REGIONE LAZIO UNIVERSITÀ DEGLI
STUDI DELLA TUSCIA
IDENTITÀ E TRADIZIONE
GASTRONOMICA NEL LAZIOLe ricette, le testimonianze
e il mondo degli agriturismo
ricerca a cura del BAICR,diretta da Corrado Barberis
Quaderni di informazione socio-economican. 10
Assessoratoall’agricoltura
Dipartimento di economia
agroforestale e dell’ambiente
rurale
REGIONE LAZIO UNIVERSITÀ DEGLI
STUDI DELLA TUSCIA
REGIONE LAZIOAssessorato all’AgricolturaArea AServizio di Informazione Socio-economicaVia Rosa Raimondi Garibaldi, 7 - 00145 Roma
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TUSCIADipartimento di Economia Agroforestale e dell’Ambiente RuraleVia San Camillo De Lellis, snc - 01100 Viterbo
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“Quaderni di informazione socio-economica” Coordinatore editoriale: Pier Luigi Cataldi
IDENTITÀ E TRADIZIONE GASTRONOMICA NEL LAZIO
Le ricette, le testimonianze e il mondo degli agriturismo
A CURA DI:Corrado Barberis - presidente dell’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale
HANNO COLLABORATO:Oretta Zanini De Vita - esperta di storia dell’alimentazione e di tradizioni gastronomiche, ha curato numerose e importanti pubblicazioni di argomentogastronomicoValentina Piccinin - ricercatrice del BAICR, esperta di beni culturali, autricedella ricerca su fonti e testimonianze dell’enogastronomia nel LazioMirella Frapparelli - consulente del BAICR, esperta di enogastronomia, ha condottoed elaborato l’indagine sugli agriturismo
Editing Lucio D’Amelia - consulente del BAICR, esperto di comunicazione e di editoria
Il decimo volume della collana “Quaderni di informazione socio-economica”è dedicato al tema della cultura enogastronomica e del turismo locale nelLazio.La collana è frutto di una collaborazione tra il Servizio di informazione so-cio-economica della Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio e il Di-par-timento di Economia Agroforestale e dell’Ambiente Rurale dell’Univer-sità degli Studi della Tuscia.Il progetto consiste nella realizzazione di una serie di pubblicazioni a carat-tere monografico relative all’analisi e allo studio delle problematiche inerentiil settore agricolo e, più in generale, lo sviluppo agricolo delle aree rurali delLazio.Nella collana sono stati pubblicati i seguenti Quaderni:
1. “Le aree rurali del Lazio”2. “Percorsi di sviluppo locale: il caso del Lazio”3. “Indagine sui prodotti agricoli della Regione Lazio”4. “I musei etnografici del Lazio”5. “L’architettura rurale del Lazio”6. “Le terre collettive nel Lazio”7. “Il Lazio agricolo attraverso il censimento del 2000”8. “I giovani e le donne nell’agricoltura del Lazio”9. “Il turismo rurale del Lazio”.
INDICE
Prefazione pag. 9
Introduzione " 11
PARTE PRIMARICETTE, TESTIMONIANZE E ISTITUZIONI
Le fonti e il territorio: testimonianze e istituzioni " 17
Il Lazio: i piatti della tradizione " 33
PARTE SECONDAIL MONDO DEGLI AGRITURISMO NEL LAZIO
Gli agriturismo tra storia e cultura " 67
I menu agrituristici tra statistica e monitoraggio " 76
Bibliografia " 83
Sitigrafia " 89
Appendice ILe sagre gastronomiche nel Lazio " 91
Appendice IILegge Regionale 10 novembre 1987, n. 36 " 107
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PREFAZIONE
Il mondo rurale del Lazio, la sua storia, i suoi costumi, le sue tradizionicostituiscono il vero patrimonio e una autentica ricchezza della nostra Regio-ne. Un patrimonio spesso dimenticato, ma che non cessa di essere il nucleovivo e vitale della storia di tutti noi.
Questa risorsa non può essere confinata in libri, ricerche, documentari, mava riscoperta, valorizzata e posta al centro di piani e programmi di sviluppo.
Con questo Quaderno abbiamo cercato di individuare elementi dell’anti-co mondo rurale ancora vitali con l’intento di suggerire possibili percorsi divalorizzazione delle tradizioni della cucina rurale.
E’ infatti nelle ricette della tradizione che si ritrovano i prodotti tipici, fe-deli custodi di genuini sapori, di antiche tradizioni e della storia di un luogo,capaci di guidare alla riscoperta della nostra terra.
Rappresentando infatti un vera e propria attrazione turistica, possonocontribuire in maniera incisiva al rilancio economico di un territorio. Adegua-tamente valorizzati e inseriti in specifici e caratteristici percorsi turistici eagrituristici, possono fungere da veri catalizzatori, promuovendo essi stessi laqualità dell'offerta.
Mi auguro quindi che questo Quaderno, oltre a costituire un interessantemomento di approfondimento sulla storia e la tradizione della cucina ruraledel Lazio, possa essere di stimolo allo sviluppo di progetti di qualificazionedell’offerta agrituristica della nostra regione attraverso il recupero e la valoriz-zazione delle nostre più autentiche tradizioni culinarie.
L’Assessore all’AgricolturaAntonello Iannarilli
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INTRODUZIONE
di Madel Crasta*
La ricerca che si presenta in questo quaderno nasce dall’incontro fra isti-tuzioni diverse, ma complementari, nel perseguire obiettivi di valorizzazionedelle conoscenze legate all’identità del territorio: il Consorzio BAICR/SistemaCultura1 e l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio che in collabora-zione con la Facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia pubblica i “Qua-derni di informazione socio-economica”.
Il BAICR è impegnato per statuto sui temi della trasmissione della memo-ria culturale, anche nell’ambito della tradizione gastronomica intesa comecomponente fondante della identità e della fisionomia culturale del nostroPaese. Con la realizzazione nel 2000 del sito/banca dati “Cultura gastronomi-ca italiana”, in collaborazione con le Regioni Emilia-Romagna e Piemonte econ l'Università di Bologna, il BAICR ha dato concreta attuazione al ricono-scimento dei beni enogastronomici e dei saperi connessi quali beni culturali atutti gli effetti, preziose testimonianze di civiltà. Il sito, infatti, è dedicato allaricostruzione di luoghi, immagini, libri e protagonisti della civiltà della tavolae mira ad offrire, con l’efficacia della multimedialità, un apparato di ricercaattraverso i secoli aggiornato e indicizzato per ricerche full text.
Coerentemente il progetto di questo quaderno si fonda sull'obiettivo con-diviso di verificare la vitalità della cultura locale nel trasmettere e conservareil sapere della cucina tradizionale. Naturalmente il tempo e le risorse disponi-bili non consentivano un’indagine esaustiva su tutti i possibili aspetti dellacucina tipica e dei modi della sua trasmissione e si è quindi scelto di indivi-duare alcuni piani tipici ed insieme modalità e istituzioni ritenute significativerispetto agli obiettivi indicati. Si è partiti dalla convinzione, ormai diffusa frastudiosi ed esperti, che, nonostante la pressione mediatica (libri, riviste, tra-smissioni televisive) che non manca di presentare in ogni occasione tavoleimbandite con piatti tradizionali, si stia perdendo di fatto negli strati più ampidella popolazione un bagaglio di conoscenze e tradizioni alimentari diffuse etrasmesse per secoli da generazione in generazione. Pare evidente che la con-tinua evocazione della memoria non sia purtroppo sufficiente ad assicurarne latrasmissione, se non si realizzano nel contempo diffuse condizioni di incontro
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*Segretario generale del BAICR1Consorzio formato nel 1991 dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, la Fondazione
Basso-ISSOCO, l’Istituto Gramsci, l’Istituto Luigi Sturzo e la Società Geografica Italiana.
con i contenuti e gli oggetti del passato, perché è questo incontro non episodi-co che, in definitiva, li rende riconoscibili come parte della nostra storia edanche del vissuto individuale.
Per chi si occupa di istituzioni culturali e di luoghi della memoria è quasinaturale chiedersi quali strutture, quali luoghi e categorie possano svolgere unruolo concreto ed efficace nell’arginare o anche invertire questo inesorabile eveloce processo di perdita culturale, ma non solo. Il cambiamento delle abitu-dini alimentari infatti si riflette su aspetti economici e produttivi come l’agri-coltura, l’utilizzo di prodotti tipici locali, il turismo e il circuito della ristora-zione. Indagare sui piatti della tradizione locale, individuati con rigore dagliesperti, sul permanere del loro ricordo nella cultura diffusa del territorio, suiluoghi dove questo sapere può mantenersi vivo, è sembrato un modo efficaceper superare i discorsi un po’ retorici sulla memoria, per andare a vedere nelfarsi della vita quotidiana chi e come può interpretarla e rinnovarla.
Il progetto diretto dal prof. Corrado Barberis, presidente dell'IstitutoNazionale di Sociologia Rurale (INSOR), si articola in due parti: la prima rac-coglie la descrizione dei piatti tradizionali, collocati nella cornice del territorio,insieme a fonti e testimonianze sulle condizioni che ne consentono la memorianel presente; la seconda individua negli agriturismo luoghi potenzialmente pri-vilegiati per la valorizzazione della cucina tradizionale e, attraverso un'indagi-ne conoscitiva sul totale delle aziende attive nel Lazio, si propone di verifica-re se e in quale misura gli operatori del settore svolgano un ruolo propositivonella valorizzazione della tradizione locale.
Si è trattato di verificare preliminarmente la tipicità delle ricette selezio-nate dall’esperta Oretta Zanini De Vita, attraverso lo spoglio di una campiona-tura di fonti scritte sull’argomento e di verificare successivamente la effettivapermanenza di tali ricette all’interno della memoria collettiva dell’area geo-grafica di riferimento, tramite interviste ad anziani, gestori di ristoranti tipici edesperti.
La necessità di queste verifiche è stata dettata dall’obbligo di corredare difonti affermazioni e dati, obbligo a volte disatteso nell’ambito della storiagastronomica locale, dove regna soprattutto la tradizione orale e i documentiscritti di riferimento sono pochi.
Nel corso della ricerca sono emersi alcuni luoghi e momenti significativinel comunicare un ricordo vivo e concretamente vissuto della cucina tipica edei suoi ingredienti: per questo si è ritenuto utile arricchire il quaderno con idati relativi a questa realtà anche per valorizzarne il ruolo, nella convinzioneche la continuità dei luoghi della memoria e l'effimero degli eventi possanoutilmente integrarsi, se l'obiettivo di politica culturale è presente e condiviso
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dagli amministratori nel governo del territorio. Come emerge dalla suggestivaricostruzione di Oretta Zanini De Vita l'intreccio inseparabile di tradizione,ingredienti e ambiente, che dà vita ai piatti tipici, ha bisogno per vivere, e nonmeramente sopravvivere, di sensibilità e conoscenze capaci di interpretare ilpassato di una società profondamente cambiata. Ciò che il BAICR, insiemeall'Assessorato all'Agricoltura, si augura è che anche gli obiettivi di natura eco-nomica e turistica si nutrano, per essere efficaci, di queste conoscenze.
Le logiche dell’economia della cultura e i più recenti sviluppi del turismoculturale presuppongono una sapiente integrazione tra le diverse anime dellafisionomia locale. Una programmazione tesa allo sviluppo complessivo del ter-ritorio può oggi, a differenza del passato, mettere allo stesso tavolo le compe-tenze della produzione e dei servizi con quelle della cultura e del patrimoniostorico-artistico. Questa convergenza è attualmente visibile nell’esperienza deiparchi, delle dimore storiche, della living history e di altri eventi culturali,come ad esempio i festival della letteratura o della poesia, che ogni anno atti-rano un pubblico sempre crescente.
Il quaderno, in conclusione, cerca di dare un suo contributo originale auna progettualità condivisa per la valorizzazione della tradizione agricola erurale.
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PARTE PRIMARICETTE, TESTIMONIANZE
E ISTITUZIONI
LE FONTI E IL TERRITORIO:TESTIMONIANZE E ISTITUZIONI
di Valentina Piccinin
Come primo passo di una ricerca sul campo dedicata alla identità gastro-nomica del Lazio, è sembrato necessario esaminare in quale modo e in qualemisura le fonti documentarie a disposizione consentano una trasmissione effi-cace attraverso il tempo delle ricette tradizionali selezionate dagli esperti; per-ché ciò fosse possibile, si è proceduto a una sorta di censimento del materiale,relativo alla gastronomia del territorio, presente all’interno delle raccolte docu-mentarie degli istituti chiamati alla conservazione.
A questo scopo, sono state condotte ricerche che hanno coinvolto biblio-teche e archivi disseminati nell’intero territorio regionale; nel caso delle biblio-teche, ci si è intenzionalmente rivolti in modo particolare a quelle le cui rac-colte, o parte di esse – per ragioni storiche o di precise scelte in tema di acqui-sizioni, oppure ancora per la loro natura istituzionale –, fossero in maniera piùo meno specifica orientate verso i temi della gastronomia. Per quanto riguardale biblioteche romane, il nucleo centrale delle ricerche si è concentrato sullaBiblioteca Nazionale Centrale, sulla Vallicelliana, sulla Casanatense, di StoriaModerna e Contemporanea e sulla biblioteca della Fondazione Marco Besso, ilcui patrimonio bibliografico da sempre si distingue per la cospicua presenza diopere su Roma e sul Lazio.
L’attenzione si è rivolta anche a biblioteche attive nelle aree provinciali;per ciascuna area, dunque, è stata selezionata una biblioteca pubblica campio-ne, ritenendo che il legame che queste biblioteche, per ragioni istituzionali,hanno con l’area geografica di riferimento, avesse potuto determinare, nellastrutturazione delle loro raccolte, un orientamento verso un aspetto non secon-dario della storia dell’area, qual è appunto la storia della gastronomia locale.
Sulla base di tale criterio, sono state selezionate le seguenti biblioteche:- la Biblioteca Paroniana Comunale di Rieti,- il Museo e Biblioteca del Centro Storico Culturale di Gaeta,- la Biblioteca Associata Comunale e Provinciale Alberto Bragaglia di
Frosinone,- la Biblioteca Comunale degli Ardenti di Viterbo.Al Direttore di ognuna di queste biblioteche è stata inviata una lettera
nella quale, dopo aver brevemente descritto la natura e le finalità della ricerca,veniva domandato di segnalare l’eventuale presenza, all’interno della propriabiblioteca, di materiale bibliografico e documentario che potesse rivelarsi utileai fini dell’indagine.
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A completamento della ricerca, è stato inoltre consultato, all’indirizzoInternet www.sbn.uniroma1.it/cataloghi, l’OPAC del Polo SBN-RMS, catalo-go collettivo delle biblioteche d’Ateneo dell’Università degli Studi di Roma“La Sapienza”, delle biblioteche della Regione Lazio, della provincia di Roma,e di altri Enti pubblici e privati.
L’attività di verifica preliminare è stata estesa anche all’ambito archivi-stico e, secondo le stesse modalità utilizzate nel caso delle biblioteche, sonostati contattati gli Archivi di Stato di ciascuno dei capoluoghi di provincia.
La ricerca così condotta ha portato alla redazione di una bibliografia diriferimento, riportata alle pp. 83-88, che, sottoposta al vaglio di esperti dellamateria, è stata successivamente da questi selezionata e ridotta, mantenendosoltanto quei documenti ritenuti di particolare rilevanza e pertinenza con lefinalità dell’indagine, a ragione del loro valore storico, dell’esaustività nellatrattazione, dell’autorevolezza degli autori, della centralità conferita al temadella gastronomia locale.
Attraverso l’analisi dei documenti è stata confermata l’appartenenza allatradizione locale delle ricette precedentemente selezionate da Oretta Zanini DeVita: la citazione di una ricetta all’interno di questi documenti attesta, infatti,la tipicità di tale ricetta, in quanto ne fornisce garanzia documentata della suastoricità e del suo legame con la tradizione gastronomica locale.
Nella seconda parte della ricerca, il cui scopo era di reperire elementi diconferma della validità delle scelte effettuate, ci si è rivolti all’ambito dellamemoria orale collettiva, e, secondo le indicazioni e i suggerimenti del prof.Corrado Barberis, coordinatore della ricerca, sono state effettuate intervisteentro tutto il territorio della regione. Questa fase della ricerca è stata intenzio-nalmente improntata a criteri di selettività e rappresentatività: si è scelto cioèdi rivolgersi a un campione limitato di persone – anziani, ristoratori, assessori,cultori di storia locale, ecc., della cui testimonianza fosse certo il valore – perragioni di età nel caso degli anziani, per motivi legati alla professione nel casodei gestori di ristoranti tipici e degli assessori, oppure sulla base di segnalazio-ni di esperti della materia e personalità autorevoli.
Per ciascuna delle cinque aree provinciali, sono stati identificati uno o duecomuni di riferimento: Palombara e Nerola per la provincia di Roma, Tarquiniaper la Provincia di Viterbo, Collepardo per la Provincia di Frosinone, Orvinioper quella di Rieti e Priverno per quella di Latina. In ogni centro sono staterivolte le medesime domande, preparate in collaborazione con il prof. Barberis,a gruppi di circa 25 persone, delle quali metà anziani, di età compresa tra i set-tanta e i novant’anni, e l’altra metà adulti tra i quarantacinque e i sessant’anni,e giovani fino a trent’anni.
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In alcuni casi, come ad esempio a Tarquinia e Priverno, i gestori dei dueristoranti tipici ai quali ci si è rivolti – rispettivamente il Ristorante Gradinoroper Tarquinia e l’Antica Osteria Fanti per Priverno – hanno svolto con estremadisponibilità il duplice ruolo di intervistati, mettendo a disposizione della ricer-ca le proprie conoscenze e i propri ricordi di infanzia, e di punto di contatto conle istituzioni locali, rendendo possibile l’incontro con due Assessori dei rispet-tivi Comuni, i quali hanno a loro volta fornito i nominativi di concittadini dellacui testimonianza ci si è in seguito avvalsi.
Il tratto più singolare della memoria gastronomica nel territorio, intesanella sua accezione di storia delle ricette tradizionali, risiede certamente nellapeculiarità che ha caratterizzato – e, sotto molti aspetti, continua tuttora a carat-terizzare – l’approccio a queste tematiche a livello locale.
Contrariamente infatti a quanto si è verificato per le discipline storichelegate alla storia della gastronomia e della alimentazione, le quali hanno datoluogo, in Italia e in Europa, a studi di grande valore scientifico1, nel momentoin cui ci si sposta nel terreno della storia locale si assiste a una sostanziale mo-difica dello scenario delle fonti, modifica in buona parte motivata dal fatto chela storiografia non ha, in passato, considerato la cucina tradizionale del territo-rio come materia degna di essere sottoposta a indagini colte; tale posizione hain molti casi impedito l’emergere di quelle fonti documentarie, che la metodo-logia dell’indagine storica sottopone ad analisi e verifiche.
Una delle possibili motivazioni è forse da ricercare nel fatto che, ancorain molti casi, risulta difficile svincolarsi dall’impostazione tradizionale – chevuole il titolo di fonte conferito soltanto ad alcune tipologie documentarie – ericonoscere invece, anche nel cibo, una testimonianza di pari dignità, dellaquale avvalersi nella ricostruzione di un processo storico; una ricetta, un piat-to tipico non forniscono minori informazioni rispetto a un documento ufficia-le: lo fanno in maniera differente, con un linguaggio proprio, ed è compitodello storico introdurre nella propria metodologia di indagine le caratteristichedi questo tipo di testimonianze.
Ricettari e memorie sulla cucina del territorio, a un livello più specificodi quello regionale, presentano non di rado una impostazione empirica di stam-po amatoriale, con una forte incidenza del fattore soggettivo, legato alle memo-
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1Si vedano, a titolo d’esempio, M. Montanari, Convivio oggi: storia e cultura dei piaceridella tavola nell’età contemporanea. Laterza, Roma-Bari 1992; A. Capatti e M. Montanari, Lafame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa. Laterza, Roma-Bari 1993.
rie familiari e alla tradizione orale. Questa partecipazione, di volta in volta evo-cativa e nostalgica, se da una parte conferisce a questi contributi il valore ditestimonianza viva e autentica, d’altra parte spesso non fornisce garanzie circal’attendibilità dei dati e il rigore nella trasmissione degli ingredienti e dellemodalità di preparazione, anche in rapporto con il contesto locale, economicoe produttivo del territorio.
Il fatto che, per lungo tempo, alla storia delle ricette tradizionali sia man-cato il già menzionato riconoscimento di dignità accademica ha determinato,come immediata conseguenza, in buona parte della produzione letteraria adessa dedicata, l’assenza di un approccio di tipo metodologico, che garantisseuna impostazione ispirata a criteri rigorosi.
La cultura gastronomica, dunque, anche e soprattutto nel suo aspetto distoria dei piatti tipici, si presenta ancora oggi in buona parte come terreno pri-vilegiato per gli appassionati e per i cultori della materia, con la conseguenzache le indagini condotte in quest’ambito, pur preziose e insostituibili, conser-vano necessariamente un carattere di iniziative individuali e risentono, nellaloro difformità, della mancanza di un comune denominatore metodologico, cheindirizzi i singoli sforzi verso l’obiettivo, da tutti condiviso, della ricostruzio-ne del profilo storico e della fisionomia complessiva di un territorio, ancheattraverso il contributo offerto dalle sue tradizioni gastronomiche.
Le fonti scritte.Peculiarità di un approccio empirico alla cultura gastronomica
In questa sede, volendo individuare alcuni aspetti della memoria gastro-nomica in aree delimitate, ci si è invece proposti di considerare la gastronomiaalla stregua di una disciplina storica che, come ogni storia, trae il proprio fon-damento dalle fonti e dalla loro analisi approfondita.
In coerenza con quanto detto, la ricerca è stata dunque impostata a parti-re dalle fonti e intorno ad esse, nel senso che alle fonti, di qualsiasi natura fos-sero, è stato conferito un ruolo di centrale importanza nello svolgimento com-plessivo dell’indagine. La peculiarità della materia trattata ha fatto sì che talifonti, per numero e tipologia, abbiano costituito un corpus piuttosto variegato,rendendo necessario l’utilizzo di metodologie differenti, che fossero di volta involta compatibili e adeguate alle caratteristiche delle singole testimonianze.
L’impronta empirica, cui si è accennato, si pone come tratto caratteristicodell’approccio all’argomento e si manifesta chiaramente nel taglio che la mag-gior parte o, per meglio dire, quella più significativa della produzione biblio-
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grafica in materia di gastronomia del territorio presenta: si tratta, infatti, diricettari e resoconti di viaggi gastronomici, redatti, nel corso del tempo, da cul-tori della materia – mai professionisti, per la sola ragione che una professionedel genere non è stata in quanto tale mai riconosciuta –, in genere appassiona-ti di tradizioni e storia locale, i quali, per mezzo di indagini da essi stessi con-dotte sul territorio, hanno riportato, nella forma del diario di viaggio, tutte leinformazioni che la popolazione locale, da essi interpellata, e le sue tradizionierano state in grado di fornire2.
Si riscontra, in queste opere, la generale tendenza a conferire alla materiatrattata un respiro più ampiamente storico, come dimostrato, ad esempio, dairipetuti tentativi di attribuire ad una ricetta, o alla tradizione sorta attorno adessa, origini risalenti al mondo etrusco o romano.
Il limite di tali tentativi, da un punto di vista di metodologia storica, è cherestano spesso incompiuti, perché non supportati dalla presenza di un adegua-to corredo di fonti documentarie, che fungano da avallo a quanto enunciato.
È pur vero che, nonostante alcuni limiti metodologici, queste opere costi-tuiscono il principale – e in molti casi unico – referente in tema di storia gastro-nomica del territorio: a dimostrazione di ciò potrebbe essere menzionato il fattoche, tra le biblioteche presenti nel territorio laziale3, alle quali era stato richie-sto di segnalare se le proprie raccolte contenessero anche documenti inerenti lastoria delle ricette tipiche del territorio, le poche che abbiano fornito risposteaffermative abbiano appunto citato alcune delle opere ricordate alla nota 4, sot-tolineandone il ruolo di auctoritas nell’ambito di competenza.
Anche nella composizione delle raccolte delle biblioteche di pubblica let-tura si riscontra una certa resistenza a recepire l’interesse che un pubblico sem-pre più ampio rivolge agli argomenti gastronomici – tanto che anche nellescuole la gastronomia e la civiltà della tavola rivestono un ruolo di importanzacrescente nella programmazione didattica.
