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L’urlo
Liceo Vi�orio Emanuele II
Napoli, via San Sebas�ano, 51 Art.21 “Tu� hanno diri�o di
manifestare liberamente il pro-
prio pensiero con la parola, lo
scri�o e ogni altro mezzo di
diffusione.”
Editoriale (Vincenzo Fusco IIB ) — Si è chiu-
sa la prima fase della trattativa tra il governo
Tsipras e la troika (ora chiamata “le istituzio-
ni”) per la ristrutturazione del debito greco e il
possibile superamento delle politiche di auste-
rity. Non sappiamo ancora come il processo
avviato nel mese di febbraio si concluderà e
quindi è prematuro tracciare un bilancio defini-
tivo. Si è chiusa la prima fase della trattativa
tra il governo Tsipras e la troika (ora chiamata
“le istituzioni”) per la ristrutturazione del debi-
to greco e il possibile superamento delle politi-
che di austerity. Non sappiamo ancora come il
processo avviato nel mese di febbraio si con-
cluderà e quindi è prematuro tracciare un bilan-
cio definitivo. Ma alcune considerazioni posso-
no essere avanzate già da ora.
La successione degli eventi
Cominciamo con i fatti. Perché un minimo di
informazione è necessaria, per capire di che
stiamo parlando.
Il 4 febbraio 2015 la Bce decide di non accetta-
re più come garanzia “collaterale” i titoli di
stato greci per fornire la liquidità necessaria al
sistema creditizio greco al fine di far fronte
alle normali operazioni bancarie. Di fatto, un
drastico taglio alla liquidità greca che
Poli�ca
Norma�va CLIL—A.Buonaiuto
Raid al Galiani: democrazia? - L.Pica Ciamarra
Austerità in Portogallo: cause ed effe" - N.Dieng
Odio mosso da amore - A.Capasso
Aualità
Pales�na, terra nullius - V.Papaleo
A"viste siriane - R.Granata
Il virtuale che distrugge il sociale -A.Capasso
L’insulso fe�cismo del manuale - R.Marrone
Napoli ci,à aperta? - M.Cavallo
O�um et nego�um
L’arte della felicità - S.Gemma
La solitudine dei numeri primi - S.Napolitano
Direori: Grafica:
Eleonora Ba"nelli Alessandra Centore
Vincenzo Fusco Lorenzo Pica Ciamarra
Claudia Sarracino
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incentiva la fuga di capitali all’estero. Di fat-
to, un atto di terrorismo economico per con-
dizionare la trattativa che si sarebbe aperta
da lì a poco. Il governo greco inizia così la
trattativa con una pistola puntata alla tempia.
L’11 febbraio si svolge la riunione straordi-
naria dell’Eurogruppo sulla Grecia. Il gover-
no Tsipras presenta la proposta di rinegozia-
zione del debito greco. Le proposte del mini-
stro delle Finanze greco Veroufakis si basa-
no principalmente su due punti:
a. riesame delle scadenze delle rate del debi-
to, allungandole e chiedendo per i primi anni
(si parla sino al 2020) una moratoria al paga-
mento degli interessi per consentire che i
soldi risparmiati possano essere finalizzati
alla crescita economica, intervenendo così
sul denominatore del rapporto debito/pil.
b. scambiare gli attuali titoli di stato con due
tipi di nuovi bond (di fatto degli swap): il
primo indicizzato alla effettiva crescita eco-
nomica greca, da scambiare con i crediti ero-
gati dai paesi e dalle istituzioni europee. In
questo caso il pagamento delle cedole o del
capitale viene subordinato alla crescita del
Pil o al calo della disoccupazione. Il secondo
è invece costituito da titoli di stato di durata
perpetua che servirebbero a sostituire quelli
detenuti dalla Bce, con il passato piano anti-
crisi SMP (Securities Markets Programme).
Si tratta di titoli che pagano una cedola
all’anno e non vengono mai rimborsati aven-
do scadenza infinita.
Il 16 febbraio, nuova riunione dell’Euro-
gruppo. I ministri europei chiedono ad Atene
di estendere il programma di salvataggio,
ponendo di fatto un ultimatum in linea con i
diktat precedenti. La Grecia non solo rifiuta
ma rilancia, chiedendo una “proroga di 4
mesi per discutere un nuovo accordo”.
Il livello di scontro si alza e i paesi euro-
pei, nessuno escluso (compresi Italia e
Francia), ripropongono la validità della po-
litica di austerità. La possibilità che la Gre-
cia possa essere indotta a uscire dall’Euro
si fa concreta.
19-20 febbraio: i ministri delle finanze
dell’Eurogruppo raggiungono un accordo
di fondo su un testo di compromesso per
l’estensione del programma di aiuti alla
Grecia per quattro mesi, chiedendo in cam-
bio che la Grecia proponga una serie di mi-
sure concrete che la troika dovrà approva-
re.
23 febbraio: rispettando i tempi concessi,
poco prima di mezzanotte il governo greco
presenta alla Commissione Europea e al
Fmi le misure che intende adottare nei
prossimi 4 mesi. La reazione sembra essere
positiva, con parere positivo dell’Euro-
gruppo ma qualche perplessità della Bce e
del FMI.
Qualcosa di nuovo sotto il sole europeo?
Questa la mera cronaca. Si ridiscuterà tra
quattro mesi. Ciò significa che nulla è
cambiato? Niente affatto:
1. Per la prima volta da quando le politiche
di austerity sono diventate insindacabili in
Europa (“there is no alternative”), un paese
si conquista il diritto a trattare. Non è una
questione solo formale, a prescindere poi
dal risultato che potrà ottenere. Si è messo
in discussione il “principio di autorità”
dell’oligarchia finanziaria di commissaria-
re un paese ed imporgli una politica econo-
mica neoliberista: principio fino ad oggi
indiscutibile. Non è certo autodetermina-
zione, come la trattativa ha ben evidenzia-
to, ma viene rotto un tabù. Sul piano sim-
bolico, è un risultato importante e non è un
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caso che, per evitare questa eventualità, nel
corso della trattativa, l’Eurogruppo abbia
cercato di impedire che tale primo obiettivo
venisse raggiunto, mettendo la Grecia di
fronte all’aut-aut di uscire o rimanere
nell’Euro. In questo caso chi ha bleffato è
stato proprio l’Eurogruppo, che non poteva
permettersi il default della Grecia, pena no-
tevoli perdite non solo per le banche tede-
sche e francesi (che detengono buona parte
del debito greco) ma anche per la BCE, che
avrebbe visto ridursi le proprie riserve di li-
quidità.
2. Al riguardo non stupisce affatto la reazio-
ne negativa e stizzita di Spagna, Portogallo e
Irlanda, i cui governi negli ultimi anni hanno
accettato, senza colpo ferire, le misure dra-
coniane imposte dalla troika con tutti gli ef-
fetti di miseria sociale che hanno comporta-
to. Come poter giustificare oggi quella su-
balternità e passività ai diktat europei che,
oltre ogni ragionevole dubbio, hanno evi-
denziato la complicità e la collusione che
tali governi hanno intrapreso con gli interes-
si delle oligarchie finanziarie europee?
3. Il rischio di un “effetto domino” diventa
così uno spettro che si aggira negli uffici di
Bruxelles e Francoforte. Un effetto domino
che non è quello orchestrato dalla specula-
zione finanziaria ma, all’inverso, dalla pos-
sibilità che sia possibile mettere una zeppa
agli ingranaggi della governance neoliberista
dell’Europa. A patto, tuttavia, che l’esem-
pio greco, venga seguito daaltri paesi euro-
pei. Sappiamo tutti che a ottobre si svolge-
ranno le elezioni politiche in Spagna, pre-
cedute dal test delle elezioni amministrative.
Abbiamo già sottolineato che il peso specifi-
co della Spagna è ben superiore di quello
della Grecia e per questo da qui a ottobre ne
vedremo delle belle.
E’ facile prevedere che si svilupperà una
canea mediatica e un gioco di ricatti per
impedire a tutti i costi che la Spagna possa
seguire l’esempio della Grecia.
4. In questo gioco simbolico, in Italia, sen-
za che nessuno se ne sia accorto, tale canea
ha già cominciato ad attivarsi. Nell’ultimo
mese, con un ritmo alquanto sospetto, sono
stati dati in pasto all’opinione pubblica una
serie di dati economici che portano ad
un’unica conclusione: grazie all’operato
del governo Renzi e alle sue
“riforme” (sarebbe meglio chiamarle
“controriforme”), la recessione economica
è improvvisamente terminata. Il Centro
Studi Confindustria (maggior sponsor del
governo) ha solennemente predetto che nel
2015 il PIl crescerà del 2,1% nel 2015 e
del 2,5% nel 2016! Una stima tre volte su-
periore a quella del Fmi! La Confcommer-
cio afferma che, dopo 5 anni, gli occupati
(non i posti di lavoro) sono aumentati
nell’ultimo trimestre di 59.000 unità (di cui
due terzi nel settore della vendita ambulan-
te!). La stessa Banca Centrale Italiana, pur
in modo più moderato, corregge al rialzo le
stime di crescita, un misero + 0,5% nel
2015 rispetto al + 0,4% di novembre 2014,
ma un più rassicurante + 1,1% nel 2016.
