POLITECNICO DI MILANO Polo Regionale di Como
Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale
Corso di Studi in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio
PROPOSTA D’INTERVENTO PER OTTIMIZZARE LA GESTIONE DEL
TERRITORIO MONTANO
Relatore: Prof. Alberto Bianchi
Correlatore: Dott. Geologo Sergio Chiesa
Elaborato finale di:
Marco Majori matr. 712356
A.A. 2010/2011
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“Questa l’alte cime de’ monti consuma;
questa i gran sassi discalza e remove;
questa scaccia il mare de li antichi liti, perché col portato
terreno li inalza il fondo;
questa l’alte ripe conquassa e ruina.
Nessuna fermezza in lei giammai se vede, che subito non
corrompa sua natura.
Questa co’ sua fiumi cerca delle valli ogni pendice;
e dove leva e dove pone novo terreno…”
Leonardo da Vinci
dal trattato sulle acque
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INDICE Pagina
Premessa 4
Il territorio montano 5
- Caratteristiche peculiari 5
- Il bacino idrografico 6
- Il reticolo idrico minore: 8
Legislatura di riferimento 8
Metodologia d’individuazione 9
Verifica anomalie 10
Fasce di rispetto 11
- Prevedere e prevenire i rischi: 12
Il rischio (R) 12
Prevedere 12
Prevenire 12
Principali sistemazioni idrauliche tradizionali 14
- Le piene 14
Opere di difesa 16
Opere di difesa trasversali 18
- Le briglie: 18
Classificazione briglie 18
- Briglie di consolidamento: 19
Pendenza di compensazione (ic) 22
Calcolo del numero e dell’altezza delle briglie 23
Dimensionamento idraulico 26
Dimensionamento statico 27
- Briglie di trattenuta o briglie selettive 32
- I pennelli 34
- Le soglie di fondo 37
Opere di difesa longitudinali 38
- Le difese di sponda 38
Le scogliere 38
Le arginature 39
Principali sistemazioni di versante tradizionali 44
- Le frane 44
Opere di difesa 46
- Muri di sostegno o contenimento: 47
Gabbionate 50
- Gradonamenti 51
- Ancoraggi 52
- Barriere paramassi 54
3
L’ingegneria naturalistica 57
- Tecniche di propagazione 57
- Campi d’applicazione 60
Corsi d’acqua 60
Versanti 61
Descrizione analitica delle principali opere 62
- Sistemazioni idrauliche 62
Drenaggi 62
Palificate in legname 65
Briglie in legname e pietrame 68
Terre armate e/rinforzate 69
Interventi sulla vegetazione ripariale 71
- Sistemazioni di versante 72
Interventi preparatori e fasi operative 72
Fascinata viva 74
Viminata 75
Impianto di specie arboree arbustive 77
Messa a dimora di talee 79
Grata viva 81
Graticciata 82
Palificata in legname a doppia parete 84
La formazione dei volontari 87
- Incontri di sensibilizzazione 87
- I corsi di formazione 88
- Volontari qualificati 91
Le guide alpine 91
Schede per la determinazione dello scenario di rischio 93
- Scheda di tipo 1: rivolta agli OSAM 93
- Scheda di tipo 2: relazione tecnica 99
Caso di studio A: Valle del Prete 106
Caso di studio B: Rio Solaz/Val Furner 119
Conclusione 135
Bibliografia 137
Ringraziamenti 139
4
PREMESSA
Il territorio è il patrimonio più prezioso che abbiamo ereditato. Da esso traiamo alimento,
materie prime e molti altri beni di vitale importanza. Ciò è e sarà ancora possibile solo
grazie ad un attento utilizzo delle risorse agricole, forestali, faunistiche ed ad un governo
delle acque capace di mitigare sia le conseguenze della siccità che quelle delle precipitazioni
meteoriche intense.
Il lavoro dei nostri antenati ha permesso di rendere coltivabili anche i versanti più ripidi,
realizzando sistemazioni tali da creare paesaggi agrari che tutto il mondo ci invidia.
Diversi disegni di legge prevedono che queste valenze vengano tutelate, mantenute e
conservate, ma il più delle volte gli interventi sono tardivi, se non assenti e le conseguenze
inevitabili.
Il progressivo abbandono delle zone più disagiate da parte delle nuove generazioni ha
incrementato molto l’incuria di queste delicate e fragili aree e spesso ciò è stata la causa di
molte delle cosiddette catastrofi naturali.
Le forme del territorio sono l’effetto di variegati processi nei quali l’acqua è sicuramente il
fattore dominante in grado di erodere, trasportare e deporre grandi quantità di detriti. Oltre
ai meccanismi naturali che hanno forme relativamente stabili ed in equilibrio, vi sono le
sistemazioni antropiche. Molte di queste forme non possiedono caratteristiche di durabilità
paragonabili a quelle naturali, a causa della loro vulnerabilità e/o di un inadeguato
inserimento nell’ambiente. Questo comporterebbe quindi un costante controllo,
indispensabile per avviare opere di manutenzione o rifacimento.
Il rilevamento e la messa in sicurezza delle situazioni più critiche spettano per legge ad ogni
comune. Come ottimizzare questi interventi?
La mia tesi intenderebbe proporre schede di riconoscimento delle situazioni critiche più
ricorrenti in ambiente montano ed argomenti per la creazione di corsi formativi, che
assegneranno il titolo di OPERATORE per la SICUREZZA dell’AMBIENTE MONTANO
(OSAM) ai volontari che vi parteciperanno. Tutto ciò sarà supportato nella parte finale da
due casi rappresentativi, localizzati in comuni dell’Alta Valtellina.
Tale studio s’inquadra nella gestione dei Piani Comunali di Protezione Civile, per ciò che
concerne le principali finalità: la PREVISIONE e la PREVENZIONE, aspetti spesso tenuti
in scarsa considerazione dalle amministrazioni comunali.
Questa tesi è volutamente sviluppata con un linguaggio semplice, talvolta elementare,
perché sia comprensibile a tutti, anche a chi non ha particolare dimestichezza con gli
argomenti tecnici trattati. Non dimentichiamo infatti che l’obiettivo è quello di sviluppare
un linguaggio comune, il più possibile diffuso.
Non ho avuto la pretesa di esaurire ed entrare nell’estremo dettaglio dei numerosi argomenti
trattati, pertanto certi temi potranno risultare non del tutto esaustivi.
Ritengo, tuttavia, che le indicazioni fornite possano costituire un utile ausilio, sia per le
valutazioni speditive, sia per lo sviluppo di metodologie più sofisticate.
Questo mio lavoro conclude un’importante fase della mia vita, dove le difficoltà e le
sconfitte sono state molteplici, ma pienamente ricompensate dalla certezza di aver imparato
molto, soprattutto dal punto di vista umano.
Orgoglioso di ciò che è stato fatto, ora guardo avanti fiducioso e mi auguro un domani di
poter riuscire come ingegnere, ma soprattutto come persona.
5
IL TERRITORIO MONTANO
Caratteristiche peculiari
Foto 1: Massicci rocciosi coperti da ghiacciai e nevi perenni, profonde valli, boschi di
conifere e pascoli costituiscono gli elementi peculiari del paesaggio montano.
Le Alpi costituiscono, come tutti sanno, un potente sistema montuoso ben individuato
orograficamente e geologicamente. Possiamo aggiungere che mostrano anche una generale
comunanza di aspetti fondamentali. Essa non riguarda soltanto il mondo della natura, ma
anche quello degli uomini, i quali dappertutto hanno penetrato la montagna alpina e la
popolano con densità relativamente notevole. Il fatto che questa regione montagnosa ospiti
popoli diversi passa in seconda linea rispetto a certi costanti rapporti tra l’uomo e
l’ambiente, ossia quelli che si esprimono sensibilmente nel paesaggio attraverso il modo di
abitare e le forme dell’economia agricola e pastorale, qui fortemente influenzati dai
peculiari caratteri della natura alpina.
Il primo essenziale di questi caratteri risiede nella “energia” del rilievo alpino, coi suoi forti
dislivelli e i pendii di accentuata acclività. Non meno importante è lo sviluppo di ampi
sistemi vallivi penetranti la montagna, anche nelle sezioni più elevate. Se solitamente si
pensa alle alte cime nevose, le profonde valli sono forse le maggiori protagoniste del
paesaggio alpino, considerato nell’integrità dei suoi attributi. Spetta alle valli di guidare
l’assetto del popolamento e coagulare la vita dei singoli cantoni.
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In diretto rapporto coi forti dislivelli è un aspetto generale molto importante della montagna
alpina: la successione di fasce altimetriche, diversamente caratterizzate per vegetazione,
impronta umana e forme di sfruttamento, come conseguenza di un fatto primordiale, cioè la
diminuzione della temperatura al crescere dell’altitudine. Le diverse fasce, che è possibile
vedere sopra uno stesso fianco vallivo, potrebbero essere considerate ciascuna come un
distinto paesaggio (le colture, i villaggi, il bosco, i pascoli, le rocce e le nevi), ma la loro
connessione è in realtà troppo intima per ammettere una simile distinzione.
Non di tutta, ma di grandissima parte della montagna alpina è poi il caratteristico
modellamento glaciale, dovuto all’opera dei grandi ghiacciai che a più riprese si sono
espansi durante l’era quaternaria, rispetto ai quali i ghiacciai odierni appaiono soltanto come
piccoli residui.
Altra caratteristica peculiare della montagna è la generale ricchezza d’acqua, basilare risorsa
per il rifornimento idrico e per l’odierna diffusione degli impianti idroelettrici. Infine si
notano gli alpeggi, realizzati dall’uomo, come aspetto comune della massima parte del
paesaggio alpino. La montagna è comunque sempre ben definita rispetto agli atri tipi di
paesaggio, ciò non toglie però che in una fascia ai suoi piedi, subalpina o pedemontana,
ristretta e irregolare, si sviluppino caratteri speciali, che vadano ad attenuare l’impatto del
paesaggio di montagna.
Il bacino idrografico
Il bacino idrografico è una porzione di territorio che, grazie alla conformazione della sua
superficie topografica, raccoglie le acque delle precipitazioni meteoriche, le acque di
fusione dei ghiacciai e delle nevi convogliandole, direttamente o attraverso gli affluenti,
verso un unico collettore, un impluvio, che dà origine ad un corso d’acqua.
Un bacino può essere definito, misurato e descritto una volta che sia stata scelta una sezione
di chiusura, ovvero un luogo di convergenza delle acque, ubicato lungo un impluvio,
attraverso il quale passa tutta l’acqua raccolta in superficie. Attraverso questa sezione passa
tutta l’acqua raccolta dal bacino.
A partire dalla sezione di chiusura è possibile tracciare lo spartiacque del bacino. Si tratta
della linea che collega tra loro i punti a maggiore quota e separa un bacino dall’altro.
Fig.1: Schema di bacino idrografico in tre dimensioni.
All’interno di un bacino idrografico i diversi impluvi, ruscelli, corsi d’acqua, fiumi, si
dispongono spazialmente a formare il reticolo idrografico, la cui struttura dipende da fattori
geologici e geomorfologici caratteristici di ogni bacino, come la presenza di faglie e fratture,
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la litologia del substrato e le forme che si sviluppano a seguito dell’azione dei fattori
climatici. All’interno del reticolo idrografico ogni corso d’acqua ha poi un proprio
andamento, che dipende sia dai fattori descritti in precedenza sia dalle condizioni dinamiche
del corso d’acqua stesso (portata, velocità...).
La conformazione e la struttura di un bacino non sono costanti nel tempo.
La superficie terrestre infatti è in continua evoluzione, si modifica, evolve, soprattutto in
territori geologicamente “giovani” come quelli alpini.
All’interno dei bacini si possono attivare così processi naturali che coinvolgono sia i
versanti sia i torrenti. Sono processi che hanno diverse manifestazioni, in funzione di dove
ci si trova: in zona montana o di pianura.
In ambito montano, l’instabilità dei versanti origina frane di diverso tipo; il materiale
sciolto reso disponibile dalle frane e dall’azione glaciale, in associazione all’acclività dei
versanti e alle precipitazioni alimenta il trasporto solido lungo i torrenti e ne accentua le
capacità erosive. Con il diminuire della pendenza, dai fenomeni erosivi si passa a processi di
deposizione, allagamento e tracimazione, processi caratteristici degli ambienti pianeggianti
di fondovalle.
I processi sopra descritti possono attivarsi in modo occasionale, oppure ripetersi con
caratteristiche simili ma con intensità diverse, determinando condizioni di dissesto
idrogeologico, intendendo con questo termine “qualsiasi disordine o situazione di squilibrio
che l’acqua produce nel suolo e/o nel sottosuolo” (termine istituzionalizzato in seguito alla
creazione del Gruppo Nazionale per la Difesa delle Catastrofi Idrogeologiche GNDCI nel
1984).
L’evoluzione dell’ambiente naturale, che modella la superficie terrestre, non è eliminabile.
Con essa si trova ad interagire l’uomo con le sue numerose attività: dal taglio dei boschi in
montagna, all’edificazione lungo i corsi d’acqua; dall’asportazione di materiale litoide alla
modifica dell’andamento naturale dei torrenti; dalla variazione dell’uso del suolo
all’occupazione di aree interessate dalla dinamica fluviale.
Foto2: Frana di crollo. Foto 3: Calanchi. Principalmente
dovuti all’erosione da parte
dell’acqua piovana.
8
Il reticolo idrico minore
Il Piano per l'Assetto Idrogeologico del bacino del Po (PAI) è stato approvato con il DPCM
del 24 maggio 2001 e la relativa pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell' 8 agosto. Il
Piano disciplina le azioni riguardanti la difesa idrogeologica del territorio e della rete
idrografica del bacino del Po, attraverso l'individuazione delle linee generali di assetto
idraulico ed idrogeologico. Il PAI, unico piano di bacino vigente a livello nazionale, inizia un processo di
pianificazione, in quanto sollecita la verifica del "quadro dei dissesti", ed avvia
l'adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica alle effettive
situazioni di dissesto e di rischio idraulico ed idrogeologico.
La deliberazione di adozione del PAI n. 18 del Comitato Istituzionale dell'Autorità di bacino
del fiume Po del 26 aprile 2001 ha previsto una norma transitoria che consente ai Comuni
un periodo di 18 mesi per effettuare le verifiche di compatibilità con lo stato del dissesti
idraulico ed idrogeologico del proprio territorio. Quindi, il PAI, definito come piano -
processo, lo è sia in termini di coinvolgimento di più Enti e di più livelli di strumentazione
urbanistica e territoriale al processo di aggiornamento del quadro del dissesto, sia in termini
di tempi di attuazione, anche attraverso conoscenze comuni e condivisione degli atti di
pianificazione, delle azioni e delle programmazioni.
Passando a livello Regionale, in Lombardia con deliberazione della Giunta del 25 gennaio
2002 n°7/7868 “Determinazione del reticolo idrico principale. Trasferimento delle funzioni
relative alla polizia idraulica concernenti il reticolo idrico minore, come indicato dall’art. 3
comma 114 della LR 1/2000-Determinazione dei canoni regionali di polizia idraulica” le
competenze in materia di polizia idraulica sul reticolo minore sono state trasferite dalla
regione agli Enti Locali. Successivamente tale normativa è stata integrata con la Deliberazione della Giunta
Regionale del 1 agosto 2003 n°7/13950 “Modifica della DGR 25 gennaio 2002 n°7/7868”
Tale trasferimento comporta che i comuni predispongano i necessari elaborati cartografici
con l’individuazione del reticolo minore.
Oltre a tale individuazione le municipalità dovranno dotarsi di apposito regolamento che
disciplini le attività vietate e quelle soggette ad autorizzazione all’interno di stabilite fasce
di rispetto fluviale e/o torrentizie
Legislatura di riferimento
La legge di riferimento, per ciò che concerne il reticolo idrico, è senza dubbio il Regio
Decreto numero 523 del 1904. Tale norma ha costituito il riferimento per regolamentare le
attività di polizia idraulica stabilendo, all’interno delle fasce di rispetto, le attività consentite
e quelle vietate.
La più recente Legge 5 gennaio 1994 numero 36 ha innovato il concetto di acqua pubblica
stabilendo il concetto di pubblicità di tutte le acque superficiali e sotterranee. Il recente DPR
18 febbraio 1999, numero 238, ha approvato il “Regolamento recante norme per
l’attuazione di talune disposizioni della Legge 5 gennaio 1994 numero 36, in materia di
risorse idriche”.
In particolare l’articolo 1 stabilisce che “ appartengono allo stato e fanno parte del demanio
pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o
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cisterne”. Tale disposizione (art. 1 comma 2). “ non si applica a tutte le acque piovane non
ancora convogliate in un corso d’acqua o non ancora raccolte in invasi o cisterne”.
Tale definizione è di fondamentale importanza poiché è proprio in base a questi due commi
dell’articolo 1 che potrà essere individuato il reticolo minore di competenza comunale. In
particolare all’interno di tale elenco verranno inseriti:
- i corsi d’acqua indicati come demaniali nelle carte catastali
- i corsi d’acqua oggetto di interventi con finanziamenti pubblici
- i corsi d’acqua interessati da derivazioni
- i corsi d’acqua individuati come tali nelle cartografie ufficiali (IGM, CTR)
Viceversa non verranno compresi all’interno di tale elenco, sulla base di quanto stabilito
dalla Deliberazione 4 febbraio 1977 “Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui
all’art. 2 lettere b, d ed e della Legge 10 maggio 1976 numero 319 recante norme per la
tutela delle acque dall’inquinamento”, i collettore artificiali di acque meteoriche ivi inclusi
quindi gli scorrimenti determinati dai drenaggi delle strade e piste forestali.
Infine si rammenta che, ai sensi dell’articolo 3 della Legge 5 gennaio 1994 numero 37, “se
un fiume o un torrente si forma su un nuovo letto, abbandonando l’antico, il terreno
abbandonato rimane assoggettato al regime proprio del demanio pubblico”.
Metodologia d’individuazione
Il lavoro implica una serie di passaggi che verranno di seguito esplicitati:
I FASE
1) Individuazione dei corsi d’acqua sulla cartografia ufficiale della Regione (CTR)
alla scala 1.10.000.
2) Individuazione delle aree demaniali sui differenti fogli catastali del Comune in
esame.
3) Individuazione dei corsi d’acqua oggetto di interventi pubblici.
4) Individuazione dei corsi d’acqua oggetto di derivazioni.
5) Individuazione delle aste torrentizie con pericolosità da moderata a molto elevata
sia perimetrale che non perimetrale sulla Carta dei Dissesti, ai sensi della Legge
18 maggio 1989, n°183, art. 17, comma 6 - Progetto di Piano Stralcio per l’assetto
Idrogeologico (PAI).
6) Individuazione di eventuali ulteriori aste torrentizie evidenziate sulla cartografia
Geoambientale e Geologica.
7) Individuazione dei corsi d’acqua sulla nuova cartografia a curve di livello.
II FASE
8) Sovrapposizione delle informazioni così ottenute.
9) Sopralluoghi, verifica della anomalie e correzioni cartografiche.
10) Individuazione del reticolo maggiore e del reticolo minore su CTR e su base
cartografica alla scala 1:2.000 – 1:5.000 laddove esistente.
11) Individuazione dei punti di criticità e dei tratti tombinati.
10
III FASE
12) Analisi delle caratteristiche idrologiche del territorio comunale.
13) Individuazione, con differenti metodi, delle portate idrauliche dei bacini di
maggior interesse.
14) Stima delle potenzialità relative al trasporto solido dei bacini di maggior
interesse.
IV FASE
15) Presa d’atto delle verifiche idrauliche oggetto di apposito studio.
16) Identificazione della normativa vigente all’interno delle fasce fluviali relative al
reticolo maggiore.
17) Individuazione delle fasce di rispetto del reticolo minore.
18) Stesura della normativa tecnica per le fasce di rispetto.
Verifica anomalie
Dopo aver sovrapposto le informazioni ottenute grazie al lavoro della prima fase, alcune
situazioni risulteranno piuttosto ricorrenti. In sintesi possono essere così riassunte:
a) Versanti montuosi con alvei piuttosto incisi e delimitati: l’individuazione dell’alveo
di cui ai fogli catastali non coincide con quanto riportato sulla più recente CTR.
b) Conoidi e aree di fondovalle con possibilità di divagazione del corso d’acqua:
l’individuazione dell’alveo di cui ai fogli catastali non coincide con quanto riportato
sulla più recente CTR.
c) Aste laterali con scorrimento, nella parte terminale, in subalveo e/o ipogeo:
l’individuazione dell’alveo sia sulla CTR che sui fogli catastali è limitata alla parte
superiore dell’asta.
d) Tratti di alveo tombinato.
Per le “anomalie” sopra evidenziate i comportamenti seguono in generale certe modalità:
a) Quando si riscontra una discordanza limitata ad una traslazione di poche decine di
metri, si lascia l’indicazione catastale. Viceversa per discordanze più significative
(indicativamente oltre i 50 metri in pianta), che possono quindi sottendere dubbi di
interpretazione sull’unicità o meno del ramo idrografico in oggetto, si fa affidamento
sulla CTR che, per metodo di redazione e per “anzianità”, risulta certamente più
attendibile dei fogli di mappa.
b) A differenza del punto precedente in questo caso non è possibile escludere che il
rilievo dei fogli catastali sia errato. Pertanto vengono classificati entrambi i percorsi,
in quanto suscettibili di riattivazione proprio in virtù della caratteristica di possibile
divagazione del corso d’acqua.
c) Poiché ci si limita all’individuazione del reticolo minore secondo le definizioni di cui
al punto 4 dell’allegato B della DGR 25 gennaio 2002 n°7/7868 tali tratti non
verranno evidenziati. Si rammenta che su queste aree vige la normativa della LR
41/97.
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d) Ci si basa sull’articolo 21 PAI: “i soggetti pubblici o privati proprietari o
concessionari predispongono, entro 1 anno dalla data di pubblicazione dell’atto di
approvazione del Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico (PAI), una verifica
idraulica delle opere di tombinamento dei corsi d’acqua naturali in corrispondenza
degli attraversamenti dei centri urbani, sulla base di apposita direttiva emanata
dall’Autorità di bacino. Le amministrazioni competenti in relazione ai risultati della
verifica menzionata, individuano e progettano gli eventuali interventi strutturali di
adeguamento necessari, privilegiando ovunque possibile il ripristino di sezioni di
deflusso a cielo libero”. Va notato che la pubblicazione dell’atto di approvazione del
Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico (PAI) è avvenuta sulla G.U. n°183 del 8
agosto 2001.
Fasce di rispetto
Per la delimitazione delle fasce di rispetto ci si deve basare sullo studio geologico di cui alla
LR 41/97.
Quindi si analizzano le aree limitrofe al reticolo idrografico minore tenendo conto di:
- aree storicamente soggette ad esondazioni
- aree interessate da fenomeni erosivi e di divagazione dell’alveo
- garantire l’accessibilità alle sponde del corso d’acqua anche con mezzi meccanici
idonei per la manutenzione dello stesso
- garantire l’accessibilità alle sponde del corso d’acqua per la fruizione e la
riqualificazione ambientale.
Sulla base di quanto sopra esposto le fasce di rispetto relative al reticolo minore si
suddividono in due tipologie in funzione del corso d’acqua (reticolo secondario A e reticolo
secondario B) a cui fanno riferimento.
Per la maggior parte dei torrenti comunali (reticolo secondario A) è stata confermata la
fascia di metri 10, misurati dal limite esterno del reticolo.
I corsi d’acqua del reticolo secondario B non presentano problematiche che possono
comportare dissesti e rischi su aree significative e perciò la fascia risulterà di metri 5,
sempre misurati dal limite esterno del reticolo.
La misura “dal limite esterno del reticolo” fa ovviamente riferimento alla situazione reale.
L’individuazione del reticolo effettuata nella cartografia, non può che avere un valore
indicativo valido esclusivamente per l’individuazione dell’asta in quanto tale, ma non per la
misura della distanza della fascia di rispetto. E’ infatti evidente che quest’ultima vada
effettuata sui dati puntuali derivati da un rilievo dettagliato che evidenzi “la sponda incisa”
o il piede arginale esterno.
Infine esula dalle sopramenzionate fasce di rispetto l’area limitrofa alle canalizzazioni. In
questi tratti la fascia di rispetto dei corsi d’acqua attualmente coperti è finalizzata a garantire
la possibilità di accesso alle ispezioni e/o la possibilità di manutenzione tramite ispezioni
poste a distanze adeguate o per consentire la rimozione dell’opera di tombinamento.
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Prevedere e prevenire i rischi
Il rischio (R)
Il rischio può essere identificato come il punto d’incontro fra un EVENTO ANOMALO e
una VITTIMA che lo subisce.
Nello specifico esso è quantificabile derivandolo da una combinazione di fattori
determinabili:
R = P × V × E
Pericolo (P): probabilità che un evento potenzialmente dannoso si verifichi entro un certo
intervallo di tempo ed entro una data area. (E’ un fattore strettamente connesso con le
caratteristiche intrinseche del sistema considerato).
Vulnerabilità (V): suscettibilità di un bene o di una pluralità di beni a subire danni a seguito
del verificarsi di un evento di determinata entità.
Esposizione (E): valore socialmente riconosciuto dall’insieme di persone, beni, attività e
risorse esposti al pericolo di un evento naturale in una determinata area.
Prevedere
Per prevedere è necessario costruire uno SCENARIO. Esso altro non è che un modello di
futuro, che si vuole studiare rispetto ad alcune variabili considerate critiche. La sua forza
non consiste tanto nel prevedere il futuro, quanto nel “riconoscere il futuro nelle forze che
agiscono nel presente”.
Sintetizzando, esso è composto da:
- una concatenazione di danni di tipo qualitativamente diverso, legati l’uno all’altro da
relazioni sistemiche e nessi casuali più o meno laschi;
- l’innesco di tale concatenazione è dato da un evento naturale o da un incidente
antropico o industriale;
- i danni conseguenti sono dovuti alla combinazione di fattori di pericolosità, alle
caratteristiche cioè dell’evento o dell’incidente, e di vulnerabilità, che descrivono la
fragilità (o la resistenza) dei sistemi colpiti.
