Prof. Andrea Ballabio
Biografia ed interessi di ricerca
Andrea Ballabio e’ nato a Napoli il 27 Gennaio del 1957. Laureato in Medicina nel 1981 presso l’Univesità di Napoli si è poi specializzato in Pediatria nel 1985 presso la stessa Università. Ha trascorso vari anni lavorando nel campo delle malattie genetiche prima in Italia, poi in Inghilterra ed infine per 6 anni negli Stati Uniti dove ha occupato la posizione “Associate Professor” di Genetica Molecolare e Co-direttore del Centro Genoma Umano del Baylor College of Medicine a Houston nel Texas. Nel 1994 ha fondato, per mandato della Fondazione Telethon, il TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), di cui è direttore, inizialmente localizzato presso il Parco Scientifico San Raffaele di Milano, e dal 2000 a Napoli. Oggi l’Istituto ospita circa 150 persone. Attualmente egli è Professore Ordinario di Genetica Medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università Federico II di Napoli.
I principali interessi di ricerca del Prof. Ballabio sono lo studio, la prevenzione e la cura delle malattie genetiche e lo studio dei geni e dei genomi. Il Prof. Ballabio ha pubblicato oltre 200 articoli su prestigiose riviste scientifiche internazionali; ha inoltre pubblicato numerosi capitoli su prestigiosi libri internazionali, come ”Harrison's Principles of Internal Medicine” e “Molecular Bases of Inherited Disease”. E’ stato Presidente della Società Europea di Genetica Umana. Ha ricevuto numerosi premi, nazionali ed internazionali, per la ricerca e la cultura. E’ consigliere in molte commissioni di organismi internazionali per la valutazione di progetti di ricerca tra cui la Commissione Europea e il Progetto Genoma Canadese. E’ membro, inoltre, dei comitati editoriali di numerose riviste scientifiche internazionali, nonché di importanti società scientifiche internazionali quali la European Molecular Biology Organization, la European Society of Human Genetics, l’American Society of Human Genetics e molte altre.
Tra i risultati più importanti raggiunti dal Prof. Ballabio, insieme ai suoi ricercatori, si annoverano l’identificazione dei geni responsabili di molte malattie genetiche tra cui malattie oculari, neurologiche e malformazioni congenite. Importante è stato anche il contributo del gruppo del Prof. Ballabio sullo studio del genoma umano. Le scoperte più recenti riguardano il cromosoma 21 e la sindrome di Down, e l’identificazione di un gene indispensabile per il funzionamento di enzimi chiamati solfatasi, pubblicate rispettivamente sulle prestigiose riviste internazionali “Nature” e “Cell”.
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L’IMPATTO DELLA “RIVOLUZIONE
GENOMICA” SULLA BIOLOGIA E SULLA
MEDICINA
Andrea Ballabio
Professore di Genetica Medica Università degli Studi di Napoli Federico II Direttore TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina)
L’inizio di questo millennio è coinciso
con l’inizio di una nuova era della ricerca: la
genomica. E’ fuor di dubbio che questi che
stiamo vivendo sono gli anni d’oro della
ricerca genomica. Con la genomica si e’
potuto decifrare l’intero patrimonio genetico
dell’uomo. Per la prima volta si sono potuti
leggere i 3 miliardi e 500 milioni di “lettere”
(le basi A,T,G,C) che compongono il nostro
DNA, il nostro genoma. Abbiamo cioè
davanti a noi il “libro della vita” con tutti i
suoi volumi (i cromosomi) e con tutti i suoi
capitoli (i geni) e possiamo finalmente
cominciare a studiarlo ed interpretarlo. A
differenza dell’astronomia che ci guida
all’esplorazione dell’universo di cui facciamo
parte, la genomica ci permette di esplorare
l’universo che è dentro di noi e capire, per
esempio, quali istruzioni sono contenute nel
genoma che consentono di passare
dall’incontro di uno spermatozoo con un
oocita alla nascita di un individuo!
Che impatto avrà sulla nostra vita questa
sensazionale impresa, che è stata definita il
più grande avanzamento di conoscenze mai
avvenuto nella storia dell’umanità? Come
potremo trasformare la conoscenza
strutturale dei geni in utilità per la nostra
specie? Questa è la principale sfida
dell’odierna ricerca biomedica. Innanzitutto
dovremo analizzare, sistematicamente, la
funzione di tutti i circa 30.000 geni
contenuti nel genoma umano. Questo
aspetto della genomica, conosciuto anche
come genomica funzionale, utilizza una
varietà di approcci alla base dei quali vi
sono la bioinformatica e l’automazione. Un
altro importante obiettivo sarà quello di
studiare a fondo le variazioni del genoma
nella popolazione e di correlare queste
variazioni alle predisposizioni di ciascun
individuo ai vari tipi di malattia. Infatti,
ognuno di noi possiede un genoma che si
differenzia da quello di ciascun altro
individuo in media per lo 0.1%. In queste
piccolissime differenze si nascondono non
solo i caratteri che rendono ciascuno di noi
unico, ma anche e soprattutto i fattori
genetici che causano o predispongono alle
malattie.
In medicina, la genomica aprirà una
nuova era nei campi della diagnosi e della
terapia, basata sulla conoscenza individuale
del profilo genetico e quindi sulle esigenze
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del singolo individuo. L’identificazione di un
numero quanto più ampio di variazioni tra
individui permetterà di stabilire associazioni
sempre più precise tra variazioni genetiche
e predisposizione all’insorgenza di malattie.
Non solo quindi saranno identificati tutti i
geni responsabili della insorgenza di una
malattia, ma sarà possibile attribuire a
ciascuna sequenza genica uno "score" o
impatto percentuale sulla predisposizione a
tale malattia. Questa conoscenza porterà a
raffinare enormemente i nostri strumenti di
diagnosi. Inoltre, nel campo della
prevenzione, la conoscenza del rischio
genetico per varie infermità permetterà di
intervenire più sul singolo individuo che in
maniera indiscriminata sulla popolazione. I
benefici ricadranno non solo sulla nostra
abilità di curare malattie come i tumori, i
disordini metabolici, le patologie
neurologiche, ma potranno soprattutto
influire sulla razionalizzazione dei sistemi
sanitari e sulla loro efficienza.