Viene spiegato che è la conseguenza degli
effetti benefici del Job Act e del decreto
sulla liberalizzazione dell’energia. Sulla
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base di queste previsioni euforiche (del tutto
in contrasto con quelle dell’Eurostat e del
Fmi – ma nessuno ne parla), proprio pochi
giorni fa, l’Ocse ha
affermato, per bocca del suo segretario ge-
nerale Angel Gurrìa, che la riduzione della
rigidità del lavoro, grazie al Job Act, può
“determinare un incremento del Pil pari al
6% nei prossimi 10 anni”. Insomma, la si-
tuazione economica volge al bello, senza
dover mettere in discussione le politiche
d’austerity, anzi confermandone le validità.
Le riforme attuate in questi mesi dal gover-
no Renzi – occorre ricordarlo – ricalcano
perfettamente quelle auspicate dalla famosa
lettera segreta del 5 agosto 2011 di Trichet e
Draghi al fu governo Berlusconi come con-
dizione per la riduzione del debito pubblico.
In altre parole: a parole, Renzi e Padoan si
dicono solidali con la Grecia ma nei fatti so-
no i più fedeli alleati della Merkel e di
Schauble.
L’importanza del tempo
Sul piano sostanziale, possiamo aggiungere
altre osservazioni:
a. Le misure che la Grecia, in piena autono-
mia e non sotto dettatura del memorandum,
intende adottare nei prossimi 4 mesi per po-
ter usufruire dell’allungamento dei tempi per
ridiscutere il piano di risanamento del debito
dovrebbero recuperare circa 7 miliardi di
euro, così suddivisi : 2,5 miliardi dall’intro-
duzione di una tassa patrimoniale per i ric-
chi; 2,3 miliardi dalla lotta all’evasione fi-
scale e alla corruzione, 2,2 miliardi dalla ri-
duzione della burocrazia statale, dal contrab-
bando di benzina e sigarette e dal recupero
crediti da parte dell’amministrazione pubblica.
Le principali richieste dell’Eurogruppo, già
precedentemente inserite nel memorandum,
vengono rigettate: aumento dell’Iva, licenzia-
menti pubblici, riduzione delle pensioni. Sep-
pur in modo limitato, alcuni punti del program-
ma di Salonicco (il programma su cui Syriza
aveva imbastito la vincente campagna elettora-
le) vengono confermati: tredicesima sulle pen-
sione sotto i 700 euro, graduale introduzione di
un salario minimo (invece che immediata),
blocco dei licenziamenti, accesso gratuito per e
famiglie povere a servizi di pubblica utilità,
come luce e gas, l’introduzione di un voucher
alimentare per chi è nullatenente. Riguardo il
tema delle privatizzazioni – forse il più spino-
so per gli interessi della troika -, ci si avvia a
un compromesso: i piani di privatizzazione,
già avviati (tramite bandi di vendita e di acqui-
sizioni) non vengono toccati, quelli annunciati
dal precedente governo ma non ancora avviati
sono soggetti a ridiscussione.
b. Considerando gli stretti margini di manovra
e il poco tempo a disposizione, si tratta di un
compromesso che possiamo realisticamente
definire ragionevole. E’ comprensibile che es-
so abbia lasciato l’amaro in bozza ad alcuni
componenti della dirigenza di Syriza, a partire
dalla presa di posizione di Manolis Glezos,
icona della resistenza greca nonché, appunto,
membro del comitato centrale del partito di
Tsipras. Ma sappiamo anche che la politica è
la scienza del possibile, non dei desiderata.
Tuttavia, riteniamo che discutere esclusiva-
mente il merito di questo compromesso sia
fuorviante. Per due motivi. Il primo è che le
misure proposte sono assai aleatorie.
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Occorrerà effettivamente verificare se il get-
tito ipotizzato si realizzerà effettivamente.
Ma ciò conta poco. Ciò che conta – e questo
è il secondo motivo – è che, come giusta-
mente sottolineato da Sandro Mezzadra da
un punto di vista politico, si guadagna
“tempo”. Ed è proprio il “tempo” che finora
è mancato alla Grecia. Si tratta di un aspetto
nevralgico e allo stesso tempo sostanziale.
Nel capitalismo biocognitivo, l’unità tempo-
rale che viene imposta dalla logica della va-
lorizzazione finanziaria, anche quando ha a
che fare con decisioni di politica economica,
è quella del brevissimo termine: sono i tem-
pi dettati della speculazione finanziaria e del
divenire rendita del profitto. Riuscire a scar-
dinare questa logica è condizione necessaria
(anche se può non essere sufficiente) per im-
porre un’altra logica di azione economica,
non supina alle esigenze delle oligarchie fi-
nanziarie.
E’ un passaggio assai fastidioso, come im-
plicitamente conferma l’infame titolo di La
Repubblica del 23 febbraio scorso, non a ca-
so fotocopia di quello de Il Giornale. Si vuo-
le confermare, a tutti i costi, che non c’è al-
ternativa all’austerity, come viene ribadito
anche il 25 febbraio dal quotidiano
“renziano” .
Le difficoltà geopolitiche dell’Europa
Ma c’è dell’altro, a dimostrazione di come la
situazione sia allo stesso tempo complessa,
delicata e in movimento, al punto da sconsi-
gliare di prendere posizioni drastiche. Ci ri-
feriamo, soprattutto, a due aspetti. Il primo
ha che fare con i contatti che il nuovo mini-
stro degli esteri greco ha avviato con la Rus-
sia e con la Cina. I viaggi fatti a Mosca e a
Pechino– anche se poco sottolineati dalla
servizievole stampa nostrana – hanno avuto
a che fare con la possibilità di accedere
a fonti di finanziamento extra-europei e extra-
Fmi per evitare il default greco: una sorta di
possibile piano B nel caso la trattativa con
l’Eurogruppo fosse naufragata o possa fallire
in futuro. Non sappiamo quale sia la possibile
contropartita. Ma considerando le problemati-
che che sta vivendola Russia in seguito al calo
del prezzo dei prodotti energetici, alle sanzioni
europee per la questione ucraina e alla fuga di
capitali verso gli Usa in seguito alla svaluta-
zione del rublo e sapendo degli interessi cinesi
per garantirsi una supremazia della logistica
del trasporto marittimo nel Mediterraneo (la
via meridionale della seta), possiamo ben im-
maginare quale sia la posta in gioco. E’ quindi
sicuro che l’oligarchia europea (e men che me-
no quella Usa) non veda di buon occhio una
possibile ingerenza di tal fatta nei propri affari
interni.
Il secondo aspetto, correlato al primo, riguarda
la definizione degli assetti geopolitici dell’Eu-
ropa: da un lato, impegnata nelle trattive per
definire l’accordo Transatlantic Trade and In-
vestment Partnership (TTIP), agognato dagli
Usa per ricostituire un’area di egemonia eco-
nomica “occidentale” in grado di sottrarre
l’Europa (ed in primis la Germania) alle chi-
mere orientali (Russia, ma soprattutto Cina) ,
dall’altro, la necessità di ribadire , tramite il
ruolo della Nato, una coesione interna in fun-
zione di controllo dell’espansionismo del fon-
damentalismo islamico, non tanto dal punto
religioso ma piuttosto come elemento di desta-
bilizzazione nel medio-oriente, già fortemente
minato dalle primavere arabe (seppur con gli
esiti che conosciamo).
Non è un caso che nella prima fase della tratta-
tiva dell’Eurogruppo con la Grecia
(l’ultimatum posto nella riunione del 16 feb-
braio) si sanciva come punto centrale il divie-
to per la Grecia di intraprendere “iniziative
unilaterali”, avvertimento rientrato -
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almeno fin ora - in seguito alle assicurazioni
della Grecia di non uscire dalla Nato, ma in
futuro non del tutto scongiurato.
E allora?
Stiamo vivendo – lo ripetiamo – un momen-
to molto delicato per i futuri assetti europei.
L’oligarchia europea conferma ancora una
volta di avere il fiato corto. La decisione
della Bce di “istituzionalizzare” il Quantiti-
ve Easing rischia di essere il classico
“pannicello caldo”, incapace di risolvere le
questioni aperte.
E’ doveroso quindi porsi la domanda se le
oligarchie europee oggi dominanti siano più
un elemento di destabilizzazione che di
equilibrio, seppur di stampo neoliberista. E’
evidente che una simile situazione non può
continuare. Le politiche di austerity hanno
mostrato tutta la loro inefficacia nel ridurre
“ufficialmente” i debiti pubblici. Hanno avu-
to, invece, pieno successo, nel favorire un
enorme trasferimento di reddito e di ricchez-
za dalle fasce più povere a un élite di poco
più dell’1% della popolazione.
