AGESCI
NARRARE L’ESPERIENZA DI FEDE
Riflessioni sull’educare alla fede oggi
con il metodo scout
A CURA DEL “GRUPPO SULLE TRACCE” I.R.
I.R.
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2 PROPOSTA EDUCATIVA
Il “Gruppo sulle Tracce” è stato creato nel gennaio 1999 con l’obiettivo di supportare ilComitato nazionale nel ripensare alle tematiche inerenti la vita di fede in Associazione.Dopo il contributo “Decidersi per il Vangelo”, pubblicato sulle pagine di PropostaEducativa, il presente sussidio intende sviluppare una riflessione tesa a valorizzare ladimensione della narrazione nell’educazione alla fede, raccogliendo con ciò la provocazionelanciata dal Progetto Nazionale dell’Associazione approvato dal Consiglio generale 2007 efacendo seguito alla riflessione avviata in occasione del 2° Convegno degli Assistentiecclesiastici, realizzato ad Assisi nel febbraio del 2008.
Hanno collaborato alla stesura del presente sussidio i componenti del gruppo: DanieleBoscaro, Francesco Chiulli, Paola Dal Toso, Stefano Ferretti, Laura Lamma, don FrancescoMarconato, Lorenzo Marzona, Adriano Maria Meucci, Evelina Nicotra, Chiara Sapigni.
Foto di: Mauro Bonomini, Francesco Ciabatti, Giancarlo Cotta Ramusino, Laura Viganò,Marco Zanolo
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attraverso una serie di articoli su PropostaEducativa, che approccia l’argomento del-l’educazione alla fede a partire dall’esperien-za di vita e della capacità di leggere dentro leesperienze.
Cosa fare dunque di questo testo? Si potràusare a livello personale, per una letturameditata che dia nuovi spunti di riflessioneper il nostro servizio. Oppure – e forse meglio– potrà essere oggetto di dibattito e appro-fondimento in comunità capi, magari pren-dendolo “in piccole dosi”, per accompagnare imomenti di riflessione durante l’anno.
Il testo si compone di alcune schede, che pre-sentano lo sviluppo degli argomenti, e si con-cludono con una proposta di riferimenti bibli-ci per la riflessione e di domande utili per ilconfronto e per attivare nuovi percorsi educa-tivi.
Ma non finisce qui! Siamo convinti infatti chesu questo tema l’Associazione abbia bisognodi una rinnovata stagione di riflessione. Ciauguriamo pertanto che questo testo possaessere di stimolo per arricchire ulteriormenteil bagaglio personale e quello associativo, tro-vando ulteriori e più ampi spazi di confronto.
Paola Stroppiana, Alberto Fantuzzoe don Francesco Marconato
Presidenti del Comitato nazionale e assistente ecclesiastico generale AGESCI
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Presentazione
Spesso, nelle riunioni di comunità capi o inZona, ai campi scuola o nelle assemblee, sitorna sull’argomento “fede”. Di continuo sidice che i capi devono affinare gli “strumenti”e le “tecniche” per fare una buona catechesicon i ragazzi e che non basta fare la preghie-ra all’inizio o al termine dell’attività. Ci sidimentica però che l’esperienza di fede nasceproprio da… un’esperienza! E che lo scauti-smo (e dunque il nostro metodo nella suainterezza) può essere un formidabile spazio divita e di crescita per accompagnare i ragazzinella fede.
Ma il tutto funziona solo se si lascia permearequest’esperienza dalla Parola di Dio, capacedi illuminare la nostra esistenza. Dunque:esperienza scout ed esperienza di fede, ascol-to della Parola e incontro con la vita. E anco-ra, le difficoltà come capi e adulti nel proporrela ricerca di “senso” attraverso l’incontro conCristo… utilizzando il metodo scout.
Da qui è partita la riflessione, svolta assiemeal “Gruppo sulle Tracce”, per ricentrare il signi-ficato e le esigenze di questo aspetto dell’im-pegno educativo, nel contesto attuale, unita-mente alla riscoperta delle potenzialità delmetodo scout in ordine all’esperienza di fede.
Ne è nato un contributo ampio, le cui idee difondo sono state oggetto di condivisione sulcampo nel Convegno Assistenti tenutosi nel2008 e nel Cantiere nazionale di Catechesidello scorso giugno 2009, nonchè presentate
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Associazione. Metodo scout e annunciocristiano, se vissuti in profondità e conimpegno, sono davvero due realtà intrec-ciate ed inscindibili. Se pensiamo, adesempio, anche solo al metodo della bran-ca Rover/Scolte così com’è attuato inAgesci, molte terminologie richiamano lavita di fede e spesso anche la vita monasti-ca: capitolo, noviziato, veglia… sono nozio-ni che attingono chiaramente al mondodell’esperienza religiosa e monastica, chesono entrate nel linguaggio del nostrometodo. Anche la tradizione delle dueAssociazioni ASCI e AGI, prima della fusio-ne del 1974, pur con alcune diversità, erasicuramente costituita da un bagaglio diesperienze, di cerimonie, di quadro inter-pretativo complessivo che facevano riferi-mento in modo costitutivo e permanentealla tradizione di fede cristiana.
Possiamo suddividere le modalità dell’an-nuncio cristiano attraverso lo scautismo intre grandi filoni, che costituiscono tregrandi linee prospettiche che non si elimi-nano reciprocamente, ma anzi si integranol’una con l’altra, pur essendo l’una o l’altraprospettiva prevalenti a seconda dei variperiodi storici:
– una prima linea è costituita da quellache possiamo chiamare la catechesioccasionale. Durante le varie attività, adiretto contatto con i ragazzi, il capo espesso anche l’Assistente Ecclesiasticopotevano prendere spunto per unacatechesi che partiva dalla concretezzadella vita, dai singoli eventi o dalle situa-zioni che potevano crearsi. La vita nellanatura continuamente sperimentatanelle attività, oltre all’intensa vita comu-
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Introduzione
LA NOSTRA TRADIZIONE DI EDUCAZIONE ALLA FEDE
E GLI SVILUPPI RECENTI
a. Una lunga storia di annuncio della fede cristiana
Fin dal suo sorgere lo scautismo è subitoapparso come una straordinaria opportu-nità per l’educazione globale dei ragazzi edei giovani e quindi anche un modo con-creto e particolarmente efficace per l’an-nuncio cristiano. In particolare la tradizio-ne dello scautismo francese, grazie a gran-di figure come p. Jacques Sevin, p. Marie-Denis Forestier e altri assistenti ecclesiasti-ci, ha saputo elaborare lentamente uninsieme di contenuti e di metodi chehanno dato grande impulso al metodoscout e ne hanno fatto un’esperienzasignificativa dal punto di vista dell’annun-cio e dell’esperienza di fede. Dalla Franciaquesta sensibilità si è presto trasferitaanche alla nostra realtà italiana, grazie inparticolare all’opera di p. Agostino Ruggid’Aragona o.p. e ad altri capi e assistentiecclesiastici. Ben presto la nostra tradizio-ne di fede, ricca di storia e di presenzascout nelle parrocchie, ha saputo indivi-duare modalità specifiche di annunciodella fede, che ormai fanno parte del vissu-to concreto del nostro scautismo italiano eche a volte non si ritrovano nella tradizio-ne di altri paesi.Tutto questo è frutto del cammino di fededi tanti capi, di tante capo e di tanti assi-stenti ecclesiastici che con il loro impegnoe il loro desiderio di trasmettere la propriaesperienza di incontro con Dio hannoscritto lentamente, ma in modo molto effi-cace, pagine di educazione che sonodiventate patrimonio della nostra
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nitaria delle nostre unità, ben si presta-vano, infatti, ad essere “occasione” dicatechesi. Con il tempo si è compresoche la catechesi occasionale potevadiventare anche “occasionata”, cioè pote-va trovare il suo punto di partenza nelleoccasioni che il capo stesso creava pro-gettando le attività per i suoi ragazzi. Èchiaro che questa prospettiva era parti-colarmente significativa in un contestoin cui la stragrande maggioranza dellepersone poteva dirsi cristiana e il conte-sto culturale era omogeneo e molto vici-no alla fede cristiana.
– una seconda modalità è quella che vedenello scautismo una parabola dellavita. Ogni esperienza educativa vissutanello scautismo, infatti, può effettiva-mente costituire una realtà significativa,che rimanda alle grandi questioni dellavita, che interroga, che invita a rifletteree a porsi il problema del credere.L’esperienza più tipica in questo senso èquella che tradizionalmente viene chia-mata la “spiritualità della strada”, ripren-dendo il fortunato titolo del famosissi-mo libro di don Giorgio Basadonna1. Lastrada diventa l’immagine stessa dellavita, il paradigma di riferimento percogliere il disegno di Dio sulla propriastoria e per maturare tutti quegli atteg-giamenti che costituiscono l’identità e lavita del cristiano: il sentirsi sempre incammino sapendo discernere sempreciò che è essenziale, il non sentirsi“padroni della propria vita”, ma respon-sabili e capaci di dono, capaci di ascoltoe di scelta, compagni di cammino dicoloro che cercano di lasciare il mondomigliore di come lo hanno trovato.
– una terza modalità è quella che pensaall’educazione alla fede come aduna precisa progettualità e che vedequesta intuizione rappresentata nelProgetto Unitario di Catechesi (PUC)e nel successivo Sentiero Fede. Neglianni in cui la Chiesa italiana presentavail suo progetto catechistico, l’Agesci,grazie all’impegno dell’alloraAssistente Ecclesiastico Generale, ilgesuita p. Giovanni Ballis e di molti altriAssistenti Ecclesiastici, oltre che deimigliori esperti in campo catechisticoed educativo provenienti dalle FacoltàTeologiche italiane, in particolaredall’Università Pontificia Salesiana edall’Università Gregoriana, dava formaa questo singolare strumento. Il PUCvenne universalmente riconosciutocome il migliore adattamento delProgetto Catechistico della Chiesa ita-liana ad un metodo educativo. I vesco-vi riconobbero la validità di questolavoro e diedero il loro consenso a que-sta metodologia catechistica, acco-gliendola come un contributo impor-tante al cammino che la Chiesa italianastava compiendo. Sono numerose leacquisizioni positive che l’Agesci deveal PUC: Anzitutto, per la prima volta, siaffermava la necessità di offrire airagazzi dei contenuti di tipo catechisti-co all’interno delle attività, in modoche la catechesi fosse parte integrantedel cammino formativo, all’internodella programmazione concreta delleattività, ma anche del ProgettoEducativo della comunità capi. Poi, gra-zie ad un approfondito lavoro di anali-si, si offrivano ai capi le coordinate perpensare un progetto di catechesi a par-tire dalle necessità delle vari archi dietà dei ragazzi, raccordate con il meto-do scout e le sue tappe, ma anche con
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1 Giorgio Basadonna, Spiritualità della strada,Nuova Fiordaliso, Roma 2007.
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la proposta offerta dai catechismi dellaChiesa italiana.
