Princìpi di Virologia
Parte generale: Cenni storici,
Struttura, Composizione chimica,
Classificazione, Ciclo replicativo,
Azione patogena, Difese
Antivirali, Terapia Antivirale
Giovanni Di Bonaventura, B.Sc., PhDCentro Scienze Invecchiamento (Ce.S.I.)
Università “G. d’Annunzio” – Chieti
fisso 0871 541519 mobile 333 1696559
Cos’è un virus
Dal latino, virus = veleno
Parassiti endocellulari obbligati (debbono utilizzare i sistemi metabolici e bioenergetici di un ospite vivente per replicarsi e produrre nuova progenie virale) rappresentati da organizzazioni biologiche di livello sub-cellulare
Caratteristiche “viventi”– si riproducono rapidamente nella cellula ospite
– possono mutare
Caratteristiche “non viventi”– sono acellulari … assenza di organuli cellulari
– metabolicamente inerti in ambiente extracellulare
Origine dei virus
Almeno tre sono le teorie comunemente formulate per
spiegare l’origine dei virus:
1. degenerazione parassitaria di organismi cellulari che
avrebbero perduto quasi tutte le loro strutture in quanto
sfruttavano quelle della cellula ospite;
2. adattamento evolutivo all’ambiente cellulare di forme
primitive di vita derivanti da polimeri autocatalitici;
3. un'ipotesi più recente sostiene che i virus deriverebbero da
porzioni di genoma degli ospiti che si sono rese
indipendenti (similmente a trasposoni, viroidi)
Virologia “antica”Cenni storici
Le popolazioni antiche, sebbene non consapevoli della
natura e degli effetti dell’infezione virale, hanno talvolta
contribuito alla ricerca inerente la prevenzione e le
cause delle malattie virali.
Il primo caso documentato di infezione virale è quello
raffigurato nel santuario dedicato alla divinità semitica
Astarte (dea fenicia guerriera e vendicatrice) sito a
Menfi, capitale dell’Antico Egitto (sul delta del Nilo a
sud del Cairo), datato approssimativamente 3700 AC,
su di una stele raffigurante il sacerdote Ruma con i
tipici segni di una paralisi poliomelitica.
Il Faraone Siptah regnò in Egitto dal 1200 al 1193 AC
quando morì all’età di 20 anni. Il suo corpo mummificato,
all’interno della tomba nella Valle dei Re, mostra come la
sua gamba sinistra abbia aspetto “asciutto” ed il suo
piede rigidamente esteso a forma di zoccolo di cavallo,
classico segno di poliomelite paralitica.
Inoltre, il Faraone Ramses V, morto nel 1196 AC
probabilmente a causa del vaiolo, come suggerito dalla
presenza di lesioni pustolari presenti sul viso.
Virologia “antica”Cenni storici
Il vaiolo era endemico (circoscritto) in Cina dal 1000 AC. Per questo venne praticata la
vaiolizzazione (da Variola = virus di vaiolo). Scoprendo che i sopravvissuti all’epidemia di
vaiolo erano protetti da successive esposizioni, la vaiolizzazione consisteva nell’inalazione
di croste essiccate da lesioni pustolari.
Sul finire del ‘700, Jenner, partendo dall’osservazione dell’assenza di vaiolo in soggetti che
avevano superato un’affezione pustolosa benigna contratta dai bovini, pensò di utilizzare
l’inoculazione sperimentale della malattia del bovino per proteggere l’uomo contro il vaiolo.
Il 14 Maggio 1796, Edward Jenner usò materiale cowpox-contaminato ottenuto dalla mano
di Sarah Nemes, una lattaia del suo villaggio (Berkley, nel Gloucestershire), per vaccinare
con successo James Phipps, 8 anni di età. Il 1 Luglio 1796, Jenner infettò deliberatamente
il bambino, registrando l’assenza di infezione. Nella pubblicazione originale, Jenner non
parlò di “vaccinazione”, ma coniò il termine di “variolae vaccinae”.
Sebbene inizialmente controversa, la vaccinazione contro il vaiolo venne adottata nel
mondo intero durante il 19° secolo.
Tuttavia, furono Robert Koch e Louis Pasteur per la prima volta, nel 1880, a sostenere la
“teoria microbica” della malattia, ed il significato di questi organismi divenne apparente.