Paradossalmente, è la stessa speculazione
finanziaria a indicarlo. Nelle ultime settima-
ne, nonostante la fuga di capitali dalla Gre-
cia ma grazie all’incremento dei tassi d’inte-
resse a valori oltre il 20%, gli hedge fund
hanno compiuto massicci investimenti sui
titoli greci e non a caso gli indici di borsa
principali sono saliti dopo l’accordo con
l’Eurogruppo. A nessuno conviene il default
greco, perché non ha senso strozzare la galli-
na dalla uova d’oro. Varoufakis lo sa. Oltre
a ciò occorre considerare la possibilità con-
creta di sperimentare una moneta comple-
mentare in Grecia, in grado di attutire la
possibile crisi di liquidità, anche se la Bce,
dopo aver aumentato le risorse del fondo di
ultima istanza: Emergency Liquidity Assistan-
ce (ELA), ha anche dichiarato che se le trattati-
ve con l’Eurogruppo vanno in porto, è disposta
a ritornare sui suoi passi e a accettare come
garanzia “collaterale” i titoli di stato greci per
fornire la liquidità necessaria al sistema credi-
tizio greco. E sono proprio queste considera-
zione che stimolano l’idea di immaginare l’i-
stituzione di un circuito finanziario alternativo,
in grado di essere autonomo dai diktat dell’oli-
garchia finanziaria: una sorta di istituzione fi-
nanziaria del comune. Ma questa è un’altra
storia, su cui ritorneremo a partire dalla prossi-
ma pubblicazione degli atti del convegno sulla
“Moneta del comune”, che si è svolto nello
scorso giugno a Milano.
Finito il primo round, vi è ora il tempo per pro-
vare ad attuare la “rottamazione” dell’attuale
governance europea e la destrutturazione dei
governi nazionali neoliberisti (a partire da
quello italiano). Compito sicuramente arduo
ma non emendabile ma soprattutto ineludibile
se vogliamo ancora sperare in un futuro uma-
no, a partire dal prossimo appuntamento del 18
marzo a Francoforte sotto le finestre della nuo-
va Eurotower. Un primo punto di partenza a
cui ne devono seguire altri. Abbiamo tempo,
stavolta!
Vincenzo Fusco IIB
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Un'altra pioggia acida si abbatte sulla scuola
italiana: preannunciata dall’ ex ministro Gel-
mini per divulgare e “potenziare” l’uso della
lingua inglese, si diffonde in Italia la norma-
tiva CLIL ( Content and Language Integra-
ted Learning) che prevede all’ultimo anno
dei licei e degli istituti l’insegnamento di
una materia didattica in lingua inglese. Il
professore di Storia e Filosofia o di Matema-
tica e Fisica si immedesima professore di
Inglese traducendo almeno il 50% del pro-
gramma previsto in Consiglio di Classe. Pre-
sentata la proposta nel 2012, è stata attuata a
partire dal 2014. Al principio la certificazio-
ne richiesta per l’abilitazione all’insegna-
mento in Inglese era il C1 e la formazione
specifica in CLIL ottenuta con la partecipa-
zione ai “promessi corsi di formazione” del
MIUR. Ma ritardo dopo ritardo il MIUR si è
visto obbligato a ridimensionare i livelli di
competenza: da C1 a B2 e per coloro che
frequentano i corsi attivati dal MIUR è ne-
cessario anche solo il B1, una certificazione
che si ottiene facilmente alla fine del biennio
di un qualsivoglia liceo. - Diventano operati-
ve le norme inserite nei Regolamenti di rior-
dino (DPR 88 e 89/2010) che prevedono
l'obbligo, nel quinto anno, di insegnare una
disciplina non linguistica (DNL) in lingua
straniera secondo la metodologia CLIL-
queste le indicazioni fornite dal MIUR per
l’anno 2014/2015.
Ma le sorprese non finiscono qui: il metodo
CLIL verrà applicato anche all’esame di sta-
to, in particolare:
a) SECONDA PROVA SCRITTA: qualora la
DNL veicolata in lingua straniera costituisca
materia oggetto della seconda prova scritta,
essa non potrà essere svolta in lingua straniera
tenuto conto che si tratta di prova nazionale
b) TERZA PROVA SCRITTA: la tipologia
della prova e i contenuti dovranno essere coe-
renti per la parte relativa alla DNL in lingua
straniera con il documento del Consiglio di
classe redatto ai sensi dell'art. 5 comma 2 del
DPR 323/98
c) PROVA ORALE: la DNL in lingua stranie-
ra potrà essere oggetto del colloquio solo nel
caso in cui il docente che ha impartito l'inse-
gnamento sia membro interno della commis-
sione.
Ebbene se l’obiettivo del CLIL è mettere alla
pari gli alunni italiani con i compagni europei,
perché far sì che un professore che per tutta la
vita si è dedicato alla Filosofia o alla Fisica
possa insegnare Inglese di punto in bianco?
Non ci sarà da meravigliarsi se poi durante la
spiegazione del pensiero di Nietzsche scappa
la risatina dall’alunno che fin da piccolo ha
studiato inglese privatamente e mette in ridico-
lo il povero professore che per forza maggiore
e per non farsi sostituire da un altro professore
decide di buttarsi nell’avventura CLIL.
Una buona scuola la fanno gli studenti interes-
sati e i professori che insegnano con passione e
dedizione, la fanno il dialogo e il ragionamen-
to, il confronto e il dibattito, la serietà di uno
studente e la dignità di un professore. Una
buona scuola non ha bisogno di inventarsi pro-
fessioni.
Alessandra Buonaiuto IE
POLITICA Normativa CLIL: nasce una nuova professione
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Raid al Galiani: democrazia?
“Raid al Galiani, pugno duro sugli studenti”,
intitola La Repubblica del 17 gennaio rife-
rendosi alle sanzioni disciplinari imposte
dalla Dirigente Scolastica Armida Filippelli,
in seguito alla vandalizzazione dell’istituto
tecnico-economico Ferdinando Galiani du-
rante l’occupazione studentesca. La preside
ha deciso di sospendere 70 studenti per cin-
que giorni, obbligare i rappresentanti di clas-
se alle dimissioni e, oltre ad aver sospeso
per 15 giorni e ad aver messo 5 in condotta
ai rappresentanti d’istituto, ha imposto loro
anche di dimettersi e di non ricandidarsi, il
tutto poiché gli alunni “sono stati irresponsa-
bili, vanno educati al rispetto dei beni comu-
ni”. La Dirigente Scolastica sostiene comun-
que di essere “profondamente democratica”
e di non aver infatti denunciato nessuno stu-
dente. Di democrazia, però, c’è n’è ben po-
ca. Quando il Galiani è stato distrutto, si so-
no subito accusati gli studenti, come se l’oc-
cupazione fosse una condizione necessaria e
sufficiente alla vandalizzazione e alla razzia.
La cosa non è affatto scontata. Nei primi
mesi dell’anno scolastico molte scuole di
Napoli e provincia sono state distrutte o sac-
cheggiate senza alcuna occupazione: il liceo
Morante, il liceo Sbordone, l’Istituto Com-
prensivo Errico - Pascoli, l’Istituto Kant, il
liceo polispecialistico Alfonso Maria de’ Li-
guori, il liceo Labriola e il liceo Galileo Ga-
lilei, per citarne solo alcuni. Come si può
quindi sostenere che il saccheggio c’è stato
solo a causa dell’occupazione? Oltretutto è
la stessa preside ad ammettere che i danni
sono stati provocati da esterni, e che gli
alunni hanno una mera “responsabilità mo-
rale”. La preside sostiene di essere stata de-
mocratica poiché non ha denunciato nessuno
studente per aver impedito lo studio agli al-
tri.