Gli anni che seguirono l’uscita del PUCfurono davvero molto intensi per l’Agesci:Il Progetto Unitario di Catechesi fu il pro-tagonista di numerosissimi Convegni,Seminari, Campi scuola, in cui i capi impa-rarono a sperimentare un metodo attivo,concreto, efficace di proporre l’esperienzadi fede e questo non in modo slegatodalle attività, ma intimamente connessoalla tradizione e al linguaggio dello scau-tismo.Ulteriore approfondimento fu il SentieroFede, che con un linguaggio più imme-diato e più vicino alla realtà dei capi, siproponeva di offrire loro contenuti espunti di lavoro per pensare e costruireconcretamente la catechesi da offrire airagazzi.PUC e Sentiero Fede rimangono ancoroggi due punti di riferimento impre-scindibili per ogni itinerario di fedeattuato con i ragazzi. Pur con alcune dif-ficoltà di linguaggio che possono a primavista spaventarci un po’, dovrebberodiventare occasione di studio e di forma-zione per tutti i capi, per poter offrire unacatechesi il più possibile frutto di un cam-mino effettivo di conoscenza dei conte-nuti della fede cristiana, delle esigenzedei ragazzi, della proposta formativa dellaChiesa italiana.
b. Una catechesi “progettata”
È chiaro quindi che nel contesto attuale èdavvero indispensabile che anche la cate-chesi offerta ai nostri ragazzi sia oggettodi preparazione accurata e di program-mazione. Se qualche decina d’anni fa ilmetodo scout poteva essere occasione
più che sufficiente per offrire opportunitàcatechistiche ai nostri ragazzi, che eranomediamente ben inseriti nelle comunitàparrocchiali e partecipi di tutto un clima euna cultura che si muoveva all’interno diriferimenti cristiani, oggi questo non sipuò più dare per scontato. Il clima cultu-rale che respiriamo è spesso ben lontanodalla mentalità cristiana e a volte addirit-tura contrario e polemico nei confrontidella legittimità della proposta diun’esperienza di fede. Si tratta quindi diproporre ai ragazzi una catechesi che nonrinunci a dei contenuti chiari, ad una pro-grammazione ben strutturata ed articola-ta, ad un’esperienza concretamente vissu-ta e condivisa con gioia ed intensità.
Questo richiede a ciascuno di noi, a tutti icapi (e non solo all’assistente ecclesiasti-co!) di maturare un’esperienza personalee una competenza anche in questo ambi-to, come negli altri ambiti dell’educazionea cui non possiamo davvero rinunciare.
Se la proposta di fede è elemento essen-ziale del nostro fare educazione essadovrà trovare spazio all’interno delle atti-vità, raccordandosi con le varie esperien-ze proposte ai ragazzi, in modo da poter-le illuminare nella prospettiva cristiana,dando “sapore” ed intensità di vissuto adogni attività condivisa con i nostri ragazzi.
In quest’ottica torna utile ricordare anco-ra il Regolamento Metodologico (Art.10/b), secondo cui “le esperienze caratteri-stiche del metodo scout hanno già unavalenza religiosa, che – attraverso l’annun-cio della Parola e la celebrazione dei sacra-menti – fa dello scautismo un’occasione diincontro con il vangelo ed una originaleforma di spiritualità cristiana”.Interiorizzare la riflessione presente in
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Ci sembra importante allora soffermarcicon qualche riflessione ulteriore e qual-che scheda di lavoro per i capi e lecomunità capi su questa tematica, consa-pevoli della sua urgenza e del suo valore,nella speranza di offrire un contributo (ilpiù possibile semplice ed efficace, cercan-do di non scadere nella banalità) al cam-mino di formazione permanente dei capie – di conseguenza – all’offerta formativache riusciamo a mettere a disposizionedei nostri ragazzi. Crediamo infatti che,pur tra le difficoltà di questo nostrotempo, il metodo scout possa offrire, seben attuato, alcuni spunti originali, alcuneopportunità davvero preziose in ordineall’educazione alla fede, particolarmenteattuali ai nostri giorni.
Certo, sono necessarie alcune attenzioniperché lo scautismo non perda di qualitàe si riduca ad una specie di generico“addestramento alla vita”… Educare allafede richiede molto di più che qualchepreghierina improvvisata; è piuttostoun’avventura straordinaria, sia per i nostriragazzi, sia per noi adulti che cerchiamodi offrire loro una prospettiva di vita fon-damentale per la realizzazione di se.Incontrare e conoscere il Signore Gesù,anche oggi, nell’era di internet e dei com-puter… rimane la prospettiva più interes-sante per la propria vita e il modo piùricco in cui è possibile giocarla. Noi ci cre-diamo sul serio… ed è per questo che,ancora, vogliamo viverla e proporla.
Ecco allora il percorso di riflessione cheproponiamo attraverso queste schedeche ogni capo ed ogni comunità capipotrà liberamente utilizzare: (vedi a pagi-na seguente)
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questo “frammento” e riuscire ad illumina-re di volta in volta gli elementi evangeliciche sono parte costitutiva della metodo-logia scout, costituisce uno dei fonda-menti della competenza metodologicache permette al capo di collocare almeglio la proposta di fede nel suo fareeducazione, senza ricercare percorsiparalleli o separati.
c. Educare alla fede, oggi,con il metodo scout
Davvero è ancora necessario oggi educarealla fede? Davvero è una realtà importantee un autentico servizio ai nostri ragazzi? Mail nostro fare educazione, in fondo, non ègià offrire ai bambini e ai ragazzi quelleesperienze di vita che possono aiutarli atrovare un senso autentico per la loro esi-stenza? Non è sufficiente? In fondo non fac-ciamo già una grande opera educativa… epoi… tocca proprio a noi?
Sono queste alcune delle domande chesempre più spesso ci capita di condivide-re, come provocazione costruttiva, contanti capi della nostra Associazione, inoccasione dei vari eventi formativi (campiscuola, convegni, seminari di studio) chevengono realizzati. Il nostro metodo, purricco di una lunga tradizione educativa,come visto nei paragrafi precedenti, habisogno costantemente di tornare a riflet-tere su alcune dinamiche fondamentali.Cogliamo, in particolare, come educatori,la necessità di connettere più stretta-mente il percorso di crescita della fedecon quello umano dei nostri ragazzi econ la ricerca di senso nelle vicende dellavita stessa.
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tario. Chi può frenare la mia ricerca disoggettività? Chi può impedirmi di realiz-zare ciò che sento importante per me? Eper quale motivo dovrei credere in qual-cosa o in qualcuno? Che senso ha “imbri-gliare” in qualche modo la mia vita, sesento che posso realizzare tutto ciò chepercepisco come importante, utile,necessario per il mio benessere e la miarealizzazione?. E soprattutto, con qualeautorità qualcuno dall’esterno può dirmiche cosa può essere utile e importanteper me? In fondo, non lo posso capire dasolo?
– il relativismo culturale. Ai nostri giorniogni modo di pensare e di compiere leproprie scelte è considerato lecito e legit-timo. Ogni scelta va accolta come possibi-le, perché se il soggetto è al centro del-l’esistenza, allora ogni suo orientamentodi vita va rispettato, accolto, consideratopossibile e giustificato, perché provienedalla libera scelta del singolo. In questosenso tutte le scelte, dalle più importantie significative a quelle più banali e contro-producenti, sono sullo stesso piano e pos-sono far parte dello scenario possibile.
È chiaro che soggettivismo e relativismoculturale hanno una grande influenza sullemodalità con cui è possibile educare deiragazzi. Ed è chiaro anche che se non abbia-mo consapevolezza di queste grandi pro-spettive culturali, rischiamo di rimanernesemplicemente giocati, in modo inconsape-vole. E non si tratta di ergersi a censori, diguardare dall’alto in basso il mondo di oggicondannandolo e dicendo che noi siamomigliori, che noi siamo vaccinati controqueste mentalità e che la nostra opera edu-cativa ne è sicuramente esente. Non è vero!
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Scheda n. 1
DA DOVE PARTIRE PER EDUCARE ALLA FEDE
I NOSTRI RAGAZZI?
a. Il contesto culturale
Per iniziare a proporre ai nostri ragazzil’esperienza della fede cristiana è necessa-rio partire dal contesto culturale e socialeche condividiamo con loro. Conoscendoalmeno un po’, infatti, i ragazzi che abbiamodavanti e il clima in cui sono immersi, saràpiù probabile che riusciremo ad annunciareloro il volto di Gesù in modo più efficace.
La mentalità del nostro tempo, l’ambienteculturale in cui tutti ci muoviamo è caratte-rizzato da due modi di pensare che sonopresenti in mille situazioni quotidiane: neigiornali che leggiamo, qua e là nei pro-grammi televisivi, nel nostro modo di pen-sare e di parlare. È la cultura del nostrotempo, nella quale siamo immersi anche semagari non ce ne rendiamo conto. Qualisono questi modi di pensare prevalenti?
– il soggettivismo. Oggi ciascuno di noi sisente protagonista della propria esisten-za, cosciente che la propria vita è unarealtà che può gestire secondo i criteriche ritiene più opportuni. Quindi sente dirifiutare istintivamente ogni imposizioneesterna, ogni realtà che dia solo l’impres-sione di intromettersi nelle sue scelte, dicostringerlo all’interno di regole e didivieti.“Il soggetto”è il grande protagoni-sta della storia personale di ciascuno. Èchiaro che questa prospettiva culturale,pur portando in sé alcune ricchezzeimportantissime, se portata all’eccessocostituisce un grande problema dalpunto di vista personale e anche comuni-
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La cultura del nostro tempo, come anche lecaratteristiche specifiche del cammino diciascuno di noi, ma anche le varie situazionilocali in cui ci troviamo a vivere hanno unagrandissima influenza nel nostro modo dieducare i ragazzi, perché l’essere umano èsempre “in situazione”, è sempre in relazionecontinua con le persone e l’ambiente che locirconda.
Sarebbe impossibile – e anche molto tristee fuorviante – pensare ad un’educazioneasettica, che non avesse alcun contatto conil mondo di oggi e le sue dinamiche, chefosse come una specie di campana di vetroo di ambiente protetto in cui proporre airagazzi esperienze magari piacevoli, masicuramente al di fuori della realtà. Comericordava Gianni Rodari in un celebre rac-conto: “Non voglio avere niente a che fare conl’acqua – pensava il pesce rosso nella suavaschetta”, ma era un povero ingenuo, chenon teneva conto della realtà.
b. Un modello di uomo verso cui andare
Chiunque voglia compiere un’azione edu-cativa, sa che il suo scopo è quello di pro-muovere il bene del soggetto dell’educa-zione. In altri termini, quando proponiamoai nostri ragazzi un cammino di crescita, lofacciamo perché crediamo che sia possibileper loro diventare persone più ricche inte-riormente, capaci di vivere in modo miglio-re, di raggiungere dei traguardi concretiverso la felicità. Altrimenti, se non abbiamoquesta coscienza, proporremmo loro dellegeneriche “attività”, un attivismo vuoto einconcludente che sicuramente non ci inte-ressa. Nell’educazione scout ogni espe-rienza, ogni singola attività, ognimomento educativo proposto al ragazzoè sempre finalizzato alla sua crescita e
alla sua realizzazione. Ciò implica che noicrediamo che sia possibile vivere in modopiù autentico e più profondo, essere miglio-ri e più significativi, sperimentare in modopiù vero la bellezza della vita. Tutti gli scrittidi B.-P., in fondo, fanno trasparire questaconsapevolezza. Il fondatore dello scauti-smo era un grande “innamorato”della vita edella sua bellezza, ne intravedeva le meravi-gliose potenzialità in ogni ragazzo e sapevacogliere “le tracce di Dio” nella propria esi-stenza e in quella delle persone che incon-trava. E il metodo scout che ha propostonasce, in estrema sintesi, proprio da questaintuizione fondamentale: è possibile esse-re protagonisti della propria vita, è pos-sibile un cammino di crescita e di autoedu-cazione perché la vita di ciascuno di noiarrivi ad una pienezza maggiore, sia vissu-ta come un dono di Dio da condividerecon i fratelli, in uno spirito di servizio e didono di sé.
