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Capitolo 1
LA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO TRA I VARI
STAKEHOLDER AZIENDALI
1.1 - Cambiamento e sviluppo organizzativo Il cambiamento consiste nel ristrutturare i compiti che vengono normalmente assolti dai
vari componenti dell‟organizzazione all‟interno del sistema aziendale. Il panorama
letterario del novecento e dei giorni nostri è denso di studi che pongono l‟accento sulla
criticità del cambiamento organizzativo; gli scritti in parola affermano in un primo
approccio di tipo generalista che le organizzazioni sono sistemi aperti e in quanto tali lo
stesso processo di progettazione deve rispondere ai requisiti dinamici in modo da
mantenere l‟aderenza alla realtà contingente. E‟ lapalissiano come tutte le
organizzazioni subiscano pressioni al cambiamento, anche se in maniera variabile da
caso a caso e a seconda del contesto economico e sociale nel quale esse sono inserite.
Infatti è compito di questa trattazione indagare come le forze che agiscono sull‟impresa
possano condurre il management a porre i giusti e desiderati correttivi alla struttura
organizzativa. Queste forze sono ovviamente rappresentate dall‟insieme degli elementi
che la letteratura aziendalistica definisce con il termine oramai noto anche al pubblico
meno esperto di “stakeholder”.
In prima istanza questo vocabolo, che sarà oggetto di una compiuta e accurata
trattazione nei prossimi capitoli del lavoro, necessita di una definizione approssimativa
atta a rendere comprensibile l‟argomento che sarà il cardine dello studio che ci
apprestiamo ad attuare. Pertanto gli stakeholder sono “tutti coloro che possono incidere
su o essere condizionati dal conseguimento degli obiettivi aziendali o che partecipano
alla creazione del valore comune o che, ancora, interagiscono, definiscono e danno
significato all‟azienda”1.
Una volta definito seppur in maniera poco approfondita il concetto di stakeholder,
andiamo adesso ad osservare perché si senta la necessità di effettuare cambiamenti;
difatti se tale necessità è molto pressante, ma i progettisti non sono in grado di
1 COLLIS, MONTGOMERY, (2006), “Corporate Strategy”, McGraw Hill, Milano.
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introdurre i congrui adattamenti per coadiuvare il programma strategico, allora
l‟organizzazione può non essere in grado di sopravvivere nel lungo periodo in quanto
cedevole alle dinamiche interne ed esterne. Poiché l‟organizzazione è inserita in un
ambiente esterno, e con esso interagisce con continuità, è abbastanza naturale assumere
che cambiamenti del contesto di operatività generino pressioni per il cambiamento
dell‟organizzazione. Mutamenti sostanziali nel quadro di riferimento micro o macro del
soggetto economico avranno indubbiamente un impatto sulla struttura e sui processi
organizzativi in atto. Le organizzazioni più capaci di adattarsi al mondo in continua
evoluzione sono anche quelle che possono sopravvivere più a lungo e con migliori
performance economico-finanziarie.
Richman, in uno studio del 19822 menziona la Singer Company (leader mondiale nella
produzione di macchine per cucire per il mercato domestico) come esempio di azienda
sopravvissuta a un forte cambiamento del suo ambiente competitivo; i dirigenti
aziendali notarono il progressivo abbandono della macchina da cucire man mano che le
donne lasciavano il tetto domestico per entrare nel mondo del lavoro. Nonostante il
continuo calo nelle vendite di macchine da cucire per uso domestico, la Singer è stata
capace di modificare radicalmente la propria vision e la propria strategia di business,
rifocalizzando l‟organizzazione e la struttura produttiva su linee produttive dedicate ai
componenti elettronici ed aerospaziali. Come conseguenza diretta, la Singer ha visto
non solo rimanere costanti i propri risultati, ma è riuscita perfino ad incrementarli: tutto
ciò perché il management è riuscito a mettere in atto i giusti correttivi prima che i trend
sociali e macroeconomici provocassero seri danni ai suoi guadagni.
Al contrario, ci sono molteplici esempi di aziende anche molto importanti che non
hanno saputo percepire tali variazioni del proprio ambiente competitivo di riferimento
andando in contro a crisi irreversibili: un esempio lampante si può trovare anche nel
contesto produttivo italiano, dove un‟azienda di grande successo come la Olivetti ha
visto nel giro di un decennio logorarsi le proprie posizioni fino a sparire totalmente dal
panorama competitivo. Essa infatti non è stata in grado di interpretare adeguatamente la
rivoluzione informatica in atto, mantenendo in vita la produzione delle tradizionali
2 RICHMAN T., (1982 ), “Peering Into Tomorrow Inc. Magazine”.
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macchine da scrivere quando era evidente che sarebbe stato necessario aumentare gli
investimenti a favore dell‟innovazione tecnologica; pertanto non ha dedicato al nascente
e futuro dominante business gli sforzi che sarebbero stati necessari. E‟ sotto gli occhi di
tutti l‟epilogo di una delle più grandi e gloriose realtà industriali italiane, che ha tentato
disperatamente di entrare nel nuovo segmento quando ormai era troppo tardi: il gap
tecnologico di fronte al quale si è trovata ha implicato l‟impossibilità sia economica che
strategica di tenere il passo dei competitors. Infatti Olivetti ha ignorato l‟importanza di
seguire un percorso di sviluppo incrementale, rimanendo vittima di una “path
dependency”, trasformatasi in una insormontabile barriera all‟entrata.
Infine, ci sono delle realtà che appartengono ad una terza categoria: queste non cercano
di adattarsi al cambiamento del proprio ambiente, ma bensì mirano a creare esse stesse
delle condizioni in cui sviluppare le proprie strategie e il proprio business. Berger nel
suo approfondito studio condotto nei primi anni del ventunesimo secolo3, ci mostra il
caso della Sony, la quale da una situazione di difficoltà (dovuta alla forte concorrenza
tipica del suo settore di appartenenza) ha sempre cercato, riuscendovi, di uscirne
attraverso innovazioni radicali di tipo “big-bang”: operando in un settore fast tech, essa
si è sempre impegnata a creare tramite innovazioni tecnologiche rivoluzionarie dei veri
e propri segmenti di mercato. Basti pensare al registratore a nastro nel 1950, la radio a
transistor nel 1955, il televisore a colori Trinitron nel 1969, il Walkman nel 1979, il
lettore CD nel 1982, il videoregistratore nel 1983, la Play Station nel 1994. Quindi, lo
sviluppo di un‟organizzazione si presenta come una risposta più o meno meditata e
programmata nei confronti di circostanze e fatti di varia natura che suggeriscono di
modificare alcuni elementi del sistema.
I fatti in questione si mostrano in forma di “pressioni”, ossia di stimoli ad agire o a
reagire così da provocare effetti conseguenti tali da ripercuotersi su elementi strutturali
del sistema. Simili pressioni possono derivare dall‟interno o dall‟esterno
dell‟organizzazione aziendale: alle istanze più semplici ed evidenti come quelle sopra
illustrate date dalla pressione competitiva, dalle innovazioni tecnologiche o dalle
3 BERGER S., (2006 ), “Mondializzazione: come fanno per competere?”, Garzanti, Milano.
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variazioni dei modelli di consumo, se ne aggiungono molte altre che coinvolgono
aspetti apparentemente secondari e poco rilevanti tuttavia in grado di provocare rotture
nel trend di crescita dell‟azienda. Queste coinvolgono molte altre categorie di portatori
di interesse dell‟impresa: si pensi alle ripercussioni derivanti da cambiamenti di natura
legislativa, dalla sempre maggiore rilevanza dei gruppi di pressione sociale,
dall‟importanza della responsabilità dell‟azienda nei confronti del suo ambiente; a tal
fine rileva anche la coerenza e la coesione dei poli di attenzione imprenditoriale, poiché
ad esempio le relazioni tra management e lavoratori sono materia fondante per il
successo del business model.
1.2 - Le pressioni interne Come già accennato, alcune delle pressioni per il cambiamento sono di origine interna
all‟impresa4; nessuna area aziendale è immune da tali problematiche, e già partendo dal
vertice imprenditoriale (funzione nella quale dovrebbe esistere una visione unitaria sugli
orientamenti strategici di fondo) si può notare come le coalizioni manageriali siano
composte da individui con obiettivi molteplici e contraddittori. In tal proposito Greiner
afferma che l‟efficacia di uno sforzo per il cambiamento dipende da due elementi
cruciali5:
il modo con il quale si distribuisce il potere decisionale nell‟organizzazione.
La redistribuzione del potere esercita un effetto di cambiamento significativo
delle decisioni e delle pratiche tradizionali. Poiché la struttura degli obiettivi
risulta da una contrattazione tra i diversi membri della coalizione è lecito
attendersi che anche nei momenti di cambiamento vi sia una notevole attività
politica e di contrattazione. Ciascuna fazione cercherà così di proteggere il suo
territorio. I processi di contrattazione e gli sforzi per l‟esercizio di influenza
possono essere considerati pressioni interne per il cambiamento.
I caratteri con i quali si realizza il processo di sviluppo del cambiamento. Questo
secondo punto vuol significare che il cambiamento o la redistribuzione del
4 PFEFFER J., (1978 ), “Organizational Design”, Arlington Heights, Ill.: AHM Publishing Corp.
5 GREINER L.E., “Patterns of organizational change”, Harvard Business Review, Vol. 45, pp. 119-130.
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potere non avviene in modo improvviso e traumatico; si tratta invece di un
processo graduale che passa attraverso un certo numero di fasi, ciascuna delle
quali contiene elementi specifici e cause molteplici che provocano le
necessarie reazioni della struttura di potere, le quali a loro volta pongono le basi
per la successiva fase del processo.
Il vertice strategico dell‟organizzazione è il punto su cui è più appropriato spingere
affinché forti pressioni per il cambiamento abbiano un effetto significativo. Come
precedentemente delineato, le pressioni possono avere origine interna oppure esterna
all‟impresa; tuttavia Greiner pone in evidenza che i due tipi di pressione possono
manifestarsi simultaneamente e andare nella stessa direzione. Tra gli esempi più comuni
di pressioni interne per il cambiamento possiamo dunque menzionare:
1. Difficoltà di bilancio: derivano dalla difficoltà di coniugare le esigenze
reddituali diverse dei vari agenti dell‟organizzazione; infatti, le soluzioni
richieste in sede di pianificazione di budget possono essere ritenute da taluni
insoddisfacenti rispetto ai propri obiettivi. Per esempio investimenti ritenuti
fondamentali da alcune aree aziendali possono essere valutati come superflui o
addirittura come sprechi da parte della funzione di pianificazione e controllo.
Quindi, l‟egoismo dei soggetti aziendali coinvolti nel processo decisionale porta
a voler a propria disposizione risorse in sovrabbondanza rispetto alle reali
necessità: ciò conduce a costi elevati e sprechi, che si ripercuotono sul bilancio e
quindi sulla redditualità globale del soggetto economico. Un particolare
momento della vita aziendale in cui possono essere svelate tali difficoltà si
verifica qualora soggetti terzi si trovino ad analizzare i bilanci dell‟impresa,
come per esempio avviene con i consulenti o advisor nei processi legati ad
operazioni straordinarie (fusioni, acquisizioni, Initial Publishing Offering [IPO],
ristrutturazioni finanziarie).
2. Problemi della forza lavoro: questa tipologia di problematica è forse la più
evidente e comprensibile anche agli occhi dei meno esperti; infatti, all‟interno di
un‟organizzazione, si generano innumerevoli conflitti derivanti dal ruolo
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occupato dai singoli attori. L‟egoismo, come già sottolineato al punto
precedente, è un forte volano del conflitto in quanto ogni individuo ambisce
costantemente ad una posizione gerarchica più elevata, accompagnata quindi da
maggiore potere, benefits e retribuzione.
3. Conflitti fra le varie aree aziendali: questa è una fattispecie di problematica
che si riflette anche sulle già citate difficoltà di bilancio. Accade spesso che si
creino tensioni riguardo le decisioni di allocazione delle risorse, poiché ogni area
tende a richiedere il meglio in tema di dotazioni, attrezzature, risorse umane.
Inoltre affiorano con una certa frequenza incompatibilità caratteriali all‟interno
dell‟organizzazione fra i rappresentanti delle diverse funzioni. Ad esempio sono
noti i contrasti tra i tecnici e gli amministrativi, in quanto questi basano la loro
attività su una razionalità volta alla soluzione di problemi ignorando l‟aspetto
pragmatico ed economico delle cose; i secondi invece vivono l‟esperienza
aziendale come ottimizzazione e metodicità nello svolgere le proprie mansioni.
Come ulteriore aspetto si segnala possibilità che tra le diverse aree aziendali si
vengano a creare degli effetti c.d. “clan”: i componenti di questi gruppi tendono
a rafforzare le proprie convinzioni grazie ad un profondo senso di appartenenza,
che porta a difendere fino al conflitto gli interessi dei propri consociati.
4. Insoddisfazione verso la leadership: in questo caso si osserva l‟incapacità del
management di interfacciarsi e relazionarsi con i vari componenti
dell‟organizzazione. Infatti compito del manager è creare coesione e comunione
di intenti fra i propri collaboratori, stimolandoli sempre a migliorarsi e a
raggiungere obiettivi più complessi e ambiziosi. Troppe volte il management
assume invece una posizione di distacco verso i propri subordinati, non capendo
le loro necessità e contribuendo pesantemente a creare tensioni ed
insoddisfazioni. Ciò può essere causato sia da difficoltà caratteriali, sia da
carenze di formazione, esperienza e competenze di tipo manageriali: spesso
nelle aziende si assiste alla presenza di dirigenti che non possiedono né le
caratteristiche né il profilo adatto a ricoprire ruoli di responsabilità e di indirizzo.
Non rileva in questa sede indagare sulle motivazioni che portano a tali
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inefficienze, tuttavia esse hanno soprattutto nella realtà italiana, sia in imprese di
piccole che di grandi dimensione, una incidenza sempre più rilevante.
5. Incapacità di produrre risultati da parte delle strutture esistenti: spesso e
volentieri i dipendenti non sono capaci di portare avanti i propri compiti e le
proprie mansioni; tale incapacità è dovuta nella maggior parte dei casi sia alla
pigrizia che alla carenza di competenze professionali. Inoltre un management
incapace di selezionare collaboratori dotati di sufficienti capacità e motivazioni,
contribuisce ad ingigantire tale problematica facendo sì che l‟organizzazione
messa in opera si riveli non congrua al raggiungimento degli obiettivi aziendali
prefissati. Qualora l‟incompetenza sia ascrivibile anche solo a una minoranza
degli attori coinvolti, il danno che questi possono causare non è riferibile solo
alla propria area di competenza, bensì può arrivare a coinvolgere e trascinare
verso la mediocrità anche gli elementi più virtuosi.
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Figura 1.1 - La dinamica del cambiamento organizzativo efficace secondo Greiner
Reazione sulla
struttura di
potere
Stimolo all’azione
Sperimentazione di
nuove soluzioni
Intervento al
vertice
Riorientamento
verso i problemi
interni
Impegno su un
nuovo corso
d’azione
Analisi dei problemi
dell’area interessata
Invenzione di
nuove soluzioni
Individuazione di
problemi specifici
Ricerca dei
risultati
Rafforzamento a
seguito dei
risultati positivi
Accettazione delle
nuove pratiche
Fase 4
Fase 3
Fase 2
Fase 6
Fase 5
Pressioni interne
Pressioni esterne
Stimolo sulla
struttura di
potere
Pressione sul top
management
Fase 1
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1.3 - Le pressioni esterne Parallelamente alle pressioni interne, operano potenti coalizioni esterne le quali cercano
di influenzare gli obiettivi ed il funzionamento dell‟impresa; questi tentativi hanno
spesso generato un certo numero di conflitti, tendenze e sfide che hanno permeato il
moderno sistema economico-industriale. Le preoccupazioni principali che animano tali
portatori di interessi, riguardano il controllo dell‟inquinamento, il vincolo energetico,
l‟eliminazione delle discriminazioni, la protezione dei diritti del consumatore, la crescita
della popolazione mondiale e la mancanza di cibo. All‟uopo si costituiscono sempre più
di frequente organizzazioni che hanno come scopo ultimo quello di sollecitare
l‟attenzione pubblica riguardo le tematiche sopra esposte.
L‟impatto di tali trend (con i connessi tentativi di influenza), non è omogeneo per tutte
le organizzazioni, ma dipende dalla situazione specifica in cui esse stesse sono inserite;
il tipo di affari trattati dall‟azienda, le risorse disponibili, il numero e la forza dei
concorrenti avranno un loro peso specifico variabile che le renderanno più o meno
determinanti. Anche se non è possibile nel limitato spazio a disposizione esplorare in
modo completo la complessa rete di tali pressioni, possiamo perlomeno passare in
rassegna alcune delle tendenze più generali, che possono probabilmente influenzare la
sopravvivenza e lo sviluppo di molte organizzazioni anche nel breve periodo.
Nei suoi innumerevoli studi, lo Scott afferma che i trend ambientali fondamentali
possono mutare in modo tale da rendere inadeguato sia l‟approccio alla progettazione
organizzativa classico, sia quello sistemico6; i concetti classico e sistemico
dell‟organizzazione hanno entrambi lo scopo di dare razionalità al processo di
progettazione in modo che la struttura risultante sia efficiente. Successivamente Scott
solleva un problema legato al possibile cambiamento dei valori che stanno alla base
della teoria classica e sistemica, così come rappresentati nella figura 2.
6 SCOTT W.G., “Organization Theory: a reassessment”, in Academy of Management Journal, vol. 17,
pp. 242-254
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Figura 1.2 - La scala dei valori utilizzati come base della progettazione
Anni „60 Anni „70 Anni „80
Crescita Stagnazione o declino
Abbondanza Scarsità
Consenso Conflitto
Sembra abbastanza corretto affermare che il sistema economico occidentale abbia
tradizionalmente mantenuto valori abbastanza vicini all‟estremo della scala
contrassegnato da crescita, abbondanza e consenso; tuttavia questi valori da diversi anni
a questa parte stanno mutando, costringendo le organizzazioni a fluttuare tra gli estremi
della scala rappresentata dalla figura 1. Scott sostiene inoltre che il trend complessivo
mondiale sia dato da un movimento verso l‟estrema destra della figura 1. Quando
avvengono sostanziali cambiamenti dei valori nei contesti economici e sociali, si
rendono solitamente necessari corrispondenti cambiamenti nella progettazione
organizzativa. Se crescita, abbondanza e consenso vengono sostituiti da stagnazione,
scarsità e conflitto allora non è più possibile progettare strutture atte alla crescita, al
consumo e alla costruzione del consenso. Questo condurrà i managers a intraprendere
delle strategie mirate a sovvertire tali tendenze, adattando l‟organizzazione alle
peculiarità proprie del nuovo e mutato contesto: pena l‟insoddisfazione degli
stakeholders e del vincolo che li lega all‟organizzazione, con conseguenze negative
sulla redditività e sull‟immagine dell‟impresa.
Nei suoi scritti, Scott si chiede:
“Quale uomo politico, amministratore pubblico o uomo d‟affari sostiene apertamente le
politiche di contrazione economica, riduzione dei servizi sociali, e stagnazione dei
livelli delle vendite e dei guadagni aziendali? Quanti corsi universitari vengono
effettuati sul tema di come far andare male gli affari? Con quale frequenza appaiono
articoli sulla stampa specializzata sulle strategie manageriali di stagnazione o decadenza
organizzativa?”
Cambiamenti nei valori
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Scott afferma che non vediamo o sentiamo queste cose perché contrarie alle aspettative
e ai fondamenti del pensiero e delle pratiche manageriali del mondo occidentale. Ma
esistono buoni motivi per porre in dubbio i tradizionali valori che guidano tali pratiche
organizzative e manageriali. Gli eventi del decennio precedente all‟anno in cui Scott
scrisse il suo articolo (1974) sembravano confermare le sue perplessità (con l‟emergere
di problemi quali la crisi energetica, la rottura del sistema monetario internazionale e la
mancanza di cibo a livello mondiale). Per questo motivo nella figura 1 sono state
inserite delle frecce che segnalano un graduale slittamento verso destra delle
macrotendenze appena descritte.
La conseguenza di tutto ciò è che l‟idea di progettazione aperta e orientata al consenso
può ora risultare troppo conservatrice. Per porre dei correttivi, può essere dunque
necessario rimpiazzarla con forme di progettazione complesse e radicalmente nuove,
che assumano la veste del federalismo, del totalitarismo e del managerialismo. I
processi di progettazione secondo questi criteri sono assai più complessi che nel
passato, pur se necessari per proteggere l‟organizzazione dalle minacce, per mediare i
conflitti, per perseguire obiettivi molteplici (al contempo contraddittori) nonché per
legittimare e politicizzare gli sforzi profusi.
Una volta delineata e chiarita la teoria dello Scott, che per l‟epoca si rivelò
rivoluzionaria e densa di significati nonché di ulteriori spunti per studi successivi, è ora
possibile individuare un certo numero di trend esterni che possono influenzare la
sopravvivenza delle organizzazioni. A questo fine, data la delicatezza e la difficoltà
analitica dei temi trattati, sono nate molte società di ricerche di mercato dedicate
esclusivamente all‟offerta di servizi di analisi, interpretazione e risposta ai principali
trend e cambiamenti dell‟ambiente competitivo di riferimento. Dato l‟interesse delle
multinazionali per queste consulenze, si sono sviluppati proficui rapporti commerciali
con le principali compagnie: secondo Richman7, già trenta anni fa circa quaranta
aziende multi business (tra cui General Motors, Sears e ABC) acquistavano “The Trend
Report” del Naisbitt Group; tale rapporto era in buona sostanza una sintesi dei trend e
dei dati rilevati da un‟estesa analisi dei principali quotidiani americani. All‟epoca lo
studio in parola (ricordiamo che la fonte risale all‟inizio degli anni ottanta del ventesimo
7 RICHMAN T . Op. cit.
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secolo) identificava dieci “Megatrend” che avrebbero influenzato il cambiamento del
mondo economico e industriale.
1. I paesi avanzati passano da una economia basata sull‟industria ad una basata
sull‟informazione;
2. Reazioni ostative dell‟essere umano all‟introduzione delle innovazioni;
3. Globalizzazione dell‟economia e dei mercati;
4. Vision aziendale di lungo periodo per la ricerca dell‟innovazione;
5. Decentralizzazione delle strutture pubbliche e private grazie allo sviluppo
dell‟Information and Communication Technology (ICT);
6. Indipendenza sempre più crescente della popolazione dalle istituzioni statali;
7. Crescente rilevanza del ruolo dei cittadini all‟interno del mercato e nel governo
dello Stato;
8. Accorciamento della struttura gerarchica aziendale grazie alla maggiore
efficienza e efficacia dei flussi informativi;
9. Spostamento dell‟industria verso nuovi paesi che generano minacce e
opportunità per le organizzazioni (con fenomeni quali globalizzazione,
esternalizzazione, delocalizzazione, offshoring produttivo);
10. Crescente eterogeneità del mondo economico.
Già da una prima e rapida verifica dei megatrend ipotizzati da Scott, si può osservare
come non solo a posteriori tutti abbiano prodotto i loro effetti, ma di come siano ancora
oggi attuali benché affiancati da nuove tematiche giunte alla ribalta dell‟economia
mondiale negli ultimi anni. Le odierne e più recenti pressioni sono pertanto collegate a
elementi quali:
I. Il tipo di affari trattati dall‟azienda, con riferimento cioè al settore economico
produttivo in cui opera qualunque realtà imprenditoriale; nella fattispecie ci
riferiamo alle pressioni attuate in sede di definizione contrattuale da parte dei
fornitori, clienti, collaboratori, che in qualunque caso cercano la maggiore
soddisfazione dei loro interessi, siano questi personali o economici. Infatti è
ben nota l‟importanza delle relazioni che l‟impresa intrattiene sia con il
mercato di approvvigionamento che con quello di vendita; variazioni delle
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esigenze degli attori che ivi operano provocano opportunità e minacce alle
quali l‟azienda è chiamata a rispondere.
II. Le risorse disponibili, specialmente per quanto riguarda le pressioni provocate
dall‟accesso ai fattori produttivi critici/specifici per il conseguimento ed il
mantenimento di vantaggi competitivi: nello specifico si tratta sostanzialmente
della disponibilità di materie prime, risorse umane, tecnologie. Si pensi solo
per portare alcuni esempi, alla essenziale importanza dell‟accesso alle materie
prime per un‟industria petrolifera, oppure alle risorse umane altamente
qualificate per i settori hi-tech (come ingegneri, fisici, matematici, informatici)
o alle ultime innovazioni tecnologiche e scientifiche in comparti quali la
biomedica o l‟Information and Communication Technology. La carenza di
risorse può scatenare delle vere e proprie battaglie non solo fra le imprese ma
anche fra gli Stati sovrani: questa scarsità spinge a guadagnare posizioni
rispetto ai concorrenti, e può diventare sia una minaccia che una grande
opportunità: la mente corre subito alle crisi energetiche europee o
all‟impetuoso sviluppo delle realtà medio-orientali, legate entrambe alla
scarsità/possesso di ingenti risorse naturali.
III. La forza dei concorrenti, come ampliamente evidenziato da Michael Porter
nella sua celeberrima analisi delle “5 Forze Competitive del Mercato”,
rappresenta un vincolo fondamentale non solo per lo sviluppo ma addirittura
per la sopravvivenza di lungo periodo dell‟impresa. Per questo è di cruciale
importanza che l‟azienda attui un costante processo innovativo e non si crogioli
mai per le posizioni o i risultati raggiunti, pena una rapida esclusione dal
panorama competitivo. Centinaia sono nella storia i casi di aziende di successo
che perdendo di vista la continua competizione con i concorrenti hanno finito
per tralasciare una serie di importanti attività volte alla ricerca/consolidamento
di nuovi vantaggi competitivi; recentissimo è l‟esempio di uno dei più grandi
colossi mondiali dell‟automobile come la General Motors, la quale restando
ancorata alla tradizione statunitense di costruire macchine con un grande
impatto sull‟ambiente e sulle tasche dei propri clienti, ha sottovalutato la
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minaccia che giungeva dai produttori asiatici. Infatti questi ultimi, grazie alla
filosofia della “lean production” e alle politiche di risparmio energetico hanno
lanciato una serie di prodotti che hanno saputo conquistare i consumatori
d‟oltre oceano: a questo punto la General Motors, ormai in ritardo da un punto
di vista progettuale e commerciale sui propri competitors, non è stata più in
grado di tenere il passo e ha visto la propria condizione indirizzarsi verso un
declino inarrestabile. Dall‟esempio risulta evidente come non si debba mai
sottovalutare il peso e la minaccia apportata dai propri concorrenti, che seppur
oggi marginali possono mettere in atto dei cambiamenti e delle innovazioni tali
da condurli al successo: chi ne fa le spese sono coloro i quali hanno perso di
vista l‟importanza di un continuo confronto competitivo.