Tuttavia non denunciare un reato è un altro
reato, detto “omessa denuncia da parte di pub-
blico ufficiale”. Se il reato c’è stato, la preside
sarebbe dovuta andare a denunciare gli studen-
ti che hanno occupato (in quanto studenti, e
non rappresentanti) per “interruzione di pub-
blico servizio” (art. 340 c.p) e avrebbe dovuto
attendere la decisione del giudice. Ma se la
preside non ha denunciato, bisogna supporre
che il reato non ci sia stato: cosa giustifica al-
lora parole e sanzioni così violente? Secondo
la Filippelli, si legge nell’intervista, i rappre-
sentanti “non rappresentano nessuno”. Direi
che, però, questa considerazione dovrebbe
spettare non al preside, ma a coloro che hanno
scelto di essere rappresentati da quei compa-
gni, e che li hanno democraticamente eletti. La
democratica Filippelli ha imposto però ai rap-
presentanti di dimettersi. Ma il dirigente di isti-
tuto ha facoltà di destituire la componente stu-
dentesca? Forse no, se la preside ha deciso non
di destituirli ma di obbligarli a dimettersi e a
non ricandidarsi. A questo punto, portando
all’estremo la questione, sorge una domanda:
siamo sicuri che la professoressa Armida Filip-
pelli non sia a rischio per due reati, ossia
“omessa denuncia da parte di pubblico ufficia-
le” (art. 361 c.p) e “minaccia” (art.612 c.p.), in
quanto in un primo momento non ha denuncia-
to coloro che era convinta stessero commetten-
do un reato, e in un secondo momento li ha
“minacciati di un ingiusto danno” (ingiusto,
poiché né nel regolamento di istituto, né in
nessun documento è sancito che il preside
9
possa destituire, o obbligare alle dimissioni,
i rappresentanti degli studenti)? Tutto questo
è forse un paradosso, che però fa di certo
intendere quanto sia al limite del giusto –
oltre che della responsabile funzione demo-
cratica - la posizione della dirigente del Ga-
liani. Il fatto che l’accaduto sia passato sotto
silenzio fa capire che questo non è un evento
a sé, ma è espressione di una diffusa volontà
che mira a eliminare l’attività critica degli
studenti e dei professori. Non bisogna infatti
dimenticare la violenta campagna stampa
contro le occupazioni che abbiamo letto su
quasi tutti i giornali e il fatto ad esempio che
l’assemblea dei presidi durante la quale si è
deciso di “colpire i collettivi” è stata svolta a
Napoli nella sede del maggior partito di go-
verno, governo autore del progetto “La buo-
na scuola” già discusso su queste pagine
(vedi l’intervista alla prof. Raiola nel nume-
ro precedente) e impegnato ora in una rifor-
ma della pubblica amministrazione dove
all’ordine del giorno è l ‘estensione anche al
comparto pubblico delle norme che rendono
possibili i licenziamenti. Questo significa
che anche i professori che manifestano pare-
ri e opinioni diversi da quelli che il sistema
chiede potranno essere facilmente intimiditi
grazie all’arma del licenziamento?
Lorenzo Pica Ciamarra IVA
Dopo la vittoria di “Syriza” in Grecia, e in at-
tesa delle elezioni in Spagna per le quali si pre-
vede una forte affermazione di “Podemos”, nel
resto d’Europa la sinistra radicale tenta di spe-
rimentare nuove forme di lotta e di opposizio-
ne alle politiche di austerità imposte dalla
Troika. L’intervista che segue offre un panora-
ma della situazione portoghese.
Qual è la situazione politica attuale in Porto-
gallo?
Il Portogallo attraversa una profondissima crisi
economica senza precedenti.
La crisi economica che flagella il Portogallo è
la crisi del modello politico.
La crisi dell’economia è anche la crisi della
politica, la crisi politica è anche la crisi della
democrazia. Il dibattito su questa crisi e le ri-
sposte che sono necessarie per affrontarlo sono
egemonicamente situate in un campo ideologi-
co abbastanza attaccato dalla produzione di un
inevitabile discorso relativo all’austerità, il
quale alcune volte tende a dimenticare e/o a
relegare in un secondo piano gli altri possibili
strumenti di analisi, capaci di influenzare il di-
battito politico relativo alle varie facce e alle
varie conseguenze di questa crisi. Tenta di fare
questo la sinistra portoghese, dalla social-
democrazia alla sinistra radicale, passando per
i sindacati e per i movimenti sociali. Essa però
si trova in difficoltà, non è abbastanza forte per
imporre un contro-movimento pronto ad aprire
un nuovo discorso sulla situazione di crisi e
sulle risposte politiche necessarie. Il tacito la-
scito della social-democrazia alle politiche di
austerità, l’incapacità della sinistra radicale nel
porre alternative credibili, la liturgia dei movi-
menti sociali tradizionali, portano ad una diffi-
cile riconfigurazione dello spazio politico di
sinistra.
Austerità in Portogallo: cause ed
effetti
10
Per questo la sinistra in Portogallo è fram-
mentata.
Cos’è e come nasce il “Bloco De Esquer-
da”?
Il “Bloco De Esquerda” nasce nel 1999, por-
tando in parlamento la prima volta che par-
tecipò alle elezioni due deputati. Nel 2009,
arriva ad essere la terza forza politica del
Portogallo con il 16% dei voti. Nel 2011 do-
po aver perso metà dei suoi parlamentari, ha
avuto un crollo improvviso. Attualmente, il
“Bloco” ha 8 deputati nel parlamento nazio-
nale e centinaia nelle municipalità.
Quale rapporto ha il “Bloco De Esquerda”
con partiti europei come “Syriza” e
“Podemos”?
Il “Bloco” mantiene una stretta relazione
con “Syriza”. Dal 2009 le relazioni tra il
“Bloco” e “Syriza” avvengono attraverso
scambi istituzionali e rispettivi scambi di
esperienze e collaborazioni.
Il “Bloco” è stesso gruppo parlamentare eu-
ropeo di “Syriza” e organizza varie iniziati-
ve con la partecipazione delle rispettive diri-
genze. Il “Bloco” partecipa in varie iniziati-
ve organizzate da “Syriza” e viceversa. La
relazione con “Podemos” è simile a quella
con “Syriza”, con lo stesso orientamento
strategico nella costruzione di convergenze
programmate a livello europeo, come faccia-
mo con i “Rosso-Verdi” danesi, Il “Die
Link” tedesco, e con il “Front Gaùche” fran-
cese.
Intervista a Mamadou Ba – Bloco De
Esquerda Lisbona.
Nicola Dieng IVE
Odio mosso da amore
“ma tu fai la cosa giusta
te l'ha detto quel calore
che ti brucia in petto è
odio mosso da amore
da amore guagliò”
Dalla canzone “Curre
curre guagliò” dei 99
Posse ho avuto l’idea
per il mio secondo arti-
colo su questo giornalino d’istituto. Non sono
un frequentatore assiduo di centri sociali e ma-
nifestazioni di protesta organizzate periodica-
mente (in maniera più frequente nell’autunno
caldo) né credo di avere una coscienza politica
alquanto affermata, ma l’idea di cambiamento,
in qualsiasi modo questo possa essere attuato,
a partire dal dialogo, mi riguarda e mi coinvol-
ge in particolare se riferito al sistema scolasti-
co e all’istruzione che negli ultimi anni è ber-
saglio prediletto degli organi di potere decisio-
nale.
Sono sempre più convinto, perché a poco a po-
co sempre più vicino alla realtà dei collettivi,
dell’importanza dello scendere in piazza in pri-
mis, del creare aggregazione e scambio di idee
e nell’interrogarsi individualmente nell’intento
di prendere una posizione nella realtà concreta
che ci circonda. Manifestare, esclusivamente
in maniera pacifica, è un modo non solo per far
sentire la propria voce, come tutti ormai sap-
piamo, ma anche per opporsi, tentare di contra-
stare, intraprendere una lotta nei confronti di
chi sta in alto e che fa i propri comodi senza
tener conto della nostra esistenza. Questa è una
lotta dettata da odio, che è però un odio co-
struttivo, perché mosso da amore verso se stes-
si e verso l’altro, per il meglio per se stessi e
per l’altro.
Gli studenti che prendono parte ai cortei fanno
leva sulla propria individualità per spalleggiare
11
quella degli altri e creare un gruppo attivo e consapevole, ben diverso dalla massa che si spoglia
dell’individualità dei singoli
lasciandosi governare dall’odio che a quel punto diviene irrazionale.
Non mancano però episodi in cui a prendere il sopravvento è la foga, l’euforia che spinge a
compiere gesti che vanno al di là delle ragioni e degli ideali alla base dei movimenti. Si verifi-
cano drammi dettati da un’incomprensione di fondo tra manifestanti e forze dell’ordine, tra giu-
stizia e potere, tra violenza e, appunto, odio mosso da amore. Drammi che non sono ignorati
affatto, anzi acquistano un valore esemplare non indifferente e di cui viene fata memoria per
arricchire e riempire il pozzo di collettività e intraprendenza di noi giovani socialmente impe-
gnati. Non a caso l’auletta autogestita del Vittorio Emanuele II, chiaro strumento di coesione e
coordinamento interno per gli studenti, è stata chiamata “Carlo Giuliani” in riferimento agli av-
venimenti di Genova 2001 in occasione del G8, quando durante una delle manifestazioni di dis-
senso dei movimenti no-global e di associazioni pacifiste seguita da scontri con le forze dell’or-
dine perse la vita questo ragazzo.
Alessandro Capasso IIIF
ATTUALITA’
Palestina, terra nullius
Ultimamente si sta sentendo molto parlare
di Palestina, della guerra in Palestina, dei
“terroristi” in Palestina. Capire esattamente
cosa stia accadendo non è facile, soprattut-
to perché i mezzi di comunicazione più dif-
fusi, come i telegiornali, non forniscono
informazioni sulle origini del conflitto ma
si limitano a riportare notizie parziali che
danno una visione distorta della realtà. Il
conflitto israelo-palestinese infatti non si
limita all’offensiva Margine Protettivo del
luglio 2014, ma ha radici ben più profonde.
