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Dispersione scolastica e disoccupazione giovanile (Contenuta nel Rapporto Caritas 2013)

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Un problema con tante sfaccettature La dispersione scolastica è un problema con tante sfaccettature e come tale è spesso invocato come la causa di tutti i mali, non ultimo quello della disoccupazione giovanile. La complessità del fenomeno si riflette inevitabilmente nei diverse modi di misurarlo e ogni tentativo di ridurne la complessità determina le difficoltà interpretative di cui tratteremo in questo capitolo.

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Dispersione scolastica e disoccupazione giovanile*

Un problema con tante sfaccettature La dispersione scolastica è un problema con tante sfaccettature e come tale è spesso invocato come la causa di tutti i mali, non ultimo quello della disoccupazione giovanile. La complessità del fenomeno si riflette inevitabilmente nei diverse modi di misurarlo e ogni tentativo di ridurne la complessità determina le difficoltà interpretative di cui tratteremo in questo capitolo. Nel primo paragrafo tentiamo di riassumere tale complessità, nel secondo e terzo paragrafo si presentano i temi della dispersione e della disoccupazione giovanile nelle loro dimensioni temporali e spaziali (tra regioni d’Italia) e infine nel quarto paragrafo si propone un’interpretazione della possibile relazione tra i due fenomeni.

1. La dispersione scolastica e le sue determinanti. Vi sono almeno due modi per avvicinarsi al tema della dispersione scolastica in maniera analitica1. Il primo affronta il tema nell’ambito del ciclo scolastico, considera cioè variabili interpretabili come segnali di un possibile futuro abbandono degli studi (come ad esempio il numero di ripetenti, i ritardi accumulati nei vari anni di corso e i cambi di indirizzo scolastico) e si basa essenzialmente su informazioni amministrative di fonte ministeriale. Il secondo utilizza invece una chiave di lettura europea basata sull’indicatore degli early school leavers (ESL: quota di ragazzi tra i 18 e 24 anni in possesso della sola licenza media e non aventi completato un corso di formazione almeno biennale), costruito in Italia utilizzando l’indagine Continua sulle Forze di Lavoro. In questo capitolo si privilegia la seconda definizione anche perché in tal modo si può esplorare, a partire da un base informativa omogenea, la relazione tra dispersione e disoccupazione giovanile.

Un altro acquis delle analisi sulla dispersione scolastica è la natura multidimensionale del problema che si traduce in una molteplicità di cause (scolastiche, extra scolastiche ed individuali), la cui interazione può determinare ritardi nei percorsi scolastici o eventi definitivi, come l’uscita anticipata dal sistema scolastico. Rispetto quindi a un elemento di disagio come la dispersione (altri sono il ritardo, l’insuccesso o la bassa qualità degli esiti), vi sono fattori causali interni al sistema scolastico (come l’inadeguatezza delle strutture, dei docenti o dell’offerta formativa) e fattori di pressione interni al sistema scolastico come la crescita della popolazione scolastica (che determina il sovraffollamento delle aule) o l’elevata presenza di immigrati (che se non gestita adeguatamente potrebbe rallentare il ritmo dell’apprendimento).

Vi sono poi quattro dimensioni, esterne al sistema scolastico, che corrispondono a gruppi di fattori tra di loro omogenei che possono influenzare il percorso degli studenti e precisamente:

1. Dimensione economica che si articola con temi come la povertà, l’occupazione e la disoccupazione;

2. Dimensione familiare declinata come instabilità familiare, basso livello di istruzione dei genitori e carenza di reti sociali;

3. Dimensione del territorio e dei servizi in cui diventa rilevante la crescita della popolazione, la sua dispersione (nei piccoli comuni) e a fronte di tutto ciò la carenza di servizi sociali;

4. Dimensione culturale dove sono importanti il basso livello di istruzione ma soprattutto la contemporaneità di valori sociali contrastanti.

* A cura di Giorgio Garau, Vispo Srl. 1 MIUR – Servizio Statistico (2008), La dispersione scolastica indicatori di base AA 2006/2007 in

http//archivio.pubblica.istruzione.it.