Successivamente, Pasteur lavorò estensivamente sulla rabbia, che egli identificò essere
causata da un 'virus' (dal Latino, veleno), sebbene egli non li discriminò dagli agenti
batterici.
Virologia “moderna”Cenni storici
1892, D. Iwanowsk – virus del mosaico del tabacco
1898, M. Beijerinick - ”contagium vivum fluidum”
1898, F. Loeffler & P. Frosch – virus responsabili
di malattie delle zampe e della bocca nel bestiame
1901, W. Reed – virus della febbre gialla
1909, Landsteiner & Popper – poliomelite causata
da “agente filtrabile”
1915-1917, F. Twort & F. D’Herelle - batteriofagi
1930’s – osservazione microscopica dei virus
1970’s – molecole per il trattamento dell’infezione virale
Struttura del virione
Genoma
• Una o poche molecole di acido nucleico
(DNA oppure RNA) ad organizzazione
variabile (lineare, circolare, doppia/singola elica, segmentata)
Capsìde (core)
• Involucro proteico che circonda il genoma, generalmente
composto da subunità proteiche chiamate capsomeri
Peplos (pericapsìde, envelope)
• Composta da fosfolipidi e glicoproteine; generalmente deriva
dalle membrane della cellula ospite attraverso un processo
chiamato “gemmazione”. Lo spazio compreso tra il peplos ed il
capside è di solito occupato da proteine virus-specifiche
(tegumento o matrice virale)
Nucle
ocapsìd
e
Genoma virale
Contenuto all’interno del capsìde, il genoma è in contatto con proteine regolatrici le fasi replicative e trascrittive
Tipologia ed organizzazione (DNA oppure RNA):– Unica molecola di DNA (Deossiribovirus), generalmente bicatenaria e lineare
• doppia elica (ds), circolare (Papovavirus)
• singola elica (ss), lineare (Parvovirus)
– Unica molecola di RNA (Ribovirus), generalmente monocatenaria e lineare
• doppia elica (Reovirus)
• polarità + = funziona da m-RNA (TMV, virus sarcoma Rous)
• polarità - = complementare a mRNA, deve essere trascritto in m-RNA (Orthomyxo-, Rhabdovirus)
• ambisense (polarità positiva/negativa)
• frammentazione (segmentazione) RNA in numero costante di segmenti a differente PM (Ribovirus di grosse dimensioni: Orthomyxovirus)
Genoma virale Generalmente, le dimensioni ed il peso molecolare del
genoma virale sono estremamente modeste, così riflettendo la scarsa quantità di informazioni genetiche in esso contenute: dimensioni: 3,5 – 250 kbp
PM deossiribovirus > PM ribovirus; (Poxvirus, può produrre sino a circa 160 proteine da 50 kDa)
Si rende quindi necessaria, nel virus, un’organizzazione “efficiente” del genoma: – capsìde costituito da ripetizioni di poche unità peptidiche
– “embricatura” in serie delle sequenze codificatrici (numerose sequenze sovrapposte, utilizzate per la sintesi di più trascritti)
Papillomavirus: genoma “embricato”
Nonostante la eterogeneità strutturale del genoma, i virus obbediscono al dogma centrale della biologia
molecolare:
tutta l’informazione genetica fluisce dall’acido nucleico alla proteina.
Dovendo utilizzare l’apparato trascrittivo e traduttivo della cellula ospite,
tutti i virus debbono produrre un mRNA che possa essere “letto” dal sistema traduzionale dell’ospite,
indipendentemente dalla loro organizzazione genomica.
Capsìde (core)
Involucro proteico che circonda il genoma virale
(proteine: fino al 90% in peso)
• Funzioni:
– protegge il genoma virale in sede extracellulare
– nei virus sprovvisti di peplos, media la penetrazione
del virus nella cellula bersaglio
• Le subunità proteiche del capsìde (capsomeri)
sono disposte simmetricamente secondo due
modalità:
1. Simmetria elicoidale
2. Simmetria icosaedrica
Simmetria complessa
Capsìde a simmetria elicoidale
Contenitore di forma simil-cilindrica, costituito da un numero variabile di copie
del capsomero (unità chimica) avvolte a spirale attorno ad un asse centrale
ideale a formare uno spazio elicoidale in cui risiede il genoma (RNA, in genere).