IV. I vincoli territoriali e politico-amministrativi nell‟area di azione dell‟impresa:
rientrano in questo campo tutte le tematiche ambientali e legislative. Con
riguardo alle prime, viene posta sempre più attenzione per il rispetto di un bene
prezioso come l‟ambiente naturale in cui l‟impresa si trova ad operare:
l‟inquinamento atmosferico, l‟eccessivo sfruttamento delle risorse energetiche,
la degradazione dell‟ecosistema, la salute dei lavoratori sono sempre più
oggetto di pressioni da parte della società, e per questo stanno proliferando
innumerevoli gruppi i quali cercano di tutelare il futuro dell‟umanità. Per
anticipare queste pressioni, alcune aziende stanno optando per l‟adozione di un
approccio proattivo basato o sull‟ottenimento di certificazioni riconosciute da
organismi indipendenti internazionali o sullo sviluppo di campagne interne
volte alla sensibilizzazione sia dei dipendenti che della platea dei consumatori
ai quali essa si rivolge. Per quanto attiene invece le seconde, gli organi
legislativi sono chiamati a disciplinare con sempre maggiore rigore e dettaglio
un sistema complesso come quello delle società moderne, che di per sé
necessitano di grandi attenzioni per poter garantire stabilità e uguaglianza di
diritti; se un tempo la burocrazia necessaria alla gestione di una comunità
sociale richiedeva stimoli moderati, oggi vincoli umani sempre più labili,
interessi sempre più onerosi e ritmi di crescita vertiginosi fanno sì che la
gestione della cosa pubblica sia diventata una giungla nella quale le imprese
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sono costrette a muoversi con circospezione (si pensi a proposito al continuo
sviluppo dei media e della comunicazione pubblicitaria, che ha costretto il
legislatore ad intervenire emanando la c.d. legge sulla “Tutela del consumo”:
ciò solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile e imprevedibile, poiché questo
settore economico era pressoché inesistente);
V. La crescita della popolazione ed del suo tenore di vita: nell‟ultimo secolo la
popolazione mondiale è stata interessata da trend di crescita esponenziali,
raggiungendo la quota record di sei miliardi di abitanti, con la prospettiva di
sfondare i sette entro la metà del ventunesimo secolo; questo se da un lato offre
una grande opportunità di crescita per le imprese grazie alla presenza di sempre
maggiori bacini di consumatori, dall‟altro pone sull‟azienda gravi minacce
ascrivibili vuoi alla crescente difficoltà di segmentare la clientela vuoi alla
maggiore esigenza e consapevolezza di quei clienti che appartengono alle
economie più avanzate. Per quanto riguarda le opportunità derivanti dalla
crescita, esse forniscono la possibilità di aumentare sensibilmente i fatturati e le
infrastrutture produttive, grazie alla proliferazione dei mercati potenziali di
sbocco (sviluppo dei mercati emergenti come Cina, India, Brasile, Messico,
Russia etc); questo fatto implica a sua volta che se i ricavi aumentano, sarà
possibile destinare parte dei risultati reddituali al rafforzamento della posizione
competitiva. Dall‟altro lato, le minacce derivanti dalla crescente complessità
dei mercati ormai maturi, sono una pressione importante che l‟impresa è
costretta a gestire: questa istanza porta con sé due fattispecie di problemi
ascrivibili alla stagnazione dei consumi e alla sempre maggiore necessità di
apportare operazioni di adattamento. Sottovalutare queste tematiche vuol dire
non poter beneficiare degli effetti positivi della crescita, portando a volte
sull‟orlo di un baratro dal quale è poi difficile riprendere la posizione persa;
VI. Modifiche nei modelli di consumo: come già detto la crescita del livello
culturale e del tenore di vita della popolazione mondiale, porta ad una
maggiore complessità nella definizione dei segmenti target di consumo. In
questa sede giova considerare più approfonditamente l‟aspetto che riguarda le
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caratteristiche che si sono sviluppate nei consumatori odierni: questi infatti,
soprattutto per quel che concerne le economie occidentali sono sempre più
oggetto di trend correlati al rispetto di un vincolo di rapporto qualità/prezzo,
dell‟etica imprenditoriale e della tutela dell‟ambiente, nonché di un consumo
sempre più consapevole delle limitazioni imposte da un mondo che appare oggi
sempre più piccolo. Inoltre assistiamo anche ad un fenomeno che si concentra
su due posizioni antitetiche ed estreme: da una parte la volontà dei consumatori
di puntare su beni di largo consumo caratterizzati dalla semplicità e dal
contenimento dei prezzi derivanti dalla standardizzazione produttiva; dall‟altra
si verifica una tendenza alla personalizzazione estrema di quelle categorie
commerciali più complesse e dedicate all‟ostentazione dello status sociale e
della cura del proprio benessere psicofisico. Parallelamente ed in aggiunta a
quest‟ultimo aspetto, si verifica un costante recupero delle tradizioni e delle
usanze etnografiche volte alla conservazione di una identità sociale che va
sempre più scomparendo in un contesto in cui la globalizzazione cannibalizza
la diversità (si pensi soprattutto ai consumi alimentari, dove si mixano le
moderne esigenze di mondializzazione con il peso e il valore della tradizione
con la nascita dei c.d. “fast food etnici”).
Concludendo questa breve rassegna va osservato che i trend sopracitati non sono affatto
da ritenersi completi ed esaustivi; in alcuni casi inoltre essi possono risultare addirittura
poco o per nulla rilevanti per determinate realtà imprenditoriale (ricordiamo infatti che
l‟approccio a questo tipo di valutazioni deve essere “contingency”, ossia basato di volta
in volta sulle singole situazioni oggetto di analisi). Tuttavia nel complesso queste
tendenze comportano o comporteranno dei sicuri cambiamenti, alcuni dei quali
influenzeranno senz‟altro ogni tipo di organizzazione, sia pubblica che privata di
qualsivoglia dimensione. Non tutti i cambiamenti sono prevedibili in maniera certa, e la
maggior parte dei trend come già rilevato presenteranno tanto minacce quanto
opportunità. Questo significa che i manager hanno la responsabilità di analizzare con
molta attenzione l‟ambiente esterno, allo scopo di modificare i propri piani quando
necessario. Con ciò vogliamo sostenere che i programmi e i piani strategici di lungo
periodo siano sempre supportati dalle c.d. “analisi di scenario”: queste infatti prevedono
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gli effetti che determinati eventi potranno avere sul contesto strategico dell‟impresa, e
aiuteranno a produrre action plans coerenti con i diversi scenari che potranno delinearsi.
Addirittura si rivelerà utile suddividere i programmi strategici in più piani di
scorrimento, da rivalutare e aggiornare progressivamente in accordo ai cambiamenti
ambientali o addirittura interni all‟impresa e che si esplicano costantemente nel corso
della vita aziendale.
La forza e l‟importanza delle pressioni che abbiamo fin qui preso in considerazione
fanno sì che venga a manifestarsi la cosiddetta “Responsabilità sociale dell‟impresa”
(Corporate Social Responsibility), ovvero la gestione di tutte le operazioni aziendali
tenendo in considerazione quelle che sono gli effetti che tali attività comporteranno a
livello sociale, rispetto a tutti gli agenti che direttamente o indirettamente ne verranno in
contatto. Si tratta quindi di “incorporare il sociale” in tutte le operazioni svolte dalle
imprese, così da integrare negli interessi commerciali gli aspetti sociali ed ambientali,
“su base volontaristica”. In proposito è implicita la considerazione degli interessi degli
stakeholders, ovverosia di tutti coloro i quali sono in grado di influenzare il
comportamento dell‟impresa attraverso le loro azioni/opinioni, ma che d‟altro lato sono
da questa influenzati nell‟espletazione della propria attività.
Si parla pertanto di una “integrazione delle attività e dei valori di business” nella
missione dell‟impresa, in modo tale che questa sia “capace di rispecchiare gli interessi
di tutti i partner, inclusi i clienti, i dipendenti, gli investitori e l‟ambiente”. E‟ possibile
dunque evidenziare come in definitiva la gestione della responsabilità sociale sia
stimolata dalla necessità di impostare il proprio raggio di azione secondo principi di
natura etica: quest‟ultima è infatti la disciplina che studia i fondamenti della morale e
cerca di risolvere i problemi derivanti dall‟applicazione di criteri di equità in situazioni
dubbie e complesse (i cosiddetti “dilemmi etici”). Essendo la gestione corrente
dell‟impresa densa di situazioni di incertezza e di potenziale conflitto, appare evidente
come l‟etica, sia di tipo utilitaristico che di tipo contrattualistico giochi un ruolo centrale
nella definizione della visione, delle politiche e delle strategie aziendali.
Per concludere il ragionamento fin qui condotto, è palese come il connubio tra etica e
responsabilità sociale dell‟impresa sia considerata una esigenza fondamentale del nostro
tempo, così da risultare vincenti rispetto a un sistema economico e sociale che interpreta
il ruolo di qualunque organizzazione in maniera più complessa e analitica rispetto al
18
passato. La “qualità etica” è destinata a divenire una componente di rilievo della
corporate reputation ed un criterio di scelta decisivo per i prodotti e i servizi offerti,
soprattutto da parte dei consumatori più attenti ed informati: esempio semplice ma
incisivo è il caso della Nike, popolare impresa di abbigliamento sportivo che ha visto
crollare le proprie vendite in seguito allo scandalo del lavoro minorile nell‟Asia
meridionale; i consumatori hanno deciso di boicottare i suoi prodotti, in quanto oggi si
richiede una gestione del lavoro basata sui principi dello “sweatshop free”, ossia utilizzo
di manodopera che disponga di ambienti di lavoro salubri e salari in grado di garantire
una vita dignitosa.
Nessuno sa veramente quanto siano disposti a pagare in più i clienti per beni
“sweatshop free”, ma quando i consumatori vedono alla televisione o su internet
bambini che lavorano in fabbrica o le condizioni disumane in cui si confezionano i
prodotti che acquistano, il boicottaggio del brand è quasi sempre certo e molto costoso,
come l‟appena citata Nike8 ha potuto constatare sulla propria pelle. Tuttavia non ci
dilunghiamo oltre in quanto il tema verrà ripreso e ampliamente trattato specificamente
nella parte del presente lavoro dedicata al bilancio sociale e alla gestione dei rapporti
con gli stakeholders.
1.4 - Come gestire il cambiamento indotto dalle pressioni
Data la necessità di attuare cambiamenti organizzativi imposta dalle pressioni (interne o
esterne che siano), pur mantenendo un grado appropriato di stabilità, di quale specifica
strumentazione deve appropriarsi il manager per governare tali pressioni al
cambiamento? In generale è possibile introdurre il cambiamento agendo
alternativamente oppure congiuntamente sulle persone, sulla struttura, sulla tecnologia e
sui ruoli9.
Nella pratica la maggior parte dei percorsi possibili si incentra su almeno una di queste
variabili, o su una qualche loro combinazione. Perrow10
valuta le alternative di
8 BERGER S, Op. cit.
9 LEAVITT, H.J. (1964), “Applied organization change in industry: structural, technical and human
approaches”, in New Perspectives in Organization Research.
10 PERROW, C. “The short and glorious history of organizational theory”, in Organizational Dynamics,
vol. 2, pp. 2-15.
19
cambiamento organizzativo in chiave comportamentale e strutturale, in termini della
loro capacità di rispondere a variazioni risultanti dall‟ambiente e dalla tecnologia. Una
delle sue conclusioni è che un tentativo di attuare il cambiamento “mediante griglie
manageriali, addestramento alla sensibilità e perfino arricchimento ed allargamento
delle mansioni risulterà sostanzialmente inefficace nella gran parte delle
organizzazioni”; l‟autore prosegue sostenendo che anche i richiami all‟autorità non si
sono dimostrati efficaci come risposta al cambiamento: infatti le variabili contingenti
applicate nella leadership rendono difficile mettere in atto questi concetti in modo
efficiente.
La conclusione è che i cambiamenti della struttura sono i più efficaci poiché poco
costosi e attuabili in maniera rapida e trasparente. L‟utilizzo del solo cambiamento
strutturale, non coadiuvato da altri aspetti e da altre azioni programmatiche, è tuttavia
destinato ad essere fallimentare; Perrow sembra quindi ritenere che vi sia una necessità
di combinare i cambiamenti strutturali pianificati con una osservazione attenta e basata
sul buon senso degli effettivi risultati comportamentali. Pfeffer11
afferma che la
letteratura relativa ai cambiamenti organizzativi è solitamente diretta in primo luogo al
cambiamento delle persone che li compongono, e nonostante ciò si ipotizza che il
cambiamento sia un elemento razionale e pianificato del processo di management. Il
modo convenzionale di guardare al cambiamento è quello di vedere i cambiamenti
strutturali come necessarie e imprescindibili risposte alle pressioni per una maggiore
efficienza economica, finanziaria e anche competitiva.
L‟ipotesi che emerge da questa analisi è che quando la struttura non è in grado di fornire
la necessaria integrazione tra gli sforzi profusi, la performance viene indebolita e la
sopravvivenza stessa dell‟organizzazione viene addirittura minacciata. Questo significa
che si rende necessario un cambiamento strutturale, e che pertanto il management è
obbligato a fornire la risposta necessaria, allo stesso modo in cui deve fornire le scorte
ed i fondi necessari all‟operatività organizzazione. Il punto di vista convenzionale del
cambiamento organizzativo descritto da Pfeffer è sostanzialmente coerente con il modo
in cui lo stesso considera il cambiamento strutturale. Si ricordi però a tal proposito che
Perrow pone in guardia contro il solo utilizzo dei cambiamenti strutturali, e che anche
11
PFEFFER, J. Op. cit.
20
Pfeffer ha riserve simili circa il cambiamento strutturale, che si traducono in un
approccio di tipo alternativo; quest‟ultimo considera il cambiamento come il risultato
di una competizione che ha per posta la guida dell‟organizzazione.
Nella realtà, i cambiamenti della struttura formale sono più il risultato di una sorta di
rivoluzione interna che di un‟azione razionale e pianificata. Da questo punto di vista, il
cambiamento strutturale può essere visto come una confusa contrapposizione di
elementi, comprese decisioni strutturali razionali nonché di problematiche legate al
comportamento e alla leadership. La competizione si verifica tra coloro che ritengono di
avere a disposizione troppe poche risorse rispetto al contributo prestato
nell‟organizzazione e tra coloro che detengono il controllo ed esercitano il processo
decisionale; i primi, convinti di non essere adeguatamente retribuiti e valutati per le
competenze apportate all‟organizzazione, resistono alle modifiche dello status quo
desiderate dai secondi; questa contrapposizione riporta la discussione sulle variabili
sulle quali è opportuno incentrare il cambiamento.
Come mostrato in figura 3, lo sforzo rivolto al cambiamento è solitamente dedicato alle
persone, alla struttura, alla tecnologia ed ai compiti assegnati a ciascun componente.
Tutte queste variabili forniscono punti di entrata per lo sforzo di cambiamento, ma è
rischioso manipolare una sola di queste senza considerare la situazione complessiva e le
variazioni che possono essere indotte sulle altre. Come notato da Leavitt12
un
cambiamento di ogni singola variabile comporta un costoso ed imprevisto cambiamento
delle altre; tuttavia l‟autore conclude osservando che non possediamo una buona teoria
economica del cambiamento, che ci indichi come valutare compiutamente e
definitivamente i trade off connessi. Ancora una volta è richiesto un approccio di tipo
contingency, volto ad individuare in modalità stand alone i costi e i benefici che
l‟azienda oggetto di studio andrà a conseguire: non è dunque possibile delineare regole
positivistiche sulla risoluzione delle interrelazioni tra variabili, ma ogni situazione deve
essere oggetto di una analitica valutazione. Nonostante questa difficoltà, gli sforzi per il
cambiamento organizzativo devono essere governati nel miglior modo possibile,
12
LEAVITT, H.J. Op. cit.
21
utilizzando la miglior conoscenza disponibile e cercando di mantenere un equilibrio tra
le diverse esigenze.
Figura 1.3 - Le interrelazioni fra le più comuni variabili del cambiamento
Nel caso da noi qui analizzato, giova ribadire le peculiarità della gestione del
cambiamento nei confronti dei diversi stakeholders aziendali. Anche qui, come accade
internamente alle organizzazioni, ogni singola variazione degli assetti d‟impresa
provocherà reazioni e giudizi diversi da parte dei portatori di interesse: è ancora una
volta compito del vertice imprenditoriale valutare i trade off tra la soddisfazione delle
esigenze di alcune categorie rispetto al sacrificio dei desideri delle altre. Obiettivo
ultimo deve essere sempre l‟equilibrio e la sopravvivenza di lungo periodo dell‟impresa,
trovando degli equi bilanciamenti fra le diverse istanze che via via si paleseranno
all‟attenzione del management.
1.5 - Pressioni e modifica dell’organizzazione
Come appena affermato, le pressioni per il cambiamento creano un dilemma tra i
managers; per ciascuna data organizzazione, le forze che spingono in direzione del
cambiamento e quelle che vi si oppongono, tendono a raggiungere una sorta di
equilibrio. È quindi importante comprendere che tali forze esistono, ma è ancora più
importante comprendere che la ricettività degli sforzi di cambiamento da parte
dell‟organizzazione è determinata dal punto di equilibrio raggiunto tra queste forze
opposte.
Struttura
Compiti finalizzati Tecnologia (strumenti)
Persone (attori)
22
In una data organizzazione, la ricettività delle pressioni al cambiamento può essere alta,
media o bassa; l‟implicazione per la progettazione del sistema è che la possibilità di
influenzare il punto di equilibrio dipende in maniera diretta ed immediata dalla nostra
capacità di individuare quali siano le forze in campo e quali tra queste risultino
dominanti e determinanti.
La presenza di sostanziali pressioni di natura interna o esterna in una organizzazione è
comunque fonte di dilemmi per un manager; un primo problema è rappresentato da
quale giudizio dare del trade off tra stabilità nelle pratiche e nelle relazioni e tra
cambiamento radicale o incrementale. In un certo senso il manager deve assumere due
vesti diverse e contrapposte ma tuttavia inscindibili e complementari: una di difensore
della stabilità e l‟altra di supporto e spinta al cambiamento. Quando si assume la
seconda, il manager cerca di rispondere nella maniera che riterrà volta volta più
appropriata, coadiuvato anche dai suoi più stretti collaboratoti, alle pressioni interne ed
esterne per il cambiamento. Egli pertanto deve identificare, assimilare ed interpretare le
informazioni provenienti dall‟ambiente a lui e all‟impresa circostanti, decodificando in
particolare i vari messaggi più o meno significativi da parte di tutti gli stakeholders
coinvolti. Tuttavia, quando questi si trovi ad operare per facilitare il cambiamento,
perde gioca forza parte della sua capacità di controllare e dirigere, poiché si vede
costretto a distogliere il proprio impegno dalla gestione corrente e a rivolgerlo ad uno
sforzo innovativo, riducendo così la performance che la stabilità organizzativa era in
grado di perseguire. Quando esercita una direzione efficace, il progettista deve dunque
ed in definitiva elaborare l‟informazione orientata alle attività, prendere decisioni,
fornire direttive ed indicazioni relative alla struttura formale13
.
Il dilemma nel processo decisionale del manager sorge perché stabilità e cambiamento
si collocano a poli opposti della sfera cognitiva di ciascun individuo, e sono pertanto in
fisiologico e costante conflitto. E‟ infatti chiaro e manifesto che la stabilità, quando è
propria di organizzazioni moderne ed efficaci, garantisca una performance efficiente ed
eventi prevedibili familiari e certi. Tali vantaggi sono stati indubbiamente riconosciuti
da lungo tempo nella letteratura sul management e sull‟organizzazione aziendale, e sono
13
SALANCICK, G. R., “Organization design: the case for a conditional model of organization”, in
Organizational Dynamics, vol.6 pp. 15-29.
23
il punto distintivo della teoria classica del management. L‟evidenza empirica affiancata
da una lunga serie di trattati e scritti indica un certo numero di fattori
nell‟organizzazione in grado di influenzare i membri a favore della stabilità e dello
status quo. Tra questi possiamo brevemente ricordare:
1. I costi del cambiamento tangibili e non;
2. La resistenza al cambiamento in organizzazioni tradizionalmente stabili;
3. La potenziale crescita dell‟ambiguità e dell‟incertezza;
4. I potenziali conflitti e la necessità di rinegoziazione;
5. La minaccia alla struttura di potere esistente;
6. Il rischio di fallimento14
.
Nonostante vi siano questi e molti altri fattori che favoriscono la stabilità, questa in
taluni casi costituisce un serio problema e un potenziale rischio per l‟organizzazione. Se
il manager (e pertanto l‟organizzazione) perseguisse costantemente il mantenimento
della stabilità, l‟organizzazione finirebbe con lo scomparire soverchiate dalle ineluttabili
e impetuose modificazioni dell‟ambiente nel quale si trova ad operare. Questo
spiacevole risultato si verificherà più probabilmente e più rapidamente quando pressioni
interne o esterne domandano il cambiamento, ma altre forze egualmente potenti lo
ostacolano e in definitiva lo impediscono.
Ancora una volta siamo di fronte a un dilemma; ci sono dei casi in cui il progettista
deve rinunciare ai vantaggi della stabilità a favore del cambiamento. Il vantaggio primo
e fondamentale del cambiamento si incentra sulle possibilità di crescita e di
sfruttamento di nuovi potenziali mercati. Alcuni tra i molti fattori che favoriscono il
cambiamento sono:
I. Le pressioni interne ed esterne per il cambiamento precedentemente trattate;
II. La convinzione da parte di qualcuno (solitamente persone esterne alla coalizione
manageriale dominante) di poter guadagnare controllo e influenza grazie al
cambiamento;
14
PFEFFER, J. Op. cit.
24
III. L‟opportunità da parte della coalizione dominante di incrementare il proprio
controllo;
IV. La sensazione da parte di alcuni gruppi dell‟organizzazione che i propri interessi
non siano adeguatamente rappresentati.15
Questi insiemi concorrenti di forze, alcune a favore altre contro il cambiamento,
determineranno alla fine un equilibrio nella redazione dei piani strategici e negli
orientamenti di fondo dell‟impresa. Tale equilibrio rappresenta la ricettività
dell‟organizzazione al cambiamento, o forse la resistenza dell‟organizzazione al
cambiamento, in dipendenza della potenza relativa di ciascuna tendenza. Questa
situazione di equilibrio deve pertanto essere compiutamente valutata dal manager prima
di agire in qualunque direzione.
Un certo numero di autori ha a questo proposito considerato l‟approccio “dell‟analisi dei
campi di forza” di Lewin16
come un utile contesto per l‟analisi dell‟equilibrio delle
pressioni che agiscono sull‟impresa, ossia come strumento per valutare la ricettività di
un‟organizzazione ai problemi che gli si manifestano. Lewin definisce un campo come
un insieme di forze trainanti e vincolanti contrapposte; la risultante è un equilibrio
chiamato “quasi stazionario”. La maggior parte delle forme di comportamento sociale
fluttuano in qualche misura, ma dopo un certo periodo tendono a stabilizzarsi lungo un
qualche livello medio o di trend.
Da un punto di vista applicativo, è possibile effettuare un‟analisi del campo di forza per
ogni aspetto delle dinamiche aziendali, ma in questa sede siamo principalmente
interessati alle implicazioni che esse hanno sulla gestione degli stakeholders. Tra le
forze vincolanti alla stabilità dei rapporti impresa/portatori di interessi possiamo
citare17
:
a) Forze vincolanti di origine esterna:
1. Domanda perdurante da parte dei clienti di prodotti e servizi tradizionali;
2. Esistenza di forti gruppi di pressione con interessi consolidati;
15
PFEFFER, J. Op. cit. 16
LEWIN, K. “Group decision and social change”, in Readings in Social Psycology, pp. 340-344 17
ALBANESE, R., “Managing: toward accountability for performance”, 1981
25
3. Necessità di mantenere continuità con le abitudini, i valori e le norme
tradizionali.
b) Forze vincolanti di origine interna:
1. Struttura di potere e relazioni sociali stabili;
2. Interessi consolidati e coalizioni;
3. Qualsiasi forza interna avvantaggiata dallo status quo;
Tra le forze trainanti verso il cambiamento dei rapporti impresa/portatori di interesse
possiamo invece considerare:
c) Forze trainanti di origine esterna:
1. Accorciamento del ciclo di vita dei prodotti;
2. Scarsità di materie prime;
3. Mutamenti dei mercati finanziari;
4. Mutamenti mondiali del potere;
5. Consumismo;
6. Ambientalismo;
7. Accresciuta regolamentazione governativa;
8. Mutamento dei valori sociali e culturali;
9. Formazione di potenti coalizioni e gruppi di pressione.
d) Forze trainanti di origine interna:
1. Maggiore domanda di gratificazione da parte dei dipendenti;
2. Opportunità da parte della coalizione dominante di incrementare il proprio
potere e controllo;
3. Emergere di altre coalizioni che vogliono ottenere maggiore influenza;
4. Insoddisfazione rispetto alla leadership.
Senza approfondire eccessivamente gli aspetti comportamentali, sembra abbastanza
chiaro che l‟analisi dei campi di forza può aiutarci a organizzare le idee e le forze
rilevanti, e quindi effettuare significativi cambiamenti nella gestione dei comportamenti
26
nei confronti degli stakeholders. Infatti, dopo aver rilevato tali pressioni, si potrà
giungere a una conclusione che implichi la necessità di cambiare qualora le forze
trainanti abbiano la meglio, o mantenere le relazioni nei confronti degli stakeholders
qualora le forze vincolanti prendano il sopravvento.