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Nel seguito del capitolo, dopo aver descritto la dinamica dell’indicatore di dispersione e di quello di disoccupazione giovanile, si tenta di indagare su uno dei fattori esterni di natura economica che potrebbe avere un certo rilievo nello spiegare gli alti tassi di dispersione scolastica che caratterizzano la Sardegna negli ultimi anni. Naturalmente la multidimensionalità del fenomeno significa che esperimenti come quello proposto nel quarto paragrafo hanno solo un valore indicativo, perché presuppongono che vi sia una relazione tra i due fenomeni indipendente da altre cause che come sappiamo hanno invece una forte interazione tra di loro. 2. La dispersione scolastica in Sardegna La dispersione scolastica misurata dall’indicatore di ESL è oggi pari al 25,6% contro un valore italiano del 17,6%, abbiamo cioè raggiunto un differenziale negativo rispetto all’Italia di 8 punti percentuali. Nel tempo questa differenza è stata anche maggiore (10,8 punti nel 2005) ma da allora la Sardegna aveva iniziato un percorso virtuoso che in soli due anni l’aveva portata a ridurre il differenziale a soli 2,1 punti, per un tasso complessivo del 21,8%. Da quell’anno in poi, come si può vedere nel grafico, mentre a livello italiano il tasso continuava a decrescere, a livello regionale si accentuava la differenza per cui complessivamente iniziava una risalita del tasso che culmina con il valore osservato nel 2012.

Fonte: RCFL, Media anni 2004 – 2012. Le politiche attuate L’evoluzione della dispersione scolastica in Sardegna dal 2004 al 2012 ha delle similitudini solo con ciò che si osserva in Calabria. Vi è un gruppo consistente di regioni in cui la quota di ESL si è sempre ridotta in questi otto anni, ve ne sono altre in cui invece l’andamento è altalenante ma comunque in diminuzione. In Sardegna e in Calabria invece la quota di ESL è dal 2006 sempre in crescita. Una dinamica simile la si riscontra anche in Liguria, dove però i valori sono notevolmente al di sotto della media nazionale, si parte infatti dal 16,3% nel 2004 per arrivare ad un 17,2% nel 2012.

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Come abbiamo visto in precedenza, è estremamente delicato trovare delle cause singole ad un fenomeno complesso come la dispersione ma sicuramente può avere inciso il fatto di avere interrotto nel 2007 i corsi per il completamento dell’obbligo formativo. Da allora le politiche pubbliche che almeno nominalmente venivano invocate come misure per contrastare il fenomeno della dispersione (e.g. i laboratori scolastici) hanno ottenuto ben pochi risultati. Una ricerca del Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici della RAS giunge sino ad ammettere che la base informativa per valutare gli interventi pubblici è di qualità talmente scarsa che da esse risulta che, dove sono stati fatti degli interventi contro la dispersione, la stessa invece che diminuire è paradossalmente aumentata. Il fatto è che nonostante tale fenomeno abbia avuto come si è visto una dinamica a dir poco preoccupante, niente è stato fatto e a riprova di ciò si può citare il programma ARDISCO, appena lanciato dall’Assessorato al Lavoro della RAS, che dichiara di volere porre rimedio al problema della dispersione scolastica proprio proponendo quella tipologia di corsi (biennali per ottenere una qualifica) che per tanti anni sono stati erogati in maniera ridotta. Un altro problema è invece quello che affronteremo nel paragrafo successivo e cioè come questi corsi, o altre politiche in questo senso, possano effettivamente incidere non solo sulla quota di ESL ma anche sul tasso di disoccupazione giovanile. In altri termini se con tali interventi si riesce a ridurre statisticamente l’indicatore di ESL (poiché dopo due anni saranno aumentati quelli che, pur essendo usciti presto dalla scuola, hanno comunque frequentato un corso di formazione almeno biennale), non è detto che poi tali giovani riescano effettivamente ad entrare nel mercato del lavoro, contribuendo cosi ridurre anche il tasso di disoccupazione giovanile. 3. La disoccupazione giovanile: dinamiche temporali e differenziazioni regionali Per studiare il fenomeno della disoccupazione giovanile da un punto di vista meramente descrittivo è utile analizzare i tassi di crescita del tasso di disoccupazione giovanile sia anno per anno (per vederne l’accelerazione) che sull’intero periodo di riferimento. Tassi di disoccupazione giovanile

Fonte: RCFL, Media anni 2004 – 2012.