Proprio a partire dagli scritti di B.-P. possia-mo individuare i tratti di un “modellouomo” a cui tende l’educazione scout.Quale idea di uomo abbiamo in mentequando educhiamo i ragazzi con il meto-do scout? Che cosa aveva in mente B.-P. peri suoi ragazzi quando proponeva loro divivere l’avventura dello scautismo?
Il modello-uomo dello scautismo (cioè,per usare parole un po’ più difficili, il model-lo antropologico di riferimento dell’educazio-ne scout) potremmo riassumerlo così:
– è un uomo protagonista della sua vita,consapevole della propria responsabilità.
– è un uomo capace di compiere dellescelte, capace di dire dei “sì” e dei “no”.
– è un uomo ottimista, capace di vedere ilbene presente in sé e attorno a sè e digoderne pienamente.
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personale, ma “protagonisti” perché capacidi donare la vita, capaci di mettersi a servi-zio degli altri con semplicità e gioia.
È chiaro che questo “modello antropologi-co” ci ricorda da vicino l’esperienza evan-gelica. È Gesù che suggerisce ai suoi divivere con gioia, di vivere in pienezza,facendo capire loro che non c’è altra viaper raggiungere questa pienezza se nonattraverso il dono di sé. È lui che vive perprimo questa dimensione: l’ascolto conti-nuo del Padre, la comunione profonda conlui è ciò che consente a Gesù di vivere conun cuore capace di compassione. L’amoredel Padre è il grande punto di riferimentoper Gesù, che diventa capace di donaretutta la sua vita, perché questa logica loanima in profondità, gli consente di com-piere scelte autentiche, di non badare alconsenso o all’approvazione di chi ha difronte, ma di essere vero e profondo in ciòche fa e che dice. È lui il primo testimone diquello che annuncia, è lui che vive in primapersona le cose che dice. E nella sua vitanoi vediamo realizzata proprio quella gioiaprofonda e quell’autenticità a cui ognunodi noi aspira. Il dono di sé caratterizza ognisuo istante… e quando il dono di sé diven-terà anche accettare il tradimento di unamico o soffrire ingiustamente per le accu-se che gli sono rivolte Gesù non avràdubbi: sceglierà la via dell’accoglienzaincondizionata e del perdono, pur sapen-do che essa è impegnativa e può costare ilprezzo della vita.
Morire in croce, per Gesù, è la logica conse-guenza di tutta una vita giocata fino infondo secondo il dono disinteressato di sé.Questo è l’Amore con la “A” maiuscola,l’amore che “pensa agli altri prima che a sestesso”, come insegniamo ai nostri lupettiquando si preparano a pronunciare la pro-
– è un uomo che ha compreso che c’è piùgioia nel donare che nel pensare solo asé stessi.
– è un uomo capace di servire e di mette-re al centro della propria vita non il pro-prio interesse, ma il bene dell’altro, dellacomunità.
– è un uomo che si sente continuamentein cammino, capace di ricominciaredopo ogni fallimento, consapevole che lafragilità umana non è una disgrazia, ma ilsegno del suo essere creatura, bisognosodi Dio e del sostegno dei fratelli.
– è un uomo capace di interagire, di colla-borare, di vivere in comunità, nel segno diuna fraternità universale che non ha con-fini.
– è persona capace di intuire e di speri-mentare la bellezza dell’essere uomo edonna, in cui l’identità di genere, il“maschile” e il “femminile”, sono percepiticome una ricchezza che apre alla recipro-cità, alla complementarietà, al dono.
– è, infine, un uomo aperto all’incontrocon Dio, di cui riconosce i segni della pre-senza nella sua vita personale, nel voltodei fratelli, nella bellezza del creato.
L’Agesci ha condensato tutti questi trattiantropologici, queste caratteristiche diuomo “realizzato” in un’idea sintetica:“l’uo-mo e la donna della partenza”. Per noi, par-lare di “uomo e donna della partenza” signi-fica proporre ai nostri ragazzi questomodello di realizzazione personale, che pertanti aspetti risulta alternativo rispetto allamentalità odierna. Sappiamo che vivere inquesto modo è esigente e per nulla sconta-to. In un mondo che spesso ci vorrebbe solo“utenti” o al massimo “consumatori”, a noipiace essere “protagonisti della nostravita”. Protagonisti non a proprio uso e con-sumo, non in vista di un proprio tornaconto
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messa. Ma se questo è l’Amore vero, vuoldire che questa “realtà” è persino più fortedella morte, è Dio stesso. “L’Amore vero èDio”, ci spiega san Giovanni nella sua primalettera (cfr. 1Gv. 4, 8). Ed è per questo chel’Amore vero non può essere sconfitto danessun ostacolo, neppure dalla morte. Èper questo che Gesù è risuscitato dalPadre, attraverso il dono dello Spirito. È quiil grande annuncio cristiano: L’amorevero, la vita vissuta come dono di sé,grazie alla forza che ci viene da Dio egrazie al suo aiuto, non può morire.Siamo destinati alla pienezza della vita se,confidando in Dio, viviamo in questomodo. Saremo autenticamente felici seimpostiamo così la nostra vita, pur tra ledifficoltà quotidiane che saranno ugual-mente presenti, ma non ci abbatteranno,perché l’Amore è più forte della morte. Edè una vita che è destinata ad essere persempre nell’amicizia e nella pace di Dio,anche dopo la nostra morte fisica, che saràsolo un passaggio verso la comunione piùpiena con il Signore della Vita.
Educare alla fede, oggi, significa educareall’incontro con il Signore Gesù e averecome riferimento fondamentale questo“modello antropologico”, che Gesù rea-lizza in prima persona. È lui che ci annun-cia e che ci fa vedere come è possibile rea-lizzarci dal punto di vista umano: attraversouna profonda e continua comunione conDio e attraverso una fraternità con le perso-ne che vivono accanto a noi, una fraternitàche è necessario ricostruire continuamente,perché esposta alla nostra fragilità e allefatiche dell’uomo di ogni tempo. In questopaziente cammino si inserisce anche l’im-pegno educativo, per offrire ai ragazzi dioggi (e quindi agli uomini di domani) i crite-ri per scegliere “per la vita”… e non “per lamorte”.
Testi biblici per l’approfondimento:
Gv 15: Io sono la Via, la Verità, la vita.Gv 20: Sono venuto perché abbiano la vita el’abbiano in abbondanza1Gv: Noi lo annunciamo a voi.Deut 30: La via della vita e la via della morte.
Domande per il confronto:
1. Siamo consapevoli della mentalità chepervade il nostro tempo e la nostra cultura?Come la viviamo? Ci sentiamo portati a“condannarla” facilmente o siamo capaci dileggerla come un segno, come una caratte-ristica da interpretare e da comprendere?
2. Come ci sembra sia vissuta oggi l’espe-rienza di fede da parte nostra e da parte deinostri ragazzi? È qualcosa che viene perce-pito come promovente per la propria vitaoppure rischia di essere vissuto come unacostrizione, un ostacolo alla realizzazione disé, un bagaglio inutile nel cammino dellapropria esistenza?
3. Qual è il modello-uomo a cui mi sembradi fare riferimento in modo prevalente? Checosa guida le mie scelte? Dove sto investen-do oggi le mie energie, il mio denaro, i mieiinteressi? Che cosa cattura di più la miaattenzione?
4. Mi è sufficientemente chiaro il modello-uomo che emerge dal Vangelo e che Gesùvive e annuncia in prima persona? Mi sem-bra interessante e promovente per la miavita?
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Che cosa significa che l’uomo è “persona”?Che cosa intendono i grandi filosofi delnovecento che hanno dato vita a quellamodalità di approccio all’uomo che chia-miamo, appunto, “personalismo” e, più spe-cificatamente “personalismo comunitario”?
Significa che:
– l’uomo è anzitutto “identità”. Cioèognuno di noi, ognuno dei nostri ragazziè un tesoro unico e irripetibile, è portato-re di una bellezza, di potenzialità straordi-narie, di caratteristiche positive e impor-tanti che ci caratterizza. C’è un qualcosadentro di noi che ci rende unici e che ciprecede, che “viene prima” rispetto adogni formazione e ad ogni educazione;
– l’uomo poi è “essere – in – relazione”.Vuol dire che per raggiungere la pienez-za della nostra umanità noi abbiamo lanecessità insopprimibile di essere inrelazione con gli altri. È la relazione conl’altro che ci aiuta ad identificarci, a dive-nire noi stessi. È l’incontro con altre per-sone, con figure significative e promo-venti, che ci aiuta a strutturarci con unanostra identità propria. Nessuno arrivaad essere pienamente se stesso se nonnel dialogo, nel confronto, nella capacitàdi mettersi in relazione il più possibileprofonda e serena con le persone che locircondano;
– infine l’uomo è aperto alla trascenden-za, aperto all’incontro con Dio, di cuiintuisce la presenza e la grandezza.Come il dialogo con gli altri è ciò che glidà struttura e robustezza, così il dialogocon Dio è l’altro grande “polo” di attrazio-ne della persona. Dio si può conoscere edincontrare, Dio interpella l’uomo e lo invi-
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Scheda n. 2
I PUNTI FERMI DELL’EDUCAZIONE ALLA FEDE
CON IL METODO SCOUT
Dopo aver chiarito l’importanza di essereconsapevoli di quello che abbiamo chiama-to il “modello antropologico di riferimento”,cioè dell’idea di uomo e di donna chevogliamo annunciare come immagine del-l’uomo veramente realizzato, veramentefelice, dobbiamo andare a quelle che sonole modalità specifiche con cui lo scautismoattua questo annuncio. Sono, appunto,modalità specifiche, proprie di questo iti-nerario educativo. Non sono migliori o peg-giori di altre. Sono modalità concrete concui lo scautismo, diversamente da altri itine-rari formativi, può realizzare il raggiungi-mento di quel traguardo che è, appunto, larealizzazione umana. Essa resta sempre unpo’ al di là delle nostre possibilità: siamouomini e donne e per questo siamo anchefragili e limitati. Ma possiamo almenoincamminarci verso una realizzazione piùpiena della persona umana, almeno intra-vederla e proporla come un traguardo chein certa misura rimane sempre un po’davanti a noi, ma non per questo dobbiamorinunciare a metterci in cammino.
È bene chiarire subito che nella nostra pro-posta educativa, come abbiamo visto, ilmodello antropologico è di tipo “perso-nalista”. Si tratta cioè di non pensare gene-ricamente all’uomo secondo una delletante filosofie o secondo i vari approccipossibili. Si tratta di comprendere fin d’orache per noi l’uomo è certamente un corpocon delle esigenze e delle caratteristichespecifiche, un insieme di intelligenza, diemotività, di affetti, di valori acquisiti, ma èsoprattutto e anzitutto una persona.
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ta al dialogo con lui. E la risposta, il prosie-guo di questo dialogo è affidata alla liber-tà umana, che può accogliere o rifiutarela possibilità di incontro con Dio. Un Dioche non si stanca di chiamare l’uomo eche rimane in attesa della sua risposta,come ci ricorda un famoso passo del librodell’Apocalisse: “Ecco, sto alla porta ebusso. Se qualcuno ascolta la mia voce e miapre la porta, io verrò da lui, cenerò con luied egli con me” (Ap. 3, 20).