L'impatto della rivoluzione genomica
nel campo della terapia sarà più tardivo
rispetto a quello sulla prevenzione, ma
altrettanto dirompente. E' senz'altro la
terapia genica la branca su cui sono riposte
le speranze maggiori. La prospettiva che i
medici del futuro useranno i geni
direttamente come strumenti di terapia,
così come oggi il chirurgo usa il bisturi ed il
clinico somministra il farmaco, appare
ancora lontana. Ciononostante non c'è
dubbio che si arriverà presto a dei risultati
di grande rilevanza su patologie importanti,
come il cancro e le malattie genetiche.
Inoltre, l'individuazione di nuovi bersagli
terapeutici permetterà l’identificazione di
composti organici capaci di interferire su
specifiche funzioni. Questi composti
costituiranno i prototipi di nuove classi di
farmaci. Si prevede una vera e propria
esplosione in questo campo anche a seguito
della stretta sinergia tra biologia, chimica
farmaceutica anche attraverso l’uso della
chimica combinatoriale e la bioinformatica e
mediante l’utilizzo di sofisticate predizioni di
struttura-funzione. Tutto questo creerà
nuove opportunità di lavoro e stimolerà lo
sviluppo di un tessuto industriale
biotecnologico. C’è infine da sottolineare
che, a fronte degli innegabili vantaggi, la
rivoluzione genomica ci fronteggerà con
nuove problematiche nel campo della
bioetica, dell’organizzazione sociale e della
riqualificazione della forza lavoro.
Il nostro paese deve assolutamente
prepararsi, attraverso progetti concertati,
programmi di formazione, e fondi di
investimento, a queste grandi sfide ed allo
sfruttamento di queste enormi opportunità.
In questa direzione è auspicabile la
collaborazione di istituzioni pubbliche con
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quelle private (sia profit che non profit).
Infatti solo attraverso la creazione di queste
sinergie potremo fare in modo che l’Italia
non resti tagliata fuori da questa
meravigliosa avventura della conoscenza e
dalle importanti applicazioni che ne
deriveranno.
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GENI E MALATTIE
Enrico V. Avvedimento
Professore di Patologia Generale
Università degli Studi di Napoli Federico II
Nel 2001 sono state pubblicate le
prime pagine del libro della vita : la
sequenza del genoma (DNA) umano. Il
DNA, che costituisce I cromosomi, e’ stato
per la prima decifrato e letto nella sua
sequenza, una stringa di 4 lettere, lunga 3
miliardi e mezzo. In tutto sono due metri di
DNA che ognuno di noi porta in ogni sua
cellula, strettamente avvolti in 46 gomitoli
(i cromosomi). Essi sono stati “srotolati” e
"decodificati" cioè gli oltre tre miliardi di
lettere chimiche di cui sono composti, sono
state messe una dietro l’altra. La semplice
trascrizione della sequenza riempirebbe
350.000 pagine di una rivista (senza foto).
Una immensa frase che suonerebbe più o
meno così: ATGGGCACCMGCA……. in tutte
le pagine (le quattro lettere A, C, G, T, sono
le 4 molecole che in diversa combinazione
formano la catena).
Di questi 3 miliardi, il 5% codifica I
geni che dirigono la sintesi di RNA e
proteine (circa 30,000) e che danno le
informazioni per la costruzione, lo sviluppo
e la riproduzione del corpo (e della mente).
La lettura di questo libro, adesso
solo alle prime pagine, comincia a dirci le
prime parole e frasi sui piani di costruzione
del nostro corpo. Queste informazioni
cominceranno a chiarire questioni
fondamentali della nostra esistenza : a. chi
siamo; b. da dove veniamo; c. dove
andiamo; d. come ci ammaliamo.
Infatti, cominciamo a scoprire : 1. Geni che
venivano espressi in animali evolutivamente
antecedenti a noi: 2. geni che sono nati
con noi; 3. geni morti e non piu funzionanti
(fossili). Man mano che si aprono le pagine
di questo libro (cromosoma per
cromosoma) si scoprono elementi che
raccontano la storia del DNA prima della
nascita dell’uomo. Ad esempio , la storia del
cromosoma Y e la nascita del sesso
maschile umano.
Storia di Y, il cromosoma maschile
I cromosomi X ed Y sono derivati da
una coppia di cromosomi autosomici (non
sessuali) durante l’evoluzione del sesso. Dal
momento che X poteva scambiare regioni di
cromosoma con l’altro cromosoma X
(ricombinazione meiotica), i geni sul
cromosoma X si sono mantenuti intatti e
funzionanti, perche’ lo scambio puo
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correggere eventuali errori. Y che non
poteva scambiare con nessun altro
cromosoma, ha perso a poco a poco tutti i
geni funzionanti ed ha mantenuto solo
quelli che specificano il sesso maschile (es.
quelli coinvolti nella spermatogenesi).
Questi geni sono stati conservati e
migliorati dalla evoluzione nel corso del
tempo. L’effetto pratico piu rilevante di
questa storia e’:1 la possibilita’ di
conoscere i geni importanti per la
spermatogenesi; 2. si possono adesso
identificare geni alterati in casi di sterilita’
ed impotenza; 3. la campionatura delle
sequenze di X e Y insieme permettera’ di
capire le differenze fondamentali e le
somiglianze tra uomo e donna.
Malattie dell’uomo : fotografie ad alta
risoluzione
Il catalogo delle pagine iniziali del
libro della vita si sta arricchendo di mese in
mese : sono state pubblicate le pagine del
cromosomi, 1, 6, 21, 22, X eY. La
possibilita’ di leggere le singole lettere del
DNA e di tutti I geni umani ha stimolato una
serie di rivoluzioni tecnologiche, tuttora in
corso, che danno la possibilita’ di scattare
fotografie ad alta risoluzione sia dei geni
presenti in un individuo sia di particolari
geni espressi. Questo e’ importante perche
I geni ereditati dal papà e dalla mamma
vengono selettivamente espressi nei
diversi tessuti (cervello, stomaco,
muscoli), nelle diverse eta’ (giovani e
vecchi), nelle diverse esperienze della
vita (alimentazione, esercizio fisico,
abitudini etc.) e nelle circa 8000 malattie
dell’uomo. Oggi si cominciano a fare
fotografie dell’insieme dei geni e dei loro
prodotti (RNA e proteine ) e queste foto
stanno cambiando radicalmente la
comprensione, la diagnosi e terapie di
malattie socialmente rilevanti. Le foto dei
geni si possono fare direttamente mediante
i SNP (snip), che sono delle lettere che
cambiano frequentemente tra un individuo
ed un altro oppure indirettamente
analizzando gli RNA o le proteine
sintetizzate da cellule dell’individuo. Gli SNP
sono dei marcatori lungo il DNA che
possono essere utilizzati per delimitare geni
che danno suscettibilita’ ad una
particolare malattia.