Il 1948 è l’anno della proclamazione dello
Stato d’Israele, stato frutto dell’ideologia
sionista. Il sionismo è un movimento politi-
co nato agli inizi del millenovecento il cui
scopo è l’istituzione di uno stato di soli
ebrei.
Un ramo del sionismo, detto “territorialismo”,
voleva anche un luogo fisico per raccogliere
tutti gli ebrei del mondo, una patria. E quale
luogo migliore della Palestina, la “Terra pro-
messa”, la regione che, secondo la Bibbia, fu
promessa da Dio ai discendenti di Abramo,
gli ebrei? D’altronde i sionisti sostenevano
che la Palestina fosse “una terra senza popolo
per un popolo senza terra”, una terra nullius.
In realtà, la Palestina non era un deserto: il
popolo c’era. Era formato per la maggior par-
te da arabi musulmani, ma anche ebrei e cri-
stiani. L’idea di base per la fondazione del
nuovo stato, quindi, era la negazione dell’esi-
stenza del popolo palestinese. Il 1948 è allora
anche l’anno della Nakba, “la catastrofe”: la
cacciata di oltre settecentomila palestinesi
dalla loro terra, con annessa distruzione delle
12
loro case; chi riusciva a fuggire diventava
profugo, chi non riusciva o chi si ribellava
veniva ucciso. Sulle rovine dei villaggi fu-
rono costruiti insediamenti coloniali per gli
ebrei che sarebbero dovuti andare ad abita-
re quelle terre. Gli accordi internazionali
prevedevano la creazione dello Stato d’I-
sraele sul 55 per cento del territorio palesti-
nese, eppure Israele occupò ben più del 55
per cento. Ma la comunità internazionale,
pur a conoscenza di questa pulizia etnica,
non si oppose minimamente al volere di
Israele a causa dell’ancora caldo tema
dell’antisemitismo e dell’Olocausto.
Il peccato originale dello Stato d’Israele è
dunque quello di essersi insediato in un ter-
ritorio già abitato cacciando i nativi, con un
atteggiamento fin troppo simile a quello
delle colonizzazioni passate che oggi tanto
condanniamo, senza contare la sua ideolo-
gia nazista di pretendere uno stato di un’u-
nica etnia. Ma ancora oggi sono molti gli
stati che finanziano le guerre d’Israele e
nascondono i suoi crimini, soffermandosi
solo sulle reazioni del popolo palestinese.
Reazioni violente - d’altra parte è abbastan-
za difficile rispondere con fiorellini e gesti
di affetto a chi ti distrugge casa - che trop-
po spesso non vengono contestualizzate dai
media e appaiono insensate, ma che non
sono assolutamente paragonabili alla vio-
lenza con cui Israele continua ad occupare
e colonizzare territori con armi di una po-
tenza ben superiore a quelle palestinesi. Fa-
mosa la prima Intifada, in cui i palestinesi
hanno combattuto con semplici pietre lo
sproporzionato esercito israeliano.
Attualmente i territori rimasti palestinesi
sono solo Gerusalemme est, la striscia di
Gaza e la Cisgiordania, ma anch’essi sono
soggetti alle repressioni di Israele. Da dopo
l’ultima offensiva, Margine Protettivo, in
cui hanno perso la vita oltre duemila palestinesi
fra cui almeno cinquecento bambini e settanta-
due israeliani, sembra si stia muovendo qualco-
sa nella comunità internazionale: alcuni paesi
hanno riconosciuto l’esistenza dello stato pale-
stinese e hanno condannato le azioni di Israele.
Ma sono comunque ancora pochi gli stati che
appoggiano la causa palestinese. Il 31 dicembre
la risoluzione proposta all’ONU dal presidente
della Giordania, che prevedeva il ritiro dell’e-
sercito israeliano dai territori occupati entro il
2017 e un accordo di pace entro dodici mesi, è
stata bocciata con i due voti contrari di Stati
Uniti e Australia e cinque astensioni.
Mentre la comunità internazionale si prende
tempo e cerca di non infastidire troppo gli inte-
ressi di Israele, la vita nei territori palestinesi
continua, e non è facile. In occasione della sua
mostra fotografica presso il laboratorio occupa-
to SKA, ho potuto fare alcune domande a Rosa
Schiano, attivista dell’International Solidarity
Movement, per comprendere meglio le condi-
zioni di vita del popolo palestinese.
Qual è la situazione attuale nei territori palesti-
nesi? Dopo la fine dell’operazione Margine
Protettivo sono comunque tanti gli abusi israe-
liani nei territori occupati, e tante iniziano a es-
sere anche le ribellioni palestinesi. Potrebbe
essere l’inizio della terza Intifada?
La situazione è molto peggiorata dopo l’ultima
offensiva, Margine Protettivo. Interi quartieri di
Gaza sono stati sventrati, alcuni villaggi non
esistono più. A causa dell’assedio il materiale
da costruzione non può entrare, quindi la rico-
struzione non riesce a partire e ci sono ancora
almeno ventimila sfollati raccolti nelle diverse
scuole della striscia o nelle case delle famiglie
che li accolgono. Per la prima volta si sta veri-
ficando il fenomeno dell’immigrazione: centi-
naia di palestinesi sono scappati attraverso i
pochi tunnel che ancora esistono tra Gaza e
Israele oppure imbarcandosi. Un barcone con
13
cinquecento palestinesi a bordo che cerca-
vano di raggiungere la Sicilia è affondato,e
in quell’occasione ho perso anche delle
persone che conoscevo. Il popolo palestine-
se è da sempre un popolo resistente e deter-
minato, il fatto che abbiano preso la deci-
sione di affrontare un pericolo per fuggire
mostra il livello di esasperazione a cui sono
giunti. La parte orientale di Gerusalemme,
che è quella riconosciuta internazionalmen-
te come palestinese, è costantemente sotto
attacco da parte dei coloni israeliani; questa
è una chiara violazione del diritto interna-
zionale. Ultimamente si stanno verificando
aggressioni su cittadini o soldati israeliani
da parte di singoli palestinesi; sono gesti
estremi che mostrano la sofferenza in cui
vivono queste persone e che vi è una situa-
zione che sta per esplodere. Si parla di ter-
za Intifada, ma è difficile che si realizzi nel
momento che continua a esserci coopera-
zione fra la polizia palestinese e i militari
israeliani. C’è una repressione anche da
parte della polizia palestinese che vuole
evitare lo scoppio di un’Intifada. Tutti
identificano questi gesti di singoli come
Hamas. In realtà qual è il ruolo di Hamas in
questo momento? E quali sono i rapporti
con il governo della Cisgiordania?
Hamas è un movimento islamico, un parti-
to, così come esistono le altre organizza-
zione come Fatah e il fronte popolare della
liberazione della Palestina. I media fanno
questo gioco qui: attribuiscono le aggres-
sioni ad Hamas, ma forniscono una situa-
zione distorta di quella che è la reale situa-
zione. Ad esempio l’attentato nella sinago-
ga a Gerusalemme è stato realizzato non
da Hamas ma da due ragazzi del fronte.
Prima dello scoppio dell’ultima offensiva
si era raggiunto un accordo di unità nazio-
nale con il governo della Cisgiordania,
Fatah. Da dopo il rapimento dei due israeliani,
poi ritrovati morti, tutto è crollato. Ci sarebbero
dovute essere anche le elezioni palestinesi ma
pare che tutto avvenga affinché non ci siano né
queste né nessun processo democratico che
porti a un nuovo governo palestinese.
Perché la maggior parte dei paesi del mondo
rimane indifferente alle azioni criminose di
Israele?
Perché ci sono degli interessi economici troppo
forti. Ci sono accordi di cooperazione militare,
culturale, scientifica tra Israele e molti paesi
occidentali tra cui anche l’Italia. Gli interessi
economici sono più importanti delle vite uma-
ne.
Secondo il tuo punto di vista, quale può essere
la soluzione del conflitto?
Si parla tanto della soluzione dei due stati ma
attualmente questa soluzione non è possibile. Io
penso che l’unica soluzione di uno stato demo-
cratico in cui convivano tutti, arabi, ebrei, cri-
stiani come era all’inizio. Un unico stato demo-
cratico in cui vivere tutti in pace.
Virginia Papaleo VB
14
Attiviste siriane
Sembrava che questo 2015 fosse iniziato
nel peggiore dei modi per il nostro Paese,
che ha dovuto affrontare le terribili perdite
subite in seguito al naufragio del Norman
Atlantic ed assistere inerte alla richiesta
d’aiuto delle giovanissime Greta Ramelli e
Vanessa Marzullo, studentesse lombarde
che avevano deciso di prender parte al pro-
getto “Horryaty”, al fine di portare aiuto,
insieme ad altri organi di volontariato, in
Siria, terra martoriata dalla guerra.