27
Capitolo 2
TEORIA DEGLI STAKEHOLDER E STRATEGIE
2.1- Teoria degli stakeholder
Uno dei capisaldi della teoria della Responsabilità Sociale di Impresa (Corporate Social
Responsibility) è che l'azienda non è un'entità a se stante, bensì è un'organizzazione che
vive di rapporti, di relazioni con una serie di soggetti o "attori sociali" con i quali
condivide degli interessi: gli “stakeholders”. Il concetto di stakeholder è stato teorizzato
per la prima volta dallo Stanford Research Institute nel 1963 per indicare tutti coloro
che hanno un interesse nell‟attività di un‟azienda (da “stake” che significa posta o
scommessa ed “holder” portatore) e senza il cui appoggio un‟organizzazione non è in
grado di sopravvivere, includendo anche i gruppi non legati da un rapporto economico
con l‟impresa. Si deve a Freeman la prima concettualizzazione del modello degli
stakeholder come uno schema in cui l‟impresa è il fulcro di una ruota e gli stakeholder
sono posti al termine dei raggi della ruota. Questo modo di concettualizzare l‟impresa
(Fig.1) è diventato la regola in quanto è considerato come adeguatamente descrittivo
delle relazioni impresa-stakeholder 18
.
Figura 1 – L’impresa e i suoi stakeholder
18
JONES T.M., WICKS A.C., FREEMAN R.E. (2002), Stakeholder Theory: the State of the Art, in
Bowie N.ed., Business Ethics, Balckwell Publisher, Oxford.
28
Nel 1984 Freeman osservava che le richieste provenienti da proprietari,consumatori,
dipendenti e fornitori – gli stakeholder tradizionalmente considerati dai modelli di
management – erano accompagnate dalle richieste provenienti da nuovi gruppi
emergenti di stakeholder potenzialmente capaci di influenzare grandemente
l‟organizzazione – stati, concorrenti, associazioni dei consumatori, ambientalisti, gruppi
di interesse e media. Egli pertanto criticava i modelli tradizionali di management in
quanto non in grado di offrire un “modo unificante di comprendere i cambiamenti che
sono avvenuti o che avverranno” 19
.
La “stakeholder view” dell‟impresa difesa da Freeman si contrappone dunque al
modello convenzionale input-output dell‟impresa in cui questa è concepita
principalmente come un‟attività economica in cui risorse economiche sono raccolte alla
scopo di fare profitti per il proprietario/azionista: investitori, dipendenti e fornitori
mettono a disposizione input che l‟impresa trasforma in output a vantaggio dei
consumatori.
Nel modello degli stakeholder l‟impresa è invece raffigurata non solo come una serie di
transazioni di mercato ma come uno sforzo cooperativo (e competitivo) che coinvolge
un ampio numero di individui e gruppi organizzati in vario modo. Essa è quindi una
organizzazione in cui e attraverso cui molti differenti individui e gruppi tentano i
raggiungere propri fini. Un‟impresa interagisce continuamente con i propri stakeholder
e molto del suo successo dipende da come tutte queste relazionisono gestite. Gestire
relazioni con gli stakeholder, piuttosto che input e output, può offrire quindi un modello
adeguato per comprendere come si comportano e come dovrebbero comportarsi gli
individui nell‟impresa.
Nonostante il modello degli stakeholder sia stato assai influente nella teoria e nella
pratica del management, i ricercatori non hanno tuttavia raggiunto l‟accordo su ciò che
Freeman (1984) ha chiamato “Principio di chi o che cosa realmente conta”, cioè, chi (o
che cosa) sono gli stakeholder dell‟impresa e a chi (o a che cosa) i manager realmente
prestano attenzione.
È stata infatti proposta una gamma assai varia di definizioni di “stakeholder” (e
di“stake”) che vanno da quelle molto ampie, basate sulla constatazione empirica che
19
FREEMAN R.E. (1984), Strategic Management. A Stakeholder Approach, Boston, Pitman
29
chiunque di fatto può influenzare o essere influenzato dalle decisioni di una
organizzazione, a quelle più ristrette, basate sulla realtà pratica che i manager, per
mancanza di risorse, non possono prestare attenzione a tutte le pretese e che propongono
quindi una serie di priorità per l‟attenzione manageriale.
Secondo Freeman (1984) questi "portatori di interesse" o "stakeholders" sono quindi dei
soggetti, sia interni che esterni all'organizzazione dell'azienda, che sono influenzati o
influenzano l'attività dell'azienda, nel raggiungimento degli obittivi dell‟impresa.
“Gli stakeholder primari, ovvero gli stakeholder in senso stretto, sono tutti quegli
individui e gruppi ben identificabili da cui l’impresa dipende per la sua sopravvivenza:
azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, e agenzie governative. In senso più ampio
stakeholder è qualsiasi gruppo o individuo ben identificabile che può influire o essere
influenzato dall’attività dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche e processi
lavorativi. In questo più ampio significato, gruppi d’interesse pubblico, movimenti di
protesta, comunità locali, enti di governo, associazioni imprenditoriali, concorrenti,
sindacati e la stampa, sono tutti da considerare stakeholder”20
.
Questa è sicuramente una delle definizioni più ampie nella letteratura, in quanto lascia
da parte la nozione di “posta in gioco” e senza ambiguità lascia aperto il campo dei
possibili stakeholder in modo da includere potenzialmente chiunque. Esclusi dall‟avere
una posta in gioco sono solamente coloro che non possono influire sull‟impresa (non
hanno potere) e non sono influenzati da essa (non hanno alcuna aspettativa o relazione).
In antitesi, Clarkson offre una delle definizioni più ristrette di stakeholder, come
individui che volontariamente o involontariamente rischiano: “gli stakeholder volontari
si assumono un certo rischio come risultato dell’aver investito un certo tipo di capitale,
umano o finanziario, qualcosa di valore, in un’azienda. Gli stakeholder involontari si
trovano in un’area a rischio in conseguenza delle attività di un’impresa, am senza
l’elemento del rischio non vi è posta in gioco”21
.
Il concetto di stakeholder è stato esteso da Clarkson anche a tutti quei soggetti portatori
di interessi potenziali per un‟azienda, cioè persone o gruppi che hanno pretese, titoli di
proprietà, diritti, o interessi, relativi ad un‟impresa ed alle sue attività.
20
FREEMAN R.E. (1984), Strategic Management. A Stakeholder Approach, Boston, Pitman. 21
CLARKSON M.B.E. (1995), A Stakeholder Framework for Analizing and Evaluating Corporate Social
Performance, Academy of Management Review, n.20.
30
“Gli stakeholder sono persone o gruppi che hanno pretese o si aspettano titoli di
proprietà, diritti o interessi, relativi a una impresa e alle sue attività, passate, presenti o
future”22
. Clarkson definisce gli stakeholder come coloro che hanno messo qualcosa a
rischio nella loro relazione con l'impresa e i diritti o gli interessi attesi sono il risultato
di transazioni o azioni intraprese dall'impresa e possono essere legali o morali,
individuali o collettivi. Gli stakeholders con interessi, aspettative o diritti simili possono
essere classificati come appartenenti allo stesso gruppo e si possono suddividere il
stakeholders primari e secondari:
- gli stakeholders primari (o risk-bearers) manifestano un interesse diretto e sono il
gruppo senza la cui partecipazione continua l‟impresa non può sopravvivere come
complesso funzionante; tipicamente fra questi rientrano gli azionisti, gli investitori, i
dipendenti, i clienti e i fornitori, perché hanno una relazione contrattuale con l‟impresa,
e il gruppo degli stakeholder pubblici, ovvero i governi e le comunità che forniscono le
infrastrutture, i mercati, le leggi e i regolamenti.
- gli stakeholders secondari manifestano interessi di rappresentanza e comprendono
tutti coloro che esercitano una influenza sull‟impresa o sono influenzati da essa, pur non
avendo un rapporto contrattuale con l‟impresa e non sono essenziali per la sua
sopravvivenza. Essi influenzano i comportamenti di lungo termine dell‟impresa ed
incidono sul clima sociale delle relazioni aziendali. Rientrano in questa categoria le
associazioni di consumatori, le associazioni locali, i mass media, i gruppi sociali, i
gruppi ambientalisti e i sindacati. I gruppi di stakeholder secondari, pur non essendo
essenziali per l'impresa, possono, tuttavia, provocare gravi danni ad una impresa ed
avere come obiettivo semplicemente quello di interferire con alcune attività
dell'impresa. Ad esempio possono mobilitare l'opinione pubblica in favore o contro le
politiche e i programmi adottati da un'impresa per adempiere alle proprie responsabilità
o per soddisfare i bisogni e le aspettative dei suoi gruppi di stakholder primari.
Mitchell et al. per meglio capire il “Principio di chi o che cosa realmente conta” in due
questioni – 1) chi (o che cosa) sono gli stakeholder dell‟impresa; 2) a chi (o a che cosa) i
manager realmente prestano attenzione – partendo dalla definizione “ampia” di
22
CLARKSON M.B.E. (1995), A Stakeholder Framework for Analizing and Evaluating Corporate Social
Performance, Academy of Management Review, n.20.
31
stakeholder data da Freeman, che consente “che nessuno stakeholder, potenziale o
reale, sia escluso dall’analisi arbitrariamente o a priori” 23
, hanno ritenuto necessario
valutare sistematicamente le relazioni fra stakeholder e manager, effettive e potenziali,
in termini di assenza o presenza di uno, due o tutti e tre dei seguenti attributi:
1) potere dello stakeholder di influenzare l‟impresa;
2) legittimità (morale) della relazione dello stakeholder con l‟impresa;
3) urgenza della pretesa (claim) dello stakeholder sull‟impresa.
Figura 2.2 - Classi qualitative di stakeholder
Le definizioni dell'attributo di potere derivano, almeno in parte, dall'idea di Weber,
secondo cui il potere è “la probabilità che un attore all'interno della relazione sociale si
trovi nella posizione di portare avanti la propria volontà nonostante le resistenze” 24
.
Esistono tre categorie di potere, basato sul tipo di risorsa utilizzata per esercitarlo: il
potere coercitivo (fondato sulle risorse fisiche della forza, violenza o pressione), il
potere utilitaristico (basato sulle risorse materiali o finanziare), e potere normativo
(basato su risorse simboliche, come prestigio o stima). In una relazione una parte
detiene il potere fino al punto in cui essa ha o può avere accesso a mezzi coercitivi,
utilitaristici o normativi, per imporre la propria volontà nella relazione. Il potere è
transitorio: può essere acquisito o perso.
La legittimità è una “una percezione generalizzata o premessa secondo cui le azioni di
23
MITCHELL R.K., AGLE B.R., WOOD D.J. (1997), Toward a Theory of Stakeholder Identification
and Silence: define the principle of who and what really counts, Academy of Management Review, n.22 24
WEBER M. (1947), The Theory of Social and Economic Organization, Free Press, New York
32
entità di una entità sono desiderabili, proprie o appropriate all'interno di un sistema
sociale di norme, valori, credenze, definizioni” 25
. La legittimità è un bene sociale
desiderabile, è un qualcosa di più ampio e condiviso di una semplice percezione di sé e
può essere definita e negoziata a vari livelli dell'organizzazione.
L'urgenza “è il grado con cui le aspettative degli stakeholder richiedono un'immediata
attenzione”; si basa su due attributi:
1) la sensibilità temporale – il limite in base al quale il ritardo manageriale nel
rispondere all'aspettativa o alla relazione non è accettabile dallo stakeholder;
2) la criticità – l'importanza della rivendicazione o della relazione con lo stakeholder.
Nella teoria di Mitchell et al. un ruolo essenziale è svolto dal manager: sebbene sia
possibile identificare in modo attendibile i gruppi come stakeholder in base al loro
possesso del potere, della legittimità e dell‟urgenza in relazione all‟impresa, è il
manager che determina quali stakeholder sono salienti e di conseguenza quali
stakeholder riceveranno attenzione.
Mitchell et al. dalla combinazione dei tre attributi, potere, legittimità, urgenza,
ottengono una tipologia di stakeholder. Dalle diverse combinazioni dei tre attributi
derivano, infatti, sette classi di stakeholder raggruppabili in tre categorie, così come è
mostrato nella Fig. 3: tre classi con uno solo dei tre attributi, denominati stakeholder
“latenti” (aree 1, 2, 3); tre classi con due attributi, denominati stakeholder “in attesa”
(aree 4, 5, 6); e una classe con tutti e tre gli attributi, denominata “stakeholder
definitivi” (area 7). L‟analisi dei tipi di stakeholder, secondo Mitchell et al., “giustifica
l’identificazione di entità che dovrebbero essere considerate stakeholder dell’impresa, e
costituisce anche la serie da cui i manager selezionano quelle entità che essi
percepiscono come salienti. Secondo questo modello, allora, le entità senza potere,
legittimità e urgenza in relazione all’impresa non sono stakeholder e saranno percepite
dai manager come prive di salienza” 26
.
In accordo con l‟analisi dei tipi di stakeholder e in base all‟assunto che sono le
percezioni dei manager a dettare la salienza degli stakeholder per l‟impresa, Mitchell et
al. offrono alla verifica empirica alcune proposizioni descrittive concernenti la salienza
25
SUCHMAN M.C. (1995), Managing Legitimacy: Strategic and Institutional Approaches, Academy of
Management Review, n.20 26
MITCHELL R.K., AGLE B.R., WOOD D.J. (1997), Toward a Theory of Stakeholder Identification
and Silence: define the principle of who and what really counts, Academy of Management Review, n.22
33
degli stakeholder per i manager. La proposizione n.1 afferma che:
“La salienza dello stakeholder sarà positivamente collegata al numero cumulativo degli
attributi dello stakeholder - potere, legittimità e urgenza - percepiti essere presenti dai
manager” 27
.
Figura 2.3 - Tipi di stakeholder a seconda della presenza di uno, due o tre attributi
Stakeholder LATENTI. “Latenti” sono gli stakeholder con un solo attributo fatto questo
che li porta ad assumere una posizione passiva, con un corrispondente abbassamento del
livello di responsiveness dell‟impresa nei confronti dei loro interessi. Gli stakeholder
“latenti” sono analizzabili in tre classi (“passivi”, “discrezionali” ed “esigenti”).
- Stakeholder “passivi”. Questa classe di stakeholder “latenti” è caratterizzata dal
27
MITCHELL R.K., AGLE B.R., WOOD D.J., Op. cit.
34
possesso del solo attributo del potere. Lo stakeholder “passivo” ha il potere di imporre
la propria volontà all‟impresa, ma poichè non ha una pretesa legittima e urgente, il suo
potere rimane non utilizzato.
- Stakeholder “discrezionali”. Questa classe di stakeholder “latenti” è caratterizzata dal
possesso del solo attributo della legittimità. Mancando gli attributi del potere e del-
l‟urgenza, questa classe di stakeholder non può esercitare alcuna pressione sui manager
affinchè essi si preoccupino dei loro interessi, sebbene i manager possano scegliere di
preoccuparsene.
- Stakeholder “esigenti”. Questa classe di stakeholder “latenti” è caratterizzata dal
possesso del solo attributo dell‟urgenza. Mancando degli attributi del potere e della
legittimità, questa classe di stakeholder è paragonabile a “insetti...fastidiosi ma non
pericolosi”.
Per quanto riguarda la salienza degli stakeholder “latenti”, Mitchell et al. presentano la
seguente proposizione n. 1a:
“La salienza dello stakeholder sarà bassa quando solo uno degli attributi - potere,
legittimità e urgenza – è percepito essere presente dai manager” 28
.
Stakeholder IN ATTESA. Mentre gli stakeholder con un solo attributo e conseguente
bassa salienza hanno una latente relazione con i manager dell‟impresa, gli stakeholder
con due attributi sono considerati come “in attesa” poichè la combinazione di due
attributi porta gli stakeholder ad assumere una posizione attiva, con un corrispondente
aumento del livello di responsiveness dell‟impresa nei confronti dei loro interessi.
Gli stakeholder “in attesa” sono analizzabili in tre classi (“dominanti”, “dipendenti” e
“pericolosi”).
- Stakeholder “dominanti”. Questa classe di stakeholder “in attesa” è caratterizzata dal
possesso sia dell‟attributo del potere sia dell‟attributo della legittimità: è chiamata
“dominante” in considerazione delle pretese legittime che gli stakeholder hanno nei
confronti dell‟impresa e della capacità di questi stakeholder di agire in base a queste
pretese. Gli stakeholder ”dominanti” si aspettano di ricevere, e di solito ricevono, molta
attenzione da parte dei manager: questo fatto è evidenziato dalla presenza nelle imprese
di meccanismi formali (consigli di amministrazione, dipartimenti e uffici, report
28
MITCHELL R.K., AGLE B.R., WOOD D.J. (1997), Toward a Theory of Stakeholder Identification
and Silence: define the principle of who and what really counts, Academy of Management Review, n.22
35
annuali) che riconoscono l‟importanza della relazione degli stakeholder “dominanti”
con l‟impresa. Rientrano in tale classe proprietari, creditori, dipendenti, Stato, comunità
e clienti.
- Stakeholder “dipendenti”. Questa classe di stakeholder “in attesa” è caratterizzata dal
possesso di pretese legittime e urgenti. È definibile come “dipendente” in quanto –
mancando del potere necessario per soddisfare le loro pretese – gli stakeholder apparte-
nenti a questa classe per spostarsi in una classe più saliente per i manager hanno biso-
gno di ricorrere al sostegno di altri stakeholder (“dominanti”) o alla benevolenza del
management dell‟impresa.
- Stakeholder “pericolosi”. Questa classe di stakeholder “in attesa” è caratterizzata dal
possesso dell‟attributo dell‟urgenza e dell‟attributo del potere e dalla mancanza
dell‟attributo della legittimità. Essa può risultare letteralmente “pericolosa” per
l‟impresa in quanto può ricorrere all‟impiego di mezzi coercitivi e violenti per
rivendicare le proprie pretese (legittime o non legittime che siano), quali scioperi
illegali, azioni di sabotaggio da parte dei dipendenti e atti di terrorismo.
Per quanto riguarda la salienza degli stakeholder “in attesa”, Mitchell et al. presentano
la seguente proposizione n. 1b:
La salienza dello stakeholder sarà moderata quando solo due degli attributi – potere,
legittimità e urgenza – sono percepiti essere presenti dai manager.
Stakeholder DEFINITIVI. Uno stakeholder “in attesa” (sia esso “dominante”,
“pericoloso” o “dipendente”) può ottenere lo status di “definitivo” acquisendo
l‟attributo mancante. La situazione più ricorrente è quando uno stakeholder
“dominante”, dotato di potere e legittimità, può esibire anche una pretesa urgente nei
confronti dell‟impresa. In questo caso il manager deve dare la priorità alla pretesa di
questo stakeholder.
Per quanto riguarda la salienza degli stakeholder “definitivi”, Mitchell et al. presen-
tano la seguente proposizione n. 1c:
“La salienza dello stakeholder sarà alta quando tutti e tre gli attributi – potere,
legittimità e urgenza – sono percepiti essere presenti dai manager”29
.
29
MITCHELL R.K., AGLE B.R., WOOD D.J. (1997), Toward a Theory of Stakeholder Identification
and Silence: define the principle of who and what really counts, Academy of Management Review, n.22
36
L'autore Toni Muzi Falconi stabilisce un'altra classificazione, ovvero tra influenti e
stakeholder.
Gli influenti sono tutti gli «individui e i gruppi che consapevolmente o
inconsapevolmente possono influire sul raggiungimento degli obiettivi dell‟impresa».
Gli stakeholder, invece, sono tutti i soggetti consapevoli di avere un diritto ad
interloquire con l‟impresa. “Normalmente sono i dirigenti, i dipendenti, gli azionisti, i
principali fornitori, le istituzioni, i media di riferimento, i distributori, i sindacati e le
organizzazioni della società civile (consumo, ambiente, salute, territorio). Insomma,
tutti coloro che contribuiscono a legittimare socialmente l‟organizzazione e provvedono
ad attribuirle o a contestarle quella che si potrebbe definire una licenza ad operare nella
società” 30
.
Successivamente, Toni Muzi Falconi identifica tre livelli di stakeholder:
Gli stakeholder influenti, cioè quei soggetti che si considerano rimarchevoli per
l‟impresa e che essa riconosce come tali, capaci quindi di condizionare
direttamente sulla realizzazione dei suoi fini ritardandoli o accelerandoli. Il caso
più evidente è costituto dai dipendenti, i quali saranno più motivati a
raggiungere gli scopi loro richiesti se apprezzano l‟impresa per cui lavorano.
Gli stakeholder non riconosciuti, cioè quei soggetti che consapevolmente si
considerano portatori di interesse verso l‟impresa, ma che non vengono valutati
tali dall‟organizzazione. Ad esempio, oggi le aziende si confrontano, in alcuni
casi riconoscendoli, in altri no, con i nuovi gruppi di stakeholder rappresentati
dai movimenti di cittadinanza d‟impresa o dai gruppi di pressione transnazionali.
Gli influenti non stakeholder, cioè soggetti non coscienti e non verosimilmente
interessati a relazionarsi con l‟organizzazione, che però vengono considerati
dalle imprese rilevanti ai propri fini e con i quali decideranno di aprire un
sistema di scambi relazionari.
In letteratura troviamo una ulteriore classificazione tra stakeholder interni ed esterni, in
considerazione del fatto che alcuni operano all‟interno dell‟impresa e altri al suo
30
FALCONI T. M. (2003), Governare le Relazioni, Il Sole 24 Ore.
37
esterno31
.
Stakeholders Interni
Soci/azionisti
Risorse Umane (dipendenti e management)
Stakeholders Esterni
Fornitori
Investitori
Concorrenti
Clienti
Consumatori ed associazioni di consumatori
Istituzioni Pubbliche (Stato, enti locali e pubblica amministrazione)
Gruppi ambientalisti ed umanitari
Media
Collettività e ambiente
Goodpaster ha osservato a proposito della definizione “ampia” di stakeholder proposta
da Freeman che essa implica il riferimento a due tipi differenti di “approccio” agli
stakeholder – strategico (o prudenziale) e morale (o “multi-fiduciario”) – a seconda che
la teoria si concentri rispettivamente sugli individui o gruppi che possono influenzare
un‟impresa o sugli individui o gruppi che sono influenzati da questa32
.
Nel caso dell‟approccio strategico1, il manager deve attuare una gestione degli interessi,
nel senso che lo stakeholder e i suoi interessi devono essere “trattati” (dealt with)
affinchè l‟impresa possa conseguire i propri scopi; nel caso dell‟approccio morale2, il
manager deve ricercare un bilanciamento degli interessi di tutti gli stakeholder in
quanto i loro interessi e diritti hanno eguale importanza e meritano di essere soddisfatti
congiuntamente33
.
31
CERANA N. (2004), Comunicare la responsabilità sociale: teorie, modelli, strumenti e casi
d’eccellenza, F. Angeli, Milano. 32
GOODPASTER K. (1991), Business Ethics and Stakeholder Analysis, Business Ethics Quartely, n.1. 33
FREEMAN R.E. (1984), Strategic Management. A Stakeholder Approach, Boston, Pitman.
38
Consegue da questa analisi che l‟approccio strategico, con la sua enfasi sulla gestione
dello stakeholder, fornisce un resoconto unidirezionale della relazione impresa
stakeholder, considerata cioè solo dal punto di vista dell‟impresa, e che l‟approccio
morale fornisce un resoconto bidirezionale dell‟impresa e dei suoi stakeholder.
2.2 - Sviluppi nella Teoria degli Stakeholder
Riformulazioni ed estensioni della “stakeholder view” si sono avute a partire dai primi
anni ‟90 quando i manager hanno cercato di controllare strategicamente le relazioni
degli stakeholder della loro organizzazione e quando i ricercatori hanno tentato di
sezionare e prevedere queste relazioni (Post et al., 2002). Come infatti hanno osservato
alcuni ricercatori (Rowley, 1997; Frooman, 1999) nello “hub and spoke stakeholder
diagram” le relazioni tra impresa e stakeholder sono diadiche – essendo caratterizzate
da legami intercorrenti tra una specifica organizzazione (focal organization) e ognuno
dei suoi stakeholder considerato singolarmente –, indipendenti l’una dall’altra,
considerate in gran misura dal punto di vista dell’impresa e definite in termini di
attributi degli attori. Ecco quindi la proposta di nuovi modelli volti ad ampliare la
portata della teoria degli stakeholder, così come presentata originariamente da Freeman,
in ognuno di questi aspetti.
A Donaldson e Preston (1995) si deve la proposta di una tassonomia dei tipi di teoria
degli stakeholder: normativa, strumentale e descrittiva/empirica34
.
La teoria normativa prescrive che tutti gli stakeholder siano trattati dai manager in base
ad alcuni principi morali. Secondo Donaldson e Preston il nucleo normativo della teoria
sta nell‟accettazione di due tesi fondamentali:
1) gli stakeholder identificano se stessi a causa del loro interesse nell‟impresa (a
prescindere dall‟esistenza o meno di un interesse funzionale dell‟impresa per essi);
2) gli interessi di tutti gli stakeholder hanno valore intrinseco e meritano
considerazione per se stessi nel processo decisionale manageriale, indipendentemente
34
DONALDSON T., PRESTON L. (1995), The Stakeholder Theory of the Corporation: concept,
evidence, implications, Academy of Management Review, n.20.
39
dalla capacità di un gruppo particolare di stakeholder di promuovere gli interessi di un
altro gruppo,(per es. gli azionisti.).
In questa prospettiva si collocano gli studi di Evan e Freeman (1988) e di Clarkson
(1994; 1995). Evan e Freeman hanno avanzato la tesi secondo cui i manager hanno un
“rapporto fiduciario” con un‟ampia serie di stakeholder dell‟impresa, intendendo con
questo termine i “fornitori, clienti, dipendenti, azionisti e la comunità locale, come pure
il management nel suo ruolo di agente di questi gruppi” 35
. Questa teoria dell‟impresa
trova il suo fondamento morale nel principio kantiano del rispetto delle persone,
principio secondo cui queste devono essere trattate come fini in sé e non meramente
come mezzi per qualche fine. È sulla base di questo principio che Evan e Freeman
hanno potuto sostenere che i diritti di proprietà degli azionisti non sono assoluti e non
possono pertanto essere fatti valere per giustificare l‟uso degli stakeholder come mezzi
in vista della massimizzazione della ricchezza degli azionisti
Poiché in questa prospettiva gli stakeholder sono trattati come soggetti morali titolari di
diritti, la sfida etica per il management consiste allora nel cercare di soddisfare le
pretese legittime avanzate da una varietà di stakeholder dell‟impresa, che include,
naturalmente, anche i proprietari. In questa teoria, quindi, il management svolge un
ruolo “speciale” che si esprime nel rispetto del “dovere” morale di badare alla “salute”
dell‟impresa intesa come entità astratta, e questo richiede il bilanciamento delle
molteplici pretese confliggenti degli stakeholder. Ciò a cui la proposta teorica di Evan e
Freeman mette capo è dunque una ridefinizione dello scopo dell‟impresa, che risulta
essere quello di “fungere da mezzo per il coordinamento degli interessi degli
stakeholder”, uno strumento per soddisfare gli interessi degli stakeholder.