I capsìdi possono essere rigidi (TMV, batteriofago
M13) o flessibili (virus influenzali).
Spesso, la ripetizione di una sola proteina (capsomero) rappresenta
l’unica possibilità di rivestire un acido nucleico di piccole dimensioni
Esempio: virus del mosaico del tabacco (TMV)
Capsìde: cilindrico, rigido, 15-18 nm di diametro e
circa 300 nm di lunghezza, formato da 2.130
capsomeri (158 aa)
Acido nucleico: RNA a singolo filamento (6 Kbp)
Cristallizzato da Stanley nel 1935
I virus animali a simmetria elicoidale sono sempre
provvisti di envelope (peplos).
Capsìde a simmetria icosaedrica
I pentoni o pentameri formati da 5 subunità e
disposti ai vertici dell’icosaedro (provvisti di
fibra in Adenovirus); gli esoni o esameri
composti da 6 subunità e localizzati sulle facce
dell’icosaedro.
La simmetria icosaedrica rappresenta la
disosizione più efficiente, poichè utilizza il
minor numero di capsomeri. Il numero totale
di capsomeri è virus-specifico: 12 (Parvovirus
batteriofagi X174, MS2, Qb), 32 (Poliovirus),
42, 60, 72 (HPV), 92, 162, 252 (Adenovirus).
Costituito da due tipi di capsomero (pentone, esone = aggregati strutturali)
disposti a formare un icosaedro (solido regolare a 20 facce triangolari e 12 vertici).
Il genoma virale è impacchettato nel capsìde con cui non è in contatto diretto.
Negli Adenovirus: a) ogni pentone si prolunga
in una o due strutture fibrose (fibra) in cui
risiede l’antigenicità tipo-specifica; b) i pentoni e
gli esoni sono antigenicamente differenti.
Adenovirus
Capsìde a simmetria complessa
Simmetria non assimilabile né a quella elicoidale né a quella icosaedrica,
in cui i rapporti tra i diversi componenti non sono stati ancora chiariti.
Virus “complessi”: Poxvirus e batteriofagi di grosse dimensioni (T4).
I Poxvirus, a forma ovoidale (“a mattone”), sono i più grandi tra i virus animali
potendo essere osservati anche al microscopio ottico (1886: erroneamente
considerati “spore di micrococchi”).
Il genoma (DNA lineare a doppio filamento) è associato a proteine e racchiuso
in un nucleoìde, a forma di disco biconcavo, delimitato da un involucro
(membrana rivestita da tubuli e fibre). Due corpi laterali, di forma ellittica, sono
disposti tra il nucleoìde e l’involucro esterno.
Peplos (envelope)
Involucro di natura lipoproteica contenente il nucleocapsìde
(involucro pericapsidico): nel doppio strato lipidico (di natura
cellulare) sono inserite glicoproteine (codificate dal virus)
proiettate all’esterno (spicole o spikes).
Generalmente presente nei virus a simmetria elicoidale
(Orthomyxovirus, Rhabdovirus) e nei batteriofagi (virus
batterici); occasionalmente presente anche nei virus
icosaedrici (Herpesvirus, Togavirus).
Il peplos protegge il nucleocapsìde, determina la
specificità dell’interazione virus-cellula, regola
alcune fasi della penetrazione virale.
CMV (Herpesvirus type-V)
I virus con peplos sono facilmente e rapidamente
inattivati da tensioattivi o solventi lipidici che ne
scompaginano la struttura. Se rimosso, il virus
perde la sua infettività.