L’accenno alle biblioteche e ai loro patrimoni offre lo spunto per un breveapprofondimento: sarebbe auspicabile uno spoglio sistematico dei fondi anti-chi di tali biblioteche, effettuati o da ricercatori, oppure dagli stessi biblioteca-
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2Tra gli esempi più significativi, I. Arieti, Tuscia a tavola: ricette, curiosità, tradizionigastronomiche dell'Alto Lazio, Primaprint, Viterbo, 1996; A. Boni, La cucina romana: piattitipici e ricette dimenticate di una cucina genuina, Newton Compton, Roma 1983; S. Freda,Roma a tavola, Longanesi, Milano 1973; L. Jannattoni, La cucina romana e del Lazio: piatticlassici e ricette sconosciute, Newton Compton, Roma 1998.
3È il caso della Biblioteca Comunale degli Ardenti di Viterbo, il cui direttore, dottor G.B.Sguario, ha dietro richiesta segnalato la citata opera dell’Arieti.
ri, attività che potrebbe utilmente far parte di un progetto di ricerca in materiadi storia locale. All’interno di tali fondi, infatti, potrebbe essere contenuta do-cumentazione, diretta e non, sulle tradizioni gastronomiche del territorio: lapossibilità di usufruire di questi materiali consentirebbe di indagare, molto piùdi quanto finora non sia stato possibile fare, sulla profondità delle radici chelegano una ricetta al contesto entro il quale è nata o si è diffusa.
Ad ogni modo, è altresì doveroso ricordare l’esistenza di alcune iniziati-ve finalizzate al censimento dei documenti antichi di tema gastronomico pos-seduti dalle biblioteche italiane4; questi repertori, al di là dell’indiscutibilevalore bibliografico e catalografico, costituiscono inoltre uno strumento diestrema utilità nel contesto di una ricerca fondata sulla memoria: ci si auguradunque che, in breve, si possa assistere a un loro accrescimento, tanto nelladirezione della quantità che in quella dell’esaustività.
Un utile contributo nel reperimento delle fonti documentarie è giuntoinoltre dalla consultazione di alcuni siti Internet di recente creazione5, che sonoper la maggior parte orientati al turismo; al loro interno, per ciascuna dellelocalità prese in considerazione, una sezione è stata riservata ai piatti dellagastronomia del territorio, dei quali, in molti casi, è anche riportata la ricetta.
Rimanendo nell’ambito delle risorse digitali, citiamo anche il sito che ilConsorzio BAICR/Sistema Cultura dedica alla cultura gastronomica naziona-le6: all’interno del sito, infatti, è possibile consultare una esaustiva banca dati,contenente varie e numerose tipologie di fonti legate al mondo della gastrono-mia – luoghi della memoria, libri, riviste, film programmi radiofonici e televi-sivi, leggi, ecc. Tutti i dati sono ricercabili anche per regione e località di rife-rimento.
A conclusione di quanto detto, si può affermare che il limitato numero difonti scritte conosciute nell’ambito della cultura gastronomica locale deveessere attribuito soltanto in parte alla impostazione tradizionale degli istitutichiamati alla conservazione: la ragione di questa mancanza è in realtà princi-palmente un fatto, per così dire, fisiologico, intrinseco alla disciplina stessa,che si nutre di canali di trasmissione diversi dalla testimonianza scritta. È dun-
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4Tra i repertori più noti, Le cucine della memoria. Testimonianze bibliografiche e icono-grafiche dei cibi tradizionali italiani nelle Biblioteche Pubbliche Statali, Edizioni De Luca,Roma 1995, vol. 3; Catalogo del fondo italiano e latino delle opere di gastronomia. Secc. XIV-XIX, a cura di Orazio Bagnasco, Edizioni B. IN. G., Sorengo 1994, vol. 3.; L. Vanossi, Biblio-grafia Gastronomica Italiana fino al 1950, Editrice Tecnica Molitoria, Pinerolo 1964.
5Tra i siti più interessanti, www.cibochepassione.it, www.terrelatine.it , www.ciociariatu-rismo.it, www.sabina.it, www.retecivica.viterbo.it, www.provincia.vt.it.
6Il sito è consultabile all'indirizzo web: www.culturagastronomicaitaliana.it
que rivolgendo l’attenzione altrove, in ambiti lontani da quelli tradizionali maaffini, che si possono reperire testimonianze numerose e di grande utilità perun’indagine volta alla verifica della permanenza dei piatti locali tradizionalinella memoria collettiva.
Le fonti orali: la memoria e l’oblio7
Se, dalle fonti scritte, si sposta l’attenzione su quelle orali, si ha la possi-bilità di reperire, sia quantitativamente che qualitativamente, una grandevarietà di informazioni, alle quali repertori bibliografici e documenti d’archi-vio non permettono di accedere.
La natura stessa della materia, e il fatto che essa sia stata per lungo tempoconsiderata estranea alla cultura alta, e dunque ai margini dei circuiti di tiposcientifico, ha fatto sì che il fulcro delle testimonianze sul tema della culturagastronomica si concentrasse sul versante della tradizione orale, piuttosto chesu quello dei documenti scritti.
È dunque soprattutto all’interno di quest’ambito, che una ricerca mirataall’individuazione della permanenza della memoria dei piatti tradizionali nellacultura del luogo può reperire materiale interessante ed adeguato alle proprieesigenze.
Come già detto in sede introduttiva, nel reperimento di fonti orali, chepotessero, con la propria testimonianza, fornire conferma di una presenza sto-ricamente consolidata delle ricette selezionate all’interno del territorio, si èscelto di rivolgersi in modo particolare a quelle persone in possesso di requisi-ti – età, interesse professionale, ecc. – tali da conferire alla loro testimonianzal’autorevolezza e l’affidabilità necessarie all’indagine.
Tra gli abitanti del luogo, particolare attenzione è stata rivolta agli anzia-ni, senza tuttavia tralasciare il contributo di individui più giovani, delle cuitestimonianze ci si è avvalsi per misurare il grado di permanenza della memo-ria storica collettiva all’interno del contesto attuale.
Per quanto riguarda la categoria degli anziani, nessun particolare criteriodi selezione è stato seguito nella scelta degli individui da intervistare, ad ecce-zione di quello legato all’età – ci si è cioè rivolti di preferenza a persone moltoanziane, che si è ritenuto fossero in grado più di altre di spingere la propriamemoria indietro nel tempo.
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7Il riferimento è all'omonimo saggio di G. Cacciavillani: La memoria e l'oblio.Cafoscarina, Venezia 1999.
In due casi, a Priverno e Tarquinia, è stata inoltre richiesta la collabora-zione dei gestori di due ristoranti – rispettivamente il ristorante Antica OsteriaFanti e il Ristorante Gradinoro – segnalati dagli esperti; la segnalazione è statain entrambi i casi motivata dalla particolare sensibilità dimostrata dai rispetti-vi gestori nei confronti dell’importanza e del valore della salvaguardia e dellapromozione di piatti appartenenti alla cucina tipica del proprio territorio. Talesensibilità si manifesta anche nella scelta di proporre all’interno del menu delproprio ristorante molti di questi piatti preparati secondo la ricetta tradiziona-le. Con grande disponibilità, entrambi i gestori hanno acconsentito a svolgereil doppio ruolo di intervistati, mettendo a disposizione della ricerca esperienzae ricordi di infanzia, e di tramite con gli Assessori all’ambiente ed al turismodei rispettivi Comuni, i quali a loro volta hanno fornito un ulteriore apportoall’indagine consentendo di stringere contatti con la popolazione locale.
A tutti gli intervistati sono state rivolte domande per verificare, da un lato,l’estensione temporale entro la quale trova la propria collocazione la memoriastorica in relazione ad alcuni piatti tipici, e, dall’altro, l’eventuale presenza divarianti significative nel tempo e nello spazio, in relazione alle modalità di pre-parazione dei piatti e ai loro ingredienti. Le domande erano così articolate:
1. si chiedeva di stilare un elenco dei piatti tra i più rappresentativi dellacucina tradizionale del proprio territorio, allo scopo di verificare se lepreparazioni segnalate coincidessero con quelle selezionate in prece-denza da Oretta Zanini De Vita, e la cui presenza nella memoria scrit-ta era già stata accertata attraverso il confronto con un corpus scelto difonti bibliografiche e documentarie di particolare autorevolezza;
2. è stato chiesto, quindi, di specificare da quanto tempo, a memoria d’uo-mo, tali piatti facessero parte della cucina tradizionale, come venisseropreparati e con quali ingredienti, e se si riscontrassero varianti di rilie-vo nella composizione delle ricette, sia in senso cronologico che geo-grafico8;
3. infine, allo scopo di verificare modalità e caratteristiche della perma-nenza dei piatti identificati nel contesto attuale, si è domandato agliintervistati di specificare quale fosse il ruolo attualmente rivestito datali piatti all’interno della cucina locale: se, cioè, essi fossero ancora
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8Una situazione del genere si è verificata nel caso della bazzoffia, una delle ricette tipichedella provincia di Latina, per la quale gli intervistati hanno segnalato, nell'utilizzo di alcuniingredienti e nella denominazione del piatto, variazioni legate sia al tempo che al centro geo-grafico di riferimento.
oggi preparati come parte integrante della cucina quotidiana, oppure sela loro produzione fosse riservata a ricorrenze particolari, o se invecese ne serbasse unicamente il ricordo e la loro presenza fosse ormai deltutto scomparsa.
I risultati dell’indagine hanno evidenziato una situazione quasi identicaper tutte le aree territoriali di riferimento: dall’analisi delle testimonianze si ri-cava infatti che i piatti menzionati appartengono in forte maggioranza alla cuci-na povera; nessuno è stato capace di attribuire loro una datazione precisa, maè comunque certo che le loro origini affondino in un passato piuttosto remoto.
Per la loro preparazione, venivano utilizzati i prodotti che il territorio erain grado di offrire in abbondanza, anche se la loro presenza all’interno della cu-cina quotidiana risulta essersi arrestata circa quarant’anni fa, in corrisponden-za della generazione dei figli degli intervistati; mentre questi ultimi, però, con-servano dei piatti ricordi legati al periodo della propria infanzia e, in buonaparte dei casi, ne conoscono ingredienti e modalità di preparazione, le genera-zioni successive ne hanno di solito una conoscenza piuttosto vaga e, in alcunicasi, non li hanno mai nemmeno assaggiati9.
La realtà che sembra delinearsi dai dati sopra riportati è quella di un gene-rale fenomeno di crisi profonda della memoria, a una altezza cronologica col-locabile attorno agli anni ’60-’70 del Novecento: da quel momento, infatti, ipiatti che, per lunghissimo tempo, avevano costituito l’alimentazione base digran parte della popolazione, scompaiono progressivamente dalla cucina quo-tidiana, fino ad essere, nella maggior parte dei casi, relegati ad ambiti o ricor-renze particolari: cerimonie, festività religiose, feste patronali, eventi comun-que legati alla tradizione, al perpetrarsi di riti antichi, all’interno dei quali con-fluisce ancora questa cucina, che viene sentita come retaggio e patrimonio delpassato, della quale si conserva il ricordo ma che già da tempo ha smesso difare parte dell’alimentazione quotidiana.
È assai probabile che questa crisi della memoria collettiva sia da imputa-re a fattori diversi, quali l’abbandono in massa delle campagne e dei piccolicentri da parte delle nuove generazioni a vantaggio delle grandi città, dove letradizioni tendono a scomparire più rapidamente, o lo sviluppo e la diffusionedei cibi surgelati, che hanno fortemente modificato le abitudini alimentari, egarantito la disponibilità dei prodotti indipendentemente dalla stagione e dalterritorio di produzione.
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9È quanto è emerso dalle risposte fornite dai giovani intervistati nel corso della ricerca.
Non va inoltre sottovalutato il fatto che, a partire appunto dagli anni ’60,il numero di donne lavoratrici sia progressivamente aumentato, fino a costitui-re un importante fattore di cambiamento nelle abitudini familiari e nell’orga-nizzazione della società.
I risultati della ricerca evidenziano comunque l’esistenza di uno strettolegame tra i fenomeni evidenziati – tutti collocabili entro il medesimo arcotemporale – e il brusco arresto verificatosi nella trasmissione delle ricette tipi-che. Non c’è dubbio che, con il passare degli anni, questa perdita andrà conso-lidandosi, tanto più con la prevedibile morte degli anziani, che sono oggi anco-ra in grado di testimoniare in prima persona sulle tradizioni alimentari e gastro-nomiche del passato.
Arginare questa tendenza, che sembra inesorabile, significa mettere incampo attività ed istituzioni attente ai fattori dell’identità, concretamente impe-gnate nel recupero della memoria, non solo in una dimensione museale, maanche nel concreto dei circuiti vitali del territorio: scuole, istituzioni, ristoran-ti, agriturismo e così via.
Le istituzioni
Nel corso dell’indagine, è stata spesso ricercata la collaborazione delleistituzioni operanti all’interno del territorio regionale, a vari livelli e secondotipologie differenti, con lo scopo di reperire, di volta in volta, informazioni utilialla localizzazione delle fonti bibliografiche presenti nelle varie aree geografi-che di riferimento, oppure ancora per stabilire, attraverso la mediazione appun-to di figure istituzionali, contatti con la popolazione locale, ed effettuare inquesto modo interviste che, come si è visto, hanno fatto da coronamento allavoro di ricerca condotto dagli esperti.
Per quanto concerne la fase del reperimento di fonti bibliografiche, è statarichiesta la collaborazione di archivi e biblioteche, disseminati entro tutto il ter-ritorio del Lazio, secondo le modalità illustrate in sede introduttiva10.
Mentre, nel caso degli Archivi di Stato delle cinque Province, le lettereinviate ai Direttori hanno tutte ricevuto una risposta, seppure negativa in quan-to alla presenza di materiale utile ai fini dell’indagine, una situazione analoganon si è purtroppo verificata nel caso delle Biblioteche – a parte, ovviamente,quelle romane, presso le quali sono state effettuate visite di persona.
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10Cfr. le pagine iniziali di questo contributo.
Le istituzioni alle quali si è fatto riferimento durante la seconda fase dellavoro, quella volta ad ottenere conferma dei risultati conseguiti attraverso unconfronto diretto con la memoria orale e collettiva del territorio, sono alcuni tragli Assessorati delle cinque province del Lazio11; sono state inoltre contattatecirca venti Pro Loco disseminate in tutta la regione.
In generale, si è purtroppo riscontrato uno scarso interesse da parte degliinterpellati, in quanto le ripetute richieste di informazioni e collaborazione,avvenute per posta elettronica e attraverso l’invio di lettere scritte, non hannoin buona parte dei casi ricevuto alcuna risposta.
È tuttavia doveroso segnalare a tal proposito la piena collaborazione dialcuni Assessori, i quali hanno fornito segnalazioni e indirizzi utili per il repe-rimento di fonti documentarie all’interno del proprio territorio: incontrati per-sonalmente nel corso delle ricerche, hanno collaborato alle indagini con gran-de disponibilità, mettendo a disposizione delle ricerche, in qualità di intervi-stati, la propria testimonianza orale e la propria esperienza professionale, esegnalando nomi di persone – abitanti del luogo o studiosi – che fossero a co-noscenza di informazioni utili all’indagine.
Un validissimo aiuto è giunto inoltre dalla Pro Loco di Collepardo (Fr), icui responsabili, contattati per posta elettronica e successivamente incontrati,hanno organizzato l’incontro con la popolazione del posto.
Ha suscitato un certo stupore, dato il rilievo che mass-media e comunica-zione riconoscono ai prodotti tipici e agli itinerari gastronomici, lo scarso inte-resse dimostrato in generale dalle altre Pro Loco nei confronti di una indaginerelativa ad un aspetto, quale quello della gastronomia locale, estremamenteimportante per lo sviluppo e la promozione del territorio.
È probabile che queste istituzioni, per adempiere alla propria missione divalorizzazione del territorio di riferimento, rivolgano ancora la propria atten-zione ad altri aspetti maggiormente consolidati, quali ad esempio l’organizza-zione di eventi estivi e iniziative affini. Il caso “Collepardo” dimostra tuttaviaquale vantaggio possa derivare alle istituzioni chiamate alla promozione delterritorio dall’estensione del proprio campo di azione anche alla salvaguardiadelle tradizioni e delle peculiarità della gastronomia locale, e si propone come
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11Assessorato al Turismo della Provincia di Frosinone; Assessorato alle Politichedell'Agricoltura e dell'Ambiente della Provincia di Roma; Assessorato alla Cultura, Sport,Turismo, Beni Culturali, Spettacolo e Tempo libero, Attività Artistiche, Comunicazione,Gestione Biblioteche, Scuola Alberghiera, Rapporti con l'Università, Politiche Comunitarie,Sportello al cittadino della Provincia di Viterbo; Assessorato all'Agricoltura, Ambiente edAssetto del Territorio della Provincia di Rieti; Assessorato all'Agricoltura, Caccia e Pesca,Sport, Pari Opportunità, Protezione Civile della Provincia di Latina.
modello di una nuova linea d’azione per lo sviluppo e la valorizzazione dellecaratteristiche e del patrimonio storico di un determinato territorio.
I luoghi della memoria: musei, strade del vino, sagre
Dopo aver passato in rassegna l’ambito della memoria scritta, custoditaall’interno degli archivi e delle biblioteche, e quello della memoria orale e col-lettiva, rappresentata dagli anziani e da tutti coloro che, per differenti motiva-zioni, collaborano al mantenimento delle tradizioni gastronomiche locali, siritiene utile fare un accenno in conclusione anche ad altri tipi di istituzioni ediniziative che sono nate e si sono sviluppate con il preciso intento di salva-guardare le tradizioni legate al territorio e di valorizzare i prodotti agricoli, arti-gianali e gastronomici. Ci riferiamo in particolare alle seguenti iniziative:
1. i musei dedicati a prodotti agricoli, attività e usanze caratteristiche diuna determinata area geografica;
2. le strade del vino, ossia gli itinerari gastronomico-culturali all’internodi zone vinicole dal ricco patrimonio storico ed artistico;
3. le sagre, tradizione questa in realtà assai antica, ma che, recentemente,sta conoscendo un momento di nuovo sviluppo, nell’ottica del mante-nimento del legame, ormai quasi del tutto smarrito, con i prodotti delterritorio e con i loro ritmi naturali.
La diffusione crescente, nel corso degli ultimi anni, di tutte queste inizia-tive, volte alla salvaguardia di attività e prodotti legati alla storia del territorio,è certamente il segno che stanno facendosi strada una nuova sensibilità e unapproccio differente e che la necessità di salvaguardare e trasmettere la memo-ria della cultura eno-gastronomica è diventata una realtà ormai accettata e dapiù parti condivisa.
I musei
L’istituzione museale, per sua stessa natura, nasce con il preciso scopo diconservare le memorie – di vario genere – lasciate dalle generazioni passate,per impedirne la dispersione e, di conseguenza, l’oblio, e, allo stesso tempo,renderne attuale ed efficace il messaggio, consentendone la conoscenza e lafruizione da parte delle generazioni presenti e future; per questo motivo, è
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facilmente intuibile l’importanza dell’esistenza di musei dedicati alle tradizio-ni locali e popolari, tra le quali un posto di fondamentale importanza spetta allagastronomia.
Sebbene spesso legati solo per via indiretta alle ricette dei piatti tipici, talimusei costituiscono tuttavia una sede importante per la salvaguardia dellamemoria in relazione ad attività e prodotti in stretta connessione con la gastro-nomia locale, quali, ad esempio, le tecniche di produzione di olio e vino nelcorso del tempo, la presentazione di prodotti agricoli autoctoni ormai quasi deltutto scomparsi o non più conosciuti, e così via.
La crescente diffusione di queste istituzioni, inoltre, può essere interpre-tata come il sintomo di una nuova sensibilità, dimostrata da più parti, nei con-fronti di aspetti della storia del territorio in precedenza ignorati, o, per megliodire, non ritenuti degni di un interesse e di una importanza storica pari a quel-li dei beni artistici e monumentali: questa tendenza lascia sperare che, in unfuturo assai prossimo, possano sorgere musei specificamente dedicati al cibotradizionale di una zona.
Nella tabella a p. 30 sono riportati i musei laziali di maggiore rilievo pergli aspetti legati alla enogastronomia.
Le strade del vino
Nate dall’esigenza di valorizzare i territori a vocazione vinicola, e didiffondere la conoscenza enologica, le strade del vino si propongono come iti-nerari allo stesso tempo culturali ed ambientali; si tratta infatti di percorsi gui-dati che si snodano attraverso vigneti, cantine ed aziende agricole, all’internodi territori ricchi di attrattive naturalistiche, culturali e storiche, che presentanoal visitatore un’offerta varia ed integrata.
La particolare tipologia di tale offerta permette lo sviluppo di attività diricezione e di ospitalità - degustazione dei prodotti, organizzazione di attivitàricreative e culturali, ecc. -, che favoriscono un turismo improntato a un ap-proccio consapevole nei confronti del territorio, inteso nella totalità dei suoiaspetti e del suo patrimonio di tradizioni.
È abbastanza facile comprendere che queste iniziative hanno il precisoscopo di valorizzare e conferire visibilità al territorio, attraverso una formulache affianca al patrimonio storico-artistico, tradizionalmente deputato al turi-smo, quello costituito dai prodotti dell’agricoltura, dell’artigianato e dellagastronomia.
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Musei enogastronomici del Lazio
Museo dell’Olio della SabinaA Castelnuovo di Farfa (Ri). Alla documentazione sulle metodologiee le tecniche di produzione dell’olio si affiancano strumenti antichi dilavorazione, una rassegna fotografica e una degustazione finale.
Museo della civiltà contadina e dell’ulivoA Pastena (LT o FR). Presenta e illustra le tecniche di coltivazione elavorazione dell’ulivo, e riproduce ambienti domestici del passato.
Musei delle ErbeA Collepardo (Fr) e Veroli (Fr). Dedicati alle piante, officinali e non,delle quali è possibile conoscere le tecniche di preparazione ed ammi-rare esemplari in via di estinzione.
Museo diffuso del vinoA Monte Porzio Catone (Rm). Vi sono conservati macchinari di epo-che diverse per la produzione del vino.
Casa delle antiche scatole di lattaA Gerano (Rm). Collezione privata che, partendo dalla fine del XIXsecolo, ripercorre la storia delle scatole utilizzate per contenere gene-ri alimentari.
Museo Birra PeroniA Roma. Presenta i 150 anni di vita dell’omonima Società attraversol’esposizione di utensili, macchinari, filmati e materiale pubblicitario.
Museo del CioccolatoA Norma (Lt). Vi sono illustrate la storia del cioccolato e tutte le fasidella sua lavorazione.
Museo delle Tradizioni popolariA Canepina (Vt). Dedicato alla religiosità popolare, al ciclo della vitafamiliare, alla cucina locale ed ai mestieri.
Museo Nazionale delle Paste AlimentariA Roma. Nato nel 1958 come raccolta dell’industriale VincenzoAgnesi, e arricchitosi di una variegata documentazione storica – mac-chinari antichi e moderni, documenti commerciali, quadri, stampe – edi pannelli che illustrano l’intero ciclo produttivo della pasta.
Nel Lazio le strade del vino ufficialmente riconosciute12 sono quattro:
1. la Strada del vino dei Castelli Romani, che include l’intero territorioomonimo con numerose cantine da visitare, tra le quali la De Paolis aGrottaferrata. I vini prodotti riprendono il nome dal territorio e sono: ilColli Albani, il Colli Lanuvini, il Frascati, il Marino, il Montecompatri,il Velletri e lo Zagarolo;
2. la Strada del vino DOC Cabernet di Atina, che si snoda lungo la Valledi Comino, in Ciociaria; interessante è la visita alla cantina Palombo diAtina;
3. la Strada del vino DOC Cesanese del Piglio, ancora in Ciociaria, checomprende le località di Anagni (dove si può visitare la cantina delCasale della Ioria), Acuto, Paliano, Piglio e Serrone (dove è segnalatala visita alla cantina Terenzi);
4. la Strada dei vini dell’Alta Tuscia, che attraversa numerose località –Marta, Capodimonte, Bolsena, Valentano, Latera, Gradoli, Onano,Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo, Acquapendente, Proceno,Montefiascone, Bagnoreggio, Castiglione in Teverina, Lubriano,Graffignano e Civitella d’Agliano – legate alla produzione dei viniAleatico, Est! Est!! Est!!!, Cannaiola di Marta e Orvieto. Oltre al vino,l’itinerario comprende la visita a negozi e laboratori artigiani conoggetti di produzione locale, quella a botteghe del pesce allevato nellago di Bolsena o il soggiorno in aziende e casali agrituristici.