È chiaro che in questa prospettiva non esi-ste una realizzazione umana al di fuori del-l’orizzonte di fede. Non è possibile realizzar-si per l’uomo, secondo questa impostazioneche sentiamo di condividere profondamen-te, senza mettere in conto che fa parte dellasua vita l’essere in relazione con gli altri,con Dio, con l’ambiente che lo circonda.Poi, lo sappiamo bene, questa relazioneconoscerà momenti più sereni e altri piùdifficili, presenterà una serie di fatiche chefanno parte della nostra umanità e dellecaratteristiche del nostro tempo, ma l’espe-rienza concreta che abbiamo vissuto e l’ac-compagnamento educativo di tanti ragazzie giovani ci dice con certezza che l’uomonon può fare a meno di un orizzonte antro-pologico che comprenda anche la presenzadi Dio, pena il suo girare a vuoto, il suo esse-re come in un deserto, senza alcun punto diriferimento.
Da ciò conseguono molte delle caratteristi-che del nostro educare alla fede con ilmetodo scout:
a. Anzitutto – sembra banale, ma non lo è –la prima conseguenza è che non possiamonemmeno pensare un’attività scout, cosìcome viene proposta oggi in Agesci, slega-ta o avulsa da un’esperienza di fede esplici-ta e da una proposta di catechesi. Magari
riusciremo a realizzarla in modo parziale, inmodo imperfetto, ma l’esperienza di fede èparte integrante, in modo inscindibile, dellenostre attività, della nostra proposta educa-tiva. Se è vero che non c’è uomo realizza-to se non nella prospettiva della perso-na, cioè dell’apertura al trascendente,dell’incontro con Dio, non possiamo farea meno di proporre questo orizzonteinterpretativo ai nostri ragazzi, in ognioccasione che abbiamo di incontrarli e dicamminare con loro. Questa sintesi di vitadovremmo averla “dentro di noi”, dovrebbeessere percepibile in ogni parola e in ogninostro gesto, prima ancora di diventare unavera e propria esperienza di preghiera o dicatechesi condivisa con i nostri ragazzi.
b. La seconda conseguenza è che non puòesistere, in questa prospettiva, una cateche-si in qualche modo “sganciata” o “giustap-posta”alle attività che proponiamo ai ragaz-zi. Se il “modello antropologico” è unico, se larealizzazione umana che proponiamo èquella che integra la dimensione di fede e ledà un posto preminente, non è più possibi-le pensare che ci accontentiamo di propo-ste di fede un po’ rabberciate, improvvisatee comunque non fortemente connesse conla proposta educativa complessiva che stia-mo offrendo ai nostri ragazzi. In questo loscautismo ha una sua peculiarità: i capiscout sanno che tutto, ma veramentetutto è occasione educativa. Ogni attivi-tà, ogni momento vissuto insieme con iragazzi mette in moto una relazione edu-cativa che è il grande segreto dello scau-tismo. Viviamo insieme con i nostri ragazzimille avventure proprio per questo: perchésappiamo che ogni momento è prezioso,ogni parola, ogni atteggiamento.
E i ragazzi ci osservano, ci valutano, guarda-no come ci muoviamo e come ci compor-
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tiamo. Ebbene, l’esperienza ci dice che nonè la già citata “preghierina” fatta all’iniziodell’attività, magari un po’ improvvisata, ciòdi cui i nostri ragazzi hanno bisogno.Certamente servono anche momenti strut-turati di preghiera, momenti di catechesiche facciano comprendere l’importanzadella Parola di Dio e del riferimento a lui,momenti celebrativi…, ma altrettantoimportante è fare in modo che tutti i conte-nuti e tutte le esperienze che proponiamoai ragazzi siano intrecciati con la dimensio-ne di fede. Fede e vita sono per noi duerealtà inscindibili, fanno parte dell’espe-rienza quotidiana. E il grande gioco delloscautismo dovrebbe proprio aiutarci a com-prendere che non c’è separazione tra la vitaquotidiana e l’esperienza di fede, ma chepiuttosto entrambe fanno parte del nostrovissuto quotidiano e si illuminano e si com-penetrano vicendevolmente. Tutta l’attivi-tà scout, quindi, è permeata dall’espe-rienza di fede. Anche momenti apparente-mente lontani da un vissuto di fede, comepossono essere la promessa o il dormire intenda o il camminare per ore su di un sen-tiero, sono invece realtà che abilitano pro-gressivamente il ragazzo ad assumereatteggiamenti interiori che preparano il ter-reno all’esperienza di incontro con Dio, cheaiutano ad incontrare la propria creaturali-tà, ad assumerla e a farne il terreno disponi-bile all’accoglienza di Dio e al suo affacciar-si alla nostra vita. “Ecco, sto alla porta ebusso…”.
c. Inoltre sappiamo bene che l’educazionescout è educazione globale della perso-na, si occupa cioè di tutta la persona e nonsolamente di qualche aspetto di essa. Perquesto la dimensione religiosa, che cre-sce con il crescere del ragazzo, è una realtàche va particolarmente curata nel cam-mino educativo. È quella dimensione per-
sonale che diventa decisiva in alcune sta-gioni della vita. Proprio il tempo dell’adole-scenza e della giovinezza è il periodo dellavita in cui la dimensione religiosa della per-sona può aprirsi ad una consapevolezza difede più matura e può diventare il perno, ilpunto di riferimento su cui tutta la perso-nalità si struttura e si solidifica. Abbiamo ildesiderio di aiutare i nostri ragazzi a diven-tare persone adulte, solide, capaci di solida-rietà, capaci di mettere in gioco con unostile di servizio tutte le potenzialità e la bel-lezza che portano dentro: per questo nonpuò mancare, all’interno della costruzionedella loro personalità che lentamente si vacompiendo, una forte esperienza di fede,che possa essere un riferimento solido, anziil riferimento più importante per le loroscelte e per il loro cammino.
d. Infine, se è vero che l’educazione allafede non può essere un “capitolo a parte”,un settore dell’opera educativa più com-plessiva, un qualcosa di accessorio e di giu-stapposto, è chiaro che essa dev’esseremessa in atto da tutti i capi, indistinta-mente. È in nome del proprio battesimo,che ci abilita, pur con le nostre fragilità epovertà, ad essere annunciatori del messag-gio cristiano, ma anche in nome dell’adesio-ne al Patto Associativo che prevede che icapi educatori abbiano compiuto una scel-ta di fede esplicita e si sentano in costantecammino all’interno di essa, che tutti i capisono chiamati ad educare alla fede.Spesso si percepisce una certa fatica a que-sto riguardo, motivata spesso con il senso diinadeguatezza che a volte può assalirci.Certo che è necessario formarsi anche inquesto ambito, che è molto importantecamminare personalmente e costruirsi pro-gressivamente anche una certa qual com-petenza, ma in fondo questo è un falso pro-blema: tutti siamo chiamati ad annuncia-
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re il Signore Gesù e la sua azione di salvez-za nella nostra vita. È compito di ogni cri-stiano vivere e annunciare la propria fedenel Signore della Vita, con i mezzi e le possi-bilità di ciascuno, nella coscienza che l’an-nuncio e l’accoglienza della fede sono pri-mariamente azione dello Spirito Santo cheopera misteriosamente nel cuore dell’uo-mo e nella certezza che la fede cresce e siirrobustisce proprio nel momento in cui ladoniamo agli altri.
Testi biblici per l’approfondimento
Ap 3, 18: Ecco, sto alla porta e bussoGen 2 e 3: L’uomo nel progetto di Dio:Essere – in – relazioneGal 5: Un possibile “modello antropologico”secondo San Paolo.
Domande per il confronto
1. Qual è la mia idea di “uomo realizzato”?Quali caratteristiche ha?
2. Che cosa immagino, penso, desidero…in vista della mia realizzazione personale?
3. C’è posto per Dio nel mio “modello –uomo”? Quale posizione occupa? È unarealtà centrale o lo sento come un acces-sorio?
4. Come sto attuando la proposta di fedee la catechesi con i ragazzi? Mi sembra siasufficientemente integrata nel percorsoformativo o è ancora una realtà tropposlegata dal cammino che proponiamo airagazzi? È solo un’attività giustapposta…oppure riusciamo a mettere in atto un iti-nerario più approfondito e correlato alleattività?
5. Come sto camminando nella presa dicoscienza della necessità, per me battezza-to, di vivere e annunciare la fede? Sta cre-scendo in me una consapevolezza e unacompetenza in questo campo?
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fondamentale della persona umana.L’esperienza ci dice che l’autentico cam-mino educativo non può passare solo peril fare, o solo per il sapere o solo per il sen-tire, ma richiede che queste tre portesiano aperte contemporaneamente, perpoter accedere a quel “cuore profondo”della persona che è l’essere.Anche questa è, in fondo, una delle grandiintuizioni del metodo scout, che sviluppae mette in relazione le grandi componen-ti della persona, proponendo una modali-tà educativa che coinvolga sia la dimen-sione logico-razionale della persona, sia lasua dimensione emotiva ed affettiva, sia lasua capacità di scegliere e di orientarsinella vita. La nostra tradizione educativaparla di “interdipendenza tra pensiero edazione”, di “imparare facendo” e sottoli-nea proprio l’importanza di un’esperienzaeducativa che coinvolga tutta la persona,in modo che lentamente essa possa ope-rare una sintesi personale, un modo diessere e di agire che sia il frutto di uncammino di crescita compiuto in modopieno e coinvolgente.
La nostra esperienza ci dice che un auten-tico itinerario educativo, infatti, è sempreopera unitaria, realtà che tende all’unifica-zione profonda della persona e all’inte-grazione di tutte le sue dimensioni, invista di una realizzazione il più possibilecompleta ed equilibrata.
Cambiare in profondità il cuore dell’uomo,incidere sulla sua capacità di essere prota-gonista, di scegliere da sé l’orientamentofondamentale da dare alla propria vita,fare in modo che ciascuno sia capace di“guidare da sé la propria canoa”, senza esse-
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Scheda n. 3
VERSO UNA FEDE CHE SIA ESPERIENZA VISSUTA
a. Educare con l’essere,con la totalità della propria persona
La consuetudine con il metodo scout, coni valori che lo scautismo propone, con uncerto modo di proporre l’itinerario educa-tivo ci fa dire che non ci interessa un’edu-cazione di superficie, che non intacchi ilcuore profondo della persona. Abbiamocompreso sicuramente, grazie al nostroservizio educativo, che non sono sempli-cemente i comportamenti esteriori quelliche cambiano in profondità le persone.Non ci basta, soprattutto oggi, insegnaredei buoni comportamenti ai nostri ragaz-zi: sarebbe come fermarci ad una specie di“addestramento”, che rischia di rivelarsinoioso e inefficace.
Anche un’educazione che fosse solo unasterile acquisizione di contenuti intellet-tuali ci sembra proprio inadeguata. Non èil sapere molte cose che fa evolvere e cre-scere le persone, ma – come diceva ungrande maestro di spiritualità – il saperle“gustare interiormente”, l’essere capaci difarle diventare un punto di riferimentoper il nostro cammino. Ancora una volta cirendiamo conto che “l’istruzione” è impor-tante per il cammino formativo, ma nonpuò essere il cardine esclusivo della cre-scita personale, se non accompagnata daaltri elementi.
Inadeguata ci appare anche un’educazio-ne che sia esclusivamente una sollecita-zione delle emozioni e degli affetti, purpercependo che queste realtà – e mag-giormente oggi – sono parte integrante e
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re sbattuto dalle onde o “facendosi traspor-tare dal vento della fortuna o dalla correntedel caso”, maturando in sé i criteri per valuta-re e mettere in atto le proprie scelte… que-sta è la grande avventura dell’educazione,sfida sempre aperta, perché affidata allalibertà dell’uomo, continuamente espostaai compromessi e alle fragilità.