Rhabdovirus
Assente nei virus “nudi” (naked)
I virus sono “cattive notizie in una busta proteica”
(Peter Medawar, 1983)
Summary
Sensibilità virale ad agenti fisico-chimici
Temperatura virus “naked” sono maggiormente termostabili (scarsa perdita di
infettività dopo diverse ore di esposizione a 37°C) inattivazione infettività virale a 50-60°C per 30 min conservazione virus per congelamento, liofilizzazione
Stabilizzazione virale con i sali tolleranza termica (50°C per 1 h) per stabilizzazione con:
MgCl2 [1 mol/L] (picorna-, reovirus) MgSO4 [1 mol/L] (orthomyxo-, paramyxovirus)
stabilità dei virus importante per la preparazione dei vaccini pH
generalmente stabili a pH compresi tra 5 e 9: virus “naked” resistono in ambiente acido (Enterovirus) tutti i virus sono distrutti in condizioni di alcalinità
Sensibilità a radiazioni ionizzanti livello di sensibilità = K x dimensioni del genoma
Sensibilità ad etere, detergenti ed essiccamento virus “naked” = resistenti; virus con envelope = sensibili
Sensibilità a disinfettanti inattivazione virale per denaturaz. proteica (alcoli, fenoli, alogeni)
Sensibilità ad agenti fisico-chimici
Virus “naked”
– Facile trasmissione (mano-
mano, aerosol, rifiuti)
– Essiccano conservando la
infettività
– Sopravvivono nello stomaco
– Inducono risposta umorale
– Resistenti a detergenti ed
improprio trattamento delle
acque reflue
Virus con peplos
– Diffondono per aerosol,
secrezioni, trapianti d’organo,
trasfusioni ematiche
– Richiedono umidità
– Non sopravvivono nel tratto
gastrointestinale
– Inducono risposta umorale e
cellulo-mediata
– Inducono ipersensibilità ed
infiammazione per causare
immunopatogenesi
Caratteri antìgeni
Dato l’elevato contenuto in proteine (90% circa del peso
totale), i virus sono, di norma, ottimi antigeni
Determinanti antigeni localizzati sul:
Capsìde (antigeni nucleo-proteici o NP)
nei virus “naked”, gli antigeni NP determinano la virus-
specificità
possibile presenza di antigeni differenti nello stesso capsìde:
negli Adenovirus, nei pentoni risiede la gruppo-specificità,
nelle fibre la tipo-specificità
nei virus dotati di envelope, gli antigeni NP sono:
accessibili agli anticorpi solo dopo rottura del peplos
comuni a virus differenti dello stesso gruppo o sottogruppo
Peplos
antigeni derivanti, in parte, dalla membrana cellulare
la virus-specificità risiede negli antigeni del peplos
Caratteri antìgeni
Tipologia di antigeni:
antigeni “funzionali” (o precoci), presenti nelle fasi iniziali della
replicazione virale
antigeni “strutturali” (o tardivi), presenti nelle fasi tardive della
replicazione virale
La discriminazione tra antigeni precoci e tardivi può
essere di ausilio per studiare fino a quale fase il ciclo di
moltiplicazione virale sia avanzato:
nei casi in cui la replicazione virale non può esser portata a
termine (infezione abortiva, trasformazione cellulare), si
possono rinvenire solo antigeni “precoci”
rispetto agli antigeni strutturali, la risposta anticorpale indotta
dagli antigeni funzionali è scarsa e di breve durata. Quindi,
l’evidenziazione di un titolo anticorpale anti-antigene funzionale
è un utile strumento per la diagnosi di infezione attiva o recente
Dimensioni
Dimensioni estremamente variabili:
Deossiribovirus: da 18-26 nm
(Parvovirus) a 200x400 nm
(Poxvirus)
Ribovirus: da 28-30 nm
(Picornavirus) a oltre 300 nm
(Paramyxovirus)
Eccezion fatta per i Poxvirus, tutti i