Ma quella che avrebbe dovuto rappresenta-
re una “missione di pace” si è trasformata
in un incubo per le due ragazze, le quali
sono state rapite e tenute prigioniere per
circa cinque mesi, usate come merce di
scambio dal fronte Al Nusra, alleato di Al
Quaida, uno dei maggiori esponenti terrori-
stici del Medio-oriente.
Ricordiamo ancora i loro volti distrutti dal
terrore e dalla paura, avvolti da uno chador
nero, che imploravano aiuto al proprio Pae-
se nell’ultimo atto di un 2014 da dimenti-
care, dichiarando di essere in pericolo e
suscitando l’apprensione delle famiglie e di
tutti gli italiani. E chi avrebbe mai pensato
che, a distanza di così poco tempo, mentre
la Farnesina, ancora impegnata sul fronte
Marò in India, era occupata a risolvere
“l’ennesimo problema causato dai musul-
mani”, la Francia avrebbe dovuto affronta-
re quel nemico che porta il nome di TER-
RORISMO, un tornado devastante che in
poche ore ha spazzato via secoli di lotte per
i diritti inalienabili dell’uomo ed ha lette-
ralmente lacerato i principi fondamentali su
cui è fondata la maggior parte delle Costi-
tuzioni europee. Le prime pagine delle te-
state giornalistiche occidentali si è dedica-
ta, mostrando tutto il suo patriottismo, allo
scempio che si è consumato in quel
terribile 7 gennaio a Parigi e che ha riversato i
suoi effetti malefici su tutto il mondo, e nel
frattempo Al Nusra, in virtù della sua massima
riservatezza, ha concesso alle giovani attiviste
la libertà, con tanto di tweet su Al Jazeera.
Non è mancata la telefonata del Presidente del
Consiglio, il quale, dopo aver-erroneamente-
elogiato l’Italia per lo STRAORDINARIO la-
voro compiuto nel Mediterraneo-e aggiungerei
soprattutto tempestivo, dato che, effettivamen-
te, sarebbe potuta andar peggio, ma coi tempi
che corrono meglio vedere il bicchiere mezzo
pieno, anche se l’acqua è salata-ha voluto co-
municare alle famiglie Marzullo e Ramelli che
le loro figlie sarebbero tornate a casa sane e
salve, sottolineando il fatto che il nostro Paese
avrebbe superato l’accaduto con l’integrità che
lo caratterizza, senza sborsare neanche un sol-
do. Ma le convinzioni del nostro Premier e del-
la maggior parte del popolo italiano sono state
sgretolate da un articolo pubblicato sul giornale
“Il Fatto Quotidiano”, in cui sono state rese
pubbliche alcune intercettazioni che testimonia-
no l’esistenza di profondi legami tra le due cro-
cerossine italiane e alcuni gruppi molto vicini
ai jihadisti siriani.
Dalle stesse intercettazioni risulta che il nostro
Paese, ormai abituato a sotterrare i soldi dei
contribuenti in un esteso “orto dei miracoli”,
abbia versato circa 10 milioni di euro per libe-
rare le ragazze, le quali sono state elogiate co-
me eroine nazionali e dopo poche ore, in segui-
to alle indagini del ROS, accusate senza pudo-
re.
Alcuni hanno avanzato anche l’ipotesi truffa,
ritenendo una sceneggiata i cinque mesi di pri-
gionia affrontati dalle lombarde, una scusa per
spillare altri quattrini ad un Paese che già navi-
ga nell’oro.
Insomma, i motivi che hanno spinto due stu-
dentesse poco più che ventenni ad intraprende-
re una tale missione ci saranno per sempre
15
oscuri, come del resto le cause che spingo-
no-nonostante tutto-alcuni ragazzi italiani
ad entrare a far parte dell’ISIS et simila,
tuttavia risulta evidente dagli ultimi accadi-
menti l’incommensurabile debolezza del
nostro Stato, un’insignificante pedina nelle
mani del fato, disposta a versare
“mazzette” sottobanco pur di salvare l’ono-
re, o almeno quel poco che ne resta.
E ora inizia a diffondersi il terrore di un
nuovo attacco, in seguito anche alle dichia-
razioni dell’ISIS, che afferma
“Conquisteremo la vostra Roma, faremo a
pezzi le vostre croci, ridurremo in schiavitù
le vostre donne”
riferendosi-secondo alcuni- all’intero Occi-
dente cristiano.
Non sono mancate polemiche sull’attentato
del 7 gennaio né tantomeno sulla liberazio-
ne delle attiviste italiane, polemiche non
del tutto infondate, che hanno fatto luce sul
possibile trionfo dei partiti di estrema de-
stra in seguito ad un evento simile. Purtrop-
po non possiamo stabilire se si verifiche-
ranno altri attentati o meno, altri rapimenti-
pseudo missioni di volontariato, ma non
c’è di che preoccuparsi: l’Italia sarà sempre
pronta a fronteggiare qualsiasi tipo di situa-
zione…..COI NOSTRI SOLDI!
Raffaella Granata IF
Il virtuale che distrugge il sociale
“Questi media che chiamiamo social sono tut-
to fuorché sociali, quando accendiamo il com-
puter e chiudiamo la porta. Comunità, solida-
rietà, spirito di gruppo... Ma quando ti allontani
da questa illusione, ti svegli e vedi un mondo di
confusione. Un mondo in cui siamo schiavi del-
la tecnologia che abbiamo creato. Un mondo di
interessi personali, selfie, autocelebrazione, di
parole sistemate per far brillare le nostre vite,
in cui tutti condividiamo le nostre parti miglio-
ri, lasciando fuori l’emozione. Editiamo, esage-
riamo, ricerchiamo adulazione, fingiamo di non
notare l’isolamento sociale. Stare soli non è un
problema, leggiamo un libro, dipingiamo, fac-
ciamo esercizi, così saremo produttivi, presenti,
non riservati e reclusi. Siate svegli e attenti,
spendendo bene il vostro tempo. Quando siete
in pubblico e vi sentite soli, mani dietro la testa
e lontani dal telefono! Non fissate il menù o la
lista dei contatti, apritevi all’altro, imparate a
coesistere! Non sopporto il silenzio dei treni di
pendolari, nessuno parla per paura di sembrare
matto. Esplorate i dintorni, approfittate della
giornata, basta solo un incontro per fare la dif-
ferenza e creare il vostro futuro! Questo però
non può accadere, se siete troppo impegnati a
guardare in basso, non vedrete le opportunità
che perdete. Abbiamo una vita limitata, un cer-
to numero di giorni. Non passate la vita intrap-
polati nella rete, i risultati saranno solo rim-
pianti. In questo mondo digitale, in cui ci vedo-
no ma non ci sentono, parliamo digitando, leg-
giamo chattando, passiamo ore insieme senza
guardarci negli occhi. Non arrendetevi a questa
vita, date amore alla gente, non i vostri “mi pia-
ce”, disconnettetevi dal bisogno di essere ascol-
tati e definiti, uscite nel mondo, lasciate a casa
le distrazioni. Non guardate il telefono, spegne-
te il display. Vivete la vita vera…“
Siamo circondati da bambini che fin dalla
16
nascita ci vedono vivere come robot e pen-
sano sia normale. Non sarai il miglior pa-
dre del mondo se non sai intrattenere un
bambino senza un iPad. Smartphone e ta-
blet determinano l’isolamento sociale a
partire già dall’infanzia; ora i parchi sono
silenziosi, è impressionante, non ci sono
bambini, le altalene non dondolano, non si
salta la corda, non si gioca a campana, non
si costruiscono case sugli alberi.
Nove ragazzi su dieci sono connessi gran
parte della giornata e chattano con amici e
conoscenti coltivando le proprie relazioni
sociali dietro lo schermo di un computer o
di un contatto whatsapp. La tecnologia che
avanza permette ormai di guardarsi negli
occhi anche a chilometri e chilometri di di-
stanza, anche se di mezzo vi è l’oceano,
tramite videochiamate con l’uso di una
webcam, ma io sono del parere che il tra-
monto visto insieme dalla spiaggia abbia
un altro sapore e che le parole sussurrate
all’orecchio facciano più rumore di quelle
urlate attraverso un microfono o digitate
sulla qwerty che ormai tutti abbiamo stam-
pata in testa.
Al di là dei danni alla memoria e alla vista
che l’uso spregiudicato di strumenti tecno-
logici può causare, vi sono problemi presi
poco in considerazione e che riguardano la
quotidianità di noi ragazzi che quasi osses-
sionati dal virtuale trasportiamo esperienze
e sentimenti in un mondo che è tutt’altro
che reale. La sola idea di dover rendere
pubblici su blog o pagine Facebook le vi-
cende vissute in quei pochi momenti che
siamo immersi (a forza) nel piano della
realtà in un certo senso sminuisce quanto di
produttivo nasce da tale momenti e che do-
vrebbe riguardare interamente i giorni, le
settimane, gli anni di vita.