Di difficile stesura a causa della grande interdisciplinarità che lo interessa, lo scenario
rimane indubbiamente uno strumento molto efficace per descrivere futuri possibili e
previsioni di danno.
Conseguenza diretta di questa analisi, volta ad identificare gli aspetti più fragili della nostra
sicurezza, è la prevenzione.
Prevenire
A causa delle sempre più ristrette risorse economiche e del peggioramento delle condizioni
del territorio, non è più ammissibile risolvere il problema dei disastri con una mera politica
di gestione delle emergenze.
13
Solo la pianificazione del territorio e la mitigazione sostenibile degli effetti delle calamità
naturali devono diventare gli obiettivi prioritari dello sviluppo di un paese che vede nella
qualità dell’ambiente, nella qualità della vita e nella politica economica lungimirante, i
fondamenti della propria civiltà.
Il Piano di governo del territorio (abbreviato in PGT) è un nuovo strumento urbanistico
introdotto in Lombardia dalla legge regionale lombarda n.12 dell'11 marzo 2005. Il PGT ha
sostituito il Piano regolatore generale come strumento di pianificazione urbanistica a livello
comunale e ha lo scopo di definire l'assetto dell'intero territorio comunale. Salvo deroghe, la
legge prevedeva che tutti i comuni lombardi si dotassero di un PGT entro marzo 2009. A
quella data solo il 5% dei 1.546 Comuni lombardi ha adottato il PGT. Il Consiglio regionale,
preso atto della situazione, ha prorogato il termine al 31 marzo 2010 e successivamente al
31 marzo 2011.
Lo sforzo iniziale è quindi di notevole entità, infatti si deve considerare che per mantenere i
centri abitati montani ed i necessari collegamenti viari sui versanti, è indispensabile
prendere numerose precauzioni, intervenire con attenzione e predisporre accorgimenti
costruttivi particolari.
Questa impostazione fa ovviamente aumentare i costi di realizzazione e gestione ed impone
delle limitazioni: si tratta di un problema analogo a quello che deve affrontare la
popolazione che vuole restare a vivere nelle aree sismiche.
Infatti, come nel caso delle aree sismiche, che hanno il problema dell’adeguamento del
patrimonio edilizio, nel caso del territorio montano ci si deve concretamente confrontare
con il problema dell’adeguamento delle infrastrutture, la loro messa in sicurezza, la
riduzione delle interferenze con i processi naturali, l’eliminazione delle condizioni di
pericolo indotto e con un necessario costante controllo dell’efficienza delle opere di difesa
dagli eventi e di mitigazione delle conseguenze.
In particolare i singoli comuni devono tenere sotto controllo e curare la manutenzione dei
corsi d’acqua minori (Reticolo Idrico Minore), per mantenere la loro efficienza ed assicurare
la loro capacità di drenaggio. Quasi sempre mancano dati aggiornati sullo stato di questo
fondamentale elemento e sulle interferenze con le strutture antropiche.
In genere vengono erogati (anche se proprio in occasione degli ultimi eventi interessanti in
Regione Lombardia è emersa una evidente lentezza e difficoltà nella disponibilità di fondi
per gli interventi, anche di massima urgenza) investimenti adeguati a seguito di catastrofi,
quindi su aree in cui ormai il danno si è verificato, ed è spesso meno probabile che si
riproduca in tempi brevi.
Mancano o sono del tutto insufficienti gli investimenti a carattere preventivo.
14
PRINCIPALI SISTEMAZIONI IDRAULICHE TRADIZIONALI
Le piene
I fenomeni di piena si verificano in conseguenza di eventi pluviometrici di forte intensità nel
bacino idrografico sotteso dalla sezione fluviale di interesse. Infatti se la quantità di acqua
che cade al suolo supera abbondantemente quella che contemporaneamente passa
nell’atmosfera per evapotraspirazione, nelle rete idrografica si verifica un progressivo
incremento dei livelli idrici che caratterizza lo stato di piena del fiume.
In via schematica si può ritenere che la formazione dei deflussi di piena avvenga attraverso
4 distinti meccanismi.
Afflusso diretto
Rappresenta la parte del volume di pioggia che cade direttamente sulle superfici liquide del
bacino. Esso risulta trascurabile, pertanto la portata conseguente a tali afflussi viene
conglobata con quella derivante dal deflusso superficiale che, di solito, rappresenta
l’aliquota più cospicua del complessivo deflusso di piena.
Deflusso superficiale
Questo fenomeno inizia a formarsi dopo un certo tempo dall’inizio dell’evento
pluviometrico, allorché l’intensità di pioggia supera globalmente l’intensità di
evapotraspirazione e di infiltrazione e, inoltre, dopo che si sono esaurite le capacità d’invaso
naturali ed artificiali presenti nel bacino che non hanno connessione diretta con la rete
idrografica. Il ritardo con cui le portate si presentano in alveo non è grande ed è in stretta
relazione con i caratteri geomorfologici del bacino idrografico e con il suo stato iniziale di
imbibizione.
Deflusso ipodermico
Talvolta accade che parte dell’acqua di pioggia infiltratasi nel terreno scorra più o meno
parallelamente alla superficie del suolo in uno strato superficiale dello spessore di alcune
decine di centimetri. Il deflusso ipodermico dipende dalle caratteristiche litologiche del
bacino: esso infatti può risultare significativo quando, a piccole profondità sono presenti
strati di terreno impermeabili e tra quest’ultimi e la superficie del suolo c’è presenza di
macroporosità dovuta all’apparato radicale della vegetazione.
Per le difficoltà dovute all’individuazione di tale deflusso e per la sua costante di tempo
prossima alla componente superficiale, anche in questo caso, si tende ad accorpare il
deflusso ipodermico a quello superficiale.
Deflussi profondi
Il contributo di tali deflussi alla formazione della portata di piena in una sezione di fiume è
considerato quando parte dell’acqua d’infiltrazione ha la possibilità di raggiungere la rete
idrografica a monte della sezione in esame.
15
Essendo il moto delle acque filtranti molto lento, i deflussi sotterranei giungono in alveo
con notevole ritardo rispetto all’inizio del fenomeno piovoso. A causa poi di serbatoi
sotterranei, l’andamento nel tempo delle relative portate è molto più regolare di quello delle
portate superficiali.
Da quanto detto, appare chiaro che il processo attraverso cui gli afflussi si trasformano in
deflussi è del tutto differente per le componenti che raggiungono rapidamente il corso
d’acqua (afflussi diretti, deflussi superficiali) e per la componente sotterranea che è molto
più lenta. Ciò consiglia di analizzare il fenomeno di piena complessivo disgregandolo nelle
due componenti principali, superficiale e profonda.
In figura 2 è rappresentato, in modo schematico e a titolo esemplificativo, un evento
pluviometrico ed il corrispondente idrogramma di piena. Il ramo AB dell’idrogramma che
precede l’inizio del fenomeno caratterizza la fase di esaurimento del fiume: le portate che
esso rappresentano derivano solo da deflussi sotterranei generati da precipitazioni
verificatesi precedentemente. Col sopraggiungere in alveo dei deflussi superficiali
conseguenti alla pioggia, le portate crescono rapidamente e l’idrogramma s’impenna fino a
raggiungere il colmo C. Le portate cominciano quindi a diminuire fino a cessare del tutto in
corrispondenza di un certo istante (tD) a partire dal quale inizia il ramo di esaurimento
formato da soli deflussi sotterranei.
Le portate derivano esclusivamente da deflussi profondi negli istanti di tempo che
precedono il punto B e seguono il punto D. Nell’intervallo tB-tD le portate sono dovute sia
ai deflussi profondi che a quelli superficiali, ma in prevalenza ai secondi.
Fig.2: Suddivisione dell’idrogramma di piena nelle componenti sotterranea e superficiale.
E’ chiaro comunque che, poiché alle portate sotterranee di esaurimento precedenti l’evento
di pioggia si aggiungono quelle prodotte nel corso dello stesso evento e, d’altra parte, la fase
d’esaurimento delle portate sotterranee inizia, al limite, a partire dall’istante tD (anzi
certamente prima), l’idrogramma di piena conseguente ai soli deflussi sotterranei avrà
verosimilmente un andamento qualitativo come quello indicato con le lettere ABFD.
16
L’individuazione esatta della linea di separazione delle due componenti dell’idrogramma di
piena è praticamente impossibile da ottenere a causa delle scarse conoscenze che si hanno
della complicatissima dinamica che caratterizza i fenomeni di infiltrazione, di circolazione
nel terreno e di scambio tra acque superficiali e sotterranee. Per avere un’idea di tale
complessità si osservino le curve di figura 3. La prima, che indica schematicamente
l’andamento dei livelli di falda in rapporto all’evolversi dei livelli idrici del corso d’acqua
mostra che al termine del periodo di siccità le portate fluviali sono prodotte dai soli deflussi
sotterranei e la superficie piezometrica della falda è inclinata verso il fiume (Fig.3a-falda
AB). A seguito della precipitazione, sia il livello idrico del fiume che la superficie libera
della falda tendono a rialzarsi; l’innalzamento di quest’ultima è tuttavia molto più lento e
graduale, cosicché, quando nel fiume transita l’onda di piena il livello idrico può superare
repentinamente quello della falda e determinare un deflusso profondo inverso, cioè dal
fiume verso l’esterno (Fig.3a-falda CD). In tale fase si avrebbero, quindi, deflussi
sotterranei negativi (Fig.3b).
a)
b)
Fig.3: Interazione tra corsi d’acqua superficiali e falde sotterranee.
Una volta transitata l’onda di piena e riabbassatosi il livello idrico, la falda riprende ad
alimentare il fiume. In una situazione del genere, dunque, la separazione delle due
componenti dell’idrogramma avverrebbe secondo una linea di gran lunga differente da
quella indicata in figura 2.
OPERE DI DIFESA
Il compito delle opere di sistemazione idraulica è di regolare la portata liquida e/o la portata
solida in seguito alle piene e consistono in interventi sul corso d'acqua.
17
Opere tradizionali secondo lo scopo
Scopo Tipo di opera
Serbatoi
Riduzione della portata Casse di espansione
Derivazioni scolmatori
Arginature
Svasi periodici
Aumento portata convogliabile Rivestimento
Rimodellazione d’alveo
Drizzagni
Stabilizzazione alveo Traverse
Rivestimenti
Regimazione della falda Canali di bonifica
Dispositivi di ricarica
Tab.1: Opere per la regolarizzazione della portata liquida.
Scopo Tipo di opera
Manufatti di recapito nel recipiente
Stabilizzazione cono deiezione Canalizzazioni o arginature
Piazze di deposito
Correzione dell’alveo Rivestimento
Briglie di consolidamento
Muri di sponda
Stabilizzazione delle sponde Difese elastiche
Pennelli
Salti di fondo
Stabilizzazione del fondo Soglie di fondo
Smorzatori d’energia
Laghetti collinari
Riduzione di portata Briglie ritardanti
Derivazioni
Riduzione trasporto solido Briglie di trattenuta
Tab.2: Opere per la regolarizzazione del trasporto solido (trattenendo materiali
precedentemente erosi o impedendo nuovi prelievi).
Di seguito saranno presentati gli aspetti generali delle opere comunemente più utilizzate per
la sistemazione dei torrenti montani.
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OPERE DI DIFESA TRASVERSALI
Le briglie
I corsi d’acqua di montagna si distinguono in torrenti di trasporto e di erosione: i primi sono
in grado di allontanare e trasportare a valle il materiale solido che affluisce dai versanti
senza modificare apprezzabilmente la morfologia dell’alveo, in particolare le quote del
fondo; i secondi, invece, hanno capacità di trasporto superiore alle portate solide provenienti
dai versanti e pertanto tendono ad erodere l’alveo mobilitando volumi di materiale che sono
ancora in grado di trasportare. Questo materiale assieme a quello proveniente da monte
satura la capacità di portata del torrente e viene trasportato verso valle. Mentre in questi
ultimi torrenti si verifica un progressivo abbassamento del fondo alveo e l’erosione delle
sponde, in quelli di trasporto tali fenomeni evidentemente sono assenti. Anzi, se il
quantitativo di materiale proveniente dai versanti supera la capacità di trasporto del torrente,
una parte di questo materiale si deposita in particolari tratti d’alveo (dove la corrente
rallenta) formando zone di accumulo che, se particolarmente ingombranti, possono creare
seri problemi di deflusso idrico, specie durante gli stati di piena.
Quando questi squilibri tra materiale affluente e materiale trasportato non si riescono a
modificare con interventi estesi sul bacino di alimentazione, il controllo di queste due
opposte tendenze, entrambe pericolose, si ottiene con la costruzione di opere trasversali di
“consolidamento” e di “trattenuta” che prendono il nome di briglie.
Classificazione briglie
Tipo Morfologia strutturale Sottotipo Materiali
Piene Rettilinee
A Gravità (C-T-L-M)
A trave o a tiranti (C-CA-A)
A mensola (CA-A)
Ad arco (C-CA-M)
Aperte
Verticali Grigliate (filtranti) (CA-M)
A pettine (CA-M)
Orizzontali Dispositivo Rosic (C)
Dispositivo Clauzel (M)
Tab.3: Briglie di consolidamento terreno.
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Tipo Morfologia
strutturale Sottotipo Materiali
Permanenti
(a capacità limitata)
Piene Rettilinee
Piene ad Arco
Aperte Verticali
(C-A-CA-T-M)
(C-A-CA-T-M)
(C-A-CA-T-M)
Temporanee
(a svuotamento)
A fessura A trattenuta meccanica (C-CA)
A dissipazione d’energia (C-CA)
Selettive A griglia fissa (C-CA-M)
A griglia mobile (M)
Ritardanti (Laminazione delle
piene) (C-CA-A-M)
Continue
(a capacità illimitata)
Dispositivo Clauzel (M)
Tab.4: Briglie di trattenuta sedimenti.
Sigla Materiale Commento
A Acciaio Poco usato
C Calcestruzzo Da non usare
CA Cemento armato Da non usare
L Legno Per piccole opere
M Materiali diversi
G Gabbioni Materiale idoneo
TA Terre armate Materiale “ecologico” (problemi statici)
P Pietrame a scogliera Materiale idoneo
MS Muratura a secco Poco idoneo
MIL Muratura idraulica in laterizi Da non usare
MIP Muratura idraulica in pietrame Da non usare
Tab.5: Sigle usate per indicare i materiali utilizzati nella costruzione dell’opera.
Briglie di consolidamento
Un torrente lasciato in balia di se stesso tende a produrre la sua pendenza di compensazione
ic . Questo stato di equilibrio può essere raggiunto solo col tempo, a seguito di franamenti ed
erosioni.
Attraverso la sistemazione si tende a conseguire artificialmente ed in anticipo l'assetto del
corso d'acqua, evitando le erosioni ed i franamenti.
Non è però necessario sistemare tutti i torrenti, infatti non tutti danneggiano, e anche se
danneggiano, non tutti i danni hanno il carattere dell’insopportabilità.
20
Molti torrenti infatti anche presentando caratteristiche simili (pendenza, altitudine delle
sorgive, intensità delle precipitazioni meteoriche) di altri, non trasportano uguali quantitativi
di materiale solido, ciò è possibile per la diversa natura geolitologica dei terreni.
Saranno così in condizioni assai precarie i torrenti che scorrono in bacini costituiti da terreni
franosi (argille, marne, etc.) o peggio ancora quelli che hanno bacini impermeabili, che
danno luogo a piene impetuose (graniti, gneiss, etc.).
In tali casi bisognerà prendere in seria considerazione la necessità di sistemarli.
Non così sarà per i torrenti i cui bacini sono costituiti da terreni e rocce permeabili che
favorendo l'assorbimento delle piogge danno luogo a piene meno forti e più lente (arenarie,
sabbia, ghiaia, calcari fessurati).
Le briglie sono sbarramenti di piccola altezza, posti a conveniente distanza tra loro. A
monte delle briglie si accumulano i materiali portando il fondo alla pendenza voluta.
Il Regolamento Ministeriale, contenuto nelle "Norme per la preparazione dei progetti per
sistemazioni idraulico-forestali nei bacini montani", approvate con decreto ministeriale
20/9/1912, prescrive tra l'altro al Cap. 10 che: "la corona delle briglie dovrà essere concava
con ali rialzate sui fianchi o sul fianco corrodibile, in modo che la portata massima del
torrente sia contenuta tra sponde salde. Il profilo a valle deve essere verticale".
Fig.4: Parti principali di un sistema briglia.
In generale le briglie vengono realizzate in muratura di pietrame, quasi sempre disponibile
in loco o nelle immediate vicinanze e, più raramente, di laterizi. Ovviamente tale materiale
viene utilizzato per il corpo briglia vero e proprio mentre per la platea e la contro-briglia
possono esserci varie soluzioni tecniche.
21
Fig.5: Prospetto e sezione trasversale di una generica briglia.
Con gaveta s’intende la parte centrale del corpo briglia entro il quale deve transitare la
portata massima. La gaveta deve la maggior larghezza possibile compatibilmente con le
caratteristiche geometriche dell’alveo di valle e con la stabilità delle sponde. La gaveta deve
essere realizzata in pietra dura e protendersi verso valle di tanto quanto è sufficiente ad
evitare l’impatto della lama d’acqua stramazzante sul parametro di valle.
La funzione della platea è quella di costituire un letto dove le acque stramazzanti dalla
gaveta possano dissipare la propria energia senza compromettere la stabilità della briglie e la
stessa struttura della platea. Questa deve essere realizzata con materiali non rigidi ed in
grado di assorbire le sollecitazioni che l'acqua precipitando con violenza, durante le piene,
le imprime.
Sono ottimi i materassi realizzati con o senza rete di filo metallico zincato di pietrame,
specie se di grosse dimensioni. Se il pietrame é di dimensioni compatibili (in ordine di
grandezza) con la capacità di trasporto dell' acqua é preferibile la sua organizzazione in
gabbioni.
Sono del tutto da escludere le strutture rigide quali quelle in muratura di vario tipo (pietrame
compreso) e di calcestruzzo che in merito ha dato pessimi risultati dimostrando non solo la
tendenza ad un rapido deterioramento (difetto di tutti i calcestruzzi se non opportunamente
confezionati) ma anche un' eccessiva fragilità nei confronti degli urti dell' acqua.
La contro briglia serve non solo a delimitare la zona di platea, ma anche a favorire la
funzione dissipativa creando un risalto e quindi un passaggio da corrente veloce a lenta.
Essa può essere realizzata ancora in muratura di pietrame od in gabbioni, ma non sono
escluse altre soluzioni quali strutture lignee o metalliche.
Le fondazioni hanno il compito di scaricare sul terreno le sollecitazioni provenienti dal
corpo della briglia. Innanzitutto vanno impostate su di un terreno idoneo ad assorbire le
dette sollecitazioni. Pertanto occorrerà scavare sin tanto che si trovi una terreno compatto o
sciolto idoneo.
22
Più delicato é il problema che si presenta ai lati della briglia, infatti le acque fluviali, ove la
briglia non sia ben ammorsata alla pareti laterali dell'alveo, potrebbero scavarsi un varco tra
briglia e pareti naturali.
Tale problema ovviamente non sussiste se le pareti naturali hanno idonea consistenza e la
briglia è su di esse ben ferma. Ma quando le pareti naturali sono composte da materiali
sciolti, facilmente erodibili, un buon ammorsamento non è sufficiente, da qui la necessità di
muri d'ala, cioè di opere di tipo longitudinale che costringano l'acqua a rimanere nell'alveo,
impedendole di cercare altre vie. Ovviamente i muri d'ala devono essere spinti a monte fino
al punto in cui la corrente idrica non risenta dell'effetto della briglia.
Fig.6: Pianta di una generica briglia con muri d’ala.
Pendenza di compensazione ( ic)
Tramite la seguente formula sperimentale è possibile trovare il valore della velocità
dell’acqua di fondo (vf):
vf = 3,75 × d
23
Essa rappresenta la velocità, superata la quale, si ha trasporto nell'alveo di materiale sciolto
di diametro "d" (o inferiore).
E’ evidente che occorre far sì che la velocità della corrente liquida si mantenga, sul fondo, al
di sotto del valore di vf , il che significa che la velocità media (V), tenendo conto che il
rapporto tra velocità di fondo e quella media è di 0,75 dovrà essere:
V =vf
0,75
V è considerata la velocità riferita al valore di portata che nel corso dell' anno trasporta il
maggior volume di materiale solido, cioè la così detta portata di modellamento.
Inserendo dunque nella formula di Manning (od in formule similari) il valore della velocità
media (V) e quello del raggio idraulico (Rm ) dedotto in corrispondenza delle altezze di
modellamento (altezze acqua per cui si ha la portata di modellamento) si avrà:
ic = V2
K2 × Rm
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K = Coefficiente di Strickler
La pendenza ic è detta pendenza di compensazione; ad essa infatti, non corrisponde né
erosione né deposito del materiale di diametro "d". Il valore ic ottenuto avrà delle incertezze
legate alle difficoltà di associare le altezze alle relative portate di modellamento. Converrà
come vedremo di seguito sovrastimarlo.
Calcolo del numero e dell' altezza delle briglie
S’inizia col dividere il torrente in un certo numero di tronchi, isolando i tratti di roccia non
erodibile. In ogni tronco il diametro medio del materiale dovrà mantenersi presso che
costante; si calcola allora per ogni tronco la pendenza di compensazione ic in base al
diametro del materiale in moto che si vuole arrestare.
A mezzo di opportuni recipienti stagni si può determinare il volume medio e quindi il
diametro medio "d" dei sassi.
Basterà mettere i sassi nel recipiente, riempirlo d'acqua, quindi dividendo la differenza tra il
volume della cassa e il volume dell'acqua aggiunta per il numero dei sassi si otterrà il
volume medio dei sassi.
Nei primi tentativi si adotta questa pendenza calcolata ic per stabilire il numero e la
posizione delle briglie.
L'altezza della singola briglia è invece funzione del tipo di materiale con cui sarà costruita.
Occorrerà quindi stabilire anticipatamente al calcolo del numero di briglie, il campo di
variabilità della loro altezza. Generalmente le briglie non superano i 4 metri d'altezza, ma in
casi particolari si possono raggiungere anche i 35 metri. Questo crea però un inconveniente,
infatti la vena stramazzante arriverà con maggior energia sulla platea a valle della briglia,
andandola a guastare più rapidamente.
E' poi da tener conto che in genere aumentando il numero delle briglie si ha un risparmio
sulle loro singole altezze, ma anche un loro conseguente avvicinamento. Per permettere però
all’acqua di assumere il suo corso regolare non si ammettono briglie distanti meno di 60÷80
metri tra loro.
24
Ha un ruolo importante anche la natura geologica dell'alveo riguardo la scelta di certe
tipologie di briglie piuttosto che altre.
L’altezza totale delle briglie (h) si calcola:
h = H− ic × L
L = lunghezza del tronco considerato
H = dislivello tra gli estremi del tronco
Fig.7: Progetto schematico di regolazione di un torrente.
Fissata la pendenza di compensazione ic per ciascun tronco del torrente e l'altezza totale
delle briglie, si procede per trovare la posizione che esse devono avere. Si divide perciò
l'altezza totale (h) in n parti uguali, in modo che ciascuna non superi l’altezza che si assume
per le briglie.
Dai punti di divisione si tracciano le parallele alla ic fino ad incontrare il profilo dell’alveo.
Nei punti d'incontro si costruiscono le briglie schematicamente segnate in figura 7. Bisogna
poi verificare se la distanza fra le briglie rispetta i limiti stabiliti.
La disposizione di queste briglie costituisce il primo periodo di lavoro e viene detto di
“impianto” o delle “grandi briglie”.
In questo periodo la pendenza di compensazione è stabilita in base ad un valore di ic che,
data la sua incertezza, potrà essere in eccesso o in difetto rispetto alle esigenze reali.
25
Se la scelta è avvenuta in difetto: la ic sarà minore della reale e ne risulteranno briglie più
alte del necessario e quindi una soluzione antieconomica.
E' dunque preferibile fare previsioni in eccesso del valore di ic: si avrà allora persistenza
dell’erosione (anziché compensazione), che si dovrà poi correggere.
Quindi potrà succedere che la costruzione non risponda del tutto all'obiettivo, nel senso che
nonostante i calcoli, l’accennato sovradimensionamento di ic porti al verificarsi di fenomeni
di erosione e trasporto. Per ovviare a questo problema bisognerà attendere uno o due anni e
poi alzare la briglia od interporne altre, se questa non avrà altezza sufficiente.
Queste nuove traverse avranno naturalmente dimensioni più ridotte delle prime, ma anche
per esse però la linea che collega la sommità di una al piede dell’altra a monte, dovrà
essere parallela alla nuova pendenza di compensazione.
Questo successivo intervento dicesi periodo di formazione delle briglie di secondo ordine.
Fig.8: Schematizzazione dell’intervento con briglie di secondo ordine.
Successivamente alle opere di secondo ordine i fenomeni di rassodamento delle frane e di
rimboschimento proseguiranno ancora fino ad essere completamente finiti e cioè fintanto
che le acque del torrente non siano divenute chiare (si intendono per acque chiare quelle che
trasportano solo limo, sabbia, o detrito di roccia). Il fondo si avvierà allora verso la
pendenza detta di equilibrio.
26
Contrariamente a quanto detto, può verificarsi che sia necessario intervenire di nuovo,
disponendo nuove briglie intermedie tra quelle di secondo ordine.
Quest'ultimo periodo detto di consolidamento o delle briglie minori, è in genere
caratterizzato dalla costruzione di semplici briglie in legno e/o fascinate, cioè da sbarramenti
di altezza assai limitata (non superiori ai 2 metri).
Ciò non vuol dire però che tutta questa serie di opere sia sempre necessaria, perché succede
che, come vi sono i torrenti per i quali occorrono tutti e tre i suddetti distinti periodi
lavorativi, per altri sono sufficienti solo i lavori del primo periodo, in quanto questi bastano
a sopprimere ogni pericolo sia d'erosione che di trasporto di materiale.