L’azione educativa, quindi, non può chepassare per l’essere della persona.L’esperienza concreta di contatto abitualecon i nostri ragazzi ci dice che essi silasciano accompagnare da persone chepercepiscono come vere, autentiche,significative. Perché si educa con quelche si è, molto più che con quel che si sa,si fa o si sente.
Ciò è valido ancor più per l’esperienzadi fede, che è realtà educabile, ma “suigeneris”. Sappiamo infatti che nessunopuò imporre la fede, che è atto essenzial-mente libero e liberante, ma che la fedepuò essere “consegnata”, come un tesoroaffidato alle mani dei nostri fratelli, perchéliberamente la accolgano come la realtàfondante per la propria vita. In fondo èstato così anche per il messaggio di Gesùe per la sua stessa vita. Gesù consegnacontinuamente l’annuncio del Regno, ilsuo messaggio di salvezza, il volto delPadre… e infine la sua stessa vita, sapen-do che tutto ciò è affidato alla libertà del-l’interlocutore, come il seminatore affidala semente al terreno, sperando che possaessere accogliente e fecondo, ma nonpotendo mai esserne certo fino in fondo,fino a quando quel seme non comincerà adare i primi frutti, spesso incerti e difficil-mente valutabili con occhio semplice-mente umano (cfr. la parabola del semina-tore e del grano che cresce insieme allazizzania - Mt 13,24-30).
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Siccome abbiamo a cuore un’esperienzadi fede che sia veramente connessa con lavita, che sia non tanto un “sapere su Dio”,quanto un “incontrare in Gesù Cristo il Diovivente”, ciò richiede che la fede facciaparte del nostro vissuto abituale, dell’oriz-zonte quotidiano della nostra vita, inmodo che possa trasparire dal nostromodo di pensare, dal nostro modo diintendere la vita, dal nostro linguaggioabituale, dalle nostre scelte di ogni gior-no. E’, questo, il primo e fondamentaleannuncio che possiamo mettere in attocon i nostri ragazzi: è la nostra vita, cheparla, che annuncia al di là del fatto chenoi possiamo esserne coscienti o meno.Se viviamo di fede, questo prima o poi tra-sparirà… e farà nascere degli interrogati-vi in chi ci incontra e anche nei nostriragazzi.
È, questa, la realtà che viene chiamata la“testimonianza cristiana”2, che non è daconfondere con una sciocca esibizione dise stessi o con il rischio di proporsi comeriferimento moralistico per i propri ragaz-zi. Il capo non è tout-court il modellomorale dei propri ragazzi, perché sappia-mo bene che l’unico maestro, l’unicomodello di vita autentica e realizzata èproprio Gesù di Nazareth, morto e risorto.Noi possiamo esserne un piccolo, pallidosegno e ci sforziamo, come diceva sanPaolo, di correre come gli atleti allo stadio,seguendo il nostro unico Signore (cfr.1Cor. 9, 19- 27). Essere testimoni, quindi,significa non tanto essere “così bravi e cosìbuoni” da diventare il punto di riferimen-to dei nostri ragazzi, ma aver maturato in
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2 Sul tema della testimonianza cristiana rimandia-mo anche al contributo predisposto dal Grupposulle Tracce, Decidersi per il Vangelo, pubblicatocome inserto di Proposta Educativa n. 6/2005.
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persona in difficoltà ci ha scavato dentro eci ha fatto riflettere.
Ebbene, il metodo scout ci dice che l’espe-rienza concreta è il grande “motore” del-l’educazione. Ma l’esperienza da sola,allo stato brado, non basta. È necessariopoterla rileggere, poterla condividere,poterne fare oggetto di discernimento,per cogliere dalla vita concreta gli inse-gnamenti che ce ne possono venire. Quipuò essere di grande aiuto la presenza alnostro fianco di qualche persona adulta,libera, autentica, che sia in grado di darcile categorie per decodificare le esperien-ze, per permetterci di rileggerle in modoprofondo e adeguato, in modo che il teso-ro che portano in sé non vada perduto, mapossa entrare a fare parte del nostrocuore, offrendogli nuovi stimoli e nuovisuggerimenti.
Allora i due grandi poli dell’educazionescout possiamo condensarli nell’idea diesperienza e nella relazione tra adulto eragazzo. Entrambe queste realtà, che si illu-minano e si compenetrano a vicenda, sononecessarie perché il soggetto possa elabo-rare da sé nuove sintesi di vita e pervenire anuovi traguardi per il proprio cammino. E inostri ragazzi, a distanza di anni, dimenti-cheranno magari tutte le parole che abbia-mo detto loro, ma conserveranno ben inci-se nel loro cuore le esperienze di condivi-sione, di fraternità, di accoglienza incondi-zionata che avremo saputo vivere con loroe che li avranno segnati in modo indelebile.È la relazione autentica, è l’amore autentico,in definitiva, ciò che fa cambiare le persone,perché le apre alla fiducia in se stessi, neglialtri, nella realtà e anche in Dio, di cui avran-no potuto intuire la grandezza dell’amore,nei piccoli segni della nostra attenzione edella nostra accoglienza.
noi una sufficiente consapevolezza delpunto in cui siamo, del nostro cammino difede, con le sue conquiste e con le suefatiche, avendo fatto verità in noi stessi eavendo scoperto la misericordia con cui ilSignore continuamente ci riveste e ciaccompagna. Questa è la vera testimo-nianza cristiana: non tanto l’esibizionedelle proprie presunte bravure o abilità,quanto l’annuncio – a partire dalla pro-pria esperienza personale – della miseri-cordia “che Dio ci ha usato”, (cfr. Mc. 5, 1-20)cioè della grandezza dell’amore di Dio neinostri confronti, che ci sostiene nel nostrocammino, che dà forza ai nostri passi e alnostro impegno, ma che non si ferma difronte alle nostre infedeltà e miserie. Èquesto il grande annuncio cristiano, il“testimone” della fede che, come nellacorsa a staffetta, ci è stato consegnato eche a nostra volta siamo invitati ad affida-re a quanti verranno dopo di noi, perché“abbiano la vita e l’abbiano in abbondan-za” (cfr. Gv. 10, 10).
b. Educare attraverso esperienze e relazioni significative
Un secondo elemento che emerge dallanostra esperienza educativa è che il verocambiamento nella persona, la vera cresci-ta si attua sempre attraverso delle espe-rienze. Sono le esperienze, vissute conautenticità, rilette e fatte nostre nelprofondo della persona, che rendonopossibile il cambiamento e l’evoluzionedel soggetto dell’educazione. Tuttiricordiamo quel campo scout in cui ce lasiamo cavata in qualche modo in mezzo altemporale, quella route in cui siamo arri-vati ad un confronto acceso e fecondo tradi noi, quell’esperienza di servizio in cuil’incontro con la sofferenza e con qualche
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Testi biblici per l’approfondimento
Lc 15, 1-32: Le tre grandi parabole dellamisericordia: La pecora perduta, la drammaperduta, il padre misericordioso.Lc 24,13-35: Discepoli di Emmaus1Cor 9, 19- 27: seguire il nostro unicoSignoreMc 5, 1-20: annunciare la misericordia di Dio
Domande per il confronto
1. Come percepiscono i miei ragazzi oggil’esperienza di fede? La sentono come unarealtà intrecciata con la vita quotidiana o
rischiano di rifiutarla perché la percepisco-no inutile e avulsa dal reale?
2. Come vivo in questo periodo l’esperien-za di fede? È per me criterio di riferimentofondamentale o uno dei tanti aspetti dellamia vita, senza grande significato?
3. Fare, sapere, sentire… Che cosa pensosia importante per crescere come uomo,come cristiano, come educatore, come caposcout? Mi sembra di aver compreso che èdecisivo “l’essere”, e di conseguenza l’educa-re più con ciò che “sono” che con ciò chefaccio, che so, che sento?
4. Come si caratterizzano le mie relazionieducative? Sono sufficientemente capacedi ascolto, di accoglienza, di attenzionepersonalizzata nei confronti dei ragazzi oli accosto distrattamente e in modo super-ficiale? In quali aspetti posso crescereancora?
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Scheda n. 4
NARRAZIONE ED ESPERIENZA DI FEDE3
a. Ognuno di noi ha una storia...
“Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cuisenso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un ‘racconto’ e chequesto racconto è noi stessi, la nostra identità. Ciascuno di noi è un’autobiografia, una storia.Per essere noi stessi dobbiamo avere noi stessi, possedere, se necessario ri-possedere la storiadel nostro vissuto. Dobbiamo ‘ripetere’ noi stessi, rievocare il dramma interiore” (O. Sachs)4.
Ognuno di noi ha un piccolo racconto della propria storia, una linea rossa che spiega edunisce le esperienze vissute, dando ad esse un senso e un valore. Sono le narrazioni dellanostra esistenza, sono le parole maestre che interpretano e chiariscono, che ci fanno com-prendere e ci aiutano ad indirizzare la nostra vita. Le narrazioni non sono semplici rac-conti di che cosa ci é accaduto, come talvolta ci accade nei bivacchi attorno al fuocoquando, con gli altri capi o con i ragazzi, raccontiamo di “quella volta che ...”, descrivendol’avventura vissuta e, spesso con più difficoltà, l’emozione vissuta.
Le narrazioni prendono spunto dalle avventure vissute, dalle emozioni provate, ma le rin-forzano, in qualche modo le potenziano, perché al racconto dell’avventura, il narratoreaggiunge il senso dell’esperienza che lui stesso ha scoperto quando si é trovato a viverel’avventura che sta raccontando. Insomma se il racconto é la descrizione dell’avventu-ra che abbiamo vissuto, la narrazione racconta piuttosto il senso dell’esperienza, narraquanto e come l’avventura vissuta sia divenuta importante per chi la narra.Domandiamoci allora come il meccanismo narrativo possa assumere un preciso significa-to nel contesto dell’esperienza di fede.
b. Una prima domanda: cosa c’entra Dio con la mia storia?
Parafrasando B.-P. si potrebbe dire che Dio non ha da “entrarci”, perché è già dentro!5 Comecristiani potremmo poi dire, con una felice sintesi, che la nostra fede è il racconto auten-tico della nostra vita6
3 Importanti riflessioni sul tema della catechesi narrativa sono state sviluppate da Riccardo Tonelli,attraverso vari scritti, tra cui La narrazione nella catechesi e nella pastorale giovanile, Elledici, 2002.4 Oliver Sachs è un professore di neurologia ed è famoso per le sue intuizioni sul mondo interiore deipazienti affetti da malattie neurologiche, esposte nelle sue numerose pubblicazioni e nel film “Risvegli”.5 In riferimento alla religione, durante un discorso ad una conferenza di Commissari scout/guide, 2luglio 1926. L’educazione non finisce mai, Nuova Fiordaliso, Roma 1997, p. 43.6 Si veda in proposito l’interessante articolo comparso sulla rivista Presbiteri, 42 n. 4/2008.
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Analizzando più da vicino questa frase, vediamo che essa richiama tre concetti diversi: i) lafede come racconto, cioè parole narrate; ii) l’autenticità di questo racconto, che dona signi-ficato; iii) il riferimento alla vita, come evento fondamentale da interpretare. Essi appaiono,a prima vista, indistintamente allineati, uno al fianco dell’altro, senza che se ne comprendaun preciso ordine, come mostrato qui sotto:
Sappiamo però che nell’ambito della vita come in quello della fede, parole, significati edeventi hanno un preciso legame. Da sempre la comunità cristiana ha proposto a coloroche volevano conoscere il Signore Gesù morto e risorto come il Salvatore e farne il riferi-mento per la propria vita, un itinerario fatto di passaggi cruciali, di momenti di sintesi delproprio vissuto, di situazioni in cui sperimentare l’azione di Dio nella propria vita e in cuiaccogliere e assumere per sé la volontà di seguire il Signore.