Le sagre
Quella di dedicare a un prodotto agricolo o a un animale, tipici di un de-terminato territorio, una giornata di festeggiamenti è un’usanza che affonda leproprie radici in un passato assai remoto, probabilmente coevo alla nascita del-l’agricoltura e della pastorizia, ed è connaturata all’esigenza stessa di celebra-re un momento del ciclo produttivo naturale, come ad esempio quello della rac-colta, che, nel contesto di una società pre-industriale, era apportatore di ric-chezza per la collettività.
Questa consuetudine sta attualmente vivendo un periodo di nuova diffu-
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12Informazioni sulle strade del vino di tutto il territorio nazionale possono esserereperite all'indirizzo web www.culturagastronomicaitaliana.it
sione, che, ovviamente, si fonda su criteri differenti rispetto a quelli del passa-to: nella dimensione di oggi, l’evento della sagra è interpretato come unaimportante occasione per mantenere, o, dove questi siano del tutto scomparsi,ricostruire i legami con la tradizione del territorio, attraverso la valorizzazionedei suoi prodotti naturali, rispettandone i cicli biologici, nell’ottica di una con-servazione della memoria, che, come si è visto, passa anche e soprattutto attra-verso i frutti che esso produce.
Sebbene, come è evidente, il numero sempre crescente di questi eventicostituisca un elemento importante, nel contesto della salvaguardia dellamemoria gastronomica locale, c’è tuttavia il rischio che essi possano costituireuno spunto per azioni assai più legate a scopi commerciali e pubblicitari, chenon al reale desiderio di operare a favore del mantenimento delle tradizioni, eche dunque il prodotto tipico si trasformi in un veicolo di propaganda e di ven-dita da parte delle case produttrici.
Durante tutto il periodo dell’anno, dunque, da un capo all’altro dell’Italiaè possibile assistere a giornate di festeggiamenti in onore dei prodotti tipicidelle diverse aree: nel corso di esse, vengono generalmente presentate ed offer-te preparazioni gastronomiche tradizionali a base di tali prodotti, delle quali siillustrano modalità di realizzazione ed ingredienti utilizzati.
Nell’Appendice I, alle pp. 91-106, si riporta il calendario mensile delleprincipali sagre del Lazio, intese come momenti di possibile recupero o con-servazione delle tradizioni locali, sempre che questo obiettivo sia presentenella volontà dei promotori.
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IL LAZIO: I PIATTI DELLA TRADIZIONE
di Oretta Zanini De Vita
Premessa
L'indagine condotta dal BAICR sul territorio regionale, per incarico dellaRegione Lazio e dell'Università della Tuscia, aveva lo scopo di verificarequanto della cucina tipica fosse ancora presente nella regione, con l'intenzio-ne, ove necessario, di condurre un'attività di promozione, soprattutto attraver-so la sensibilizzazione della ristorazione agrituristica che opera nell'area.
L'importanza di questa operazione è di tutta evidenza non solo per lapromozione turistica, ma ancor più per il recupero di tradizioni che fanno par-te della nostra storia.
Per effettuare tale ricerca sono state individuate due preparazioni gastro-nomiche per ogni provincia, scelte fra quelle più tipiche, ma ormai quasi in di-suso o relegate fra le preparazioni di nicchia. La scelta ha tenuto conto dellapresenza sul territorio degli ingredienti necessari, che, quando rarefatti sulmercato, possono in realtà essere reperiti fra i prodotti di allevamento o di col-ture alternative.
Le ricette selezionate sono le seguenti:- per la provincia di Viterbo: la sbroscia bolsenese e l'acquacotta viterbese
(cfr. pp. 38 e 47);- per la provincia di Latina: la bazzoffia e gli gnocchi di segale (cfr. pp. 49
e 56);- per la provincia di Frosinone: l'abbuoto e le sagne pelose col sugo finto
(cfr. pp. 51 e 59);- per la provincia di Rieti: le sagne di farro con l'aglione e il polentone con
la ventresca (cfr. pp. 57 e 58);- per la provincia di Roma: la zuppa di fagioli dell'Alta Valle dell'Aniene e
la zuppa povera portodanzese (cfr. pp. 53 e 41).
Per la provincia di Viterbo si è voluta mettere in evidenza l'importanzadell'utilizzo del pescato povero nei laghi laziali in genere, e in particolare nellago di Bolsena, che è quello più esteso. A sua volta la scelta dell'acquacottasottolinea l'importanza che da sempre ha avuto nell'alimentazione rurale l'usodelle erbe: quelle della macchia mediterranea costituiscono infatti un prodottopeculiare della Maremma laziale.
Per la provincia di Latina sono state scelte due preparazioni in uso suimonti Lepini, poiché nella pianura, prima degli anni '30 del Novecento, la po-
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polazione stanziale era scarsa o nulla. In particolare la bazzoffia, oltre alle er-be rustiche, comuni a tutte le cucine povere d'Italia, sfrutta due prodotti checostituiscono ancor oggi il fiore all'occhiello dell'orticultura italiana: i carciofie la lattuga romana.
Gli gnocchi di segale sono stati scelti per sottolineare l'importanza cheaveva un tempo l'uso della farina di segale, oggi quasi scomparso e che, siapure con adattamenti ai gusti attuali, andrebbe invece recuperato.
Per la provincia di Frosinone la scelta dell'abbuoto è stata suggerita an-zitutto dal desiderio di non far mancare all'interno di questa indagine un pro-dotto della pastorizia, che tanta parte ha avuto nella storia e nell'economia ru-rale del Lazio, e, inoltre, per suggerire preparazioni diverse da quella della so-lita coratella coi carciofi generalmente offerta dalla ristorazione.
Le sagne pelose, fettuccine rigorosamente fatte a mano e diffuse ancoranella cucina familiare, sono troppo spesso sostituite nella ristorazione da fet-tuccine industriali che nulla hanno a che vedere, per sapore e consistenza, conquelle casalinghe.
Per la provincia di Rieti, con le sagne di farro si è voluta ridare impor-tanza a questo cereale, un tempo largamente prodotto in tutte le aree montanedella regione. Questa produzione sta oggi recuperando importanza e si trova-no disseminati in diverse località molti piccoli pastifici che producono ottimapasta di farro, sia fresca che secca.
Lo stesso dicasi per il polentone con la ventresca, oggi relegato alla solacucina casalinga, cosi come sempre meno usata è la carne di maiale, erronea-mente ritenuta troppo grassa, dal momento che le carni degli esemplari oggi invendita non sono certamente grasse come quelle di un tempo.
Per la provincia di Roma, infine, sono state scelte due zuppe: con la pri-ma, quella di fagioli, si è voluta mettere in rilievo una produzione dell'Agroromano quasi sconosciuta e di grandissima qualità, quale è quella dei fagiolidell'Alta Valle dell'Aniene, rappresentata da molte qualità in commercio maper lo più sconosciute, ad eccezione della "fagiolina di Arsoli".
Non poteva mancare, con un occhio alla costa, una zuppa di pesce di ma-re: e con la zuppa povera portodanzese, che si prepara ad Anzio da secoli, si èinteso mostrare come il pesce minuto, proveniente da aree marine particolar-mente qualificate, sia spesso in grado di dare risultati non inferiori a quelli delpescato di prima qualità.
Per ciascuna delle preparazioni selezionate, la permanenza e la memoriasul territorio sono state verificate sia attraverso uno spoglio di fonti bibliogra-fiche e sitigrafiche, sia mediante interviste a persone anziane, molte delle qua-li, un tempo, si dedicavano anche alla coltivazione della terra.
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Il territorio
Latium novum e Latium vetus qualificavano anticamente la regione intor-no all'Urbe, con esclusione della Sabina e dell'Etruria. Il termine "Lazio", di-menticato per secoli durante il Medioevo, fu ripristinato nel Cinquecento sen-za però inglobarvi la Sabina e l'Etruria, chiamata allora "Patrimonio di SanPietro".
I confini della regione si sono modificati più volte nel corso dei secoli fi-no all'attuale definitiva configurazione, stabilita nel 1870 con l'avvento delRegno d'Italia. Qualche piccola modifica ebbe ancora luogo successivamenteintorno agli anni '30 del Novecento, con il passaggio all'Abruzzo di una picco-la parte dell'Alto Lazio, comprendente anche la città di Amatrice, fatto questodi non secondaria importanza per uno studio sul cibo legato al territorio; alcu-ni piatti, fra cui la celebre amatriciana, sono infatti rimasti, nell'uso comune,legati alla gastronomia laziale, piuttosto che a quella abruzzese.
Inoltre, il prosciugamento delle paludi pontine portato a termine neglianni ’30 del Novecento, la creazione della nuova provincia di Latina e il ripo-polamento della plaga, un tempo deserta e scarsamente coltivata, da parte diagricoltori per la maggior parte veneti hanno introdotto nella cucina tradizio-nale della provincia un ben consolidato ceppo, tuttora vivo e vitale, di cucinaveneta. Anche le interviste effettuate nell'antico agro paludoso di Maccarese,oggi provincia di Roma, hanno dimostrato come ancora oggi i coltivatori diorigine veneta, seppure insediati su una terra fertilissima, si provvedano di se-menti e di essenze nella lontana regione di provenienza.
Cos'era dunque questo nuovo Lazio che la Storia d'Italia ci ha regalato?Un immenso mare di foreste secolari che scendevano ininterrotte dai monti fi-no al mare, sulle quali si aprivano immense e fetide paludi, regno della "mal'a-ria". Sul resto una smisurata distesa di pascoli del latifondo, in cui rari casali eruderi degli antichi acquedotti facevano da sfondo alle numerose greggi di pe-core e alle mandrie di bufali.
Abbarbicati sui cocuzzoli delle colline e dei monti, i piccoli ed antichiborghi, molti dei quali tuttora circondati da poderose mura difensive, sono ri-masti pressoché intatti fino agli anni '50 del Novecento, fedeli custodi di unatradizione gastronomica legata al territorio.
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Le acque irrigue
Una fitta ragnatela di acquedotti aveva fornito, nell'antichità, acqua ab-bondante non solo all'Urbe, ma anche al suo hinterland. Tuttavia, i campi or-dinatamente coltivati dagli antichi romani e le scientifiche reti d'irrigazionedegli etruschi erano ormai un lontano ricordo: a partire dal Medioevo, e finoalla vigilia della seconda guerra mondiale, le sorti dell'irrigazione del Laziofurono affidate a quel che restava degli antichi acquedotti e all'immensa ric-chezza di marrane, fossi, torrenti e sorgenti che puntellavano tutto il territorio.Dove l'acqua non arrivava direttamente, la si faceva confluire mediante devia-zioni, anche abusive, dei corsi d'acqua.
In quanto a ricchezza di acque, come abbiamo visto, si può dire che ilLazio abbia pochi rivali nella penisola: la campagna è sempre stata costellatadi fontanili1 e di peschiere, sicché il pesce d'acqua dolce ha da sempre costitui-to un elemento fondamentale, e certamente non scarso, nell'alimentazione po-polare. I numerosi fontanili ancor oggi visibili nelle campagne stanno a testi-moniare la presenza sotterranea di una piccola o grande sorgente d'acqua.
Il pesce d'acqua dolce nella gastronomia tradizionale
Torrenti, ruscelli e fiumi, e soprattutto il Tevere, mettevano a disposizio-ne di tutti le loro acque non inquinate. L'umanista Paolo Giovio2 assicura chenel Tevere si pescavano 96 qualità di pesce, e, infatti, la pesca nel grande fiu-me che attraversa il Lazio è sempre stata una delle meraviglie descritte daiviaggiatori: vi si pescavano trote, lucci, carpe, barbi, anguille, e perfino storio-ni, le cui uova, lavorate e conservate, erano in vendita, ancora verso la metàdell'Ottocento, nelle botteghe alimentari dell'Agro. Gli storioni in particolareavevano dato luogo, sin dal Medioevo, ad una curiosa tradizione: le teste degliesemplari più grossi – cioè quelli che superavano il metro e 20 – dovevano es-sere mandate in dono ai Conservatori in Campidoglio. I pesci più grossi eranopescati fra l'Isola Tiberina e il ponte Sublicio, nel punto in cui le cloache citta-dine sfociavano nel Tevere; in tutti i punti di vendita, inoltre, doveva essereesposta una targa di marmo recante le norme per la vendita.
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1Consultando il Catasto Alessandrino all'Archivio di Stato di Roma, redatto verso la metàdel Seicento, è facile rilevare i numerosissimi fontanili disegnati dal cartografo nei vari fondi.
2P. Giovio, Libro di Mons. Paolo Giovio de' pesci romani tradotto in volgare da CarloZancaruolo. Venezia, Gualtieri, 1560.
Lungo tutti i torrenti, ancora durante gli anni '50 del Novecento, si pesca-vano in quantità gamberi, granchi, vaironi e trote, mentre le rane, pulite, lega-te e ben allineate su un bastoncino di legno, si vendevano quotidianamente neimercati. Proprio le rane facevano in genere da complemento a una zuppa diverdure, inoltre si preparavano soprattutto in frittata, o semplicemente fritte.Le pesche più abbondanti si effettuavano nei ruscelli dei monti della Tolfa, maanche nella valle del Tevere, nei comuni di Capena, Castelnuovo di Porto eFiano, dove, anche se raramente, tuttora si preparano fritte o in frittata.
I laghi ed i corsi d'acqua della Tuscia sono stati per secoli i maggiori for-nitori di pesce dei mercati romani. Lungo il Fiora si pescava con la nassa - ungrosso cesto costruito con rami di salice intrecciati - che veniva disposto inuna strettoia artificiale del corso d'acqua, in modo da obbligare il pesce ad in-filarsi nella trappola. Sembra che un sistema analogo sia stato utilizzato du-rante il Mesolitico sulle rive del Baltico per la pesca dei salmoni. La pesca erainoltre praticata con l'ausilio di erbe particolari le cui radici, schiacciate e ver-sate nel corso d'acqua, facevano morire i pesci asfissiati.
Sul fiume Marta, emissario del lago di Bolsena, era attiva nel Medioevouna delle più grandi e funzionali peschiere del tempo; vi si allevavano lucci,tinche, capitoni e anguille che, grazie alla particolare pastura con cui eranonutrite, pare avessero carni ineguagliabili. Documenti contabili medievali, re-lativi alle spese di manutenzione della peschiera, ci danno un'idea di quantoesteso fosse lo stabilimento che sorgeva sulle sponde meridionali del lago eche occupava come manodopera la quasi totalità della popolazione locale. Lostabilimento più grande si trovava nell'isola Martana dove vivevano anche ipescatori legati da contratto con la Camera Apostolica.
L'attività di questa peschiera è largamente documentata; sappiamo adesempio che nel 1341 fu lo stabilimento dell'isola a fornire per un banchetto aMontefiascone 150 anguille, 85 lucci, 450 lasche e 148 tinche. In un docu-mento del 1363 è anche testimoniata la spedizione di 1120 anguille alla cortepapale di Avignone3.
Il diritto di pesca subì con il passare del tempo molte restrizioni, anchese non tante quante la caccia, poiché la pesca non esercitava lo stesso fascinopresso i ceti signorili. Tuttavia, ordinanze legislative assoggetteranno la pescaa concessioni e sub-concessioni, mentre gli statuti cittadini detteranno normesempre più particolareggiate per la pesca nelle acque interne, regolamentando
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3R. Catani, Il Tevere ed i laghi dell'alto e medio Lazio: conferenza. Roma, TipografiaDelle Terme, 1937
gli attrezzi e mettendo per conseguenza fuori legge alcuni strumenti che impe-divano il ripopolamento, o sistemi di pesca nocivi all'habitat.
La pesca d'acqua dolce, copiosissima, è rimasta, ancora in tempi a noimolto vicini, un importante apporto nell'alimentazione popolare, fino a quan-do non è arrivata la polluzione ad impoverire laghi, fiumi e torrenti, e, qualchedecennio fa, si è imposta in maniera prepotente la moda del pescato di mare.La tradizione gastronomica è ricca di preparazioni a base di pesce d'acquadolce: ricordiamo anzitutto le anguille - anche quelle di taglia piccola, dal vol-go chiamate ciriole – che ancor oggi si pescano in abbondanza nei laghi diBracciano e Bolsena, e che non è difficile trovare freschissime in vendita daipescivendoli. Si preparavano soprattutto in primavera, in una classica ricettacon i piselli, ma anche alla fiumarola, con capperi e acciughe, oppure arrostitein spiedini, o con un guazzetto agrodolce dal profumo rinascimentale a base diuvetta e pinoli.
Lo storione che si pescava facilmente nel Tevere e che oggi si trova fre-sco di allevamento, veniva preparato in fricandò; il luccio veniva "brodettato",preparato cioè con una salsa agretta di limone tipica di molte preparazioni la-ziali, come ad esempio la carbonara o l'agnello brodettato.
Il pesce minuto o deteriorato dalle reti, che non poteva essere commer-cializzato, era preparato dai pescatori stessi in una tipica zuppa - la sbrosciabolsenese - selezionata all'interno della presente ricerca.
Ricetta della sbroscia bolsenese
500 g di pesce di lago di piccolo taglio, 1 mazzetto di mentuccia, 2 pa-tate, 1 cipolla, 1 spicchio di aglio, 4 o 5 pomodoretti da sugo, 4 fette dipane casereccio raffermo, 1 pezzetto di peperoncino, 4 cucchiaiate diolio extravergine di oliva del territorio, sale.
Tritate finemente l'aglio e la cipolla e metteteli a rosolare con l'olio inuna casseruola. Unite i pomodoretti tagliati a pezzetti ed il peperoncino.Fate cuocere qualche minuto fino a quando i pomodoretti saranno sfatti.Unite le patate tagliate a dadini minuscoli, il pesce pulito e lavato, le fo-glioline di mentuccia ed il sale necessario. Fate cuocere la sbroscia percirca 30 minuti e servitela sopra le fette di pane. Un filo d'olio crudo fi-nale profumerà la zuppa.
Attualmente, le ricette a base di pesce d'acqua dolce sono poco presentinella ristorazione, e soltanto nelle zone lacustri (soprattutto i laghi di Bolsena
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e Bracciano), mentre pesce d'acqua dolce di allevamento, di ottima qualità, èfacilmente reperibile sul mercato. La ristorazione, priva di conoscenze e so-prattutto di fantasia, prepara questo pesce ormai solo alla griglia, in modoanonimo e veloce, ma poco coerente con le abitudini alimentari del territorio.
Il pesce di mare
Molto copiosa, anche se meno diffusa, soprattutto nelle zone interne acausa della difficoltà nel trasporto del pescato fresco, la pesca in mare eraopera di pescatori non soltanto locali: nella costa pontina erano soprattutto lebarche dei pescatori ponzesi ad avventurarsi a pescare nelle zone malariche. Ilpesce più rinomato arrivava dal mare antistante Nettuno ed Anzio, e venivainviato ai mercati romani su barche trascinate dai bufali nel Tevere fino ai por-ti di Ripa Grande e Ripetta.
Molto diffusa era, un tempo, la pesca con la sciabica, che da secoli si ef-fettuava lungo la costa. E diffusa doveva anche essere l'usanza di pescare consistemi dannosi, se a partire dal secolo XVI e reiteratamente, si trovano bandidei conservatori di Roma che vietano ai pescatori “… di accostarsi alla boccadella fiumara di Ostia e Fiumicino, dal primo marzo a tutto giugno, per gettarein acqua erba mora, tutumaglio, calce ed altre cose dannose ai pesci”4.
Spigole, ombrine, palombi, seppie e calamari, merluzzi, triglie, cefali, equant'altro il mare pescoso forniva era elaborato dalla cucina popolare. Spes-sissimo, lo si trova in abbinamento con ortaggi (seppie coi carciofi, palombocoi piselli, pasta e broccoli in brodo di arzilla, zuppa di pesce e lattuga, ecc).Con l'aragosta si preparava una famosa zuppa in occasione del venerdì santo; icrostacei venivano soprattutto usati nel condimento per la pasta, mentre la mi-nutaglia era usata per preparare dei gratin casalinghi o delle zuppe.
Ricette tradizionali a base di pesce di mare erano un tempo presenti, so-prattutto sotto forma di zuppe, lungo tutto il litorale pescosissimo. Oggi si so-no distribuite su tutto il territorio regionale, inglobando anche pesce prezioso.Un esempio per tutti: la celebre acquapazza, consumata dai pescatori del lito-rale pontino, consisteva in una zuppa preparata con alghe e sargassi, con l'ag-giunta, per dare profumo, di qualche sasso raccolto sui fondali (che poi venivaovviamente eliminato). La zuppa, a base di pane raffermo, si completava con
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4Bando del 15 Dicembre 1641, in Regesti di bandi, editti, notificazioni e provvedimentidiversi relativi alla città di Roma ed allo Stato pontificio, vol. V.
qualche pomodoretto, aglio, peperoncino ed olio. Oggi si è trasformata in unasontuosa zuppa, che prevede spesso la presenza della spigola.
Tuttora il pescato nella costa antistante Anzio e Nettuno è ritenuto digran pregio, e lo era anche in tempi antichissimi, per via della particolare pa-stura, che offrono gli splendidi fondali marini lungo tutta la costa. Ad Anzionell'Ottocento era rinomata la zuppa povera portodanzese, che si consumavapresso la trattoria “Il Turcotto”, aperta proprio accanto alle rovine della villadi Nerone da Achille Garzia nel 18165. Di questa trattoria sul mare, celebreper la sua zuppa di pesce, sono piene le cronache di tutto l'Ottocento. Dicevail famoso Rugantino: “Annamose a magnà na zuppa da Turcotto”.
La zuppa di cui diamo la ricetta non è quella che si prepara oggi. Il bis-nonno del titolare la preparava rigorosamente in bianco, con l'acqua di mare econ il mazzame, cioè con il pesce di scarto, che erano i manfroni (della fami-glia dei fragolini), gli zeri e gli sbaraglioni (della famiglia dei saraghi), le ci-polline dal bellissimo colore rosato e tutto quello che le mareggiate fornivano:se si era fortunati si poteva aggiungere alla zuppa anche qualche pannocchia,poi, per dare sapore, secondo l'uso di tutta la costa, si raccoglieva sul fondaleun sasso spugnoso da cuocere con la zuppa.
Il ristoratore intervistato, Enrico Garzia, ha raccontato della sua infanzia,ricordando come i bambini la mattina facessero colazione andando a pescarericci e patelle sui fondali.
Oggi, con il benessere, la zuppa portodanzese non è più “povera”, essen-dosi arricchita di pesce da zuppa più pregiato, come la gallinella, la lucerna, ilpalombo, il gronco, la murena ed anche polipetti e seppioline; ma, soprattutto,si è colorata di rosso per l'arrivo del pomodoro sotto forma di conserva.
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5L'attività proseguita dal figlio Oreste e poi, successivamente fino ad oggi dai nipoti e pro-nipoti che hanno mantenuto, di generazione in generazione alternandoli, il nome dei due ante-nati: Achille e Oreste. I nomi si ripetono da una generazione all'altra fino al ristoratore di oggi,di nome Enrico, solo perché il fratello maggiore, Achille appunto che avrebbe dovuto rilevarela trattoria, è morto giovanissimo e quindi gli è subentrato il fratello minore.
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Ricetta della zuppa povera portodanzese
700 g di pesce di scarto, 2 spicchi di aglio, 1 acciuga sotto sale, 1 bic-chiere di olio extravergine di oliva, fi l circa di acqua di mare, un sassoraccolto sul fondale, 1 pezzetto di peperoncino.
Schiacciate l'aglio in una padella e mettetelo a rosolare con l'olio, l'ac-ciuga lavata e sfilettata e il peperoncino, aggiungete il pesce lavato epulito, il sasso raccolto e l'acqua di mare. La zuppa sarà pronta in po-chi minuti.
