dal dolore, a farcadere i due alieni.

    Un rumore inequivocabile sancì la fine deigiochi: un anello della catena aveva ceduto allapossente forza dell’enorme creatura, la quale orainiziava ad agitarsi liberandosi. Almeno cinquexenomorfi nel frattempo si stavano arrampicando ela velocità dei loro tentativi non lasciava spazio asperanze: il piano era già nella fase finale, e lesperanze iniziali erano state decisamenteottimistiche. Non aveva un orologio sott’occhio,ma Boyka dubitava fossero passati due minuti:figuriamoci cinque o addirittura dieci.

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  • Lasciate andare le catene, ormai inutili, illottatore afferrò l’enorme cresta che fuoriuscivadalla nuca della Regina. «È il momento diinstaurare la repubblica!» sibilò, prima distrattonare la testa della creatura con tutta la forzache aveva... spezzandogliela a metà.

    ~Non sapeva da quanto correva, ma non aveva

    importanza: non era una gara, era solosopravvivenza.

    Dunja non provava la minima paura né aveva ilfiatone, malgrado stesse correndo come mai primad’ora aveva fatto, come anzi mai avrebbe pensatodi poter fare. Si potevano dire tante cose dellaWeyland-Yutani, ma era dannatamente brava asintetizzare droghe da combattimento. Lo XenoZipaveva rischiato di diventare una piaga sociale,visto che bastava una dose a fare di un teppista unnemico pubblico, ma nelle mani giuste era un’armafenomenale. Paradossalmente un’arma creatasintetizzando la pappa reale della Regina Aliena...

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  • proprio quella da cui Dunja stava fuggendo.Dunja sghignazzò e poi si rese conto che quella

    strana euforia rischiava di farle perdere laconcentrazione: il dolore e la fatica servono acapire quando si arriva al limite, ma lei nonprovando nessuno dei due rischiava di esplodere.Rischiava di raggiungere l’uscita ma di morired’infa