Nelle prime comunità cristiane si parlava di “traditio”, (da cui deriva il concetto cristiano di“tradizione”) quando si consegnava alla persona qualche esperienza fondamentale o qual-che contenuto di fede da accogliere e da vivere. Ad ogni momento di “traditio” corrispon-deva successivamente una “redditio” (= ritorno, restituzione), cioè l’invito fatto al credentea riesprimere, con parole e gesti che nascevano dalla sua esperienza personale, quanto lacomunità gli aveva consegnato. Come ci ricordano i vescovi italiani “nella comunità cristia-na, infatti, la testimonianza si fa racconto della speranza vissuta […] propone il dinamismo dimemoria, presenza e profezia, che attinge ogni giorno la speranza alla sorgente zampillantedel Risorto”7.
In altri termini, se noi possiamo dire che quel Gesù è “buona notizia” per noi oggi è perchéc’è stata una parola, custodita e riportataci dalla comunità dei credenti, che hasvelato/interpretato il senso di quella storia8. Ecco dunque che esiste una precisa connes-sione tra queste tre dimensioni:
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7 Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, Comitato preparatorio del IV Convegno EcclesialeNazionale, Verona 2006.8 I contenuti di seguito espressi sui “meccanismi” biblici di interpretazione degli eventi sono stati svi-luppati sulla base di varie relazioni tenute da p. Stefano Bittasi s.j., biblista, che ha collaborato per moltianni con i Campi Bibbia Agesci.
La mia fede: il racconto autentico della mia vita
Parole Significato Eventi
➡ ➡ ➡
Eventi Parole
Significato
✚➡
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Questo rapporto, questa stretta connessione, ci suggerisce alcune riflessioni:
– l’evento, da solo, non “dice” (come dice l’apostolo Paolo: la croce è scandalo/stoltezza perchi non ha accolto il messaggio di Gesù – cfr. 1 Cor 1,23), è fondamentalmente inespres-sivo;
– la parola, da sola, non illumina (ancora l’apostolo Paolo…“anche se parlassi le lingue degliuomini e degli angeli…” 1Cor 13,1), senza un’esperienza da interpretare ogni parola èvuota;
– l’insieme - evento+parola - dà senso a quella storia, cioè è capace di ricondurla adunità, facendone storia di salvezza. Dunque parole ed eventi intimamente legati, peroffrire all’uomo un significato di fede9.
Tutta la storia della salvezza è una grande narrazione dell’opera di Dio e dell’espe-rienza umana. Questa è presentata e narrata nella Bibbia in tutta la sua pienezza e nellesue mille sfaccettature:
[amore e odio] – [gioia e dolore] – [fiducia e disperazione] – [amicizia e inimicizia]
Proviamo solo per un momento a pensare quante storie bibliche conosciamo (e non soloquelle… ma anche dei nostri santi e di tanti “fratelli maggiori” nella fede) che richiamanoi binomi sopra enunciati. Qualche esempio?
– Il popolo d’Israele liberato dalla schiavitù dell’Egitto
– Rut, la straniera accolta
– i “segni” compiuti da Gesù come primizia del regno di Dio
– i discepoli sulla via di Emmaus
– la conversione di Paolo sulla via di Damasco
– Francesco davanti al crocifisso di S. Damiano…
– …
La narrazione è la modalità tipica di trasmissione della fede che ci mostra il mondobiblico:
– La Bibbia ha un modo tutto particolare di narrare le storie… un miscuglio inestricabilee affascinante di parole di uomini su Dio e di pensieri di Dio sugli uomini, compresi edinterpretati, di storie raccontate di padre in figlio delle meraviglie fatte da Dio per l’uo-mo… “Una generazione narra all’altra le tue opere, annunzia le tue meraviglie” (Sal 145,4).Si afferma, correttamente, che“i Vangeli e le testimonianze apostoliche non sono mai il
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9 Per un approfondimento di queste tematiche sarebbe interessante leggere il documento del ConcilioVaticano II dal titolo “Dei Verbum”, che spiega proprio il valore e l’importanza della Parola di Dio per lavita cristiana.
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resoconto materiale degli avvenimenti della vita di Gesù di Nazareth, di cui i discepoli sonostati testimoni. Essi sono invece un documento di fede e di amore”10.
– La narrazione del vissuto si fa interpretazione delle esperienze, attraverso una Parolache “svela” il senso della storia, personale e collettiva. È quello che chiamiamo espe-rienza di fede! L’esperienza di fede non è allora – o almeno non è solamente – unincontro estatico, un’apparizione, una trasformazione miracolosa. Essa si manifesta inve-ce nella nostra esistenza, quando riusciamo a rileggerne la trama – in un’ottica di fede –riconoscendo la presenza di Dio. È l’esperienza che – per mezzo del manifestarsi diCristo nella nostra storia – riconduce la nostra esistenza all’unità (che è il senso pro-prio del termine salvezza), cioè le dona senso.
c. Una seconda domanda: cosa c’entra la narrazione con lo scautismo? Come c’entra con la catechesi fatta con il metodo scout?
Lo scautismo è un metodo educativo che, attraverso la costruzione di un contesto (che nelnostro linguaggio chiamiamo ambiente educativo) ed attraverso esperienze tipiche, invita aricercare significati validi per la propria esistenza (divenire buoni cittadini e buoni cristiani).
Esso dunque:
– propone una precisa struttura metodologica in relazione alle sue finalità:
– propone una dinamica pedagogica che conduce, attraverso l’utilizzo di riti e simboli, a“dare un nome” alle esperienze:
10 Riccardo Tonelli, La narrazione nella catechesi e nella pastorale giovanile, Elledici, 2002.11 La dinamica “esperienza – simbolo – concetto” e le sue modalità applicative, anche nell’ambito dellacatechesi, è bene illustrata nel capitolo 3.2 del Sentiero fede, Nuova Fiordaliso, 1997.
Costruzione di un contesto Attraverso esperienze tipiche Ricercare significati
Ambiente educativo Gioco, Avventura, Strada Valori per la propria vita
➡ ➡ ➡
Esperienza
Simbolo
Ricercare significati Concetto
Validi per la propria VITA Dare un nome alle esperienze
Struttura del metodo Dinamicapedagogica11
➡ ➡
➡
➡
Costruzione di un contesto
Attraverso esperienze tipiche
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Lo scautismo, allora, ci appare come un’opportunità straordinaria, in ordine all’espe-rienza di fede, proprio perché è un grande gioco in cui si condividono con i ragazzi leesperienze forti, ma anche le esperienze più semplici della vita e dove si apprende un“codice” comune, che poi consente di interpretare anche la fede, oltre che la propriavita.
Apprendere un codice comune, dare un nome alle esperienze, interpretare… sono tuttedeclinazioni di quella dinamica più grande che abbiamo descritto in precedenza con ilnome di narrazione! Nello scautismo dunque ci sono le condizioni essenziali affinché lanarrazione possa divenire a poco a poco un dialogo e costruire sempre più un ambien-te educativo dove poter vivere, crescere ed accogliere il dono della fede.
Tante sono le situazioni in cui i nostri ragazzi sono chiamati a fare questo: il gioco, l’impre-sa o la strada, che chiedono coinvolgimento personale; il racconto, che chiede di immede-simarsi e rielaborare; l’esperienza comunitaria, che chiede lo sforzo di comprendere glialtri e offre la gioia delle cose fatte assieme… Tutte queste dinamiche sono valideanche per l’esperienza di fede, da giocare, raccontare, vivere assieme…
d. Una terza domanda: quali sono le caratteristiche di una catechesi narrativa?
LA DINAMICA NARRATIVA
■ In una catechesi (annuncio) che voglia utilizzare la dinamica narrativa si intreccianosempre tre storie:– quella di Dio: Dio che si fa vicino, che condivide la vita dell’umanità. Ciò si può coglie-
re in pienezza nell’incarnazione del Figlio;– quella del narratore: pienamente coinvolto perché quello che ha vissuto, ora lo con-
divide raccontandolo;– quella di chi accoglie il racconto: le sue attese, le sue speranze, la libertà di lasciarsi
coinvolgere, di sentire che quanto viene narrato riguarda direttamente la sua espe-rienza e la sua vita.
■ Tessendo assieme queste storie, sarà possibile seguire una traccia, scoprire un senso,dare un nome alle cose ed agli eventi della vita e riconoscere Dio nella nostra esistenza.
LO STILE NARRATIVO
Fare catechesi con lo stile narrativo ci chiede alcuni atteggiamenti fondamentali che fannoparte dell’annuncio cristiano. Siamo invitati a:
■ Assicurare ospitalità, accogliendo l’altro nel racconto stesso e offrendo una reale con-divisione di esperienze.
■ Scatenare stupore perché la storia si conclude imprevedibilmente bene e perché nell’at-to stesso del narrare si producono nel piccolo le cose meravigliose che vengono promesse.
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■ Sollecitare alla decisione: la storia chiede il coraggio di riorientare la propria vita e nonsolo l’acquisizione di nuove informazioni.
Testi biblici per l’approfondimento
Lc 24,13-35: Discepoli di EmmausAt 8,27-40: L’incontro tra Filippo e l’eunucoGv 4,1-42: Gesù e la samaritana (su questo testo è stata sviluppata la scheda esemplifi-cativa allegata)
Domande per il confronto
1. Viviamo l’annuncio di fede come una storia che coinvolge tutti: capi e ragazzi? Orischiamo di proporre dei contenuti asettici, che non possono produrre frutto?
2. La proposta di esperienza di fede è unanarrazione che si intreccia con la vita?Quali attenzioni poniamo nell’aiutare iragazzi a maturare progressivi livelli di abi-lità nella comprensione delle esperienze?
3. Quali spazi offriamo ai ragazzi per unainteriorizzazione delle esperienze vissute?Quali strumenti metodologici abbiamo adisposizione?
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ta e unitaria, che prepara il terreno della spi-ritualità non già perché simula la vita, maperché si identifica con essa.
Il segreto è dunque quello di costruire e vive-re esperienze che richiamino delle realtàprofonde concretamente identificabili, espe-rienze appunto che evochino/richiamino.Così parlare di spiritualità scout significa sot-tolineare che lo scautismo non è soltantouna buona tecnica o una sana esperienza disport, ma è un modo di concepire la vitasecondo gli ideali evangelici, proposti secon-do la metodologia educativa di B.-P.
Come fare allora una catechesi che abbia lostile della comunicazione narrativa?Proviamo a dare di seguito alcuni suggeri-menti:
■ Conoscere e usare le storie dellaBibbia - La Bibbia è la grande bibliotecadella storia dell’uomo e della sua ricercadi Dio; usare i racconti ed il linguaggiobiblico significa proporre ai ragazzi (eprima ancora a noi capi…) di entrare inconfidenza con queste storie, di familia-rizzare con esse e di apprezzare i loro“meccanismi” ed il loro “filo” narrativo.Non si tratta di diventare tutti espertibiblisti! Piuttosto di avere la Bibbia nellanostra “cassetta degli attrezzi”, nelnostro zaino, di scorrerla e di utilizzarlain staff e con i ragazzi facendola divenireper ognuno segno dell’amicizia di Dioper i suoi figli.