Zuppa di pesce
Sale, alici e baccalà
Per conservare il pesce e anche per venderlo si provvedeva a salarlo o afriggerlo per poi marinarlo: anche di questa pratica si dovette abusare, se ban-di e decreti della Camera apostolica ne reiterano il divieto6. Il pesce fresco dimare, fino a qualche decennio fa, era praticamente assente dalle tavole paesa-ne, poiché raramente poteva arrivare negli impervi paesi dell'interno, dove gliunici pesci commercializzati perché in conserva o seccati erano il baccalà, iltonno, le acciughe, le sarde e le salacche. In un tariffario dei generi di pizzi-cheria del comune di Nepi, datato ottobre 1861, troviamo in vendita il baccalàa 6 bajocchi, il baccalà bagnato a 4 bajocchi, la tonnina e il tarantello rispetti-vamente a 12 e 16 bajocchi, il salmone - che probabilmente si pescava sul ter-ritorio - a 12 bajocchi, l'anguilla marinata a 12 bajocchi, quella carpionata a10, le alici - ogni due - a 1,5 bajocchi, le sarde - ogni due - a 1 bajocco, learinghe a 2,5 bajocchi e le salacche a 1 bajocco. È presente nella lista anche ilcaviale, senza prezzo, probabilmente per indisponibilità al momento. Il prezzoè segnato per una libbra. Pesce sì, come si vede, ma solo secco o in conserva7.
Il pesce di più largo consumo era il baccalà. Proveniva in genere dai por-ti di Livorno o da quelli di Napoli, dove lo scaricavano soprattutto i battellibattenti bandiera inglese provenienti dai mari del nord, ma anche quelli fran-cesi ed olandesi. Esisteva un fitto interscambio commerciale con i paesi pro-duttori del nord Europa, le cui navi, dopo aver scaricato il pesce, facevano ri-torno a casa cariche del prezioso, e insostituibile per qualità, sale di Sicilia8.L'acqua in cui il pesce veniva dissalato era contemporaneamente usata, quan-do serviva, per tenere a bagno i ceci, in modo da risparmiare il sale che era uningrediente prezioso, specie nei paesi dell'interno, dove arrivava fortunosa-mente a dorso di mulo. Le preparazioni più gettonate vedevano il baccalà inconnubio, oltre che con i ceci, anche coi peperoni, in guazzetto, con un sugodi pomodoro e peperoncino, in agrodolce con uvetta e pinoli, ma erano soprat-tutto i suoi filetti, impastellati e fritti, ad essere diffusi in tutta la regione.
Le acciughe salate, più che un pesce da consumare come tale, si erano
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6Bando del 30 giugno 1664, in Regesti di bandi, editti, notificazioni e provvedimenti…cit., vol. V. Questo stesso bando si reitera diverse volte negli anni successivi.
7Tariffa dei generi di pizzicheria del comune di Nepi, 21 ottobre, 1861. Foglio volante,archivio privato.
8Lo Sardo, E., “Baccalà e stoccafissi sulla mensa dei poveri. Il commercio di pesce aNapoli nel XVIII secolo”, in Archivi per la storia dell'alimentazione, 1995, vol. II, p.1044.
ormai trasformate in una sorta di insaporitore e la loro presenza, non solo nelLazio ma in tutta la cucina tradizionale italiana, è rimasta fondamentale.
Orti e ortaggi
L'agronomo francese De Tournon9, incaricato dal governo giacobino diRoma di redigere una relazione sulle condizioni della campagna romana, di-pinge un quadro molto preciso ed esauriente di quelle che erano le coltivazio-ni orticole dell'agro. Le maggiori coltivazioni di ortaggi si avevano nelle vallilungo le quali scorrevano fiumi e corsi d'acqua, soprattutto nei dintorni del la-go di Bolsena, lungo le rive del Tevere, nella parte inferiore della valle del Ve-lino, nella vallata del Farfa, in quella di Valmontone e Anagni, nella parte cheaccosta il fiume Sacco e in quella che separa i monti Lepini dagli Algidi.
La maggior parte dei paesi, arroccati sui cocuzzoli delle montagne e suipoggi, coltivavano orti lungo i canaloni, spesso percorsi da fiumiciattoli o tor-renti che consentivano l'irrigazione. I contadini arrivavano sul posto di lavorodopo ore di cammino spesso impervio su viottoli percorribili solo con il muloo l'asino. Di questa realtà hanno dato testimonianza due anziane orticultrici diNerola – Elide, detta Lella, Rosati, di 86 anni e la sorella Maria di 80 anni, na-te e residenti a Nerola – che per curare e raccogliere i prodotti del proprio or-to, ubicato presso un canalone sotto il paese lungo il fosso Corese, si arrampi-cavano per un impervio sentiero due volte al giorno, impiegando, per ogni tra-gitto, due ore. Questa testimonianza si riferisce al periodo a partire dagli anni'30 del Novecento.
Nell'agro si coltivavano quasi esclusivamente carciofi di cui - dice la re-lazione di De Tournon - si faceva un consumo immenso. Per il resto, le varietàprodotte sono scarse: diverse qualità di cavoli, meloni, cocomeri e cetrioli.
In realtà, alcune aree erano particolarmente vocate alla produzione di ci-polle, scalogni, rape, porri, lattughe e zucche; in campo aperto e nelle vallatesi coltivava moltissimo la fava che, opportunamente seccata, veniva ancheesportata a Genova e in Toscana; notevole per qualità era anche la produzionedi lenticchie, fagioli e ceci. Il maggior guadagno contadino era dato dalla ven-dita dei fagioli, di cui sono attestate e testimoniate sul territorio un gran nume-
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9P.M.C. de Tournon-Simiane, Etudes statistiques sur Rome et la partie occidentale desetats romains, contenant une description topographique et des récherches sur la population, l'a-griculture, les manifactuires… et une notice sur les travaux executés par l'administrationfrançaise. Treuttel et Wurtz, Paris 1800.
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ro di varietà; molte di queste, non più coltivate, sono oggi argomento di ricer-ca e recupero, come sta avvenendo nelle campagne del Tiburtino-Sublacensead opera del CNR. Alcune leguminose, come ad esempio la roveglia, sono deltutto scomparse: qualche anziano intervistato a Collepardo ricorda questa gu-stosa leguminosa dal sapore di pisello, che era diffusa con il nome di moco eche faceva parte delle colture orticole.
La Relazione del governo francese rivela inoltre che gli agretti non eranocoltivati né conosciuti nel Lazio prima degli inizi dell'Ottocento.
Importantissima e molto diffusa era invece la coltivazione del cavolo,che dal Medioevo in poi compare sulle tavole rurali un giorno su tre, e delquale erano note le proprietà terapeutiche, oltre che nutrizionali. Parlare di ca-voli nelle coltivazioni dell'Agro romano significa tuttavia fare un discorso su-perficiale: nessuno infatti ha mai tentato il censimento delle numerosissimevarietà che vi si coltivavano, molte delle quali oggi scomparse. Il più famosoera il broccolo verde di Albano, ma broccoletti si coltivavano anche sul lagodi Bracciano, nel comune di Anguillara; una produzione di broccoli è inoltretestimoniata a Palestrina, una varietà di cavolo nero è presente a Zagarolo e aNazzano, ma quest'ultima sembra essere una produzione abbastanza recente.
Anche le patate venivano prodotte in abbondanza, ma - sostiene sempreil De Tournon - il loro gusto non era ancora ben accetto alla gente - e siamoagli inizi dell'Ottocento! È dunque ragionevole supporre che la famosa sbro-scia fosse all'inizio una semplice zuppa di pesce di lago, cui più tardi sono sta-te aggiunte le patate.
Sarà solo a partire dagli anni '30 e più diffusamente negli anni '50 del se-colo successivo, che si diffondono le coltivazioni attuali: melanzane, pepero-ni, zucchine, varie qualità di insalata, pomodori - soprattutto nelle varietà pan-tano, casalino e sammarzano - e poi spinaci, bietole, ecc. Tutte le intervisteeffettuate sul territorio ad anziani contadini hanno confermato questa situazio-ne. In molti casi, alla domanda su quali fossero i prodotti orticoli tipici dellazona, ci è stato risposto tutti e nessuno, nel senso che tutti gli ortaggi modernisono testimoniati sul territorio dal dopoguerra. Prima il cibo era erba.
Il connubio di erbaggi con carni e pesce è stato per lungo tempo una del-le caratteristiche fondamentali della vecchia cucina dell'Agro romano, che laristorazione cosiddetta tipica ha perso, per privilegiare piatti a rapida cotturache nulla hanno a che vedere con la tradizione locale. Alcune particolari erbeselvatiche, dal momento che non si trovano in commercio e debbono, come sifaceva un tempo, essere ricercate nei campi, sono state cancellate dalla cucinadella regione. Un esempio per tutti: da un'intervista fatta a Rodolfo Tassi, unagricoltore di 83 anni, nato e cresciuto a Palombara Sabina, abbiamo appreso
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che i ppiccicocchi, una particolare varietà di cicoria dolce, costituivano fino aqualche decennio fa una gustosa insalata tipica della zona, da condire con leacciughe e l'olio prezioso del posto; oggi sono quasi scomparsi dalle tavolecasalinghe e impossibili a trovarsi in quelle che dovrebbero guardare con oc-chio più attento alla ristorazione tipica.
La provincia di Viterbo ha, in tema di orticultura, una antichissima tradi-zione. Gli ortuli viterbesi, già a partire dal Duecento, venivano irrigati con undisteso e complicato sistema di irrigazione e le acque dei fossi potevano esse-re utilizzate dal pomeriggio del venerdì alla domenica mattina, mentre durantei restanti giorni servivano a far funzionare i numerosi mulini.
La cucina popolare del Lazio era soprattutto una cucina di erbaggi, aiquali, quando si poteva, venivano aggiunte proteine. Moltissime di queste pre-parazioni sono rimaste in uso, anche se raro, nella cucina di tutti i giorni; bastipensare alle animelle o alla coradella di abbacchio con i carciofi e i piselli, alfelice connubio di salsicce e broccoli, alle ciriole e al palombo, ma anche allequaglie coi piselli, alle numerose frittate con i luppoli, alla vitalba, ai germo-gli di fava, alle numerose zuppe e acquecotte, dove la tipicità è data dalla qua-lità delle erbe selvagge, molte delle quali, crude, compongono la classica mi-sticanza.
La conoscenza delle erbe selvatiche da cucinare nell'acquacotta è oraquasi esclusivo appannaggio di donne con i capelli bianchi, perché un'acqua-cotta, per essere speciale, doveva costituire un equilibrato connubio di erbearomatiche come mentuccia, sedano, aglio, ortica, finocchio selvatico e cico-ria, ma anche ortaggi coltivati come raperonzoli, carciofi, pomodori, patate,ecc. Spesso la zuppa era arricchita anche da legumi, come fave, fagioli e pisel-li; come ingrediente che doveva dare il “la” alla zuppa, veniva aggiunto unpezzo più o meno grosso di baccalà, che trasformava la minestra in un sapori-to ed equilibrato piatto unico. Quando non si disponeva di baccalà, la zuppa sipoteva anche preparare con le lumache o con le uova.
L'acquacotta della maremma laziale è oggi quasi scomparsa dalle case edalla ristorazione, benché non abbia niente da invidiare alle più note sorelletoscane. Una delle più famose si preparava nel viterbese, e questo piatto "po-vero", comune a tutte le civiltà contadine del Paese, ha sempre avuto nel La-zio una connotazione culinaria particolare, legata non soltanto agli ingredienti– legumi, erbe selvatiche, pesce o altro –, ma anche al particolare modo diprepararle. La saggezza contadina aveva insegnato a rendere più digeribili ta-luni legumi cucinandoli assieme ad alcune erbe particolari come il timo serpil-lo, la maggiorana – che i contadini chiamano persa –, il finocchio selvatico etante altre.
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L'acquacotta della maremma laziale(provincia di Viterbo)
“Acqua cotta”: quasi a dire che nella minestra non c'è altro. E, invece,questa semplice zuppa di erbe, tipica del viterbese, è ricca di profumi semprediversi, a seconda delle erbe che si mettevano nel tegame di terracotta: pote-vano essere condite con semplici pomodori e finocchio selvatico come nel ba-gnone10, oppure con crespigno, pastinache e ramolacci; o, ancora, con le rape econ i broccoli, ma anche con le patate, con le cipolle, con il crescione dei fos-si, con i luppoli e i germogli di zucca e con i cardi selvatici. A completare ilpiatto unico delle famiglie povere, la zuppa veniva arricchita con un uovo ocon un pezzetto di baccalà. Ad annotarle tutte, le acquecotte della maremmalaziale si potrebbe scrivere un libro e ci piacerebbe che la ristorazione, più at-tenta al proprio territorio, ne offrisse in menu un anche piccolo campionario.
Per questa ricerca ne abbiamo selezionata una, semplice e gustosa, cheutilizza soprattutto la cicoria selvatica e la mentuccia, erbe di cui sono ricchi icampi delle colline e dei boschi viterbesi, e che si trovano facilmente in com-mercio.
Ricetta dell'acquacotta viterbese
Ingredienti: 1 kg di cicoria selvatica, 4 patate, 200 g di baccalà ammol-lato, 4 fette di pane casereccio raffermo, 400 g di pomodoretti da sugo,1 mazzetto di mentuccia, 1 cipolla, 1 spicchio di aglio, 1 pezzetto di pe-peroncino, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva del territorio, sale.
Versate in un tegame di terracotta un litro di acqua e unitevi le patatesbucciate e tagliate a dadini, la cipolla e l'aglio affettati sottilmente, ipomodori a spicchi, il baccalà tagliato a pezzetti, il peperoncino e unpizzico di sale. Fate cuocere la zuppa per circa un'ora.Intanto, a parte, lessate la cicoria, scolatela, tritatela e unitela alla zuppainsieme alle foglioline di mentuccia e lasciate insaporire la minestra perqualche minuto.Disponete il pane nelle scodelle, ricopritelo con la zuppa e condite conl'olio.
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10I. Arieti, La Tuscia a tavola. Ed. Quatrini Archimede, Viterbo, 1987.
Attenzione particolare era rivolta ai legumi, che non dovevano esseretroppo vecchi perché pesanti a digerirsi, dovevano cucinare lentamente possi-bilmente in un recipiente di coccio e mescolati pochissimo, per evitare che sirompessero i legumenti - che a fine cottura devono risultare tenerissimi e qua-si confondersi con la polpa del legume.
Con gli stessi ingredienti di base – ceci, lenticchie, fagioli –, si prepara-vano zuppe estremamente diverse da zona a zona, perché spesso anche unastessa qualità di ortaggi variava come sapore e aspetto da un posto all'altro. Lazuppa di ceci e nghiaccheteglie - un particolare cavolo bluastro tipico dellazona - che si preparava nelle campagne di Cori e Priverno, non aveva nulla ache vedere con l'omonima zuppa preparata in altre località dell'agro.
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L’acquacotta
La bazzoffia(provincia di Latina)
La gastronomia della provincia di Latina abbraccia oggi due diverse areeculturali: quella della pianura, acquisita dopo il prosciugamento delle paludi,con l'inserimento massiccio di popolazione proveniente dall'Italia del nord,soprattutto dal Veneto, che ha portato con sé usi e tradizioni gastronomichedella propria terra, e la cucina stanziale dei centri dei monti Lepini, assimila-bile a quella del resto delle province, con lo sfruttamento dei prodotti del terri-torio, in particolare i carciofi, le fave, i piselli, la lattuga, ecc.
Ricetta della bazzoffia
200 g di piselli freschi sgranati, 150 g di fave fresche sgranate, 3 carcio-fi di Sezze, 1 piccolo piede di lattuga, 1 cipolla, 4 uova, 4 fette di panecasereccio raffermo, 2 cucchiai di pecorino grattugiato, 4 cucchiaiate diolio extravergine di oliva dei monti Lepini, sale.
Pulite le verdure e tagliate a spicchietti i carciofi e a listarelle la lattuga.Tritate finemente la cipolla e fatela rosolare in una casseruola con l'olio,unite le verdure e i legumi, ricoprite con circa 1 litro di acqua bollente,salate, coprite e fate cuocere su fuoco moderato la vostra zuppa per cir-ca un'ora. Distribuite le fette di pane nelle scodelle individuali, depone-te su ciascuna un uovo in camicia, ricoprite con la zuppa bollente, co-spargete con il formaggio e servite.
Gli ingredienti della bazzoffia potevano cambiare a seconda della produ-zione stagionale: oggi, nell'area di Priverno, ogni famiglia dispone della sua"vera e autentica" ricetta della bazzoffia, che viene arricchita alla fine con leuova, al posto dell'antico uso del baccalà o delle lumache.
Le carni
Terra di latifondo, la campagna romana è stata per secoli il regno del pa-scolo brado. Ancora dalla citata relazione del De Tournon apprendiamo che, aquell'epoca, per ogni pastore c'erano al pascolo 3 ovini. Gli ovini sono rimasti,infatti, i grandi protagonisti della cucina del Lazio, anche se sono state messe
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nel dimenticatoio preparazioni tradizionali un tempo di uso quotidiano – perchi se lo poteva permettere, s'intende! – come l'abbacchio brodettato, legatocon la salsa di uova e limone, o l'agnello attufato, tirato a cottura con il brododi carne ed il vino Est! Est! Est!, tipico della zona di Montefiascone.
La carne di manzo era rara sulle tavole popolari, e rare sono anche le ri-cette con le quali veniva preparata; il magnifico garofolato di manzo, monu-mento di autarchia in cucina, prevedeva un sugo – chiamato “sugo d'umido” –che serviva per condire la pasta, mentre la carne veniva servita a parte affetta-ta. Era il fiore all'occhiello di molte trattorie e taverne, ma ora non viene piùproposto dai ristoratori, a causa dei lunghi tempi di cottura previsti.
Il maiale era presente nell'alimentazione quotidiana popolare solamentecon il suo grasso; ogni famiglia, oltre alle galline, allevava un maiale, risorsadi carne che doveva durare tutto l'anno: il grasso veniva trasformato in strutto,la carne in salsicce, salami e prosciutti, mentre le parti nobili, quelle dalle qua-li si ricavano le braciole e le bistecche, venivano cotte e conservate sotto olio
Questa costumanza, anche se sempre più di rado, era ancora in uso nellezone rurali intorno all'inizio degli anni ’70 del Novecento. Carni e pollameerano naturalmente riservati ai giorni di festa.
Dagli Atti della Giunta per l'inchiesta agraria e sulle condizioni di vitadella classe agricola, elaborata nel 1886 e nota come “Inchiesta Jacini”,emerge che la quasi totalità della classe contadina, ossia la maggioranza dellapopolazione italiana, mangiava la carne assai raramente in occasione delle fe-stività, sotto forma soprattutto di frattaglie; la situazione generale non cambiascorrendo gli atti della Commissione parlamentare Sulla miseria11 del 1953.
L'abbuoto(provincia di Frosinone)
Per reperire informazioni sulle carni utilizzate dalla cucina tradizionale,sono stati intervistati alcuni anziani di Collepardo, in Ciociaria, dove si prepa-rava un piatto legato all'allevamento degli ovini. L'abbuoto è ormai quasiscomparso dalle tavole familiari, mentre alcuni ristoranti trendy lo stanno re-cuperando con successo. Il nome di questo piatto, molto particolare, potrebbe
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11Atti della commissione parlamentare d'inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi percombatterla. Vol. II: Condizioni di vita delle classi misere: indagini tecniche, a cura della Ca-mera dei Deputati. Milano: Unione Tipografica, 1953.
spiegarsi con il fenomeno linguistico del betacismo, tipico di quest'area, checonsiste nella sostituzione della lettera v con la b, e dunque avvuoto potrebbeindicare “una cosa che si avvolge”, cioè, in pratica, il nostro involtino.
Ricetta dell'abbuoto
1 corata di agnello con budelline e rezza, 1 cipolla fresca, 1 costa di se-dano, 1 mazzetto di prezzemolo, fi bicchiere di vino bianco secco, pe-corino locale grattugiato, 2 cucchiaiate di olio extravergine di oliva, sa-le e peperoncino, 500 g circa di salsa pronta di pomodoro.
Lavate la corata e tagliatela a dadini, tritate finemente la cipolla, la ca-rota, il sedano e il prezzemolo e metteteli a rosolare in un tegame dicoccio con due cucchiaiate di olio e un pezzetto di peperoncino. Quan-do gli odori sono perfettamente appassiti, aggiungete la corata, fatelarosolare quindi portatela a cottura bagnando con il vino e salando pocosolo verso la fine. Dovrà risultare un composto ben asciutto, che condi-rete con abbondante pecorino.
Stendete ora sul tavolo dei pezzetti di rezza di agnello ben lavata eriempiteli con la corata preparata poi avvolgeteli in modo tale da forma-re un involtino che legherete con le budelline, ben lavati e asciugati.
Cuocete poi gli involtini nel sugo di pomodoro
Si tratta, nella preparazione più antica e povera, di un involtino di trippadi agnello farcita di odori – in genere, carota, cipolla e sedano – e corata, poilegato con le budelline dell'agnello. Successivamente, l'involtino viene arric-chito con carni di salsiccia, parmigiano, ed altri ingredienti a piacere.
Una delle persone intervistate – Emilia Liberatori, di 88 anni –, ha reso,ed è stata l'unica, una curiosa testimonianza: la signora ha lasciato il paese ne-gli anni '30 del Novecento, appena diciottenne, per andare a servizio della fa-miglia Ruschena a Roma, nota nella capitale per un grande negozio di pastic-ceria. Emilia ha testimoniato “…di non essersi praticamente accorta dellaguerra”, e nella sua memoria di persona priva di problemi nel reperimentodelle derrate alimentari, anche nei momenti più difficili per la città di Roma,ha dato dell'abbuoto una versione “ricca”, e cioè non preparata con la trippa diagnello, come si faceva al suo paese, ma con quella più nobile del vitello, checertamente era più facile da reperire sul mercato romano.
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L'abbuoto tradizionale dovette riscuotere una certa popolarità, se un piat-to con lo stesso nome si ritrova in Abruzzo, a Pescolanciano, con il nome diabbuoto pescolano: in questo caso il piatto, più ricco, è composto da un invol-tino di vitella ripieno di uova sode, prosciutto e scamorza appassita.
Le altre testimonianze raccolte in Ciociaria sono state invece concordinell'affermare che la preparazione tradizionale prevede la trippa di agnello.
Le persone intervistate hanno fornito diverse varianti circa le modalità dicucinare l'abbuoto: può infatti essere semplicemente messo al forno con un po'd'olio, o anche fatto alla griglia, infilato o meno in spiedini di legno.
I cereali
Fave, fagioli, lenticchie, ceci, cicerchie, ma anche roveglia nelle areemontane, non potevano mancare nella dispensa del contadino; la loro produ-zione era diffusa in tutto il territorio, ma molte varietà sono quasi scomparse,e lo stesso uso dei legumi è oggi ristretto a pochissime specialità che privile-giano soprattutto il fagiolo. La ristorazione tipica non offre che raramente mi-nestre di ceci o di fagioli, ignorando completamente il mondo delle altre legu-minose, relegate allo stato di prodotti di nicchia.
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Ricetta della zuppa di fagioli dell'alta valle dell'Aniene(provincia di Roma)
500 g di fagioli cioncone, 200 g di cicerchiole (pasta acqua e farina,dal formato di quadruccio e grande quanto una cicerchia, da cui il no-me), 1 cipolla, 1 piccola carota, 1 costina di sedano, 1 fetta di ventre-sca, 6 cucchiaiate di olio extravergine di oliva, 1 pezzetto di peperonci-no, 2 cucchiaiate di pecorino locale grattugiato, sale.
Lessate i fagioli con acqua leggermente salata, e nel frattempo prepa-rate un soffritto con gli odori tritati finemente e la ventresca tagliata adadini, mettendo il tutto a rosolare in un recipiente di terracotta conl'olio. Unite il peperoncino e 1 litro circa di acqua calda, salate e fatecuocere per 20 minuti. Versate i fagioli ben scolati nel tegame di coccio, e quando la minestrarialza il bollore, unite la pasta e fatela cuocere al dente. Condite la zup-pa con altro olio crudo e spolveratela con il pecorino.
Il mondo dei legumi costituisce invece una presenza molto importante nell'ali-mentazione dell'agro romano, già in epoca antica, e poi durante tutto il Me-dioevo. A partire dal secolo XVI, decreti e motuproprio della Camera Aposto-lica cercarono di tutelare la produzione, il commercio e soprattutto il trasportodi granaglie e legumi, su strade infide e controllate dai potentati locale12. Laproduzione di fave nell'area anziatina e nettunense era copiosa e famosa: laquasi totalità della produzione secca era avviata al mercato romano o esporta-ta verso la Toscana. Nell'area del Tiburtino-Sublacense si coltivavano, finoagli anni '60 del Novecento, una decina di varietà di fagioli che oggi il CNR,come si è detto, sta cercando di recuperare all'uso.