virus hanno dimensioni tali da non
poter essere osservati al microscopio
ottico (invisibilità)
Classificazione dei virus
Natura dell’ospite parassitato– Virus dei batteri (batteriofagi o fagi)
– Virus dei vegetali
– Virus degli animali
• Virus degli artropodi
• Virus degli vertebrati
Tipologia ed organizzazione dell’acido nucleico
Simmetria del capsìde (elicoidale, icosaedrico)
Presenza/assenza del peplos
Strategia di replicazione
7th Report (2000) of the International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV): 56 Famiglie (-viridae), 9 Sottofamiglie (-virinae), 233 Generi (-virus), 1.550 Specie
HERPESVIRIDAE
HEPADNAVIRIDAE
PEPLOS +
PAPILLOMAVIRIDAE
POLYOMAVIRIDAE
(PAPOVAVIRIDAE)
CIRCOLARE
ADENOVIRIDAE
LINEARE
PEPLOS -
DOPPIA CATENA
PARVOVIRIDAE
SINGOLA CATENA COMPLESSO
DEOSSIRIBOVIRUS
Modificato da: Volk et al., Essentials of Medical Microbiology, 4th Ed. 1991
Tutti i Deossiribovirus hanno capsìde
icosaedrico, tranne i Poxviridae
PEPLOS + PEPLOS -
POXVIRIDAE
PEPLOS +
CATENA SINGOLA(positiva)
RIBOVIRUS
FLAVIVIRIDAETOGAVIRIDAE
RETROVIRIDAE
ICOSAEDRICO
CORONAVIRIDAE
REOVIRIDAE
ELICOIDALE
PEPLOS -
PICORNAVIRIDAECALICIVIRIDAE
ICOSAEDRICO
CATENA SINGOLA(negativa
)
CATENA DOPPIA
PEPLOS +
ELICOIDALE
ORTHOMYXOVIRIDAE
BUNYAVIRIDAE
ARENAVIRIDAE
PARAMYXOVIRIDAE
RHABDOVIRIDAEFILOVIRIDAE
PEPLOS -
ICOSAEDRICO
Modificato da: Volk et al., Essentials of Medical Microbiology, 4th Ed. 1991
Replicazione virale
1. Adsorbimento (attacco): adesione del virus
alla superficie cellulare mediata da recettore
2. Penetrazione: fusione, endocitosi o traslocazione
3. Uncoating (spoliazione): rilascio del genoma virale
4. Sintesi macromolecole virus-specifiche
5. Maturazione: assemblaggio del virione
6. Rilascio virioni “maturi”
Replicazione virale1. Adsorbimento (attacco)
Interazione virus-cellula
Casuale. Efficiente, se l’antirecettore
(virale) intercetta il recettore (cellulare) specifico
Richiede elevate concentrazioni ioniche
Processo passivo (no energia, temperatura-indipendente)
adsorbimento virale a recettori isolati, frammenti cellulari, cellule morte
La “sensibilità” di una cellula ad un’infezione virale è
definita dalla presenza di idonei recettori
Circa 100.000 recettori alla superficie cellulare
Omologia “fortuita” tra antirecettore virale e recettore
Tropismo virale: affinità del virus per determinati “tipi” cellulari
Transfezione: infezione di cellule non sensibili (ma permissive)
AdsorbimentoRecettore & Antirecettore
Recettore (cellulare)
Virus della rabbia (Rhabdoviridae) = recettori per acetilcolina
Virus vaccinico (Poxviridae) = recettori per Epidermal Growth Factor
Virus Epstein-Barr (Herpesviridae) = recettore per il Complemento
(CR2) alla superficie dei linfociti B
HIV-1 (Retroviridae) = ligandi intercellulari (CD4)
Antirecettore (virale)
Presenza di numerosi (e, talvolta, più di un tipo di) antirecettori alla
superficie virale
Virus “naked” (es. Picornaviridae) = proteine capsidiche
Virus con peplos (es. Ortho- Paramyxoviridae) = glicoproteine
pericapsidiche
Gli anticorpi diretti verso l’antirecettore sono protettivi, ossia
“neutralizzano” l’infettività virale
Teoria del “canyon”
Differenti “tipi antigenici” di virioni, differenziabili per essere neutralizzati da diversi sieri immuni, si ancorano in corrispondenza dello stesso recettore
Antirecettore sito sul fondo del
canyon, facilmente accessibile
dal recettore, ma inaccessibile
agli anticorpi.