Riguardo l'ordine con cui vanno eseguiti i lavori di imbrigliamento, si deve tener presente
come regola generale, che bisogna cominciare a consolidare i tronchi superiori, perché se
non si correggono i disordini prodotti dalle frane ed erosioni nella parte a monte, sussisterà
un continuo pericolo per gli eventuali lavori eseguiti a valle.
Tuttavia questa regola presenta frequenti eccezioni; ad esempio può accadere che per
conseguire in minor tempo la sistemazione di tutto il bacino, convenga suddividere il
torrente in un certo numero di tronchi separati da punti fissi (tratti dove affiora la roccia),
così da poter effettuare contemporaneamente i lavori in tutti i tronchi.
Si andrà allora a sbarrare a valle ogni tronco con una grande briglia, così da proteggere i
tronchi sottostanti da un’eventuale piena.
Dimensionamento idraulico
Il dimensionamento idraulico comporta il soddisfacimento delle condizioni di sicurezza
connesse alla funzionalità dell’opera in presenza della corrente idrica: acqua, acqua e
materiale solido. Esso precede il dimensionamento statico ed è strettamente connesso alle
modalità di funzionamento ipotizzate dal progettista.
Nel dimensionamento idraulico è di prioritaria importanza la scelta della sezione (gaveta)
ove deve defluire la portata di progetto (QPROG ), che è funzione del tempo di ritorno
considerato (tipicamente centennale).
E’ opportuno assicurare una gaveta tale da contenere, con un certo margine (se temo
depositi) la QPROG e una parte centrale tale da contenere le piene ordinarie (Tr= 2-5 anni).
Dimensionamento di massima della lunghezza della gaveta:
LGAV . ≅LALVEO
2
Fig.9: Schematizzazione gaveta.
27
Per quanto riguarda invece il dimensionamento della profondità (h) della gaveta, esso varia
a seconda della geometria adottata. Varrà comunque sempre la relazione tra la portata
puntuale (q) e quella distribuita lungo tutta la sezione (QPROG ) pari a:
q =QPROG
L
Se la gaveta è RETTANGOLARE:
Fig.10
h = 0,7 × QPROG
LGAV .
2 3
Se la gaveta è TRAPEZIA:
Fig.11
In questo caso viene suggerita una lunghezza equivalente pari a:
L∗ = L + 2 × ∆L
∆L = Distanza tra il vertice α e la proiezione sulla base maggiore del baricentro del triangolo rettangolo (Fig. 11).
La profondità sarà data dunque da:
h = 0,7 × QPROG
L∗
2 3
Se la gaveta è TRIANGOLARE: L = 0 allora q = QPROG
Dimensionamento statico
Il dimensionamento statico comporta il soddisfacimento delle condizioni di equilibrio e
stabilità globale della briglia con il coefficiente di sicurezza opportuno ed in relazione alle
forze esterne di progetto: spinta idrostatica, sottospinta, trasporto solido, azioni sismiche,
spinta dei versanti.
28
Fig.12: Le parti da dimensionare nel corpo di una briglia.
Grafico 1: Avendo il valore di z (m) e di h (m), è possibile trovare rapidamente lo spessore
della base b (m) di una briglia a gravità.
S è detto coronamento e può essere calcolato in funzione degli altri dati:
s = 0,6 ÷ 0,7 × h → Nel caso in cui si consideri solo l’effetto della spinta idrostatica.
s = 0,7 + (0,1 ÷ 0,2) × z Ora verranno prese in considerazione le forze esterne agenti sul corpo della briglia. Esse
saranno necessarie per le verifiche di sicurezza, che garantiranno la stabilità della briglia.
Fig.13: Tipi di forze che intervengono.
29
Dalla figura 13, è possibile dedurre 2 tipi di forze.
Forze non stabilizzanti:
spinta idrostatica sul paramento di monte (S1 + S2)
sottospinta esercitata dall’acqua (S3)
spinta sul paramento di monte esercitata dal terreno immerso, posto al di sotto del
piano dell’alveo, spinta attiva (S4)
spinta del terreno di riempimento (dopo il riempimento), spinta passiva (S5)
S4 ed S5 vengono generalmente trascurate in quanto: S5 > S4
Forze stabilizzanti:
peso proprio del manufatto (P1 + P2)
peso dell’acqua gravante sulla gaveta (P3)
peso del terreno immerso gravante sulla fondazione e sul paramento a monte
(P4 + P5)
Eseguito il dimensionamento di massima dell’opera e identificate le forze esterne, si
procede alle verifiche di stabilità.
Le verifiche saranno fatte per quanto riguarda:
lo scorrimento
il ribaltamento
le pressioni sul terreno o schiacciamento
il sifonamento
Verifica allo scorrimento
La sommatoria di tutte le forze orizzontali e di quelle verticali deve assolvere la relazione
qui di seguito:
FORIZZ . < f × FVERT .
f = Coefficiente attrito tra la fondazione ed il terreno
Verifica al ribaltamento
Il momento di una forza può essere definito come il prodotto vettoriale della forza
considerata per il suo braccio. Il braccio è la lunghezza tra il punto d’applicazione della
forza e un punto O, in questo caso identificato nello spigolo di valle e a contatto col terreno
della fondazione.
La sommatoria dei momenti di tutte le forze stabilizzanti e di quelle ribaltanti deve
assolvere la relazione qui di seguito:
30
MS,O
MR,O≥ 1,5
MO,S = Momento stabilizzante rispetto al punto O (N × m)
MO,R = Momento ribaltante rispetto al punto O (N × m)
Verifica allo schiacciamento
Fig.14
V = FVERT .
u = MS,O − MR,O
V
u è la distanza tra il punto C e lo spigolo di valle della fondazione.
e =b
2− u = eccentricità (m)
L’eccentricità è la distanza tra il baricentro della fondazione (M) ed il punto C: dove
s’intersecano la risultante di tutte le forze (R) ed il piano di fondazione.
σv =V
b 1 +
6 × e
b
Trovato il valore del carico σv , riferito ad 1 metro lineare di opera, esso non deve superare il
carico di sicurezza in funzione del tipo di terreno.
31
Tipo di terreno Carico di sicurezza (kg/𝐜𝐦𝟐)
Terreni smossi, non compatti, di riporto 0-1
Terreni incoerenti compatti (sabbie e ghiaie) 2-4
Terreni coerenti 0-3
Rocce in buone condizioni 10-15
Tab.6: Carico di sicurezza allo schiacciamento in funzione del tipo di terreno.
Verifica a sifonamento
Il fenomeno avviene a causa del dislivello piezometrico tra monte e valle, s’innesca un moto
di filtrazione sotto la base di fondazione ai lati dell’opera. Se la velocità di filtrazione
dell’acqua raggiunge valori alti può verificarsi la graduale asportazione del terreno di
fondazione.
Fig.15
E’ necessario verificare che la velocità di filtrazione dell’acqua in ogni punto del terreno
permeabile sotto l’opera, sia compatibile con l’equilibrio del materiale solido presente.
LF
H > CW
LF è la linea di scorrimento lungo la superficie di contatto tra il terreno e la fondazione della
briglia.
H è il dislivello tra il pelo libero di monte e di valle.
CW è il rapporto critico di trascinamento (funzione del tipo di terreno di fondazione).
Determinazione della linea di scorrimento:
LF = yi +1
3 xi
yi e xi rappresentano rispettivamente la generica porzione verticale ed orizzontale della
linea di scorrimento
32
I tratti verticali contribuiscono alla riduzione del rischio di sifonamento in misura maggiore
di quelli orizzontali di pari lunghezza.
TERRENO DI FONDAZIONE
𝐂𝐰
Fanghi e limi 20
Limi e sabbia finissimi 18
Sabbia fine 15
Sabbia media 12
Sabbia grossa 10
Ghiaia da fine a grossa 9-4
Argilla da ben compatta a molto dura 6-3
Tab.7: Valori del rapporto critico di trascinamento (CW ) in funzione del tipo di terreno di
fondazione.
Si nota dai valori indicati in tabella 7, che i terreni limosi sono più a rischio di sifonamento
per via delle dimensioni contenute delle particelle. Mentre i terreni costituiti da ghiaie e
ciottoli e quelli impermeabili (argille dure) sono i più idonei per evitare questo problema.
Briglie di trattenuta o briglie selettive
Le briglie di trattenuta sono in genere più grandi di quelle di consolidamento e sono situate
isolate in luoghi ove la configurazione orografica della valle sbarrata determina serbatoi di
accumulo di volume significativo. In queste condizioni è possibile sottrarre ai corsi d’acqua
più vallivi quantità rilevanti di detriti solidi tra i quali possono essere presenti massi di
grandi dimensioni e materiali ingombranti di varia natura e provenienza (ceppaie ed alberi)
che, trascinati dalla corrente, oltre che sovralluvionare gli alvei, sono frequente causa
dell’ostruzione, spesso totale, delle sezioni fluviali più strette e delle luci dei manufatti di
attraversamento.
Le briglie di trattenuta hanno struttura aperta e presentano fori o varchi di varia forma la cui
area trasversale complessiva è insufficiente a far defluire durante le piene le portate idriche
corrispondenti ai segmenti di colmo. Di conseguenza al presentarsi di una piena, a monte
della struttura si crea un ristagno d’acqua che provoca il deposito dei materiali di maggior
dimensione. I materiali più piccoli riescono invece a defluire, sia pure in parte, verso valle,
fintanto che i fori praticati nella struttura non si occludono completamente con i materiali di
dimensione maggiore trasportati dal torrente che possono anche incastrarsi tra loro. Per
questa attitudine a selezionare il materiale, trattenendo quello più grossolano e lasciando
proseguire il più fino verso valle, queste briglie vengono anche dette selettive. E’
d’aggiungere che, specie nelle briglie a fessura, durante i periodi di morbida o di piena
ordinaria, la corrente idrica riesce ad erodere i materiali più fini accumulatisi a monte,
svolgendo in tal modo una sorta di funzione di autopulizia.
Periodicamente, a intervalli dipendenti dal volume d’invaso disponibile, dalla frequenza
delle piene più intense, dall’estensione e dalle caratteristiche erodibilità del bacino sotteso,
occorre rimuovere il materiale accumulatosi a tergo per non annullare l’efficacia di tali
opere. Deve perciò essere garantita l’accessibilità ai luoghi ed alle macchine operatrici
33
necessarie a questo scopo, eventualmente realizzando reti viarie di servizio la cui
costruzione deve pertanto essere prevista nel progetto dell’opera.
Le briglie selettive presentano il vantaggio di ridurre, a parità di condizioni, i costi e i tempi
di costruzione e di allungare la “vita” della capacità d’invaso a monte. Questa caratteristica
è da considerarsi positiva nei riguardi del mantenimento delle condizioni d’equilibrio degli
alvei di valle.
A seconda di come viene ottenuta la “permeabilità”, si hanno i seguenti tipi di briglie:
Fig.16: Tipi di briglie selettive.
A causa della complessità dei fenomeni naturali che governano la dinamica morfologica dei
torrenti, nella progettazione delle briglie sia di trattenuta che di consolidamento i modelli
teorici disponibili offrono un aiuto piuttosto modesto, almeno nella fase d’impostazione e di
scelta delle soluzioni ottimali. Queste devono essere perciò ricercate contando sul buon
senso ingegneristico e, ove possibile, sull’analisi dei risultati ottenuti con l’impiego di opere
simili realizzate nello stesso ambiente o in altri fisicamente confrontabili.
L’interpretazione, anche se approssimativa dal punto di vista quantitativo, dei fenomeni di
piena e del trasporto solido e le analisi geologiche e geotecniche preliminari forniscono i
primi elementi su cui basare il dimensionamento di queste opere.
A queste analisi preliminari devono seguire le verifiche della funzionalità delle opere,
considerate singolarmente e nel loro complesso, adottando le metodologie più idonee. A tal
riguardo è utile e talvolta fondamentale l’uso di modelli di trasporto solido oltre che di
quelli idraulici e idrologici.
34
Le formule di trasporto solido (vedi scheda di tipo 2: relazione tecnica a Pag.99) consentono
di valutare la capacità di trasporto del torrente e di procedere quindi, in base alla
distribuzione temporale della portata liquida, alla stima dei volumi di materiali
movimentabili in prefissati intervalli temporali. Questa stima è fondamentale per la scelta ed
il dimensionamento delle aperture delle briglie selettive.
I pennelli
I pennelli sono opere impostate sulle sponde del corso d’acqua ad opportuna distanza l’uno
dall’altro che si protendono verso il centro dell’alveo (Fig.17). Questi possono essere
realizzati in sostituzione delle opere longitudinali, allo scopo di allontanare la corrente dal
piede della sponda che s’intende proteggere.
Tra un pennello e l’altro si determina una zona di acqua che non prende parte al moto di
trasporto della corrente ed è sede di moti vorticosi (zona di ripascimento). Questa zona
favorisce la sedimentazione del materiale trasportato dalla corrente ed il conseguente
rialzamento del fondo alveo che, nel tempo, può determinare l’emersione di una parte più o
meno estesa della zona delimitata dall’opera, sottraendo al corso d’acqua parte del suo alveo
primitivo. Quando i pennelli sono realizzati in alvei alluvionati a forte pendenza, come tutte
le opere che sporgono in alveo, investiti dalla corrente, determinano il formarsi di vortici ad
asse verticale che provocano nel fondo alluvionale erosioni localizzate profonde fino a
qualche metro. Ne deriva che, a prescindere dai danni che subiscono essi stessi, se la
distanza fra un pennello e l’altro non è giusta, invece di ottenere una zona di ripascimento,
si possono verificare addirittura fenomeni di erosione.
Più confortanti sono gli effetti di pennelli realizzati in tratti d’alveo a debole pendenza in
curva, a protezione della sponda concava in erosione. In tali casi, infatti, è possibile disporre
i pennelli in direzione ortogonale, lungo entrambe le sponde o sulla sola sponda esterna, che
è quella maggiormente esposta al rischio di erosione.
Dal punto di vista idraulico, essendo normalmente sommergibili durante le piene
straordinarie, i pennelli determinano una riduzione di sezione, con il conseguente
incremento del livello idrico e della capacità di trasporto di sedimenti. Questo effetto può
essere vantaggiosamente sfruttato per la sistemazione di tronchi fluviali caratterizzati da
capacità di trasporto inferiore alla quantità di materiale solido proveniente da monte e sede
quindi di possibili fenomeni di deposito.
In linea di massima il fondo mobile di un tronco d’alveo sistemato con una serie di pennelli
tende ad essere eroso dando luogo ad una riduzione progressiva della pendenza di fondo.
Col tempo la morfologia dell’alveo si dirige verso un assetto a cui corrisponde una sorta di
equilibrio tra la sua capacità di trasporto e l’apporto di materiale solido dall’esterno.
35
Fig.17: Pianta di due scelte progettuali. a: pennelli semplici orientati nel verso della
corrente, b: pennelli a forma composita: a martello (T), a baionetta (L).
I pennelli possono essere realizzati in una notevole varietà di forme, così come è
esemplificato in figura 17. I pennelli orientati nella direzione della corrente comportano,
rispetto a quelli orientati controcorrente, una contrazione della sezione più graduale e di
conseguenza l’insorgenza di fenomeni di escavazione del fondo meno intensi. I pennelli in
controcorrente, disposti solitamente ad una distanza minore l’uno dall’altro rispetto ai
sopracitati, assicurano una più efficace difesa di sponda. Infatti la corrente liquida tende ad
assumere la direzione perpendicolare a quella dell’asse del pennello stesso ed a indirizzarsi
verso il centro dell’alveo.
Dal punto di vista strutturale i pennelli sono costituiti da strutture chiuse realizzate con
muratura in pietrame o di calcestruzzo, con scogliere in materiali sciolti, con gabbioni
metallici. Essi, anche se non perfettamente impermeabili, hanno la peculiarità di non farsi
attraversare dalla corrente idrica e di costituire, di conseguenza, uno schermo nei confronti
della zona retrostante.
Essendo a struttura rigida, nei pennelli sono pertanto da temere i cedimenti del terreno di
fondazione conseguenti all’escavazione che si verifica in prossimità della testa dell’opera. I
fenomeni erosivi possono essere contenuti proteggendo la testa con una gettata di massi
naturali o artificiali di dimensione opportuna.
36
Fig.18: Sezione pennello.
Al fine di fissare l'altezza dei pennelli (h2) si dovrà determinare l’altezza massima (hmax )
che verrà raggiunta dal livello dell’acqua in occasione delle piene (Fig.18). h2 sarà pertanto
più elevata rispetto al livello delle acque ordinarie (h1), ma inferiore rispetto ad hmax , in
maniera tale che l’intera sezione possa partecipare al deflusso della corrente quando si
verificano le piene più importanti.
Fig.19: Distanza fra pennelli successivi in un tratto rettilineo.
Fig.20: Posizionamento dei pennelli in curva.
37
La distanza (d) tra due pennelli successivi rappresenta quindi un fattore molto importante
per l’efficacia della protezione. La determinazione di essa è legata alla sporgenza della
sponda (s) del pennello di monte ed al suo orientamento rispetto alla sponda stessa.
Indicando con β l’angolo di espansione della corrente a valle del pennello di monte e con α
l’angolo d’inclinazione del pennello rispetto alla sponda, secondo uno di tali criteri deve
essere: (Fig.19): d ≤ s (d= cos α + cos β). In accordo con i riscontri sperimentali, β si può
assumere compreso tra i 9° e 11°. Adottando cautelativamente β = 11°, risulta d ≤ 5 × s
per pennelli orientati normalmente alla corrente. Si hanno invece valori maggiori per
pennelli orientati nella direzione della corrente (α < 90°) e minori per pennelli orientati
controcorrente (α > 90°). La distanza d = 5 × s è quella consigliata, in letteratura, anche
sono numerosi i casi di sistemazioni realizzate con distanze minori. Nei tratti in curva la
distanza tra i pennelli è generalmente minore e può ottenersi con la semplice costruzione
grafica riportata in figura 20.
Le soglie di fondo
Le soglie di fondo sono opere trasversali che a differenza delle briglie hanno il coronamento
allineato con il fondo del corso d’acqua. Esse, come le briglie, si prefiggono lo scopo di
ridurre la tendenza all’erosione dei torrenti e di ottenere in tal modo la stabilizzazione degli
alvei. Per questa ragione, queste opere vengono frequentemente utilizzate a valle di
manufatti o opere trasversali, allo scopo di proteggerli da fenomeni di escavazione
generalizzati. Esse trovano utilizzo anche in tronchi d’alveo sistemati con opere di difesa
longitudinali radenti o delimitati mediante arginature, in modo da ridurre i fenomeni
transitori di erosione durante le piene. Le soglie vengono costruite con materiali in grado di
resistere all’azione erosiva esercitata dai materiali solidi trascinati dalla corrente. Si hanno
così strutture in calcestruzzo armato e non, in pietrame a secco o annegati nel calcestruzzo. I
materiali da adottare vengono scelti di volta in volta in relazione all’inserimento ambientale
delle opere e alla loro reperibilità.
Fig.21: Soglia di fondo in pietrame.
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Le soglie, oltre alla stabilizzazione del fondo alveo ottenuta con una struttura che ne fissa la
quota, consentono anche di ottenere la riduzione della pendenza longitudinale del corso
d’acqua. Questa viene raggiunta per effetto dell’erosione che si determina a valle delle
stesse (Fig.21, Sez.B-B). In tal modo si riduce l’azione di trascinamento della corrente
idrica e di conseguenza la quantità di materiale trasportabile dalla stessa. In definitiva con
tale provvedimento si agisce nella direzione di un ripristino del bilancio quantitativo tra il
materiale affluente al torrente e la capacità di trasporto dello stesso, facendo evolvere
l’alveo verso una situazione di equilibrio con maggiore rapidità rispetto a quella naturale.
OPERE DI DIFESA LONGITUDINALI
Le difese di sponda
Le difese di sponda sono opere disposte parallelamente alla direzione della corrente,
realizzate con materiali diversi (terra, scogliera, muratura di pietrame, c.a., legname) e
aventi come scopo il rivestimento della sponda, per impedire che questa venga erosa dalla
corrente che la lambisce. Non mancano casi, però, in cui ad un’opera di difesa sia affidata
anche la funzione di muro di sostegno, nel qual caso essa deve essere realizzata con strutture
idonee a resistere alla spinta del terrapieno retrostante.
Le scogliere
Le scogliere sono difese di sponda radenti e devono essere eseguite in maniera differente a
seconda della tipologia di tronco fluviale. Nei tronchi incisi montani, è bene che esse si
estendano su lunghezze sempre limitate, solo per impedire che le acque erodano il piede
delle pendici. Tali opere, infatti, non possono alterare in maniera sostanziale le portate
solide che affluiscono alla rete idrografica, le quali provengono quasi esclusivamente dai
versanti, generalmente per effetto dell’azione disgregatrice degli agenti atmosferici, di
smottamenti o colate superficiali. È evidente, cioè, che per avere effetto sulle aste vallive,
nei tronchi montani gli interventi di difesa di sponda, devono essere accoppiati, oltre che a
briglie, ad interventi di carattere agrario - forestale di sistemazione dei versanti.
Negli alvei alluvionati si ricorre a difese di sponda quando uno dei rami che la corrente di
piena incide nel letto, si muove radente ad una delle sponde o ne investe frontalmente il
piede, provocando fenomeni di erosione.
Se il ramo di corrente si stabilizza per un tempo più o meno lungo, le erosioni della sponda
hanno il tempo di progredire e possono determinare frane o smottamenti del terreno
sovrastante.
39
Fig.22: Scogliera con muri in cemento o in laterizio.
La soluzione presentata nella figura 22 è stata utilizzata per anni, ma essa è errata sia dal
punto di vista ecologico (impedimento iniziale di qualsiasi forma di vita e poi sviluppo di
vita indesiderata), ma anche dal punto di vista idraulico in quanto impedisce lo scambio,
necessario, di acqua con il sottosuolo.
Di gran lunga più adeguata risulterà la soluzione presentata in figura 23:
Fig.23: Scogliera in grandi massi ciclopici.
La dimensione dei massi di figura 23 viene stabilita in relazione alle caratteristiche
idrodinamiche della corrente defluente in alveo (velocità, azione di trascinamento materiali):
il loro peso non deve essere comunque inferiore a 500-1000 kg. Nelle scogliere a secco, tra i
vari blocchi può essere disposto pietrame di minori dimensioni in piccole percentuali (non
più del 2-3% in volume) per migliorare la stabilità globale dell’opera.
Il materasso di fondazione deve essere protetto da soglie di fondo o anche da repellenti,
realizzati sempre con grossi massi, disponendo le pietre di dimensione maggiore nella parte
bassa dell’opera. Per il buon esito dell’intervento è inoltre importante eseguire l’opera
utilizzando idonei sistemi (modine) per definire la sagoma trasversale della scogliera.
Le arginature
Le arginature sono costituite da rilevati con sommità posta a quota tale da contenere
nell’alveo la portata di piena di progetto (Tr = 200 anni).
40
Esse devono essere realizzate in modo da turbare il meno possibile il regime del corso
d'acqua ed in modo da rendere minima l'elevazione del fondo.
Le arginature non sono da considerarsi opere permanenti, infatti dato il progressivo
interramento e quindi l'elevazione del fondo, si dovranno convenientemente rialzare ad
intervalli di più o meno lunghi.
Per il loro studio dovremo conoscere:
- le portate Q dei tronchi di fiume da sistemare;
- le sezioni trasversali con i relativi particolari;
- il livello di magra ordinaria;
- il livello di magra minima;
- il livello di magra massima.
Interessa particolarmente conoscere il livello di magra ordinaria, dovendo regolare le opere
di fondazioni soprattutto se subacquee in base ad esso.
Distingueremo due tipi di arginature.
1. Arginature urbane:
Fig.24: Schema di arginatura urbana.
Dalla figura 24 è possibile distinguere due diversi ordini di muri:
- per il letto di magra;
- per il letto di piena.
I primi devono essere, protetti per vincere l'azione dei gorghi, che minaccerebbero le
stabilità dell'opera.
I secondi, invece possono essere distanti dal letto ordinario e pertanto non occorre che le
fondazioni siano troppo profonde.
Le fondazioni dei muri esterni vanno fissate ad almeno 40-50 cm al di sopra del livello di
magra e portate a profondità di 8-10 m per metterle al sicuro dall'azione di eventuali gorghi.
Per consentire il passaggio del traffico veicolare la sommità arginale e delle banchine deve
avere larghezza superiore di 3-4 m.
41
2. Arginature suburbane
All’interno delle sezioni fluviali arginate è spesso presente un secondo alveo di area limitata
(denominato alveo di magra), capace normalmente di contenere la portata di piena ordinaria.
L’argine principale (argine maestro) è in tal caso collocato in ritiro rispetto all’alveo di
magra, separato da una zona (golena) che viene interessata dalle acque solo in occasione
delle piene più intense (Fig.25). Il complesso dell’alveo di magra e delle golene individua
l’alveo di piena. Nella sezione fluviale sono spesso presenti anche argini minori (argini
secondari o golenali) con sommità inferiore a quella degli argini maestri, destinati ad essere
sommersi durante le piene più importanti. La loro funzione è quella di contenere le piene di
minore importanza all’interno dell’alveo di magra, proteggendo in tal modo la golena che
pertanto risulta allagata con minor frequenza e può quindi essere variamente utilizzata
(agricoltura stagionale, coltivazione di pioppi, tempo libero…). Quando manca la golena
l’argine maestro si dice collocato in froldo (Fig.25); con questa disposizione il rilevato
arginale è più esposto all’azione erosiva della corrente idrica; inoltre trovandosi più a lungo
contatto con l’acqua risulta più difficilmente ispezionabile.
L’altezza dell’argine viene determinata imponendo che al passaggio della portata di progetto
il livello liquido risulti inferiore di una quantità assegnata (franco di sicurezza, generalmente
> 50 cm) alla quota della sommità arginale.
Fig.25: Schematizzazioni dell’arginatura di alvei, con caratteristiche diverse.
Fig.26: Sezione trasversale di un argine.