Anche Clarkson, definiti gli stakeholder “primari” come “risk-bearers” cioè come quei
gruppi che effettuano investimenti a rischio nell‟impresa e “senza la cui partecipazione
la corporation non può sopravvivere come azienda avviata” e definita la corporation
come “un sistema di gruppi di stakeholder primari”, giunge a una ridefinizione dello
scopo economico e sociale della corporation: creare e distribuire maggiore ricchezza e
valore a tutti i suoi gruppi di stakeholder primari senza favorire un gruppo a spese degli
35
EVAN W., FREEMAN R.E.(1998), A Stakeholder Theory of Modern Corporation: Kantian
Capitalism, in Beauchamp T. e Bowie N., “Ethical Theory and business”, Englewood Cliffs, NJ, Prentice
Hall.
40
altri garantendo in questo modo la loro continua collaborazione come parte del sistema
e quindi la sopravvivenza dell‟impresa. In questa visione compito dei manager è dunque
risolvere gli inevitabili conflitti tra i gruppi di stakeholder primari circa la distribuzione
della ricchezza e del valore creati dalla corporation. Quando i manager, di fronte agli
inevitabili conflitti di interessi tra i gruppi di stakeholder, decidono in termini di
stakeholder management essi devono affrontare tali conflitti facendo ricorso ai principi
morali. Infatti, osserva Clarkson, fino a quando i manager potevano sostenere che gli
azionisti e i loro profitti erano supremi, le pretese di altri stakeholder potevano essere
ignorate, quindi non era necessario per i manager preoccuparsi della equità, della
giustizia o della verità. Quando, invece, il giudizio etico diventa una questione di
sopravvivenza della corporation, la “gestione dell‟etica...in una corporation diventa una
faccenda di importanza strategica”36
.
La teoria strumentale indaga l‟esistenza di un collegamento tra la pratica dello
stakeholder management e il conseguimento di obiettivi di performance aziendale e se
questo nesso è positivo o negativo. L‟assunto è che l‟obiettivo ultimo delle decisioni
aziendali è il successo economico, e la stakeholder management è un mezzo in vista di
quel fine.
Si devono a Jones (1995) e a Jensen (2002) due importanti versioni della teoria
strumentale.
Jones, sintetizzando etica ed economia avanza un argomento a favore della tesi generale
secondo cui se le imprese (attraverso i manager) fanno contratti con i propri stakeholder
in base alla reciproca fiducia e alla cooperazione, esse avranno un vantaggio
competitivo sulle imprese che non lo fanno. L‟argomento di Jones è che imprese
affidabili e cooperative saranno ricercate come partner nelle relazioni economiche che
richiedono fiducia e ad esse saranno offerte opportunità che ad imprese che non
presentano queste caratteristiche non saranno offerte. Pertanto, le imprese che
attribuiranno valore morale alla fiducia reciproca e alla cooperazione avranno un
vantaggio competitivo su quelle che non lo attribuiscono37
.
36
CLARKSON M.B.E. (1995), A Stakeholder Framework for Analizing and Evaluating Corporate Social
Performance, Academy of Management Review, n.20. 37
JONES T.M., WICKS A.C., FREEMAN R.E. (2002), Stakeholder Theory: the State of the Art, in
Bowie N.ed., Business Ethics, Balckwell Publisher, Oxford.
41
Jensen sostiene, da un lato, che i manager e i dipendenti richiedono una funzione
obiettivo basata su un unico argomento, cioè, la creazione del valore di mercato totale
dell‟impresa (sferrando così un forte attacco alla teoria degli stakeholder ) e, dall‟altro,
che l‟attenzione dell‟impresa agli interessi degli stakeholder è necessaria per motivare i
manager e i dipendenti a perseguire la creazione del valore di lungo termine –
attenuando in questo modo la forza di un argomento esclusivamente economico-
finanziario concernente la condotta manageriale38
.
La tesi di Jensen è che una gestione degli stakeholder corretta debba essere subordinata
a una teoria della massimizzazione del valore “illuminata” e non viceversa. Jensen
quindi da una parte accetta la creazione del valore di lungo termine ottenuta per mezzo
delle pratiche di gestione degli stakeholder (considerate strumentalmente), dall‟altra
rifiuta l‟idea dell‟esistenza per la condotta manageriale di una funzione obiettivo basata
su una pluralità di scopi.
La teoria descrittiva cerca di accertare se e come le organizzazioni realmente prendono
in considerazione gli interessi dei propri stakeholder e se i manager realmente praticano
la stakeholder management. Secondo Clarkson (1995), ricerche empiriche indicano che
i manager sembrano riconoscere gruppi distinti di stakeholder e gestire le loro imprese
in conseguenza.
Brenner e Cochran (1991) sono stati i primi a proporre una teoria dell‟impresa
descrittiva basata sul modello degli stakeholder il cui scopo è descrivere come
l‟organizzazione opera e contribuire a prevederne il comportamento. In particolare,
Brenner e Cochran sostengono che la teoria degli stakeholder postula che la natura degli
stakeholder, i loro valori, la loro relativa influenza sulle decisioni e la natura della
situazione sono tutte informazioni rilevanti per prevedere il comportamento
dell‟organizzazione; pertanto, se le imprese esistono in un contesto di stakeholder, il
modo in cui esse agiscono per raggiungere i propri scopi deve essere, in parte,
dipendente da come esse si aspettano che i propri stakeholder si comporteranno. Scopo
della teoria degli stakeholder è allora quello di spiegare e prevedere come
l‟organizzazione opera riguardo alle influenze degli stakeholder.
38
JENSEN M.C. (2002), Value Maximisation, Stakeholder Theory and Corporate Objective Function, in
Adriof J. Et al., “Unfolding stakeholder thinking theory, responsibly and engagement, Greenlief
Pubblishing, Sheffield.
42
Poichè i differenti gruppi di stakeholder hanno il loro proprio set di pretese, richieste e
obiettivi che probabilmente devono comunicare all‟impresa, il problema per l‟impresa è
come gestire con successo queste interdipendenze e, in modo particolare, i conflitti tra
gli interessi che tali interdipendenze possono generare. A questo riguardo, sono
disponibili in letteratura una quantità di lavori e modelli per il processo decisionale
manageriale che in generale evidenzia il bisogno per le imprese di comprendere il
potere e l‟influenza dei differenti stakeholder, così come il loro interesse in una
particolare questione.
2.3 - Strategie adottabili nei confronti degli stakeholders
L‟individuazione degli stakeholder e la valutazione del grado di influenza esercitabile
sulla gestione dell‟impresa può essere guidata da alcuni criteri:
- Il POTERE: ossia la forza da essi detenuta in virtù del ruolo ricoperto nella società
(si pensi al movimento di ambientalisti sulle condizioni di svolgimento dell‟attività
di un‟industria);
- la LEGITTIMITA’: ossia il riconoscimento della funzione di rappresentanza di
particolari interessi;
- l’ URGENZA: dell‟interesse difeso, ossia l‟attualità della risposta da parte
dell‟azienda.
Si può quindi comprendere come la classificazione degli stakeholder è di fatto
continuamente mutevole perché nel tempo possono variare l‟attualità degli interessi, la
forza dei singoli interlocutori e il loro grado di legittimazione. L‟individuazione degli
stakeholder consente all‟impresa di stabilire come gestire i rapporti, valutando se da
ciascuno di essi potrà derivarne un vantaggio (un atteggiamento collaborativo) oppure
un ostacolo se non addirittura una minaccia per la sopravvivenza dell‟impresa. Sotto
questo profilo, uno dei modelli più completi a riguardo è quello elaborato da Savage,
Nix, Whitehead39
(1991), che distingue gli stakeholder in supportive, not supportive,
39
SAVAGE G.T, NIX T.W., WHITEHEAD C.J.,(1991), Strategies for Assessing and Managing
Organizational Stakeholders, The Executive, Vol. 5, No. 2 (May, 1991), pp. 61-75, Academy of
Management
43
mixed blessing e marginal; per arrivare a questa classificazione devono essere
considerate due variabili critiche:
1) potenziale minaccia dello stakeholder: l‟ostilità40
o la minaccia sono elementi chiave
per determinare la strategia e guardare alla potenziale minaccia è come sviluppare uno
scenario peggiorativo per proteggere i managers da sorprese spiacevoli. La capacità di
minacciare dipende dal potere relativo e dall‟importanza dello stakeholder in una
particolare situazione (generalmente più l‟organizzazione è dipendente più ha potere lo
stakeholder). Per esempio, il potere di un fornitore è una funzione della dipendenza
dell‟impresa rispetto ai fornitori; se vi sono numerose fonti di input, l‟organizzazione
acquirente è meno dipendente da un singolo fornitore e in questo modo si riduce il suo
potere41
. Inoltre le opportunità e la propensione a minacciare dipendono dalla qualità e
dalla durata della relazione stakeholder-azienda. E‟ importante, quindi, portare avanti
relazioni, il più possibile stabili.
2) potenziale per la cooperazione dello stakeholder: il potenziale dello stakeholder è
spesso ignorato perché le analisi, di solito, si concentrano sulla tipologia o sulla forza
delle minacce42
. Invece la cooperazione dovrebbe avere la stessa importanza, in quanto
permette allo stakeholder management di andare oltre la mera strategia difensiva o
offensiva; infatti la cooperazione è particolarmente rilevante perché può portare le
compagnie a unire le forze con gli altri stakeholder e quindi arrivando ad un migliore
governo dell‟ambiente di business. Studiare il potenziale per la cooperazione è simile
allo sviluppare uno scenario migliorativo. La capacità di espandere l‟interdipendenza
degli stakeholder con l‟organizzazione e la volontà di collaborare determina il
potenziale di cooperazione. Di solito, maggiore è la dipendenza dello stakeholder
rispetto all‟organizzazione maggiore è la propensione a cooperare. L‟azienda e lo
stakeholder possono trovare un‟opportunità per aumentare la loro interdipendenza anche
a causa di una minaccia proveniente dal loro business environment.
Oltre al potere ci sono altri fattori che influenzano il livello del potenziale di uno
stakeholder alla minaccia o alla cooperazione.
40
MILLER D., FRIESEN P.,(1978) "Archetypes of Strategy Formulation,", 1978, 24, 921-3,
Management Science 41
MINTZBERG H., (1983), Power In and Around Organizations, Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall 42
MACMILLAN C. , JONES P.E., (1986), Strategy Formulation: Power and Politics, St. Paul, MN:
West Publishing Co.
44
Nella tabella43
sono mostrate una lista di caratteristiche che i manager devono tenere in
considerazione nell‟analisi del potenziale:
Figura 2.4 – Caratteri da considerare nell’analisi del potenziale
Nota tabella: E‟ bene sottolineare che l‟influenza di ogni specifico fattore rispetto al
potenziale dipende da:
1. lo specifico contesto e dalla storia della relazione dell‟organizzazione con quello
stakeholder;
2. altri stakeholder chiave che influenzano l‟impresa.
Queste due dimensioni – potenziale per la minaccia e potenziale per la cooperazione-
permettono ai manager di classificare gli stakeholder in quattro tipologie:
43
SAVAGE G.T, NIX T.W., WHITEHEAD C.J.,(1991), Strategies for Assessing and Managing
Organizational Stakeholders, The Executive, Vol. 5, No. 2 (May, 1991), p. 64, Academy of Management
45
Figura 2.5 – Classificazione Stakeholder/Strategia secondo Savage, Nix & Whitehead
Tipo 1: Stakeholder AMICHEVOLI (detti anche supportive) - lo stakeholder ideale
supporta gli obiettivi e le azioni dell‟organizzazione. Tale stakeholder possiede una
bassa possibilità di minaccia, ma un‟alta possibilità di collaborazione. Da essi si può
ottenere un sostegno decisivo per l‟attività d‟impresa e fra questi vi rientrano per
esempio, i consiglieri di amministrazione dell‟impresa, i manager, gli impiegati, i clienti
ma anche fornitori e organizzazioni no-profit;
Strategia per tipo 1: COINVOLGIMENTO
Coinvolgendo i supportive stakeholder in progetti rilevanti, i manager possono
incoraggiare il potenziale collaborativo al massimo. E‟ importante tenere conto di
questa strategia, in quanto gli stakeholder amichevoli spesso non sono considerati
stakeholder da “gestire”. In questo modo il loro potenziale collaborativo può essere
lasciato sfuggire. Sebbene servano sforzi costanti, i manager44
possono coinvolgere
stakeholder come impiegati e manager di livelli inferiori portando avanti tecniche
44
ZAGER R., ROSOW M.P., (1982), The Innovative Organization: Productivity Programs in Action,
New York: Pergamon Press
46
manageriali di tipo partecipativo, decentralizzando l‟autorità verso i manager di livello
intermedio o incrementando la partecipazione di tali stakeholder alle attività decisionali.
Anche il coinvolgimento degli stakeholder esterni può portare a risultati positivi. Per
esempio coinvolgendo i fornitori nel processo produttivo si può arrivare a una riduzione
di costi e tempi.
Tipo 2: Stakeholder MARGINALI (detti anche marginal) - gli stakeholder marginali
non sono né altamente minacciosi, né specialmente collaborativi. Sebbene abbiano
potenzialmente un coinvolgimento nell‟organizzazione e nelle decisioni, non sono,
generalmente, interessati alla maggior parte delle attività aziendali. Per le
organizzazioni medio-grandi questa tipologia di stakeholder può includere associazioni
di consumatori e associazioni professionali dei dipendenti. Comunque, alcune
problematiche come la sicurezza dei prodotti, l‟inquinamento, o scalate ostili, possono
attivare uno o più di questi stakeholder, provocando un incremento del potenziale o di
minaccia o di collaborazione.
Strategia per tipo 2: MONITORAGGIO
Monitorare aiuta a gestire gli stakeholder marginali la cui possibilità sia di minaccia che
di collaborazione è bassa. Riconoscendo che gli interessi di questi staheholder sono
vicini e le attività specifiche, i manager possono minimizzare la spesa di risorse
dell‟organizzazione. Quando i top manager prendono delle decisioni strategiche
dovrebbero monitorare gli interessi dei tipici stakeholder marginali. Solo se i progetti
implicano delle decisioni è probabile che sia saliente per quegli stakeholder che
l‟organizzazione agisca per incrementare il loro supporto o deviare la loro opposizione.
Inoltre gli sforzi possono essere sprecati.
Tipo 3: Stakeholder OSTILI (detti anche non supportive) – gli stakeholder ad alta
possibilità di minaccia e a bassa possibilità di collaborazione sono i più sconvolgenti per
una organizzazione e i suoi manager. Generano difficoltà sostanziali per l‟impresa; i
tipici stakeholder ostili includono concorrenti, sindacati, pubblica amministrazione
(locale e statale) e i media45
.
45
KOTTER J.P., (1979) "Managing External Dependence," 1979, 4(1), 87-92 , Academy of Management
Review
47
Strategia per tipo 3: DIFESA
Gli stakeholder ostili inizialmente sono gestiti al meglio usando una strategia difensiva.
Questa strategia prova a ridurre la dipendenza che forma le basi per l‟interesse degli
stakeholder nell‟organizzazione.
In una strategia difensiva la connessione della gestione degli stakeholder per ampliare la
gestione strategica è molto chiara, coinvolge molte nozioni strategiche e di marketing
tradizionali. Comunque, sebbene questa strategia potrebbe essere essenziale
inizialmente, i manager dovrebbero sempre provare a trovare modi per cambiare la
condizione degli stakeholder chiave.
Tipo 4: Stakeholder NON ORIENTATI (detti anche mixed blessing): Lo stakeholder
non orientato gioca un ruolo importante; il manager si confronta in questo caso con uno
stakeholder le cui potenzialità di minaccia o di cooperazione sono ugualmente elevate.
Generalmente in una organizzazione ben gestita gli stakeholder mixed blessing sono i
dipendenti con qualifiche difficilmente reperibili, i clienti e le aziende che realizzano
prodotti o servizi complementari. È importante tenere sotto controllo questa tipologia di
stakeholder in quanto possono diventare amichevoli oppure ostili.
Strategia per tipo 4: COLLABORAZIONE Gli stakeholder non orientati, che
presentano alto potenziale sia sulla dimensione della minaccia che della cooperazione,
possono essere gestiti attraverso la strategia di collaborazione. Se i manager sfrutteranno
al massimo la cooperazione dei pubblici aziendali, gli stakeholder potenzialmente ostili
troveranno più difficile ostacolare l‟organizzazione. Sono possibili joint venture o altre
forme di collaborazione, fino anche ad includere le fusioni.
Per esempio, durante la seconda metà degli anni ‟80 la General Motors ha rilanciato la
collaborazione con la United Auto Workers, sia nelle negoziazioni contrattuali con il
sindacato, sia per la produzione di auto e motori nuovi; è stata invece più critica
l‟attività di Joint Venture tra GM e alcuni competitors come Toyota46
.
Infatti per gli stakeholder mixed blessing una idonea collaborazione può portare ad una
buona e duratura relazione tra stakeholder e azienda; ma se questo tipo di stakeholder
46
MARCUS A.D., O'BRIAN B., (1992), "Eastern Indicted Over Failures in Maintenance," July 26,
1990, A2, The Wall Street Journal
48
non viene adeguatamente gestito usando una strategia di collaborazione può facilmente
diventare uno stakeholder ostile.
In questo modello di gestione strategica degli stakeholder, il focus è in prima istanza
nell‟analisi della tipologia degli stakeholder e nella formulazione di adeguate strategie.
Ma un‟altra strategia per la gestione degli stakeholder risiede nel trasformare una
relazione meno favorevole con lo stakeholder in una più favorevole; quindi lo
stakeholder potrà essere diretto usando la strategia generica più adatta per la nuova
classificazione.
Piuttosto che semplicemente collaborare con uno stakeholder non orientato, possiamo
cercare di mutare la relazione in positivo, trasformandolo in supportive stakeholder.
La stakeholder view sostiene che la capacità di un‟impresa di generare ricchezza, e
quindi valore nel lungo periodo, è determinata dalle sue relazioni con gli stakeholders:
relazioni favorevoli e reciprocamente vantaggiose con essi consentono all‟impresa di
creare ricchezza, mentre relazioni conflittuali limitano o distruggono ricchezza.
Adottare la stakeholder view dell‟impresa quindi implica ritenere che relazioni
favorevoli e reciprocamente vantaggiose con gli stakeholders, interni ed esterni, siano
importanti assets dell‟impresa: esse sono parte della sua ricchezza attuale e della sua
capacità di generare maggiore ricchezza in futuro.
La tesi di Post et al. è che la ricchezza dell‟organizzazione è aumentata da relazioni
favorevoli (e diminuita da relazioni sfavorevoli) con i suoi stakeholders47
.
L‟impresa deve acquisire “risorse” (capitale, lavoro, conoscenza, accettazione sociale,
ecc.) che sono decisive per il suo successo: tali risorse sono fornite dai diversi
stakeholders, e sono le relazioni con essi che le rendono disponibili all‟organizzazione.
Consumatori, fornitori, dipendenti, investitori, comunità, saranno più o meno
collaborativi e affidabili nei loro rapporti con l‟impresa a seconda del tipo di relazioni
che l‟impresa ha sviluppato con essi. Tale rete di relazioni, interne ed esterne, può avere
infatti un impatto positivo o negativo sulla performance e sul valore complessivo
dell‟impresa a seconda del modo in cui tali relazioni sono di fatto strutturate, gestite e
mediate Perciò, un‟efficace stakeholder management è un requisito essenziale per
sostenere e aumentare la capacità aziendale di creare ricchezza. L‟adozione della
47
POST E., PRESTON L.E., SACHS S.(2002), Redefining the Corporation, Stantford University
49
stakeholder view dell‟impresa pertanto ha per il management strategico la seguente
implicazione: “è l’interazione dinamica con consumatori, dipendenti, fornitori,
investitori e altri stakeholders che stimola la capacità dell’organizzazione di generare
ricchezza nel tempo”48
.
Le fonti della ricchezza organizzativa derivante dalle relazioni con i gruppi di
stakeholders primari dell‟impresa possono essere così sinteticamente indicate:
– buone relazioni con gli investitori tendono a stabilizzare le strutture e i piani finanziari
aziendali: la disponibilità di investitori a detenere le azioni nel lungo periodo, anche
quando maggiori guadagni sarebbero possibili investendo altrove, contribuisce
direttamente, riducendo costi e rischi finanziari, alla ricchezza e alla sicurezza
dell‟organizzazione;
– buone relazioni con i dipendenti aiutano a ridurre il turnover e incoraggiano
l‟impegno cooperativo verso l‟organizzazione: una reputazione per buone relazioni con
i dipendenti è propizia al reclutamento e al mantenimento di forza lavoro di qualità;
– buone relazioni con i clienti tendono a ripagare in termini di fedeltà del consumatore
al marchio e all‟impresa, che si traduce in minori costi di marketing e in una
stabilizzazione di produzione e volume di vendita;
– buone relazioni con i fornitori possono condurre a un ulteriore risparmio di costi, a
una redistribuzione di compiti tra le organizzazioni per una maggiore efficienza e a una
riduzione di rischi e costi associati a potenziale inaffidabilità;
- buone relazioni con le comunità locali e i cittadini, implicando che l‟impresa è
accettata come parte importante dell‟assetto politico e istituzionale e gode del sostegno
(o per lo meno non suscita l‟ostilità) del pubblico, consentono all‟impresa di partecipare
regolarmente alla soluzione dei problemi e, di conseguenza, di avere la possibilità di
presentare il proprio punto di vista quando essi sorgono.
L‟approccio alla gestione degli stakeholders ha un impatto sulla qualità delle relazioni
aziendali con gli stakeholders e quindi è capace di produrre effetti su tre importanti
outcomes, che sono al centro delle preoccupazioni di ogni general manager:
1) prevenire e gestire casi di conflitto con gli stakeholders;
2) coordinare gli sforzi di stakeholder interni ed esterni all‟organizzazione impegnati nel
perseguimento dei fini aziendali;
48
POST E., PRESTON L.E., SACHS S.(2002), Redefining the Corporation, Stantford University
50
3) gestire le risorse in vista del conseguimento di un vantaggio competitivo nel mercato.
Nella prevenzione del conflitto compito della stakeholder management è quello sia di
mettere a disposizione canali di comunicazione, capaci di conseguire alti livelli di
partecipazione e di dialogo, per mediare il conflitto interno alle relazioni con il gruppo
di stakeholder, sia di garantire che la stakeholder management sia giusta e
reciprocamente vantaggiosa.
La capacità dell‟impresa di instaurare relazioni positive con i propri stakeholders può
darle un vantaggio competitivo in almeno quattro aree49
:
1) Riduzione del rischio: relazioni positive con gli stakeholders permettono una
riduzione del rischio per l‟impresa e i suoi azionisti derivante da azioni di boicottaggio
dei prodotti da parte di gruppi, con un impatto negativo diretto sulla reputazione e sulle
vendite;
2) Innovazione: relazioni basate sulla fiducia tra il management e i dipendenti, tra i
dipendenti stessi, tra l‟impresa e i fornitori e i partner commerciali, sono fondamentali
nella economia altamente competitiva di oggi per incentivare l‟innovazione necessaria
alla sopravvivenza e al successo dell‟impresa, vale a dire per trasformare un intangible
asset (la conoscenza) in un tangible asset (nuovi prodotti, processi e servizi);
3) Reputazione: relazioni credibili dell‟impresa con i suoi dipendenti, consumatori,
fornitori e cittadini sono all‟origine della sua buona reputazione e dell‟accresciuto
valore del marchio, fattori questi decisivi per il successo dell‟impresa;
4) Nuovi mercati e opportunità: una fitta rete di relazioni con gli stakeholders fornisce
all‟impresa risorse e informazioni necessarie per lo sviluppo di nuovi mercati e per
cogliere opportunità.
Esplicitamente rivolti ai manager, in quanto responsabili a vari livelli della performance
e dell‟impatto dell‟impresa, sono i Principles of Stakeholder Management50
, riguardanti
il modo (politiche e processi) in cui le imprese dovrebbero gestire gli stakeholders .
I Principles raccomandano ai manager la valutazione e la responsabilità di
49
SVEDESEN A.C. et al.(2001), Measuring the Business Value of Stakeholder Relationships, Canadian
Institute of Chartered Accountants, Toronto. 50
CLARKSON M.B.E. (1999), Principles of Stakeholder Management, University of Toronto, Business
Ethics Quarterly, n.12
51
comportamenti e impatti, la trasparenza delle azioni e decisioni aziendali nei confronti
degli stakeholders rilevanti, la necessità di evitare i rischi e il riferimento al criterio
dell‟equità nella distribuzione di benefici e oneri tra gli stakeholders.
Tabella 2.1 – I Principi di Clarkson
PRINCIPI DI CLARKSON
1. I manager dovrebbero riconoscere e attivamente monitorare le preoccupazioni di tutti gli stakeholders
legittimi, e dovrebbero prendere in considerazione appropriatamente i loro interessi nel processo
decisionale e nelle attività.
2. I manager dovrebbero ascoltare e comunicare apertamente con gli stakeholders circa le loro rispettive
preoccupazioni e i loro rispettivi apporti, e circa i rischi che essi assumono a causa del loro
coinvolgimento nella corporation.
3. I manager dovrebbero adottare processi e modi di comportamento che siano sensibili alle
preoccupazioni e alle capacità di ogni gruppo di stakeholders.
4. I manager dovrebbero riconoscere l’interdipendenza di sforzi e premi tra gli stakeholders, e
dovrebbero tentare di raggiungere un’equa (fair) distribuzione dei benefici e degli oneri dell’attività
aziendale tra essi, considerando i loro rispettivi rischi e le loro rispettive vulnerabilità.
5. I manager dovrebbero collaborare con altre entità, sia pubbliche che private, per garantire che i rischi
e i danni derivanti dalle attività aziendali siano minimizzati e, dove non possano essere evitati,
adeguatamente indennizzati.
6. I manager dovrebbero assolutamente evitare le attività che potrebbero mettere in pericolo i diritti
umani inalienabili (per es. il diritto alla vita) o originare rischi che, se chiaramente compresi, sarebbero
manifestamente inaccettabili per gli stakeholders rilevanti.