Le paste tradizionali
A partire dall'immediato dopoguerra, la pasta fatta in casa - confezionatacon acqua e farina e, quando c'erano, anche con le uova - era la sola usata nel-le famiglie contadine. Soltanto di domenica si preparava il primo piatto con la“pasta compera”, considerata un lusso fino agli anni ’70 del Novecento. La fa-rina di tipo 0, dal costo più basso, era spesso mescolata con altre farine, comequelle di mais, di farro o di castagne. Quella di farro, in particolare, era larga-mente impiegata perché negli anni del secondo conflitto mondiale aveva uncosto più contenuto, essendo fuori dal tesseramento. Questo ha fatto sì che inmolte aree di alta collina la produzione del farro fosse considerata con interes-se dagli agricoltori.
Il formato delle paste costituisce un universo, all'interno del quale è mol-to difficile districarsi. Formati e terminologie variano da paese a paese, anchequando questi distano fra di loro pochi chilometri: ad esempio, Guidonia eMontecelio distano fra loro meno di un chilometro e costituiscono un unicocomune, ma un tipo di pasta chiamato pingiarelle, che si prepara a Montece-lio, non si prepara a Guidonia. Il secolare infeudamento delle terre è probabil-mente la ragione di questo fenomeno .
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12 “Motuproprio di Pio IV col quale si vieta a tutti i baroni, conti, marchesi, duchi e si-gnori secolari ed ecclesiastici, ed anche cardinali, sotto pena della scomunica, dell'accusa di le-sa maestà, e della perdita e confisca dei beni, d'impedire il trasporto a Roma del grano, dell'or-zo e dei legumi, salvo la quantità che possa occorrere a loro e alle loro famiglie per un annosoltanto” 1559-1565. In Regesti di bandi, editti, notificazioni e provvedimenti … cit, vol. I.
Il motuproprio è reiterato quasi ogni anno, a testimonianza non solo della sollecitudinedella Camera Apostolica per il problema degli approvvigionamenti cittadini, ma anche dellagravità del problema dei trasporti via terra di beni alimentari in genere.
La terminologia utilizzata per indicare i formati non è mai omogenea: glistrozzapreti possono essere, a seconda della zona, grossi spaghettoni confezio-nati a mano, tagliatelle grossolane, gnocchi, quadrettini o maltagliati. A diffe-rire sono spesso anche le farine con le quali queste paste vengono confeziona-te, quasi che il termine strozzapreti stesse unicamente ad indicare una vivandagolosa.
I condimenti erano un tempo molto legati ai prodotti del territorio: ilragù di carne era raro e veniva confezionato con i ritagli dell'agnello o con lerigaglie del pollame, e preparato soltanto nei giorni di festa; il condimento piùusato era a base di aglio, olio, pomodoro e peperoncino. In ogni caso, nonmancava mai una spolverata di pecorino locale, oggi soppiantato dal pococoerente parmigiano. Le paste minute, ma anche i tagliolini sottili, si prepara-vano per le minestre in brodo. Qualche formato è legato a motivi religiosi, co-me le cannacce, che si preparano ad Ariccia per la festa di Sant'Apollonia,bruciata viva nel Medioevo su una catasta di canne.
Le paste ripiene sono diffuse nel mondo rurale sotto forma di ravioli, ilcui ripieno, in un mondo di pastori, non può che essere a base di ricotta; sitrattava comunque di un piatto riservato alle feste.
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Gli gnocchi di segale
Gli gnocchi di segale dei monti Lepini(provincia di Latina)
La farina di segale, scura, con la quale si producono gnocchi dal saporerustico, veniva usata al posto della più costosa farina di grano. Gli gnocchi diacqua e farina, di origine medievale, preparati con una farina povera che, co-me il farro, non rientrava nei prodotti da tesseramento prima e dopo il secondoconflitto mondiale, sono presenti nelle usanze gastronomiche di questa terraun tempo povera di risorse. Oggi questo piatto ha una valenza culturale, con ilsuo sapore rustico ma piacevole, sottolineato dal sapido ragù preparato con lacarne di capra, che non dovrebbe essere dimenticato dagli operatori della ga-stronomia tipica.
Ricetta degli gnocchi di segalePer gli gnocchi: 400 g di farina di segale, 2 dl circa di acqua bollente,un pizzico di sale.Per il condimento: 500 g di spezzatino di capra, 1 cipolla, 1 costa di se-dano, 1 carota, 1 mazzetto di prezzemolo, 500 g di passata di pomodorocasalinga, 1 bicchiere di vino rosso, 4 cucchiaiate di olio extraverginedi oliva dei monti Lepini, 2 cucchiai di pecorino grattugiato, sale, pepe-roncino.
Preparate anzitutto gli gnocchi: impastate la farina setacciata con unpizzico di sale e l'acqua bollente: dovrete ottenere un impasto liscio esodo. Ricavatene dei piccoli gnocchi che passerete sui rebbi di una for-chetta o sul dietro di una grattugia, come per i comuni gnocchi di pata-te. Preparate ora il sugo: tritate grossolanamente insieme la cipolla, il seda-no, la carota il prezzemolo e metteteli a rosolare in un tegame di cocciocon l'olio. Unite la carne e fate rosolare anche lei, poi versatevi il vino efatelo evaporare rimescolando. Unite ora il pomodoro, il sale occorrentee un pezzetto di peperoncino e proseguite la cottura fino a quando lacarne sarà ben tenera e il sugo ristretto.Lessate gli gnocchi in acqua salata in ebollizione poi conditeli con il su-go preparato e con il pecorino.
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Le sagne di farro con l'aglione(provincia di Rieti)
Per la provincia di Rieti ci si è avvalsi della collaborazione del Comunedi Orvinio, l'antica Canemorto, con due preparazioni legate ai prodotti locali:le sagne di farro con l'aglione e il polentone con la ventresca. Le sagne di far-ro sono un piatto, ormai quasi dimenticato, che si preparava con il farro colti-vato nel territorio del comune.
Dall’intervista effettuata a Ida Attilia, di 80 anni, nata e cresciuta ad Or-vinio, è emerso che la guazza notturna anneriva le spighe, che dovevano per-ciò essere lavate, con la conseguente perdita di parte del prodotto. Per evitarel’inconveniente, molte massaie preparavano le sagne con il grano scurito nonlavato, e ne risultava una pasta molto più scura. “Accosta le finestre”, si dice-va al momento di andare in tavola, così non si sarebbe notato il colore più scu-ro della pasta – e la fame di allora non le faceva davvero trovare sgradevoli!
Ricetta delle sagne di farroPer le sagne: 400 g di farina di farro, 2 dl di acqua tiepida, sale.Per il condimento: 4 grossi spicchi di aglio, un cucchiaino raso di salegrosso, un pezzetto di peperoncino, fi bicchiere di olio extravergine dioliva..
Setacciate anzitutto la farina sulla spianatoia e impastatela vigorosa-mente e a lungo con l'acqua e con un pizzico di sale. Dopo opportunoriposo, tirate l'impasto con il matterello di legno in una sfoglia sottile.Fatela asciugare su un canovaccio pulito poi ritagliatene delle tagliatel-le alte circa 2 cm.Preparate ora l'aglione: mettete nel mortaio di legno l'aglio sbucciato, ilpeperoncino e il sale e pestate a lungo unendo uno o due cucchiai diacqua, fino ad ottenere una salsa omogenea che condirete con l'olio ex-travergine di oliva. Lessate la pasta in acqua salata bollente e conditelacon la salsa preparata.
Le sagne erano condite tradizionalmente con l'aglione, una sorta di salsacruda a base di aglio, sale grosso e peperoncino pestati insieme in un mortaiodi legno: alla crema che se ne otteneva veniva poi aggiunto l'olio. Per questo,negli orti di Orvinio non mancavano mai i filaretti di agli.
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Il polentone con la ventresca(provincia di Rieti)
La testimonianza più significativa del polentone con la ventresca ci è sta-ta fornita da Teresa Perna, di anni 77, nata e vissuta sempre ad Orvinio. Almomento dell'intervista la signora Teresa stava preparando il piatto per ungruppo di famiglie amiche.
In paese distinguono la polenta dal polentone: ambedue vengono prepa-rati con la farina di mais macinata finemente, ma la polenta è preparata in mi-nestra semiliquida, il polentone è più sodo e si taglia a fette. La qualità di ma-cinazione della polenta è molto importante. Teresa Perna, che stava utilizzan-do una farina molita industrialmente, aveva provveduto a setacciarla ancoraper ottenere uno sfarinato veramente sottile.
Ricetta del polentone con la ventrescaPer la polenta 400 g di farina di mais macinata sottile, 1,2 l di acqua,sale.Per il condimento 8 grosse fette di ventresca (circa 150 g l'una), 60 g dipecorino locale grattugiato.
Portate a bollore l'acqua con il sale necessario, poi togliete il recipientedal fuoco e versatevi la farina lentamente rimescolando fino a quandoavrà assorbito completamente l'acqua. Rimettete il recipiente sul fuocoe fate cuocere la polenta per 30 minuti mescolando spesso. Rovesciatelasulla spianatoia di legno e tagliatela a fette.Nel frattempo, sistemate la ventresca sul fondo di una teglia e fate scio-gliere il grasso su fuoco bassissimo, girando spesso le fette che alla finedovranno risultare croccanti. Sistemate le fette di polenta nei piatti, ac-comodatevi sopra la ventresca con il fondo di cottura e cospargete conil pecorino.
Anche ad Orvinio ogni famiglia allevava uno o due maiali per avere laprovvista di carne per tutto l'anno. Questo polentone costituiva la colazionedel mattino per gli agricoltori, che andavano sui campi all'alba e verso le 10 sifermavano per fare colazione. Del tutto scomparso dalla ristorazione, soprav-vive ora in famiglia come cibo di convivialità.
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Sagne pelose col sugo finto(provincia di Frosinone)
Si tratta di grosse tagliatelle preparate un tempo solo con acqua e farina;chi poteva aggiungeva le uova e il termine “pelose” sta ad indicare la rugositàche deve avere la pasta se lavorata sulla spianatoia di legno. Si tratta di una ri-cetta che si è largamente diffusa in pratica in tutta quella parte della Regioneche confina con la provincia di Frosinone. Anche il “sugo finto” era un tempomolto diffuso: sapido, profumato, completamente dimenticato ora dalla risto-razione, è un vero monumento di saggezza culinaria: il brodo e il grasso dimaiale servono a conferire quel tanto di gusto per farlo assomigliare, alla lon-tana, ai corposi ragù di carne che consumava la classe abbiente.
Le persone intervistate sono state tutte concordi nel dire che la pasta fattain casa, almeno fino agli anni ’50 del Novecento, era preparata soltanto neigiorni di festa.
Ricetta delle sagne pelose
500 g di farina, 2,5 dl di acqua tiepida, 1 pizzico di sale. Per il sugo: 50g di lardo o grasso di prosciutto o strutto, 1 cucchiaio di conserva di po-modoro, 1 cipolla, 1 costa di sedano, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 bic-chiere di brodo, sale.
Tritate finemente insieme gli odori. A parte, tritate il lardo e fatelo scio-gliere su fuoco dolce, unite il trito di odori e proseguite la rosolatura perqualche minuto. Intanto sciogliete la conserva di pomodoro nel brodocaldo, unite al soffritto e fate restringere il “sugo finto” ad una giustaconsistenza. Aggiustate di sale.
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I dolci delle feste
Legati soprattutto a ricorrenze religiose, i dolci entrano sottovoce nellacucina popolare laziale: sono essenzialmente piccoli dolci secchi, addolciticon il miele e arricchiti con frutta secca, soprattutto mandorle e nocciole diproduzione locale; con l'introduzione del più costoso zucchero, questo è rima-sto come commento, perché ancor oggi i biscotti sono addolciti con il miele.La farina usata per l'impasto è oggi soprattutto quella di grano, ma un temposi preparavano anche con farina di orzo, di castagne, di farro, ecc. La pasticce-ria dell'antica Roma ha lasciato un'impronta importante nella preparazione diquesti dolci, per alcuni dei quali la ricetta moderna non si discosta affatto daquella antica. Dal Medioevo in poi si introduce nella pasticceria dell'agro an-che la giuncata e la ricotta, si perfezionano le frittelle, usando anche fiori efrutti, e si profumano con aromi ora quasi totalmente in disuso come il carda-momo, il ginepro, il muschio, ma anche la cannella e i chiodi di garofano.
La frutta è nel tempo diventata l'ingrediente più importante nella confe-zione delle torte. Fino all'Ottocento a Roma si celebrava il “trionfo delle fra-gole” di Nemi: il giorno di Sant'Antonio, il 13 giugno, un corteo di popolanedell'Agro, indossando i costumi tradizionali, partivano da Campo de ’Fiori epercorrevano le vie cittadine recando sul capo in bilico enormi ceste ricolmedei preziosi frutti. Oggi la sagra è limitata ai centri limitrofi al lago di Nemi.Erano popolari ancora nell'Ottocento le pesche e le ciliegie della Sabina e ri-sale forse a quel momento la preparazione delle celebri crostate: quella classi-ca, preparata con la marmellata di amarene, era la preferita del Papa Pio IX.
Il mondo dei dolci è uniforme nella regione: ecco perché in questa ricer-ca non abbiamo potuto attribuire a questa piuttosto che a quest'altra provinciala confezione di dolci particolari. Ovunque si preparano biscotti e pizze battu-te, magari con nomi leggermente diversi, ma identici nella preparazione. Soloqualche centro ha dolci particolari, ma non può essere considerata che un'ec-cezione a conferma della regola, perché anche in questo caso è difficile cheuna preparazione di successo non si sia poi diffusa nei paesi non soltanto limi-trofi. È il caso delle sposatelle e dei lepericchi, o delle pupazze a tre seni diGenzano, piccoli biscotti dalle forme apotropaiche, nati probabilmente in unpaese dei Castelli Romani, ma diffusi ormai in tutta la pasticceria laziale.
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Conclusioni
I criteri che hanno guidato la scelta dei piatti tipici prescelti vanno ricer-cati anzitutto nella tradizione orale, ampiamente documentata dalle numeroseinterviste, supportate, ma solo parzialmente, da ricettari e testi di cucina lazia-le, come il prezioso lavoro del Giaquinto, quello di Ada Boni e non ultimo ilmio lavoro pubblicato per la provincia di Roma13, che a suo tempo si avvalsedi una ricerca a tappeto sul territorio14.
È emerso con tutta evidenza che le preparazioni prescelte, sebbene ab-biano titolo per definirsi “tipiche” non necessariamente e non sempre usanoprodotti che noi definiamo “tipici”. L'uso più diffuso è semplicemente quellodi prodotti del territorio di cui non può essere decretata una tipicità in quantogenericamente comuni. Ad esempio, il polentone con la ventresca, ricetta pre-scelta per la provincia di Rieti, si avvale di due ingredienti - la farina di mais ela ventresca - la cui tipicità non è riferita solamente alla zona del piccolo co-mune di Orvinio, bensì riguarda tutto il territorio nazionale. Un discorso ana-logo interessa l'acquacotta della Maremma laziale, simile a quella in uso inToscana e con numerose e piccole varianti, legate al tipo di erbe usate per pre-pararla.
Per molte ricette invece il prodotto usato è “tipico” della zona, come adesempio la zuppa di fagioli dell'Alta Valle dell'Aniene, che sfrutta il famosofagiolo “cioncone”, ma che prevede varianti usando la famosa fagiolina di Ar-soli o la bazzoffia dell'Agro Pontino che si prepara con carciofi e lattuga, tipicidi quell'area geografica.
La tipicità inoltre può essere riferita alla modalità di preparazione: l'a-glione con cui ad Orvinio si condiscono le sagne di farro, è una salsa biancapreparata in maniera davvero tipica, pestando in un mortaio, aglio, sale edolio.
Per le paste la tipicità non è data dagli ingredienti per confezionarle, poi-ché si tratta quasi sempre di sole acqua e farina, bensì dai formati e dalle di-verse denominazioni.
Difficile sarebbe poi definire “tipici” i piccoli pesci che rimangono inca-
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13A. Boni, La cucina romana: piatti tipici e ricette dimenticate di una cucina genuina ericca di fantasia: la riscoperta di una Roma gastronomica che scompare nell'opera ormaiclassica e insuperata dell'autrice del "Talismano della felicità”. Roma, Newton Compton,1983; Giaquinto, Cucina di famiglia e pasticceria. Roma, Mediterranea, 1951; O. Zanini DeVita, Il Lazio a tavola. Roma, Alphabyte Books, 1994.
14Per una trattazione dettagliata del tema delle fonti, v. il saggio iniziale della Piccinin.
gliati nelle reti dei pescatori del lago di Bolsena con i quali si prepara la famo-sa sbroscia, e nemmeno possono essere definiti “tipici” gli altri ingredientiche la compongono, poiché sia le patate che la mentuccia sono diffuse comu-nemente in tutta la regione.
Assai più difficile sarebbe poi stabilire la tipicità della zuppa di pesce diNettuno, anche se il pesce che si pesca lungo quel litorale ha caratteristiche disapore davvero particolari. E, ancora, l'abbuoto ciociaro si caratterizza per l'u-so delle interiora dell'agnello, uso comune a tutta la Campagna romana: di ti-pico, in questo caso, potrebbe esserci solo il fantasioso uso delle trippe delica-te degli ovini.
Quel che è emerso invece con tutta evidenza dalle varie interviste è chesul territorio, a partire dagli anni del secondo dopoguerra, e soprattutto con ilboom economico degli anni '60, il benessere ha uniformato le coltivazioni, ladisponibilità di derrate alimentari e i conseguenti usi gastronomici, creandoun'enorme frattura fra le abitudini alimentari di quel tempo e quelle delle mo-derne generazioni, che ignorano pressoché totalmente quello che si preparavae che si produceva al tempo dei loro nonni. In altre parole, si sta perdendo laconoscenza delle nostre radici gastronomiche, poiché, trascorso un decennio,quando non ci saranno più gli anziani oggi fra gli 80 e i 90 anni, molte di que-ste conoscenze e preparazioni saranno definitivamente perdute.
L'importante funzione che dovrebbero svolgere gli agriturismo
L'indagine approfondita svolta dall'Istituto sugli agriturismo che operanonella regione ha evidenziato a chiare lettere l'importanza del lavoro che questiesercizi potrebbero svolgere sul territorio. La Legge regionale 10/11/1997, n.36 “Norme in materia di agriturismo” (cfr. l’Appendice di questo quaderno),all'art. 2, nello stabilire la quota parte dei prodotti coltivati presso le aziendeche devono essere da queste utilizzati o venduti, a nostro parere sottintendeche devono essere anche adoperati nella cucina offerta dall'azienda stessa.
Il recupero delle preparazioni culinarie tradizionali dovrebbe essereobiettivo primo di chi opera sul territorio, soprattutto in un momento comequesto, in cui si sta facendo largo nell'opinione pubblica l'importanza di nonfarsi soffocare dalla globalizzazione nell'area del cibo. Nel mercato culturale -siamo tutti d'accordo - è l'offerta che crea la domanda e se il gestore dell'eser-cizio ha acquisito una seppur minima sensibilità nei confronti delle vivandeche va a proporre nel suo menu, non avrà difficoltà a spiegare che una nocelladi strutto o un dado di lardo, per dar più sapore ad un condimento, sono molto
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meno nocivi del quantitativo di grassi vegetali idrogenati che quotidianamen-te, senza saperlo, infiliamo nella nostra dieta, e mi riferisco ai cornetti checonsumiamo al bar, a tutta la pasticceria, alle merendine, alla biscotteria, ecc.
La cultura del cibo - e non ci riferiamo solo alle preparazioni gastrono-miche - dovrebbe essere parte integrante e fondamentale per chi richiede un'i-scrizione della propria azienda fra gli agriturismo e proprio per questo gli entipreposti dovrebbero farsi parte dirigente per corsi di formazione in materia dialimentazione e di prodotti tipici, per aiutare le aziende ad acquisire consape-volezza dell'importante ruolo che svolgono sul territorio. Questa necessità èbalzata evidente dalle (mettere qui il numero) interviste effettuate dall'Istitutofra gli agriturismo regionali.
“Il cibo del territorio è cultura”: potrebbe essere questo un bel manifestoda appendere sulla porta d'ingresso degli agriturismo; chi entra deve sapereche non va a mangiare in un ristorante qualsiasi ma in un tempio della culturagastronomica italiana.
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PARTE SECONDAIL MONDO DEGLI AGRITURISMO
NEL LAZIO
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GLI AGRITURISMO TRA STORIA E CULTURA
di Corrado Barberis
Allo stesso modo che, in un'Italia morsa dalla fame, la riforma fondiariadal 1950 rappresentò l'atto politico più coraggioso del Parlamento repubblica-no, così nell'Italia del sopravvenuto benessere le leggi regionali sull'agrituri-smo, culminate in quella nazionale del 1987, costituirono il più intelligentestrumento per mettere a servizio di un settore globalmente in difficoltà – l'a-gricoltura – le risorse accumulate dai protagonisti delle altre attività economi-che e la loro voglia di divertirsi.
L'agriturismo, in realtà, è esistito da sempre. La sua più antica testimo-nianza è probabilmente quella del Cantico dei Cantici (7, II, 12) dove la Sula-mita così si rivolge all'amato:
“Vieni mio diletto, usciamo per i campi, pernottiamo nelle ville.La mattina andremo nelle vigne,vedremo se la vite ha fiorito,se son sbocciate le gemme,se han germogliato i melograni. Là ti darò i miei amori”.
Probabilmente, abbiamo sottolineato. Perché non è sicuro che le ville ad-ditate dalla Sulamita quali ideali sedi amatorie fossero da intendere nel sensodi podere, la latina villa, o non piuttosto nel senso di agglomerato abitativo dicampagna, nel qual caso non si tratterebbe più di agriturismo ai sensi dellalegge del 1987, ma di semplice turismo rurale, ancorché carico di spunti edu-cativi, naturalistici.
Di agriturismo parla invece, inequivocabilmente, Varrone, negli anni im-mediatamente precedenti il crollo delle istituzioni repubblicane. Lungo le stra-de consolari era suggerita l'apertura di tabernae, dedicate ai viaggiatori di pas-saggio: anche se il grande letterato, anticipando controversie tipiche dei nostrisistemi di contabilità nazionale, si rifiutava di annettere i risultati economici diquesti diversoria ai profitti dell'azienda agraria, preferendo calcolarli a partecome si sarebbe fatto con una cava di sabbia e di pietra. (Varron, Économierurale, Belles lettres, Parigi 1978, vol. I, p. 19).
In epoca meno remota la trasformazione in modesti alberghi di casupolecontadine site nei pressi delle località termali è documentata da Papa Pio II,Enea Silvio Piccolomini (I commentari IV, 15), mentre l'ospitalità degli agri-
coltori svizzeri trova un insuperato cantore in Rousseau (La nouvelle Héloïse,I, XXIII). Al turismo rurale, senza un diretto protagonismo degli agricoltori,appartengono invece le testimonianze di Madame de Sévigné sulle acque diVichy (Lettres, 20.5.1667) e di Goldoni autore di una celebre Trilogia dellavilleggiatura. Per tacere di Proust in cui la trasformazione di antiche case co-loniche in elegantissimi ristoranti e la vendita diretta del latte – anzi del caf-fellatte – ai passeggeri dei treni è ampiamente documentata, per la Normandia(A l'ombre des jeunes filles en fleur, Pléiade, I, pp. 655 e 826).
Accenni all'agriturismo, non ancora etichettato con questo nome, sonoreperibili nella monumentale indagine sullo spopolamento montano condotta atermine dall'INEA negli anni Trenta. E del 1956 è la creazione, voluta dall'al-lora ministro del Tesoro, Giuseppe Medici, dello Istituto per lo sviluppo eco-nomico dell'Appennino (ISEA). Non tanto allo scopo di procurare ai contadi-ni-albergatori un grosso lucro ma di consentire loro di assicurarsi, per tutto ilresto dell'anno, le moderne comodità abitative che sarebbero stati costretti adoffrire ai villeggianti. Fu però solo con il convegno di Michelangelo Capresepromosso da Simone Velluti Zati (1968) che l'idea di affidare la salvezza ditante aziende agrarie all'afflusso turistico – si era allora nel pieno dell'ondatadi esodo – prese definitivamente corpo ed entrò nei capitoli ufficiali della po-litica agraria.