L’attività neutralizzante risiede
negli anticorpi che reagiscono
con gli epitopi al bordo del
canyon, impedendo, di fatto,
l’accesso del recettore
Ingresso nella cellula (penetrazione) e
separazione fisica (uncoating) tra genoma
virale e componenti strutturali esterni del virione,
con perdita dell’infettività del virus parentale
Processo “attivo” (richiede energia)
Avviene solo a T ottimali per la cellula
Virus “naked”
Traslocazione trans-membrana
Trasferimento per endocitosi
Virus con pericapsìde
Fusione tra peplos e la membrana cellulare
Herpesvirus, Paramyxovirus
Formazione vescicola endocitica e successiva fusione del
pericapsìde con la membrana endocitica (Ortho-, Togavirus)
Replicazione virale2-3. Penetrazione+uncoating
Uncoating (fase di “spoliazione”)
La fusione del pericapsìde con la membrana cellulare od
endosomale richiede l’intervento di proteine “fusogene”
presenti nel pericapsìde
Fusione tra pericapsìde e membrana cellulare
Proteine “fusogene”, attive a pH neutro, sono attivate da
modificazioni conformazionali indotte nell’antirecettore in seguito ad
interazione con il recettore cellulare
Fusione tra pericapsìde e membrana endocitica
Proteine “fusogene” attivate dall’acidificazione endosomale
modulata attivamente dal virione attraverso canali ionici per H+
La degradazione del capsìde è mediata da enzimi cellulari,
tranne che per i Poxvirus:
Attivazione di una RNA-polimerasi DNA-dipendente virale
all’interno del core con produzione di diversi mRNA
Traslocazione degli mRNA nel citosol e traduzione in proteine
che degradano il capsìde, liberando il genoma nel citosol
Virus con envelope:
penetrazione per endocitosi
from: Schaechter et al, Mechanisms of Microbial Disease, 3rd ed, 1998
Acido nucleico e proteine strutturali sono i
soli materiali che debbono essere
sintetizzati ex novo per garantire la replicazione virale
Tuttavia, durante la replicazione vengono sintetizzate anche proteine
non strutturali (che rendono possibile la replicazione del genoma ed
inibiscono le sintesi macromolecolari cellulari)
Nel caso dei Deossiribovirus (Papovaviridae, Herpesviridae,
Adenoviridae), ma soprattutto nei fagi, le proteine vengono sintetizzate
in una sequenza temporale:
Proteine precoci (codificate dal genoma parentale): consentono la
replicazione dell’acido nucleico ed inibiscono le sintesi macromolecolari
cellulari
Proteine tardive (codificate da copie dell’acido nucleico parentale): proteine
strutturali e proteine inibenti la sintesi delle proteine precoci
Replicazione virale4. Sintesi delle macromolecole
virus-specifiche
La sintesi dei capsìdi icosaedrici precede l’inserimento dell’acido nucleico (capsìde vuoto o procapsìde), mentre quelli elicoidali si possono formare solo in presenza dell’acido nucleico (RNA)
Accumulo dei virioni naked assemblati in formazioni cristallinee liberazione previa lisi cellulare
In presenza di eccesso di componenti virali, la maturazione virale può rivelarsi un processo inefficace:
formazione di corpi inclusi intracellulari, a localizzazione nucleare (herpesvirus) o citoplasmatica (poxvirus) od entrambe (morbillo)
la presenza di corpi inclusi può avere un rilevante significato diagnostico: i corpi di Negri (cellule nervose) a significato patognomonico per la diagnosi di rabbia; i corpi del Torres (febbre gialla); i corpi del Guarnieri (Poxvirus)
Replicazione virale5. Maturazione (assemblaggio)
Corpi di inclusione
Corpi del Negri in cellula
nervosa (Rhabdovirus)
Inclusioni ad «occhio di gufo»
(CMV)
Azione patogena dei virus
La capacità di produrre malattia in vivo deve
essere valutata in base a due eventi
ugualmente importanti e caratterizzanti:
– realizzazione dell’infezione
– produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Ambedue gli eventi sono condizionati in larga
parte non solo dalle caratteristiche del virus
ma anche dalle caratteristiche e dalle
modalità di risposta (immune) dell’ospite
Azione patogena dei virusL’infezione: penetrazione e replicazione
rhabdovirus,
HIV, HBV,
togavirus
poliovirus,
reovirus
orthomyxovirus,
rotavirus
virus esantematici
poliovirus
liberi (enterovirus),
veicolati (herpesvirus,
morbillivirus)
Azione patogena dei virusProduzione ed estrinsecazione delle lesioni
Realizzatasi l’infezione, negli organi “bersaglio” vengono a determinarsi delle lesioni anatomo-funzionali in seguito a: azione diretta sulle cellule (effetto citopatogeno)
Induzione (esaltazione) della risposta immune (con possibile modificazione della tipologia di rapporto instaurato dal virus con la cellula)