42
Il rilevato arginale, specie nei corsi d’acqua più grandi, viene realizzato solitamente in terra
presa da cave superficiali poste in prossimità dell’alveo o con materiale scavato nelle
golene. Infatti, dato il notevole sviluppo longitudinale di queste opere, i volumi in terra da
movimentare risultano ingenti e conseguentemente risulta antieconomico trasportare
materiale proveniente da cave lontane dalla zona d’impiego. In genere viene utilizzata terra
omogenea, posta in opera in strati successivi di circa 50 cm di spessore, costipati secondo
norme standard indicate nel capitolato. L’altezza del rilevato deve essere convenientemente
maggiorata (10-15%) per tener conto del prevedibile abbassamento dovuto al costipamento
del terreno. Regole pratiche consigliano di utilizzare un miscuglio composto da 2/3 di
sabbia e da 1/3 di argilla; in ogni caso, si cercherà di utilizzare materiali a bassa
permeabilità (k = 10−4 ÷ 10−6 m s ).
Le scarpate arginali devono essere rivestite per proteggerle dalle azioni esercitate dalla
corrente idrica (scarpata interna) dalle acque piovane e dagli agenti meteorici. Per il
paramento esterno è generalmente sufficiente un rivestimento erboso; mentre per quello
interno, devono essere previsti rivestimenti particolari, maggiormente in grado di resistere
alle azioni erosive.
La sezione trasversale dei rilevati arginali (Fig.26) ha forma trapezia fino ad altezze di circa
3-4 m, con pendenza più elevata nel lato fiume e più dolce verso il lato campagna.
La pendenza del parametro interno (di solito inferiore a 2/3 = 65%) deve essere stabilita
assicurando un valore adeguato al coefficiente di sicurezza allo scivolamento. Il parametro
esterno (di solito inferiore a 1/2 = 50%) deve essere tale da evitare l’affioramento della
superficie libera della corrente filtrante che si sviluppa all’interno dell’argine (Fig.27). Per
altezze maggiori risulta conveniente prevedere per il lato campagna e per la scarpata lato
fiume la realizzazione di banchine d’interruzione con lieve pendenza verso campagna (1/20
= 5%) per garantire lo scolo delle acque piovane e ridurre l’effetto dei fenomeni di
filtrazione. Usualmente le banchine lato campagna vengono denominate, a partire dalla
sommità, banca, sottobanca e piè di banca, quelle lato fiume, petto, antipetto, parapetto
(Fig.26).
Fig.27: Disposizione delle banchine verso il piano campagna per ovviare alla filtrazione.
I fenomeni di filtrazione attraverso il corpo arginale ed i terreni di fondazione devono essere
accuratamente studiati verificando che siano rispettati i criteri assunti per garantire la
sicurezza a sifonamento dell’argine. Spesso, infatti, il terreno su cui è fondato l’argine è
permeabile o sono presenti, a piccola profondità, strati molto permeabili in comunicazione
con l’alveo fluviale. In queste condizioni si possono verificare, a valle dell’argine,
43
risorgenze localizzate (fontanazzi) e, se la velocità di filtrazione è superiori a certi valori
limite, si può innescare il fenomeno del sifonamento, caratterizzato dalla rapida
asportazione del materiale di fondazione. Come provvedimento di pronto intervento si usa
circoscrivere i fontanazzi con piccoli argini realizzati in terra o con sacchetti di sabbia o con
altro materiale, in maniera da ottenere l’innalzamento del livello di affioramento e ridurre in
tal modo il carico motore disponibile per il moto dell’acqua nel terreno. Quando si temano
fenomeni di sifonamento nel terreno di fondazione, si può intervenire con diaframmature
impermeabili (c.a.) spinte, ove possibile, fino a raggiungere un sottostante strato
impermeabile così da intercettare completamente il flusso di filtrazione.
E’ infine da tener presente che gli interventi diretti ad abbattere la linea di filtrazione
all’interno del rilevato arginale o a limitare la filtrazione attraverso il terreno di fondazione
dell’argine, potrebbero determinare un’interruzione della continuità tra il fiume e la falda
idrica, impedendo i normali interscambi. In conseguenza di ciò si potrebbe determinare la
riduzione della capacità di ricarica della falda da parte delle acque superficiali nei periodi di
piena o di morbida e, inversamente, una minore alimentazione del corso d’acqua da parte
della falda stessa nei periodi di magra. Tali effetti, che possono risultare di notevole impatto
se il tratto arginato è lungo, devono essere valutati con appositi studi idrogeologici e con
l’impiego di particolari modelli matematici.
44
PRINCIPALI SISTEMAZIONI DI VERSANTE TRADIZIONALI
Le frane
Le frane sono un fenomeno essenzialmente gravitativo, anche se nella maggior parte dei
casi sono favorite molto dall’acqua. Esse sono dovute alla forza di gravità che agisce su
tutta la massa instabile e che, in un certo istante, supera gli attriti che si oppongono al
movimento stesso. Lo spostamento coinvolge masse relativamente importanti
contemporaneamente, con volumi che vanno da qualche metro cubo sino a decine di milioni
di metri cubi. Oltre alla forza di gravità e alle precipitazioni anche i sovraccarichi antropici e
le sollecitazioni sismiche, possono determinare l’innesco del fenomeno.
Le semplici acque di ruscellamento hanno scarsa importanza sul fenomeno sinché restano in
superficie. Hanno invece grande importanza le acque che s’infiltrano nella zona a rischio
poiché, se la pressione dell’acqua negli interstizi della roccia aumenta, si riducono
fortemente gli attriti e può iniziare il fenomeno franoso.
La frana è quindi un fenomeno naturale che si verifica di norma solo in situazioni
meteorologiche particolari e, se in materiali sciolti, con movimenti che prima di raggiungere
il collasso sono irregolari, con periodi di stasi seguiti da accelerazioni rapide in
corrispondenza di piogge intense o di eventi sismici.
In roccia lapidea la situazione è di norma molto più pericolosa per l’incolumità poiché se è
possibile individuare le zone a rischio, è praticamente impossibile prevedere quando si
scatenerà una frana, che sarà in genere improvvisa e con modestissimi segni premonitori a
breve termine.
Vi sono molti metodi di classificazione. Il più utilizzato è quello di Varnes, che si basa sul
tipo di materiale e sulla velocità di movimento.
I principali tipi di frana sono:
1. I crolli
2. Le colate
3. Gli scivolamenti
1)
Nei crolli il corpo di frana si muove prevalentemente in aria con possibili rimbalzi e
rotolamenti.
45
2)
Le colate sono flussi di materiali incoerente, terreni o detriti, ricchi d’acqua, che si muovono
velocemente.
3)
Negli scivolamenti il movimento comporta uno spostamento per taglio lungo una o più
superfici che possono essere planari (scivolamento traslativo) o curve (scivolamento
rotazionale).
In generale la gran parte delle frane sono di tipo complesso. Queste quando interessano
ampie porzioni del sistema versante-fondovalle, sono frequentemente del tipo: "crollo di
roccia-scivolamento traslativo di detrito" nella parte superiore e "scivolamento rotazionale-
colata" nella zona di accumulo.
Talora nel caso in cui non vengano direttamente interessate aree urbanizzate o di particolare
interesse produttivo o paesaggistico-ambientale, l'impegno tecnico-finanziario richiesto per
l'eliminazione o anche solo la riduzione dei fenomeni negativi connessi all'esistenza di
questi grandi, spesso molto antichi, corpi di frana, può essere ritenuto insostenibile.
In questi casi, è possibile lasciare che i fenomeni geomorfologici evolvano liberamente
verso configurazioni più stabili, se del caso controllando solo lo sviluppo di eventuali forme
di riattivazione superficiale.
46
Foto 4: Frana lungo la sponda di un torrente causata dall’azione di scalzamento alla base,
effettuata dal corso d'acqua. Il fenomeno costituisce uno dei più comuni meccanismi
morfogenetici delle sponde dei numerosi tratti di alveo in erosione.
Tra i fattori naturali, va annoverato un carattere morfologico comune a quasi tutti i bacini
montani, che è quello di avere il profilo longitudinale dei corsi d'acqua caratterizzato da un
tratto iniziale generalmente breve, ma molto acclive, ed i settori intermedio e terminale
molto più sviluppati e con inclinazione modesta. La parte più elevata, "giovanile", del
bacino è spesso sviluppata a ventaglio, mentre la parte intermedia e terminale ha morfologia
"tubiforme", ossia ristretta e allungata. Questo fatto contribuisce, assieme all'elevata
erodibilità dei versanti, dovuta sia alle caratteristiche litologiche, sia al degrado
vegetazionale, a determinare durante le precipitazioni più intense un notevole e soprattutto
rapido afflusso idrico e solido, che nel fondovalle può dare luogo a rigurgiti e tracimazioni,
non appena la corrente incontri un significativo ostacolo o un brusco rallentamento.
OPERE DI DIFESA
Le opere di versante comprendono gli interventi il cui obiettivo è quello di contrastare
un movimento di versante. L’azione di difesa si può esplicare con opere che migliorano le
caratteristiche geotecniche dei terreni in cui agiscono, ad esempio drenando l’acqua che si
infiltra nel terreno, aumentandone la resistenza con l’ausilio di rinforzi (interventi attivi);
oppure con interventi finalizzati a resistere e proteggere dal potenziale movimento franoso.
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In questo ultimo caso si tratta di interventi anche consistenti, progettati per sopportare il
manifestarsi del movimento franoso (interventi passivi).
Scopo Fenomeno Metodo Tipo di opera
Consolidamento
terreni franosi
Scalzamento
alla base causato
dal torrente
Consolidamento alla
base
Terrazzamenti
Gabbionate
Muri a secco
Disordinato
andamento delle
correnti idriche
Drenaggio Fossi drenanti
Canalizzazione
Cunettoni
Canali di gronda
Canali di deviazione
Instabilità
Rivestimento vegetale
Rimboschimento
Cespugliamento
Inerbimento
Opere di sostegno Muri di sostegno
Ancoraggi
Conservazione del
suolo
Erosione lineare Brigliette
Canalette
Erosione diffusa
Modellamento pendici Riprofilatura
Rinsaldamento pendici
Muri a secco
Fascinate
Graticciate
Gradonamenti
Prevenzione
processi erosivi e
regolazione scoli
Superficiale Controllo recapiti Rivestimenti
Profondo Drenaggio Drenaggi coperti
Tab.7: Opere attive per evitare il movimento solido. Sono interventi diffusi nel bacino di
formazione del torrente.
Di seguito saranno presentati gli aspetti generali delle opere attive comunemente più
utilizzate per la sistemazione dei versanti.
Muri di sostegno o contenimento
Questi tipi di manufatti hanno la funzione principale di sostenere, o contenere, fronti di
terreno di qualsiasi natura. Essi si caratterizzano essenzialmente in relazione al materiale
con il quale vengono realizzati; questo infatti, può essere del tipo non resistente a trazione
(muratura, calcestruzzo o gabbionate) o resistente a trazione (c.a.). La scelta del materiale
48
riguarda ragioni economiche (disponibilità sul luogo, attrezzature e mano d’opera) e
progettuali (dimensioni della parete).
In generale si distinguono 3 tipi di muri, a seconda del principio statico su cui si basano:
A gravità (Fig.28/a), ovvero elementi murari di adeguate dimensioni che fondano la
loro stabilità sulla particolare robustezza della struttura e del peso;
A contrafforti, in cui i contrafforti lavorano in un piano verticale, prendendo su di sé
la spinta delle terre ed il pannello murario lavora per inflessione in piani orizzontali,
con la funzione principale di contenimento del terreno;
A mensola (Fig.28/b), ovvero elementi murari snelli, con fondazioni particolarmente
ampie (in modo da realizzare l'incastro al piede) in cui la parete svolge entrambe le
funzioni, di sostegno e di contenimento.
a) b)
Fig.28: Muro in muratura (a) e in c.a. (b).
Come per le briglie, anche i muri vengono dimensionati in funzione delle forze attive che su
di essi agiscono; si trascura il sifonamento, in quanto non ci si aspetta valori di pressione
dell’acqua così elevati da innescare il fenomeno.
Per garantire la stabilità del muro, vengono valutati i valori ottenuti dalle verifiche:
1) Al ribaltamento;
2) Allo scorrimento;
3) Allo schiacciamento;
4) Alla stabilità globale.
Le verifiche si effettuano sempre su tutto il muro e soprattutto nel caso dovesse presentarsi
una brusca variazione della sezione del muro (sezione di spiccato).
49
1) Il ribaltamento
E’ rappresentato dalla possibilità di rotazione della parete attorno al suo punto più a valle.
- L’azione ribaltante è data dalla componente orizzontale della spinta della terra;
- L’azione stabilizzante è data invece dalla componente verticale della spinta della
terra, dal peso proprio dell’opera (γm) e dal peso della terra che eventualmente grava
direttamente sul manufatto. (Per un muro in pietrame il γm = 18000 N/m3, mentre per
un muro in c.a. γm = 25000 N/m3).
La verifica a ribaltamento si esprime facendo il rapporto tra il momento stabilizzante e il
momento ribaltante. Il valore ottenuto deve avere un grado di sicurezza maggiore/uguale a
1,5:
momento stabilizzante
momento ribaltante≥ 1,5
2) Lo scorrimento
S’innesca quando le componenti delle forze parallele al piano di contatto tra fondazione e
terra vincono l’attrito terra-fondazione.
Nella verifica a scorrimento sono presenti la forza normale (N), che comprende tutte le forze
perpendicolari alla base del muro, la forza tangenziale (T), che comprende le forze
tangenziali alla base e il coefficiente di scorrimento (f) che ha valori compresi tra 0,3 e 0,7.
Il valore ottenuto deve avere un grado di sicurezza maggiore/uguale a 1,3:
N
T× f ≥ 1,3
(Per ridurre il pericolo dello scorrimento si può inclinare il piano di posa della fondazione).
3) Lo schiacciamento
Trovato il valore del carico σv , riferito ad 1 metro lineare di opera, esso non deve superare il
carico di sicurezza in funzione del tipo di terreno σTERR . su cui poggia il muro (Tab.6).
N = FNORM .
u =momento stabilizzante − momento ribaltante
N
u è la distanza tra il punto C (dove s’intersecano la risultante di tutte le forze (N+T) ed il
piano di fondazione) e lo spigolo di valle della fondazione del muro.
e =b
2− u = eccentricità (m)
50
L’eccentricità è la distanza tra il baricentro della fondazione ed il punto C.
σV =V
b 1 +
6 × e
b
σV ≤ σTERR .
4) La stabilità globale
Questo controllo risulta opportuno nel caso in cui le terre con cui si ha a che fare siano
notevolmente instabili. La verifica che viene fatta è la seguente:
f = tanφ
N
T× f ≥ 1,3
φ = angolo attrito pendio
L’angolo d’attrito è il valore massimo che teoricamente può raggiungere l’inclinazione del
pendio, purché questo rimanga stabile. E’ quindi funzione delle caratteristiche del tipo di
terreno considerato.
Gabbionate
In alternativa ai muri rigidi in muratura o in c.a., vengono spesso usate le gabbionate o
gabbioni soprattutto per il consolidamento del piede delle scarpate. Essi non sono altro che
parallelepipedi formati da una rete metallica riempita con i sassi reperibili sul posto. I grandi
vantaggi di questa struttura elastica sono la velocità di realizzazione e ripristino in caso di
danneggiamento e la facilità di adattamento ai cedimenti differenziali del terreno.
I gabbioni metallici sono formati con rete di filo di ferro zincato a maglia esagonale
(generalmente 50x70 mm o 60x80 mm) forniti normalmente nella larghezza di 2 o 3 m,
lunghezza compresa tra 4 e 6 m, con interposte piccole falde di rete distanti fra loro 1 m in
maniera da avere una struttura formata da una serie di tasche della dimensione di 2x0,30x1
m, pronte per essere riempite di pietrame. Le modeste dimensioni della maglia della rete
consentono l’utilizzo di materiale di limitate dimensioni, facilmente reperibile in loco. Lo
spessore dei materassi varia dai 15 ai 30 cm, indicativamente esso non deve risultare
inferiore a 2 volte il diametro d50 del materiale di riempimento.
I singoli elementi vengono forniti dai produttori, piegati ed allestiti in loco, preferibilmente
fuori opera, provvedendo alle legature con filo di ferro zincato; il materasso viene quindi
posato nella sua posizione definitiva e collegato, sempre con l’uso di filo di ferro, con i
materassi adiacenti. Successivamente si effettua con mezzi meccanici il riempimento con
pietrame, procedendo dal basso verso l’alto e infine si passa alla legatura del coperchio
metallico di ciascun elemento.
51
Foto 5: Gabbionate.
Quando nei gabbioni vengono inserite ramaglie vive ed eventualmente piante legnose
radicate, l’opera è detta rinverdita. I gabbioni rinverditi vengono utilizzati per stabilizzare
pendii, fossi e sponde di corsi d’acqua. Essi sono dotati di notevole elasticità e lasciano
filtrare l’acqua. Queste caratteristiche li rendono particolarmente adatti per il rapido
risanamento del letto di torrenti e fiumi. In torrenti con modesta portata liquida e solida essi
vengono anche utilizzati come opere trasversali. Applicazioni frequenti si riscontrano anche
negli interventi di rinaturazione.
Gradonamenti
Il gradone è un ripiano continuo ad andamento livellare, in leggera contropendenza verso
monte della larghezza di 0,8-2 m: la distanza tra due gradoni può variare da 1,5 a 10 m
secondo la pendenza del versante. Il ripiano viene ottenuto con modesto scavo e riporto a
valle a formare una piccola scarpata che può essere eventualmente rinforzata col pietrame
rinvenuto sul posto o con zolle erbose.
Con il gradonamento (e con il terrazzamento in campo agrario), ossia con la successione in
serie di ripiani, si realizza la riduzione di pendenza del versante al fine di rallentare la
velocità dell’acqua di scorrimento superficiale e di accrescere il contenuto idrico del suolo
favorendo l’insediamento e lo sviluppo della vegetazione.
Il gradinamento in passato veniva eseguito a mano ma oggi, per economizzare, si tende ad
eseguirlo a macchina: in questo caso è indispensabile una certa cautela per evitare situazioni
che favoriscano l’erosione.
Per il consolidamento delle frane in formazioni rocciose risultano molto efficaci le
gradonate vive. La loro realizzazione è analoga a quella dei gradonamenti classici, ma con
l’aggiunta nei ripiani di talee di salice e piante radicate (vedi pag.57), ricoperte con terra per
3/4 della loro lunghezza. Le talee radicano e con le piante formano file dense di materiale
vegetativo che, con estesi e fitti strati di radici, contribuiscono alla stabilizzazione del
versante. Il metodo si presta anche per consolidare rilevati di materiale sciolto.
52
Fig.29: Gradonate vive.
Le gradonate vive possono essere eseguite in due varianti:
- Con strati intermedi longitudinali costituiti da tavole, lastre di lamiera, cartone
catramato o fogli di plastica larghi da 10 a 30 cm inseriti sotto la ramaglia in
corrispondenza dello spigolo del gradone, col fine di migliorare il contenuto di
umidità del terreno, di diminuire il pericolo di erosione sui bordi e di rinforzare il
corpo terroso. Questa variante viene utilizzata su pendii aridi costituiti da terreni
granulari;
- Con rinforzo, costituito da stanghe longitudinali e trasversali in legno di diametro
fino a 15 cm, posti in opera sotto o sopra i materiali da costruzione vivi (rami e
piante). Questa variante trova impiego su pendii molto ripidi sede di possibili frane.
Ancoraggi
L'applicazione di tiranti, bulloni e chiodi di ancoraggio nell'ammasso roccioso, sono alcuni
dei moderni sistemi maggiormente usati in Italia, ma anche all’estero per la stabilizzazione
dei fronti di scavo o di scarpate e pendii instabili.
53
Questi sistemi sono definiti “attivi” in quanto migliorano sensibilmente le caratteristiche
geomeccaniche dell'ammasso roccioso, aumentando le forze di resistenza al taglio
(coesione).
In funzione della tipologia e dell’azione esercitata, gli elementi metallici di rinforzo sono
chiamati rispettivamente chiodi, bulloni e tiranti di ancoraggio.
I chiodi sono ancoraggi costituiti da aste metalliche (o di vetroresina, fibre di carbonio o
altro materiale) integralmente connesse al terreno e sollecitate in fase d'esercizio
prevalentemente a taglio (nel qual caso l'intervento è chiamato "chiodatura"). La
connessione al terreno può essere fatta con cementazione mediante miscele cementizie o
chimiche o mediante mezzi meccanici.
I bulloni sono aste metalliche con diametro > 25 mm e lunghezze fino a 12 m. Le aste ed i
bulloni metallici sono inseriti nei fori di sonda, praticati nella roccia, o direttamente infissi
nel terreno mediante idonee attrezzature.
L'ancoraggio alla base può essere meccanico, realizzato mediante dispositivi di espansione
che entrano in funzione durante la fase di avvitamento del dado (bullone ad espansione),
oppure mediante cementazione con boiacca di cemento o resine dell'intercapedine foro-
bullone che può interessare un tratto della estremità inferiore o l'intera lunghezza del foro
(bulloni cementati).
I chiodi ed i bulloni sono fissati sulla superficie esterna, in genere, mediante piastra di
ripartizione e dispositivo di bloccaggio (dado).
I tiranti di ancoraggio sono elementi di rinforzo sollecitati in esercizio da sforzi di trazione
e capaci di trasmettere forze resistenti all'ammasso roccioso o al terreno in cui sono inseriti.
Un tirante tipico d'ancoraggio è costituito da una “testa” munita di piastra di ripartizione e
sistema di bloccaggio, collegati ad una “parte libera”, che comprende la porzione
tensionabile e la guaina di rivestimento, ed una “fondazione”, dotata di armatura.
L'ancoraggio della fondazione nella roccia intatta e stabile può realizzarsi mediante un
dispositivo ad ancoraggio meccanico o per cementazione. La testa del tirante è di solito
cementata ad una struttura di sostegno quale: muri diaframmi o pali.
I tiranti d'ancoraggio possono essere:
- pretesi (o attivi) quando gli stessi elementi sono sollecitati in esercizio da
sforzi di trazione impressi all'atto dell'esecuzione;
- non pretesi (o passivi) quando gli elementi di rinforzo sono sollecitati a trazione, che
si mobilita in seguito all'instaurarsi di movimenti e deformazioni dell'ammasso;
- parzialmente pretesi quando viene impressa loro all'atto dell'installazione una
tensione minore di quella d'esercizio.
L'inserimento ed il bloccaggio di un'asta o tondino metallico nell'ammasso roccioso o nel
terreno, fornisce un notevole incremento delle forze resistenti e della stabilità dello stesso,
rendendolo autoportante.
54
Fig.30: Consolidamento di una porzione di terreno tramite tiranti e chiodatura.
Barriere paramassi
Le barriere paramassi sono delle strutture di difesa passiva, realizzate in genere lungo la
base di versanti in roccia instabili e/o in canaloni, dimensionate ed ubicate in modo tale da
arrestare blocchi e massi anche di grosse dimensioni e materiale detritico mobilizzato. In
funzione del loro comportamento fisico, dei materiali e delle modalità costruttive si possono
distinguere due tipi principali di strutture: barriere paramassi rigide e barriere paramassi
elastiche.
Paramassi rigidi
Sono strutture poco deformabili, pesanti e di grandi dimensioni, capaci di opporsi con
notevoli forze resistenti agli impatti. Il loro dimensionamento tiene conto in fase di
progettazione della sollecitazione dinamica indotta dall’impatto di un “masso di progetto”.
Generalmente sono realizzate in calcestruzzo armato, con o senza contrafforti,
opportunamente ancorati al terreno stabile con micropali o tiranti di ancoraggio. Al disopra
dei muri, nei punti più critici, spesso è installata una barriera elastica formata da pannelli di
elementi metallici o da reti metalliche.
In particolari situazioni ambientali, soprattutto quando sono richieste strutture resistenti e
deformabili su pendii ripidi, si adottano muri in gabbioni metallici. I gabbioni forniscono un
ostacolo deformabile con assorbimento dell'impatto in parte elastico in parte rigido, inoltre
hanno il grande vantaggio di poter sfruttare l'abbondanza dei detriti di versante per il loro
riempimento e sono facilmente riparabili in caso di danneggiamenti.
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Foto 6: Vallo paramassi.
Paramassi elastici
Sono strutture deformabili, leggere con elementi altamente resistenti, formati da materiali di
alta qualità e durata. La leggerezza della struttura, la semplicità, la rapidità di installazione e
di manutenzione, consentono di eseguire l'intervento anche in zone montuose di difficile
accessibilità.
La struttura è progettata e dimensionata in modo tale da poter intercettare, rallentare o
arrestare la caduta di massi isolati o di detrito. Spesso queste barriere sono associate ad altri
sistemi di difesa passiva, quali ad esempio muri in c.a., valli e rilevati paramassi.
In funzione delle tipologie costruttive e dei materiali impiegati, le barriere elastiche
possono presentare varie configurazioni quali:
- barriere formate da reti flessibili installate su strutture di sostegno rigide tipo muri in
c.a. o di altro tipo.
- barriere formate da pannelli di reti flessibili d'acciaio, con sostegni (ritti) ed elementi
di rinforzo (tiranti d'ancoraggio) infissi direttamente nel terreno o sulla sommità di
terrapieni o di strutture di sostegno di vario tipo (ad esempio muri in gabbioni), ed
installati secondo lo schema tradizionale ”a sacco”.
Le barriere paramassi elastiche sono essenzialmente formate da singoli pannelli in rete
estensibile ad alto assorbimento d'energia in funi d'acciaio galvanizzato ad alta resistenza,
disposte in maniera da formare maglie di varia forma. I pannelli, collegati tra loro da funi di
cucitura d'acciaio, sono posti in opera perpendicolarmente al pendio, sostenuti da piedritti
(ritti) metallici, con interasse di qualche metro, tiranti di monte e controventi di valle in cavi
di acciaio ad alta resistenza. Gli elementi di sostegno e di rinforzo (piedritti,cerniere dei
piedritti, tiranti) sono ancorati e fissati nella roccia o nel materiale detritico mediante barre
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d'acciaio ad aderenza migliorata cementate o in micropali di lunghezza adeguata.