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Piemonte 15,8 16,9 15,5 14,3 14,9 24,1 26,6 25,1 31,9 Valle d'Aosta 8,8 9,9 9,4 11,8 12,1 17,5 16,7 22,4 25,7 Liguria 20,5 20,0 16,7 20,7 22,0 18,8 20,3 23,8 30,1 Lombardia 12,7 13,0 12,3 12,9 12,5 18,5 19,8 20,7 26,6 Trentino Alto Adige 7,5 8,6 8,1 6,8 7,1 10,1 10,1 11,5 15,2 Veneto 10,6 12,6 11,8 8,4 10,7 14,4 19,1 19,9 23,7 Friuli-Venezia Giulia 11,9 10,5 11,5 14,5 13,9 18,9 18,0 20,9 30,5 Emilia-Romagna 11,4 10,7 10,7 10,8 11,1 18,3 22,4 21,8 26,4 Toscana 16,0 16,7 15,4 13,7 14,4 17,8 23,1 24,9 28,9 Umbria 15,3 18,5 14,6 12,7 14,4 19,6 21,0 22,8 35,9 Marche 16,5 15,1 11,6 9,3 12,6 22,6 15,5 23,8 28,6 Lazio 27,6 26,5 25,7 24,9 26,2 30,6 31,1 33,7 40,0 Abruzzo 22,8 23,0 21,0 17,2 19,7 24,0 29,5 25,6 33,0 Molise 31,9 31,8 27,9 23,8 28,8 27,1 30,2 28,6 41,9 Campania 37,7 38,8 35,4 32,5 32,4 38,1 41,9 44,4 48,2 Puglia 35,4 35,4 32,2 31,8 31,6 32,6 34,6 37,1 41,5 Basilicata 35,6 36,6 32,0 31,4 34,6 38,3 42,0 39,6 49,5 Calabria 40,5 46,1 35,5 31,6 34,5 31,8 39,0 40,4 53,5 Sicilia 42,9 44,8 39,0 37,2 39,3 38,5 41,3 42,8 51,3 Sardegna 35,5 32,6 31,0 32,5 36,8 44,7 38,8 42,4 47,3 Italia 23,5 24,0 21,6 20,3 21,3 25,4 27,8 29,1 35,3

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Iniziamo da quest’ultimo valore, riportato nell’ultima colonna della tabella che segue. Come si può vedere la Sardegna sperimenta una dinamica ben inferiore a quella italiana e a molte regioni del nord e sostanzialmente simile a diverse regioni del Mezzogiorno. Si passa da un valore de tasso del 35,5% nel 2004 ad uno del 47,3% nel 2012, che, seppur molto alto, in termini di tasso di variazione è pari al 33% in più del valore del 2004. In alcune regioni del Nord tale variazione assume valori notevolmente superiori come in Valle d’Aosta (aumento del 191,2%), in Piemonte (+ 101,2%) o in Lombardia (+ 108,9%) a testimonianza del fatto che seppur in tali regioni si partisse da valori iniziali dell’indicatore inferiori, la dinamica di questo segmento del Mercato del Lavoro è ovunque preoccupante. Tra le cause di tale accelerazione che, in certe regioni, tra il 2011 e il 2012 raggiunge punte del 27% (Piemonte Liguria e Lombardia), ma anche del 32% in Trentino o del 45% in Friuli, vi è sicuramente l’accentuazione dei fenomeni di crisi economica e la correlata impossibilità per intere generazioni di entrare nel mercato del lavoro.

In Sardegna il fenomeno, pur nella sua gravità, sperimenta l’accelerazione minore tra le regioni italiane, il tasso aumenta infatti tra il 2011 e il 2012 dell’11,5%. Quello che però interessa indagare nel quarto ed ultimo paragrafo di questo capitolo è se ci sia una seppur debole relazione tra dispersione e disoccupazione giovanile, se cioè la precoce interruzione del percorso formativo e la totale assenza di qualifica lavorativa possa avere un influenza sui tassi di disoccupazione giovanile. dinamica dei tassi di disoccupazione giovanile 05/04 06/05 07/06 08/07 09/08 10/09 11/10 12/11 12/04 Piemonte 1,065 0,919 0,924 1,041 1,619 1,100 0,944 1,271 2,012 Valle d'Aosta 1,124 0,948 1,256 1,021 1,455 0,955 1,339 1,147 2,913 Liguria 0,976 0,835 1,244 1,062 0,852 1,082 1,172 1,265 1,471 Lombardia 1,021 0,943 1,048 0,970 1,486 1,067 1,049 1,283 2,089 Trentino Alto Adige 1,143 0,942 0,846 1,031 1,424 1,002 1,142 1,321 2,019