Certo, molta storia è fluita da quando le prime indagini condotte dall'IN-SOR sull'altopiano di Asiago, nella seconda metà degli anni Sessanta, attesta-vano l'indubbia solidarietà esistente tra una misera agricoltura e un turismopovero: operai, studenti e altri vacanzieri di striminzito borsello ricercavanospartana ospitalità dai montanari in qualche camerone senza servizi igienici oaddirittura nel fienile per poche centinaia di lire a notte: di allora, ovviamente,ma pur sempre pochissime.
Erano tempi, quelli, in cui alla Coldiretti, al solo sentir parlare di turismoequestre, davano un balzo, essendo la parola “cavallo” evidentemente legata aun'immagine di lusso e di consumismo riprovevole. Oggi il passeggio ippicosi è diffuso al di là di ogni frontiera di classe, tanto nelle aziende contadinequanto nelle aziende borghesi. E già si progettano i primi eliporti aziendali perconsentire lo sbarco di avventori evidentemente dotati di qualche disponibilitàfinanziaria.
Sempre di più un agriturismo ricco convive con un agriturismo povero:tendendo, anzi, a sopprimerlo. E la ragione è assai semplice. Per aver vogliadi aprire qualche nuova iniziativa l'imprenditore deve essere abbastanza gio-vane. Ora, negli ultimi trent'anni, il concentramento delle residue forze giova-nili nelle aziende di maggiore importanza ha assunto ritmi sempre più esaspe-
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rati. Al tempo dell'ospitalità in fienile, l'agriturismo poteva costituire la sal-vezza di qualche minifondo. Oggi, per la dimostrata connessione tra gioventùdei protagonisti e volume del reddito, esso aggiunge soltanto potenza a poten-za. Concepita all'origine come un modo per aiutare i più poveri, dando loro unsupplemento di reddito, la politica agrituristica sta diventando appannaggio digente il cui giro d'affari è già piuttosto cospicuo.
Diremo di più. È la stessa premessa del “supplemento di reddito” che siviene perdendo per strada. Perché supplemento di reddito significa anche sup-plemento di attività, un'attività da erogarsi nel rifacimento dei letti da parte diuna componente tanto fondamentale quanto sfruttata dalla famiglia contadina:la donna. Rigovernare le stanze e servire all'ospite la prima colazione è inizia-tiva assai utile per salvare il bilancio di famiglie contadine povere. È però di-scutibile che esso possa costituire lo scopo di famiglie agricole più agiate, lequali puntano su iniziative un po' più qualificate e soprattutto basate sull'im-piego di manodopera salariata: di qui il ricorso all'equitazione e alla ristora-zione. Inizialmente erano i clienti a pretendere che la colazione mattutina sitrasformasse in pensione o mezzapensione. Oggi si stima che in Italia, su12.500 aziende agrituristiche, ce ne siano 2.200 dove l'ospitalità si traduce inristorazione senza alloggio. Perché avere un ospite in casa è operazione van-taggiosa se serve a vendere i prodotti dell'azienda, ma l'ospite è superfluo se iprodotti si vendono lo stesso. Grazie al ristorante.
Ecco perché la proposta dell'Assessorato regionale all'agricoltura del La-zio, prontamente raccolta dal BAICR, di dedicare un'indagine alla ristorazioneagrituristica giunge opportuna nel momento in cui, superate le difficoltà ini-ziali, l'agriturismo si propone come un comparto dinamico e promettente del-l'agricoltura nazionale e come un momento importante del recupero della tra-dizione gastronomica. Chi scrive ricorda la trepidazione con cui, insieme a Si-mone Velluti Zati, padre fondatore del movimento, osservavamo i primi pro-gressi delle statistiche che ancora non consentivano di fornire una precisa (esignificativa) misura quantitativa del fenomeno.
Un comparto produttivo non riesce a essere preso in considerazione senon rappresenta almeno lo 0,1% della realtà nella quale si inserisce. E in ve-rità, per fargli raggiungere lo 0,1% del fatturato agricolo non sono mancati ibenevoli, legittimi artifici. Tutto dipende dal gioco degli arrotondamenti. Se ilcomputo sarà inferiore a cinque decimillesimi, il fenomeno che si vuole evi-denziare non avrà ancora una rilevanza statistica, riprecipiterà verso lo zero.Ma se i cinque decimillesimi saranno superati, sia pure di un soffio, l'arroton-damento ad un millesimo verrà ad imporsi. E un millesimo rappresenta pursempre lo 0,1%, sia pure arrotondato per eccesso.
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Con Simone Velluti Zati fui dunque testimone del giorno in cui scattòl'arrotondamento: in cui, avendo raggiunto lo 0,1% l'agriturismo entrò a farparte, sia pur modesta, dei conti della nazione.
Oggi le emozioni di quei primi vagiti statistici sono superate. L'agrituri-smo ha ben superato l'1% del fatturato agricolo, quasi certamente qualcosa dipiù ancora sotto il profilo del reddito. Ed è destinato ad aumentare, vista la ri-scoperta della campagna in atto presso le classi urbane. È una crescita selvag-gia, talvolta al di fuori dei controlli amministrativi. Basti pensare che nel 2000gli agriturismo dichiarati presso gli uffici della Regione erano, in tutto il La-zio, 182, mentre il censimento dello stesso anno (quel censimento agricolo do-ve tutto tende a scomparire per timore del fisco, malgrado la segretezza deidati Istat) ne contava ben 475. Agli agriturismo ufficiali si erano evidentemen-te aggiunti una quantità di bed and breakfast, di piazzole campeggio e di altreiniziative più o meno qualificate.
Una crescita così impetuosa (e, proprio perché impetuosa, selvaggia) nonpuò passare inosservata da parte delle altre categorie interessate allo sviluppoturistico del mondo rurale: specie di quelle che si sentono danneggiate daglisgravi fiscali concessi, per amor di agricoltura. Nasce così, a cura della Fede-razione italiana pubblici esercizi Il libro nero sull'agriturismo.
Non è questa la sede per esaminare punto per punto, le critiche mosse daquesto importante documento. Due ci sembrano comunque gli argomenti fon-damentali: il primo è il timore che la qualifica di operatore agrituristico possaessere concessa a persone che dall'attività agricola ricavano ormai una quotainfima del loro reddito, mentre dovrebbero dedicarvi la loro attività principale.Il secondo deriva dalla constatazione che l'attività ristorantizia degli agrituri-smo ha assunto dimensioni tali da escludere un collegamento diretto tra la ta-vola e l'azienda: troppe derrate provengono non dal fondo, ma dal mercato el'azienda serve solo come luogo di trasformazione gastronomica.
Per quanto riguarda il primo aspetto non credo possibili molte illusioni.È infatti lo stesso aumento della produttività agricola ad azzerare (o restringe-re) nozioni come quello di agricoltore a titolo principale. Poiché la meccaniz-zazione consente di lavorare la stessa superficie con enormi risparmi di tem-po, delle due l'una: o l'agricoltore che prima si dedicava alla propria aziendaper il 90% del proprio tempo scenderà rapidamente al di sotto del cinquanta o,per rimanere ancorato al novanta, dovrà acquisire tanta nuova terra da pareg-giare gli incrementi della produttività nel bilancio del proprio tempo. In que-sto caso, però, difficilmente sarà interessato ad iniziative agrituristiche. Som-merso dagli impegni si arroccherà sulla sola attività aziendale, senza appendi-ci di alcun tipo. Questa situazione era ben presente al legislatore europeo fino
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dal 12 dicembre 1980 allorquando il regolamento n. 3808/89 ammetteva algodimento di particolari aiuti “gli imprenditori che, senza essere agricoltori atitolo principale, traessero almeno il 50% del loro reddito globale dalle attivitàagricole, forestali, turistiche, artigianali, oppure dalle attività di manutenzionedello spazio naturale … purché la parte del reddito proveniente direttamentedall'attività agricola non sia inferiore al 25% del reddito globale e che il tempodi lavoro consacrato ad attività esterne non oltrepassi la metà del tempo di la-voro totale dell'imprenditore.”
Al di là di questa o di quella percentuale, 25% o 50%, il testo del regola-mento è importante perché stabilisce che l'attività agrituristica rientra in quelmonte di iniziative che costituisce la principalità. Non vi è dunque un'attivitàagrituristica da misurare al di fuori dell'agricoltura, perché agricoltura e agri-turismo (o agricoltura e forestazione) sono una cosa sola. Alla misura dellaprincipalità sfuggono soltanto impieghi pubblici o privati esercitati nel settoresecondario o terziario. Per il resto, fermo restando che non si ha agriturismose non all’interno di una azienda agricola, la principalità include tutte le atti-vità collaterali.
È a partire da questa riflessione che le leggi regionali sull'agriturismo do-vranno essere rivedute. Probabilmente molte leggi regionali furono votate, dapersone che pur conoscevano il citato regolamento CEE, con la stessa noncu-ranza con la quale si pensò di applicare le quote latte a un unico bacino nazio-nale, salvo poi a scontarne le tragiche conseguenze. Ecco perché non ritenia-mo fondamentale la principalità dell'attività agricola, purché azienda agricolavi sia. Mentre sono oggetto di doverosa viva preoccupazione le denunce in or-dine alle modalità e alla qualità della ristorazione agrituristica.
Effettuata sulle 182 aziende iscritte al'albo agrituristico regionale, l'inda-gine del BAICR si è avvalsa dei 138 menu cortesemente forniti dalle aziendestesse. Emerge, dal loro spoglio, che dei dieci prodotti suggeriti dalla nostraesperta Oretta Zanini De Vita come rappresentativi della cucina contadina la-ziale e cioè:
- la sbroscia bolsenese e l'acquacotta a Viterbo;- le sagne di farro con aglione e il polentone con la ventresca a Rieti;- la bazzoffia e gli gnocchi di segale a Latina;- la zuppa di fagioli dell'alto Aniene e la zuppa povera portodanzese a
Roma;- l'abbuoto e le sagne pelose col sugo finto a Frosinone,solo l'acquacotta registra qualche presenza, tanto a Roma quanto a Viter-
bo, che si candida come la provincia più ricca di tradizionalità. Inoltre, solo inmetà delle aziende vengono presentati piatti di sicura storicità locale. Negli al-
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tri l'impronta gastronomica rurale è affidata a paste di cui non è garantita lacasalinghità, ad arrosti troppo spesso identificabili con le grigliate, per taceredella imperversante crostata: ottimo dolce, senza alcun dubbio, ma un po'troppo frettolosamente assurto a simbolo della cucina agrituristica. Interrogatisul perché di tanta ovvietà molti ristoratori si sono affrettati a garantire che leloro pietanze erano scrupolosamente genuine: come se l'offrire bistecche dimucche non pazze fosse un sufficiente titolo di gloria.
La tradizionale frammentazione dell'azienda agricola si riversa dal cam-po alla cucina. Su 279 piatti complessivamente serviti dalle 138 aziende chehanno presentato i loro menu, pochi sono presentati da almeno due aziende,
La bazzoffia
215 sono in versione unica che non si ripropone mai - almeno con lo stessonome - da una tavola all'altra.
Non saremo così sciocchi di considerare negativa questa polverizzazio-ne. Essa può testimoniare che ogni famiglia ha il proprio ricettario, gelosa-mente personale, non standardizzato. Resta comunque il rischio che i clientidei ristoranti agrituristici mangino famiglia, non territorio, rimangano tagliatifuori da un patrimonio organolettico dismesso dalle famiglie stesse.
Valentina Piccinin insiste, nel suo saggio (cfr. pp. 17-32), sulla perdita dimemoria collettiva che si sarebbe verificata attorno al 1960, nel momento cioèin cui l'esodo dalla terra non fu soltanto un cambiamento di mestiere, ma unripudio del passato. Quante giovani spose si sentirono libere, allora, solo per-ché andavano a comperare i cibi in bottega invece di ottenerli dall'orto di casa,o dal podere... Di qui la scomparsa di bazzoffia, sbroscia, sagne di farro conl'aglione ed altri prodotti suggeriti dalla nostra storica dell'alimentazione. Diqui, nelle famiglie che ancora oggi propongono piatti contadini, la riduzioneal minimo della tradizione rurale. Se la pasta non è del tutto scomparsa (mabisogna vedere fino a che punto è fatta in casa, tirata a mano), è perché essa faparte anche del patrimonio alimentare urbano. Le nonne hanno insegnato aconfezionare le fettuccine perché non le sentivano incompatibili con la civiltàcittadina alla quale finalmente appartenevano o dalla quale erano comunquedominate.
Oggi la situazione sta cambiando. Molti sono i nipoti che rimpiangonoaspetti e forme dell'antica ruralità e che guardano ad essa come ad un paradisoperduto, ignorando da quanta miseria quotidiana fossero intrise le feste dell'u-nica sagra annuale. Proprio per questo, però, occorre cogliere le opportunità dirivisitare un passato che si presenta ormai con le insegne della novità. Occorremettere in piedi programmi di assistenza tecnica che facciano riscoprire i piat-ti di un tempo, in modo che i clienti dei ristoranti agrituristici mangino nonsolo famiglia, che è già gran cosa, ma territorio: ossia storia e cultura.
Nel lungo periodo è questa riscoperta culturale che giustificherà il regi-me di favore fiscale riservato agli agriturismo. Esso fu ideato come mezzo persalvare tante piccolissime aziende, quelle che offrivano, se non proprio un fie-nile, una ospitalità assai spartana. Oggi che queste piccolissime aziende non cisono più, o sono comunque tagliate fuori dal giro dell'ospitalità rurale, è evi-dente la tentazione, da parte dei pubblici poteri premuti dalla concorrenza, dirivedere le norme più vantaggiose.
Ed è evidente la necessità per gli agriturismo di continuare a meritare,per servizi resi al pubblico, quei favori che furono loro concessi per umana so-lidarietà. Il merito deve ormai prendere il posto della carità.
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Tra i servizi resi al pubblico vi è certamente la riproposizione dell'anticacucina, il salvataggio della memoria storica, della quale mai fecero parte lezuppe inglesi, i dolci al cioccolato e persino al cocco, pur così frequenti neimenu sottoposti all'attenzione del BAICR.
Di queste esigenze sono consapevoli le stesse organizzazioni agrituristi-che. Così l'Agriturist ha avvertito l'opportunità di redigere, ad uso dei proprisoci, un disciplinare per la qualifica di “ristoro agrituristico conviviale”. Allabase di questo disciplinare figurano:
- la limitazione della massima capacità di accoglienza a 50 posti tavola,per assicurare una più ampia prevalenza di impiego di prodotti azienda-li a una costante e diretta partecipazione dei “padroni di casa” al ricevi-mento degli ospiti;
- la riduzione al minimo dei prodotti acquistati tramite i normali canalicommerciali, in modo che essi riguardino generi non disponibili nellaproduzione regionale. L'origine dei prodotti extraziendali dovrà comun-que essere indicata nei menu;
- il rifiuto di preparare piatti che non hanno radice nell'agricoltura e nellatradizione enogastronomica rurale regionale, dirottando su altri risto-ranti i clienti che li chiedessero.
In sintesi, l'agriturismo si adegua alla mutata natura sociologica dei suoiprotagonisti. Esso non è il “raccolto in più” promesso a chi lo pratica, secondouna recente parola d'ordine, del resto assai felice, coniata da Roberto Costan-zo. La vendita dell'aria, l'affitto del verde si aggiungono indubbiamente al vi-no e all'olio, alla frutta o a piccoli prodotti zootecnici che mandano in visibilioi turisti villeggianti in campagna. Camere e appartamenti forniranno certa-mente un reddito supplementare: esso, però, invece di giustapporsi e di costi-tuire il famoso “raccolto in più”, fungerà da volano sui rimanenti compartiproduttivi, se programmati in base alle richieste dei visitatori.
Un grande filologo, il Benveniste, ha ricordato che due sono le etimolo-gie possibili della parola religione: o, secondo l'interpretazione tradizionale,da religare, e allora la religione è una serie di tabù, di scrupoli e di comanda-menti negativi, o da relegere, quasi una quotidiana rilettura autocritica, esamedi coscienza della propria vita. L'agriturismo rappresenta l'autocritica dell'a-gricoltura, la rilettura dei propri programmi operativi: da parte di tutti coloro iquali mal si rassegnano alle leggi di un mercato di massa con le sue calorie,proteine e vitamine da cedere ai prezzi sempre più vili e senza l'orgoglio pro-fessionale che accompagna l'intrinseca qualità dei prodotti.
Ecco perché l'agriturismo, simbolo della seconda agricoltura, quello delcibo/divertimento destinato a soppiantare l'antica, quella del cibo/sostenta-
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mento, prefigura un nuovo modo di essere agricoltore, che è poi anch'esso an-tico: visto che il primo economista agrario della latinità, Marco Porcio Cato-ne, traduceva i suoi precetti teorici in vere e proprie ricette. Mentre nascono leuniversità del cibo, mentre antiche reggie (Pollenzo, Colorno, ecc.) si apronoa studenti che ambiscono a diventare cuochi, i proprietari di ristoranti agrituri-stici sono inevitabilmente investiti da questa deriva professorale: tanto da ren-dere auspicabile l'apertura di una scuola superiore di agriturismo.
L'origine non aziendale, ma sempre locale, della materia prima potrà es-sere tollerata se finalizzata alla preparazione di menu storici oggetto di con-trollo da parte del pubblico potere, anche mediante autocertificazione. E difronte ad una garantita aziendalità della materia prima verranno meno gli stes-si limiti dei posti a tavola.
Da tempo vado ripetendo che agli agriturismo spetta di dare un pegnodella loro buona volontà, coincidente con la originalità: astenersi dal servire, afine pranzo, un caffè proveniente dal Sudamerica, dalla Costa d'Avorio o dalKenya ma non, certamente, dal loro podere. Abbiano a disposizione tisane ecicoria: per tacere della grappa in cui rifulge l'anima contadina.
Nelle pagine seguenti sono riportati e da me commentati i risultati del-l’indagine condotta sul campo dal BAICR.
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I MENU AGRITURISTICI TRA STATISTICA E MONITORAGGIO
Una cucina frammentata come l’agricoltura? È questa l’immagine cheesce dalla ricerca condotta dal BAICR sui menu delle aziende agrituristichedella regione Lazio dotate di ospitalità agrituristica. Una frammentazione chenon sempre – all’insegna del “piccolo è bello” – si traduce in culto della tradi-zione, in devoto rispetto alla storia.
Sotto un profilo tecnico, di tecnica indagatoria, l’indagine del BAICR èstata estremamente positiva. Su 182 aziende agrituristiche ben 138 hanno for-nito i menu proposti ai clienti dai loro ristoranti: un vero successo, se si pensache alcuni agriturismo offrono il solo alloggio, senza cucina, e che - per ovvielimitazioni di bilancio – l’indagine non ha potuto svolgersi attraverso intervi-ste in loco, ma per posta o per telefono.
138 menu, articolati in 629 proposte gastronomiche, ad una media di 4,6proposte per menu: in pratica un primo un secondo e un dolce con qualchevariante di rinforzo, specie stagionale. Poiché talvolta le proposte sono simili,identificabili nella medesima voce, i piatti servibili in tavola si riducono a 279.Di essi 215 sono in versione singola, escono dai segreti della famiglia ristora-trice, non comunicati alle concorrenti, forse nemmeno alle vicine. Tutto acca-de, in altri termini, come se la polverizzazione che costituisce la caratteristicadell’agricoltura laziale (e, beninteso, italiana) si fosse trasferita dal podere allacucina, all’insegna di uno spiccato individualismo.
È un paragone da prendere con beneficio di inventario: come paradossoancor più che verità scientifica. È un fatto però che le elaborazioni del censi-mento 2000 eseguite dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale per contodella Regione Lazio hanno individuato uno sparuto gruppo di 838 aziende, pariallo 0,39% del totale, capaci di produrre più di 250.000 euro ciascuna copren-do il 24,2% dell’intero fatturato regionale1. A sua volta l’indagine BAICR hafatto emergere che una sola proposta gastronomica – nella fattispecie la sem-plice crostata, gettonata 62 volte – pur rappresentando lo 0,36% appena di tuttele ricette - ha coperto in realtà il 9,9% delle proposte, figurando nel 44,9% deimenu. Polverizzazione e concentrazione sono infatti, come ben si sa, fenome-ni strettamente correlati. Le caratteristiche dell’agricoltura si prolungherebbe-ro, insomma, dal campo alla tavola.
1Regione Lazio, Assessorato all’Agricoltura, Il Lazio agricolo attraverso il censi-mento del 2000, “Quaderni di informazione socio-economica”, n. 7, p. 89.
È un aspetto da non trascurare. Se in 215 casi, su 279 complessivamenteproposti, il piatto costituisce un unicum, geloso – e goloso – patrimonio dellafamiglia ospitante, ecco una indubbia garanzia di genuinità discesa “per lirami”, di generazione in generazione. Un interrogativo sorge peraltro sponta-neo: fino a che punto la buona fede personale delle famiglie protagoniste incucina coincide con la verità storica del territorio? Quella verità che l’espertadel BAICR, Oretta Zanini De Vita, aveva identificato in dieci prodotti, di cuisolo uno, l’acquacotta, compare in qualche menu romano o viterbese? (Co-gliamo l’occasione per sottolineare che, di tutte le province del Lazio, Viterboè indubbiamente la più tradizionalista nei menu agrituristici, allo stesso modoche è la più intatta nei suoi aspetti naturalistici, mentre Latina è la più sconvoltagastronomicamente e paesaggisticamente: effetto della bonifica?)
Riassumiamo i termini della questione. All’interno dei menu agrituristiciil cibo più gettonato è – ripetiamo – la semplicissima crostata. La suggerisco-no 62 locali su 138, quasi la metà. Un piatto che deve essere molto amato dagliitaliani e simbolo di concordia, se è vero che attorno ad esso rappresentanti diopposte parti politiche raggiunsero alcuni anni orsono un sia pur effimeroaccordo. Ma una versione anonima di dolce nazionale, localizzabile tanto aMilano o a Palermo quanto a Roma città. Segue la carne alla griglia, con 34opzioni. Anche qui siamo in una prospettiva più nazionale che regionale, lagenuinità – un aspetto sul quale insistono a non finire gli intervistati – fa sicu-ro premio sulla originalità. Solo al terzo posto, con 19 gettoni, troviamo unprodotto davvero laziale: le ciambelline al vino. A quota 15 ecco, ancora, unaspecialità da dessert, i tozzetti: un altro modo per essere regionali, sia pure conpoco impegno. Finalmente, a quota 14, irrompe qualche cosa di più consi-stente: la pasta fatta in casa, a proposito della quale occorrerebbe indagare finoa qual punto la casalinghità investa tutte le fasi della produzione: non solol’impasto ma anche la tiratura della sfoglia, dove la macchinetta assolve spes-so a una funzione salvafatica. (Lo “spesso” si riferisce ai ristoranti in genere,non agli agriturismo di cui occorrerebbe avere precisa contezza). Sempre aquota 14 si colloca – ahimé – un autentico oltraggio della cucina regionale: iltiramisù che, per le sue origini venete ci augureremmo di trovare circoscrittoa Latina, sede di immigrazione veneta durante gli anni Trenta, se non fossenoto che il tiramisù al tempo eroico di quelle battaglie per la terra non esiste-va ancora.
Quota 13 presenta sia le fettuccine al ragù di cinghiale che quelle a un nonmeglio identificato ragù. Fatte sempre le riserve sulla integrale casalinghitàdelle fettuccine, ecco qualcosa di irreprensibile. Altrettanto dicasi – a quota 11– per l’abbacchio scottadito (ben povera fantasia, in ogni caso) e – a quota 10
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– per la polenta con salsicce e spuntature di maiale. O – a quota 9 – per l’ac-quacotta. Non certo per la torta di mele, piovuta in regione come la crostata, daspazi siderali nazionali.
Una presunzione di regionalità può essere fatta valere per il coniglio e peril pollo alla cacciatora, - fatta salva la loro ruspantezza – per la zuppa di fagio-li e i ciambelloni: ad ogni modo non per la zuppa inglese, scusabile forse perla scarsità di dolci al cucchiaio della cucina regionale ma sintomo, comunque,dello scarso coraggio di ristoratori desiderosi di offrire ai clienti cose appetito-se benché non tipiche.