depressione della riposta immune
Tali meccanismi patogenetici possono intervenire singolarmente od in associazione nel determinismo della malattia
Produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Effetto citopatogeno: A) Infezioni citocide
Infezioni produttive, caratterizzate cioè dal rilascio di una nuova progenie virale infettante in seguito a danno irreversibile cellulare (morte cellulare per nécrosi od apoptosi)
Malattie generalmente acute, con breve periodo di incubazione (influenza, poliomelite, encefalite da togavirus ed erpetiche, enterite)
A livello cellulare, le lesioni degenerative possono instaurarsi precocemente alla fase di attacco, ma più comunemente si manifestano in fasi successive del ciclo replicativo, o si amplificano durante la sua progressione
Produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Effetto citopatogeno: A) Infezioni citocide
In vitro
Lesioni degenerative ingravescenti col progredire del ciclo di replicazione virale, che raggiungono la massima intensità nel rilascio della progenie virale in seguito a lisi cellulare (virus con capsìde isometrico e sprovvisti di peplos)
Formazione di sincizi o policariociti, in seguito a fusione di cellule infette e successiva comparsa di lesioni degenerative (virus con envelope: Paramyxovirus, alcuni Herpesvirus e Poxvirus)
Lesioni degenerative che compaiono tardivamente rispetto alla liberazione della progenie virale (virus con envelope non sinciziogeni: Orthomyxovirus)
In vivo
Degenerazioni citoplasmatiche (ballonizzazione, poichilocitosi, vacuolizzazione), nucleari (picnosi, marginazione ed aggregazione cromatinica) o fusione cellulare (cellule “giganti”)
Sia in vitro che in vivo, formazione di inclusioni cellulari
Effetti citopatici dell’infezione virale
CMV. Citomegalia
Virus del morbillo. Sincizi
Produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Effetto citopatogeno: A) Infezioni citocide
Le infezioni citocide sono dovute principalmente a: Inibizione dell’attività biosintetica macromolecolare della cellula
ospite, ad opera di proteine “precoci” virali
Modificazioni della membrana cellulare: alterata (aumentata) fluidità, depolarizzazione transitoria, alterazione
del trasporto trans-membrana di metaboliti e ioni con uscita di K+ ed ingresso di Na+, (Poliovirus, Na+ favorisce la traduzione virale), ma anche di colina e deossi-glucoso
Alterazioni lisosomiali: proteine “tardive” virali causano lesioni (dapprima reversibili, quindi
irreversibili) dei lisosomi con rilascio degli enzimi idrolitici nel citosol e conseguente danno cellulare In presenza di rosso neutro:
formazione di placche rosse (danno reversibile)
formazione di placche chiare (danno irreversibile)
Produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Effetto citopatogeno: B) Infezioni latenti
Realizzazione di un parassitismo “controllato” che non
determina la morte cellulare:
Integrazione del genoma virale in quello dell’ospite (o si mantiene,
circolarizzato, in forma episomiale). Si replica ad ogni ciclo
cellulare conferendo nuovi caratteri o rimanendo silente senza
produzione di antigeni virali e di progenie virale
Infezioni asintomatiche in vivo (Herpesvirus, Retrovirus) con
possibilità di recidive (riattivazioni – erpete labiale, malattia
citomegalica) in presenza di condizioni predisponenti
Produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Effetto citopatogeno: C) Infezioni persistenti
Realizzazione di un parassitismo “controllato” che non determina la morte cellulare:
Continua produzione di antigeni virali e, spesso, di progenie virale (a differenza delle infezioni latenti)
Lesioni cellulari dovute alla continua esposizione all’azione della risposta immune, piuttosto che all’azione diretta del virus
Malattie cronicamente evolutive (epatite cronica attiva di tipo B) o malattie “lente” caratterizzate da lunghi periodi di incubazione (panencefalite subacuta sclerosante da virus del morbillo)
Possibile “disinpegno” (inibizione) della cellula nella sintesi di molecole “di lusso” (non essenziali: ormoni, mielina), con conseguente patologie disfunzionali (disendocrinopatie in topi infettati con virus della corio-meningite linfocitaria)
Produzione ed estrinsecazione delle lesioni
Effetto citopatogeno: D) Trasformazione
Virus oncògeni (DNA-virus: polyoma, herpes, papilloma, hepatovirus, adenovirus; RNA-virus: retrovirus): in grado di alterare l’omeostasi celllulare sovvertendo, direttamente od indirettamente, il controllo del ritmo proliferativo cellulare in vitro