La progettazione in assenza di una normativa specifica nel settore, è effettuata sia sulla base
delle indagini geologico-strutturali dell'area e dell'analisi cinematica del processo di caduta
e rotolamento dei massi (simulazione di caduta, rimbalzo, rotolamento e arresto di massi o
di detrito mobilitato, eseguito al computer su modelli teorici o su dati reali rilevati da prove
in sito), sia sull'analisi dell'energia cinetica posseduta dal masso di progetto in caduta o
rotolamento, trasformata, con l'impatto sulla rete estensibile, in lavoro di deformazione degli
elementi della struttura.
Foto 7 e 8: Reti paramassi.
57
L’INGEGNERIA NATURALISTICA
L'ingegneria naturalistica (I.N.) o bioingegneria forestale è una disciplina tecnico-scientifica
che utilizza, le piante vive o parti di esse (semi, radici, talee), da sole o in combinazione con
materiali naturali inerti (legno, pietrame, terreno), materiali artificiali biodegradabili
(biostuoie, geojuta) o materiali artificiali non biodegradabili (reti zincate, geogriglie,
georeti, geotessili), per ridurre il rischio di erosione del terreno negli interventi di
consolidamento, con un impatto ambientale minimo.
L’ingegneria naturalistica è un settore relativamente nuovo per l’Italia, mentre in Europa ha
ormai qualche decennio di applicazioni. Le società di bioingegneria operano dal 1977, ma
interventi sistematici di bioingegneria forestale vennero iniziati in Austria, Germania,
Svizzera già nel dopoguerra.
Al centro di queste tecniche sta la pianta e le sue capacità di rafforzare il terreno con le
radici e dissipare l’energia idraulica con la sua crescita.
I processi per i quali la natura impiega forse 100 anni, vengono accorciati dalla
bioingegneria forestale, che abbrevia i tempi dell’insediamento e del consolidamento con il
miglioramento delle caratteristiche stazionali ed una accelerazione dei processi della
successione naturale.
E' importante però evidenziare come ogni opera di I.N., proprio perché realizzata con
materiali naturali, necessiti di controlli e manutenzione periodica (sfalcio della copertura
erbosa, potatura delle piante arboree), nonché comportino un automatico incremento dei
costi.
Negli ultimi anni, in Italia, si è registrata una maggiore sensibilità nei confronti
dell'ambiente in generale ed in particolar modo della tutela del paesaggio, con un
conseguente incremento nella diffusione delle tecniche di I.N.
E' opportuno però ricordare che qualsiasi intervento "sistematorio" sia di versante, sia su un
corso d'acqua debba essere sottoposto preventivamente ad una stringente analisi di verifica
della correttezza degli obiettivi e delle inevitabili ripercussioni ambientali. Non è dunque
sufficiente sostituire le tradizionali opere di sistemazione con le più rispettose tecniche di
I.N. (spesso utilizzate come semplice “abbellimento verde”), ma occorre compiere la scelta
di inserirsi in una strategia coerente di buongoverno dei fiumi e del territorio.
Tecniche di propagazione
Le tecniche di propagazione delle piante interessano sia l’applicazione diretta in cantiere
che la produzione vivaistica. In fase progettuale è importante conoscere le caratteristiche
delle specie anche sotto questo aspetto per utilizzare quelle che meglio si adattano, oltre che
per le loro funzionalità ecologiche o biotecniche, all’ottenimento di un risultato rapido e al
tempo stesso duraturo. La propagazione può avvenire per seme o per via vegetativa,
utilizzando parti di pianta (astone, ramo o branca, talea, talea radicale, rizoma, stolone) in
grado di dar vita ad un nuovo individuo.
- Astone: soggetto vegetale con gemma apicale; branche secondarie non ancora
sviluppate.
- Talea: porzione di ramo o di fusto (50-100 cm; Ø 5-10 cm) prelevato durante il
riposo vegetativo.
- Talea radicale: porzione di radice prelevata durante il riposo vegetativo.
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- Rizoma: fusto sotterraneo a sviluppo orizzontale che emette radice e rami.
- Stolone: ramo basale di alcune specie erbacee poliennali che striscia sul suolo e dai
nodi emette radici e culmi.
I materiali vivi utilizzati per gli interventi di I.N. sono costituiti da: semi di specie erbacee,
arbustive ed arboree, zolle erbose e prato in rotoli, piante complete a radice nuda o in
contenitore, parti di piante con capacità di emettere radici.
La scelta di un materiale rispetto ad un altro è ovviamente funzione delle condizioni
stazionali, delle necessità progettuali e di quelle che si possono presentare in cantiere.
L’intervento più semplice è la ricostruzione della copertura erbacea che può avvenire
attraverso la semina manuale o l’idrosemina di specie erbacee; il trapianto di cespi o
d’intere zolle erbose (ecocelle), l’impianto di rizomi o stoloni.
Ove la ricostruzione del cotico erboso non sia sufficiente e venga richiesta un’azione di
consolidamento più profonda, è buona norma procedere all’impianto di specie arbustive
autoctone al fine di accelerare i processi dinamici e ottenere una copertura del terreno più
efficace. Su sponde di corsi d’acqua o su frane, la messa a dimora di talee potrà accrescere
notevolmente la stabilità del terreno, secondo diverse modalità d’esecuzione; le talee, in
particolare di salice, trovano un impiego come picchetti viventi per stuoie, reti o fascine
oppure, abbinate a piantine radicate di latifoglie, vengono disposte “a pettine” in trincee
parallele, formando gradonate vive (vedi pag.52).
L’obiettivo finale è la formazione di dense file vegetative parallele tra di loro che
stabilizzino il versante con fitti strati di radici. In entrambi i casi si procederà infine ad
inerbire il pendio mediante la semina o l’idrosemina.
Astoni e ramaglia di specie con capacità di moltiplicazione vegetativa, in particolare di
salice, possono essere riuniti in fascine di varie dimensioni (lunghezza 2,5-4 m; Ø 40-60
cm) disposte in solchi orizzontali con funzione di consolidamento, analogamente a
gradonate e cordonate; verticalmente, secondo la massima pendenza o a spina di pesce con
funzione di drenaggio; per la difesa al piede di sponde fluviali o lacustri. Le fascine possono
essere costruite con materiale vivente o miste o anche con ramaglia morta. Lo sviluppo
della vegetazione secondo linee oblique, orizzontali o verticali favorisce oltre al drenaggio
profondo delle acque anche un assorbimento attivo con un’azione di prosciugamento
biotecnico. I materiali, anche in questo caso, sono prevalentemente rappresentati dalle
piante, se si esclude il filo di ferro per la legatura delle fascine ed eventualmente il tondino
di ferro per la realizzazione dei picchetti che possono però anche essere di legno.
Per la difesa spondale, la posa a strati alternati sovrapposti di fascinate e gradonate con talee
dà origine alla tipologia costruttiva denominata ribalta viva, più resistente alla forza di
trascinamento dell’acqua rispetto alla sola posa di fascine.
Un ultimo esempio in cui le funzioni tecniche antierosive o di consolidamento sono svolte
quasi esclusivamente dalle qualità possedute dai materiali viventi, vede la loro applicazione,
quando le caratteristiche idrauliche del corso d’acqua lo permettano, lungo le sponde
fluviali. Astoni e ramaglia di salice vengono sistemati in senso verticale, costituendo una
copertura diffusa. Per il fissaggio dei salici vengono impiegati picchetti in legno o in ferro;
tondame di legno per mantenere aderente al terreno la copertura diffusa e filo di ferro per le
legature.
L’uso dei materiali vivi è inizialmente subordinato alla costruzione di una struttura in
legname con funzione di sostegno. La palificata, a parete semplice o doppia, viene realizzata
disponendo i tronchi con diametri generalmente variabili da 25 a 35 cm in modo da formare
59
un’incastellatura, riempita con una miscela costituita da inerte terroso locale e terreno
vegetale, piantata con talee e piantine radicate. I tronchi sono uniti fra loro con chiodature in
tondino di ferro e ancorati al terreno con piloti in ferro (spezzoni di rotaia o picchetti). Con
il tempo le talee e le piante radicheranno in profondità aumentando la stabilità del pendio.
La profondità massima della struttura in legno solitamente non supera quella di sviluppo
degli apparati radicali (2-2,5 m).
Sui versanti in frana con pendenze fino a 60° circa, ove il modellamento superficiali sia
difficoltoso, trova collocazione ideale la grata viva. Questa tipologia costruttiva, come la
palificata, utilizza per la parte strutturale, legname con chiodature e picchetti in tondino di
ferro. Il tondame (lunghezza circa 4-5 m, Ø 25-30 cm) viene disposto verticalmente sul
terreno sul quale, successivamente , si procede alla chiodatura dei tronchi orizzontali
formando una maglia quadrata (0,5-1x1-1,5 m2) riempita con la miscela di inerte terroso
locale e terreno vegetale. L’inserimento di talee e piantine avviene sui gradoni creati dalla
posa dei tronchi orizzontali.
In questo modo i limiti iniziali delle piante, che raggiungeranno la massima efficienza dopo
7-8 anni dall’impianto, vengono superati dalla costruzione in legname (palificata o grata) la
quale lascerà a sua volta il passo alla vegetazione. Entro questo periodo è pertanto possibile
stabilire la riuscita dell’intervento stesso dal grado di attecchimento e di sviluppo dei
materiali viventi.
La messa a dimora di alberi, nelle opere di I.N. non è sempre desiderabile e vi sono casi in
cui la presenza di specie arboree è persino sconsigliabile perché può rappresentare un
rischio per la futura stabilità del versante. Sulle sponde, lungo i corsi d’acqua, deve essere
valutata attentamente l’opportunità di mantenere alberi al di sopra di certe dimensioni
(superiori ai 4-5 m di altezza) in considerazione degli aspetti idraulici. Le specie che
possiedono le qualità migliori di resistenza e durabilità sono: il larice e il castagno. Inoltre
accorgimenti particolari quali la scortecciatura o l’abbruciamento servono ad aumentare la
resistenza agli agenti esterni prolungando la durata del legname.
Quanto finora descritto appartiene perciò alle opere di sostegno temporanee legate alla
durabilità del legname impiegato. L’efficienza complessiva dell’intervento è però
determinata dalla presenza delle piante, destinate a durare nel tempo, ben oltre le possibilità
offerte dal legname.
Le piante si possono abbinare, per esigenze costruttive particolari, ad altri materiali da
costruzione inerti. I materiali lapidei vengono suddivisi secondo le dimensioni:
- I massi ciclopici per la costruzione di scogliere per sostenere e difendere le sponde
fluviali (vedi pag.39);
- Il pietrame di varia pezzatura per il riempimento di fossi drenanti e di gabbioni, per la
costruzione di muri a secco e di rampe a blocchi lungo i corsi d’acqua (vedi pag.50).
Un settore in rapida evoluzione è quello dei materiali di supporto a semine e idrosemine,
utilizzati per gli interventi di rivestimento vegetativo. Esiste infatti in commercio una
grande varietà di reti, stuoie, feltri, geotessili applicabili ad una casistica molto ampia. La
funzione principale di questi materiali è di proteggere il terreno dall’erosione nelle fasi
iniziali, prima cioè che il cotico erboso e, in seguito, la vegetazione arbustiva svolgano
questo compito autonomamente.
Una prima distinzione viene fatta sulla natura dei materiali costituiti da fibre vegetali,
sintetici, in ferro zincato.
60
Le fibre vegetali più comuni sono il cocco, la juta e il sisal; tra queste il cocco ha una
resistenza e una durata maggiori; ci sono stuoie in juta, biofeltri in cocco e paglia o in fibre
miste, biofeltri trucioli di legno, stuoie e georeti biodegradabili di cocco; georeti
tridimensionali in materiali sintetici: nylon, polipropilene, polietilene, polietilene ad alta
densità.
Quando è necessaria un’opera permanente devono essere utilizzati geotessuti artificiali,
quando è sufficiente un’opera temporanea si possono impiegare geotessuti naturali.
Esistono poi reti metalliche, in acciaio: rete zincata o rete zincata e plastificata a maglia
esagonale a doppia torsione: per il rivestimento o la costruzione di gabbioni e materassi ed
infine per le intelaiature di terre rinforzate verdi.
Geocelle a nido d’ape in materiale sintetico: non tessuto poliestere o polietilene estruso
vengono impiegate per la protezione di scarpate in terra e commercializzate in pannelli.
E’ possibile infine realizzare opere verdi anche in condizioni estreme di pendenza,
pressoché verticali, con l’ausilio di terre rinforzate verdi costruite secondo varie modalità
offerte dalle ditte specializzate.
Campi di applicazione
Le tecniche di I.N. vengono applicate in diverse tipologie di ambiente, su tutte:
Corsi d'acqua: consolidamento di sponde soggette ad erosione, costruzione di briglie
e pennelli;
Versanti: consolidamento ed inerbimento dei versanti.
Corsi d’acqua
In ambito fluviale, le tecniche dell’ingegneria naturalistica offrono 2 campi di applicazione
di rilevante importanza economica:
- Risanamento dissesti;
- Rinaturazione delle sponde e dell’ambiente fluviale.
Le tecniche d’I.N. mostrano la massima efficienza nel risanamento dei dissesti minori lungo
le sponde dei corsi d’acqua , su versante e lungo la rete stradale. Tali dissesti si presentano
diffusi sul territorio, ma singolarmente di modesta entità e pertanto mal si prestano
all’attuale sistema di gestione delle opere pubbliche per appalto; essi si presentano inoltre in
maniera imprevedibile, a seguito per lo più di eventi meteorologici, e quindi non rientrano
nella prassi corrente che prevede scarsissimi fondi per la manutenzione ordinaria, ma rinvia
le possibilità d’intervento sul territorio ai provvedimenti legislativi d’urgenza a seguito di
eventi calamitosi gravi.
Nella maggioranza dei casi, le opere di risanamento dei dissesti minori non richiedono
particolari progettazioni e pertanto la prassi ordinaria risulta ridondante. Inoltre le opere di
I.N. devono essere realizzate in ben determinati periodi dell’anno per favorire così lo
sviluppo delle specie vegetali utilizzate.
La rinaturazione dei corsi d’acqua consiste nel ripristino di forme e rivestimenti spondali
originari allo scopo di favorirne la rivitalizzazione. Un effetto non trascurabile
61
dell’applicazione delle tecniche di I.N. ai corsi d’acqua risulta essere l’incremento della
biodiversità.
Il problema della manutenzione periodica deve essere adeguatamente compreso e perseguito
con apporti che, necessariamente, non possono essere solo demandati solo all’Ente pubblico
che vi provvede, attualmente, con saltuari appalti in fase di emergenza. Bisogna infatti
pensare che, proprio a proposito delle opere di difesa longitudinali e trasversali, il ricorso al
calcestruzzo non dipende solo dalla facilità di esecuzione, ma anche dalla costante richiesta
di ridurre al minimo gli interventi di manutenzione. Ciò non comporta necessariamente un
risparmio, ma nella prassi attuale, mentre la ricostruzione dell’opera distrutta rientra negli
impegni previsti dalle leggi speciali che sempre seguono un evento calamitoso, non rientra
nella procedura ordinaria l’assegnazione agli Enti territoriali di una quota costante su base
pluriennale per interventi preventivi o di riparazione. Tali fatti sono spesso richiamati
all’attenzione allorché si avanza la proposta di utilizzare tecniche che prevedono l’impianto
di talee di salice o specie aventi analoghe funzioni per il consolidamento delle scogliere in
massi o il ricorso a palificate di sostegno delle sponde o del piede delle scarpate stradali. La
costante preoccupazione per la durevolezza del manufatto dovrebbe essere mitigata dalla
ricerca di opere caratterizzate da rapido inserimento nel contesto ambientale circostante, che
garantiscano il ripristino di situazioni para-normali.
Versanti
Un pendio naturale non è mai del tutto sicuro. Una morfologia a profilo inclinato va sempre
considerata come situazione solo temporaneamente stabile che in tempi più o meno lunghi,
e forse per fasi successive, verrà modificata dalle forze di gravità, fino a raggiungere la
morfologia pianeggiante. Se il processo di degradazione è lungo per le rocce lapidee lo è
meno per le rocce sciolte che, spesso, sono in sosta momentanea, in condizioni di equilibrio
limite, in attesa che questo venga rimosso dalla mano dell’uomo, ovvero da eventi naturali,
fra i quali la maggior protagonista è sempre l’acqua.
Quindi il progettista, che deve conoscere la geologia della zona e compiere i doverosi
accertamenti geofisici e geotecnici, deve studiare, anche se i risultati delle sue indagini sono
rassicuranti, soluzioni specifiche, tenendo presente che il profilo inclinato di una roccia
sciolta è una situazione innaturale e come tale pericolosa. In altre parole, va considerato che
l’eccezione non è il pendio instabile bensì quello stabile.
Nella progettazione di ingegneria naturalistica è quindi importante attenersi ad alcune regole
fondamentali:
a) Per quanto sia possibile, evitare di modificare il pendio naturale se non in senso
migliorativo, ossia riducendo l’angolo del pendio o intervenendo con piantumazioni e
opere di governo delle acque sotterranee e superficiali.
b) Tenere conto che, se un pendio viene modificato in senso peggiorativo, dovrà essere
contenuto a lungo termine con opere che devono rispondere ai requisiti di legge per
quanto concerne il coefficiente di sicurezza (è il rapporto tra le forze che tendono a
farlo scivolare a valle e quelle che invece tendono a mantenerlo stabile).
Opere che limitano l’erosione e che governano le acque (viminate, palificate, fossi di
guardia e drenaggi) sono ottime per ridurre i fenomeni di degradazione, ma hanno scarsa
62
efficacia per quanto attiene al rischio di frane, se non vengono rispettati i profili e le opere
di contenimento dettati dalla geotecnica e dalla meccanica delle rocce.
Gli interventi di consolidamento frane in terreni sciolti vanno eseguiti soprattutto attraverso
una buona regimazione delle acque e in questo è fondamentale l’intervento dell’I.N. poiché i
migliori fossi di guardia sono sicuramente quelli in terreno naturale protetto adeguatamente;
l’esperienze con embrici in calcestruzzo o con semitubi in lamiera ondulata o con manufatti
in muratura (per raccogliere le acque, non per trasportarle) hanno dato sempre risultati
deludenti, al contrario dei fossi al naturale.
Un altro punto fondamentale però del consolidamento delle frane è il ripristino
dell’equilibrio delle masse in movimento attraverso uno spostamento dei pesi, quale un
alleggerimento della testa del corpo di frana, una ricarica al piede del versante o un
contenimento con adeguate opere d’arte: l’intervento dell’I.N. è fondamentale per il rapido
recupero ambientale delle zone movimentate e per impedire l’erosione delle superfici messe
a nudo, ma grande prudenza va usata nell’uso di tecniche naturalistiche in grandi opere di
contenimento, se si vogliono ottenere risultati sicuri.
Vi sono problemi di durata, di costi, di materiali, di conoscenza delle tecniche da applicare
che non sempre giustificano questo tipo d’intervento.
Per le grandi opere di contenimento sono forse da preferirsi tecniche tradizionali scelte in
modo da poter essere abbinate ad una “finitura” di tipo naturalistico (ad esempio scogliere
ciclopiche o gabbioni con tiranti che possono esser facilmente calcolati, ma altrettanto
facilmente abbinati a piantumazioni ed interventi di consolidamento e mascheramento
naturalistico).
DESCRIZIONE ANALITICA DELLE PRINCIPALI OPERE
Sistemazioni idrauliche
1) Drenaggi
Generalità:
Il principio è quello di neutralizzare gli effetti dannosi dell’acqua sui terreni ripidi. Un dreno
per essere tale deve intercettare l’acqua e convogliarla o disperderla senza danni.
Interventi:
a) Canalette o pozzetti in legno. Queste strutture vengono costruite per raccogliere ed
allontanare l’acqua superficiale e proteggere la scarpata da erosioni fino al completo
sviluppo della vegetazione.
b) Trincea drenante con fascinate vive e morte o con struttura sintetica. Viene utilizzata
per il prosciugamento superficiale di frane costituite da materiale incoerente di
matrice limoso-argillosa.
c) Drenaggio verticale combinato. Tecnica applicabile in presenza di numerosi
affioramenti d’acqua diffusi ed irregolari con portata non rilevante ma continua, non
regimabili mediante una sistemazione con briglie.
d) Cuneo filtrante. E’ utilizzato per bonificare pendii bagnati soggetti a franamento a
causa della mancanza di appoggio al piede.
63
Modalità di esecuzione:
a) Le canalette vengono costruite con tavolame dello spessore di 3-4 cm, assemblato a
forma di V o U e fissate al terreno con picchetti in legno o in ferro. Anche per i pozzetti
s’impiegano tavoloni di larice forando con una motosega la parete a monte che funge
da filtro. Il pozzetto viene quindi interrato inserendo nella parte a valle il tubo di
scarico e coprendo la struttura con un chiusino. La possibilità di costruzione in
magazzino e la facilità di trasporto rende l’applicazione di tali strutture particolarmente
agevole ed economica.
Foto 9: Canaletta in legno fissata con picchetti in legno.
b) Il metodo delle trincee drenanti consiste nello scavo di un fosso della profondità di 80-
100 cm, che viene riempito con fascine di ramaglia, fissate al terreno con picchetti di
legno o di ferro. Dove è necessaria un’azione permanente di drenaggio si utilizzano
fascine costituite da ramaglia viva di salice che, a contatto con il terreno emettono delle
radici formando una linea di drenaggio vegetata e persistente. Al riguardo è bene
ricordare che queste dovranno essere disposte sempre con la parte più grossa rivolta a
monte. Le fascinate morte o vive svolgono la loro azione di prosciugamento in seguito
all’intercettazione e al convogliamento dell’acqua da parte dei rami. Dopo
l’attecchimento delle piante subentra l’effetto pompante delle stesse e quindi il
mantenimento dell’effetto drenante nel tempo. La disposizione delle fascinate lungo il
pendio può essere verticale, lungo linee di massima pendenza, o inclinato per captare le
emergenze idriche diffuse. Nel caso in cui si sostituisse la ramaglia con materiale
sintetico la struttura drenante sarà costituita da un geotessile composto da una struttura
tridimensionale in nylon ad alto contenuto alveolare interposto a 2 non-tessuti di
poliestere. Lo spessore della struttura è di pochi cm e pesa circa 10 N/m2. La profondità
della trincea sarà di 1 o 2 m e il dreno verrà posato addossandolo alla parete di monte,
si provvederà poi al posizionamento del tubo microforato e infine al riempimento della
trincea con il materiale presente in loco. Il vantaggio dell’utilizzo di materiale sintetico
consiste nel fatto che non è necessario portare materiale drenante dall’esterno, come nei
drenaggi classici, ma si utilizza il materiale del posto.
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Fig.31: Trincea drenante con struttura sintetica.
c) Col drenaggio verticale combinato l’acqua viene captata nei vari punti di affioramento
ed allontanata con una condotta sotterranea lungo la massima pendenza. In tal modo
tutta la superficie viene rivegetata anche negli impluvi con un chiaro effetto
stabilizzante.
Fig.32: Drenaggio verticale combinato.
d) Cuneo filtrante. Alla base della zona bagnata si costruisce un muro in legname di
altezza adeguata nel quale s’inserisce una guina o una canaletta zincata per smaltire
l’acqua proveniente dall’alto. Successivamente si ricarica la zona bagnata con del
materiale molto permeabile (ghiaione, pietrisco), dopo aver eventualmente inserito
lungo il pendio dei tubi microforati che aiutano l’emungimento dell’acqua. Durante la
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ricarica del ghiaione drenante o successivamente si inseriscono delle grosse talee di
salice fino a raggiungere il terreno bagnato e favorire il prosciugamento attraverso il
consumo attivo.
Fig.33: Cuneo filtrante.
2) Palificate in legname
Generalità:
Sono manufatti a gravità formati da una struttura cellulare in pali di legno abbinato alla posa
di piante. Il deterioramento del legname, in alcuni decenni, presuppone che i parametri di
stabilità del manufatto vengano riferiti ad un parametro esterno assimilabile ad una pendice
ben vegetata e ad un terreno con buone caratteristiche di attrito. In presenza di adeguata
manutenzione (taglio periodico delle piante al fine di impedire l’appesantimento delle
ceppaie) si possono raggiungere accettabili condizioni di stabilità per pendenze del
parametro esterno dell’ordine di 60°.
Interventi:
Questa tecnica viene utilizzata soprattutto per interventi di consolidamento o ricostruzione
di sponde fluviali e torrentizie. I materiali usati sono: tondami di legno ad elevata durabilità
(robinia, castagno…), pioli o tondini in metallo ad aderenza migliorata, talee e piantine di
latifoglie e georeti di materiale biodegradabile (juta, fibra di cocco, polipropilene,
poliammide).
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Modalità d’esecuzione:
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Note:
La scortecciatura dei pali aumenta la durabilità del legname.
Da curare il posizionamento della palificata ad almeno 0,5-1 m al di sotto del fondo ovvero
realizzare la struttura appoggiata al di sopra di una base in massi. La gestione di un lavoro
con tondame di diametro 30-40 cm, preferibile dal punto di vista costruttivo, presenta la
necessità di disporre di un escavatore per la movimentazione dei tronchi. La costruzione con
tondame di diametro massimo 20 cm può presupporre invece la realizzazione di un cantiere
con mezzi manuali. A mente delle attuali normative sulla sicurezza del lavoro la
movimentazione manuale deve essere limitata a tondame, gestito da due operatori, di peso
unitario non superiore a 40 kg (donne) o 60 kg (uomini).
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3) Briglie in legname e pietrame
Generalità:
Si utilizza il legno e la pietra per la costruzione di briglie secondo gli schemi classici. La
durata del legname è limitata rispetto ad altri materiali tradizionali (massi, gabbioni in
assenza di elementi corrosivi nelle acque) ed il suo utilizzo è pertanto giustificato solo in
presenza di impossibilità logistica di trasporto di massi sul posto ovvero in presenza di
legname in vicinanza dell’alveo.