7. I manager dovrebbero riconoscere i conflitti potenziali tra a) il loro ruolo come stakeholders aziendali,
e b) le loro responsabilità giuridiche e morali verso gli interessi degli stakeholders, e dovrebbero
affrontare tali conflitti attraverso la comunicazione aperta, appropriati sistemi di reporting e di
incentivo, e se necessario, l’esame da parte di terzi.
Essi si basano sull‟assunto che lo scopo della corporation è creare ricchezza attraverso
la produzione e la vendita di prodotti e servizi; in questo processo di creazione, alcuni
stakeholders subiranno dei costi, daranno apporti o rischieranno qualcosa. Per questa
ragione, tutti gli stakeholders, non solo gli shareholders, meritano di essere trattati con
rispetto e di vedere i propri interessi rappresentati equamente nel processo di creazione
della ricchezza dell‟impresa51
.
In questo quadro, emerge con chiarezza come nella struttura aziendale i manager
occupino una posizione speciale: essi hanno la responsabilità di negoziare i contratti con
gli stakeholders volontari dell‟impresa (investitori, dipendenti) e di tutelare gli
stakeholders involontari dell‟impresa (comunità), al fine di trasformare questi disparati
51
POST E., PRESTON L.E., SACHS S.(2002), Redefining the Corporation, Stantford University
52
gruppi in un network cooperativo che produce ricchezza. Essi cercano di realizzare
questo compito distribuendo tra gli stakeholders i benefici derivanti dall‟attività
aziendale secondo modalità che consentano di assicurare la loro collaborazione continua
all‟impresa e che i loro oneri e rischi non siano maggiori di quanto essi siano disposti a
sopportare. A questo fine i manager sviluppano politiche e processi in grado di
aumentare la soddisfazione dello stakeholder, vale a dire politiche e processi capaci di
sottolineare l‟interdipendenza tra tutti gli stakeholders e di riflettere l‟applicazione di un
comune criterio di giustizia.
Una convinta accettazione dell‟orientamento alla stakeholder management deve
penetrare totalmente un‟organizzazione, essendo il modo in cui le relazioni con gli
stakeholders sono gestite un importante aspetto della cultura dell‟impresa (che include
valori e politiche aziendali), oltre che una caratteristica della sua struttura e della sua
strategia: si può dire a questo riguardo che un‟impresa è ridefinita in termini di
stakeholders quando riconosce gli stakeholders dell‟impresa con i loro interessi, si
impegna verso politiche responsabili nei loro confronti e istituzionalizza processi e
prassi appropriate. È chiaro che perché una cultura metta in grado l‟impresa di creare
valore per tutti gli stakeholders, e aumentare questo valore aggregato nel tempo, occorre
che essa sia allineata – attraverso processi che interessano varie funzioni aziendali – con
la strategia e la struttura dell‟impresa. Strategia, struttura e cultura devono sostenersi
reciprocamente, consentendo all‟impresa di affrontare i propri compiti con un
appropriato “disegno” dell‟autorità, con responsabilità definite e con un‟interpretazione
condivisa di norme di comportamento.
53
Capitolo 3
GLI STAKEHOLDER INTERNI ED ESTERNI
3.1 - Stakeholders Interni I portatori di interesse interni costituiscono il vero e proprio motore della competitività
aziendale e del valore generato dai prodotti e servizi sul mercato. L‟impresa, per operare
al meglio ed efficacemente nell‟ambiente esterno ad essa, ossia il mercato, necessita del
perfetto coordinamento dei vari soggetti interni che la compongono, i cosiddetti
stakeholder interni (i dipendenti, i collaboratori, i manager che governano). Questi si
trovano quotidianamente ad interagire e la cooperazione risulta fondamentale affinché il
valore delle relazioni possa essere massimo e produrre l‟obiettivo aziendale desiderato.
Spesso le tensioni che si creano tra i vari gruppi di stakeholder interni (specialmente
quelle tra dipendenti e vertici aziendali, che gestiscono l‟impresa per conto della
proprietà) portano ad un‟inefficienza della macchina impresa, che risulta mal
funzionante poiché i diversi “organi interni” non operano in sinergia ma, anzi, creano
vicendevoli contrasti. Appare quindi chiaro e fondamentale raggiungere l‟obiettivo dello
scambio cooperativo dei vari soggetti che operano all‟interno dell‟impresa.
3.1.1 - Azionisti E Proprietari
Gli azionisti sono coloro che apportano il capitale di rischio in azienda, pertanto si
attendono una remunerazione di tale capitale, nonché la possibilità di influenzare, o
perlomeno incidere, sulla gestione aziendale.
Il ruolo dei proprietari assume connotati differenti a seconda che l‟impresa sia a
carattere padronale (uno/pochi proprietari) oppure public company. In questo secondo
caso l‟interesse degli azionisti alla gestione è molto limitato in quanto essa è affidata ai
manager. Il gruppo di management, infatti, tenderà in questo caso ad improntare la
gestione ottenendo soddisfazioni in termini di status e di potere oltre che economici.
Tra tutti gli stakeholder, quindi, l'azionista instaura con l'impresa rapporti di natura più
squisitamente strumentale, che meglio si prestano ad essere descritti con i dati della
54
normale contabilità aziendale. L'azionista è interessato nel breve periodo all'aumento
dell'utile distribuito e nel lungo periodo alla valorizzazione del patrimonio aziendale.
Questi due obbiettivi non possono essere contemporaneamente massimizzati, poiché la
distribuzione dei dividendi annuali elevati può inibire la redditività dell'impresa nel
lungo periodo, così come la rinuncia attuale alla distribuzione degli utili permette
accantonamenti in grado di valorizzare il patrimonio aziendale. La distribuzione degli
utili e la progressiva valorizzazione patrimoniale rappresentano i due indicatori
principali di ciò che l'azionista vuole ottenere dall'impresa, la quale a sua volta riceve
dagli azionisti il capitale necessario al proprio funzionamento e al proprio sviluppo.
L'interesse dell'azionista per l'impresa non si limita tuttavia a queste pur importanti
relazioni. Talvolta l'azionista è uno stakeholder talmente importante da risultare
determinante nella definizione della stessa comunità di riferimento dell'impresa.
Quando l'azienda è a controllo familiare, essa è un prolungamento della personalità del
suo fondatore o degli eredi, la ragione sociale si identifica con il nome della famiglia e
ne rappresenta un estensione.
Quando l'azionista è un anonimo detentore di un pacchetto azionario, come tanti altri,
acquisito temporaneamente per scopo speculativo sul mercato, l'interesse per l'azienda è
puramente razionale e strumentale.
Si possono individuare varie tipologie di azionisti caratterizzate dal diverso grado di
partecipazione al governo, dalla diversa composizione del rapporto rischi/benefici
assunto, e dalle diverse posizioni di monitoraggio sul processo decisionale.
Una prima distinzione si basa sull‟interesse perseguito. La partecipazione in società può
essere determinata da interessi puramente finanziari oppure dall‟obiettivo di
raggiungere posizioni di influenza, o almeno di monitoraggio, assicurate dai diritti
connessi al titolo azionario.
Gli azionisti finanziari di minoranza si suddividono in speculatori e non speculatori. La
prima categoria mira alla tutela e alla valorizzazione del proprio investimento.
L‟obiettivo è trarre un beneficio economico dall‟investimento attraverso un flusso di
dividendi e/o una crescita del valore adeguati rispetto al rischio sopportato.
Gli azionisti finanziari di maggioranza dispongono, normalmente, della più forte
posizione di influenza sull‟impresa. Questa categoria comprende i detentori di posizioni
di maggioranza che esprimono esclusivamente, o prevalentemente, interessi finanziari.
55
Ma spesso l‟obiettivo tipico è l‟aumento del valore della partecipazione con lo scopo di
trasferirla a terzi non appena si manifestino le condizioni adeguate.
Gli azionisti di minoranza portatori di altri interessi: la posizione di azionista,
garantisce possibilità di monitoraggio e può consentire spazi di influenza sull‟impresa;
l'assunzione di posizioni di azionista non avviene soltanto con finalità finanziare, ma
anche per servire altri interessi come, ad esempio, per garantire accordi interaziendali
che prevedono partecipazioni incrociate. Posizioni di minoranza sono assunte talvolta
da soggetti che tipicamente interagiscono con l'impresa in altra veste, come ad esempio
dipendenti, fornitori o concorrenti. Le capacità di influenza o monitoraggio, garantite
dal ruolo di azionista di minoranza, possono rafforzarsi in sinergia con quelle già
detenute come stakeholder di altro tipo.
Gli azionisti di maggioranza portatori di altri interessi: soggetti che intervengono con
ruolo di azionista di maggioranza sono lo Stato e numerosi enti territoriali e non. Questi
sono istituzionalmente portatori di interessi collettivi, all‟interno del sistema impresa.
La loro presenza è giustificata quando l‟attività d‟impresa abbia importanti effetti sul
sistema sociale e non siano perseguibili vie alternative, come accordi particolari con il
settore privato. Nella realtà gli interessi sono vari e non sempre tesi effettivamente alla
realizzazione del massimo valore degli stakeholder.
Gli azionisti industriali di minoranza: possono assumere posizioni azionarie anche
soggetti imprenditoriali non direttamente impegnati nell‟impresa. Tali partecipazioni in
altre società sono normalmente inserite nel quadro di accordi contrattuali tra azionisti
(ad esempio accordi per lo svolgimento in comune di dati processi produttivi). Se i
soggetti in esame hanno una buona conoscenza del settore in cui opera la società, la loro
capacità di influenza potrà anche essere ampia.
Gli azionisti industriali di maggioranza: qui si rientra nelle logiche di gruppo che
conducono all‟acquisizione di società complementari. La società controllante è in tal
caso portatrice di sistemi di interessi e di obiettivi propri, in cui la controllata ha un
ruolo strumentale; spesso ha luogo un processo di colonizzazione, in cui la controllante
impone un proprio sistema di interessi, la propria cultura di impresa, il proprio sistema
di obiettivi, senza ricercare un‟integrazione e un‟attenta considerazione dei tratti
distintivi dell‟azienda acquisita. Ciò può determinare conflitti non sanabili e ridurre la
potenzialità di creazione del valore del gruppo. Il fatto che la controllata sia
56
completamente coinvolta nella strategia della controllante comporta che le posizioni di
influenza o monitoraggio siano molto ampie.
3.1.2 - Risorse Umane
Le risorse umane hanno nella vita e nel business aziendale uno dei maggiori e più
complessi interessi tra tutti gli stakeholder. Ancorché questi interessi siano in parte
coperti dalla contrattualistica, come risultato della relazione dell'azienda con questo
particolare stakeholder, restano molti aspetti etico-sociali che possono essere coperti
solamente da un efficiente sistema di responsabilità sociale e da un attento monitoraggio
dei relativi parametri. Infatti, quasi tutto lo spettro dei diritti umani è toccato in un
moderno rapporto di lavoro, e con esso una amplissima gamma di interessi di
fondamentale importanza, ad esempio: privacy, condizioni di lavoro, partecipazione,
associazione, valorizzazione, formazione. Il dialogo con lo stakeholder risorse umane è
inoltre caratterizzato, forse più di altri, da una continua evoluzione e dinamica interna.
Particolare attenzione deve essere dedicata all'analisi del rapporto che intercorre tra le
imprese e coloro che vi lavorano direttamente. Questi non hanno soltanto un interesse
economico a entrare in contatto con l'impresa poiché, facendo stabilmente parte di
un'organizzazione , ne condividono gli aspetti della vita quotidiana e sono coinvolti
nelle relazioni interpersonali che toccano interessi profondi, aspettative, strategie ed
espressioni della personalità. Si può affermare che il legame duraturo di un rapporto di
lavoro stabile contribuisce e definire l'identità sociale del lavoratore, non solo il suo
livello di benessere materiale. E' evidente che per l'impresa i lavoratori rappresentano la
risorsa fondamentale, e a loro volta questi hanno un interesse oggettivo allo sviluppo
dell'impresa stessa, che può fornire opportunità di crescita economica, di sviluppo
professionale e di carriera, oltre a rappresentare una garanzia di sicurezza per il loro
futuro. Il personale è uno stakeholder particolarmente importante anche perchè, se in
senso lato come l'insieme delle persone che a vario titolo prestano le proprie risorse
umane per il perseguimento degli scopi dell'organizzazione, esso può comprendere
anche i volontari che operano in un'associazione. Dall'organizzazione del personale
deriva la gratificazione morale, la considerazione sociale e la soddisfazione di fare
qualche cosa di utile.
57
Dipendenti
I dipendenti sono uno dei principali stakeholder di riferimento per ogni impresa. Sono,
infatti, portatori di molti interessi nei confronti dell'impresa. Per essi l'azienda
costituisce, da un lato, la principale fonte di reddito e, dall'altro il luogo in cui si svolge
un'importante parte dell'esistenza individuale. E' quindi evidente che mettere a fuoco il
sistema di interessi dei lavoratori, analizzandone la complessità e esplicitandone gli
aspetti motivazionali, è necessario se si vogliono studiare obiettivi e comportamenti di
impresa capaci di aumentare la soddisfazione del personale. Dipendenti e collaboratori
costituiscono il capitale umano, ovvero quell‟insieme di abilità, conoscenze,
competenze e professionalità che distingue e caratterizza le persone che nelle
organizzazioni lavorano.
La partecipazione dei dipendenti al processo decisionale e di controllo del sistema
impresa è cresciuta nel tempo in virtù della ricerca del coinvolgimento diretto e attivo
dei dipendenti. I lavoratori vengono, normalmente, rappresentati da organi istituzionali:
organizzazioni sindacali o semplici organi di rappresentanza interna. L'organizzazione
dei lavoratori nei sindacati ha condotto a forti posizioni di influenza e di monitoraggio
del processo decisionale d'impresa.
Manager
Il management dispone di una forte influenza sul processo decisionale: suggerisce le
impostazioni strategiche e operative; è coinvolto nello studio di modificazioni degli
indirizzi di fondo, nelle valutazioni di convenienza ad attuare accordi anche azionari o
entrare in determinati mercati.
Le strategie proposte e attuate dal management possono essere tese alla
massimizzazione del valore economico d'impresa o l'espansione del proprio potere.
58
3.2 - Gli Stakeholder Esterni Oltre ai soggetti direttamente attivi nella vita dell‟impresa, vi sono numerose categorie
di soggetti – peraltro crescenti in quantità e peso – che hanno un coinvolgimento
indiretto. L‟incremento del numero degli stakeholder è dovuto al progressivo
riconoscimento di interessi la cui esistenza era prima negata, e quindi non rappresentata,
nonché alla nascita di nuovi interessi. Inoltre, il ruolo di alcuni tradizionali stakeholder è
andato potenziandosi ed oggi essi occupano posizioni di rilievo nel processo decisionale
e di controllo del sistema impresa. Il ruolo dei soggetti esterni in ogni caso dipende in
larga misura:
dalla tipologia d‟impresa;
dall‟ambiente politico, istituzionale ed economico in cui essa opera;
dal settore economico in cui essa agisce.
Si deve anche osservare come il ruolo degli stakeholder nel processo decisionale tende a
subire modifiche al verificarsi di situazioni contingenti, come ad esempio nel caso di
crisi economico-finanziarie52
.
3.2.1 - Fornitori Di Beni E Servizi
I soggetti che interagiscono nello svolgimento del processo produttivo presentano propri
sistemi di interessi e specifiche modalità di comportamento. Nel caso di un mero
rapporto di mercato, risulteranno rilevanti solo le condizioni di scambio; se il rapporto
si allarga verso una collaborazione, assume maggior rilievo la compatibilità dei
comportamenti, degli obiettivi, degli interessi dei soggetti interagenti.
L‟impostazione dei rapporti di fornitura ha subito notevoli modificazioni nel corso del
tempo, in molti contesti nella direzione di una maggiore integrazione. Ciò, per prima
cosa, comporta l‟esigenza di una maggiore comunicazione tra le imprese coinvolte. Nei
rapporti di collaborazione vi è inoltre un processo di ricerca attiva di compatibilità:
spesso si osserva come alcune società siano largamente condizionate da quello che
dovrebbe essere soltanto un fornitore, ad esempio perchè quest‟ultimo gode in via
esclusiva dal rapporto di fornitura per materie prime o componenti essenziali.
52
EDWARD FREEMAN R., RUSCONI G. e DORIGATTI M., (2007), Teoria degli Stakeholder,
Francoangeli, Milano.
59
Normalmente il potere contrattuale del fornitore si concretizza negli aspetti economici (i
prezzi); tuttavia, talvolta tende ad allargarsi, allo scopo di condizionare le scelte
strategiche di fondo del cliente (nuovi prodotti, ricerca di materiali sostitutivi, ecc.).
Interesse dei fornitori è di ottenere dall‟impresa un flusso di commesse stabilmente
crescente nel tempo, ma anche di essere stimolati al miglioramento qualitativo dei
prodotti e dei servizi necessari all‟impresa committente. La crescente diffusione di
programmi di qualità totale comporta una stretta integrazione tra fornitore e
committente, la condivisione di obiettivi qualitativi secondo gli standard adottati,
accordi sulle procedure di controllo di qualità dei materiali e talvolta la cosiddetta
comakership, cioè la coprogettazione di parti del prodotto finito.
L‟analisi del rapporto tra impresa e fornitori deve tenere conto delle politiche di
selezione dei fornitori stessi, sulla base dei criteri di efficienza produttiva dei
semilavorati e delle materie prime, ma anche di principi etici di base, soprattutto in
considerazione del crescente livello di globalizzazione dell‟economia. L‟impresa
socialmente corretta deve, infatti, evitare di incoraggiare i fornitori che per raggiungere
più alti livelli di efficienza violano le norme di sicurezza dei loro impianti, sfruttano la
manodopera minorile, non rispettano i diritti dei lavoratori. Sulla base dello stesso
principio dovranno essere valutate positivamente le strategie aziendali volte a
promuovere lo sviluppo tecnologico e l‟adozione di modelli di relazioni industriali
avanzate nella realtà socioeconomica in cui operano i fornitori.
Il rispetto di queste norme di condotta da parte dell‟impresa implica in sostanza una
responsabilità sociale ed etica che risale all‟origine del processo produttivo e che
coinvolge le figure sociali impegnate nell‟attività tipica dei fornitori. Un esempio
dell‟importanza di questo approccio è dato dal caso della Benetton, accusata da alcuni
organi di stampa di alimentare indirettamente condizioni di lavoro eticamente
condannabili, ricorrendo attraverso i fornitori al lavoro dei fanciulli nei Paesi a basso
reddito pro capite. La vicenda ha portato ad una vertenza con i sindacati e alla firma di
un protocollo d‟intesa con le rappresentanze sindacali italiane e turche in cui l‟azienda
si assume la responsabilità dell‟intero ciclo manifatturiero, impegnandosi a garantire
che nessun bambino sotto i 15 anni venga impiegato in alcun lavoro e che vengano
rispettate le pari opportunità.
60
Altre aziende, invece, coinvolgono importanti fornitori di prodotto e di processo nei
processi di progettazione, nelle sessioni di formazione di qualità e nella
programmazione della produzione on-line. Per esempio, Digital Equipment Corporation
(DEC) e Hewlett-Packard includono i fornitori nelle loro squadre di pianificazione del
prodotto. DEC chiede inoltre ai manager di valutare i fornitori come se facessero parte
dell‟organizzazione interna. Bailey Controls, un produttore di sistemi di controllo, ha
fornito ad Arrow Electronics, uno dei principali fornitori, un magazzino all‟interno della
Bailey53
.
3.2.2 - Clienti
Sul mercato i prezzi rappresentano un indicatore sufficiente dell‟efficienza e
dell‟efficacia dell‟impresa nel rispondere alle esigenze della domanda. Se non
esistessero imperfezioni nel mercato basterebbe quindi questo indicatore ad assicurare la
migliore allocazione delle risorse e il livello ottimale di soddisfazione del cliente. In
realtà diverse importanti ragioni rendono molto più complessa l‟analisi del rapporto tra
impresa e consumatore.
È fatto da tempo noto che la corretta interpretazione e soddisfazione del sistema di
interessi della clientela verso la quale l‟impresa si indirizza è fondamentale per il
successo, anche se la capacità di individuare tutte le esigenze non è compito agevole. Il
risultato fondamentale ottenuto dagli studi di marketing risiede proprio nella
comprensione della complessità del sistema di bisogni dei clienti. In ogni caso, il
sistema di interessi d‟impresa deve comprendere le esigenze degli utilizzatori dei beni e
dei servizi prodotti, essendo la soddisfazione di queste che ne legittima in ultima analisi
l‟esistenza. Si dovrebbe tendere a costruire con il cliente un rapporto di fedeltà che
oltrepassa il singolo atto commerciale, per trasformarsi in interazione dinamica in cui il
cliente esprime il suo bisogno e l‟azienda si organizza per soddisfarlo nel modo più
completo possibile. Inoltre, l‟impresa deve essere sempre protesa verso il cliente allo
scopo di percepire appieno il bisogno in questione e le sue continue modificazioni,
anticipando gli eventuali cambiamenti che possono caratterizzarlo.
53
HARRISON JEFFEY S. e ST. JOHN CARTON H., (1993), Managing and Partnering with External
Stakeholders, The Academy of Management Executive, Vol.10, n.2, , pp. 46-60.
61
Laddove l‟impresa non comprende le specificità dei bisogni del consumatore può
accadere che siano i consumatori stessi ad esercitare azioni di pressione. Il ruolo nel
processo decisionale può essere forte, soprattutto nelle forme di richieste collettive o di
influenza sul sistema legislativo. Esempi vengono soprattutto dal mondo anglosassone,
dove le associazioni di consumatori svolgono un ruolo sempre più attivo in materia di
tutela pubblica. Il ruolo dei consumatori nel processo decisionale è condizionato:
dal livello di competizione presente nella ricerca di soddisfacimento del
bisogno;
dalla sensibilità collettiva alla tutela di tali interessi e dalla disponibilità
dell‟intervento da parte dello Stato;
dalla capacità di aggregazione dei consumatori nell‟attuare azioni di pressione.
Le principali tattiche proattive per la gestione dei clienti importanti includono: sessioni
di programmazione comune per identificare le forze motrici del cambiamento
industriale, sforzi comuni di sviluppo del prodotto e del mercato, miglioramento dei
rapporti di comunicazione, condivisione di strutture e programmi comuni di formazione
e servizio.
Gli sforzi per rafforzare i legami con i clienti spesso offrono vantaggi significativi. Per
esempio Caterpillar, il produttore di attrezzature pesanti, ha creato un sistema comune di
informazione condivisa che collega i suoi trenta impianti di produzione con clienti e
fornitori. Attraverso la comunicazioni condivisa, Caterpillar è stata in grado di meglio
soddisfare le esigenze dei clienti e anche passare le informazioni essenziali e gli ordini
ai fornitori. Infine, IBM si è alleata con Sears, un improbabile cliente dei suoi hardware
e software, per formare la rete di assistenza Prodigy. Sears ha apportato le sue ricerche
di mercato e il desiderio di sviluppare capacità di distribuzione elettronica. IBM ha
contribuito con la sua notevole esperienza con i computer54
.
3.2.3 - Imprese Concorrenti
Nel sistema economico un elemento fondamentale è dato dal contrasto di interessi insito
nella concorrenza tra imprese; che è però fondamentale per perseguire l‟efficienza a
54
HARRISON JEFFEY S. e ST. JOHN CARTON H., (1993), Managing and Partnering with External
Stakeholders, The Academy of Management Executive, Vol.10, n.2, , pp. 46-60.
62
beneficio del consumatore. Tale affermazione di principio non esclude che imprese
concorrenti possono avere talvolta interessi comuni, quali la ricerca di infrastrutture
adeguate o la conclusione di accordi con i sindacati del settore. Inoltre, imprese
concorrenti in un ambito competitivo possono essere alleate in altri contesti. La
trasformazione di ruolo dei soggetti e l‟esercizio di più ruoli contemporaneamente
rappresenta un elemento critico di indubbio interesse e di grande attualità nella gestione
delle imprese industriali. I concorrenti, pur non entrando direttamente nel processo
decisionale di un‟impresa, sono i soggetti che, con le proprie azioni (anche potenziali),
ne condizionano maggiormente il comportamento. La teoria dei giochi ha dedicato
molto spazio alla comprensione dei comportamenti strategici e agli effetti conseguenti
all‟incapacità di prevedere a priori la reazione del concorrente.
I concorrenti sono stakeholder difficili da gestire per l‟azienda perché è nell‟interesse di
un concorrente causare intralcio ad un altro concorrente. Per combattere il collasso del
ciclo di vita dei prodotti e dei processi, e per ottenere vantaggi sulle nuove tecnologie
emergenti, i concorrenti stanno unendo le forze in numero sempre crescente.
Organizzazioni rivali si riuniscono per formare alleanze per l'avanzamento tecnologico
e lo sviluppo di nuovi prodotti, per entrare in nuovi mercati.
Pochissime rivalità internazionali sono intense come la rivalità tra Kodak e Fuji. Di
conseguenza, alcuni analisti sono stati sorpresi quando Kodak e Fuji hanno iniziato una
comune ricerca e un progetto di sviluppo con tre produttori di fotocamere giapponesi
per stabilire un nuovo standard per le pellicole fotografiche. Anche Apple e IBM hanno
lavorato congiuntamente sullo sviluppo di nuovi tipi di chip per computer e software.
3.2.4 - Soggetti Erogatori Di Capitale Di Credito
Gli obiettivi tipici dei soggetti in esame sono costituiti dai benefici economici derivanti
dall‟erogazione di un prestito; talvolta, quando l‟impresa versa in situazioni di
difficoltà, diventa invece prioritario il recupero di almeno parte del capitale erogato. Gli
obiettivi degli investitori finanziari sono solo parzialmente compatibili con quelli
d‟impresa. In situazioni normali (non patologiche), non vi è un intervento diretto nel
processo decisionale; notevole è invece il potere di monitoraggio dell‟attività. In ogni
63
caso, l‟influenza sul sistema impresa di un finanziatore è dipendente dal livello assoluto
di finanziamento e dal grado di indebitamento.
3.2.5 - Istituzioni
Anche le esigenze di tutela degli interessi generali dalla collettività, siano essi
rappresentati da enti locali o dallo Stato, si sono accresciute nel corso degli anni. Il
rispetto di tali esigenze sta assumendo dunque un ruolo sempre più importante;
l‟impresa deve comprendere le caratteristiche, spesso addirittura prima di avviare nuove
attività, come ad esempio nel caso di apertura di impianti produttivi altamente a rischio.