Di certo non va sottovalutato quanto la
tecnologia e la rete, consequenziale a questa,
hanno portato di buono, i vantaggi che derivano
indubbiamente dal poter restare in contatto con
persone dall’altra parte del mondo, ma è impor-
tante distinguere chiaramente tale tipo di rela-
zioni dalle relazioni “in carne ed ossa” a pochi
centimetri di distanza, in uno stesso ambiente,
che può davvero evidenziare la propria capacità
di rapportarsi col mondo, con gli altri, capacità
indispensabili ai fini di una vita sociale sana,
concreta e attiva.
Il nostro futuro dipende dalla voglia di uscire e
liberarsi dal virtuale, dalla voglia di rimboccar-
si le maniche e darsi da fare per superare le
proprie paure e i propri limiti, spesso inconsa-
pevoli, nell’incontrare l’altro.
Alessandro Capasso, IIIF
17
L’insulso feticismo del manuale
Lo studio ha oramai perso ogni carattere
critico; è divenuto un pappagalleggiare pe-
dissequamente il “verbo” del libro di testo,
un mero nozionismo privo di cognizione di
causa. Un approccio allo studio, questo,
che non solo è scevro di effettivo valore
formativo ma che sta anche portando alla
“santificazione” del manuale, ossia a una
sterile quanto anticritica e quasi religiosa
subordinazione di chi studia all’autorità di
chi degli Autori è soltanto interprete.
Il “feticismo del manuale” e l’attaccamento
morboso alla “paginetta” assegnata rispon-
dono a una precisa volontà di controllo e
standardizzazione della conoscenza: con-
corrono a sopire l’intuitività, la capacità di
analisi e di critica; a spegnere quella curio-
sitas ulissiaca che ci spingerebbe a varcare
le Colonne d’Ercole del sapere precostitui-
to — a superare, cioè, i limiti conoscitivi
che il “paragrafo” ci impone — nel tentati-
vo di andare al di là del superficiale eruditi-
smo.
A fronte della caleidoscopica polisemicità
dello scibile, il manuale propone un model-
lo di conoscenza limitato e univoco, una
visione interpretativa chiaramente unilate-
rale che spesso viene intesa come indiscuti-
bile dogma da assimilare: “studiare” dal
manuale senza criticità significa compiere
un vuoto esercizio mnemonico, alienante e
infecondo, privo di alcuna valenza nello
sviluppo individuale (se non addirittura
controproducente).
E’ dunque necessario, parafrasando un giu-
dizio di Paolo Rossi, “mettere da parte il
manuale” per “cominciare a lavorare diret-
tamente sulle fonti”, a riflettere sui testi
senza la mediazione dei “fiumi d’inchio-
stro” versati dalla critica; solo in questo
modo, ossia sviluppando uno spirito
critico, unito alle facoltà di comprendere, ana-
lizzare e interpretare autonomamente, possiamo
portare a termine il nostro “folle volo” verso la
“canoscenza” e la maturazione individuale.
Ma oramai — ed è questo il paradosso — la
lettura dei (pochi) riferimenti testuali antologiz-
zati nei manuali scolastici appare sempre più
spesso cosa collaterale e secondaria rispetto al-
lo “studio” dei paragrafi dedicati all’interpreta-
zione critica; qual è il senso? Sarebbe come
pretendere di giudicare la bontà di una frittura
mai assaggiata, di cui si conosce soltanto la de-
scrizione altrui … sarebbe come parlare di aria
fritta. Io, dal canto mio, la frittura l’ho mangia-
ta. E vi posso assicurare che è buonissima.
Raffaele Marrone III E
18
Napoli città aperta?
Napoli. Città di sole,mare,pizza,mandolino
e “ammore”.
Napoli. Città cosmopolita, multicultura-
le ,antirazzista.
Napoli. Napoli. Napoli. Già il suo nome ti
riempie la bocca. Ti riempie la bocca e l’a-
nimo di fierezza e contentezza. Ma può ca-
pitare,spesso, che ti faccia “piglià collera”.
E uno dice “perché?”.
Perché, purtroppo,Napoli non è solo que-
sto. Si nasconde dietro la bella facciata
dell’Erasmusland, della mostra di Andy
Warhol,dei ristoranti cinesi. Si nasconde
per scappare allo spettro dell’omofobia e
alla sempre più presente xenofobia.
Antirazzismo e xenofobia: due parole total-
mente in antitesi. Come è possibile acco-
starle? E’ possibile purtroppo nella società
attuale:si è divisi tra tolleranti e chiusi,due
fazioni (come guelfi e ghibellini) che sono
sempre pronte a farsi guerra,a menare
‘mazzate’.
L’emblema della “lotta” è la sentenza
emessa dalla magistratura napoletana: 10
anni di reclusione per i 3 uomini che, nel
giugno del 2009 a piazza Belli-
ni,circondarono e picchiarono un ragazzo,
incolpato soltanto di
essere gay.
I capi d’accusa sono “motivi futili e abiet-
ti” per sopperire ad una inesistente legge
contro l’omofobia.
“Ma fa nulla,c’arrangiamme l’importante è
che quelli se ne vanno a Poggioreale,poi
alla legge Renzi provvede”-sempre prima o
poi.
Ottobre 2014,un concentramento di poche
decine di persone si riunisce a via Scarlatti
per protestare contro le unioni civili. Il con-
centramento si dichiara apolitico
e aconfessionale.
Il concentramento si identifica nel nome Senti-
nelle in Piedi (dal web poi ribattezzato Femme-
nielli in piedi). Il concentramento è difeso da
uomini in divisa ma è attaccato da gente del
quartiere e dai “delinquenti” dei centri sociali. I
“dissidenti”
attaccano a “male parole” e con il lancio di
palloncini -non propriamente palloncini- e con
qualche uovo. Numerose testate di informazio-
ne virtuale hanno intervistato le sentinelle che
dichiarano molto
limpidamente: “Adamo ed Eva erano un uomo
e una donna”.Beh,viva l’aconfessionalismo. Le
stesse testate poi intervistano la controparte,
l’altro schieramento ideologico,quelli vestiti di
rosso, quelli che sono stati
accusati di non lasciare libertà di espressione e
pensiero a quei poveri venti o trenta bigotti che
lottano per il futuro di tutti i bambini del mon-
do civile. Perché se un bambino non avesse una
mamma e un papà, un maschio e femmina che
gli insegnano come campare, poi crescerebbe
malato, avrebbe una visione distorta della vita e
della società in cui si trova. Perché giustamente
loro si fanno promotori dei diritti dei bambini:
tanto basta mandare 1 euro al mese ai bimbi in
Africa o fare il 5X1000 alla chiesa cattolica af-
finché
ci si possa sentire tutti buoni benefattori.
I ragazzi dei collettivi,la comunità gay della
città,gli uomini e le donne dei comitati sociali
19
si sono dichiarati a toni estremamente forti
per esprimere il proprio dissenso a questa
protesta e hanno riconosciuto dietro le Sen-
tinelle una nuova forza di estrema de-
stra,per l’appunto Forza Nuova (e senza
voler trascendere in amenità e offese gra-
tuite,questi si sono poi dimostrati propria-
mente fascisti).
Novembre 2014, piazza Dante. Domenica
sera. Aggressione fisica a due ragaz-
zi,colpevoli di un bacio. Due punti di sutu-
ra al Pellegrini, denuncia in caserma Pa-
stregno e poi a casa.
Dopo poco più di una settimana il centro
storico si mobilità “pecché mò bbasta”: fla-
shmob per i due ragazzi.
Lo battezzano “kiss me day”: etero e omo-
sessuali sono liberi di baciarsi davanti a te-
lecamere e macchine
fotografiche perché siamo in un mondo li-
bero e tutti esigiamo di vivere LIBERI.
Mara Cavallo IC
Otium et negotium
L’arte della felicità
“Venite qui a confidarmi le cose che sono im-
portanti per voi, a raccontarmi le vostre storie, i
vostri drammi e poi ve ne andate. E allora io
dico: ma chi cazzo siete, anime dannate, fanta-
smi? Mi avete preso per il vostro specchio? Vi
siete chiesti chi cazzo sono io? Ditemi, che me
ne frega a me delle vostre storie se poi ognuno
se ne va per i cazzi suoi?
Vaffanculo. Vaffanculo a quelli che si sfogano
con me e poi di me non gliene frega un cazzo
[…] e poi mi venite a fare discorsi sull’umanità
malata … voi siete l’umanità malata!”.
Doveva sfogarsi, Sergio.
Da troppo tempo porta a spasso nel suo taxi
storie che non sono le sue. Ascolta, dà consigli,
ma soprattutto: ascolt a.
Storie singolari, storie poco conosciute, ma sto-
rie di persone che, alla fine, questa felicità o
perlomeno un barlume di questa felicità l’han-
no trovato. Hanno saputo fare di questa felicità
un’arte, la propria arte.
E Sergio? Che ne ha fatto della sua felicità? E’
sfumata nei clacson assordanti di una Napoli
chiassosa , sporca, sommersa da musica e im-
mondizia, oppure c’è ancora?