■ Provare a fare interagire i ragazzi conuna storia biblica/evangelica – solocosì la Parola raccontata, vissuta, giocatacon gli altri ragazzi nel grande gioco
Scheda n. 5
ESPERIENZA SCOUT E CATECHESI NARRATIVA
Abbiamo visto, nella scheda precedente, lesituazioni che debbono esistere e di cui loscautismo è ricco, affinché possano attivarsii meccanismi narrativi descritti. Ciò che affa-scina i ragazzi, ma anche noi adulti (!), èquella testimonianza di vita diretta conse-guenza dell’aver, per primi, conosciuto edaver fatto esperienza di Gesù Cristo vivo!L’incontro con Lui non lascia indifferenti, maè contagioso, perché se è autentico, la gioiaè così grande che non posso tenerla perme, ma mi scoppia dentro.
Ma allora, per fare una catechesi che abbiale caratteristiche della narrazione, dobbia-mo inventare nuovi strumenti metodologi-ci? No, decisamente! Si tratta, invece, diusare il Grande Gioco riscoprendolo neisuoi strumenti da valorizzare con quellapassione educativa che ogni buon capocoltiva per il metodo scout.
La narrazione ha a che fare con la specificamodalità scout di entrare nelle esperienze(quella… evocativa) e anche in quella difede, di proporla, di insegnare ai ragazzi lacapacità di saper leggere ed interpretarele proprie esperienze, di trovare chiavi dilettura dell’esperienza personale, che habisogno di essere accompagnata dal met-tersi in ascolto della Parola di Dio, che solapuò darle il senso più vero.
Fondamentale, dunque, è l’autenticitàdelle esperienze vissute e della personaall’interno della relazione. Solo così lo scau-tismo può diventare una vera esperienza dispiritualità; non un racconto edulcorato del-l’esistenza, ma un’esperienza attiva, concre-
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dello scautismo può, trasformata dall’in-terpretazione e dalla trasmissione perso-nale, divenire fonte di ispirazione perogni ragazzo. La giusta interazione ditutti gli strumenti metodologici e delleesperienze scout può aiutarci a realizzarequesta modalità di annuncio. Interagirecon una storia biblica significa entrarenel campo della “condivisione delleesperienze”, come abbiamo dettoprima: quella del narratore (i capi/lo staffche guidano l’attività), quella espressadal racconto biblico (un’esperienza chediventa racconto di speranza) e quelladei ragazzi (che ascoltano, condividono,interagiscono).
■ Sfruttare la dinamica esperienza – sim-bolo (racconto) – concetto – è l’espe-rienza tipica dello scautismo, quella del“gesto interrotto”12 che invita il ragazzo aproseguire la ricerca di senso dentro disé, a chiudere il cerchio che parte dal-l’esperienza, attraversa l’interpretazionee giunge alla sintesi. Per il ragazzo, farestrada, vivere la natura e l’avventura,essere comunità non sono solo “attivi-tà” da svolgere ma spazi da vivere e neiquali spendersi per un proprio cammi-no personale di ricerca. È per noi un “lin-guaggio” (nel senso più ampio del termi-ne, comprendente cioè non solo le paro-le, ma anche i simboli e le esperienze)adatto al ragazzo, valido cioè per lacomunicazione tra educatore e soggettodell’itinerario educativo13. La dimensio-
ne linguistica della catechesi trovanello scoutismo un’attenzione sponta-nea, col risultato di una felice analogia trail linguaggio scout – fatto di riferimenti alvissuto – e il linguaggio biblico, intessutodi esperienze concrete, simboli, parolecariche di risonanze esistenziali.
■ Avere attenzione alle dinamiche chepermettono una rielaborazione narra-tiva - essere accolti, ascoltare un raccon-to, reagire alle provocazioni del racconto,cercare assieme un significato. Perchéquesto sia possibile occorre che l’espe-rienza di vita comunitaria sia progettatain modo che i ragazzi sperimentino vera-mente l’accoglienza, l’ascolto, la solidarie-tà e che la comunità non sia un “sempli-ce” stare insieme, ma sia uno “spazio”dove ognuno si giochi e sia consapevoledi ciò che accade e di chi gli sta a fianco.In questo contesto parola, testo ecomunità formano un’unità profonda,si appartengono reciprocamente: iltesto, letto e ascoltato, ridiventa Parola,la quale genera identità e comunità14.Attivare una rielaborazione narrativasignifica anche dare spazi di riflessione erisonanza ai ragazzi affinché possanonon solo partecipare alle esperienze pro-poste ma anche viverle, trovando in essemotivo di auto-comprensione. Occorre,quindi, non solo proporre, attraverso leattività scout delle esperienze significati-ve, ma occorre che il capo preveda deimomenti in cui le esperienza siano rilettedai ragazzi, utilizzando gli strumenti pro-porzionati all’età (tipici delle branche)che consentano al ragazzo di riflettere suciò che ha vissuto e decidere/compren-
14 Cfr S. Pinna, La comunità tessuto della Parola, inProposta Educativa, 2001, n. 26, pp. 27-28.
12 Espressione utilizzata per chiarire l’importanzadi un’educazione capace di attendere dall’altro ilcompletamento di una nostra azione (Cfr. F.Colombo, A. D’Aloia,V. Pranzini, Dagli 8 agli 11: unavita da bambino, Ed. Borla, 1990, pag. 60).13 Cfr E. Ripamonti, Lo Scoutismo, Editrice Ancora,Milano 1989, p. 84.
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dere se quanto accaduto é significativoper la sua vita.
Una sintesi di come interagiscono la dina-
mica educativa, il tipico approccio scout e ladinamica narrativa è riportato nello schemadel box che segue.
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Testi biblici per l’approfondimento
Può essere utile riandare ai racconti evangeli-ci degli incontri di Gesù con le varie personeche ha modo di conoscere (come ad esempioil cieco Bartimeo, la samaritana, la peccatrice,Matteo il pubblicano, Zaccheo…). Essi cioffrono la possibilità di riflettere sulle modali-tà messe in atto da Gesù per consentire aisuoi interlocutori di rileggere la propria storia
personale come storia di salvezza, per poipoter riprendere il cammino con un’identitànuova, a partire dall’incontro con lui.
Domande per il confronto
1. A che punto sono nel mio cammino diconoscenza biblica e di “confidenza” con laBibbia? Riesco a farne – almeno un po’ – il cri-terio di riferimento per interpretare la mia vita?
2. Quali sono le occasioni che posso sfrutta-re nell’itinerario educativo proposto ai ragaz-zi perché le dinamiche bibliche possanoessere da loro conosciute e sperimentate?
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mino abituale di formazione perma-nente. Non basta aver vissuto qualchemomento formativo in modo episodico osuperficiale. È necessario che l’atteggia-mento della cura della propria formazionepersonale sia una realtà scelta da ciascunocome un tratto specifico della propria per-sona. È un grande segno di maturità quel-lo di sentirsi sempre in cammino e di ricer-care momenti ed occasioni specifiche perla propria formazione, in modo da mante-nersi attenti alla propria crescita e agliappelli che continuamente ci vengonodalle varie situazioni e stagioni della vita.In questo la comunità capi è un grandeaiuto, perché è chiamata proprio a svolge-re questa funzione di stimolo alla crescitapersonale di ciascuno;
– la cura della propria formazione perma-nente può avvenire solo in un contestocomunitario caratterizzato dalla capacitàdi ascoltare se stessi e gli altri e di intera-gire in modo profondo e proficuo. Non sipuò essere persone in cammino di crescitapermanente senza scegliere di accompa-gnarsi ad altri fratelli e sorelle che possanoaiutarci a guardare alla nostra persona e allanostra vita in modo il più possibile oggetti-vo, con un servizio di dialogo, di ascoltoreciproco, di confronto che diventa prezio-sissimo per il nostro cammino;
– un’attitudine molto importante e forseancora poco sviluppata nel nostro vissutoconcreto di capi è data dalla progressivacapacità di rileggere la propria vita allaluce della Parola di Dio. La familiarità conl’Antico e il Nuovo Testamento dovrebbeaiutarci un po’ alla volta a riconoscere nellevicende bibliche i tratti e le caratteristiche
Scheda n. 6
GLI ATTEGGIAMENTI FONDAMENTALI DEL CAPO
PER POTER EDUCARE ALLA FEDE
La prima e principale risorsa per ogni pro-posta educativa e anche per l’educazionealla fede è proprio la persona dell’educa-tore, di colui che annuncia e propone lafede cristiana.
Sembra banale, ma non lo è. L’annuncio difede non è mai qualcosa di astratto o teorico,ma passa per la concretezza dell’incontrocon persone e comunità, che con il loromodo di essere e di fare ci dicono quantoimportante è per loro la relazione vitale conil Signore Gesù. È il segreto di ogni annunciodi fede, che a volte trova un ostacolo proprionella contro-testimonianza di persone o dicomunità che non riescono a far trasparire labellezza del volto del Signore.A ciò sono par-ticolarmente sensibili i ragazzi e i giovani ingenere. Se incontrano persone credibili, laloro adesione alla fede è sincera ed entusia-sta. Se invece accostano persone che con leloro parole o i loro comportamenti non rie-scono a presentare la vita cristiana comeun’esperienza di gioia e di salvezza, difficil-mente accetteranno un cammino di crescitaa questo riguardo. È normale che sia così… equesto ci responsabilizza notevolmente sevogliamo proporci come educatori.