La capacità di instaurare un rapporto corretto con l‟intera struttura pubblica, deve essere
parte del sistema degli obiettivi dell‟impresa.
Le modalità di intervento delle istituzioni locali o sovralocali nel processo decisionale
possono essere varie.
Lo Stato rappresenta un importante stakeholder dell‟impresa in grado di fornire
infrastrutture e condizioni sociali di base indispensabili allo svolgimento dell‟attività
economica e nello stesso tempo in grado di imporre il prelievo fiscale sul valore
aggiunto e sui redditi d‟impresa e di indurre per legge criteri obbligatori di
ridistribuzione delle risorse economiche mobilitate dall‟attività produttiva a favore di
alcuni stakeholder e a svantaggio di altri.
Lo Stato, normalmente, adotta logiche di condizionamento diverse a seconda
dell‟interesse che intende tutelare. Solitamente, l‟intervento legislativo è sufficiente per
salvaguardare specifiche posizioni; in altre circostanze, gli enti pubblici si
contrappongono apertamente al fine di garantire comportamenti rispettosi degli obiettivi
della collettività o si impegna in processi di composizione di interessi. In altre situazioni
ancora, lo Stato procede all‟esercizio diretto dell‟impresa, se l‟attività in questione è
considerata strategica per il paese. Le più recenti politiche prevedono: la riduzione degli
interventi diretti, la ricerca di efficienza dei mercati, la riduzione delle posizioni
monopolistiche (testimoniata dalle numerose leggi antitrust approvate in vari paesi). In
ogni caso, il potere di influenza dello Stato sul comportamento del sistema impresa è
altissimo; si ricordi, ad esempio, il condizionamento attraverso le leve di politica fiscale
e monetaria.
64
3.2.6 - Associazioni Di Tutela Di Interessi Specifici
L‟elenco degli interessi convergenti sull‟impresa è pressoché infinito; essi discendono
dalle implicazioni economiche e sociali legate allo svolgimento di qualsivoglia attività
produttiva. Rilevanti in questo senso sono: il tipo di attività svolta e le caratteristiche del
sistema impresa; il contesto di riferimento; la specifica congiuntura. L‟attenzione
dell‟impresa verso il complesso degli interessi, e verso quelli deboli in particolare, non
solo è socialmente raccomandabile, ma può risultare utile per il perseguimento degli
obiettivi aziendali, sopratutto nel medio-lungo termine. A volte, la scarsa attenzione
verso particolari problematiche non ha una giustificazione economia ma deriva solo
dall‟incapacità di cogliere gli interessi emergenti e la loro rilevanza.
Nel breve termine, di norma, il soddisfacimento degli interessi in questione comporta
effetti negativi sulla economicità d‟impresa. D‟altro canto, per molto tempo, l‟impresa
ha generato, attraverso la sua attività, ampie diseconomie sul sistema ambientale, il cui
costo è stato affrontato dalla collettività. È importante attivare un processo di
responsabilizzazione delle imprese, volto alla considerazione dell‟insieme di effetti e di
problematiche che la sua attività economica genera. Sottovalutare interessi deboli può
dar luogo, in alcuni momenti della vita d‟impresa, a gravi crisi generate dalla reazione
dei soggetti coinvolti.
3.2.7 - Comunità Locale
Sempre più di frequente in senso generale non specialistico il termine “comunità” viene
utilizzato in modo evocativo, con connotati positivi e con finalità diverse nei mezzi di
comunicazione di massa. Nelle scienze sociali contemporanee (soprattutto sociologia e
antropologia) esso è sinonimo di comunità locale, ma la sociologia classica ha
tradizionalmente identificato il termine con un particolare tipo di relazioni sociali basate
sul sentimento di appartenenza, che fondano una collettività solidale cui gli individui
partecipano nella loro totalità: tipicamente la parentela, il vicinato, l‟amicizia. In questo
senso il concetto è stato fin dall‟inizio contrapposto a quello di comunità moderna,
basata sugli interessi individuali e sulle leggi anonime del mercato (Tönnies, 1887).
65
Secondo Parson l‟agire comunitario è caratterizzato da affettività, orientamento verso la
collettività, centralità dei caratteri ascritti, particolarismo e aspettative di ruolo diffuse.
L‟agire comunitario viene contrapposto all‟agire moderno, caratterizzato all‟opposto da
neutralità affettiva, individualismo, universalismo, spirito acquisito e aspettative di
ruolo specifiche e circoscritte.
Il concetto di comunità ci permette di concentrare l‟attenzione su tre importanti
meccanismi sociali e sul modo in cui funzionano in una collettività di uomini che
condividono interessi nei confronti di un‟organizzazione. Inversamente ci permette di
individuare il contributo che l‟organizzazione offre al rafforzamento o
all‟indebolimento dei tre meccanismi, tenendo presente che un‟azione di indebolimento
non deve necessariamente essere interpretata negativamente, così come un contributo al
rafforzamento deve essere valutato sempre positivamente. In un contesto locale chiuso e
isolato la presenza di un impresa cosmopolita può infatti provincializzare la cultura
circostante, favorire il mutamento sociale, ridurre gli stereotipi e i pregiudizi
tradizionali. In un contesto locale disgregato e anonimo la presenza di un‟impresa può
rappresentare un‟occasione di integrazione sociale, attraverso i contratti quotidiani e
stabili dell‟organizzazione, e la cooperazione imposta dal processo produttivo può
costituire un reticolo di relazioni attivabile anche all‟esterno dei rapporti di vicinato.
Operativamente l‟individuazione dei confini della comunità di riferimento dell‟impresa
non è spesso un compito semplice; anzitutto perchè il contesto locale in cui essa opera
può non rispondere ai requisiti sociali che permettono di definirlo come comunità; in
secondo luogo perchè la complessità dell‟impresa e la tendenza alla globalizzazione
fanno si che gli stakeholder non siano necessariamente residenti sugli stessi territori e
non siano concentrate in aree specifiche. Bisogna inoltre tenere conto che l‟impresa
esercita sempre un‟influenza economica e sociale sfumata nelle aree territoriali
circostanti. Questa influenza è massima nelle vicinanze, a causa della maggiore
presenza delle abitazioni dei dipendenti e dei più stretti rapporti tra unità locale e
amministrazione locale, e si riduce a mano a mano che ci si allontana55
.
Le organizzazioni devono assumere un ruolo proattivo nelle loro comunità locali per
una serie di motivi: buoni rapporti con le comunità locali ed i governi possono portare
55
CHIESI A. M., MARTINELLI A. e PELLEGATTA M., (2000), Il bilancio sociale – Stakeholder e
responsabilità sociale d’impresa, Il Sole 24 ORE, Milano.
66
ad una favorevole regolamentazione locale o ad agevolazioni fiscali. Nel caso del
Kiamichi Railroad Company of Oklahoma e Texas, buoni rapporti con la comunità
hanno contribuito a risollevare le sorti di un business in fallimento.
Altre organizzazioni mentre soddisfano un bisogno nella comunità locale, trovano anche
opportunità per raggiungere gli obiettivi finanziari,. Creative Apparel of Waldo County,
Maine, ha aiutato l'economia depressa locale mediante l'istituzione di una partnership
con una tribù locale di Nativi Americani. È stato messo in atto un programma di
formazione ed è stata ottenuta una sovvenzione dal Department of Commerce per
assistere alla costruzione di un nuovo edificio di fabbricazione56
.
3.2.8 - Ambiente
Un‟altro importante stakeholder che l‟azienda deve tenere in considerazione è la
sicurezza e la tutela dell‟ambiente.
Questa dimensione non è ugualmente importante per tutte le imprese, poiché nel settore
dei servizi e del commercio l‟impatto ambientale è in ogni caso minore che
nell‟industria, dove esistono grandi diversità a seconda del tipo di prodotto e del tipo di
tecnologia adottata.
La crescente sensibilità per i problemi dell‟ambiente, i crescenti controlli e vincoli
imposti dalla legge e l‟attenzione per le possibili conseguenze negative che su di esso
possono esercitare le attività industriali hanno spinto molte imprese a investire molte
risorse nel controllo dell‟impatto ambientale con riferimento hai tre elementi
fondamentali: l‟aria, il terreno e l‟acqua.
56
HARRISON JEFFEY S. e ST. JOHN CARTON H., (1993), Managing and Partnering with External
Stakeholders, The Academy of Management Executive, Vol.10, n.2, , pp. 46-60.
67
Capitolo 4
IL BILANCIO SOCIALE NELLE RELAZIONI CON GLI
STAKEHOLDER
4.1 – Introduzione
Il bilancio sociale è un rendiconto aziendale a tutt‟oggi volontario, redatto a cura delle
imprese a testimonianza del loro impegno nei confronti del territorio, che si è andato
affermando negli Stati Uniti sul finire degli anni ‟70. In Europa si è diffuso molto
lentamente, tanto che soltanto in alcuni Paesi ha trovato impiego nella prassi. Parlando
del caso italiano, nessuna disciplina giuridica è stata sviluppata a riguardo, anche se
questa lacuna legislativa permette alle imprese di affrontare questo documento, non
come un ulteriore, rigido obbligo burocratico, ma con volontarietà e consapevolezza.
In questo paragrafo vogliamo affrontare il tema del bilancio sociale come mezzo di
comunicazione, coinvolgimento e governo delle relazioni con gli stakeholders e quindi
strumento di programmazione e controllo. Per tale motivo affronteremo la questione
accennando al ruolo che oggi le imprese ed i manager assegnano agli stakeholders, ed al
concetto di Corporate Social Responsability (CRS).
Il tema dello “stakeholder management”, che qui disquisiremo come richiamo,
essendo già stato trattato precedentemente in questo lavoro, è divenuto negli ultimi
decenni di fondamentale importanza per molti manager che, affrontando un mercato
sempre più competitivo, hanno dovuto adeguarsi al fatto che, perché un‟impresa abbia
successo e continui a mostrare redditività e crescita costanti, non è più sufficiente il
soddisfacimento delle istanze degli azionisti, ma anche di quelle della generalità degli
stakeholders. Infatti “Alcuni importanti studi hanno mostrato una forte correlazione tra
buone relazioni con gli stakeholders e successo dell‟impresa, (…) un collegamento tra
performance sociale e performance finanziaria”57
. Difatti il soddisfacimento degli
interessi degli stakeholders accresce l‟efficacia del processo di attuazione delle scelte, al
57
E. D‟ORAZIO (2004) , Gestione degli stakeholders, assets intangibili e leadership etica, POLITEIA,
XX, 74, pp. 87 – 108.
68
centro del quale gioca un ruolo chiave il management che, in un‟ottica di crescita di
lungo periodo, non può prescindere dal sostegno che i vari gruppi di portatori di
interessi possono garantire. “Il consenso e la partecipazione sono condizioni che vanno
ricercate e favorite poiché da esse dipendono gli stessi risultati dell‟azienda. (…) Il
gruppo di maggioranza di una S. p. A., pur avendo il potere di governare in piena
autonomia, sottostando solo ai vincoli derivati dalla legge, dai contratti e dalla morale,
cercherà il consenso più ampio (…). E sarà indotto a farlo, non soltanto per evitare
l‟insorgere di tensioni interne, quanto per il fatto che il consenso e la partecipazione
determinano sinergie che si traducono in concreti vantaggi anche sul piano
economico”58
.
Inoltre, al di là di una visione utilitaristica degli stakeholders e delle relazioni con essi,
molti studiosi sono giunti alla conclusione che l‟impresa, all‟interno del proprio
ambiente, debba svolgere una funzione sociale e che gli stakeholders siano, di
conseguenza, portatori di diritti nei confronti della stessa. Ecco quindi che essi
acquisiscono un ruolo indirettamente attivo nell‟ambito della gestione aziendale,
attraverso le pressioni che ogni gruppo può esercitare sulla discrezionalità
amministrativa del management, che si trova condizionato nella decisione di scelte
strategiche. Già nel 1932 Dodd affermava che: “L‟opinione pubblica impone ormai di
considerare l‟impresa come un‟istituzione economica che svolge un servizio sociale,
così come la funzione di profitto”59
. Dovendo “render conto” all‟intera società ed ad un
numeroso gruppo di stakeholders, non si può che giungere alla conclusione che
l‟esistenza di un‟impresa non possa essere giustificata dalla sua sola capacità di creare
ricchezza, ma che essa debba essere legittimata come istituzione sociale. “La sua
licenza di operare dipende dalla sua capacità di soddisfare le aspettative di numerosi ed
eterogenei stakeholders”60
.
Il management è chiamato ad una importante sfida, ossia soddisfare le istanze reclamate
da numerosi soggetti, compresa la proprietà, cercando di armonizzarle tutte e, ove
possibile, di non lasciare alcuno scontento; nel caso di conflittualità tra le pretese dei
58
F. VERMIGLIO (1986), Considerazioni economico-aziendali sull’impresa cooperativa, MESSINA (
1990), pp. 101 – 102. 59
DODD (1932), pag. 1148, cit. da WEDDERBURN pag. 39. 60
E. D‟ORAZIO, Op. cit.
69
vari gruppi61
prevarranno le ragioni dei portatori di interessi che riusciranno a pesare ed
a condizionare maggiormente i manager nel loro processo decisionale. Nel “gioco”
negoziale ogni gruppo “interviene con una specifica funzione di utilità, la cui influenza
sullo svolgimento e sulla soluzione del gioco dipende dal peso o forza contrattuale del
gruppo cui si riferisce”62
.
Con l‟affermarsi della Stakeholder Theory si è andato ampliando il dibattito relativo alla
Responsabilità Sociale d’Impresa - RSI (Corporate Social Responsability- CRS) di
cui l‟impresa è investita e che sembra aver visto vincitore il concetto per cui l‟interesse
sociale63
di un‟azienda non sia identificabile con il mero perseguimento del profitto, ma
debba comprendere numerose altre istanze provenienti dalla società in cui essa è
chiamata ad operare.
Fino alla prima metà degli anni ‟70 persino i sostenitori della CSR ritenevano che gli
atti tesi al perseguimento della responsabilità d‟impresa, che non rientrassero tra quelli
orientati all‟ottenimento del profitto, fossero sostanzialmente dei costi, ancorché questi
facessero parte dei doveri dell‟impresa.
Dalla seconda metà degli anni ‟70 si diffonde una nuova prospettiva interpretativa della
responsabilità sociale, che va appunto di pari passo con l‟imporsi dello stakeholder
mamagement, e che consiste nell‟uso strumentale della CSR, per cui essa viene intesa
come una serie di comportamenti che l‟impresa mette in atto, sotto richiesta dei suoi
pubblici di riferimento, in una prospettiva di miglioramento di immagine e gestionale e
di differenziazione rispetto alle altre realtà presenti sul mercato.
61
Alcuni studiosi, tra cui V. CODA e G. FERRERO, hanno osservato come l‟antagonismo tra le
posizioni assunte dai singoli gruppi di stakeholder si manifesti prevalentemente in un‟ottica di breve
periodo, mentre traslati in un orizzonte temporale di lungo termine, le istanze dei vari gruppi si
armonizzano tra loro, per l‟interesse comune della longevità del‟impresa. 62
G. CECCANTI (1987), Il gioco negoziale interno all’impresa, NOTE ECONOMICHE n.3, pag. 7; cit.
da D. NICOLÒ (1997), Il bilancio sociale come strumento di governo delle relazioni con gli stakeholder,
da Atti del nuovo Seminario Internazionale sul tema: “Nuovi strumenti di comunicazione aziendale.
Confronto di esperienze in tema di bilancio sociale”, Taormina, 27 – 28 Giugno 1997, G. Giappichelli
Editore – Torino. 63
“Con interesse sociale, nel linguaggio giuridico, ci si riferisce all‟interesse che può essere considerato
proprio dell‟ente società (in particolare società per azioni) e che funge da parametro per il comportamento
degli amministratori (…) e dà limite al potere di maggioranza, le cui decisioni, assunte nell‟interesse
proprio ed in contrasto con l‟interesse sociale, possono essere invalidate e rese non vincolanti” da F.
DENOZZA (2005), cit. da M. VIVIANI (2006), La responsabilità sociale dell’impresa ed il
coinvolgimento degli stakeholder, AICCON – Cultura cooperazione non profit.
70
Varie e numerose sono le definizioni di Responsabilità Sociale. Matacena affermava che
la “responsabilità sociale è l‟obbligo dell‟impresa di rispondere alle richieste della
società”, evidenziandone l‟aspetto coercitivo, così come nei primi studi.
La Commissione Europea, al contrario, sottolinea maggiormente la volontarietà
dell’atto, per cui la CSR è definita come “l’integrazione volontaria delle
preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e
nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili non significa
solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là
investendo “di più”nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le parti
interessate. (…). L’applicazione di norme sociali che superano gli obblighi giuridici
(…) può avere un impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che
consente di gestire il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale con una maggiore
produttività”64
.
Da questa definizione è inoltre possibile estrapolare alcuni degli atti che un‟impresa
dovrebbe compiere per essere socialmente responsabile65
; è infatti necessario rendere
operativo e applicabile il concetto di CRS. Tra gli atti che ne contraddistinguono
l‟applicazione, sono compresi66
:
Azioni redistributive a bilancio chiuso
Miglioramenti socialmente riconosciuti del processo produttivo (dalla tecnologia
alla creazione del capitale umano)
Stakeholder engagement e stakeholder partecipation
Trasparenza informativa e social accounting
Rispetto della legge
Tra gli strumenti tramite i quali le imprese possono esplicitare la propria condotta
socialmente responsabile i più importanti e frequenti sono:
Il Codice etico
64
Si veda: Promoting a European framework for Corporate Social Responsability, Libro verde , Com
366/2001, Commissione Europea 18.07.2001. 65
Nella ricerca Istat il concetto di “responsabilità sociale” è reso operativo nei seguenti punti: a)Presenza
tra i costi di produzione dello smaltimento dei rifiuti, depurazione scarichi idrici, abbattimento delle
emissioni atmosferiche; b) Risparmio energetico; c) Compartecipazione dei dipendenti alle decisioni
d‟impresa; d) Acquisto di beni da produttori socialmente responsabili; e) vendita dei beni ad un prezzo
che comprenda una quota destinabile a fini sociali; f) Redazione di un Bilancio Sociale. 66
Tratti da M. VIVIANI, Op. cit.
71
Il modello organizzativo e gestionale ex dlgs 231/2001
L‟adesione a Standard
La Certificazione Sociale (SA 8000)
Il Bilancio Sociale e quello Ambientale
Andremo adesso ad occuparci più approfonditamente di quest‟ultimo strumento,
analizzandone tipologie, funzioni e obiettivi ed infine la struttura generica.
4.2 - Il Bilancio Sociale
4.2.1 - Evoluzione ed approcci
Le prime esperienze nell‟ambito del Bilancio Sociale sono rilevabili nei primi anni „70
negli Stati Uniti dove il dibattito sulla responsabilità sociale d‟impresa era già in corso
da tempo, a causa delle spinte provenienti da gruppi di pressione che chiedevano alle
imprese una rilettura in chiave sociale del bilancio economico aziendale. In seguito è
andato diffondendosi in Europa, anche se molto lentamente, tanto che soltanto in alcuni
Paesi67
ha trovato impiego nella prassi. Parlando del caso italiano, nessuna disciplina
giuridica o norma, sia nazionale che internazionale, è stata sviluppata a riguardo, anche
se questa lacuna legislativa da un lato permette alle imprese di affrontare questo
documento, non come un ulteriore, rigido obbligo burocratico, ma con volontarietà e
consapevolezza.
Numerose sono le diciture sotto le quali è possibile redigere un bilancio sociale, Social
Audit, Social Accounting, Social Balance, Intellectual Capital, ed in italiano anche
Rapporto Sociale ed Auditing Sociale68
; inoltre tra gli “addetti ai lavori” è ormai di uso
comune l‟acronimo SEAAR – Social & Ethical Accounting, Auditing & Reporting, ossia
“un generico termine per la varietà degli approcci alla misurazione delle performance
sociali ed etiche”69
.
67
Principalmente in Francia, che ha emanato una legge a riguardo nel 1977, Germania, Svezia, Paesi
Bassi e Spagna. 68
“Un esame e verifica degli impegni, dei caratteri informativi, dei sistemi e procedure con cui
un’organizzazione enuncia e descrive le sue performance”: A. HENRIQUES (1998), Social &Ethical
Accounting, Auditing & Reporting – Concepts, Terminology & Glossary, paper. 69
Definizione della New Economy Foundation.
72
A livello internazionale sono rilevabili due approcci preponderanti secondo i quali
affrontare questo documento:
1) Modello anglosassone o nordatlantico – Maggiormente ispirato alle logiche e
metodiche delle scienze sociali, questo approccio è più attento al modo in cui si
sviluppano e si concretano le relazioni con gli stakeholders alla luce di una
precisa normativa molto attenta ai loro diritti. Quest‟ultima è infatti sviluppata in
un contesto nel quale i cittadini sono percepiti in una pluralità di dimensioni,
come lavoratori, consumatori, imprenditori ed investitori. Questo documento si
presenta di fatto come una raccolta di pareri, giudizi ed opinioni dei vari
stakeholders.
2) Modello Europeo continentale – Con questo approccio si cerca di coniugare gli
obiettivi di competitività di mercato con quello della responsabilità sociale,
ponendo particolare attenzione ai lavoratori. Questo modello può dirsi
maggiormente ispirato dalle discipline contabili e dalla loro evoluzione teorica e
pratica, tanto che prende le mosse dalla forma e dalla pratica della contabilità
ordinaria, partendo dall‟assunto che, attraverso alcuni adattamenti, essa possa
essere in grado di rappresentare anche fenomeni di responsabilità sociale.
Difatti, tra i primi contributi in tema di Bilancio Sociale spicca quello
dell‟Unione Europea degli Esperti Contabili – UEC. Chiamati in un‟apposita
commissione per elaborare una serie di principi generali e raccomandazioni sul
contenuto di un rendiconto sociale, essi giunsero alla conclusione che due
fossero i suggerimenti più corretti da applicare70
: a) la rigida determinazione del
contenuto e della forma del documento; b) la previsione di un controllo esterno
effettuato da soggetti autonomi ed indipendenti. L‟UEC raccomandava inoltre
un struttura standardizzata del bilancio sociale, prevedendone l‟articolazione in
70
Espressi nel documento conclusivo presentato al Congresso di Strasburgo del 1983.
73
tre documenti: una relazione descrittiva71
, un rapporto sociale72
e le note
complementari al rapporto sociale73
.
All‟applicazione pratica, tra i due approcci sono comunque riscontrabili alcuni elementi
di convergenza e benefici in comune, quali la diminuzione del rischio sociale, maggior
coerenza con i valori dell‟impresa, investimenti verso la comunità, etc.
Nel nostro paese l‟utilizzo assiduo di questo importante strumento, che rappresenta il
principale mezzo di gestione e comunicazione della responsabilità nei confronti di
comunità ed istituzioni, ha una storia recentissima che risale a circa 9 anni addietro,
almeno presso le organizzazioni di maggiori dimensioni.
Anche in Italia, pur non facendo ricorso a normative, si è cercato di uniformare la
struttura del Bilancio Sociale fornendo linee guida per la sua redazione. A questo
proposito nel 1998 è stato creato il Gruppo di studio per il Bilancio Sociale - GBS,
composto da docenti universitari, da operatori di società di consulenza e di revisione
ambientale. Questo nel 2001 ha stabilito che il Bilancio Sociale sia un documento
autonomo rispetto al bilancio d‟esercizio, ancorché ne completi le informazioni
permettendo di valutare un‟organizzazione non più solo come un insieme di fattori
finalizzati all‟ottenimento del profitto, ma anche in relazione al ruolo e ai compiti che
essa svolge nell‟ambiente in cui è inserita. Il GBS ha inoltre redatto un documento in
cui, oltre al contenuto, vengono stabiliti i principi e le procedure di redazione del
bilancio sociale, che si deve comporre di tre parti:
1) Identità aziendale, parte in cui l‟azienda si presenta, in termini organizzativi,
strategici, politici, valoriali;
2) Calcolo e distribuzione del valore aggiunto;
3) Relazione sociale, in cui sono analizzati i rapporti tra l‟azienda ed i suoi
interlocutori.
71
Indica i più significativi aspetti dei risultati sociali conseguiti e degli obiettivi fissati per l‟anno
successivo. 72
Questa parte dovrebbe essere composta solamente da indicatori quantitativi relativi a nove aree di
impatto sociale: 1) livello di occupazione; 2) condizioni di lavoro; 3) sicurezza e igiene; 4) educazione e
formazione; 5) relazioni industriali; 6) redistribuzione ed altri benefici; 7) distribuzione del valore
aggiunto; 8) impatto sull‟ambiente naturale; 9)rapporti fra impresa e parti sociali. 73
Illustrano i metodi ed i principi utilizzati nel calcolo degli indicatori presenti nel Bilancio Sociale, la
loro eventuale modifica ed il relativo impatto sui risultati rappresentati, nonché la definizione della
terminologia in uso.
74
È facile notare che il GBS ha posto solamente alcune tracce che, pur avendo per intento
la standardizzazione del documento, lasciano assolutamente liberi nei movimenti le
imprese che intendano redigerlo.
4.2.2 - Definizione, funzioni ed obiettivi
Così come numerose sono le nomenclature sotto le quali si cela un Bilancio Sociale,
altrettanto lo sono le definizioni che gli sono state attribuite. Certo è che questo
documento è diventato di fondamentale importanza per l‟impresa nel momento in cui,
con l‟affermarsi della Stakeholder Theory e del concetto di CRS, il bilancio di esercizio,
come già affermato precedentemente, non è stato più sufficiente a valutarne in toto le
performance, non più legate al solo ottenimento del profitto, ma anche al ruolo da essa
svolto ed agli atti da essa compiuti all‟interno e per la collettività. “Il bilancio sociale
costituisce lo strumento di comunicazione più adeguato per rispondere alla esigenza di
rendere noto il contributo di socialità che un'organizzazione dà alla collettività cui
appartiene. Tale strumento di comunicazione è costituito da un sistema di
rendicontazione che rappresenta formalmente le politiche sociali e ambientali messe in
atto nella gestione di un'organizzazione, comunicando ai terzi (i dipendenti, i clienti, i
fornitori, gli utenti, l'opinione pubblica, etc.) gli elementi per i quali possono dare
fiducia all'organizzazione”74
.