Malattie cardiovascolari
Abbiamo imparato che nella malattia
cardiovascolari monogeniche lo studio della
genomica ha fornito importanti informazioni
nelle ipercolesterolemia familiari, nella
cardiomiopatia ipertrofica familiare,
soprattutto per quanto riguarda la
patogenesi dell'ipertrofia miocardica, nella
sindrome del QT lungo familiare dove ha
permesso di capire i meccanismi della
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disfunzione dei canali ionici ed il nesso con
le aritmie, nel fattore V di Leiden legato alla
trombosi venosa.
Oggi si possono identificare
preventivamente individui portatori di
mutazioni in un gene espresso nel cuore
che quando alterato puo condurre alla
morte improvvisa (Q-T lungo). In questo
modo preventivamente, questi individui
possono essere seguiti e curati. Si puo fare
al stessa cosa con malattie tipo ipertrofie
del cuore dove si possono individuare le
alterazioni dei geni coinvolti e cosi ritardare
la comparsa della insufficienza cardiaca.
Cosi come sono stati identificati dei geni la
cui attivazione comporta una ipertrofia
benigna (esercizio fisico), mentre altri
portano alla ipertrofia maligna del cuore
(ipertensione e scompenso). E’ in fase
avanzata l’analisi di tutte le proteine che si
possono trovare nel siero di pazienti che
hanno subito o sono a rischio di infarto.
Questa analisi, detta proteomica,
consentirebbe se validata di identificare
marcatori predittivi sicuri di rischio.
Tumori
La diagnosi e la terapia dei tumori e’
stata rivoluzionata dalla conoscenza della
sequenza del genoma. Si fanno gia
fotografie ad alta risoluzione dei geni e dei
loro prodotti in vari tipi di tumori
(mammella,polmone, stomaco, prostata).
Anche se non sono stati trovati marcatori
specifici di tumori, comuni in diversi
individui, sono state identificati gruppi di
geni che indicano la aggressivita’ in termini
di metastasi e la sensibilita’ alla terapia del
tumore. Per esempio, nel caso di tumori
inizialmente poco diffusi che esprimono
questi geni, ci si orienta per trattamenti piu
radicali, evitando cosi inaspettate
complicanze a distanza.
Malattie metaboliche
Sono stati trovati nuovi geni per
vecchie malattie, tipo ittero (Crigler-Najiar)
degli amish e mennoniti in Pennsylvania
USA oppure vecchi geni per vecchie
malattie, quali il recettore dell’insulina per
alcune forma di diabete. In alcuni casi la
terapia genica, sostituzione del gene rotto
con una copia nuova, ha avuto successo
(immunodeficienze o ittero come sopra) in
altri invece ha riservato delle brutte
sorprese.
C’e’ un fermento di attivita’ sia nei
laboratori che nelle cliniche per la
identificazione di SNP che marcano
suscettibilita’ al diabete, ipertensione,
complicanze aterosclerosi o malattie
autoimmuni. In alcuni casi si procede alla
genotipizzazione di intere popolazioni, come
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nel caso dell’Islanda per scoprire geni
legate a patologie complesse.
Malattie neurodegenerative
Grossi progressi sono stati fatti nella
identificazione di geni responsabili della
malattie di Alzheimer, Parkinson, epilessia.
In molti casi, i geni sono stati identificati,
manca pero la possibilita’ immediate della
terapia sostitutiva, perche il cervello non si
presta a questa operazione.
Nell’immediato futuro sara’ possible fare la
mappa del genoma individuale con poca
spesa. La conoscenza di noi stessi
aumentera’ e forse anche la saggezza.
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GENI, DIETA E ARTERIOSCLEROSI: IL FUTURO È GIÀ ARRIVATO?
Gabriele Riccardi
Professore di Endocrinologia- Malattie del Metabolismo Università degli Studi di Napoli Federico II
Dopo la fine della seconda guerra
mondiale, il nostro paese (come molti altri
paesi europei) si è lasciato alle spalle fame
e stenti ed è andato incontro a un periodo
di sviluppo economico che ha cambiato in
maniera radicale le nostre abitudini di vita.
Il benessere ha consentito quasi a tutti
libero accesso al cibo e una notevole
riduzione della fatica fisica per
procurarselo; a distanza di alcuni decenni,
le malattie del benessere (obesità, diabete,
arteriosclerosi, cancro, ipercolesterolemia,
ipertensione, etc) si sono diffuse nella
popolazione in forma epidemica. Lo stesso
fenomeno si è manifestato, qualche decade
dopo, nei paesi in via di sviluppo, per i quali
la condizione sociale si era andata
modificando più tardi.
Per queste malattie, la cui origine è
strettamente connessa alle abitudini di vita,
la genetica non è priva di importanza,
anche se in un contesto “multifattoriale”
(non c’è una sola causa, ma più cause
concomitanti); questo spiega perché alcuni
individui si mantengono perfettamente sani
nonostante la vita sedentaria e
un’alimentazione ricca ed abbondante,
mentre altri sviluppano alterazioni
metaboliche anche per minime deviazioni
da un sano stile di vita. La “nutrigenomica”
è quella nuova branca della genetica che si
interessa degli effetti combinati di geni e
fattori nutrizionali sullo sviluppo di malattie.
In pochi anni i progressi di questa disciplina
sono stati enormi e maggiori traguardi sono
raggiungibili nei prossimi anni.
E’ noto che alcuni geni sono presenti
nella popolazione in forma “polimorfica”,
ossia con un’elevata variabilità tra gli
individui che non comporta, però, di per se,
conseguenze rilevanti sullo stato di salute
(è questo il caso, ad esempio, dei geni che
regolano i gruppi sanguigni). Anche il gene
dell’Apo E, che regola la sintesi di una
proteina che partecipa al trasporto di
colesterolo nel sangue, è polimorfico: esso
ha tre varianti (chiamate rispettivamente
Apo E 2, 3 e 4) che condizionano un diverso
impatto della dieta sul rischio di
arteriosclerosi; in particolare, la variante
Apo E 4 si associa con una spiccata
sensibilità a sviluppare livelli elevati di
colesterolo in presenza di un’alimentazione
ricca in colesterolo e, quindi, predispone
allo sviluppo di arteriosclerosi in individui
sottoposti alla dieta tipica dei paesi ricchi. Il
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risvolto della medaglia è che questi
individui, proprio perché più sensibili alla
dieta, ottengono risultati più marcati
quando modificano le loro abitudini
alimentari riducendo i grassi e il colesterolo
della dieta.