La risposta è nei suoi occhi blu come il mare,
occhi profondi, occhi che non mentono, occhi
che nascondono.
Felicità era chiacchierare con zio Luciano,
ascoltare le sue storie, imparare da lui ad addo-
mesticare i ricordi, fantasticare sul segreto per
ottenerla quella felicità e poi sentirsi ripetere da
troppi anni: “… ma se te lo dicessi non sarebbe
un segreto”, quando invece zio Luciano ne
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sapeva quanto lui.
Felicità era suonare con il fratello Alfredo,
era far scivolare quelle dita lungo i tasti del
pianoforte e lasciare i clacson , le parole,
tutto il resto del mondo semplicemente
“fuori”. Era litigare con lui, crescere insie-
me a lui, sbatterci la testa perché in fondo
erano uguali, erano (come si definiranno da
soli) “vasi comunicanti”, legati sia nel bene
che nel male.
E poi la malattia, la scelta di Alfredo di
partire e di passare gli anni che gli restava-
no da vivere lontano, in Tibet, da monaco
buddista, di lasciare la musica e di lasciare
Sergio, per cercare di vivere quel presente
che gli restava. Non temeva la morte, erano
gli altri che la temevano per lui. Alfredo
non pensava “sto per morire”, ma si ripete-
va “sono stato vivo” e questo faceva la dif-
ferenza.
Ma Sergio era troppo arrabbiato. Come un
Danny Boodman T.D. Lemon Novecento si
ostinava a non voler affrontare il mondo e
ad essere “se stesso” solo sulla sua nave,
così Sergio era ancorato a quella gabbia
dorata che era diventato il suo taxi: si era
convinto di non voler camminare più con i
suoi piedi. Era diventato un “involucro”;
conservava gioie, dolori, aspettative e lacri-
me altrui, mentre sotterrava le sue sotto i
sedili, altrove. Ormai era pieno zeppo della
“realtà che non si scostava neanche di un
centimetro dai discorsi della gente, ma so-
prattutto di questi discorsi che non sposta-
vano neanche di un centimetro la realtà” e
che sarebbero stati soltanto altra immondi-
zia da aggiungere ad una città alla deriva.
Era questa l’umanità malata.
Film d’animazione, capolavoro ed esordio
di Alessandro Rak e vincitore degli Euro-
pean Film Awards , “l’arte della felicità” è
una poesia fatta “cartone”, una poesia che
si rispecchia nelle
canzoni, nello scena-
rio, nei personaggi.
Da una cantante tor-
mentata che non tro-
va la sua strada, ad
un “collezionista in-
callito” di cose vec-
chie e buttate che,
stanco del consumi-
smo, ha fatto del ri-
ciclo un’arte, ad
un’anziana donna un
po’ sboccata e con il grande fardello di essere
cresciuta senza affetti fraterni, alla grande per-
sonalità di uno speaker radiofonico enigmatico
e tristemente realista …
Tutti si sono rifugiati in quel taxi un po’ sgan-
gherato. Ma la musica, l’arte, l’amore, la pas-
sione erano” fuori” e questo
Sergio, dopo tante frenate brusche,l’ha capito
perché, citando lo speaker: “.. finché i musicisti
non scendono dal taxi, finché i poeti servono ai
tavoli, finché gli uomini migliori lavorano al
soldo di quelli peggiori... la strada corre dritta
verso l'Apocalisse!". E lui quell’Apocalisse l’a-
veva sfiorata, il taxi era stato la prigione della
sua anima, ma l’anima non può essere rinchiu-
sa. L’infelicità, la morte, colgono all’improvvi-
so. Doveva smetterla di vivere bloccato nel
passato con il rimorso di quello che sarebbe po-
tuto essere e non voler affrontare il futuro per
l’ansia di quello che sarà: Sergio, come
l’umanità, aveva soltanto bisogno di parcheg-
giare, di smettere di girare e di ritrovare la mu-
sica più bella, quella che aveva dentro. “Un
pensiero felice vale come un pensiero triste. La
tristezza te la danno per poco, ma pure la felici-
tà non costa nulla. Allora, tu che scegli?”.
Sara Gemma IIA
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La solitudine dei numeri primi
E' prevalentemente attraverso il romanzo
che il lettore si sente coinvolto e partecipe
di una realtà che spesso coincide con la
propria, o che, quantomeno, si avvicina
molto ad essa; dunque, è attribuibile a que-
sta caratteristica il notevole successo che
tale genere letterario ha riscosso negli anni
e continua a riscuotere: il lettore si imme-
desima nei personaggi e ne vive le vicissi-
tudini, riflettendo su temi ed aspetti di tipo
sociale o psicologico. Ed è sul tema dell'in-
comunicabiltà che si sofferma Paolo Gior-
dano ne "La solitudine dei numeri primi",
partendo dal piano dell'intimità e quindi
attraverso l'introspezione psicologica, per
poi arrivare ad analizzarne, seppur implici-
tamente, le cause e le conseguenze a livel-
lo sociale. I due protagonisti, un uomo e
una donna, ripercorrono le varie tappe della
loro vita, dall'infanzia all'età adulta, pas-
sando per un'adolescenza travagliata che li
plasma e segna fortemente e ne condiziona
le scelte di vita. Lui, un matematico prigio-
niero di un dogmatismo "rischioso", che lo
porta, addirittura, ad attribuire alle proprie
vicende personali proprietà e fenomeni ma-
tematici - basti pensare al titolo del roman-
zo - e lei, ancora in cerca di se stessa e del-
le proprie capacità; dunque, da una parte la
certezza scientifica ed un'apparente irremo-
vibilità d'animo, dall'altra l'evidente insicu-
rezza di una giovane donna che ancora non
ha trovato il proprio posto nella società.
Seppure tanto diversi, i due, conosciutisi in
giovanissima età, paiono legati da un senti-
mento forte che, tuttavia, non riesce mai ad
unirli veramente.
Proprio come numeri primi, non riescono
mai a toccarsi, sempre vicini eppure inter-
vallati da altri numeri: le circostanze mosse
dal fato, le esigenze lavorative e le scelte
personali li vedono
avvicinarsi ed allon-
tanarsi in continua-
zione, originando un
gioco di passioni e
tormenti che pare
non concludersi
nemmeno alla fine
del romanzo, crean-
do nel lettore un
senso di indetermi-
natezza ed incom-
piutezza. L'impossi-
bile, o quantomeno ostacolata, comunicazione
fra i due protagonisti è stata percepita dalla cri-
tica come lo specchio di una società che va
sempre troppo di fretta e non si preoccupa più
della vera comunicazione fatta di rapporti ge-
nuini: dunque, in una realtà, quella contempo-
ranea, in cui gli sviluppati mezzi di comunica-
zione continuano a migliorare la vita di ogni
giorno, ci si chiede se tale condizione di giova-
mento non sia, in realtà, un'arma a doppio ta-
glio che vede l'emergere di una comunicazione
sempre più frammentaria, scordinata ed incom-
pleta, deleteria nei confronti di un sistema di
rapporti più concreto e tradizionale.
Il romanzo, che ha determinato il successo del
giovane scrittore Paolo Giordano, si pone, dun-
que, come l'interpretazione e l'analisi di un
aspetto caratterizzante della realtà odierna, vi-
sto attraverso le sensazioni, le emozioni ed i
sentimenti di due giovani in cui è facile imme-
desimarsi e con cui il lettore crea subito un for-
te legame; romanzo, quindi, che senz'altro spie-
ga il crescente consenso da parte del pubblico
nei confronti di tale genere letterario, un pub-
blico che ha voglia di scoprire e di scoprirsi,
che esige situazioni ed immagini reali, corri-
spondenti alla realtà che ci circonda e che fa di
noi proprio ciò che siamo.
Sara Rosa Napolitano III B
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Le perle di Guttalax
Durante una spiegazione di matematica:
Prof: “non so più in che lingua devo spiegarvi queste cose… in Turchese per caso?!”
Un prof. parlando con un alunno:
Prof: “ecco: ti riporto l’esempio di un altro mio alunno che, non per fare nomi, ma si
chiama Simone come te.”
Una prof. rimprovera l’alunno:
Prof: “tu crei campi di ignorantità!”
Un prof. si rivolge alla classe:
Prof: “ragazzi in questa classe mi sento impotente…”
Durante un rimprovero alla classe:
Prof: “io qui non sto ad insegnarvi la leggenda di Romolo e Remolo!”
Durante l’ora di educazione fisica:
Prof: “sollevate la coscia, che si chiama davvero coscia e non è un termine napoleta-
no!”
NOTA DELLA GRAFICA:
Il numero è stato preparato dai grafici della redazione dell’Urlo in un tempo record di
quattro ore. Ci scusiamo pertanto per l’eventuale presenza di errori di impaginazione o
per una non gradevolezza all’occhio. Faremo di certo di meglio per il prossimo numero
Alessandra Centore
Lorenzo Pica Ciamarra
Claudia Sarracino