Inoltre il rendiconto sociale è lo strumento migliore per dare visibilità alle domande ed
alla necessità di informazione e trasparenza del proprio pubblico di riferimento, che
tramite questo documento è messo a conoscenza della ricchezza e del valore aggiunto
che l‟organizzazione ha ridistribuito presso la collettività. In pratica un rendiconto che
identifica i vantaggi che l‟impresa ha prodotto per le diverse categorie di stakeholders,
tramite la sua gestione caratteristica o, nella maggior parte dei casi, altre eventuali
azioni.
Oltre a ciò, attraverso lo strumento “bilancio sociale”, l‟impresa può esporre i propri
programmi futuri in materia di soddisfacimento delle attese degli interlocutori sociali, le
decisioni di strategia sociale.
Dopo questa breve introduzione, passiamo ad esporre alcune definizioni di Bilancio
Sociale estrapolate sia dalla letteratura in materia, che dalla “pratica”.
74
Da www.cuntarati.it , Bilancio Sociale: strumento di comunicazione, 26/02/2009.
75
Secondo Matacena “il bilancio sociale è il complesso dei documenti contabili e non che,
insieme ai bilanci tradizionali, ha lo scopo di offrire informazioni quali-quantitative
sulle operazioni svolte dall‟impresa per effetto delle finalità sociali assunte”75
.
Suozzo invece lo definisce come un “Documento di rendicontazione (sono riportati
valori, indicatori, informazioni) che offre un quadro completo dell‟attività e dei risultati
raggiunti in relazione agli obiettivi dichiarati”76
.
Infine, tra le definizioni più accettate dagli studiosi, anche se risalente al 1994, spicca
quella che qualifica il Bilancio Sociale come “un modello di rendicontazione sulle
quantità e sulle qualità di relazione tra l'impresa ed gli stakeholder rappresentativi
dell'intera collettività, che mira a delineare un quadro omogeneo, puntuale, completo e
trasparente della complessa interdipendenza tra i fattori economici e quelli socio-
politici connaturati e conseguenti alle scelte d’impresa"77
.
Da queste definizioni emergono tutte le istanze cui abbiamo fatto precedentemente
riferimento circa l‟importanza della redazione del Bilancio Sociale, sia per gli
stakeholders, che per le imprese.
A Questo punto è lecito elencare tutte le possibili funzioni, più o meno ufficiali, che il
rendiconto sociale deve assolvere. Anche in questo caso la letteratura offre
classificazioni più o meno nutrite a riguardo, ecco perché abbiamo cercato di
sintetizzare, indicizzando le diciture comuni a più catalogazioni.
- Funzione di comunicazione e pubbliche relazioni Quasi tutta la letteratura
attribuisce al Bilancio Sociale, come prima funzione svolta, la comunicazione
dell‟impresa verso i suoi pubblici di riferimento. Infatti, già dalle prime esperienze
di redazione di questo documento, risalenti al 1987, lo scopo primario che
emergeva era la comunicazione istituzionale dell‟organizzazione, illustrando in
modo analitico le attività sociali poste in essere, tramite l‟esposizione dei costi78
75
A. MATACENA, cit. da L. ANDRIOLA, C. SERAFINI (2002), Il bilancio sociale. Obiettivi, principi e
principali esperienze in atto, ENEA – Ente per le Nuove tecnologie, l‟Energia e l‟Ambiente, Centro
ricerche Casaccia, Roma. 76
M. SUOZZO (2003), Il Bilancio Sociale: strumento di organizzazione e comunicazione, ABM
Network, Genova. 77
FERROVIE DELLO STATO (1994), Bilancio Sociale 1994, IV; la definizione è presumibilmente
attribuibile al prof. R. MARZIANTONIO, curatore del bilancio. Una definizione analoga è riscontrabile
nella introduzione al Rapporto sociale 1993 del Gruppo Unipol. 78
Si trattava di costi per i soci o gli azionisti; costi per i dipendenti; costi per l‟ambiente; costi per il
pubblico.
76
sostenuti a riguardo. Attraverso il Bilancio Sociale si comunica agli stakeholders
ciò che l‟organizzazione ha realizzato in loro favore e che si propone di realizzare,
stipulando di fatto un “patto di trasparenza” con essi. “È il solo strumento in grado
di avviare, controllare e dirigere i processi relazionari con gli stakeholder”79
.
Inoltre, sempre analizzandone la dimensione comunicativa, il rendiconto sociale
può essere utilizzato come importante leva di marketing, perché grazie ad esso
l‟impresa può migliorare la propria immagine istituzionale presso il pubblico ed
instaurarvi un proficuo rapporto di fiducia, attraverso il quale entrare maggiormente
in contatto con esso, arrivando a conoscerne meglio le richieste ed i bisogni.
- Funzione gestionale – organizzativa Il bilancio sociale, se ben redatto, fornisce
importanti indicazioni strategiche e gestionali che possono divenire un punto di
riferimento nell‟impostazione delle strategie aziendali. Vi è infatti una forte
correlazione tra il Bilancio Sociale e la cultura aziendale che può risultare rafforzata
tramite esso. La possibilità di comunicare agli operatori interni gli impegni sociali
presi e portati a termine dall‟impresa, contribuisce a rafforzare la sintonia tra i
valori dichiarati e quelli effettivamente portati avanti dall‟organizzazione. Questa
sintonia valoriale80
, se opportunamente sottolineata tramite il coinvolgimento dei
dipendenti sin dai primi momenti, aiuta i membri dell‟organizzazione a dare un
senso alle attività svolte e quindi migliorare la partecipazione alla vita dell‟impresa.
Per di più, grazie alla capacità di dirigere i processi di relazione con gli
stakeholders, il bilancio sociale garantisce all‟organizzazione la capacità di
“innovare il proprio modello di business per continuare a creare valore anche in un
contesto di forte discontinuità come quello che caratterizza i business del nuovo
millennio”81
.
- Funzione di verifica istituzionale Attraverso il rendiconto sociale è possibile
verificare la coerenza tra gli input iniziali e quelli finali, ossia tra la missione che
l‟organizzazione si è posta come obiettivo all‟inizio della sua storia e la gestione
effettivamente posta in essere durante la crescita e lo sviluppo dell‟organizzazione.
La redazione di questo documento è un facile sistema per verificare se gli assunti
79
Cfr. CHIESI, MARTINELLI, PELLEGATTA (2000), Il bilancio sociale, Il Sole 24 Ore, Milano, , pag.
133; cit, da L. ANDRIOLA, C. SERAFINI, Op. cit. 80
M. VIVIANI (1998), Il Bilancio Sociale e politiche d’impresa, Sviluppo&Organizzaione. 81
CHIESI, MARTINELLI, PELLEGATTA, cit. da L. ANDRIOLA, C. SERAFINI, Op. cit.
77
sui quali l‟impresa si è costituita ed è cresciuta sono effettivamente rispettati
nell‟attività gestionale, nei comportamenti del management e nelle principali
relazioni ambientali.
- Funzione di elaborazione della strategia sociale Il bilancio sociale può essere
un valido punto di partenza per l‟elaborazione di una vera e propria strategia sociale
d‟impresa, strutturata sulla base di conoscenze effettive e non di supposizioni. Il
documento è considerabile come una sorta di “ponte” lanciato dall‟organizzazione
in direzione degli stakeholders. Attraverso questa prima apertura verso l‟ambiente,
sia interno che esterno, vi è la possibilità per il management di “trasformare
l‟occasione in un‟opportunità per approfondire il rapporto stesso con lo stakeholder,
fino a giungere a una strategia di gestione del rapporto stesso”82
- Funzione di valutazione e misurazione della qualità sociale Questa funzione
non è riconosciuta dalla generalità della letteratura, ma soltanto da alcuni studiosi.
Abbiamo preferito inserirla ugualmente nell‟elenco perché la riteniamo coerente
con il modello di bilancio sociale preponderante nell‟Europa continentale e con i
principi suggeriti sia dall‟UEC che dal GBS. Si tratta infatti di valutare
concretamente il valore creato dall‟impresa in favore della collettività; valore che si
manifesta in tre forme: 1) ricchezza generata a favore di tutti gli stakeholders; 2)
valore sociale, ambientale e tecnologico prodotto sempre in favore degli
stakeholders; 3) sviluppo delle competenze e del capitale intellettuale,
dell‟immagine e della reputazione. L‟unico strumento in grado di garantire la
valutazione oggettiva del valore generato è, appunto, proprio il bilancio sociale.
Oltre alle funzioni appena descritte, al rendiconto sociale sono attribuiti anche
importanti obiettivi, sia rivolti all‟interesse della collettività, che più specificatamente
dell‟impresa.
Secondo le indicazione del GBS, il rendiconto sociale ha due scopi ben precisi:
1) Fornire agli stakeholders un quadro complessivo delle performance dell‟azienda
aprendo un processo interattivo di comunicazione sociale;
2) Fornire informazioni utili sulla qualità dell‟attività aziendale per migliorare, anche
sotto il profilo etico sociale, conoscenze e possibilità di valutazione e di scelta degli
stakeholder.
82
L. ANDRIOLA, C. SERAFINI, Op. cit.
78
Questi due obiettivi dovrebbero essere conseguiti83
:
a) Dando conto dell‟identità aziendale e del sistema di valori di riferimento e della
loro declinazione nelle scelte imprenditoriali e gestionali, nonché nei loro risultati;
b) Esponendo gli obiettivi di miglioramento che l‟organizzazione si impegna a
perseguire;
c) Fornendo indicazioni circa le interazioni tra l‟azienda e l‟ambiente;
d) Rappresentando il valore aggiunto e la sua ripartizione.
Altri obiettivi sono perseguiti dalle imprese con la redazione del auditing sociale,
principalmente inerenti alla dimensione dell‟organizzazione, piuttosto che dell‟intera
comunità. Questi ulteriori scopi che il management si pone sono:
- Maggiore competitività, perché, grazie al bilancio sociale, l‟impresa ha la
possibilità di differenziarsi rispetto ai propri competitor;
- Aumento dei profitti: attraverso la maggior fiducia che gli stakeholders ripongono
dell‟azienda, l‟impresa instaura con loro un rapporto più stretto, per cui i pubblici di
riferimento tenderanno a favorire l‟impresa rispetto alle altre presenti sul mercato;
- Migliore reputazione: grazie all‟impegno sociale profuso nell‟ambiente nel quale è
inserita, l‟organizzazione giova di un notevole miglioramento della immagine
aziendale e della reputazione;
- Maggior consenso, da parte sia degli stakeholders esterni, che interni;
- Maggior motivazione dei dipendenti, che sentendosi più considerati dall‟impresa
nelle loro istanze, avvertono un maggiore coinvolgimento, riflettendosi tutto ciò in
un miglioramento globale delle performances aziendali.
Dopo aver inquadrato il documento “Bilancio Sociale” dal punto di vista degli approcci
più diffusi, delle funzioni e degli obiettivi, passiamo adesso alla analisi pratica della sua
effettiva struttura.
4.3 - Struttura e contenuto del bilancio sociale
La struttura di bilancio sociale di seguito proposta riprende le linee guida fornite dal
Gbs84
e articola il bilancio in quattro sezioni fondamentali:
83
Ibidem.
79
- l‟identità aziendale, che identifica ed esplicita la missione, i valori etici di
riferimento,il disegno strategico, le politiche e l‟assetto istituzionale;
- la rappresentazione e distribuzione del valore aggiunto, attraverso cui
documentare il “valore creato” a vantaggio delle principali categorie di
stakeholder. Per “valore creato” si intende la capacità di soddisfare le attese
dei portatori di interesse attraverso la produzione di beni sociali che
rispondono ai bisogni;
- la relazione sociale, che espone sinteticamente i risultati ottenuti in relazione
agli impegni e ai programmi assunti, con riferimento agli effetti prodotti
sugli stakeholder. L‟intento, attraverso questa sezione, è quella di
evidenziare l‟impatto che l‟attività amministrativa ha prodotto sui bisogni
della collettività,cioè quale ricaduta a seguito delle politiche, delle strategie
e delle azioni condotte;
Inoltre,è opportuno che il bilancio sociale presenti in apertura una breve introduzione
con la quale l‟amministrazione possa esplicitare le finalità perseguite con la redazione di
tale documento. E‟auspicale anche la presenza di una nota metodologica che spieghi la
struttura del bilancio sociale, le fonti informative utilizzate per l‟elaborazione dei dati,
nonché le forme di comunicazione e di partecipazione adottate. Ciò garantirà una
84
Il Gbs indica i principi che devono essere tenuti in considerazione per la redazione del bilancio sociale,
applicabili con gli
opportuni accorgimenti, da parte di qualsiasi tipo di azienda. Tra questi meritano specifica menzione i
principi di:
_ responsabilità , che implica l‟individuazione degli stakeholder ai quali l‟azienda deve rendere conto
della propria attività ;
_ trasparenza, tale per cui i destinatari del bilancio sociale possano comprendere le procedure e le logiche
seguite nell‟elaborazione
dello stesso;
_ neutralità , da intendersi in termini di imparzialità ed indipendenza da interessi di parte;
_ comprensibilità , chiarezza, intelligibilità delle informazioni;
_ significatività e rilevanza dei dati riportati, che devono rendicontare l‟impatto effettivo che l‟attività`
svolta ha avuto nella
realtà di riferimento;
_ attendibilità e fedele rappresentazione delle informazioni, che devono essere prive di errori o pregiudizi
in merito all‟oggetto
a cui si riferiscono.
80
maggiore chiarezza del documento nel suo complesso e fornirà agli stakeholder utili
indicazioni per una lettura critica del medesimo.
4.3.1 - Sezione I - Identità aziendale
Il contenuto di tale sezione include le informazioni necessarie all‟illustrazione
dell‟identità dell‟ente,della missione perseguita,delle politiche e dei programmi che
guidano ogni sua attività.
Si tratta di rappresentare il ruolo dell‟ente in relazione al proprio ambito territoriale di
riferimento, considerando al contempo aspetti economici, culturali e sociali. I dati
riportati rappresentano il contesto attuale e le prospettive di evoluzione attese a seguito
delle priorità da perseguire.
Infine, tale sezione dovrebbe fornire le principali informazioni in merito all‟assetto
istituzionale e organizzativo.
Le seguenti informazioni sono quindi:
- assetto istituzionale: assetto proprietario e evoluzione della governance,
principali elementi che definiscono la storia e l‟evoluzione aziendale, la
dimensione, la collocazione sul mercato e l‟assetto organizzativo;
- valori di riferimento: esplicitazione degli orientamenti valoriali, dei principi etici
e dei codici deontologici;
- missione: descrizione delle finalità aziendali di lungo periodo;
- strategie: obiettivi di medio - lungo periodo finalizzati al conseguimento della
missione;
- politiche:obiettivi e scelte di breve periodo.
4.3.2 - Sezione II – Rappresentazione e distribuzione del valore aggiunto
Presupposto fondamentale per la redazione del bilancio sociale è l‟individuazione degli
stakeholder, che risentono degli effetti dell‟azione amministrativa in termini di
soddisfacimento dei propri bisogni. Agli stakeholder sono principalmente rivolte le
informazioni contenute nel bilancio sociale.
L‟individuazione di tali categorie di destinatari,negli enti locali, risulta particolarmente
complessa, a causa dell‟ampio raggio d‟azione in cui si estrinsecano le competenze
81
degli enti e, quindi del gran numero di soggetti con i quali a vario titolo, entrano in
relazione. E‟ dunque necessario disegnare una mappa degli stakeholder, che costituisca
una sorta di raffigurazione dell‟ambiente sociale in cui l‟ente è inserito ed identifichi i
gruppi o gli individui con cui esso interagisce in modo significativo e rispetto ai quali si
intende organizzare la comunicazione sociale e la rappresentazione dei valore creato.
Bisogna dapprima individuare le macrocategorie di portatori d‟interesse (stakeholder di
primo livello) che raggruppano tutti i soggetti che direttamente o indirettamente sono
in contatto con l‟ente e che vengono influenzati dalla sua attività a seconda degli
interessi di cui sono portatori.
Si prevede poi la scomposizione di tali categorie in classificazioni analitiche
(stakeholder di secondo livello), volte a individuare gli specifici gruppi di soggetti
nell‟interesse dei quali l‟amministrazione ha orientato le proprie politiche.
Se assunte in maniera generica le categorie di stakeholder possono essere le medesime a
prescindere dall‟ente, ma sarà cura di ogni amministrazione puntualizzare le proprie in
relazione ai bisogni identificati, alle conseguenti politiche assunte e alla spesa
destinatavi, anche in ragione dell‟obiettivo di responsabilità sociale assunto con
l‟elaborazione del bilancio sociale.Tali articolazioni saranno utilizzate ai fini della
riclassificazione delle voci di spesa, per porre in evidenza come l‟ente ha destinato ai
vari stakeholder le risorse ai disposizione, quindi la distribuzione del valore aggiunto85
.
La misurazione dei risultati raggiunti e del valore creato avverrà con riferimento alla
validità delle politiche e degli interventi pubblici operati.
Al fine di creare valore è necessario pertanto definire e selezionare le priorità politiche
che si intendono perseguire. Una gestione orientata ad efficacia ed efficienza
ottimizzerà il rapporto tra le risorse impiegate dall‟ente e i servizi che quest‟ultimo
intende offrire,realizzando una tensione al miglioramento.
Tale informazioni quindi devono rappresentare:
- mappa degli stakeholder
- riclassificazione delle voci di bilancio (spesa) con riferimento agli stakeholder
85
Il valore aggiunto si ottiene da una riclassificazione del conto economico del bilancio d‟esercizio. Esso
indica la ricchezza prodotta dall‟impresa ed è pari alla differenza tra i valori dei beni e servizi ceduti e il
valore dei beni e servizi acquisiti.
82
4.3.3 - Sezione III – la relazione sociale
La relazione sociale è la sezione del bilancio sociale nella quale viene illustrata l‟attività
svolta dall‟amministrazione.
In particolare, il modello di bilancio sociale proposto prevede che,per ogni tipologia di
stakeholder, vengano dichiarati gli obiettivi strategici ed operativi che l‟ente ha definito
in fase di pianificazione e programmazione ed esplicitati i risultati ottenuti in termini di
interventi realizzati, da completare o non ancora compiuti. Dovranno inoltre essere
previsti alcuni indicatori (qualitativi e quantitativi) atti a misurare gli effetti che le
attività svolte hanno avuto sul benessere e sulle qualità della vita dei diversi
interlocutori dell‟ente.
Tale analisi consentirà di porre in evidenza anche le azioni di miglioramento che si
prevede di realizzare in futuro al fine di portare a conclusione le attività intraprese e
rispondere ai nuovi bisogni emersi.
Per ogni tipologia di stakeholder vanno evidenziati e commentati:
- obiettivi strategici
- obiettivi operativi
- risultati ottenuti
- destinazione della spesa
- parametri/indicatori di efficacia gestionale e sociale
- proposte per la programmazione futura
83
Figura 4.1 – Schema della struttura del Bilancio Sociale
La parte del documento dedicata alla relazione sociale è suddivisa in: sezioni
fondamentali e sezioni integrative.
Le sezioni fondamentali comprendono:
- contenuti della relazione;
- identificazione degli stakeholder;
- principali assunti per categoria degli stakeholder .
Elemento fondamentale caratterizzante il bilancio sociale è costituito
dall‟identificazione degli stakeholder, ossia delle varie categorie di portatori d‟interesse
aziendale. Isolare e riconoscere le categorie in oggetto dovrebbe rappresentare
un‟importante momento di riflessione,cruciale per la stesura del bilancio sociale. Il
modello Gbs propone un elenco di interlocutori aziendali con riferimento alle aziende di
produzione, tuttavia esso è passabile di integrazioni e modifiche in funzione della realtà
aziendale di riferimento ed è così composto: personale, soci, finanziatori, clienti/utenti,
fornitori, Pubblica Amministrazione, collettività.
84
Per ciascuna categoria di stakeholder individuata devono essere esplicitate le politiche
adottate tendendo a far emergere, tramite il richiamo agli impegni espressi nella parte
riguardante l‟identità, la coerenza tra azioni poste in essere e obiettivi dichiarati.
I principali assunti per categoria di stakeholder comprendono:
- linee politiche e risultati attesi coerenti ai valori di riferimento e missione;
- processo di rilevazione (aspettative legittime e grado di soddisfazione/consenso);
- informazione e comunicazione;
- contenzioso e litigiosità.
Le sezioni integrative si compongono di:
- giudizi e opinioni degli stakeholder;
- commenti e dichiarazioni dell‟azienda;
- miglioramento del bilancio sociale.
In queste sezioni è evidente la volontà di far emergere la natura dei rapporti fra azienda
ed interlocutori esterni ed interni, poiché si giunge ad un vero e proprio coinvolgimento
degli stakeholder nel processo di redazione del rendiconto.
Degno di nota è anche l‟aspetto propositivo del bilancio sociale che si spinge a
dichiarare quali siano i miglioramenti previsti nella redazione del documento stesso,
volti ad aumentarne completezza, trasparenza, inclusione e pro attività.
4.4 - La realizzazione del bilancio sociale
Tra gli aspetti più significativi del bilancio sociale vi è l‟esame di una lunga mole di
documentazione (comprese ricerche sul sistema economico e sociale del territorio di
riferimento) con una particolare attenzione alla rendicontazione dei proventi e dei costi
e alla loro ricaduta in termini di progettualità sociale.
Inoltre il bilancio sociale sarà soggetto all‟approvazione o comunque legittimato
dall‟organo di governo locale, e quindi dalla giunta, prima della comunicazione
all‟esterno.
Infine, l‟aspetto della comunicazione del bilancio sociale, fortemente ribadita anche
dalle linee guida, che per la sua natura di atto volontario e quindi non obbligatorio a
85
norma di legge, rappresenta un aspetto di profondo interesse, spostandolo dalla
categoria degli atti normativi dovuti per legge alla categoria degli atti di comunicazione
necessari per una maggiore trasparenza nel rapporto tra amministrazione pubblica e
interlocutori di qualsivoglia natura.
La diffusione del bilancio sociale è l‟atto finale che giustifica tale sforzo e tale mole di
lavoro e il meccanismo di comunicazione, oltre che essere una forma di comunicazione
delle insieme di attività contenute nel bilancio sociale, dovrebbe essere anche una forma
di partecipazione del bilancio sociale da parte degli interlocutori, allargando quindi,
anche se la direttiva non lo prevede esplicitamente, la visione dal bilancio sociale al
bilancio partecipato.
La realizzazione operativa del bilancio sociale va attuata attraverso quattro macrofasi:
- La definizione di un sistema di rendicontazione sociale:
consiste in un‟attività di analisi e riflessione finalizzata a definire il sistema di
rendicontazione, vale a dire la struttura di base del bilancio sociale;
- La rilevazione delle informazioni dei dati:
la capacità dell‟impresa di rendere conto del suo operato dipende strettamente
dalla definizione e costruzione di un idoneo sistema informativo di supporto. Ai
fini della raccolta delle informazioni e dei dati per il bilancio sociale, occorre
analizzare i sistemi operativi e informativi, consentendo di verificare le
informazioni disponibili e di pianificare la rilevazione di quelle non disponibili.
Le informazioni da produrre sono sia di tipo qualitativo che quantitativo,
possono derivare da strutture interne, da soggetti esterni o rilevate direttamente
dai destinatari degli interventi e dagli utenti dei servizi;
La redazione e l‟approvazione del bilancio:
deve esprimere il carattere comunicativo del bilancio sociale, rendendo
significative per i destinatari le informazioni in esso contenute.
La comunicazione del bilancio sociale:
finalizzata alla diffusione e partecipazione del bilancio sociale all‟interno e
all‟esterno dell‟impresa e, più in generale, alla costruzione di un dialogo
permanente con i destinatari del documento.
86
4.5 - Il bilancio sociale a supporto della riprogrammazione
La scelta di avviare la redazione di un bilancio sociale, quale strumento di natura
consuntiva finalizzato all‟accountability e alla comunicazione esterna, è certamente un
passo significativo che l‟ente locale può compiere al fine di avvicinare i propri cittadini
alla vita dell‟amministrazione. E‟auspicabile che tale processo di rendicontazione
sociale non resti fine a sé stesso, ma crei la condizione per instaurare un dialogo aperto
e costruttivo tra l‟Amministrazione stessa e i suoi stakeholder.
Questi ultimi infatti, attraverso il bilancio sociale , dovrebbero poter disporre di tutte le
informazioni necessarie per formulare giudizi critici sull‟operato dell‟Amministrazione
e proposte utili al fine di un miglioramento delle prestazioni erogate.
All‟ente, invece, il confronto con i propri interlocutori consentirebbe, da un lato, di
usufruire di un‟analisi del contesto molto puntuale ed attendibile, in quanto fornita dai
soggetti che operano sul campo e, pertanto, utile alla rilevazione dei bisogni e delle
esigenze da soddisfare; dall‟altro, di esplicitare le ragioni che hanno indotto
l‟Amministrazione a perseguire determinati obiettivi, a definire le priorità o anche a
modificare alcuni programmi.
Il coinvolgimento degli stakeholder viene concepito come momento successivo alla
redazione del bilancio sociale. Quest‟ultimo è cioè, lo strumento che l‟ente predispone
al fine di offrire ai propri interlocutori un complesso strutturato di informazioni
necessario per impostare un confronto stabile e proficuo.
In tal senso, l‟analisi dei risultati ottenuti nell‟esercizio trascorso e il dialogo con gli
stakeholder consentiranno,all‟Amministrazione, di disporre di informazioni
significative per il processo di programmazione futura.
E‟possibile dunque affermare che il bilancio sociale, pur avendo natura consuntiva, di
verifica dell‟attività svolta e dei risultati ottenuti, risulta anche essere uno strumento a
valenza programmatoria, utile ai fini dell‟orientamento strategico dell‟ente.
Sarebbe pertanto opportuno creare una correlazione ed un certo grado di omogeneità tra
il bilancio sociale e gli strumenti di programmazione di cui l‟ente è dotato, al fine di
giungere a un sistema efficace, nel quale obiettivi e risultati raggiunti siano facilmente
individuabile e valutabili. Così, concepito il bilancio sociale può costituire un‟ulteriore
occasione per “ripensare” l‟elaborazione dei documenti di programmazione e di
controllo in un‟ottica di maggiore chiarezza, precisione ed efficacia.