L’aumentata suscettibilità alla dieta
dei portatori di Apo E 4 si manifesta anche
in relazione alla glicemia e, quindi, al
diabete, anch’esso associato ad aumentato
rischio di arteriosclerosi; infatti, se
sviluppano obesità, le persone con questa
variante vedono aumentare la loro glicemia
molto di più di coloro che hanno le altre
varianti polimorfiche di questo gene (Apo E
2 e 3). D’altra parte, se riescono a perdere
peso (modificando opportunamente le loro
abitudini di vita), ottengono una riduzione
più marcata della glicemia.
Anche lo sviluppo della malattia di
Alzheimer, caratterizzata da gravi disturbi
della memoria e, più in generale, da declino
cognitivo, è più frequente nei portatori di
Apo E 4, particolarmente se sono presenti
valori elevati della pressione arteriosa;
ancora una volta, però, l’eccesso di rischio
è completamente azzerato se il controllo
della pressione è ottimale.
Ci sono, quindi, sufficienti motivi per
proporre una valutazione dei polimorfismi
del gene dell’Apo E negli individui ad alto
rischio per arteriosclerosi. Questo
consentirebbe di individuare coloro che
potrebbero massimamente beneficiare di un
intervento preventivo basato su modifiche
dello stile di vita; d’altra parte, la
consapevolezza di avere una specifica
suscettibilità genetica ai fattori nutrizionali
avrebbe sicuramente un impatto positivo
sulla motivazione a intraprendere una dieta
che, indubbiamente, richiede costanza e
determinazione.
L’evidenza di questo intreccio tra
geni e nutrizione si sta allargando anche ad
altre malattie metaboliche; questo ci
consentirà, in un futuro non lontano, un
approccio personalizzato alla prevenzione e
alla cura delle malattie mediante interventi
nutrizionali.
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IL GENOMA NON E’ SOLO L’INSIEME
DEI GENI
Luigi Lania
Professore di Genetica Università degli Studi di Napoli Federico II
Sono passati solo cinquanta anni
dalla scoperta della struttura del DNA e
circa lo stesso tempo dalla determinazione
del numero dei cromosomi dell’uomo. Oggi
il patrimonio genetico dell’uomo è noto, è
stata decifrata la sequenza del DNA di tutti i
cromosomi umani. La sfida adesso è la
comprensione della lingua, che significa
scoprirne le regole della grammatica e della
sintassi. La situazione della biologia, oggi,
ricorda quella della chimica del XIX secolo. I
geni umani rappresentano nella ricerca
biologica gli elementi della ‘tavola periodica
della biologia’; così come la chimica usa la
tavola periodica degli elementi per capire la
natura dei composti chimici, la biologia
dovrà utilizzare la conoscenza di un genoma
per individuare i geni responsabili di un
dato processo biologico. La determinazione
di circa 3 miliardi di lettere (nucleotidi) del
nostro genoma è quindi stata archiviata..
Vanno ora individuate e sviluppate le
strategie culturali e metodologiche per
sfruttare in maniera ottimale l’enorme mole
di dati in nostro possesso. La genetica del
XX secolo ha sancito il ruolo fondamentale
del gene, definito come un elemento
discreto del genoma in grado di istruire in
maniera non ambigua la formazione di una
catena proteica e quindi di una funzione.
Tuttavia solo una piccola parte del genoma
umano è costituito da geni identificabili, si
rende opportuno quindi un progetto
culturale in grado di spiegare come con
circa 20.000 – 40.000 geni e con tanto DNA
non codificante si possa modellare una
struttura complessa come l’uomo. Una
caratteristica del genoma umano è il
‘paesaggio’ complessivo, in cui si alternano
regioni ricche di geni ad altre che ne sono
quasi sprovviste. Come spiega uno dei padri
della genomica, F. S. Collins, ci sono regioni
simili a grandi metropoli, con grattacieli di
geni ammassati uno sull’altro, e poi vasti
deserti dove non sembra esserci nulla. Una
domanda basilare della biologia moderna è
se il genoma di una specie è la semplice
somma dei geni che lo compongono.
Sappiamo che i geni umani sono
molto simili a quelli della scimmia o del
topo: l’unicità di una specie non è
imputabile ai geni di per se, ma a come gli
stessi geni sono regolati e organizzati nel
genoma. In altre parole, è il loro
programma di funzionamento che
determina il risultato finale. In estrema
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sintesi il genoma è composto da due tipi di
geni, quelli che codificano per una proteina,
e quelli che ne regolano il livello di
espressione, nel tempo e nello spazio. A
questo network di geni bisogna aggiungere
altri livelli di controllo, la recente scoperta
di piccoli RNA (microRNA) in grado di
regolare l’espressione di geni in risposta a
stimoli ambientali. Questi geni erano
sfuggiti al rilevamento perché i programmi
bioinformatici per l’analisi delle sequenze
genomiche non erano stati istruiti per la
ricerca di questo insolito tipo di gene, il cui
prodotto finale è un RNA anziché una
proteina. Infine è da considerare il ruolo del
livello ‘epigenetico’ di controllo. I segnali
epigenetici non alterano il DNA, pur tuttavia
influenzano drasticamente le caratteristiche
di un organismo. Resta da decifrare i
meccanismi attraverso cui questi segnali
interagiscono con il genoma stesso. In base
alle nostre conoscenze appare più
opportuno considerare il genoma come dato
primario e i geni come elementi costituenti
il genoma stesso. In altre parole per quanto
riguarda la specificità di specie è
certamente più adeguato parlare di un
genoma umano, ma non di geni
propriamente umani. Secondo Collins i
ricercatori dovranno ripensare la biologia
considerando il genoma come un tutt’uno,
ad esempio studiando l’espressione in una
cellula di tutti i geni contemporaneamente.
E così anche le proteine, i prodotti dei geni,
sviluppando la cosiddetta proteomica, un
nuovo campo di ricerca oggi in grande
sviluppo. La proteomica studierà le
proprietà delle proteine su larga scala, per
ottenere il loro profilo nei processi biologici
normali e patologici.