Veneto 1,185 0,939 0,715 1,263 1,352 1,323 1,042 1,193 2,237 Friuli-Venezia Giulia 0,883 1,098 1,257 0,957 1,359 0,955 1,160 1,457 2,558 Emilia-Romagna 0,937 1,009 1,009 1,020 1,656 1,224 0,974 1,210 2,324 Toscana 1,044 0,918 0,893 1,049 1,235 1,301 1,076 1,163 1,803 Umbria 1,209 0,791 0,871 1,130 1,361 1,071 1,088 1,575 2,350 Marche 0,916 0,770 0,799 1,352 1,802 0,687 1,529 1,204 1,735 Lazio 0,961 0,972 0,967 1,054 1,166 1,018 1,084 1,184 1,450 Abruzzo 1,009 0,911 0,822 1,142 1,220 1,227 0,867 1,292 1,447 Molise 0,997 0,878 0,850 1,212 0,941 1,112 0,950 1,462 1,312 Campania 1,031 0,911 0,918 0,998 1,175 1,101 1,059 1,086 1,280 Puglia 1,000 0,909 0,990 0,991 1,032 1,061 1,073 1,119 1,172 Basilicata 1,029 0,873 0,983 1,103 1,105 1,098 0,942 1,251 1,392 Calabria 1,137 0,770 0,890 1,093 0,922 1,226 1,036 1,324 1,321 Sicilia 1,043 0,871 0,953 1,059 0,978 1,074 1,036 1,198 1,195 Sardegna 0,920 0,951 1,049 1,130 1,215 0,867 1,094 1,115 1,334 Italia 1,019 0,902 0,939 1,047 1,197 1,094 1,045 1,212 1,500

Fonte: nostra elaborazione su dati RCFL, Media anni 2004 – 2012. 4. La relazione tra dispersione scolastica e disoccupazione giovanile Come è stato già detto in precedenza la dispersione scolastica è un fenomeno di natura multidimensionale con tante cause tra di loro interagenti e i fattori di natura economica non sono che uno dei tanti di cui in questo paragrafo si tenta di indagare l’importanza. In una recente ricerca valutativa coordinata dal sottoscritto in seno al Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici della RAS è stata condotta una sperimentazione sull’uso dei dati amministrativi al fine di

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monitorare le dinamiche del Mercato del lavoro con particolare riferimento alla probabilità dei lavoratori di restare in situazione di disoccupazione. Uno dei risultati di rilievo di tale studio è stato la possibilità di differenziare tali probabilità in funzione delle caratteristiche dei lavoratori. La categoria maggiormente a rischio di restare fuori dal Mercato del lavoro è risultata essere quella dei giovani, con basso livello di istruzione e senza precedenti esperienze lavorative. E’ evidente quindi che, anche alla luce di tali risultati, si possa ragionevolmente ritenere che una precoce interruzione degli studi, non compensata dall’inserimento in percorsi professionalizzanti (formazione professionale e apprendistato), possa essere messa in relazione col rischio di rimanere fuori dal Mercato del lavoro, cioè disoccupati.

Di seguito proponiamo un’analisi della correlazione tra indicatore di ESL (riferito ai giovani con età compresa tra 18 e 24 anni) e tasso di disoccupazione giovanile tenendo però presente che, nonostante entrambe le misure provengano dalla RCFL dell’ISTAT, le fasce d’età considerate non sono le stesse. Per verificare la sensitività delle nostre considerazioni i coefficienti di correlazione sono stati calcolati sia con riferimento ad un tasso di disoccupazione giovanile riferito alla fascia d’età 15-24 che utilizzando un tasso di disoccupazione giovanile riferito alla fascia d’età 18-29, concludendo per una sostanziale stabilità delle relazioni.

Se consideriamo la correlazione tra regioni nei diversi anni disponibili osserviamo sostanzialmente un andamento altalenante con una forte caduta del legame nel 2012. E’ chiaro che se si indebolisce tale relazione ciò significa che vi sono altre cause che invece prendono spazio, quelle appartenenti alle quattro dimensioni riportate nel paragrafo 1.