87
4.6 - Esempi di bilancio sociale
Nel bilancio sociale di Telecom viene esposta la strategia per ciascuna categoria di
stakeholder. Nel caso dei clienti, ad esempio l‟obiettivo perseguito è quello di garantire
una risposta immediata e competente alle esigenze della clientela, uniformando i propri
comportamenti a correttezza negoziale, trasparenza nei rapporti e negli impegni
contrattuali, cortesia e collaborazione, nella logica della centralità del cliente e nel pieno
rispetto dei principi di disciplina disposti da procedure aziendali. Nel caso dei fornitori
invece, la strategia è quella di selezionarli in base a procedure aziendali valide a livello
di gruppo e finalizzare il processo di acquisto di prodotti e servizi alle migliori
condizioni di mercato,assicurando al contempo i requisiti di qualità,sicurezze a rispetto
ambientale. Gli altri stakeholder considerati sono i concorrenti, le istituzioni, l‟ambiente
e la comunità.
Telecom raggruppa gli stakeholder interni in due categorie, le risorse umane e gli
azionisti. Nel primo caso, si sottolinea la tutela della sicurezza, la salute nei luoghi di
lavoro e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Nel secondo caso comunicare con il
mercato e gli investitori nel rispetto dei criteri di trasparenza, correttezza, chiarezza e
parità di accesso all‟informazione. Si garantisce inoltre, parità di trattamento a tutte le
categorie di azionisti, evitando comportamenti preferenziali.
Un altro esempio di bilancio sociale è quello pubblicato da Poste Italiane nel 2008. Il
documento si apre con un‟analisi degli stakeholder identificati tra i singoli cittadini,
gruppi di interesse e istituzioni. Proprio una platea ampia e differenziata fa si che Poste
Italiane sia attenta al cittadino e pronta al dialogo con la collettività grazie alla sua
presenza capillare sul territorio nazionale. Cerca di valorizzare e sostenere le famiglie e
il rispetto per l‟ambiente.
Tra queste l‟impegno per il risparmio energetico e progetti finalizzati al miglioramento
dell‟organizzazione in ottica di sostenibilità.
E‟ stato assegnato a Poste Italiane il premio “Etica&Impresa” conferito per i migliori
accordi e le migliori pratiche di responsabilità sociale. Si tratta di un ulteriore traguardo
che testimonia risultati raggiunti dall‟azienda negli interventi formativi di sostegno
professionale e nella valorizzazione delle risorse. E‟ stata premiata inoltre per la
comunicazione relativa ai risultati economici con “l‟Oscar di Bilancio” 2008. La
88
motivazione riguarda anche “l‟analisi dei valori aziendali e dell‟impatto sociale
dell‟organizzazione”.
Il tema della responsabilità sociale è sottolineata anche da Fondiaria SAI che vuole
rappresentare l‟impegno con la comunicazione sociale,attuato attraverso una
rendicontazione protesa sia alla misurazione quantitativa, sia alla rappresentazione
qualitativa delle performance sociali, ambientali ed economiche che soddisfano i diversi
interlocutori con cui il Gruppo interagisce.
Il triplice obiettivo è quello di:
- fornire a tutti i portatori di interesse informazioni aggiuntive rispetto a quelle
messe a disposizione dei media tradizionali;
- divenire componente integrata dei vari strumenti di gestione e di controllo dei
processi aziendali, per costruire altresì un‟impostazione utile per misurare le
relazioni con gli stakeholder, monitorando le performance e contribuendo a
definire gli obiettivi futuri;
- aumentare costantemente la consapevolezza e consolidare una politica sociale
sistematica e programmata dove si implementi la consapevolezza di ogni singolo
individuo.
Tra le principali novità introdotte da Fondiaria SAI ci sono:
- l‟introduzione di un‟apposita sezione nell‟ambito degli allegati dello stakeholder
clienti, inerente i nuovi prodotti dei Rami Danni e Vita che hanno consentito di
arricchire la gamma di offerte a tutela della sicurezza dei contraenti;
- l‟inserimento negli allegati del prospetto inerente le forme di dialogo e gli
strumenti di comunicazione usati nei confronti de differenti stakeholder;
- la definizione del prospetto di riconciliazione degli indicatori di performance
definiti dal Gbs.
Il documento redatto quindi è in grado di fornire un quadro delle performance,
dell‟identità e del sistema dei valori di riferimento assunti dall‟azienda e della loro
declinazione nel sistema delle decisioni aziendali, delle operatività del processo oltre
che nei comportamenti gestionali. Vengono inoltre sottolineati gli obiettivi di
miglioramento nella creazione di valore sociale che l‟azienda si impegna a fissare e a
89
conseguire, le informazioni sulle condizioni di interazione con l‟ambiente in cui si
svolge il proprio business, la rappresentazione del Valore Aggiunto nei vari profili in
cui l‟azienda intende esprimerlo.
90
CAPITOLO 5
IL CASO TELECOM ITALIA
Il gruppo Telecom Italia, fondato nel 1964 (prima come SIP e poi dal 1994 come
Telecom Italia), opera nelle telecomunicazioni fisse e mobili, internet e media,
attraverso marchi noti per competenza, affidabilità e familiarità come Telecom Italia,
TIM, Alice e Virgilio, La7 e MTV Italia. Nel settore dell‟office and system solutions
Olivetti è ancora oggi simbolo di tecnologia e design italiano nel mondo.
Al centro dell‟attività di Telecom Italia un portafoglio che comprende dai servizi di
comunicazione convergenti per i consumatori a soluzioni ICT avanzate per il mondo
business, puntando a soddisfare sempre di più le esigenze di ciascun tipo di clientela.
Telecom Italia adotta l‟approccio multi-stakeholder conducendo le attività di business in
considerazione delle aspettative di tutti quelli con cui interagisce e considera la
sostenibilità come il perseguimento del più alto equilibrio possibile tra gli interessi degli
stakeholder86
.
L‟azienda raggruppa gli stakeholders in due categorie: interni ed esterni.
Tra gli stakeholder interni troviamo:
risorse umane;
azionisti.
Tra gli stakeholder esterni troviamo:
clienti;
fornitori;
concorrenti;
istituzioni;
ambiente;
comunità.
86
DALLOCCHIO M. e TAMAROWSKI C., (2005), Corporate governance e valore: l’esempio di
Telecom Italia, Egea, Milano.
91
5.1 - GLI STAKEHOLDER INTERNI
5.1.1 - RISORSE UMANE
Le Società del Gruppo riconoscono la centralità delle Risorse Umane, nella convinzione
che il principale fattore di successo di ogni impresa sia costituito dal contributo
professionale delle persone che vi operano, in un quadro di lealtà e fiducia reciproca.
Le Società del Gruppo tutelano la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e ritengono
fondamentale, nell‟espletamento dell‟attività economica, il rispetto dei diritti dei
lavoratori. La gestione dei rapporti di lavoro è orientata a garantire pari opportunità e a
favorire la crescita professionale di ciascuno.
Sono stati realizzati i seguenti progetti e iniziative a favore dei dipendenti:
Asili Nido: sono stati aperti altri 2 asili nido (Roma e Catanzaro) che vanno ad
aggiungersi ai 7 già operativi a Rivoli (TO), Milano, Ancona, Roma (2), Napoli,
Palermo.
Prestiti mamme e papà: sono stati concessi 253 prestiti per i neo genitori con
bambini sino a tre anni di età.
Children’s day: 23 maggio 2008, in occasione della festa della mamma e del
papà che lavorano, in tutte le sedi Telecom Italia i fi gli dei dipendenti hanno
potuto visitare il luogo di lavoro dei genitori. In 41 sedi si sono svolte feste con
animazione, merenda e distribuzione di piccoli doni. Hanno partecipato 5.700
bambini.
Permessi mamma e papà: libretti di assegni tempo di 150 ore annue di
permesso, da restituire con prestazioni supplementari, destinati ai dipendenti
sino al 5° livello con bambini fi no a 8 anni di età.
Permessi corsi pre-parto: permessi retribuiti, fino a un massimo di 12 ore
mensili da recuperare, concessi a lavoratrici gestanti e lavoratori padri.
Prestiti aziendali: sono stati erogati 463 prestiti di cui 62 per
l‟acquisto/costruzione casa, 69 per affrontare spese di ristrutturazione casa e
332 per motivazioni varie.
92
Fedeltà aziendale: nell‟anno 2008 sono stati premiati 4.300 dipendenti per i 25,
30 e 35 anni di anzianità.
5.1.2 - AZIONISTI
Le Società del Gruppo sono consapevoli dell‟importanza che un‟informazione corretta
sulle proprie attività riveste per il mercato, gli investitori e la Comunità in genere.
Ferme restando le esigenze di riservatezza richieste dalla conduzione del business, le
Società del Gruppo comunicano con il mercato e gli investitori nel rispetto dei criteri di
trasparenza, correttezza, chiarezza e parità di accesso all‟informazione.
Le Società del Gruppo si impegnano a garantire parità di trattamento a tutte le categorie
di azionisti, evitando comportamenti preferenziali. I vantaggi derivanti
dall‟appartenenza ad un Gruppo di imprese vengono perseguiti nel rispetto delle
normative applicabili e dell‟interesse autonomo di ciascuna Società alla redditività della
propria attività e alla creazione di valore per i propri azionisti.
La società ha organizzato, nel 2008, più di 200 incontri formali con il mercato (analisti
fi nanziari, investitori istituzionali e individuali) consistenti in conference call
trimestrali, road show e partecipazione a conferenze settoriali, a cui si aggiungono i
contatti quotidiani attraverso incontri diretti e conversazioni telefoniche.
Particolare importanza ha rivestito la comunicazione finanziaria rivolta agli investitori
con focus specifico sul Socially Responsible Investing (SRI), attuata di concerto con la
funzione Group Sustainability. Si tratta di investitori che privilegiano nelle loro scelte di
investimento le aziende particolarmente attente agli aspetti etici, sociali e ambientali,
senza tralasciare gli aspetti economici.
Sul fronte dei rapporti con gli azionisti individuali (retail), che ad oggi rappresentano –
per i soli possessori di azioni ordinarie – oltre 630 mila individui, la strategia di
Telecom Italia mira ad aumentare i canali di comunicazione finanziaria, al fine di
rispondere in maniera efficace alla crescente richiesta di informazione e di tempestivo
aggiornamento sul Gruppo.
Strumento centrale di tale strategia è il Club degli azionisti “TI Alw@ys ON” . Avviato
nel 2006, il Club rappresenta il luogo di incontro virtuale tra l‟azienda e i suoi
investitori individuali ed è aperto anche a chiunque desidera ricevere informazioni
93
sull‟andamento del titolo in Borsa e sul business sviluppato dal Gruppo. Infatti, anche
chi non possiede azioni della Società può iscriversi al profilo base del club dei soci,
ottenendo gli stessi servizi gratuiti riservati agli azionisti, che includono:
SMS alert, che comunica ogni giorno il prezzo di chiusura e la variazione
percentuale rispetto al giorno precedente delle azioni Telecom Italia ordinarie e
di risparmio, oltre alla variazione percentuale giornaliera dell‟indice S&P/Mib;
Report di Borsa settimanale, che viene inviato ogni venerdì sera entro un‟ora
dalla chiusura delle contrattazioni di Borsa e che riassume l‟andamento della
settimana;
Newsletter trimestrale, che contiene un commento sui più recenti risultati
economico-finanziari unitamente alle ultime novità sul Gruppo, gli
aggiornamenti tecnologici e di marketing, le interviste rilasciate dai manager, i
risultati di business all‟estero e gli appuntamenti futuri.
Telecom Italia fornisce agli azionisti anche la Guida dell‟azionista individuale, un
documento di approfondimento sul Gruppo, disponibile per chiunque ne faccia richiesta
e reperibile sul sito istituzionale.
Da settembre 2008 la funzione Investor Relations ha, inoltre, rafforzato la propria
struttura organizzativa attraverso la creazione di un presidio specializzato per la
gestione dei rapporti con obbligazionisti.
5.2 - GLI STAKEHOLDER ESTERNI
5.2.1 - CLIENTI
Le società del Gruppo Telecom Italia fondano l‟eccellenza dei prodotti e dei servizi
offerti sull‟attenzione alla clientela e sulla disponibilità a soddisfarne le richieste.
L‟obiettivo perseguito è di garantire una risposta immediata e competente alle esigenze
della clientela, uniformando i propri comportamenti a correttezza negoziale, trasparenza
nei rapporti e negli impegni contrattuali, cortesia e collaborazione, nella logica della
centralità del cliente e nel pieno rispetto dei principi di disciplina disposti da procedure
94
aziendali. In tale contesto è valorizzata, altresì, l‟attività di collaborazione con le
associazioni dei consumatori anche attraverso la stipula di accordi specifici in materia.
Telecom Italia ascolta il cliente attraverso un sistema che prende in considerazione sia
la sua valutazione complessiva nel tempo, frutto di tutti i contatti con Telecom Italia, sia
la valutazione specifica sulle ultime occasioni di contatto (per esempio l‟attivazione di
una linea ADSL, una richiesta di informazioni o una segnalazione di disservizio). I
contributi raccolti vengono utilizzati per migliorare i processi organizzativi, al fine di
fornire un servizio sempre più rispondente alle esigenze manifestate.
Alcune delle principali iniziative poste in essere dal Gruppo allo scopo di migliorare la
soddisfazione dei clienti sono:
il progetto “Evolution” ha l‟obiettivo di fornire al cliente chiarezza e tempi certi
per l‟attivazione della linea telefonica e dei servizi dati. L‟operatore telefonico
concorda con il cliente la data e l‟ora dell‟intervento del tecnico; eventuali
spostamenti dell‟appuntamento sono stabiliti in piena sintonia con il cliente. Il
progetto, lanciato nel 2006, ha visto il consolidamento degli obiettivi sui servizi
di fonia (clienti residenziali e business) e banda larga (clienti residenziali). Gli
sviluppi prevedono maggiore flessibilità nella gestione dell‟appuntamento e
l‟estensione delle procedure anche ad alcuni servizi di banda larga (“Alice
Business”) dei clienti business, a completamento del progetto.
Il portale “187.it” è un importante strumento a disposizione dei clienti
residenziali di Telecom Italia.
È stato realizzato un call center in 9 lingue che eroga un servizio di
informazioni sull‟elenco abbonati, farmacie, ristoranti, alberghi, viabilità, voli e
treni, meteo, cinema e anche su temi socialmente utili come permessi di
soggiorno, visti, ricerca alloggio e lavoro.
5.2.2 - FORNITORI
Le Società del Gruppo assicurano che i processi d‟acquisto siano finalizzati
all‟approvvigionamento di prodotti e servizi alle migliori condizioni di mercato,
assicurando al contempo i requisiti di qualità, sicurezza e rispetto ambientale. Il
processo di acquisto si basa sul confronto competitivo di offerte tecnico/economiche di
95
fornitori selezionati in base a procedure aziendali valide a livello di Gruppo e
improntate all‟eticità negoziale. Il Gruppo intende garantire la qualità dei processi
d‟acquisto e il loro miglioramento continuo, anche in ottica di green procurement,
conseguendo le relative certificazioni di qualità.
Alcune delle iniziative attuate nel corso del 2008 sono state le seguenti:
è proseguita l‟applicazione delle “Linee Guida per la Valutazione del Ciclo di
Vita dei prodotti” (emesse a fine 2006) a 22 prodotti. Tali linee guida
consentono di valutare, attraverso un indice di eco-compatibilità, in che misura i
beni acquisiti, gestiti e commercializzati dal Gruppo soddisfino i requisiti
relativi alle normative ambientali di riferimento e siano progettati, realizzati,
utilizzati e dismessi in modo da facilitare la gestione dell‟intero ciclo di vita, dal
punto di vista ambientale ed economico.
Il Gruppo Telecom Italia dal 2006 partecipa ai lavori di un gruppo di studio e di
indirizzo strategico per la Sostenibilità e Integrità nei Rapporti con i Fornitori
(SIRF) che coinvolge alcune tra le più importanti aziende italiane operanti nei
comparti servizi e manifatturiero. A seguito della formalizzazione delle regole
di condotta e dei criteri di attuazione del processo di approvvigionamento,
attraverso specifiche linee guida che si ispirano agli standard internazionali in
materia di responsabilità di impresa, è stato effettuato un assessment anche nel
2008 (con riferimento all‟anno 2007). Il rating di conformità alle linee guida
SIRF del Gruppo Telecom Italia, gestito da una primaria società indipendente di
valutazione e basato su una scala pentenaria, è risultato “ottimo” anche per
l‟anno 2007, con un miglioramento complessivo della valutazione (il punteggio
totalizzato è stato di 87,40% contro l‟83,42% del 2006).
Sono proseguite le attività di verifica sui fornitori delle società controllate
estere. In particolare, i principali fornitori della controllata Hansenet
Telekommunikation GmbH (Germania) hanno aderito ai principi del Codice
Etico e di Condotta del Gruppo Telecom Italia.
E‟ stata attivata la prima e-community dei principali fornitori, relativamente al
comparto dei lavori di rete, con lo scopo di migliorare la comunicazione con e
tra i fornitori, principalmente sulle tematiche riguardanti la Sostenibilità sociale
e ambientale. L‟iniziativa ha coinvolto il comparto delle imprese di rete che da
96
sempre è oggetto di particolare attenzione, proprio per l‟importanza delle
tematiche di sicurezza sul lavoro che l‟attività presenta.
5.2.3 - CONCORRENTI
Le Società del Gruppo si impegnano a promuovere una competizione leale, considerata
funzionale all‟interesse del Gruppo e a quello di tutti gli operatori di mercato, dei clienti
e degli stakeholder in genere.
Alcune attività di collaborazione con i concorrenti a livello nazionale sono:
Confindustria e associazioni di categoria: Telecom Italia è impegnata
nell‟attività di gestione dei rapporti associativi e nel coordinamento delle
attività di rappresentanza nei confronti di Confi ndustria e delle associazioni che
di essa fanno parte. Le iniziative a livello nazionale e locale, che in alcuni casi
sono oggetto di concertazione con i concorrenti, consistono nello svolgimento
di azioni e incontri relativi allo sviluppo del business e alla tutela degli interessi
aziendali sui temi economici, normativi, sindacali e del lavoro. Il Gruppo
aderisce a 100 associazioni territoriali e alle seguenti federazioni/associazioni di
categoria: Confi ndustria Servizi Innovativi, Asstel, Assoelettrica.
DGTVi: Telecom Italia Media è associata a DGTVi (Associazione nazionale per
il digitale terrestre) insieme a Rai, Mediaset, D-Free, Aeranti-Corallo e FRT.
Da marzo 2008 la presidenza è in capo a Mediaset. Nell‟anno 2008 l‟attività
dell‟Associazione si è concentrata sia sulle fasi conclusive del passaggio dalla
televisione analogica a quella digitale terrestre, avvenuto in Sardegna il 31
ottobre 2008, sia sui lavori avviati nell‟ambito delle taskforce istituite per le
regioni che affronteranno tale passaggio al digitale nel 2009: Valle d‟Aosta,
Piemonte, province di Trento e Bolzano, Lazio e Campania. Si sottolinea che
Telecom Italia Media partecipa attivamente a ciascuna task-force.
L‟Associazione ha organizzato la quarta conferenza nazionale sul digitale
terrestre che si terrà a Roma il 20 e 21 gennaio 2009.
Distretto dell’Audiovisivo e dell’ICT: Telecom Italia partecipa al Distretto, un
Consorzio di circa 60 imprese che operano nei settori dell‟informatica, delle
TLC, del networking e dei media. Patrocinato dal Comune di Roma,
dall‟Unione degli Industriali e dalla Camera di Commercio di Roma, si è
97
costituito in Italia per rappresentare le aziende che operano sui temi della
multimedialità.
Alcune attività di collaborazione con i concorrenti a livello internazionale sono:
ETNO (European Telecommunications Network Operators‟ Association):
associazione di settore che ha tra i suoi obiettivi lo sviluppo di un mercato
europeo delle TLC competitivo ed efficiente attraverso il coordinamento tra gli
operatori e il dialogo con le Istituzioni;
GSMA (GSMA Europe): associazione che riunisce gli operatori mobili europei
e ha tra i suoi obiettivi lo sviluppo del mercato europeo della telefonia e dei
servizi mobili, con una particolare attenzione agli aspetti regolatori;
ITU (International Telecommunications Union): agenzia ONU con l‟obiettivo di
favorire l‟elaborazione condivisa tra Governi e settore privato di standard
tecnici internazionali, di procedure operative per servizi wireless e di
programmi per il miglioramento delle infrastrutture di TLC nei Paesi in via di
sviluppo;
5.2.4 - ISTITUZIONI
Il Gruppo Telecom Italia intende mantenere un rapporto collaborativo e trasparente con
le Istituzioni sovranazionali e nazionali, con l‟obiettivo di facilitare il dialogo su temi di
interesse comune e assicurare una corretta rappresentazione della posizione del Gruppo.
L‟attività normativa delle Istituzioni nazionali, centrali (Parlamento, Governo) e locali
(Regioni, Enti locali e Autorità indipendenti di settore), è oggetto di costante presidio da
parte del Gruppo. Viene monitorato l‟iter di approvazione dei principali atti legislativi
aventi per oggetto le materie di interesse. A tal fine Telecom Italia interagisce con le
Istituzioni nazionali competenti (Commissioni parlamentari, Ministero dello Sviluppo
Economico e altri Dicasteri, Autorità locali) e con la Commissione Europea e i Comitati
di regolamentazione da questa presidiati, il Consiglio, il Parlamento europeo e l‟ERG
(European Regulators Group).
98
5.2.5 - AMBIENTE
La strategia ambientale delle Società del Gruppo è fondata sui seguenti principi:
ottimizzare l‟utilizzo delle fonti energetiche e delle risorse naturali;
minimizzare gli impatti ambientali negativi e massimizzare quelli positivi;
perseguire il miglioramento delle performance ambientali;
adottare politiche di acquisto sensibili alle tematiche ambientali;
diffondere la cultura di un corretto approccio alle tematiche ambientali.
Per migliorare il profilo di product stewardship aziendale, i prodotti/servizi
commercializzati da Telecom Italia S.p.A. vengono esaminati anche in funzione dei
seguenti criteri:
salute e sicurezza dei consumatori;
etichettatura di prodotti e servizi (labelling);
comunicazioni di marketing;
rispetto della privacy;
conformità alle normative applicabili;
impatto ambientale del prodotto.
I prodotti commercializzati sono soggetti a test tecnici indirizzati ad assicurare la loro
conformità a Direttive Europee e alle Leggi nazionali di Recepimento. Fra le principali
si segnalano:
la normativa UE sulla protezione e sicurezza nell‟uso delle apparecchiature da
parte dei clienti;
la normativa RoHS che proibisce l‟uso di certe sostanze nelle apparecchiature
elettriche ed elettroniche;
la normativa RAEE sullo smaltimento dei prodotti a fine ciclo di vita.
Test di qualità vengono condotti sui prodotti per verificare la loro corrispondenza con i
requisiti ambientali e di sicurezza concordati con i fornitori. Per le verifiche condotte sui
terminali mobili si rinvia al paragrafo precedente.
99
Nel corso del 2008 la metodologia dell‟Analisi del Ciclo di Vita (Life Cicle Assessment
- LCA) è stata applicata a 22 prodotti per commercializzazione (cellulari, terminali fissi,
fax e stampanti), nell‟ambito del progetto Green Procurement.
L‟approccio LCA consente, tra l‟altro, la valutazione dei carichi energetici e ambientali
associati ad un prodotto/servizio lungo l‟intero ciclo di vita.
Telecom Italia ha inoltre condotto in collaborazione con l‟Università di Palermo –
Dipartimento di Ingegneria Chimica dei processi e dei materiali – un‟analisi sui
materiali per la costruzione del guscio dei telefoni cordless e della relativa cavetteria
nell‟ambito dello sviluppo di un nuovo terminale mobile a ridotto impatto ambientale.
L‟analisi, effettuata con metodologia LCA, ha confrontato un copolimero di origine
fossile (acrilonitrile butadiene stirene, ABS) con un polimero biodegradabile
proveniente da fonti rinnovabili (acido polilattico, PLA). La valutazione ha riguardato
tre macro-categorie: Salute Umana, Ecosistema e Sfruttamento delle Risorse. Il PLA è
risultato di minore impatto complessivo e potrà sostituire l‟ABS normalmente utilizzato
nella produzione dei terminali.
5.2.6 - COMUNITÁ
Le Società del Gruppo intendono contribuire al benessere economico e alla crescita
delle comunità nelle quali operano attraverso l'erogazione di servizi efficienti e tecnolo-
gicamente avanzati. In coerenza con tali obiettivi e con gli impegni assunti verso gli
stakeholder, la ricerca e l‟innovazione rappresentano una condizione prioritaria di
crescita e successo. Compatibilmente con la propria natura di soggetti privati e le
connesse esigenze di una gestione economicamente efficiente, le Società del Gruppo
tengono in considerazione la rilevanza sociale dei servizi di TLC, rispondendo ai
bisogni della collettività anche nelle sue componenti più deboli. Le Società del Gruppo
considerano con favore e, se del caso, forniscono sostegno a iniziative sociali, culturali
ed educative orientate alla promozione della persona e al miglioramento delle sue
condizioni di vita.
Nel corso del 2008 è stata costituita la Fondazione Telecom Italia, operativa dal 2009.
La Fondazione è una delle espressioni della strategia di Sostenibilità del Gruppo
Telecom Italia nei confronti della Comunità. Con la sua costituzione Telecom Italia
100
intende rafforzare l‟impegno del Gruppo a favore delle comunità in cui opera,
promuovendo idee e progetti volti a migliorare le condizioni di vita delle persone. In
particolare la Fondazione è attiva:
nel campo del sociale, sviluppando progetti educativi e assistenziali dedicati
alle categorie e alle fasce di popolazione meno protette o svantaggiate;
nello sviluppo di progetti dedicati all‟educazione, all‟istruzione e alla ricerca
scientifica;
nella tutela del patrimonio storico-artistico, sviluppando modi e forme
innovativi di fruizione e diffusione della conoscenza.
Il Presidente della Fondazione, il professor Joaquín Navarro-Valls, si avvarrà del
supporto di un Comitato Scientifico di Indirizzo, composto da esperti dei diversi ambiti
d‟intervento, per la definizione del piano operativo delle attività.
La Fondazione Telecom Italia – che ha sede a Roma – è una fondazione d‟impresa di
tipo erogativo, dotata di un fondo di gestione legato alla redditività del Gruppo Telecom
Italia. Per il 2009 l‟impegno finanziario previsto è pari allo 0,5 per mille dell‟EBITDA
consolidato, relativo all‟anno 2008.
101
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