Lo studio di un processo biologico nell’era
post-genomica richiede l’interazione di varie
competenze scientifiche . Assisteremo alla
cooperazione tra ricercatori di campi
scientifici diversi: biologi, chimici,
informatici, fisici e matematici. Solo
l’interazione tra diversi sapere potrà dare
delle risposte significative alla ricerca
biologica. La preparazione della prossima
generazione di biologi richiederà una
riforma significativa nel tipo ed approccio
metodologico dell’insegnamento della
biologia moderna.
Lo studio del genoma risponderà a tutte le
nostre domande? Quasi certamente no.
L’ambiente, inteso anche come somma
delle esperienze individuali, come nel
passato anche nell’era post-genomica
ricoprirà un ruolo fondamentale. C.
Venders, lo scienziato che ha diretto la
ricerca privata del genoma umano,
suggerisce che il messaggio forte che
emerge dalla genomica e dalla proteomica è
che i geni non sono poi programmati in
maniera estremamente rigida, ma la loro
azione si ‘adatta’ all’ambiente. Chi cercava
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spiegazioni deterministiche per ogni minimo
evento della vita di un organismo ne resterà
deluso, e ancor più quelli che speravano
che il genoma assolvesse l’essere umano
dalle sue responsabilità personali.
Resta immutato l’insegnamento di Darwin,
l’indissolubile legame tra geni (oggi
genoma) ed ambiente, come base e motore
dello sviluppo ed evoluzione di tutti gli
organismi viventi.
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GENOMA, NATURA, TERAPIA GENICA: DOMANDE BIOETICHE
Giuseppe Acocella
Professore di Etica sociale Università di Napoli Federico II
La scoperta del codice genetico ha
sicuramente aperto nuovi sentieri alla
ricerca, ed il Progetto Genoma rende ora
possibile la conoscenza del cosiddetto
patrimonio genetico di ogni individuo, con i
vantaggi che ciò comporta a fini di cura. Il
problema etico che immediatamente però si
è posto (trascurando in questa sede le
questioni relative alla riservatezza e alla
privacy, che inevitabilmente insorgono
quando la ricerca smuove capitali ingenti e
giri di affari colossali) riguarda gli
interrogativi che investono la sua
applicazione “terapeutica”, che coinvolgono
aspetti filosofici rilevanti. E’ stato
giustamente scritto che <<non vi è dubbio
che la comprensione della natura dell’uomo,
della sua origine e del suo futuro, trarrà
molto vantaggio da questo genere di
studi>> (P. Vezzosi – A. Frattini – S.
Faranda, Dieci anni di progetto Genoma, in
<<Le Scienze Quaderni>>, marzo 1998,
pp. 3-12), ma il problema sta proprio nel
rischio di fraintendimento del significato di
conoscenza della natura umana, da cui
deriverebbe la conclusione che l’unico
discorso possibile sull’uomo (e quindi anche
l’unica etica) sarebbe quello che comporta
la capacità della scienza di ottenere
risultati, quali che siano, tanto più che il
peso inevitabile degli interessi economici
tenderebbe tanto più ad escludere ogni
turbativa proveniente dai dilemmi etici.
Come è stato notato, <<soltanto
qualora si intendesse il termine natura
umana in un’accezione biologica potremmo
dire che con la scoperta del DNA abbiamo
aperto nuove conoscenze sulla natura
umana>>, ma ciò significherebbe che
proprio chi affermasse che <<tutto quanto
possiamo sapere sull’uomo (cioè sulla sua
natura) passa attraverso le conoscenze
biologiche>> (A. Pessina, L’uomo
sperimentale, Milano, B. Mondatori, 1999),
chiarirebbe la sua evidente opzione per una
filosofia positivista, deterministica, che
finirebbe - restringendo in ambiti assai
angusti la portata filosofica del problema –
per negare sia il superamento delle
concezioni arcaiche della natura, quanto la
moderna acquisizione di quello che Pietro
Piovani definiva “giusnaturalismo moderno
senza natura” (G. Acocella, Elementi di
bioetica sociale, Napoli, ESI, 1998). Su
queste premesse occorre fondare la
valutazione delle terapie geniche: l’obiettivo
di risanare le infermità ha indotto la scienza
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ad intervenire sulla natura biologica
dell’uomo, malata, alterata, imperfetta.
Ogni azione destinata a ripristinare la salute
compromessa, in vista della dignità
dell’esistere, va valutata come eticamente
positiva, a patto che non comporti pratiche
in grado di comprometterne la stessa
finalità.
Infatti va tenuta costantemente
presente l’insidia che si cela nella terapia
genica, la quale deve necessariamente
operare avendo presente il modello di
natura, o addirittura di perfezione, che si
intende ripristinare. Ma a quale modello ci
si riferirà, su quale limite verrà fissata la
soglia della sanità o anche del desiderio
della perfezione (che può sconfinare nella
mera vanità), giudicando imperfetti, tarati,
coloro che fossero al di sotto di quella
soglia stabilita? E poi, stabilita con
precisione da chi ? Se l’eugenetica non può
fare a meno di ipotizzare un modello di
natura umana (la razza ariana, per
esempio, o la popolazione di “tipo A” della
socialdemocrazia svedese dopo il 1935 ?),
come è storicamente accaduto, il rischio è
che la libera ricerca, privata di interrogativi
etici, finisca per accreditare tutto ciò che
viene sperimentato (anche quando la
ricerca non sia libera da condizionamenti
politici o economici). La <<comprensione
della natura dell’uomo>> sarebbe così
sostituita dalla sua manipolazione, perché
la scienza finirebbe per imporre una propria
idea dell’uomo e della sua natura, non
tenendo conto nemmeno del “principio di
precauzione”. Una repubblica “platonica” in
cui comandassero, invece che i filosofi, gli
scienziati, e questi fossero insofferenti alle
domande etiche che impone la tutela della
condizione umana (alla quale anche la
scienza è soggetta, come ogni azione
terapeutica), liquiderebbe l’ansia di verità
che motiva la ricerca veramente libera, la
quale non può mai disattendere il rispetto
della dignità e della vita umana.
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PROTEINE: LE MOLECOLE PIU’ VERSATILI
Filiberto Cimino
Professore di Biochimica Università degli Studi di Napoli Federico II
Nella letteratura della Grecia antica si trova
traccia di un personaggio abbastanza
intrigante, Proteus. Era una divinità marina
con la capacità di assumere qualsiasi
forma: uomo, animale, pianta o anche
fuoco, acqua o terra. Un’immagine
particolarmente adatta oggi a definire una
classe di molecole biologiche, la cui
caratteristica è proprio la versatilità e che,
non a caso, si chiamano Proteine. Si
trasformano, sanno fare di tutto e tutto
quello che fanno le nostre cellule non è
altro che il risultato di funzioni di specifiche
proteine.