La proliferazione cellulare rende più probabile l’accadimento di eventi genetici (mutazioni nel DNA) che si accumulano, causando così la trasformazione neoplastica della cellula
Proprietà di cellule trasformate da virus: Immortalizzazione, assenza inibizione da contatto (formazione di colonie su agar),
morfologia irregolare, diminuita necessità di fattori di crescita e siero
Anomalie cromosomiche strutturali (delezioni, traslocazioni) e numeriche (aneuploidia)
Elevata attività glicolitica, proteasica e DNA-sintetasica
Comparsa di nuovi caratteri antigeni (rigetto in seguito a trapianti in animali immunocompetenti consanguinei)
Genoma virale, o parte di esso, integrato nel genoma cellulare o libero (episoma); m-RNA e antigeni virus-specifici
L’equivalente in vivo della trasformazione è la oncogenesi virale Comparsa di tumori in seguito ad inoculazione di cellule trasformate in animali
neonati od immunosoppressi
Difese antivirali non dipendenti dalla
risposta immune
La produzione di Interferon
Meccanismi di difesa non immuni aspecifici
Barriere anatomiche (cute, mucose) Integrità di cute (continuità dello strato corneo) e mucose
Cute: essiccamento, acidi grassi cutanei, sostanze inibenti prodotte da batteri commensali
Mucose alimentari: muco (acido nello stomaco, alcalino nell’intestino), fagociti, sostanze inibenti (sali biliari, enzimi proteolitici)
Mucose respiratorie: attività muco-ciliare, lisozima, fagociti
Inibitori (non anticorpali) sierici e tessutali Glicoproteine/lipoproteine in grado di inibire l’adsorbimento
virale per analogia strutturale con i recettori cellulari per il virus
Fagocitosi Ha un suo ruolo sebbene non importante come nelle infezioni
batteriche; più attiva nei macrofagi che nei leucociti
Meccanismi di difesa non immuni specifici
Febbre La replicazione virale richiede un optimum termico
Variazioni termiche interferiscono con il ciclo di replicazione virale; maggiore sensibilità ai rialzi termici (a 39°C numerosi virus diventano incapaci di replicarsi)
Risposta infiammatoria Alterazioni del microcircolo
edema ed accumulo leucocitario
aumento temperatura locale
ristagno della circolazione con iperemia passiva, riduzione tensione O2, caduta ATP, abbassamento pH
Sistema dell’Interferon Strumento più importante per il controllo intracellulare della
replicazione virale
Possibili applicazioni terapeutiche
Interferon
“Interferenza virale”: cellule infettate da un virus risultano resistenti ad un’infezione successiva o concomitante
1957, Isaacs and Lindenmann
Infettarono frammenti di membrana corion-allantoidea di pollo con virus influenzale A termoinattivato
I frammenti non solo esibivano resistenza a superfinfezioni con lo stesso virus, ma rilasciavano in soluzione una proteina capace di trasferire lo stato di resistenza antivirale ad altri frammenti coltivati in assenza di virus
A questa sostanza, che interferiva con la replicazione virale, venne dato il nome di interferon
Interferon – tipologie e caratteristiche
Famiglia di proteine sempre (, ) o talvolta () glicosilate che - seppur differiscano per struttura molecolare, origine cellulare e stimolo inducente –sono accomunate dalle seguenti caratteristiche: vengono indotte da vari stimoli, in particolar modo da
un’infezione virale
non posseggono attività antivirale diretta, ma agiscono mediante proteine effettrici
la loro azione non è specifica per il virus inducente, essendo capaci di inibire la replicazione di altri virus
sono dotate di specie-specificità, essendo capaci di agire in cellule della stessa specie, o di specie tassonomicamente vicine a quelle in cui sono state prodotte
a persistenza limitata (poche ore o giorni), sebbene lo stato antivirale indotto permanga per 48 h dalla loro eliminazione
InterferonMeccanismo di azione
Gli interferoni vengono prodotti da
linfociti B (), cellule fibro-epiteliali ()
e linfociti T (), in presenza di cellule
estranee: tumorali, batteriche,
infettate da virus (); acidi nucleici
estranei (); antigeni presentati da
macrofagi od altre APC ().
Quando una cellula è infettata da un
virus, produce e rilascia interferon che
si lega ai recettori di superficie di
cellule viciniore. Queste vengono
indotte alla produzione di proteine
effettrici che prevengono la sintesi
delle proteine virali, bloccando così la
diffusione dell’infezione.
Interferonmeccanismo di azione