Fettuccine ai porcini e pasta con verdure si collocano a sette opzioni,insieme ad arrosti di carne e carni arrosto non meglio precisate. A sei troviamoabbacchio al forno, sagne con fagioli e bruschette, creme dolci: no objections,se non fosse che la dizione “creme dolci” comprende una miscela di pannacot-ta, crème caramel e così via, coprendo quindi un’ultima frammentazione dellevoci. A cinque è la volta di lasagne, maialino al forno, torta della nonna, zuppadi farro. A quattro di fettuccine con rigaglie di pollo, di pollo al forno (presen-za rara, come se nelle aziende agrituristiche non si allevassero più volatili), ditrippa alla romana, di zuppe di legumi.
I gruppi si infittiscono man mano che le scelte diminuiscono. Sono bennove i piatti che ricorrono in tre ristoranti: cinghiale alla cacciatora, coda allavaccinara, crostata di ricotta, fettuccine, fregnacce, mozzarella di bufala, pastacon ragù di selvaggina, pizza di Pasqua, strozzapreti ai porcini. E ben ventunoquelli che si fanno scegliere da almeno due agriturismo: agnello, abbacchio allacacciatora, amaretti, cacciagione, capretto al forno, carne di bufala, ciambelli-ne all’anice, cinghiale in buglione, crostata di visciole, fettuccine con asparagiselvatici, gnocchi, gnocchi al ragù, millefoglie, pasta ai porcini, ai tartufi, allaboscaiola, ad altri funghi, pollo con i peperoni, ravioli, torta di frutta, zuppa difunghi. Segue lo studio degli unigettonati elencati di seguito:
abbacchio alla cacciatora coi carciofi, agnello brodettato, agnello buglio-ne, anatra arrosto, arrosto di maiale al latte, baccalà con prugne, baccalàfritto, baccalà in umido, bavarese al cioccolato, bigné, bigoli allamaremmana, biscotti all’anice, biscotti al latte e ammoniaca, biscottimandorle, biscotti mandorle e miele, biscotti di mezzo agosto, bucatinial’amatriciana, buotero, carciofi, castagnole, cavatelli con fagioli, cava-telli con rucola, cicerchiole con brodo di carne, cinghiale arrosto, cin-ghiale in bianco, coniglio ai funghi, coniglio al cartoccio, coniglio allacontadina, coniglio ripieno, coniglio tartufato, coratella, coregone al car-toccio, coregone alla brace, coregone con salsa di verdure, costolette di
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agnello con patate, cotolette di coniglio, crema catalana con more, cre-spelle ricotta e fragole, crostata di more, delizia al limone, dolce di noc-ciole, fagioli con le cotiche, fagiolini in umido, faraona ripiena, faraonaripiena al tartufo, fettine in umido, fettuccine agli spinaci, fettuccine aicarciofi, fettuccine al sugo di involtini, fettuccine alla crema di verdure,fettuccine alla papalina, fettuccine con salsicce e funghi, fettuccine difarro, fettuccine al sugo, fettuccine con cipolle, filei con zucchine bot-targa e carote, filetto alla tartaruga, filetto di maiale al forno, fiori dizucca, formaggi artigianali, fregnacce alla sabina, frappe, frittata, fritta-ta al sugo, frittelle di mele, frittelle di San Giuseppe, funghi di stagione,galli al sugo, gelato artigianale, gnocchetti ai funghi, gnocchetti al cin-ghiale, gnocchetti con sugo di spuntature, gnocchetti di patate, gnocchiai funghi, gnocchi al tartufo, gnocchi all’ortica, gnocchi con salsiccia,gnocchi verdi, imbriachelle, impastugliata, insalata di cicoria con pom-pelmo, intingi pane, involtini di tacchino, lachena, lasagne con melanza-ne, legumi, lepre in buglione, linguine cozze e peperoni, maialino alporto, maialino scotennato, maialino tartufato, maltagliati, maltagliatirossi con prosciutto, mazzicaculi, merenda del villano, meringhe, mine-stra di cicerchia, minestra di funghi fagioli e maltagliati, mousse al cioc-colato, mousse di ricotta e pecorino, nocino, pan di spagna, pane ammol-lo, pane fatto in casa, panettone con noci e miele, panforte, panicella diNatale, panpepato, panzanella alla viterbese, pappardelle al ragù dilepre, pappardelle, pappardelle porcini salsiccia e pachino, pasta alpesto, pasta alla rustica, pasta asparagi e ricotta, pasta con i broccoletti,pasta con pesto di rucola, pasta con ricotta, pasta con sugo di castrato,pasta di farro, pasta e patate, pasta funghi e salsiccia, pasta melanzane epesce spada, pastiera, pecora al sugo, pecorino con miele, pesce difiume, pettola con ceci, piccione ripieno, pici all’aglione, pigna, pizzet-te fritte, polenta con i funghi, polenta di farro, polenta in bianco con cin-ghiale, pollo ai pistacchi, pollo al limone, pollo alle olive, ravioli alCastelmagno in salsa di madera, ravioli al ragù, ravioli alla maremmana,ravioli burro e salvia, ravioli con verdura, ravioli di pesce con crema digamberi, ravioli di zucca, ravioli in salsa di pepe rosa, ravioli ricotta eortica, ravioli ricotta e spinaci, rigatoni all’amatriciana, risotto ai fiori dizucca, risotto all’ortica, risotto alla zucca, risotto di carciofi, risotto dimare, salame di struzzo, salumi artigianali, sbriciolata, scaloppine, semi-freddo all’arancia, spaghetti alla gricia, spezzatino con patate, spezzati-no di bufala, spezzatino di pecora, spigola/orata al forno, spinaci di mon-tagna, stringozzi al sugo, strozzapreti ai funghi, strozzapreti alla carbo-
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nara, strozzapreti con gamberi di fiume, strozzapreti con pachino e basi-lico, strozzapreti con salsiccia e pancetta, struffoli, susamelli, tacchino,tagliolini, tagliolini coi fagioli, tagliolini coi peperoni e le acciughe,tagliolini con la persa, tagliolini zucchine e spigola, tiella di polpi, tim-ballo di carciofi, timballo di scamorza e zucchine, tirotaricum, tontone,tordi con le olive, torta al cioccolato, torta al limone, torta di castagne,torta di limone, torta di mirtilli, torta di nocciole, torta di pesche, torta diricotta, torte di frutta, torte rustiche, torte varie, tortelli ai porcini, tortel-li burro e salvia, tortelli di ricotta con noci, tortelloni con farina di casta-gne, tortiglioni di Natale, trota, uova di struzzo, vitella in crosta, zuppaa scapece, zuppa di ceci e castagne, zuppa di ceci e calamari, zuppa difarro e fagioli, zuppa di farro e legumi, zuppa di gnocchi, zuppa di legu-mi, zuppa di legumi e cereali, zuppa di pane, zuppa di pane e fagioli,zuppa di verdure, zuppa di zucca e fagioli, zuppa generica.
Statisticamente è ricostruibile il seguente prospetto
Ricette proposte Ristoranti adottanti Totale adozioni1 62 621 34 341 19 191 15 151 13 131 12 121 11 111 10 101 215 2152 14 282 22 443 9 273 7 214 8 324 6 244 5 204 4 168 3 24
Totale 469 629
Una visione un po’ meno dispersiva si ottiene raggruppando le 629 ricet-te in alcuni grandi gruppi merceologici. Al primo posto balzano allora le paste
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di qualsiasi tipo, con 163 opzioni. A 25 scattano gli ovini, a 26 le zuppe più omeno di verdura, a 23 i volatili, a 14 gli gnocchi e i conigli, a 13 la polenta.Anche l’eterna crostata raggiunge quota sessantotto, con l’aggiunta di sei tipo-logie più locali. Il quadro di fondo resta comunque quello già tracciato.
Bisogna indubbiamente indulgere a qualche innocente mania delle padro-ne di casa che hanno identificato la loro abilità con la crema catalana, col filet-to alla tartaruga, con la mousse al cioccolato, con i ravioli alla madera, con ilmaialino al porto, o con i filei alle zucchine: garanzia, questa, di autenticità macalabrese. Piccole sbavature da non ingigantire, in un elenco così lungo. Col-piscono invece le assenze (o le scarsissime presenze) di ortaggi, formaggi salu-mi. Come se da Cerveteri a Sezze la campagna laziale non fosse celebre per isuoi carciofi. Come se a Frosinone non ci fossero le marzoline (o marzellineche dir si vogliano). E come se nei Castelli romani si fosse persa l’abitudinedelle coppiette, oggi sempre più frequentemente di suino anziché di equino. Ocome se la porchetta di Ariccia non vedesse il suo primato conteso da quella diBagnaia, di Selci o di Poggio a Bustone..
Detto questo va preso atto con grande soddisfazione che una consistenteminoranza di agriturismo interpreta il proprio ruolo con singolare coerenza. Èil caso, ad esempio, dei propositori di acquacotta: un cibo che funge per cosìdire da cartina di tornasole nel distinguere il falso dal vero agriturismo.
A Viterbo, ad esempio, le sei cucine che spignattano acquacotta presenta-no complessivamente 34 proposte: ad una media di 5,7 pietanze ciascuna, afronte della media regionale che è di 4,6 appena. Ma non è questo il punto. Ilpunto è che su questi 34 piatti c’è una sola sbavatura: una zuppa inglese. E solodue discutibili crostate. Abbiamo inoltre una sola carne alla griglia, rifugio deipeccatori. Abbiamo invece due cinghiali, due maialini arrosto, due pappardel-le al cinghiale, due cacciagione, due bruschette, due gnocchi con funghi e sal-siccia, una pappardella al sugo di lepre, una pappardella, una polenta alle spun-tature, una rigatoni al sugo di castrato. Si avverte, in altri termini, che l’acqua-cotta è l’asta attorno alla quale viene avvolta la bandiera della cucina regiona-le. E qualcosa del genere si ripropone anche a Roma, pur con una più frequen-te incidenza di zuppe inglesi e di carne alla griglia. Eguale discorso vale aFrosinone per le aziende che presentano sagne.
In sintesi l’esame dei menu agrituristici della Regione Lazio, mentre col-loca in evidenza l’istanza di genuinità che li informa in larga misura, suggeri-sce una vasta azione di monitoraggio (come oggi si dice) o di assistenza tecni-ca (come si diceva una volta) tesa a:
- far sparire dai menu le ingenuità più evidenti come il tiramisù o i varisughi al porto o al madera;
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- ridurre il peso delle banalità: le sessantadue crostate di normale marmel-lata possono essere sostituite con marmellate di visciole e more, di cui giàsi offrono esempi. Le trentaquattro carni alla griglia sono accettabili se lacarne è quella maremmana. Altrimenti sono uno squallido barbecue;
- aumentare la presenza di ortaggi, di formaggi e di salumi regionali. Pertacere delle bruschette, strumento di valorizzzazione di uno splendido olioche la provvida natura e l'ingegno umano hanno donato al Lazio.Altrettanto dicasi per gli allevamenti minori, di cui andrà comunque con-trollata la provenienza;
- controllare l’autenticità delle paste servite in tavola, durante tutte le fasidella loro lavorazione;
- incrementare la presenza dei digestivi di fabbricazione aziendale, essen-do gravissimo che in un solo caso si registri l’offerta di nocino.
Una azione così decisa, da estendersi anche al comparto vinicolo sul qualel’indagine BAICR non ha assunto particolari notizie, non sarà possibile senzauna autentica formazione e crescita culturale delle famiglie con agriturismo.Quante di esse conoscono le ricette proposte da Oretta Zanini De Vita comesimbolo della gastronomia regionale? E quante potrebbero sentire l’orgoglio diessere vettori della tradizione gastronomica, se adeguatamente sollecitate? Nonsi resta a Roma senza essere portatori di una ideologia universale, sostenevaMommsen all’indomani dell’unità d’Italia. E non si può fare agriturismo oggi,coi relativi vantaggi fiscali, senza essere portatori di una cultura gastronomicache faccia dei ristoranti contadini i custodi della storia allo stesso modo che gliagricoltori sono i custodi della natura.
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88
SITIGRAFIA
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www.agriturismoinciociaria.it
www.agriturismoitaly.it
www.apt.rieti.it
www.aptlatinaturismo.it
www.bigfood.it
www.ciociariaturismo.it
www.cosacucino.it
www.culturagastronomicaitaliana.it
www.emmeti.it
www.italfood.it
www.laziodiqualità.it
www.menteantica.it
www.museirurali.lazio.it
www.naturalmenteitaliano.com
www.paesionline.it
www.prodottitipici.it
www.sabina.it/gastronomia
www.tusciaintavola.it
www.tusciaonline.it
www.viaggioinciociaria.it
89
APPENDICE I
Le sagre gastronomiche nel Lazio
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APPENDICE II
Legge Regionale 10 novembre 1997, n. 36Norme in materia di agriturismo
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1. (Finalità).
1. La Regione, in armonia con le norme del proprio Statuto, con gli indirizzidi politica agraria nazionale e comunitaria, con i programmi regionali di pro-mozione economica nel settore agricolo e turistico, promuove e disciplina leattività agrituristiche volte a favorire lo sviluppo ed il riequilibrio del territorioagricolo, la permanenza dei produttori agricoli nelle campagne attraverso l'in-tegrazione del reddito aziendale ed il miglioramento delle condizioni di vita,la salvaguardia del patrimonio rurale naturale ed edilizio, la valorizzazione deiprodotti tipici e delle tradizioni culturali, ad incentivare il turismo sociale egiovanile, a favorire i rapporti tra città e campagna.
2. (Definizione di attività agrituristiche).
1. Per attività agrituristiche si intendono esclusivamente quelle di ricezione eospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del co-dice civile, singoli od associati e dai loro familiari di cui all'articolo 230-bisdel codice civile, utilizzando la propria azienda, in rapporto di connessione ecomplementarietà rispetto alle attività di coltivazione del fondo, silvicoltura,allevamento del bestiame, che devono comunque rimanere principali in termi-ni di tempo di lavoro. 2. Nell'arco dell'anno il tempo di lavoro dedicato alle attività di coltivazionedel fondo, di allevamento zootecnico e di silvicoltura deve essere superiore altempo corrente per lo svolgimento delle attività agrituristiche. Per il calcolodel tempo di lavoro si applicano, all'effettivo ordinamento colturale e produtti-vo dell'azienda interessata, i valori medi di impiego di manodopera definiti,per periodi di cinque anni, dalla Giunta regionale, sentita la competente Com-missione consiliare, tenendo conto:
a) per lavoro agricolo, delle tabelle ettaro coltura stabilite dal Ministerodel Lavoro e della Previdenza Sociale ai sensi dell'art. 7 del DL 3 feb-braio 1970, n. 7 (Norme in materia di collocamento e accertamentodei lavoratori agricoli), convertito nella legge 11 marzo 1970, n. 83;
b) per le attività agrituristiche, di analoghi parametri relativi al settore tu-ristico.
I limiti massimi di riferimento per il tempo di lavoro sono fissati in 288 gior-nate o in 2000 ore lavorative nell'arco di un anno per unità lavorativa. Il tem-po di lavoro agricolo può essere moltiplicato per un coefficiente compensati-vo, fino a 2, per aziende nelle quali le particolari condizioni relative alla ubi-
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cazione e giacitura comportino un particolare disagio operativo. 3. Rientrano tra le attività agrituristiche:
a) dare stagionalmente ospitalità, anche in spazi aperti destinati alla sostadi campeggiatori;
b) somministrare, per la consumazione sul posto, pasti e bevande costi-tuiti prevalentemente da prodotti propri e/o tipici della zona in cui l'a-zienda ricade, ivi compresi quelli di carattere alcolico e superalcolico;
c) organizzare attività ricreative, divulgative e culturali nell'ambito del-l'azienda.
4. Sono considerate di propria produzione le bevande ed i cibi prodotti e lavo-rati nell'azienda agricola, nonché quelli ricavati da materie prime dell'aziendastessa anche attraverso lavorazioni esterne. L'entità delle produzioni aziendaliin termini di valore deve essere riferita alle quantità annue, applicando le resemedie della zona per tipo di coltura e/o allevamento all'ordinamento colturalee produttivo aziendale. 5. In caso di attività di somministrazione di pasti e bevande la prevalenza del-le produzioni aziendali e/o tipiche della zona deve raggiungere complessiva-mente la misura del 70 per cento in valore delle bevande e dei cibi sommini-strati, per metà assicurata dai prodotti aziendali. 6. Per l'esercizio dell'attività agrituristica è richiesta l'autorizzazione di cui al-l'articolo 8. 7. Lo svolgimento di attività agrituristiche, nella osservanza delle norme dicui alla presente legge, non costituisce variazione della destinazione agricoladei fondi e degli edifici interessati.
3. (Immobili destinati all'agriturismo).
1. Possono essere utilizzati per attività agrituristiche i locali siti nell'abitazionedell'imprenditore agricolo ubicati nel fondo, nonché gli edifici o parte di essiesistenti nel fondo e non più necessari alla conduzione dello stesso. 2. Possono essere utilizzati per gli stessi fini anche gli edifici esistenti nei bor-ghi od in centri abitati destinati a propria abitazione dall'imprenditore agricoloche svolga la sua attività in un fondo privo di fabbricati, sito nel medesimocomune od in comune limitrofo, purché gli stessi borghi o centri abitati abbia-no limitate dimensioni e specifiche caratteristiche e siano stati in tal senso in-dividuati con il piano regionale di cui all'articolo 18.
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4. (Interventi per il recupero del patrimonio edilizio).
1. Gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio rurale esistente, ad usodell'imprenditore agricolo ai fini di attività agrituristiche, devono essereconformi alle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici. 2. Le opere di restauro devono essere eseguite nel rispetto delle caratteristichetipologiche ed architettoniche degli edifici esistenti e nel rispetto delle caratte-ristiche ambientali delle zone interessate. 3. La Regione, in relazione ai propri programmi di intervento per lo sviluppo,può concedere contributi in conto capitale agli imprenditori agricoli, singoliod associati che siano personalmente iscritti nell'elenco di cui all'articolo 7 oche abbiano un proprio familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civileiscritto nell'elenco medesimo. 4. I finanziamenti di cui al comma 3 sono concessi per le seguenti iniziative:
a) ristrutturazione e sistemazione di stanze, cucine e locali ristoro da de-stinare all'attività agrituristica, ed il relativo arredamento, in fabbricatiaccatastati rurali;
b) adattamento di spazi aperti da destinarsi alla sosta di campeggiatori,senza mutamento della destinazione agricola dei terreni;
c) installazione nei fabbricati aziendali o sociali di strutture per la con-servazione, per la vendita al dettaglio e per il consumo di prodottiagricoli;
d) installazione, ripristino, manutenzione straordinaria e miglioramentodi impianti igienico-sanitari, idrici, termici, elettrici al servizio dei lo-cali e degli spazi di cui alle lettere a) b) e c);
e) organizzazione di attività ricreative che non contrastino con le norma-tive urbanistiche e non riducano la superficie agricola utilizzata e lacapacità produttiva dell'azienda agraria in modo irreversibile e nonfacciano diventare l'attività agricola aziendale secondaria, in termini ditempo di lavoro, rispetto a quella agrituristica.
5. (Norme igienico-sanitarie).
1. I requisiti igienico-sanitari degli immobili da destinare all'attività agrituri-stica sono verificati dal competente servizio dell'azienda unità sanitaria locale,anche con riguardo alle normative vigenti in materia di tutela dall'inquina-mento. 2. I locali destinati all'esercizio di attività agrituristiche devono possedere i re-
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quisiti strutturali ed igienico-sanitari previsti dal regolamento edilizio comu-nale. 3. Nella valutazione dei requisiti di cui ai commi 1 e 2 deve essere tenuto con-to delle particolari caratteristiche di ruralità degli edifici esistenti. Negli inter-venti di restauro e risanamento conservativo degli edifici rurali esistenti desti-nati alla utilizzazione agrituristica è consentito derogare ai limiti di altezza edi superficie arco-illuminante previsti dalle norme richiamate al comma 2. 4. Gli spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori debbono essere attrez-zati con servizi igienico-sanitari, distinti dai servizi degli alloggi agrituristici,aventi i requisiti minimi stabiliti dall'articolo 9, lettera c), della legge regiona-le 3 maggio 1985, n. 59. 5. La produzione, la preparazione, il confezionamento e la somministrazionedi alimenti e bevande sono soggetti alle disposizioni di cui alla legge 30 aprile1962, n. 283 e successive modifiche ed integrazioni.
6. (Limiti di attività).
1. La capacità ricettiva delle aziende agricole che svolgono attività agrituristi-ca non deve essere superiore a dieci camere ammobiliate per un massimo ditrenta posti letto. 2. Tale limite può essere elevato a dodici stanze per un massimo di quarantaposti letto quando ad alloggi agrituristici vengono adibiti preesistenti edificirurali regolarmente accatastati che alla data del 31 dicembre 1985 risultavanonon più utilizzati per le attività aziendali o per abitazione degli addetti alle at-tività stesse e purché i predetti edifici abbiano i requisiti necessari. 3. I limiti massimi di ricettività in posti letto e/o ristorazione autorizzati perogni singola azienda sono quantificati in sede di autorizzazione comunale sul-la base dell'effettiva potenzialità agrituristica dell'azienda agricola, fermo re-stando il requisito di connessione e complementarietà dell'attività agrituristicacon quella agricola. 4. Gli spazi aperti da destinarsi alla sosta di campeggiatori possono avere unaricettività massima di numero dieci equipaggi e di trenta persone, purché inaziende agricole di superficie agricola utilizzata non inferiore a due ettari nel-le zone montane e svantaggiate di cui alla direttiva 75/268/CEE del Consiglio,del 28 aprile 1975, e non inferiore a cinque ettari nelle altre zone. 5. Nel caso di imprenditori agricoli associati o di cooperative agricole e fore-stali, i parametri di ricettività di cui ai commi precedenti si moltiplicano per ilnumero delle aziende associate, anche quando le strutture ricettive siano con-
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centrate in unica sede, a condizione che le strutture stesse siano di proprietàdell'organismo associativo. 6. Nell'attività agrituristica possono essere occupati esclusivamente l'impren-ditore agricolo ed i suoi familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile,nonché il personale dipendente dell'azienda agricola. Il tempo di lavoro com-plessivo prestato nell'attività agrituristica deve comunque rimanere inferioreal tempo di lavoro destinato all'attività agricola dell'azienda.
7. (Elenchi provinciali).
1. Presso ciascuna Amministrazione provinciale è istituito l'elenco provincialedei soggetti abilitati all'esercizio delle attività agrituristiche, tenuto da unacommissione provinciale costituita da:
a) l'Assessore provinciale competente in materia di agricoltura o dal diri-gente dell'Ufficio competente da lui delegato, in qualità di Presidente;
b) il dirigente dell'Ufficio competente per materia dei settori decentratidell'Assessorato regionale allo sviluppo del sistema agricolo e delmondo rurale;
c) un rappresentante di ciascuna delle tre organizzazioni professionaliagricole maggiormente rappresentative a livello regionale;
d) il dirigente dell'Ufficio dell'Amministrazione provinciale competentein materia di agriturismo.
2. Le funzioni di segreteria della Commissione sono espletate dall'Ufficio del-l'Amministrazione provinciale competente in materia di agriturismo. 3. L'iscrizione all'elenco provinciale è condizione necessaria per il rilasciodell'autorizzazione comunale all'esercizio delle attività agrituristiche, di cui al-l'articolo 8. 4. La commissione di cui al comma 1 è nominata con decreto del Presidentedella Giunta provinciale ed ha il compito di valutare l'idoneità dei richiedentil'iscrizione negli elenchi provinciali, nel rispetto dei principi stabiliti dalla leg-ge 5 dicembre 1985, n. 730, e dalla presente legge, tenuto conto dell'effettivapotenzialità agrituristica dell'azienda agricola e del fondo interessati, la cui ti-pologia deve essere espressamente indicata nell'elenco provinciale. 5. Ai componenti della commissione di cui al comma 1 si applica il trattamen-to economico previsto dalla normativa regionale vigente in materia. 6. L'iscrizione nell'elenco è negata, tranne che abbiano ottenuto la riabilitazio-ne, ai soggetti indicati nell'articolo 6, terzo comma, lettere a) e b), della leggen. 730 del 1985.