Di dimensioni molto variabili, queste
macromolecole sono una sequenza,
apparentemente bizzarra, di centinaia e
centinaia di molecole più piccole, gli
aminoacidi. Le peculiarità chimiche degli
aminoacidi e dei legami che li tengono
insieme, ma soprattutto l’ordine con cui essi
si succedono l’uno dopo l’altro nella
macromolecola, determinano la forma
tridimensionale che ogni proteina assume.
Uno specifico DNA detta le “regole”: è da lì
infatti che la cellula attinge l’informazione
sull’ordine da dare ai singoli aminoacidi. Ed
è così che nelle nostre cellule esistono
decine di migliaia di proteine, ciascuna con
una propria forma (nonostante siano tutte
costruite con gli stessi venti tipi di
aminoacidi) che consente alla molecola di
svolgere una determinata funzione.
Proviamo a fare alcuni esempi.
Digeriamo gli alimenti, respiriamo
consumando l’ossigeno presente nell’aria,
ingrassiamo mangiando troppi dolci: tutto
ciò si verifica perché nelle nostre cellule
avvengono migliaia di reazioni chimiche,
ciascuna catalizzata da una specifica
proteina chiamata enzima. E, ancora, la
nostra capacità di “difenderci” da microbi o
da altri elementi nocivi dell’ambiente è
riconducibile anch’essa alle proteine: gli
anticorpi sono infatti proteine. Straordinaria
poi è la capacità delle proteine di cambiare
forma acquisendo in tal modo una funzione.
Un muscolo che si contrae infatti è la
conseguenza macroscopica del
cambiamento di forma di miliardi di
molecole di una proteina chiamata miosina,
disposte in maniera ordinata lungo l’asse
delle cellule del muscolo. Pensiamo inoltre a
quante molecole devono entrare e uscire
dalle nostre cellule: ciò avviene perchè
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un’infinità di proteine “trasportatrici”
cambiano forma, aprendosi e chiudendosi
come porte girevoli e facendo così passare
in maniera selettiva solo ciò per cui sono
state disegnate. L’elenco delle funzioni
svolte dalle proteine è lunghissimo. Oggi le
proteine che ancora non conosciamo o la
cui funzione non ci è ancora nota sono
probabilmente molto più numerose di quelle
di cui possiamo già ammirare l’abilità. Da
qualche tempo una nuova disciplina, la
proteomica, insieme alla genomica, sta
fornendo nuove e numerose conoscenze
non solo sulle funzioni svolte dalle proteine,
ma anche sulle loro alterazioni che sono alla
base di tante malattie.
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BIOMATEMATICA
Paolo Fergola
Professore di Fisica matematica Università degli Studi di Napoli Federico II
Per molto tempo la ricerca biologica
ha usato della matematica solo i metodi
statistici per il trattamento dei dati
sperimentali.
I modelli maltusiano, logistico e quello
preda-predatore di Vito Volterra sono i
prototipi dei modelli matematici della
dinamica delle popolazioni, che costituisce
un capitolo classico della moderna
biomatematica. Con il suo modello, che
rappresenta l’interazione tra due specie
delle quali l’una (la preda) costituisce il cibo
dell’altra (predatore), Volterra riuscì a
spiegare perché la diminuzione dell’attività
di pesca nell’Adriatico, nel periodo della
prima guerra mondiale, aveva modificato
l’equilibrio tra pesci preda e pesci predatore
a vantaggio di questi ultimi.
Da allora le modellizzazioni
matematiche sono applicate con successo
non solo alla dinamica delle popolazioni in
ecologia (ripopolamento territoriale dei lupi
e sopravvivenza dei cervi) ma anche alla
ecotossicologia (competizioni tra
microrganismi geneticamente modificati e
naturali in presenza di inquinanti esterni,
competizioni allelopatiche tra specie
batteriche o algali) alla epidemiologia
(diffusione geografica e controllo di malattie
come l’AIDS o la SARS) nonché a complessi
problemi di molte scienze biomediche (ciclo
del glucosio, formazione delle reti vascolari,
crescita e controllo dei tumori,
cicatrizzazione delle ferite).
Lungi dal descrivere compiutamente
i processi biologici, i modelli matematici
rappresentano un ulteriore strumento di
indagine che ne facilita la comprensione, sia
attraverso l’individuazione dei parametri e
delle variabili essenziali da usarsi nella
modellizzazione, sia nel fornire previsioni,
sia, infine, nel suggerire nuovi esperimenti
che ne confermino o ne smentiscano la
validità.
La natura del processo che
rappresenta ed il livello di approssimazione
prescelto determinano poi le caratteristiche
del modello che è spesso costituito da
sistemi di equazioni differenziali ordinarie,
alle derivate parziali o funzionali. Saranno
quindi i metodi propri dell’analisi
matematica, dell’analisi qualitativa (nella
quale gioca un ruolo rilevante la teoria della
stabilità di Liapunov) e delle tecniche di
simulazione numerica a consentirne uno
studio adeguato.
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La biomatematica appare oggi una
scienza interdisciplinare per eccellenza, in
cui la matematica trae nuove sfide e
sollecitazioni dalla fenomenologia biologica
e la biologia trae dalla matematica nuovi
spunti di sperimentazione e di
organizzazione logica delle proprie
conoscenze.
Closterium
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LA BIOINFORMATICA: UNA PROSPETTIVA INNOVATIVA NELLA RICERCA BIOLOGICA
Maria Luisa Chiusano
Ricercatore di Biologia molecolare Università degli Studi di Napoli Federico II
Con l’obiettivo di organizzare i dati
relativi a strutture molecolari prodotti in
gran quantità grazie allo sviluppo di
tecnologie sperimentali innovative e alla
realizzazione di progetti internazionali tesi
alla caratterizzazione dell’informazione
genetica e della sua espressione in molti
organismi, la Bioinformatica si occupa di
sviluppare banche dati informatizzate e
software idonei per l’analisi dei dati
biologici.