Proviamo allora a ripercorrere alcuni atteg-giamenti fondamentali che sono necessa-ri per un corretto annuncio della fede cri-stiana, ma che in fondo sono indispensabilianche se vogliamo proporci seriamentecome educatori:
– un primo atteggiamento indispensabi-le è quello di aver scelto per sé un cam-
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l’unica roccia su cui si poteva fare affida-mento. È un’esperienza da fare come popo-lo, ma da interiorizzare anche come singolepersone, perché nel comprendere che “nonsono migliore dei miei padri” (cfr. 1Re 19, 4)non c’è delusione o scoraggiamento, ma lascoperta di una relazione fondamentaleche dà forza e sostegno al cammino. Dio ècolui che nel tempo mi è rimasto fedele, hamantenuto fede al suo patto… anchequando io mi sono stancato di camminare,anche quando non ho saputo corrisponde-re pienamente al suo amore. Saper coglierequesti passaggi nella propria vita, averimparato a dare un nome alle esperienze disalvezza con cui Dio si affaccia alla nostrastoria personale è davvero importante per-ché il nostro annuncio di fede non sia bana-le o teorico, ma parta dalla vita concreta epossa fare di noi degli strumenti docili edefficaci, che non annunciano se stessi, ma lamisericordia del Padre che si è fatta carne inGesù;
– per essere annunciatori della fede cri-stiana è importante anche non rinunciarepreviamente alla necessità di proporsicome educatori ed educatori alla fede.Spesso la paura di non essere all’altezza ciimpedisce di fare una proposta esplicita difede. Invece è importante aver presenteche tutta l’esperienza cristiana è esperien-za di libertà. L’annuncio è rivolto a personelibere, che potranno poi accogliere o menoquanto è stato offerto loro. Ma è importan-te che si proponga loro un cammino possi-bile, senza rinunciare a questa possibilità.Oggi, nel nome di una malintesa libertà, ilrischio è quello di lasciare i ragazzi nelvuoto educativo, nella mancanza di propo-ste. È – di fatto – un atteggiamento rinun-ciatario, che non promuove la loro libertàdi scelta. Ma è un problema di noi educato-ri, non dei ragazzi;
che sono presenti anche nella nostra storiapersonale e comunitaria. Ritrovare nellaBibbia il vissuto della nostra quotidianità,gli stessi sentimenti, desideri, contraddi-zioni, fragilità… che animano la nostra vitadi ogni giorno dovrebbe progressivamen-te abilitare in noi la capacità di trovare unsenso al vissuto quotidiano, comprenden-do anche alla luce della fede cristiana leesperienze che viviamo. Profondità divita e capacità di ascolto della Parolasono il grande segreto del cristiano: Dioparla alla nostra vita e la vita acquista spes-sore, sapore nuovo alla luce della Parola. Levarie esperienze, le gioie che incontriamolungo il cammino, ma anche le vicende piùfaticose da accogliere e da integrare, pos-sono trovare un significato a partire dal-l’incontro con Dio e con il suo messaggiodi salvezza. La fede che ne nasce è quindimisurata sull’ascolto della Parola di Dio,concreta, non magica o devozionistica, maattenta all’ascolto di quel Dio che ha scel-to di prendersi cura dell’uomo, di farsiaccanto alla sua vita, perché l’uomo possaesserne il protagonista in una logica diascolto e di obbedienza ad un progetto disalvezza;
– chi impara ad ascoltare la Parola e lavita… un po’ alla volta diventa anche capa-ce di raccontare. E questo non pensando diessere il protagonista assoluto della propriaesperienza o l’esempio da proporre aglialtri come modello! Anzi, l’ascolto correttodella Parola e del proprio vissuto alla lucedella fede, porta ad uno sguardo semprepiù sereno su di sé e sulla propria vicendaumana e alla percezione sempre più vissutadel fatto che Dio rimane fedele, anche tra lenostre infedeltà. È questa la grande espe-rienza del popolo di Israele, che aveva com-preso, tra i mille tentennamenti del propriocammino, che la fedeltà di Dio era davvero
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contro con il Signore Gesù che chiama, cheama, che perdona, che salva;– non dobbiamo confondere questecaratteristiche dell’educatore alla fede conuna sorta di “coerenza esasperata” che avolte sembra gli venga richiesta. È impor-tante, invece, che egli sia riuscito ad inte-grare nel suo cammino anche l’espe-rienza di fragilità e di limite che caratte-rizza ciascuno di noi. Il Signore non ci chie-de di essere “senza peccato”… ma ci invitapiuttosto a consegnare a lui ogni esperien-za di fragilità e di limite che ci caratterizza.Educare alla fede, infatti, non è opera diquanti presumono di essere “perfetti”, madi quanti si sentono in cammino, continua-mente amati e salvati dal Signore, capaci diriprendere con impegno la propria stradadopo ogni difficoltà incontrata e di daresenso anche alla propria fragilità nell’in-contro con la paternità di Dio. Il Dio dellamisericordia e della carità potrà diveniredavvero il cuore dell’annuncio, quanto piùsarà non tanto una bella teoria, ma unarelazione vitale e un’esperienza di sal-vezza effettivamente vissuta e accoltacome un dono straordinario, da gridare atutti come la “buona notizia” che non sipuò nascondere, come non si nasconde lalampada sotto il letto o la città posta sopraun monte. (cfr. Mt. 5, 14-16; Mc. 4, 21-23).
Testi biblici per l’approfondimento
Mt 5, 14-16Mc 4, 21-23Mt 6, 1-16
– un vero educatore è colui che riesceanche a far trasparire con naturalezza esemplicità la gioia che lo anima. Questo èun grande segreto di ogni azione educati-va: se dentro di noi c’è profondità, c’è uncuore che ama e vive l’esperienza della fedein prima persona, questo si potrà percepireanche all’esterno e apparirà in modo spon-taneo alle persone che incontreremo. È unadelle caratteristiche più importanti di uneducatore, che sa bene che ogni passaggiodi crescita nei ragazzi non avviene mai percostrizione, ma per libera adesione adun’idea, ad un messaggio, ad una relazionevitale… (nel caso della fede cristiana è l’ac-coglienza dell’amore di Dio per noi, che si èmanifestato in Gesù di Nazareth) e ciò puòessere suscitato solo da personalità il piùpossibile libere, gioiose, capaci di relazionifraterne e autentiche;
– si colloca qui anche il valore e l’importan-za di un’autentica vita sacramentale.L’esperienza dei sacramenti (in particolaredella riconciliazione e dell’eucaristia) è fon-damentale per la vita cristiana. Essi costi-tuiscono l’esperienza celebrata e conti-nuamente rinnovata di quell’Amore che ciha chiamato all’esistenza, che ci mantienein vita, ci ridona forza e ci dà la capacità diriprenderci dopo ogni momento di smarri-mento. L’ascolto della Parola e l’accoglienzadell’annuncio cristiano si misurano nellaloro autenticità proprio dal fatto di diventa-re poi vita vissuta nell’amore verso i fra-telli e vita celebrata nell’incontro fedelecon Dio. Quanto più riusciremo a crescerenell’ascolto della Parola e nella docilitàevangelica, tanto più la dimensione cele-brativa diverrà autentica, ricca di frutti per ilnostro cammino, capace di darci forza esperanza. Celebrare la fede, per il cristiano,infatti, non significa compiere gesti vuoti oappariscenti, ma rivivere in profondità l’in-
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Domande per il confronto
1. Quali sono gli atteggiamenti dell’educa-tore alla fede che sento sufficientementepresenti in me e nel mio cammino attuale?
2. Quali sono invece gli aspetti su cui sentoche dovrei camminare ulteriormente?
3. Quali obiettivi di crescita posso darmi equali strumenti posso mettere in campoper compiere un ulteriore passo nel miocammino?
4. Come possiamo aiutarci reciprocamenteper crescere negli atteggiamenti e nellecaratteristiche dell’educatore alla fede?
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Nell’uso comune i termini storia, racconto e narrazione sono spesso usati in modoindifferente, mentre in realtà ci sono delle differenze. Si può parlare di storia quandoci s’imbatte in avvenimenti: le storie sono degli eventi, dei fatti – reali o fittizi – chedivengono oggetto di discorso. Il racconto è, invece, l’insieme degli avvenimenti, laconcatenazione di fatti. Infine, la narrazione è definibile come la relazione fra il sogget-to che narra la storia e il suo pubblico: è l’atto del narrare e presuppone l’esistenza diun interlocutore. Il rapporto umano, infatti, si basa sulla narrazione e il raccontare lapropria storia di vita costituisce un desiderio di affermazione della propria unicità, delproprio volto, della propria storia.
In questo senso la narrazione rappresenta, rispetto alle storie e al racconto, un cambia-mento di prospettiva perché prevede che chi narra racconti se stesso attraverso il rac-conto, le immagini, o anche il movimento del corpo. L’ascolto delle storie di vita (l’in-sieme cioè degli eventi) di una persona o il narrare la propria storia ci consente di deci-frare, di scoprire varie dimensioni.
Ci permette di capire chi siamo, chi siamo stati e chi probabilmente saremo. Quandoraccontiamo una storia, noi non ci occupiamo soltanto di far conoscere qual è stato ilnostro passato, felice o infelice, ma, in questa narrazione, possiamo tentare di mostra-re a chi ci ascolta quali potenzialità e possibilità ci sono nella nostra storia. In secondoluogo, la narrazione di se è una rappresentazione del mondo interno ed esterno. È unafinestra sulla nostra interiorità e sul significato che noi diamo alla realtà che viviamo.
Se la narrazione è importante per tutti, lo è particolarmente per i ragazzi che spesso sitrovano a vivere delle crisi interpretative. La crisi interpretativa avviene, quando non siriescono più a interpretare gli eventi e le persone; accade nei momenti difficili dellavita, ma accade anche, in un modo meno invasivo, quando qualcuno ci chiede unparere e noi non abbiamo un’opinione. In questa situazione, il compito dell’educatorenon è dare un’identità al ragazzo ma aiutarlo, attraverso la narrazione a interpretare, atornare a interpretare la propria realtà.
E qui la narrazione viene in aiuto perché noi uomini siamo naturalmente attratti dallestorie. Si pensi, per esempio, al fatto che la sera, dopo una noiosa giornata di lavoro, lamaggior parte delle persone si abbandona sulla poltrona, davanti alla televisione, persentire, per vedere storie altrui. Oppure quando leggendo un libro, ci facciamo coin-volgere dalla trama, sia dagli avvenimenti del libro sia dalle emozioni che lo stesso ciprovoca. In fondo la vita umana è contraddistinta dai significati dal senso che noidiamo gli avvenimenti, più che dagli eventi medesimi.
La narrazione gioca, quindi un ruolo centrale nel processo con cui ogni persona dàsignificato agli eventi: costituisce il fondamento della percezione degli altri, di se stes-
Scheda di approfondimento: la narrazione
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si, del mondo esterno, consente di dare voce contemporaneamente alla ragione,all’immaginazione e all’emozione e dunque di non scindere aspetti della propria vitala cui unità e fecondazione reciproca sono fondamentali.
Il pensiero narrativo é quella forma di pensiero, comune a tutti gli esseri umani, checonsente di organizzare, interpretare e utilizzare la propria esperienza in termini disuccessione di eventi ordinati nel tempo e orientati verso uno scopo. Attraverso lanarrazione, quindi, la persona avvia un processo cognitivo che consente a ognunodi mettere ordine nel mondo della propria esperienza, (componendo la realtà in unsusseguirsi di avvenimenti distribuiti nel tempo attribuendo loro un ordine, dei rap-porti, una prima e un dopo, dei collegamenti) e trovando le motivazioni che spingo-no l’uomo ad agire.
Questo processo si realizza sia se sono io il soggetto narrante, sia se invece ascoltouna narrazione, basti pensare all’operazione di “riempimento” che viene fatta quan-do, mediante l’immaginazione, collochiamo dati mancanti in una storia ascoltata.
Narrare significa porre attenzione alla realtà, avere uno sguardo particolare che cercadi andare in fondo alle cose, al loro significato profondo, cercandone l’essenza e l’es-senzialità, nel senso dell’interpretazione (quali sono gli eventi fondamentali che rico-struiscono ciò che è accaduto?) e nel senso della comprensione (che cosa è davveroimportante? dove riposa il senso di questa mia esperienza?). La narrazione si distinguedagli altri modelli comunicativi perché prevale un modello linguistico di tipo evocati-vo e performativo, in altre parole capace di suscitare immagini ed emozioni nell’inter-locutore ed è impegno a far emergere significati nuovi nel presente attraverso l’azio-ne del narrare.
Glossario minimo del narratore
● Storia: riguarda gli avvenimenti, non importa se reali o inventati, che sono la mate-ria, l’oggetto di un certo discorso;● Racconto: il discorso che serve a dar conto della storia, in questo senso qualsiasidiscorso orale, scritto, per immagini, ecc.;● Narrazione: l’atto attraverso il quale si racconta e dunque implica la relazione trachi sta raccontando ed il pubblico, reale, virtuale, immaginario che sia.
Bibliografia minimaS.Giusti – F. Batini – G. Del Sarto, Narrazione e invenzione, Erickson, 2007R. Tonelli – L.A. Gallo – M. Pollo, Narrare per aiutare a vivere, Editrice Elle Di Ci, 1991
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08/2009 43
INS. riv. Scaut n. ?-2009 (NUOVO) 23-12-2009 16:56 Pagina 43
narrare l’esperienza di fede
44 PROPOSTA EDUCATIVA
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INS. riv. Scaut n. ?-2009 (NUOVO) 23-12-2009 16:56 Pagina 45
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narrare l’esperienza di fede
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