Interventi:
Tecnica utilizzabile per necessità di manufatti di dimensioni limitate ad altezze (quota
gaveta) da 1 a 1,5 m. I corsi d’acqua che verranno considerati dovranno avere limitato
trasporto solido ed un deflusso minimo costante, così da evitare cicli di
disseccamento/imbibizione del legname ed aumentarne quindi la durabilità.
Modalità d’esecuzione:
La briglia deve essere calcolata come manufatto a gravità tenendo presente che il volume
occupato dal legname non superi il 20-25% del volume totale del manufatto.
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Note:
Da curare la presenza della platea a valle della briglia e la progettazione della pendenza e
dell’ammorsamento della struttura, a monte della gaveta, per evitare occasioni di
scalzamento.
4) Terre armate e/o rinforzate
Generalità:
Questa tipologia d’intervento comprende tutti i modellamenti e le ricostruzioni di sponda e
di versante che utilizzano terreno ed inerti con interposti strati di materiali geosintetici in
modo da migliorare indirettamente le caratteristiche geotecniche dei terreni medesimi. I
volumi di terreno interessati dalla lavorazione a strati successivi (terreno-rinforzo-terreno) si
comportano così come manufatti a gravità con il vantaggio di presentare una buona
flessibilità e la possibilità d’inserimento di vegetazione sul parametro esterno. Le terre
armate devono riconoscersi nella finalità di rispettare parametri costruttivi che consentano
lo stabilirsi di un’efficiente copertura vegetale (pendenza del paramento, caratteristiche del
terreno, materiale di rinforzo impiegato) considerando in ogni caso come la tecnica del
rinforzo delle terre consenta la realizzazione di manufatti con scarpate ed inclinazioni
maggiori dell’angolo d’attrito del terreno che lo compone (fino a 60°-70°).
Interventi:
Questa tecnica è efficace per consolidare il piede di una frana, per la ricostruzione di pendii
e porzioni di versante, per la formazioni di terrapieni consolidati e vegetati per rilevati
stradali ed in corrispondenza di tratti tombinati. I materiali impiegati sono: geogriglie in
materiale plastico, tessuti ad alta tenacità e reti metalliche.
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Modalità d’esecuzione:
Note:
Risulta molto importante nel periodo idoneo alla posa del materiale vegetale (autunno
inverno-primavera fino ad Aprile) in quanto il tipo di lavorazione rende difficoltoso
l’inserimento di piantine e talee nella struttura in un momento successivo al completamento
della struttura stessa.
La permeabilità all’acqua per i tessuti geosintetici varia in modo inversamente
proporzionale alla resistenza alla trazione per ordini di grandezza da 15 a 1 m3/s per m
2.
Questo dato indica come l’utilizzo dei geosintetici in presenza di alte resistenze alla trazione
71
possa inficiare la possibilità di ottenere idonei sviluppi delle specie vegetali poste a dimora.
Questa difficoltà non si presenta nel caso di utilizzo di reti.
5) Interventi sulla vegetazione ripariale
Generalità:
La manutenzione ordinaria e straordinaria della vegetazione localizzata nell’alveo dei corsi
d’acqua consiste soprattutto in tagli periodici a carattere selettivo e/o in tagli periodici a
raso, finalizzati all’eliminazione di vegetazione instabile ed alla regolarizzazione dei
deflussi. In sintesi, le principali funzioni della vegetazione ripariale sono:
- Consolidamento e stabilizzazione delle sponde;
- Rallentamento della velocità della corrente;
- Formazione di ecosistemi ad elevato valore vegetazionale, faunistico e paesaggistico;
- Depurazione delle acque;
- Formazione di ambienti a valenza sportiva e turistico-ricettiva.
Interventi:
S’interviene sui corsi d’acqua con presenza di vegetazione ripariale a forte sviluppo per
assenza di manutenzione ed in condizioni di abbandono. I tagli devono essere effettuati
preferibilmente nel periodo tardo autunnale ed invernale, evitando di intervenire in
primavera.
Modalità d’esecuzione:
- Taglio raso. L’intervento deve essere effettuato nei limiti dell’alveo di piena
ordinario o attivo, intendendo con tale definizione l’alveo interessato da eventi di
piena con tempo di ritorno di circa 30 anni. L’intervento consiste nel taglio raso, al
colletto, delle piante isolate e dei nuclei di piante presenti, sia in caso di piante da
seme che di polloni da ceppaia. Verrà interessata tutta la superficie di eventuali
“isole” presenti in alveo, dovute a deposito solido. Le ceppaie tagliate non dovranno
essere asportate (ad esclusione di interventi di taglio preparatori a movimentazioni in
alveo, costruzione manufatti, ecc…), in modo da mantenere la fondamentale azione
di difesa spondale e consentire la formazione di polloni dalle ceppaie stesse, così da
ricostruire fasce di vegetazione caratterizzate da strutture più stabili, di minore
ingombro e maggior elasticità. L’intervento dovrà interessare naturalmente anche
piante e ceppaie sradicate, che dovranno essere rimosse; successivamente si dovrà
provvedere al rimodellamento ed alla profilatura del terreno e/o delle scarpate.
- Taglio selettivo. All’esterno dell’alveo attivo e lungo gli argini, il taglio raso dovrà
essere limitato esclusivamente alle ceppaie a forte densità di polloni ed intasate da
materiali di risulta (che costituiscono concrete riduzioni di sezione), mentre
l’intervento ordinario sarà il taglio selettivo, effettuato con intensità comprese tra il
40 e il 60% del numero di piante presenti, lasciando le piante di portamento e
sviluppo più equilibrato, con taglio delle piante deperenti, malformate e concorrenti
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con esemplari di maggior stabilità e vigore, provvedendo a rendere omogenea la
densità del soprassuolo. Tale criterio sarà applicato agli esemplari fino a 12 cm di
diametro (ad 1,30 m da terra), mentre per i soggetti con diametro > 12 cm è
opportuno prevedere l’abbattimento, in considerazione della stabilità, mediamente
scarsa, che caratterizza gli esemplari arborei di maggiore dimensioni presenti nelle
formazioni ripariali.
- Materiali di risulta. I materiali legnosi di risulta dai tagli potranno essere sramati in
posto, divisi tra ramaglia e legname (con diametro > 8-10 cm); la ramaglia dovrà
essere eliminata o allontanata dall’alveo e potrà essere concentrata in zone non
vegetate, in piccoli mucchi e successivamente bruciata, qualora sussistano i
presupposti di distanza minima dal bosco. In alternativa, la ramaglia potrà essere
cippata con apposita macchina o allontanata dall’alveo e conferita a pubblica
discarica. Il legname dovrà essere depezzato nelle misure ritenute più opportune per
l’eventuale successiva utilizzazione, e dovrà essere accatastato in aree esterne alla
sezione interessata dalla portata di massima piena, in modo da evitare che venga
trasportato dalla corrente di piena. Il materiale legnoso di risulta potrà essere anche in
parte reimpiegato per le eventuali opere di I.N. previste, opportunamente valutato in
funzione del vigore vegetativo. I rifiuti presenti lungo le sponde dei corsi d’acqua
dovranno essere separati dal materiale vegetale e legnoso, concentrati e trasportati a
cura dell’impresa a pubblica discarica. Deve esser assolutamente vietato
l’abbruciamento.
Note:
E’ opportuno considerare che la corretta manutenzione degli ambiti fluviali dovrà passare
dalla attuale logica di interventi straordinari alla logica della manutenzione ordinaria. In fase
d’esecuzione lavori sulla vegetazione ripariale connessi ad interventi di I.N., occorre
riservare in piedi esemplari adatti in quantità sufficiente alla fornitura di materiale di
propagazione, fino al momento dell’utilizzazione.
Sistemazioni di versante
1) Interventi preparatori e fasi operative
Generalità:
Si tratta di interventi preliminari alla realizzazione delle opere di I.N., consistenti nella
preparazione e nel modellamento delle aree in dissesto finalizzati ad ottenere maggiori
garanzie di successo degli interventi, migliori condizioni operative ed un completo
inserimento paesaggistico dell’area interessata.
Interventi:
Il recupero di un area di versante degradata deve avvenire nel rispetto dell’esecuzione di
tutte le seguenti fasi:
73
- Consolidamento al piede dell’area in dissesto;
- Scoronamento delle parti instabili e profilatura del terreno;
- Regimazione delle acque;
- Stabilizzazione superficiale e rivestimento vegetativo.
Modalità d’esecuzione:
Note:
La realizzazione d’interventi preparatori riveste assoluta importanza per qualunque opera di
I.N. e quindi i campi di applicazione sono molteplici e diversificati, rientrando comunque
74
nelle aree in dissesto sia di origine naturale che antropica, suscettibili di recupero con
interventi di I.N.
2) Fascinata viva
Generalità:
E’ un’opera stabilizzante lineare, con effetto di ritenzione idrica quando la disposizione
delle fascinate è orizzontale; con effetto di deflusso idrico quando la disposizione è obliqua.
Essa è costituita da fascine formate da rami, aventi capacità vegetative, poste e fissate
all’interno di un solco scavato nel pendio.
Interventi:
L’intervento è adatto per scarpate con pendenza non eccessiva (da 30° a 35°), in un corpo
terroso e morbido. I materiali impiegati sono: fascine di rami quanto più possibile dritti e
lunghi, tratti da piante legnose aventi capacità vegetativa e picchetti in legname lunghi circa
60 cm, vivi o morti (in alternativa tondini in ferro della medesima lunghezza).
Limiti di fattibilità:
Il consolidamento avviene solo dopo la radicazione delle fascine; l’opera teme la caduta dei
sassi e l’abrasione dei getti, pertanto è necessario utilizzare materiale resistente
all’inghiaiamento.
Modalità d’esecuzione:
Si preparano dei solchi larghi da 30 a 60 cm ed altrettanto profondi; contemporaneamente si
preparano le fascine composte da talee e ramaglia viva di diametro superiore ad almeno 1
cm (non è necessario che le fascine siano legate strettamente; i punti di legatura possono
distare da 50 a 70 cm l’uno dall’altro) fino a formare fascine di 20-30 cm di diametro. Si
collocano quindi le fascine nei solchi e si fissano, conficcando i picchetti o le aste di tondino
ad intervalli di 80 cm circa; questi possono essere infissi o attraverso la fascina (secondo
Kraebel), oppure a valle della stessa (secondo Hofmann). Si riempiono quindi i fossi con la
terra scavata, lasciando sporgere dalla terra solo piccoli tratti di rami.
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Note:
La variante delle fascinate vive combinate con piantine necessita di solchi più larghi. Questi
anche se riempiti, comportano un possibile ristagno di acqua e quindi un pericolo di
franamento; pertanto essi andranno eseguiti con disposizione diagonale (con angolo
compreso tra 10° e 30° rispetto all’orizzontale), a formare linee a zig-zag o a spina di pesce
lungo il pendio.
3) Viminata
Generalità:
Anche questo è un intervento stabilizzante lineare su pendio che può avere disposizione a
file orizzontali oppure incrociate; nel secondo caso l’incrocio può avvenire in diagonale, a
formare una costruzione di rombi, oppure ad angolo retto, a formare quadrati. Essa è
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composta da un intreccio di verghe aventi capacità vegetative, fissato al terreno mediante
picchetti di legno o tondini in ferro e successivamente interrato.
Interventi:
L’intervento è adatto al rapido consolidamento ed al rivestimento superficiale del terreno,
nel caso di modesti franamenti ed erosioni. Le viminate diagonali o quadrate sono più
efficaci al fine della ritenuta di terreno di copertura, in conseguenza della formazione di
camere di contenimento. L’opera si adatta bene anche scarpate spondali.
Limiti di fattibilità:
A causa dei costi elevati rispetto ad altri interventi di stabilizzazione, del limitato numero di
specie adatte e del rischio di non radicazione qualora le viminate non vengano
sufficientemente interrate, questo intervento viene effettuato ormai quasi esclusivamente
quando sia necessario ottenere un effetto immediato di trattenuta del terreno.
Modalità d’esecuzione:
Si infiggono nel terreno i picchetti di legno di diametro compreso tra 3 e 10 cm e lunghi
circa 1 m, alla distanza l’uno dall’altro di 1 m circa; essi devono essere conficcati nel
terreno per circa 2/3 della loro lunghezza. Tra di essi si infiggono altri paletti più corti a
distanza di 30 cm l’uno dall’altro (meglio talee vive). Ai paletti s’intrecciano le verghe,
l’una sopra l’altra, in numero sufficiente (a formare un intreccio di altezza pari a circa 30
cm); esse devono essere spinte all’interno del terreno affinché possano radicare.
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Note:
Attecchiscono bene solo le viminate interrate completamente.
4) Impianto di specie arboree e arbustive
Generalità:
Intervento per la stabilizzazione di scarpate, zone in erosione superficiale ed aree in ogni
caso prive di copertura arborea ed arbustiva, consistente nella piantagione di piantine a
radice nuda e/o con pane di terra.
Interventi:
S’interviene per scarpate in scavo ed in riporto, come completamento d’interventi di I.N. e
recupero ambientale, per stabilizzare superficialmente rilevati, accumuli di materiali sciolti
e sponde fluviali. Vengono utilizzati:
- Materiale da vivaio: piantine a radice nuda, in fitocella, in contenitore, con pane a
terra, h = 20-50 cm, età 2-5 anni
- Materiale reperito in loco: trapianti di specie arboree ed arbustive, zolle di specie
arbustive
- Materiali vari: terricci, concimi, idroritentori, pacciamanti.
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Limiti di fattibilità:
E’ caratterizzato da grande valenza applicativa, limitatamente alla stabilizzazione
superficiale dei versanti, sia in scavo che in rilevato. La funzionalità dell’opera è
strettamente connessa all’attecchimento ed allo sviluppo delle piantine.
Modalità d’esecuzione:
Nell’ I.N. si utilizza prevalentemente l’impianto in buche, aperte manualmente o con piccole
trivelle meccaniche, portatili. Il materiale d’impianto, giovane, necessita di buche di
dimensioni comprese tra 25x25x25 e 50x50x50 cm3, in relazione alle dimensioni ed alla
natura del suolo; in fase di scavo deve essere asportato ed accantonato il materiale detritico
grossolano, da riutilizzare per eventuali altre opere complementari. Successivamente la
piantina va posta a dimora nella buca; in caso di piantina a radice nuda si deve porre
attenzione alla disposizione dell’apparato radicale ed alla formazione di vuoti che
potrebbero determinare disseccamenti delle radici stesse. In caso di materiale in contenitore
non biodegradabile (fitocelle in plastica, vasetti…) si dovrà provvedere alla sua
asportazione ed allontanamento dal cantiere. La buca va riempita con il materiale di risulta
dello scavo, fino al colletto della pianta, provvedendo al compattamento del terreno; a
lavoro terminato correttamente, la piantina deve opporre una certa resistenza alla sua
estrazione. Il lavoro può essere completato con la posa di pacciamanti (feltri, paglia,
corteccia di resinose, pietrame) e di ritentori idrici (polimeri) in caso di siccità estiva
prolungata.
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5) Messa a dimora di talee
Generalità:
Lavoro di consolidamento di pendii e di sponde con l’impiego di specie legnose con buona
capacità di moltiplicazione vegetativa per talea.
Interventi:
S’interviene su sponde fluviali, lacustri e /o scarpate a pendenza limitata. Utilizzate anche
come picchetti viventi nella posa di reti e stuoie, di fascinate e nella realizzazione di
coperture diffuse oppure infisse negli interstizi di scogliere e gabbionate. Le specie di piante
più utilizzate sono: salice (Salix nigricans), tamerice (Tamarix parviflora), alloro (Laurus
nobilis), ligustro (Ligustrum vulgare) ed altre specie legnose a riproduzione vegetativa.
Limiti di fattibilità:
Presenta limiti altitudinali (600-1800 m s.l.m.). In terreni particolarmente tenaci o in
presenza di scheletro abbondante può risultare opportuna l’apertura preliminare di un foro
mediante punta metallica.
Modalità d’esecuzione:
Le talee legnose di arbustive idonee, di 2 o più anni di età, prelevate dal selvatico, vengono
messe a dimora nel verso della crescita previo taglio a punta e con disposizione
perpendicolare o leggermente inclinata rispetto al piano di scarpata. Le dimensioni sono
80
variabili secondo le specie da un minimo di 1-5 cm e fino a 10 cm di diametro; e in
lunghezza da 50 cm fino a 2-2,5 m. L’infissione delle talee può venire eseguita a mazza
previa apertura di un foro; in caso di rilevati la posa può procedere contemporaneamente
all’esecuzione della scarpata, mentre per i gabbioni avviene durante il riempimento con
pietrame.
Note:
Per una migliore radicazione lungo tutta la talea è consigliabile la messa a dimora
orizzontale. La capacità di radicazione aumenta con l’età e con il diametro della talea; talee
più grosse hanno più elevate capacità di crescita.
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6) Grata viva
Generalità:
Provvedimento intermedio tra la stabilizzazione di pendii superficiale e quella profonda;
utilizzata su scarpate e versanti in erosione molto ripidi e con substrato compatto.
Interventi:
S’utilizza per pendii e/o sponde con acclività compresa tra 45° e 60°, per nicchie di frana
con difficoltà o impossibilità di rimodellamento del versante, per scarpate di infrastrutture
viarie. Tecnica adatta a zone in scavo con coltri poco profonde. Vengono utilizzati picchetti
e pali in castagno, robinia o altro legname con buona resistenza e durabilità facilmente
reperibile in loco. Inoltre chiodi, tondini in acciaio ad aderenza migliorata, griglia in ferro
elettrosaldata a maglia quadra 5x5 cm2, talee, piantine radicate di specie arbustive locali.
Limiti di fattibilità:
Le specie verranno scelte in funzione delle caratteristiche biotecniche, della loro
disponibilità in loco e considerando l’altitudine, il tipo di terreno e la luce.
Modalità d’esecuzione:
In terreno stabile viene eseguito un solco di fondazione nel quale viene collocato un tronco
longitudinale di base. Sul pendio vengono disposti i tronchi verticali sui quali dovranno
essere fissati con chiodi, tondini o graffe metalliche i tronchi orizzontali per la costruzione
della grata. Le dimensioni dei tronchi sono Ø 15-25 cm e lunghezza 2-5 m; i tronchi con
diametri maggiori vengono disposti alla base della grata e procedendo verso l’alto si
dispongono quelli eventualmente con diametri minori. Gli elementi verticali vengono
collocati a distanza di 0,8-1,5 m e quelli orizzontali con interasse pari a 0,8-1,5 m, in
funzione dell’inclinazione del pendio. La grata dovrà poi essere fissata al terreno mediante
picchetti di legno di Ø 8-10 cm e lunghezza 1 m o di ferro di dimensioni idonee per
sostenere la struttura. La grata verrà poi riempita con inerte terroso locale e lungo i tronchi
orizzontali verranno disposte talee e ramaglia a pettine, con eventuale supporto di una
griglia metallica per un migliore trattenimento del terreno. L’intera superficie potrà essere
seminata.
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Note:
Per la grata, come per tutte le opere che utilizzano materiali vivi, c’è l’esigenza d’interventi
manutentori con funzione tecnica ed ecologica, che dovranno essere previsti fin dai primi
anni dall’ultimazione dell’opera. L’altezza massima possibile per le grate vive è di 15 m.
7) Graticciata
Generalità:
Intervento per la stabilizzazione di scarpate consistente nella realizzazione di strutture in
legname trasversali alla linea di massima pendenza, composte dai picchetti infissi nel
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terreno, dalla realizzazione di intreccio di rami e pertiche legnose di specie prive di capacità
vegetativa tra i picchetti e posa a dimora di materiale vegetale vivo nel gradone ottenuto.
Interventi:
Utilizzate per scarpate in scavo, per il consolidamento di solchi di erosione, per la
stabilizzazione superficiale di rilevati e/o accumuli di materiale sciolto. I picchetti sono in
legno di castagno o di legname reperito in loco Ø = 12-15 cm, lunghezza = 80-120 cm. Le
pertiche sono invece composte da ramaglia reperita in loco, caratterizzata da una buona
flessibilità, Ø = 3-8 cm, lunghezza = 200-300 cm.
Limiti di fattibilità:
Intervento tradizionale, ampiamente utilizzato, limitatamente alla stabilizzazione
superficiale dei versanti, sia in scavo che in rilevato. La funzionalità dell’opera è
assolutamente connessa alla sua corretta esecuzione.
Modalità d’esecuzione:
Si procede all’infissione dei picchetti nel terreno, posti a distanza reciproca di 80-120 cm,
curando che siano infissi nel terreno per almeno 2/3 della loro lunghezza, con asse verticale
o leggermente in contropendenza a monte. Si deve creare la sede per almeno 1-2 ordini di
pertiche trasversali che, in più ordini sovrapposti in funzione delle dimensioni e dell’altezza
fuori terra, costituirà l’intreccio in legname. A monte della struttura si ricaverà un piccolo
gradone (50-60 cm di profondità, per tutta la lunghezza della struttura), dove verranno poste
a dimora talee e/o le piantine, provvedendo al successivo ed accurato rinterro.
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Note:
Molto spesso le graticciate sono realizzate senza rinterro a monte, con altezze fuori terra
eccessive, senza curare il rinterro, senza piantagione di materiale vivo a monte, con pertiche
di legname poco duraturo e con sviluppi lineari continui eccessivi. In mancanza di corrette e
complete tecniche esecutive, la graticciata ha una durata di pochissimi anni, inadeguata alla
prevalenza di casi di recupero ambientale.
8) Palificate in legname a doppia parete
Generalità:
Manufatto a gravità formato da una struttura cellulare in pali di legno abbinato alla posa di
piante. Il deterioramento del legname, in alcuni decenni, presuppone che i parametri di
stabilità del manufatto vengano riferiti ad un parametro esterno assimilabile ad una pendice
ben vegetata e ad un terreno con buone caratteristiche d’attrito. In presenza di adeguata
manutenzione (taglio periodico delle piante al fine di evitare l’appesantirsi delle ceppaie) si
possono raggiungere accettabili condizioni di stabilità per pendenze del parametro esterno
dell’ordine di 60°.
Interventi:
Tecnica per il consolidamento al piede di frana, per la ricostruzione del pendio e di porzioni
di versante, per la formazione di terrapieni consolidati e vegetati, per il consolidamento di
scarpate stradali a valle ed a monte del piano viabile.
Limiti di fattibilità:
La formazione di palificate vive presuppone la possibilità di realizzare manufatti di
considerevole spessore (almeno 1,5 m). In alcuni casi, in presenza di limiti di spazio, risulta
85
difficoltoso realizzare l’opera senza incidere negativamente sulla parte del pendio già
consolidata.
Modalità d’esecuzione:
a) Montaggio della struttura in legname.
Il piano va realizzato con una contropendenza verso monte stabilita in sede di calcolo
di stabilità (5°-15°). Si procede alla posa della prima fila di legname in senso
parallelo alla pendice (corrente), curando il posizionamento in bolla, durante la posa
del tondame si realizzano i collegamenti tra un legno ed il successivo. Il montaggio
prosegue con la posa del successivo ordine di tondame da posizionarsi in senso
ortogonale alla prima fila ed alla pendice (traverso): questi legni avranno lunghezza
variabile desunta dai calcoli progettuali e variabile da 1,5-3 m. Si procede quindi al
fissaggio dei legni con la linea sottostante sempre tramite tondino in ferro. Nel
procedere alla realizzazione dei piani successivi si segue lo schema descritto, con
l’avvertenza di posizionare i legni correnti sempre in posizione arretrata rispetto al
sottostante. Realizzando strutture con riempimento di terreno eseguito
contemporaneamente alla costruzione del manufatto o che non prevedono l’utilizzo
di reti e stuoie sul fronte a vista è preferibile realizzare il posizionamento sfalsato dei
traversi, favorevole alla stabilità della struttura.
b) Riempimento della struttura e posa del materiale vegetale.
Dopo aver realizzato il montaggio di 2 o 4 ordini di tondame, occorre collocare il
terreno negli spazi vuoti tra i pali, opportunamente compattato. Si procede quindi alla
posa di talee in posizione coricata, delle piantine sempre in posizione coricata o delle
piantine sul fronte a vista in posizione eretta. Le talee o le piantine radicate vengono
posate in ragione di una ogni 10-15 cm di fronte per ogni ordine di tondame
longitudinale ovvero circa 20/30 talee/piantine per ogni m2. di paramento esterno
della palificata.
c) Formazione di drenaggio.
La palificata in legname si presenta come un manufatto a forte capacità drenante;
occorre tuttavia curare lo sgrondo delle acque che si dovessero accumulare a livello
del piano di posa. Questi elementi drenanti vanno collocati longitudinalmente nella
posizione a quota più bassa sul retro del piano di posa e quindi collegati per lo
scarico con elementi in posizione ortogonale alla pendice e con pendenza verso valle.
d) Posa di stuoie o georeti sul parametro esterno.
Uno degli aspetti di maggior vulnerabilità della palificata, almeno nei periodi
immediatamente successivi alla sua realizzazione, è la possibilità di asportazione
parziale del terreno di riempimento ad opera di acque di ruscellamento superficiale.
Al fine di evitare questa eventualità si può prevedere la posa di reti o stuoie che
proteggano il fronte a vista. Questa modalità di posa assicura al legname esterno sul
fronte a vista una più moderata alternanza dei cicli imbibizione-disseccamento a tutto
vantaggio della durabilità. L’utilizzo delle stuoie può originare difficoltà nella posa
del materiale vegetale.