Attraverso analisi sui dati, in questo
settore della ricerca biologica si mira ad
evidenziare proprietà strutturali, funzionali
ed evolutive delle molecole e degli
organismi cui esse appartengono, rivelando
complessizzazioni non rilevabili dallo studio
dei singoli sistemi. Basandosi sull’ipotesi
che specifiche strutture presiedono a
specifiche funzioni, che strutture simili
presiedono a funzioni simili, che strutture
conservate nell’evoluzione presiedono a
funzionalità rilevanti, grazie al supporto di
analisi comparative si vuole comprendere
come genomi con i medesimi costituenti di
base determinino esseri viventi con
organizzazioni totalmente differenti, ad
esempio unicellulari o multicellulari, o come
cellule di uno stesso organismo, con lo
stesso genoma, possano presentarsi con
struttura e funzionalità diverse a seconda
del compartimento cellulare o dello stadio di
sviluppo, o, inoltre, come variazioni anche
di un singolo nucleotide nel genoma
possano causare patologie anche molto
serie.
La Bioinformatica, pertanto,
contribuisce alla ricerca Biologica con
metodologie adatte alla raccolta di
quantitativi enormi di dati, permettendo la
rappresentazione ed il riconoscimento di
relazioni note grazie alle caratteristiche
delle tecnologie utilizzate, ma, soprattutto,
per consentire l’interpretazione di
informazioni ancora sconosciute e la
formulazione di modelli per predizioni
strutturali e funzionali di sistemi biologici
complessi, come riferimento per
progettazioni sperimentali anche con
l’obiettivo ambizioso di simulare sistemi
viventi in silico.
In definitiva, la ricerca in
Bioinformatica, avvalendosi dei progressi
delle Scienze Computazionali e della
Biologia Sperimentale, si caratterizza per
contribuire al miglioramento delle
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conoscenze dei fenomeni biologici,
adeguandosi alle sfide attuali e
preparandosi a quelle future nell’ambito
della ricerca nelle Scienze della Vita.
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L’INNOVAZIONE DELLE TECNOLOGIE PER IMMAGINI DAL MACRO AL MICRO NELL’ERA POSTGENOMICA
Marcello Bracale
Professore di Bioingegneria, Università degli Studi di Napoli Federico II.
Le osservazioni morfologiche hanno
guidato il corso della Biologia fin da quando
il primo microscopio fu costruito nel lontano
16mo secolo. Oggi si parla di imaging
molecolare. Esso è una disciplina di ricerca
rapidamente crescente che estende quelle
osservazioni nei soggetti viventi ad una
dimensione molto più “microscopica” e di
gran lunga più significativa.Esso può essere
definito come una rappresentazione visiva,
una caratterizzazione ed una quantificazione
dei processi biologici a livello cellulare e
subcellulare negli organismi integri viventi.
Esso è un nuovo campo
multidisciplinare nel quale le immagini
prodotte riflettono i legami ed i percorsi
molecolari e cellulari ed i meccanismi in vivo
della patologia presente nel contesto degli
ambienti fisiologicamente autentici. Il
termine “imaging molecolare” significa la
convergenza di tecniche multiple di cattura
di immagini, di biologia cellulare e
molecolare attraverso conoscenze di
chimica, di medicina, di farmacologia,di
bioingegneria, di bioinformatica in nuovo
paradigma dell’imaging stesso.
Le attuali tecnologie per immagini
sono legate essenzialmente alla
visualizzazione di modificazioni
macroscopiche non specifiche, fisiche,
fisiologiche, metaboliche, che differenziano
il tessuto patologico da quello normale,
piuttosto che identificare gli eventi (cioè
l’espressione genetica) responsabili della
malattia. L’imaging molecolare invece
utilizza specifici “probes” molecolari come
sorgente per avere il contrasto di immagini.
Questo cambiamento da un
approccio non specifico ad uno “specifico”
rappresenta un salto diagnostico importante
e significativo, l’impatto del quale è che
l’imaging potrà fornire il potenziale per
comprendere l’integrazione biologica, per un
precoce rilievo e caratterizzazione della
malattia ed una valutazione del trattamento
terapeutico.L’imaging molecolare ha le sue
radici nella medicina nucleare, utilizzando
adeguati traccianti radioattivi in relazione
alle tecnologie di immagini impiegate.
Vengono in particolare utilizzate la PET e la
SPECT.
Ma anche altre tecnologie sono
impiegate, quali ad esempio la microscopia
a fluorescenza, gli ultrasuoni con l’utilizzo di
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opportuni mezzi contrastografici; la
Tomografia Computerizzata CT a raggi X
sempre più “monocromatici”, la Risonanza
Magnetica RM.Tutte queste terminologie
sono ben note anche al grande pubblico e
rappresentano tecnologie in continua
evoluzione per migliorare la risoluzione e la
efficacia diagnostica applicata ai macro
sistemi fisiopatologici. Gli obiettivi di questi
sforzi sono quelli non di ottenere immagini
fini a sè stesse, ma strettamente legate ai
quesiti ed ai problemi irrisolti biologici e
medici .In tutte le parti del mondo si stanno
effettuando grossi investimenti finanziari
per sviluppare programmi di ricerca nel
settore.
Numerose autorità politiche europee
e mondiali stanno mettendo in atto
programmi di ricerca internazionali nel
settore della biologia molecolare e della
genomica.Lo scorso anno anche importanti
aziende dell’imaging sono scese
pesantemente in campo come la General
Electric Healthcare, nata dalla acquisizione
per 9,5 miliardi di dollari della britannica
Amersharm Biosciences, leader storico di
reagenti e mezzi di contrasto, da parte della
General Electric Medical Systems (GEMS), il
gigante statunitense dell’imaging medicale.
La motivazione di tale operazione è
stata principalmente accesa dalla medesima
filosofia delle due Aziende su come è
destinata ad evolvere la Medicina.
Diagnostica e terapia saranno definite a
livello molecolare ed il peso della tecnologia
e della genomica è destinato a crescere in
tutto il mondo. Ma se questi sono gli sforzi
volti a “vedere” e studiare i meccanismi
delle microstrutture viventi, non vengono
affatto tralasciati quelli volti a studiare la
“funzionalità” di macrosistemi viventi e di
tutti gli organi, indagando su come la
patologia, anche a livello “iniziale”, ne
modifica la funzionalità.