Correlazione spaziale (tra regioni) per anno 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

15-24 0,48 0,44 0,50 0,51 0,39 0,41 0,43 0,60 0,33 18-29 0,51 0,48 0,51 0,51 0,41 0,43 0,47 0,57 0,36

Fonte: nostra elaborazione su dati RCFL, Media anni 2004 – 2012. L’analisi della relazione tra le regioni permette innanzitutto di osservare che la correlazione è quasi ovunque (tranne che in Liguria, Veneto, Toscana e Lazio) di segno inverso e cioè che all’aumentare della dispersione scolastica si riduce il tasso disoccupazione giovanile e viceversa. Una possibile interpretazione di questa evidenza permette di descrivere un quadro relativamente positivo in cui all’interruzione della carriera scolastica (alto indicatore di ESL) corrisponde una entrata nel mercato del lavoro (basso tasso di disoccupazione). Tra le regioni si può poi ulteriormente distinguere tra quelle in cui questo legame è debole (indicatore di correlazione inferiore al -0,40) tra cui troviamo diverse regioni del Sud compresa la Sardegna, quelle in cui la correlazione assume valori compresi tra –0,40 e -0,70 (regioni del Nord) ed infine regioni in cui la correlazione è superiore al -0,70 (Lombardia, Emilia, Abruzzo, Molise e Campania).

Se si volesse provare ad interpretare la situazione della Sardegna alla luce di queste evidenze si potrebbe affermare che il valore basso di correlazione negativa testimonia un legame debole tra le due misure che lascia ampio spazio a spiegazioni alternative. In Sardegna e nelle altre regioni del Sud in cui vi è bassa correlazione negativa sono chiaramente rilevanti altre cause. In altri termini è verosimile che se si riuscisse a controllare la relazione tenendo conto dei livelli di istruzione delle famiglie, cosi come delle carenze nei servizi sociali o del tessuto imprenditoriale, si perverrebbe a relazioni più forti, col giusto segno (positivo), come nel caso di Liguria, Veneto, Toscana e Lazio.

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Correlazione temporale (nel tempo) per regione. t. di disoc. 15-24 t. di disoc. 18-29 Piemonte -0,58 -0,61 Valle d'Aosta -0,35 -0,44 Liguria 0,24 0,38 Lombardia -0,75 -0,72 Trentino Alto Adige -0,54 -0,55 Veneto -0,04 0,02 Friuli-Venezia Giulia -0,45 -0,52 Emilia-Romagna -0,79 -0,71 Toscana 0,09 0,02 Umbria -0,17 -0,20 Marche -0,41 -0,41 Lazio 0,17 0,25 Abruzzo -0,70 -0,78 Molise -0,82 -0,81 Campania -0,79 -0,78 Puglia -0,47 -0,05 Basilicata -0,20 -0,03 Calabria -0,31 -0,08 Sicilia -0,06 -0,03 Sardegna -0,39 -0,22

Fonte: nostra elaborazione su dati RCFL, Media anni 2004 – 2012. Come ultimo test si è infine calcolato l’indice di correlazione tra le due misure prese in considerazione prendendo come base tutte le regioni nei nove anni di riferimento, integrando cosi in una sola misura le componenti spaziali con quelle temporali. Il risultato è un valore di correlazione pari a 0,32 nel caso di correlazione tra ESL e tasso di disoccupazione 15-24 e pari a 0,37 nell’altro caso. E’ chiaro che le evidenze proposte non possono considerarsi definitive e che quindi se si vuole tentare di incidere sulla relazione tra dispersione scolastica e disoccupazione giovanile bisogna pervenire alla formulazione di modelli multidimensionali che provino a prendere in considerazione fattori di varia natura (le quattro dimensioni del paragrafo 1), tenendo ulteriormente conto delle variabili di contesto che caratterizzano i territori regionali, con la loro diversità nella dotazione di servizi sociali ma anche nei fattori di pressione sul sistema scolastico. Solo cosi si possono ragionevolmente immaginare delle politiche di intervento che aspirino ad avere una qualche efficacia rispetto al fenomeno della dispersione scolastica e a cascata sul tema della disoccupazione giovanile.