86
87
LA FORMAZIONE DEI VOLONTARI
Incontri di sensibilizzazione
Gli incontri saranno rivolti agli amministratori locali per migliorare la conoscenza
dell’importanza della prevenzione delle catastrofi e dei compiti che spettano loro. Ciò è
possibile attraverso qualche incontro, che possa trasmettere loro esempi sullo stato attuale
delle situazioni critiche tipiche del territorio montano e chiarire alcuni concetti di vitale
importanza. A livello economico si chiederà uno sforzo iniziale, atto a sostentare le piccole
squadre di volontari, con il compito di fare il punto sulla situazione presente e, quindi,
individuare tutti i potenziali siti a rischio idrogeologico, per poter predisporre un piano di
ripristino di condizioni di sicurezza. I fondi impiegati per questo scopo e per le eventuali
piccole manutenzioni, risulteranno irrisori rispetto a quelli necessari a risarcire i danni delle
catastrofi frutto dell'incuria. La prevenzione ed il mantenimento continuo del territorio
montano in buono stato, sono alla base di una politica lungimirante, destinata a raccogliere
i frutti del proprio impegno in tempi poco lontani.
Si propongono quindi uno, massimo due incontri di circa 2 ore ciascuno, in cui si
tratteranno:
- Brevemente gli aspetti geomorfologici e idrogeologici del territorio.
- L’ importante significato del rispetto dei gradi di fattibilità sul territorio comunale.
- La necessità di procedere ad un censimento delle opere di sistemazione idraulico
forestale e di difesa idraulica, che permetta di valutarne lo stato di efficienza ed
efficacia.
- I piani di protezione civile correlati ai vari scenari. Strumento fondamentale per la
previsione e la mitigazione dei danni possibili.
- Le prescrizioni che sarebbe opportuno inserire negli appalti e nelle autorizzazioni
costruttive, per evitare di introdurre rischi dove prima non ve n’erano.
- I vantaggi economici dati dall’investimento nella prevenzione e controllo.
- Alcuni esempi di catastrofi già successe, le quali si sarebbero potute evitare con
interventi preventivi di piccola entità.
Per conoscenza:
Oggi in Lombardia siamo alle porte di un’importante innovazione amministrativa la
legge regionale sul Governo del Territorio, dove vedremo accolte e riconosciute in un
organico strumento di pianificazione su tre livelli (regionale, provinciale e comunale) le
conoscenze e le esperienze geologiche di questi ultimi decenni, espresse come
indispensabile supporto alle scelte di sviluppo.
Tuttavia vi sono molte altre cause del dissesto geologico e non tutte potranno essere
affrontate e risolte con un nuovo strumento di governo del territorio. Nel pianificare e
nell’amministrare, ad esempio, non si possono trattare allo stesso modo la pianura e la
montagna. La montagna ha spazi assai più ristretti della pianura, dinamiche naturali assai
accentuate e fragilità elevata del suolo, che si traducono in costi di esercizio maggiori.
D’altra parte la montagna ha meno abitanti e dunque ha meno risorse e meno
88
rappresentatività della pianura; ma senza aver cura della montagna che cosa sarebbe
della pianura? Occorre rendere attivi ed efficaci i concetti di complementarietà e di
sussidiarietà, capovolgendo una delle grandi criticità del sistema di pianificazione fin qui
usato: quello che vede la capacità di spesa di ogni Comune ormai in rapporto diretto con
la possibilità e la velocità di edificazione del territorio, dove il pareggio di bilancio è
direttamente legato ad un forte consumo di suolo.
Dunque il rischio c’è nella delega della pianificazione ai Comuni, anche perché essi sono
soggetti abituati ad una visuale troppo ristretta, gravati da troppi interessi e vincoli locali,
mancanti di strutture tecniche e di risorse economiche. E’ in ogni caso una sfida da
accettare per crescere. Per tentare un vero cambiamento di mentalità si deve partire da
lontano, dalla scuola, dai giovani; ma anche si sente il bisogno di un riordino della
funzione pubblica.
Infatti un altro elemento di criticità nel governo del territorio ed in particolare nella
bonifica e nella manutenzione geologica, è il frazionamento delle competenze e delle
risorse economiche negli interventi. Con l’idea di accontentare un po’ tutti, da decenni si
finiscono per sciupare ingenti risorse economiche, poiché nella maggior parte dei casi i
lavori di bonifica geologica o idraulica se non vengono conclusi nella loro interezza non
servono a niente; talvolta addirittura fanno più danno che bene e finiscono per
deteriorarsi e dover essere rifatti. Uno degli imperativi nella gestione del territorio deve
essere proprio quello che gli interventi siano progettati, finanziati ed eseguiti
rapidamente nella loro interezza. Già, perché un altro grosso problema, che ben emerge
molte volte anche oggi, è la lentezza, l’eccessiva lunghezza dei tempi di decisione, di
finanziamento, di effettiva disponibilità delle risorse e d’intervento.
I corsi di formazione
I corsi hanno lo scopo di approfondire la tematica del rischio idrogeologico e fornire le
conoscenze necessarie ai volontari non professionisti per poter intervenire di prima mano e
creare una documentazione utile ai tecnici sulle condizioni di salute del reticolo idrico
minore. I professionisti tramite questi dati saranno in grado di associare alle condizioni
riscontrate uno scenario di rischio che permarrà fino agli eventuali interventi più corposi.
Attraverso contributi tecnici interdisciplinari di Docenti universitari, di Funzionari e
dirigenti della Provincia e di Professionisti esperti nel settore, verranno trattati gli aspetti
generali relativi alla prevenzione dei rischi idrogeologici, alla pianificazione territoriale ed
urbanistica ed argomenti specifici quali: soglie di rischio, criteri idraulici e geomorfologici
per la stima della pericolosità, progettazione degli interventi di mitigazione e scenari di
rischio.
Un esempio di programma del corso:
1° giorno:
8.30-9.00 Registrazione partecipanti
9.00-9.15 Presentazione del corso
9.15-10.30 Il territorio montano e il bacino idrografico: generalità e concetti tecnici di base
10.45-13.00 Botanica e geologia
14.30-17.00 Topografia ed orientamento
89
2° giorno:
8.30-10.30 La protezione civile; concetto di rischio, prevenzione e previsione
10.45-13.00 Il reticolo idrico minore
14.30-16.30 L’onda di piena
3° giorno:
8.30-12.30 Le briglie
14.00-15.00 I pennelli e le soglie di fondo
15.00-16.30 Scogliere e arginature
4° giorno:
8.30-10.30 Le frane
10.45-12.30 Muri di sostegno e contenimento
14.00-16.30 Gradonamenti, ancoraggi e barriere paramassi
5° giorno:
8.30-12.30 Ingegneria Naturalistica: sistemazioni idrauliche
14.00-17.00 Ingegneria Naturalistica: sistemazioni di versante
6° giorno:
8.30-12.30 Presentazione delle schede per la determinazione dello scenario di rischio
14.00-17.00 Lezione in campo
7° giorno:
8.30-12.30 Lezione in campo
12.30-13.00 Compilazione test di gradimento e chiusura
Terminato il corso, vi sarà dopo circa un mese, un incontro dove la commissione dei
docenti, attraverso un colloquio individuale, accerterà le conoscenze apprese e consegnerà a
tutti gli effetti il titolo di Operatore per la Sicurezza dell’Ambiente Montano (OSAM). Tale
titolo sarà inquadrato all’interno della protezione civile e permetterà di far parte delle
squadre incaricate al periodico aggiornamento delle condizioni del reticolo idrico minore e
allo svolgimento di altre mansioni legate alla prevenzione ed alla gestione delle emergenze.
Scopi degli OSAM
1) Individuare i punti critici dell’impluvio e mantenere aggiornate le loro posizioni e la
descrizione del loro stato. A causa del loro continuo cambiamento negli anni, si
propone quindi di effettuare un sopralluogo lungo l’impluvio con periodicità almeno
biennale.
90
Con punti più critici s’intendono le sezioni dove i parametri di deflusso possono essere
diversi da quelli stimati precedentemente in condizioni migliori. Questi punti a causa
della posizione, interesseranno in modo diretto i beni e la comunità (esposizione alta).
Le caratteristiche che permettono di riconoscerli sono:
- Rifiuti e detriti che ostruiscono l’alveo
- Tombinature nei pressi del centro abitato
- Opere fondate in alveo con strutture scalzate al piede dalla corrente
- Restringimento delle sezioni d’alveo per la presenza di costruzioni in alveo
- Instabilità delle sponde
- Zone d’alveo con erosione spinta
- Ponti con sezioni non adeguate al massimo deflusso
2) Saper compilare in modo adeguato la scheda notizie (vedi Pag.93) e la tabella
associata alle foto dei punti critici (Tab.8).
3) Provvedere alla determinazione di b (sezione libera o non ostruita), di P (perimetro
bagnato, ossia il perimetro della sezione libera) e di I (pendenza dell’asta nel punto)
con l’ausilio di un metro tradizionale o telemetro per la misurazione della sezione e
del perimetro bagnato e di un inclinometro classico o digitale per la pendenza.
Se l’inclinometro a disposizione dovesse avere solo il calcolo dell’inclinazione, ossia
dell’angolo, espresso in gradi [°], formato dall’asta rispetto l’orizzontale; la trasformazione
sarebbe semplice ed immediata:
I =angolo × 100
45= [%]
4) Intervenire direttamente sui punti o le parti che possono essere sistemati con tecniche
di semplice fattura e realizzabili con mezzi manuali.
5) Collaborare con la protezione civile nella gestione delle emergenze.
91
Volontari qualificati
I frequentatori dei corsi potranno essere persone che hanno a che fare tutti i giorni con le
problematiche del proprio territorio:
Amministratori comunali
Tecnici comunali
Dipendenti delle comunità montane
Persone con cultura montana ed attaccamento al proprio territorio (guide alpine,
volontari soccorso alpino, iscritti al CAI, alpinisti, amatori della montagna).
Le guide alpine
La Guida Alpina è la figura professionale riconosciuta a livello nazionale ed internazionale
come unica competente e in grado di garantire una corretta frequentazione dell’ambiente
montano.
Ruolo della Guida Alpina è accompagnare e far conoscere la montagna nei suoi molteplici
aspetti. La relazione profonda e consapevole con l’ambiente è il valore primario trasmesso
dalle Guide Alpine a chi desidera avvicinarsi alla montagna nel modo più corretto e sereno.
La Guida Alpina opera in tutte le attività legate all’alpinismo, quindi è presente in ogni
stagione sul territorio montano. L’esperienza e la familiarità con l’ambiente alpino che
questo comporta rappresentano il grande valore che la Guida Alpina è in grado di
trasmettere, al di là degli aspetti tecnici, parimenti importanti. La presenza delle Guide in
montagna rappresenta, inoltre, un costante controllo che può limitare i danni ambientali e
favorire il maggior grado di sicurezza possibile nella relazione con l’ambiente.
La Guida Alpina trasmette conoscenze tecniche, parametri di comportamento ed
orientamento e sensibilizza alla lettura profonda dell’ambiente, requisito primario di
fruizione della montagna anche in termini di sicurezza.
Nel bagaglio formativo della Guida Alpina vi sono conoscenze scientifiche e didattiche di:
- comunicazione didattica
- metodologia, strategie didattiche
- normativa professionale e ambientale
- meteorologia, nivologia
- geologia, glaciologia
- topografia
- medicina, fisiologia
- Basic Life Support (BLS)
- botanica
- zoologia
92
- materiali
- catena dell’assicurazione
- cultura alpina, storia dell’alpinismo
e conoscenze tecniche:
- nodi
- assetti e manovre di base
- autosoccorso di base in parete, roccia e ghiaccio
- autosoccorso di base su ghiacciaio
- autosoccorso di base in valanga
- progressione su ghiaccio, neve e roccia
I settori operativi classici sono:
- arrampicata su roccia naturale - accompagnamento ed insegnamento
- alta montagna e ghiaccio - accompagnamento ed insegnamento
- scialpinismo - accompagnamento ed insegnamento
- escursionismo - accompagnamento ed insegnamento
- soccorso in montagna
- sovraintendenza a lavori in quota con funi
I settori operativi emergenti sono:
- torrentismo o canyoning
- direzione pista e sicurezza nei comprensori sciistici
- attrezzatura di falesie per l'arrampicata
- educazione ambientale
- accompagnamento nelle aree protette
- consulenze per aziende nel settore sport e sicurezza
- educazione, sviluppo e consolidamento delle abilità motorie nell'età evolutiva
- formazione tecnica degli addetti ai lavori temporanei in quota su funi
- nordic walking
Sulla base di queste conoscenze la guida alpina è la figura professionale più appropriata per
controllare o accompagnare in massima sicurezza chi dovrà effettuare sopralluoghi nelle
zone più remote ed impervie del territorio montano. In questo modo si potenzierà la
conoscenza del territorio e di conseguenza l’efficienza degli interventi preventivi.
93
SCHEDE PER LA DETERMINAZIONE DELLO SCENARIO DI RISCHIO
Verranno proposti due tipi di schede: la prima rivolta ai volontari formatisi con i corsi
proposti (OSAM) e la seconda rivolta ai tecnici che potranno così definire lo scenario di
rischio dell’impluvio.
Scheda di tipo 1: rivolta agli OSAM
Descrizione generale:
Si forniranno le caratteristiche principali dell’impluvio a partire da monte procedendo verso
valle, completando le schede con le notizie riportate di seguito.
Informazioni generali
Data sopralluogo:
Bacino principale:
Sottobacino:
Impluvio:
Informazioni geografiche
Provincia:
Comune:
Località:
Descrizione sintetica asta
% qualitativa media d'ostruzione
delle sezioni dell'impluvio:
25 75
50 100
Opere d'attraversamento
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato di pulizia:
Alto Medio Basso Molto
basso
Acquedotti, fognature o altro in
subalveo
Servizi intubati pensili
Ponti, passerelle e guadi
Tombinature per scopo di viabilità
o altro
Altro…
Note personali:
94
Opere di mitigazione delle piene e del trasporto solido
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato efficienza:
Alto Medio Basso Molto
basso
Canalizzazioni aperte
Canalizzazioni coperte
Vasche di deposito o
sedimentazione
Arginature
Soglie di fondo
Briglie di consolidamento
Briglie selettive
Pennelli
Griglie
Interventi di ingegneria
naturalistica
Altro…
Note personali:
Descrizione sintetica delle sponde
Substrato roccioso Metamorfico
Sedimentario Vulcanico
Tipo di copertura
Conifere ad
alto fusto Latifoglie ad alto
fusto
Conifere a
basso fusto Latifoglie a basso
fusto
Pascolo
Detriti rocciosi Rivestimento
artificiale Altro…
Condizione stabilità delle sponde: Molto critica Critica Poco critica Non critica
95
Opere di mitigazione rischio frane
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato efficienza:
Alto Medio Basso Molto basso
Muri di sostegno o
contenimento
Gabbioni
Gradonamenti
Ancoraggi
Barriere paramassi
Interventi di ingegneria
naturalistica
Altro…
Note personali:
Interventi suggeriti
Valutazione qualitativa del rischio
Elevato Marcato Moderato Ordinario
Nome osservatore volontario
96
Documentazione fotografica:
Le foto dovranno documentare nel modo più esaustivo possibile lo stato generale
dell’impluvio.
Si distingueranno le foto in:
- raffiguranti le parti d’impluvio ritenute rappresentative per una migliore
comprensione delle caratteristiche generali del caso studiato. Ad esse basterà
associare la quota del punto, le coordinate geografiche, l’azimut di ripresa ed una
breve descrizione;
- raffiguranti i punti ritenuti critici: prossimi al centro abitato e/o in cattive condizioni.
Ad essi sarà necessario associare oltre che la quota, le coordinate geografiche,
l’azimut di ripresa ed una breve descrizione anche: la sezione libera b, la pendenza
dell’impluvio I nel punto, il tipo di materiale di cui questo è costituito ed il perimetro
bagnato P (vedi Fig.31).
Fig.31
Quota punto (m s.l.m.):
Coordinate UTM:
Azimut di ripresa:
b (m2):
I:
P (m):
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note:
Tab.8: Informazioni da associare alla documentazione fotografica dei punti critici.
97
Calcolo sezione libera (b)
L’ostruzione da vegetazione e/o detriti causa il restringimento della sezione trasversale
caratteristica dell’alveo. Inoltre essa può generare un’accelerazione locale della corrente che
può dar luogo a fenomeni di scavo del letto dell’alveo (per la valutazione di tale erosione si
rimanda alla formula di Straub).
Ciò che verrà preso in considerazione sarà le dimensioni della sezione libera, che
chiameremo b.
La valutazione di b verrà effettuata nei punti ritenuti critici. Gli OSAM provvederanno,
mediante strumenti di misura tradizionali (metri, bindelle o telemetri), a misurare le
dimensioni di detta sezione.
Sezione rettangolare, triangolare o trapezoidale
Fig.32
Se la sezione libera riscontrata è approssimabile ad un rettangolo, ad un triangolo o ad un
trapezio il calcolo dell’area sarà equivalente a quello di queste figure geometriche, aventi le
stesse dimensioni.
Sezione circolare
Fig.33
Per quanto riguarda invece i casi di sezione circolare o assimilabili, si è stabilito a priori che
l’area massima utile per la corrente è quella corrispondente ad un riempimento fino ad
un’altezza pari a 2/3 del diametro (D) (Fig.33). Questo per evitare un repentino
cambiamento dei parametri idraulici (evidente dall’analisi della funzione detta “scala delle
portate” per sezioni circolari).
98
Formule per il calcolo dell’area corrispondente a 2/3 del diametro (𝐴2 3 )
Fig.34
ht = r− (23 × D)
AB = 2 × r2 − ht2
AOB = 2 × sin−1( AB D )
A1 = πr2 × (AOB 360 )
At =AB × ht
2
A = A1 − At
A2 3 = πr2 − A P2 3 =(D × π) × AOB
360
D = diametro [m] r = raggio [m]
D [m] 𝐀𝟐 𝟑 [m2]
𝐏𝟐 𝟑 [m]
0,50 0,14 0,96
0,70 0,27 1,34
1,00 0,56 1,92
1,50 1,26 2,88
2,00 2,23 3,88
3,00 5,02 5,76
Tab.9: Valori di A2 3 e P2 3 per riempimenti corrispondenti a 2/3 D.
99
Scheda di tipo 2: relazione tecnica
Informazioni generali
Data sopralluogo:
Bacino principale:
Sottobacino:
Impluvio:
Informazioni geografiche
Provincia:
Comune:
Località:
Ortofoto:
Dovranno essere inserite una o più foto aeree. Su di esse si evidenzierà l’andamento
dell’impluvio dal suo punto di origine fino al punto di confluenza con il reticolo idrico
principale.
Per la regione Lombardia potrà essere consultato il sito:
http://www.cartografia.regione.lombardia.it/geoportale
Cartografia e caratteristiche principali:
Attraverso carte topografiche (catastali e/o CTR a scala: 1:10.000, 1:5.000 o 1:2.000) e
utilizzando software adeguati si può facilmente misurare l’area del bacino e la lunghezza
dell’asta principale dell’impluvio considerato.
Pendenza media asta principale:
A tale scopo è utile rappresentare in un grafico il profilo altimetrico dell’asta principale.
Imed =Hmax
Liki=1
= pendenza media asta principale
Hmax = hmax − hmin
hmax = quota sezione d′interesse più a monte
hmin = quota sezione d′interesse più a valle
Li = lunghezza tratto di asta tra 2 curve di livello consecutive
100
Soglie di precipitazione limite:
E’ possibile calcolare direttamente il valore della piovosità limite per un’area utilizzando la
formula proposta nel Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI).
i t = a × tn
All’interno delle direttive allegate al PAI è possibile desumere, per l’area d’interesse, i
valori dei parametri per tempi di ritorno di 20, 100, 200 e 500 anni. Sulla base di ciò sono
stati calcolati i valori riportati in tabella 10.
a n i (1 ora)
t = 20 anni 15,90 0,53 15,90
t = 100 anni 19,54 0,53 19,54
t = 200 anni 21,07 0,53 21,07
t = 500 anni 23,13 0,54 23,13
Tab.10: Soglie di precipitazione limite (mm) calcolate sulla base di alcuni tempi di ritorno e
sui parametri a ed n, in questo caso, propri della Valtellina.
Portata di picco:
Il calcolo della portata di picco potrà servire, oltre che per la verifica della funzionalità dei
manufatti, anche per la definizione a monte delle fasce di rispetto. La portata di picco verrà
calcolata per 3 diversi tempi di ritorno: 20, 100 e 200 anni. Questo sarà possibile utilizzando
l’intensità di pioggia (it) ed il coefficiente di deflusso (ct) con uguale tempo di ritorno, come
riportato in tabella 10 e 11 a titolo d’esempio.
Metodo Razionale
Il metodo assume come condizioni che la precipitazione sia distribuita uniformemente su
tutto il bacino, che la portata stimata abbia lo stesso tempo di ritorno dell’intensità della
pioggia che la genera e che l’intensità della pioggia abbia una durata pari a quella del tempo
di corrivazione, ossia il tempo impiegato da una goccia d’acqua per raggiungere il punto
critico partendo dal punto più distante del bacino da esso sotteso.
Qmax ,t = 0,28 × ct × it × AB
Qmax ,t = portata di picco (m3/s)
ct = coefficiente di deflusso
it = intensità di pioggia (mm/h)
AB = superficie del bacino (km2)
101
Tipo di Superficie Tempo di Ritorno (anni)
10 20 50 100 200
Asfalto 0,81 0,85 0,90 0,95 0,97
Calcestruzzo 0,83 0,87 0,92 0,97 0,98
Coltivazione 0,36 0,39 0,43 0,47 0,52
Pascolo 0,42 0,45 0,49 0,53 0,56
Bosco 0,41 0,44 0,48 0,52 0,55
Tab.11: Valori del coefficiente di deflusso (c) per i diversi tipi di superficie e per i vari
tempi di ritorno.
I valori di portata ottenuti con il metodo razionale possono essere cautelativamente utilizzati
per le verifiche idrauliche dei torrenti aventi un bacino di dimensione modeste.
Calcolo trasporto solido:
Metodo di Meyer-Peter e Muller
Con questo metodo è possibile calcolare il trasporto solido dovuto alla corrente presente
nell’impluvio considerato.
Il valore del d50 (diametro per cui la metà in peso dei sedimenti, è di diametro maggiore di
questo) pari a 35 mm può essere cautelativamente utilizzato per i bacini montani. Questo
valore tiene conto in media del flusso non sempre continuo dei sedimenti prodotti
dall’erosione delle scarpate montane. Altresì per una stima più precisa bisognerebbe servirsi
della curva di distribuzione granulometrica.
Per il peso specifico dei sedimenti (γs) verrà utilizzato un valore pari a 2700 kg/m3. Questo
considera le litologie montane prevalenti, ma anche la presenza di rocce più dense come:
gabbri, anfiboliti, peridotiti e certe serpentiniti.
Con questi dati è possibile calcolare il valore di φt:
φt =Rt × Imed × γ
(γs− γ) × d50
× k
k′
3 2
- il rapporto tra k e k′ si approssima a 1
- il valore di Imed è pari alla pendenza media dell’asta principale
- γs e γ sono rispettivamente i pesi specifici dei sedimenti e dell’acqua (1000 kg/m3)
- Rt corrisponde al raggio idraulico dell’asta. Calcolato attraverso la formula della scala
delle portate, per i 3 tempi di ritorno considerati (t = 20, 100 e 200 anni):
102
Rt =
Qmax ,tb × Ks
2
Imed
3
4
b e Ks sono rispettivamente la media aritmetica delle misure delle sezioni libere e dei
coefficienti di Strickler dei punti critici considerati.
Noto il valore di φt , si otterranno i valori di θt:
θt = 8 × φt − 0,047 3 2
e della portata solida Qs,t :
Qs,t = θt × g × γ
s− γ
γ× d50
3 2 × Lmed
dove Lmed è la larghezza media dell’alveo, dato ottenuto calcolando la media aritmetica dei
perimetri bagnati (P) relativi ai punti critici e g l’accelerazione gravitazionale (9,89 m/s2).
Definizione scenario:
Per definire lo scenario di rischio dell’impluvio vengono considerati per ogni punto critico:
la sua sezione libera (b), il suo raggio idraulico (R), il suo coefficiente di Strickler (Ks) e la
sua pendenza (I). Inoltre si terrà conto della portata di picco (Qmax ,t) ed del trasporto solido
(Qs,t), entrambi in funzione di 3 diversi tempi di ritorno (t): 20, 100, 200 anni.
Una volta in possesso di tutti i dati necessari, si possono trovare la portata di riferimento con
tempo di ritorno stabilito (Qt) e la portata realmente smaltibile nel punto critico (q),
attraverso le seguenti formule:
Qt = Qmax ,t + Qs,t
Scala delle portate: q = C × b × R × I
con:
C = Ks × R16
Ks = coefficiente di Strickler (dipendente dalla scabrezza dell′alveo)
103
Tipo di superficie Coefficiente 𝐊𝐬 [𝐦𝟏𝟑
𝐬]
Conglomerato cementizio 70
Mattone 65
Prefabbricato 83
Pietrame e calce 35
Pietre a secco 23
Terra con manutenzione 45
Roccia o terra senza manutenzione 35
Tab.12: Valore del coefficiente Ks di scabrezza di Strickler per differenti superfici.
Confrontando Qt e q, si possono definire 4 tipi di scenario:
Scenario di ordinaria criticità: 𝑄200 < 𝑞
Incrementi ordinari del livello idrometrico e/o fenomeni non critici di erosione
localizzata e/o smottamenti di debole entità nel reticolo idrico minore.
Incrementi ordinari del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi
d’acqua, sempre al di sotto dei livelli di attenzione.
Fenomeni di allagamento assenti.
Interventi di sistemazione e strutturali non necessari.
Scenario di moderata criticità: 𝑄100 < 𝑞 ≤ 𝑄200
Incrementi modesti del livello idrometrico e/o fenomeni poco critici di erosione
localizzata e/o smottamenti di media entità nel reticolo idrico minore.
Incrementi modesti del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi
d’acqua, con raggiungimento dei livelli di attenzione.
Fenomeni di allagamento localizzato, per incapacità di smaltimento del reticolo
idrico minore.
Sono utili interventi di sistemazione nel breve periodo.
Scenario di marcata criticità: 𝑄20 < 𝑞 ≤ 𝑄100
Incrementi forti del livello idrometrico e/o fenomeni critici di erosione localizzata e
spondale e/o smottamenti di forte entità nel reticolo idrico minore.