Da tutti questi sforzi congiunti che
vede uniti Biologi, Medici, Bioingegneri,
Biofisici, Biomatematici e tante altre
professionalità si ha motivo di ritenere che
in breve tempo il famoso homunculus di
Penfield e di Rasmussen, che si ritrova nei
testi di neuroanotomia funzionale,dovrà
essere ridisegnato e malattie terribili
derivanti dall’invecchiamento precoce
cellulare con le drammatiche evoluzioni
degenerative cellulari tipiche dell’Alzheimer
potranno essere inquadrate e diagnosticate
prima dell’insorgenza dei sintomi.La
medicina dei prossimi anni si accompagnerà
sempre di più a due aggettivi chiave:
preventiva e precoce.
Siamo forse già nell’era
“postgenomica”. Questa è la nostra
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speranza che deve alimentare con continuità la ricerca inter e multidisciplinare.
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RUSELLA 'E MAGGIO
Quanno staje fore a 'sta loggia,
sott'a stu bellu grillaggio,
fresca, accussí, leggia leggia,
si' na rusélla 'e m aggio.
Si è triste, 'o cielo, se schiara,
cchiù prufum ate só' 'e sciure,
ll'aucielle cantano a coro
m entr'io suspiro:
Rusélla 'e m aggio m ia,
rusélla 'e m aggio...
Tu si' caduta 'a cielo 'ncopp'a 'sta loggia...
Te vasa 'nfronte 'o sole cu 'o m eglio raggio...
Rusélla 'e m aggio m ia,
rusélla 'e m aggio!
II
Quanno po' cuse io m m e 'ncanto:
sti m m ane toje tengo m ente...
Pare che 'a sott'a sti punte,
proprio nu sciore sponta!
Tanno, 'a te voglio na cosa:
pe' m m e fá jí 'm paraviso:
ca nu ricam o cianciuso
m m e faje cu 'e vase...
Rusélla 'e m aggio m ia,
rusélla 'e m aggio...
....................
III
E si cantá po' te fanno,
'o viento passa e, sentenno,
com m 'a na radio, p''o m unno,
'sta bella voce spanne...
Corre p''e m onte e p''o m are
e, doce, va p'ògne core,
purtanno gioje e suspire
d''a prim m avera...
Rusélla 'e m aggio m ia,
rusélla 'e m aggio...
....................
(Trusiano – Cannio)
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MUSICA E SCIENZA
E’ ancora ammissibile il dubbio in merito alla relazione mente-corpo? E’ ancora legittimo (se lo è mai stato) nutrire qualche perplessità sull’azione di profondo condizionamento che la prima ha sul secondo? La risposta, appare ragionevolmente univoca: no. E non occorre certo essere scienziati per saperlo. E qual è, invece, il ruolo che la musica ha sull’animo dell’individuo sensibile? Chiedetelo ad un ragazzino, che nell’inferno blindato della propria stanza fa a cazzotti con se stesso, dopo una lite adolescenziale, fustigandosi con le chitarre distorte del rock più assordante. Chiedetelo a chi, col cuore infranto, si lascia andare al sentimentalismo lacrimevole di certi artisti più dolci delle meringhe (e passi pure, fino a una certa età va bene pure quello). Chiedetelo - in senso figurato, è ovvio - a Jack Kerouac, avrete la risposta sulle pagine del suo libro più famoso. E chiedetelo anche a chi, con gli anni, dopo urti e acciacchi vari si è un po’ indurito nella scorza, ma ancora va ai concerti quando il tempo lo permette.
Anche qui, la risposta si innalzerà a furor di popolo. La musica ci fa stare bene, ci fa stare male, alla musica ricorriamo quando stiamo bene, o quando stiamo male (o anche, come direbbe uno dei nostri pregiati cantanti, “quando siamo medi”). Arriviamoci quindi transitivamente: se la musica agisce con determinazione sugli stati d’animo, va da sé che ciò accada anche per l’organismo. Non a caso, i centri che praticano musicoterapia si moltiplicano rapidamente (che poi, per i fondi destinati allo spettacolo il discorso s’inverta, è un’altra storia...). Il jazz, dal canto suo, si pone come istanza particolarmente vicina all’uomo. Perché è una musica imperfetta, come l’uomo, perché non sta mai “al centro del beat” (e che Dio ce ne scampi...), ma sempre un po’ avanti, o un po’ indietro. Perché spesso è un po’ stonata, e va bene così, perché è “portatile”, improvvisata, e si autocita prendendosi in giro. E noi, ovviamente, siamo più disposti a farci coccolare da chi ci capisce, malandato come noi, da chi non aspira all’inumana perfezione, eppure è perfetto. Ci insegna, la musica afroamericana, che anche “sbagliando” si creano capolavori (qualcuno si azzardi a cambiare una sola nota del tema “sbagliato” di So What, in Kind Of Blue), e che le cose migliori escono fuori quando ci si accetta, quando anche sfidando i propri limiti, si inserisce l’inesattezza come variabile (o forse sarebbe meglio dire costante) nel computo totale. La componente aleatoria della musica sincopata - che tra le altre cose risente degli accidenti, e addirittura si modella in base a essi, agli sbalzi umorali e alla volubilità emotiva dei singoli - parlando quindi di genoma, si inserisce nella mappatura dell’idioma musicale come vizio perenne, incurabile e inalienabile.
Preclude, al jazz, una perfezione mai ricercata, rivestendolo al contempo della magnifica sembianza umana.
(Stefano Piedimonte) Programma musicale
ADAM’S APPLE (Wayne Shorter) BODY AND SOUL (Johnny Green) BUT NOT FOR ME (Ira & George Gershwin) EAST OF THE SUN (Brooks Bowman) ESTATE (B. Martino) GOOD MORNING HEARTACHE (Dan Fischer – Ervin Drake) I GOT RHYTHM (George Gershwin) MY FOOLISH HEART (V. Young – N. Washington) NIGHT AND DAY (Cole Porter) OUT OF NOWHERE (Green-Heyman) SO WHAT (M. Davis) SOLID (Sonny Rollins) STELLA BY STARLIGHT (Young)WHAT’S NEW (Haggart-Burke) EVERYTHING HAPPENS TO ME (Dennis-Adair) HOW INSENSITIVE (Jobim) WENDY (P. Desmond) ALL OF ME (Simons-Marks) ONE NOTE SAMBA (Jobim) A FOGGY DAY (George Gershwin) WHEN SUNNY GET’S BLUE (Fischer- Segal)
GIULIO MARTINO sax BRUNO ROTOLI sax FLAVIO GUIDOTTI pianoforte GIOVANNI ROMEO batteria MICHELE FIORE contrabbasso
Ospite BARBARA BUONAIUTO voce solista dell’orchestra italiana di Renzo Arbore