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7. La commissione provinciale si pronuncia sulle domande di iscrizione nell'e-lenco entro sessanta giorni dalla ricezione delle domande medesime. La datadi ricezione si riferisce alla consegna della documentazione completa ed è at-testata da apposita ricevuta ai fini della decorrenza del termine di pronuncia.La decorrenza del termine non comporta comunque l'iscrizione nell'elenco. 8. Il diniego motivato dell'iscrizione deve essere comunque comunicato al ri-chiedente. 9. La commissione provvede ogni tre anni alla revisione dell'elenco provincia-le, verificando la sussistenza dei requisiti di idoneità degli iscritti e delle con-dizioni di legge. Per detta verifica la commissione può avvalersi dei comunioltre che delle strutture provinciali competenti. Qualora risulti la non sussi-stenza dei requisiti di idoneità la commissione provvede alla cancellazioneprovvisoria del nominativo, comunicando la propria determinazione al sogget-to interessato con indicazione del termine per eventuali controdeduzioni. Lacancellazione definitiva dall'elenco provinciale viene notificata al soggetto in-teressato ed al Comune.
8. (Disciplina amministrativa ed autorizzazione comunale).
1. I soggetti di cui all'art. 2, comma 1, iscritti negli elenchi provinciali di cuiall'articolo 7, che intendono esercitare attività agrituristiche, devono presenta-re al Comune nel cui territorio ha sede l'immobile interessato, apposita do-manda contenente la descrizione dettagliata delle attività proposte fra quellericonosciute idonee in sede di iscrizione all'elenco provinciale, con l'indica-zione delle caratteristiche dell'azienda, degli edifici e delle aree da utilizzareper uso agrituristico, delle capacità ricettive, dei periodi di esercizio dell'atti-vità e delle tariffe che si intendono praticare nell'anno in corso, nonché del nu-mero delle persone addette e del rispettivo rapporto con l'azienda agricola. 2. Le informazioni di cui al comma 1 possono essere contenute anche in sepa-rata relazione illustrativa allegata alla domanda. 3. La domanda deve essere corredata dai seguenti documenti:
a) idonea certificazione dalla quale risulti il possesso dei requisiti di cuiagli art. 11 e 92 del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno1931, n. 773 ed all'articolo 5 della legge 9 febbraio 1963, n. 59;
b) copia del libretto sanitario; c) parere favorevole del competente servizio dell'azienda unità sanitaria
locale relativamente all'idoneità degli immobili e dei locali da utilizza-re per l'attività agrituristica;
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d) ove necessaria, copia della concessione edilizia e/o dell'autorizzazionecomunale per i locali da utilizzare per l'attività agrituristica;
e) certificato di iscrizione nell'elenco di cui all'articolo 7, comma 1; f) il consenso del proprietario se la richiesta viene avanzata dall'affittua-
rio del fondo e/o degli edifici, ovvero dell'imprenditore agricolo se larichiesta è avanzata da familiare dello stesso;
g) relazione a firma autenticata del richiedente contenente la descrizionedelle caratteristiche specifiche dell'ordinamento colturale e produttivoe dell'organizzazione gestionale dell'azienda nonché degli edifici pre-senti e delle aree da adibire ad uso agrituristico.
4. Entro novanta giorni dalla data di presentazione il Sindaco esamina la do-manda emettendo pronuncia di accoglimento o diniego. L'autorizzazione co-munale deve specificare le attività agrituristiche consentite ed i periodi diesercizio che, comunque, non possono essere superiori a complessivi novemesi annui. L'autorizzazione, inoltre, deve specificare il numero massimo de-gli addetti all'attività agrituristica. 5. Scaduti i novanta giorni senza che ci sia stata alcuna pronuncia, la domandasi intende accolta. 6. L'autorizzazione è sostitutiva di ogni altro provvedimento amministrativo. 7. Non si applicano all'esercizio dell'agriturismo le norme di cui alla legge 16giugno 1939, n. 1111, per la disciplina degli affittacamere. 8. Entro il 31 gennaio di ogni anno il comune invia alla competente commis-sione provinciale per l'agriturismo ed all'Ente cui sono demandate le funzioniin materia di turismo, competente per territorio, un elenco delle autorizzazionirilasciate nell'anno precedente, nonché le eventuali variazioni intervenute rela-tivamente alle autorizzazioni già in essere. 9. Presso l'ufficio regionale competente per l'agriturismo sono tenuti i registriprovinciali degli operatori agrituristici iscritti negli elenchi provinciali.
9. (Obblighi amministrativi).
1. Il soggetto autorizzato allo svolgimento di attività agrituristiche ha i se-guenti obblighi:
a) rispettare i limiti e le modalità indicate nella autorizzazione e le tariffedeterminate ai sensi dell'articolo 12;
b) tenere un registro contenente le generalità delle persone alloggiate, co-municandone l'arrivo e la partenza alla locale autorità di pubblica sicu-rezza;
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c) esporre al pubblico l'autorizzazione comunale. 2. Sono altresì fatti salvi gli altri obblighi previsti dall'articolo 109 del testounico delle leggi di pubblica sicurezza così come modificato dall'articolo 7,comma 4, del decreto legge 29 marzo 1995, n. 97 convertito con modificazio-ni dalla legge 30 maggio 1995, n. 203.
10. (Riserva di denominazione).
1. La denominazione "Agriturismo" nelle insegne, nel materiale illustrativo epubblicitario, ed in ogni altra forma di comunicazione al pubblico, è riservataesclusivamente a coloro ai quali sia stata rilasciata l'autorizzazione all'eserci-zio dell'attività agrituristica a norma dell'articolo 8. 2. Sono soggetti alla sanzione amministrativa da lire 2 milioni a lire 6 milionigli esercenti attività di ricezione e ospitalità che si attribuiscono la denomina-zione di "Agriturismo", senza aver ottemperato a quanto previsto dall'articolo8. La sanzione amministrativa si applica con le seguenti modalità:
- lire 2 milioni per la prima violazione; - fino a lire 6 milioni per le successive violazioni.
3. Sono affidate all'Amministrazione provinciale competente per territorio leattività di controllo e l'applicazione delle sanzioni di cui al comma 2, con l'ob-bligo di relazionare entro il 31 marzo di ciascun anno all'ufficio regionalecompetente per l'Agriturismo. 4. L'Amministrazione regionale può effettuare autonomamente verifiche econtrolli. I relativi verbali di accertamento devono essere trasmessi alla Am-ministrazione provinciale competente per territorio per l'eventuale applicazio-ne delle sanzioni di cui al comma 2. 5. I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie sono interamente introi-tate dalle Amministrazioni provinciali competenti per territorio a titolo di fi-nanziamento delle funzioni attribuite.
11. (Sospensione e revoca dell'autorizzazione).
1. L'autorizzazione di cui all'articolo 8 è sospesa dal Sindaco con provvedi-mento motivato per un periodo compreso tra dieci e trenta giorni per violazio-ne degli obblighi di cui all'articolo 9 e comunque per temporanea inosservan-za delle norme igienico-sanitarie e di pubblica sicurezza nell'esercizio deglialloggi agrituristici.
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2. L'autorizzazione è revocata dal Sindaco con provvedimento motivato qua-lora si accerti che l'operatore agrituristico:
a) non abbia intrapreso l'attività entro un anno dalla data fissata nell'auto-rizzazione, ovvero abbia sospeso l'attività da almeno un anno;
b) abbia definitivamente perduto i requisiti richiesti per il rilascio dell'au-torizzazione di cui all'articolo 8;
c) sia incorso durante l'anno solare, in più provvedimenti di sospensionedi cui al comma 1, per complessivi sessanta giorni;
d) non abbia rispettato i vincoli di destinazione di uso degli immobili in-teressati.
3. Il provvedimento di revoca è comunicato dal sindaco al prefetto, alla Pro-vincia ed all'Ente cui sono demandate le funzioni in materia di turismo, com-petente per territorio ai fini dell'aggiornamento degli elenchi e dei registri pre-scritti, nonché della revoca degli eventuali contributi concessi ovvero del re-cupero di quelli erogati. 4. Qualora da parte del Comune o di altro ente pubblico si accerti che l'attivitàagricola aziendale misurata in tempo di lavoro è divenuta secondaria rispettoall'attività agrituristica, a causa di modifiche intervenute nell'ordinamento col-turale e produttivo o nella conduzione dell'azienda, deve essere fatta segnala-zione alla competente Commissione provinciale di cui all'articolo 7 per la can-cellazione del relativo elenco provinciale dei soggetti abilitati e per la conse-guente revoca della autorizzazione comunale.
12. (Determinazione delle tariffe).
1. Entro il 31 luglio di ciascun anno il soggetto autorizzato all'esercizio dell'a-griturismo deve presentare al Comune ed all'Azienda di Promozione Turistica(A.P.T.) competente per territorio una dichiarazione contenente l'indicazionedelle tariffe che intende praticare per l'anno successivo.
13. (Incentivi agli imprenditori agricoli per investimenti agrituristici).
1. I contributi in conto capitale previsti all'articolo 4 sono concessi nelle misu-re seguenti:
a) a favore di imprenditori agricoli a titolo principale: 1) per le aziende che ricadono in zone montane e svantaggiate di cui
agli articoli 2 e 3 della direttiva CEE n. 268/75, il 45 per cento per
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interventi strutturali sugli immobili ed il 30 per cento per gli altri tipidi investimento;
2) per le aziende che ricadono nelle altre zone il 35 per cento per inter-venti strutturali sugli immobili, ed il 20 per cento per gli altri tipi diinvestimento;
b) a favore di imprenditori agricoli non a titolo principale: 1) per le aziende che ricadono in zone montane e svantaggiate di cui
agli articoli 2 e 3 della direttiva CEE n. 268/75 il 33 per cento perinterventi strutturali sugli immobili ed il 22 per cento per gli altri tipidi investimento;
2) per le aziende che ricadono nelle altre zone il 26 per cento per inter-venti strutturali sugli immobili ed il 15 per cento per gli altri tipi diinvestimento.
2. Qualora gli investimenti aziendali siano sviluppati nel quadro di un approc-cio collettivo le misure percentuali del contributo di cui al comma 1 sono au-mentate di 5 punti. 3. Il livello massimo degli aiuti pubblici in favore delle aziende agrituristicheè comunque contenuto entro il limite che permette di considerarli aiuti "de mi-nimis" secondo la normativa comunitaria. 4. Nella concessione dei contributi costituiscono criteri di priorità nell'ordine:
a) la localizzazione dell'azienda in una delle zone di maggiore interesseagrituristico secondo la definizione del piano regionale di cui all'arti-colo 18, nei territori inclusi nel piano regionale delle aree protette enei territori montani delimitati ai sensi dell'articolo 28 della legge 8giugno 1990, n. 142;
b) l'appartenenza del soggetto beneficiario alla categoria dei giovani im-prenditori ai sensi della normativa comunitaria.
5. I benefici di cui al presente articolo non sono cumulabili con altri beneficipubblici concessi per gli stessi interventi e le medesime finalità nell'ambitodella azienda interessata, salvo quanto consentito dalla regola "de minimis" ri-chiamata al comma 3. 6. Le opere eseguite ai sensi della presente legge sono vincolate alla loro spe-cifica destinazione per la durata di anni 10 a decorrere dalla data di concessio-ne del contributo. Le attrezzature finanziate sono vincolate per un periodo non inferiore a 5 anni. 7. I beneficiari dei contributi sono tenuti a presentare atto notarile da trascri-vere a proprie spese presso le conservatorie dei registri immobiliari nel qualesi impegnano al mantenimento delle destinazioni degli immobili o delle at-trezzature vincolate. Nel caso di cessazione della attività agrituristica i fabbri-
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cati utilizzati tornano alla loro originaria destinazione d'uso. 8. L'elenco delle strutture sottoposte ai vincoli di cui al comma 6 è tenutopresso gli Uffici provinciali e regionali competenti in materia di agriturismo.
14. (Provvidenze in favore degli Enti pubblici).
1. Alle Province, ai Comuni ed alle Comunità Montane, possono essere con-cessi contributi in conto capitale nella misura massima del 75 per cento dellaspesa effettivamente sostenuta per:
a) la realizzazione ed il miglioramento di servizi ed infrastrutture volteallo sviluppo agrituristico;
b) lo studio e la realizzazione di itinerari agrituristici. 2. Gli interventi di cui al comma 1 debbono essere previsti negli atti di pro-grammazione agrituristica di cui all'articolo 18, e sono realizzabili esclusiva-mente dagli enti nei cui territori ricadono più aziende agrituristiche in attività. 3. Gli enti di cui al comma 1 possono affidare la gestione dei servizi, delle in-frastrutture e degli itinerari agrituristici a soggetti individuati con appositaconvenzione da stipularsi prima dell'erogazione del contributo regionale. 4. L'Ente richiedente all'atto della domanda deve precisare, con atto deliberati-vo dell'organo competente, i mezzi finanziari con i quali fare fronte alla quotaa carico del proprio bilancio non inferiore al 25 per cento della spesa, per gliinterventi di cui al comma 1, nonché, qualora si proponga anche come sogget-to responsabile della gestione, l'analisi costi- benefici dell'intervento e le mo-dalità di provvista dei fondi occorrenti.
15. (Attività promozionali).
1. La Regione, nell'ambito del proprio sistema di informatizzazione, istituiscela "Banca dati regionale sull'agriturismo", in connessione telematica con leProvince e con gli enti cui sono demandate le funzioni in materia di turismo. 2. I documenti di programmazione agrituristica di cui all'articolo 18 compren-dono anche:
a) le iniziative di valorizzazione dell'offerta agrituristica, direttamentepromosse dalla Regione e/o proposte da Enti locali e da altre istituzio-ni, pubbliche o private, aventi tra le proprie finalità la promozioneagrituristica;
b) le iniziative formative rivolte agli operatori agrituristici, che possono
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essere gestite direttamente dai centri regionali di formazione profes-sionale ovvero essere affidate ad enti ed organismi di formazione pro-fessionale operanti a livello regionale.
3. Le iniziative promozionali di cui al comma 2, lettera a), quando attuate daistituzioni private, sono finanziabili nella misura massima dell'80 per centodella spesa effettivamente sostenuta.
TITOLO IIRECUPERO EDILIZIO RURALE
16. (Edifici recuperabili).
1. Nell'ambito degli atti di programmazione definiti al successivo articolo 18sono ammissibili a finanziamento iniziative non riconducibili all'attività agri-turistica, finalizzate al recupero del patrimonio edilizio rurale sito nei borghirurali e nelle campagne, da destinare alla valorizzazione di arti e tradizioni po-polari, nonché di prodotti tipici locali e relative attività promozionali. 2. Possono essere utilizzati al fine di cui al comma 1 gli edifici rurali partico-larmente significativi sotto il profilo storico o tradizionale ed etnografico. 3. Interventi su edifici non sottoposti a tutela, che comportino modifiche deiprospetti o delle cubature funzionali alla dotazione dei servizi sono realizzabi-li previo nulla-osta ex lege n. 1497/39 nelle more della emanazione delle nor-me di cui al comma 4. 4. Le province, sentiti i comuni, allo scopo di individuare gli edifici ed i nu-clei rurali di particolare pregio architettonico, storico, culturale, provvedono alcensimento degli stessi indicando nel contempo materiali costruttivi, tecnolo-gie di recupero, impostazioni tipologiche volte a garantire, nel rispetto delletradizioni architettoniche locali, la valorizzazione ed il riuso del patrimonioedilizio rurale. 5. Il particolare valore dell'edificio che si intende destinare agli scopi di cui alcomma 1 deve essere illustrato in apposita relazione redatta da tecnico abilita-to e corredata con utile documentazione storica e fotografica ed attestato conatto deliberativo del Comune nel cui territorio ricade l'immobile.
17. (Incentivi e vincoli).
1. Per gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 16, è concesso al pro-
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prietario dell'immobile un contributo in conto capitale nella misura massimadel 25 per cento della spesa ammissibile che comunque non può essere supe-riore a L. 300 milioni. 2. I fabbricati ristrutturati ai sensi dell'articolo 16 vengono iscritti, con la spe-cificazione delle attività cui sono destinati e degli operatori che esercitano taliattività, in apposito elenco istituito presso le amministrazioni provinciali. 3. L'utilizzazione dei fabbricati ristrutturati per le finalità di cui all'articolo 16dichiarata ai fini dell'ammissione al contributo di cui al comma 1 deve essereavviata entro dodici mesi dalla data di accertamento dell'avvenuta esecuzionedelle opere e dei lavori, pena la decadenza dal beneficio. 4. I fabbricati ristrutturati rimangono vincolati alla specifica destinazione perun periodo non inferiore a dieci anni. 5. I compiti di controllo e vigilanza sono effettuati con le modalità di cui al-l'articolo 10.
TITOLO IIIPROGRAMMAZIONE E FUNZIONI AMMINISTRATIVE
18. (Programmazione agrituristica).
1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Re-gione approva il Piano regionale agrituristico e di rivitalizzazione delle areerurali, con validità triennale. 2. Il Piano regionale di cui al comma 1, sulla base dello studio delle potenzia-lità del territorio laziale ai fini dello sviluppo dell'agriturismo realizzato in ap-plicazione dell'articolo 12 della legge regionale 18 aprile 1988, n. 21, defini-sce gli obiettivi di sviluppo dell'agriturismo nel territorio laziale, individua lezone di maggiore interesse agrituristico, delinea le azioni di sviluppo possibili,fissa i criteri di priorità dell'intervento pubblico e di ripartizione delle risorsefinanziarie, stabilisce le modalità ed i tempi di attuazione del piano stessononché i criteri di raccolta, valutazione e selezione delle domande di investi-mento. Gli incentivi per lo sviluppo del turismo rurale di cui al Titolo II possono as-sorbire quote finanziarie fino al 20 per cento dello stanziamento complessivoprogrammato per gli investimenti previsti dalla presente legge. Il piano regionale si attua attraverso il programma regionale di finanziamentodei programmi operativi proposti dalle Province entro il 31 maggio di ogni an-no.
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3. I Programmi operativi provinciali, in coerenza con il Piano regionale agri-turistico ed in armonia con gli indirizzi di programmazione regionale e di pia-nificazione territoriale, nel rispetto dei principi della normativa nazionale ecomunitaria e della presente legge, comprendono:
a) la perimetrazione delle zone di maggiore interesse agrituristico; b) l'elenco delle iniziative agrituristiche in atto; c) l'indicazione del patrimonio di edilizia rurale esistente suscettibile di
utilizzazione agrituristica e per attività di turismo rurale ed ambienta-le;
d) la descrizione delle caratteristiche naturali, ambientali, agricole e pro-duttive delle zone interessate, con particolare riguardo al patrimonioartistico e storico;
e) gli obiettivi specifici del programma operativo; f) la tipologia delle azioni che si intende realizzare ed i soggetti attuatori; g) gli investimenti previsti, la spesa pubblica programmata ed i soggetti
beneficiari dei contributi pubblici; h) le modalità di applicazione della spesa pubblica.
4. Il programma regionale di finanziamento, previa verifica tecnico- ammini-strativa della coerenza e compatibilità dei programmi operativi provinciali conil Piano agrituristico regionale, ripartisce le risorse finanziarie disponibili, sta-bilendo le modalità ed i tempi di attuazione dei programmi operativi provin-ciali, di erogazione delle risorse assegnate, di rendicontazione delle spese, dimonitoraggio dell'avanzamento, di controllo delle realizzazioni e della gestio-ne, e di valutazione dei risultati. 5. La mancata presentazione, da parte di una o più Province, dei programmioperativi provinciali non pregiudica l'attuazione del programma regionale difinanziamento dei programmi operativi provinciali utilmente presentati. 6. Qualora si determinino le circostanze di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 19,la Giunta regionale procede all'accantonamento per un solo esercizio finanzia-rio della quota massima del 20 per cento dello stanziamento annuale da ripar-tire.
19. (Funzioni amministrative).
1. Fatte salve le funzioni riservate espressamente alla Regione ed ai Comuni anorma della presente legge, tutte le funzioni amministrative in materia di agri-turismo sono delegate alle Province, che le esercitano nel rispetto delle normedella presente legge nonché degli atti di indirizzo e di programmazione ema-nati dalla Regione.
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2. Prima di iniziare l'esercizio delle funzioni delegate con la presente legge, leProvince determinano, con atto motivato, la ripartizione delle funzioni predet-te fra i propri organi e le proprie strutture. La relativa deliberazione è tempestivamente trasmessa alla Regione. 3. Le Province, nell'esercizio delle funzioni ad esse delegate con la presentelegge, possono avvalersi delle strutture dell'amministrazione regionale decen-trata. 4. In caso di inerzia della Provincia, la Giunta regionale invita la Provinciastessa a provvedere entro congruo termine, decorso il quale nomina un Com-missario ad acta per il compimento degli atti specifici. 5. In caso di persistente inerzia o grave violazione delle leggi o degli atti di in-dirizzo e di programmazione emanati la Regione dispone, con atto legislativo,la revoca delle funzioni delegate nei confronti della singola provincia respon-sabile dell'inadempienza o della irregolarità. 6. Le province, nell'emissione dei loro atti in applicazione della presente leggedebbono fare espressa menzione della delega di cui sono destinatarie. 7. Le province adottano le misure necessarie per verificare la regolare esecu-zione degli interventi finanziati, per prevenire e sanzionare le irregolarità, perrecuperare i fondi perduti a causa di abusi o di negligenza. 8. La Regione a mezzo di propri funzionari procede a controlli, anche in locoe mediante sondaggio delle operazioni e delle azioni finanziate in materia diagriturismo e di turismo rurale. 9. Le Province sono obbligate a fornire alla Regione informazioni, dati stati-stici e relazioni elaborate secondo procedure concordate a livello tecnico.
TITOLO IVDISPOSIZIONI FINANZIARIE E FINALI
20. (Disposizioni finanziarie).
1. Per gli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge è autorizzata laspesa di L. 1.000 milioni, per ciascuno degli anni 1997 e 1998 che vieneiscritta nel bilancio regionale, al capitolo 23225, di nuova istituzione avente ladenominazione "Contributi per lo sviluppo dell'agriturismo e del turismo rura-le". 2. Alla copertura della spesa di L. 2.000 milioni si provvede con gli stanzia-menti iscritti nel capitolo 29002 lett. a) dell'elenco 4 - fondi globali - del bi-lancio 1997 e pluriennale 1997-1999.
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21. (Decadenza dai benefici e revoca dei contributi).
1. I soggetti beneficiari dei contributi pubblici di cui alla presente legge deca-dono dai benefici qualora:
a) perdano i requisiti richiesti per l'esercizio delle attività agrituristiche; b) l'iniziativa finanziata non venga realizzata secondo il progetto appro-
vato e nei tempi indicati dal provvedimento di concessione, fatte salvele varianti e le proroghe eventualmente autorizzate, per giustificate emotivate ragioni, dagli uffici competenti;
c) si accertino sostanziali irregolarità nella documentazione giustificativadi spesa;
d) venga mutata la destinazione dell'immobile interessato prima dellascadenza del vincolo di destinazione espressamente previsto;
e) l'attività agrituristica o quella di turismo rurale non venga iniziata en-tro un anno dalla data del verbale di accertamento finale dell'interven-to ammesso a contributo.
2. In caso di decadenza dai benefici, i contributi concessi vengono revocati esono recuperate le somme eventualmente erogate, maggiorate degli interessilegali e delle eventuali spese di recupero.
22. (Disposizioni finali e transitorie).
1. La legge regionale 18 aprile 1988, n. 21 è abrogata. 2. Restano validi fino al loro completamento tutti gli atti posti in essere in ap-plicazione della citata legge regionale n. 21 del 1988 prima della data di entra-ta in vigore della presente legge. 3. Gli interventi per lo sviluppo dell'agriturismo previsti nel DOCUP Obietti-vo 5B 1994/99 rimangono disciplinati dalle specifiche disposizioni attuativedel DOCUP stesso, anche per quanto riguarda l'esercizio delle funzioni ammi-nistrative. 4. Per tutto quanto non previsto dalla presente legge si applicano le vigentinorme nazionali in materia. 5. Agli aiuti previsti dalla presente legge è data attuazione a decorrere dalladata di pubblicazione, nel Bollettino Ufficiale della Regione, dell'avviso rela-tivo all'esito positivo dell'esame di compatibilità da parte della Commissionedelle comunità europee ai sensi degli articoli 92 e 93 del trattato istitutivo del-la Comunità Europea.
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