Incrementi forti del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi d’acqua,
con superamento delle condizioni di piena ordinaria.
Fenomeni di allagamento diffusi, connessi al passaggio della piena.
104
Sono necessari interventi di sistemazione, ma non necessariamente strutturali, in
tempi brevi.
Scenario di elevata criticità: 𝑄20 ≥ 𝑞
Incrementi molto forti del livello idrometrico e/o fenomeni molto critici di erosione
spondale e/o fenomeni franosi nel reticolo idrico minore.
Incrementi molto forti del livello idrometrico nei tratti vallivi dei principali corsi
d’acqua, con raggiungimento dei livelli di allarme.
Fenomeni di alluvionamento, danni alle opere idrauliche e di attraversamento.
Sono necessari interventi di sistemazione e strutturali importanti nel più breve tempo
possibile.
Per ogni punto critico, in funzione alla sua criticità, si assegnerà un punteggio (vedi Tab.13).
CRITICITA’ PUNTUALE PUNTEGGIO
Ordinaria 0
Moderata 4
Marcata 7
Elevata 10
Tab.13
Al fine di stabilire uno scenario generale rappresentante le condizioni dell’intero impluvio,
sarà calcolato un valore medio (M) dei punteggi pesato rispetto alla distanza che intercorre
tra i vari punti critici.
Le distanze saranno determinate direttamente con l’ausilio della cartografia a disposizione.
Per il punto più a monte la distanza da considerare sarà quella misurata a partire dal punto di
origine dell’asta principale.
M = dn × pn
n1
D
n = numero punto critico, da monte (1) a valle (n)
pn = punteggio assegnato ad ogni punto critico
dn = distanza tra ogni punto critico [m]
D = distanza totale [m] = dnn1
105
In ultimo si seguiranno le istruzioni fornite dalla tabella 14:
CRITICITA’ GENERALE IMPLUVIO
Μ < 4 ORDINARIA
4 ≤ M < 6 MODERATA
6 ≤ M < 8 MARCATA
M ≥ 8 ELEVATA
Tab.14
Il file Excel allegato potrà velocizzare le operazioni di calcolo degli indici necessari per
l’attribuzione dello scenario di rischio puntuale e generale.
106
CASO DI STUDIO A: VALLE DEL PRETE
SCHEDA DI TIPO 1
Informazioni generali
Data sopralluogo: 01/10/2010
Bacino principale: Fiume Adda
Sottobacino: /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Impluvio: Valle del Prete
Informazioni geografiche
Provincia: Sondrio
Comune: Valdisotto
Località: Cepina, Zola
Descrizione sintetica asta
% qualitativa media d'ostruzione
delle sezioni dell'impluvio:
25 75
50 x 100
Opere d'attraversamento
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato di pulizia:
Alto Medio Basso Molto
basso
Acquedotti, fognature o altro in
subalveo 0
Servizi intubati pensili 0
Ponti, passerelle e guadi 0
Tombinature per scopo di viabilità
o altro 4
1170 x
1155
x
1150
x
1146
x
Altro… 0
Note personali:
L’impluvio nella parte alta (dai 1770 m ai 1390 m) necessita
di pulizia come anche l’ultima tombinatura, che si presenta
in parte ostruita
107
Opere di mitigazione delle piene e del trasporto solido
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato efficienza:
Alto Medio Basso Molto
basso
Canalizzazioni aperte 1 Da 1170
a 1146 x
Canalizzazioni coperte 0
Vasche di deposito o
sedimentazione 1 1170
x
Arginature 0
Soglie di fondo 0
Briglie di consolidamento 0
Briglie selettive 1 1170 x
Pennelli 0
Griglie 1 1155
x
Interventi di ingegneria
naturalistica 0
Altro… 1 1180
x
Note personali:
Dai 1390 m ai 1170 m l’acqua viene captata da 2 opere di
presa che diminuiscono la portata totale o lasciano dei tratti
d’impluvio senza flusso. Questi tratti soprattutto, ma anche
quelli con la presenza di acqua, necessitano di un intervento
di pulizia.
Descrizione sintetica delle sponde
Substrato roccioso Metamorfico x
Sedimentario Vulcanico
Tipo di copertura
Conifere ad
alto fusto x
Latifoglie ad alto
fusto
Conifere a
basso fusto Latifoglie a basso
fusto x
Pascolo
Detriti rocciosi Rivestimento
artificiale Altro…
Condizione stabilità delle sponde: Molto critica Critica Poco critica Non critica
x
108
Opere di mitigazione rischio frane
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato efficienza:
Alto Medio Basso Molto basso
Muri di sostegno o
contenimento 0
Gabbioni 0
Gradonamenti 0
Ancoraggi 0
Barriere paramassi 0
Interventi di ingegneria
naturalistica 0
Altro… 0
Note personali: //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Interventi suggeriti
Realizzazione di viminate o graticciate per la stabilizzazione superficiale dei tratti più ripidi delle
sponde
Valutazione qualitativa del rischio
Elevato Marcato Moderato x Ordinario
Nome osservatore volontario
Marco Majori
109
Documentazione fotografica:
Quota punto (m s.l.m.): 1250
Coordinate UTM: 32T 0603923 5143816
Azimut di ripresa (°): 223
Note: Stato pulizia impluvio. S’intravede
in alto a sinistra l’opera di presa
Quota punto (m s.l.m.): 1180
Coordinate UTM: 32T 0603998 5143791
Azimut di ripresa (°): 123
Note: Dettaglio muro contenimento detriti
trasportati dall’acqua
110
Quota punto (m s.l.m.): 1170
Coordinate UTM: 32T 0604025 5143788
Azimut di ripresa (°): 47
Note:
Vasca di deposito associata ad una
briglia selettiva a monte
dell’intersezione con la prima
strada comunale
111
Quota punto (m s.l.m.): 1170
Coordinate UTM: 32T 0604036 5143793
Azimut di ripresa (°): 150
b (m2): 0,9
I: 0,44
P (m): 2,7
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio x
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Intersezione con la prima strada
comunale
112
Quota punto (m s.l.m.): 1155
Coordinate UTM: 32T 0604098 5143816
Azimut di ripresa (°): 114
b (m2): 1
I: 0,49
P (m): 3
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio x
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: A monte della tombinatura è stata
posizionata una griglia
113
Quota punto (m s.l.m.): 1150
Coordinate UTM: 32T 0604136 5143819
Azimut di ripresa (°): 208
b (m2): 1
I: 0,49
P (m): 3
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio x
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Punto di chiusura e intersezione
con la seconda strada comunale
114
Quota punto (m s.l.m.): 1146
Coordinate UTM: 32T 0604217 5143801
Azimut di ripresa (°): 225
b (m2): 0,8
I: 0,22
P (m): 2,4
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio x
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Confluenza con il fiume Adda
115
SCHEDA DI TIPO 2: RELAZIONE TECNICA
Informazioni generali
Data sopralluogo: 15/10/2010
Bacino principale: Fiume Adda
Sottobacino: /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Impluvio: Valle del Prete
Informazioni geografiche
Provincia: Sondrio
Comune: Valdisotto
Località: Cepina, Zola
Ortofoto:
116
Cartografia e caratteristiche principali:
La porzioni di carta indica l’asta principale considerata. La base cartografica è una CTR a
scala 1:2.000
Lunghezza dell’asta: 608 m
Quota inizio asta: 1390 m s.l.m.
Quota confluenza: 1140 m s.l.m.
Superficie del bacino : 1,23 km2
Quota massima bacino: 2690 m s.l.m.
Quota sezione di chiusura del bacino: 1150 m s.l.m.
Quota media bacino: 1780 m s.l.m.
Pendenza media asta principale: 49%
Portata di picco con metodo razionale:
𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎 3,61 m3/s
𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟏𝟎𝟎 5,05 m3/s
𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎𝟎 5,58 m3/s
Il coefficiente di deflusso c, utilizzato per la risoluzione della formula del metodo razionale
nei vari tempi di ritorno, è stato calcolato facendo una media aritmetica tra il c proprio del
bosco e quello proprio del calcestruzzo (vedi tabella 11). Questo perché, in prima
117
approssimazione, l’impluvio considerato presenta entrambi i tipi di terreno in misura
similare.
Calcolo trasporto solido:
PORTATE SOLIDE 𝐐𝐬,𝐭
𝛄𝐬 [kg/m
3]
𝛄 [kg/m3]
𝐝𝟓𝟎
[m] 𝐈𝐦𝐞𝐝 𝐋𝐦𝐞𝐝 [m] 𝐑𝟐𝟎[m] 𝛗𝟐𝟎 𝛉𝟐𝟎
𝐐𝐬,𝟐𝟎
[m3/s]
2700 1000 0,035 0,49 2,78 0,02 0,19 0,41 0,02
𝐑𝟏𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟏𝟎𝟎 𝛉𝟏𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
2700 1000 0,035 0,49 2,78 0,04 0,31 1,06 0,05
𝐑𝟐𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟐𝟎𝟎 𝛉𝟐𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
2700 1000 0,035 0,49 2,78 0,04 0,36 1,37 0,06
Definizione scenario:
PORTATE SMALTIBILI q
N°
Punto
Critico
Punto
Critico
[m s.l.m.]
b [m2] P [m] R [m]
𝐊𝐬
[𝐦𝟏𝟑 𝐬 ]
I q [m3/s]
1 1170 0,90 2,70 0,33 70 0,44 20,02
2 1155 1,00 3,00 0,33 70 0,49 23,47
3 1150 1,00 3,00 0,33 70 0,49 23,47
4 1146 0,80 2,40 0,33 70 0,22 12,58
PORTATE DI
RIFERIMENTO 𝐐𝐭
𝐐𝐬,𝟐𝟎
[m3/s]
𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎
[m3/s]
𝐐𝟐𝟎
[m3/s]
0,02 3,61 3,63
𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
0,05 5,05 5,10
𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
0,06 5,58 5,64
118
DEFINIZIONE SCENARIO
N°
Punto
Critico
Distanza
tra i Punti
[m]
Scenario Puntuale Punteggio
1 200 ORDINARIA CRITICITA' 0
2 30 ORDINARIA CRITICITA' 0
3 10 ORDINARIA CRITICITA' 0
4 22 ORDINARIA CRITICITA' 0
Media Pesata Punteggio 0
Scenario Generale ORDINARIA CRITICITA'
119
CASO DI STUDIO B: RIO SOLAZ/VAL FURNER
SCHEDA DI TIPO 1
Informazioni generali
Data sopralluogo: 02/09/2010
Bacino principale: Fiume Adda
Sottobacino: Torrente Frodolfo
Impluvio: Rio Solaz/Val Furner
Informazioni geografiche
Provincia: Sondrio
Comune: Valfurva
Località: S. Nicolò
Descrizione sintetica asta
% qualitativa media d'ostruzione
delle sezioni dell'impluvio:
25 75
50 x 100
Opere d'attraversamento
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato di pulizia:
Alto Medio Basso Molto
basso
Acquedotti, fognature o altro in
subalveo 0
Servizi intubati pensili 0
Ponti, passerelle e guadi 0
Tombinature per scopo di viabilità
o altro 5
1525
x
1480
x
1470
x
1450
x
1340
x
Altro… 0
Note personali: La tombinatura nei pressi del paese ha sezione di 1 m2
120
Opere di mitigazione delle piene e del trasporto solido
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato efficienza:
Alto Medio Basso Molto
basso
Canalizzazioni aperte 1 Da 1450
a 1340 x
Canalizzazioni coperte 1 Da 1480
a 1450 Non verificato
Vasche di deposito o
sedimentazione 2
1445 x
1361 x
Arginature 0
Soglie di fondo 0
Briglie di consolidamento 0
Briglie selettive 0
Pennelli 0
Griglie 0
Interventi di ingegneria
naturalistica 0
Altro… 0
Note personali: /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Descrizione sintetica delle sponde
Substrato roccioso Metamorfico
Sedimentario x Vulcanico
Tipo di copertura
Conifere ad
alto fusto x
Latifoglie ad alto
fusto
Conifere a
basso fusto Latifoglie a basso
fusto x
Pascolo
Detriti rocciosi Rivestimento
artificiale Altro…
Condizione stabilità delle sponde: Molto critica Critica Poco critica Non critica
x
121
Opere di mitigazione rischio frane
Tipo Quantità Quota
(m s.l.m.)
Stato efficienza:
Alto Medio Basso Molto basso
Muri di sostegno o
contenimento 0
Gabbioni 0
Gradonamenti 0
Ancoraggi 0
Barriere paramassi 0
Interventi di ingegneria
naturalistica 0
Altro… 0
Note personali: //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Interventi suggeriti
Pulizia parte alta impluvio
Valutazione qualitativa del rischio
Elevato Marcato Moderato Ordinario x
Nome osservatore volontario
Marco Majori
122
Documentazione fotografica:
Quota punto (m s.l.m.): 1525
Coordinate UTM: 32T 0608994 5146828
Azimut di ripresa (°): 200
b (m2): 0,5
I: 0,11
P (m): 2,5
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco x
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Intersezione con la prima strada
comunale
123
Quota punto (m s.l.m.): 1525
Coordinate UTM: 32T 0608996 5146804
Azimut di ripresa (°): 180
Note: Stato pulizia impluvio in estate
Quota punto (m s.l.m.): 1480
Coordinate UTM: 32T 0608961 5146733
Azimut di ripresa (°): 104
Note: Stato pulizia impluvio in autunno
(13/11/2010)
124
Quota punto (m s.l.m.): 1480
Coordinate UTM: 32T 0608946 5146689
Azimut di ripresa (°): 100
b (m2): 0,04
I: 2
P (m): 0,08
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione x
Note: Prima intersezione con seconda strada
comunale
125
Quota punto (m s.l.m.): 1470
Coordinate UTM: 32T 0608927 5146652
Azimut di ripresa (°): 100
b (m2): 1
I: 2
P (m): 2,9
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco x
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Seconda intersezione con seconda
strada comunale
126
Quota punto (m s.l.m.): 1450
Coordinate UTM: 32T 0608893 5146578
Azimut di ripresa (°): 104
b (m2): 0,56
I: 0,44
P (m): 1,92
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio
Mattone
Prefabbricato x
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Terza intersezione con seconda
strada comunale
127
Quota punto (m s.l.m.): 1445
Coordinate UTM: 32T 0608890 5146567
Azimut di ripresa (°): 100
Note: Tombinatura a sezione circolare e
canalizzazione
Quota punto (m s.l.m.): 1361
Coordinate UTM: 32T 0608804 5146328
Azimut di ripresa (°): 140
Note: Sezione di chiusura
128
Quota punto (m s.l.m.): 1361
Coordinate UTM: 32T 0608807 5146330
Azimut di ripresa (°): 145
Note: Vasca di deposito in buono stato
Quota punto (m s.l.m.): 1340
Coordinate UTM: 32T 0608798 5146263
Azimut di ripresa (°): 350
Note:
Punto oggetto di lavori di
tombinatura da parte della
Comunità Montana Alta Valtellina
129
Quota punto (m s.l.m.): 1338
Coordinate UTM: 32T 0608797 5146259
Azimut di ripresa (°): 100
b (m2): 1
I: 0,18
P (m): 3
Tipo terreno: Sbarrare l’opzione riscontrata
Conglomerato cementizio x
Mattone
Prefabbricato
Pietrame e calce
Pietre a secco
Terra con manutenzione
Roccia o terra senza
manutenzione
Note: Confluenza con il torrente Frodolfo
130
Quota punto (m s.l.m.): 1336
Coordinate UTM: 32T 0608799 5146257
Azimut di ripresa (°): 196
Note: Torrente Frodolfo
131
SCHEDA DI TIPO 2: RELAZIONE TECNICA
Informazioni generali
Data sopralluogo: 06/09/2010
Bacino principale: Fiume Adda
Sottobacino: Torrente Frodolfo
Impluvio: Rio Solaz / Val Furner
Informazioni geografiche
Provincia: Sondrio
Comune: Valfurva
Località: S. Nicolò
Ortofoto:
132
Cartografia e caratteristiche principali:
La porzione di carta indica l’asta principale considerata. La base cartografica è una carta
catastale comunale a scala 1:2.000
Lunghezza dell’asta: 1580 m
Quota inizio asta: 1977 m s.l.m.
Quota confluenza: 1338 m s.l.m.
Superficie del bacino: 0,474 km2
Quota massima bacino: 2070 m s.l.m.
Quota sezione di chiusura del bacino: 1361 m s.l.m.
Quota media bacino: 1716 m s.l.m.
Pendenza media asta principale: 49%
Portata di picco con metodo razionale:
𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎 1,39 m3/s
𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟏𝟎𝟎 1,94 m3/s
𝐐𝐦𝐚𝐱 𝟐𝟎𝟎 2,15 m3/s
Il coefficiente di deflusso c, utilizzato per la risoluzione della formula del metodo razionale
nei vari tempi di ritorno, è stato calcolato facendo una media aritmetica tra il c proprio del
133
bosco e quello proprio del calcestruzzo (vedi tabella 11). Questo perché, in prima
approssimazione, l’impluvio considerato presenta entrambi i tipi di terreno in misura
similare.
Calcolo trasporto solido:
PORTATE SOLIDE 𝐐𝐬,𝐭
𝛄𝐬 [kg/m
3]
𝛄 [kg/m3]
𝐝𝟓𝟎
[m] 𝐈𝐦𝐞𝐝 𝐋𝐦𝐞𝐝 [m] 𝐑𝟐𝟎[m] 𝛗𝟐𝟎 𝛉𝟐𝟎
𝐐𝐬,𝟐𝟎
[m3/s]
2700 1000 0,035 0,49 2,08 0,02 0,15 0,25 0,01
𝐑𝟏𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟏𝟎𝟎 𝛉𝟏𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
2700 1000 0,035 0,49 2,08 0,03 0,24 0,69 0,02
𝐑𝟐𝟎𝟎 [m] 𝛗𝟐𝟎𝟎 𝛉𝟐𝟎𝟎 𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
2700 1000 0,035 0,49 2,08 0,03 0,28 0,92 0,03
Definizione scenario:
PORTATE SMALTIBILI q
N°
Punto
Critico
Quota
[m s.l.m.]
b
[m2]
P [m] R [m] 𝐊𝐬
[𝐦𝟏𝟑 𝐬 ]
I q [m3/s]
1 1525 0,50 2,50 0,20 23 0,11 1,30
2 1480 0,04 0,08 0,50 35 2,00 1,24
3 1470 1,00 2,90 0,34 23 2,00 15,94
4 1450 0,56 1,92 0,29 83 0,44 13,50
5 1338 1,00 3,00 0,33 70 0,18 14,23
PORTATE DI
RIFERIMENTO 𝐐𝐭
𝐐𝐬,𝟐𝟎
[m3/s]
𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎
[m3/s]
𝐐𝟐𝟎
[m3/s]
0,01 1,39 1,40
𝐐𝐬,𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝟏𝟎𝟎
[m3/s]
0,02 1,94 1,96
𝐐𝐬,𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝐦𝐚𝐱,𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
𝐐𝟐𝟎𝟎
[m3/s]
0,03 2,15 2,18
134
DEFINIZIONE SCENARIO
N°
Punto
Critico
Distanza
tra i
Punti [m]
Scenario Puntuale Punteggio
1 450 ELEVATA CRITICITA' 10
2 50 ELEVATA CRITICITA’ 10
3 5 ORDINARIA CRITICITA' 0
4 30 ORDINARIA CRITICITA' 0
5 210 ORDINARIA CRITICITA' 0
Media Pesata Punteggio 6,71
Scenario Generale MARCATA CRITICITA'
135
CONCLUSIONE
Il rischio idrogeologico in Italia ha un notevole impatto nella nostra Società: 5.400 alluvioni
e 11.000 frane negli ultimi 80 anni, 15 miliardi di Euro negli ultimi 20 ed oltre 100 vittime
negli ultimi 3 anni.
Sulla base di questi dati allarmanti, la metodologia proposta può rivelarsi un ulteriore
supporto alle decisioni in ambito politico. La definizione dei livelli di criticità degli impluvi
del reticolo idrico minore aiuterebbe a definire i programmi di prevenzione, necessari per
evitare le catastrofi e di conseguenza la perdita di vite umane e lo sperpero di risorse
economiche.
E’ evidente che nel caso di specie dei programmi di prevenzione la politica dei due tempi
(cioè la predisposizione, prima, di una completa e dettagliata ricognizione delle situazioni di
rischio e successivamente la programmazione degli interventi) appare poco efficace, sia per
i ritardi che possono in tale prospettiva accumularsi, sia perché in tutto il territorio nazionale
la conoscenza del rischio idrogeologico, anche se non sempre sufficientemente organizzata,
è ampia e può consentire un primo livello di programmazione degli interventi. E’
fondamentale però la necessità di procedere per fasi successive, con una programmazione
dinamica, che in una prima fase oltre a realizzare gli elaborati sulla base delle conoscenze
disponibili, programmi le indagini e gli approfondimenti necessari ad una migliore
conoscenza delle situazioni a rischio. Questa esigenza di periodici aggiornamenti deriva
anche dal fatto che il quadro del rischio idrogeologico subisce frequenti modifiche sia
perché cambiano i livelli di antropizzazione e si realizzano sempre nuovi interventi di
sistemazione, sia perché col tempo le condizioni degli alvei fluviali del reticolo idrico
minore possono peggiorare.
Sono molti anni ormai che si parla della necessità di passare dalla “logica dell’emergenza” a
quella della prevenzione ma, finché non ci sarà una rete di monitoraggio sul territorio, sarà
impossibile fare questo salto di qualità. Per rete di monitoraggio non intendo solamente una
rete strumentale, ma, come ho cercato di trattare in questo mio lavoro di tesi, una rete di
“corrispondenti” diffusa sul territorio, che provveda in tempo reale all’aggiornamento di una
banca dati posta dove ha sede il coordinamento e dove vengono prese le decisioni. Le
Comunità Montane potrebbero essere rivalutate come unità operative di gestione del
territorio e a loro si dovrebbero dare le figure professionali adatte ed i mezzi, dando forza
all’idea che la manutenzione del territorio è oggi una spesa necessaria e vitale, tanto quanto
i collegamenti viari e le telecomunicazioni.
In generale l’Alta Valtellina, memore degli eventi del passato (uno su tutti: la frana della
Val Pola nel 1987), è una zona montana attenta alle problematiche legate al rischio
idrogeologico. Infatti tutti gli impluvi su cui ho effettuato sopralluoghi, hanno mostrato
interventi di entità più o meno elevata per la mitigazione del rischio derivante dalle piene e
dalle frane, anche se in certi casi andrebbero mantenuti in condizioni più efficienti.
I casi di studio trattati sono simili per quanto riguarda la disposizione ed il tipo di opere, atte
al mantenimento di un livello di rischio accettabile, ma nonostante queste affinità i valori di
criticità sono risultati differenti. La causa è da imputare soprattutto alla presenza di
materiale che a tratti ostruisce il deflusso naturale delle acque. La problematica è risolvibile,
dunque, in tempi e con sforzi tutto sommato piccoli. Attuando infatti un programma di
pulizia di certe porzioni d’alveo e di alcuni imbocchi dei tratti tombinati, sarebbe possibile
riportare il rischio ad un livello di ordinaria criticità.
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Il tipo di prevenzione basata sui programmi di sopralluogo/intervento è sicuramente un
passo importante per una gestione oculata del territorio, rimango però dell’idea che la vera
prevenzione sta nella corretta pianificazione urbanistica, attenta al contesto geologico -
ambientale ed alla risorsa acqua. Infatti le nostre scelte, quelle che facciamo e che faremo
attraverso i PTCR, i PTCP (piani territoriali di coordinamento regionali e provinciali) e i
PGT (piano di gestione del territorio), non possono mettere al primo posto tra gli elementi
discriminanti la richiesta d’insediamento, non possono derogare dalla disponibilità di risorse
territoriali, perché sono queste che ci danno il limite quantitativo dello sviluppo e, almeno
per certi aspetti, ne determinano anche il livello qualitativo.
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Siti internet a cui ho fatto riferimento:
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- www.sorellanatura-acqua.org
- www.costruzioniidrauliche.it
- www.adb.basilicata.it
- www.comune.erba.co.it
- www.guidealpine.it
- http://gis.csi.it/disuw/sicod/doc/manuale_censimento_opere.pdf
- www.provincia.bergamo.it/provpordocs/d1_b_07.pdf
- http://www.cartografia.regione.lombardia.it/geoportale
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RINGRAZIAMENTI
Giunto alla fine di questo iter di formazione, vorrei esprimere la mia gratitudine verso tutti
coloro che mi hanno accompagnato, sostenuto ed ispirato.
- A mio figlio Federico, senso della mia esistenza.
- Ai miei genitori, per tutto ciò che hanno fatto e continuano a fare per me.
- Ai miei nonni Gabriella e Luigi, per tutto il bene che da sempre mi vogliono.
- A Lei, perché pur senza certezze è più di un anno che mi sopporta e mi fa sorridere
nei momenti difficili.
- Ai miei amici più cari: Daniel Antonioli, Cristiano Trameri “Tano” e Davide Spini,
persone su cui potrò sempre contare.
- Al Col. Marco Mosso ed al Magg. Patrick Farcoz, per le opportunità che mi hanno
concesso finora e per le nuove che, spero, mi concederanno in futuro.
- Al Lgt. Luigi Pedrolini “Pedro”, amico, sostenitore e fonte di preziosi consigli.
- Al mio compagno di studi ed amico Dott. Ing. Marco Morelli “Moro”, fondamentale
per il raggiungimento di questo mio importante risultato.
- Al Dott. Sergio Chiesa, Geologo appassionato e storico amico di famiglia.
- Al Prof. e Guida Alpina Alberto Bianchi per avermi dedicato tempo prezioso e per la
sua disponibilità.
- A tutti coloro che, nonostante i miei numerosi errori, non hanno mai smesso di
credere nelle mie qualità umane e professionali. A loro va la mia più profonda
riconoscenza e stima. A loro la mia porta sarà sempre aperta.
Como, 31 Marzo 2011