Upload
alessio-baracco
View
214
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
IL NUOVO FALSO IN BILANCIO
Dott. Alessio Baracco
Ordine dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili di Padova
Venezia, 23 febbraio 2016
Lectio Magistralis
tenuta al corso di revisione contabile del prof. Simonato
Università Ca’ Foscari di Venezia
IL CASO
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
La sede della Fondazione Cariparo in piazza Duomo a Padova
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
IL CASO
La Fondazione Cariparo è una Fondazione di origine bancaria, nata nel
dicembre 1991 per effetto della riforma del sistema bancario italiano introdotta
dalla legge n. 218 del 30 luglio 1990, nota come legge Amato.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con 1,7 miliardi di euro
di patrimonio (al 31 dicembre 2012) è la quinta fondazione di origine bancaria
italiana per dimensioni patrimoniali. E’ un ente di diritto privato senza scopo di
lucro che opera per promuovere lo sviluppo sociale ed economico delle
comunità delle province di Padova e Rovigo. In particolare, gestisce il
patrimonio per produrre reddito e promuove, sostiene e realizza progetti per
l’utilità collettiva quali la ricerca scientifica, l’istruzione, lo sport, la protezione
civile, l’assistenza alle categorie più deboli, la salute, l’ambiente e la cultura.
IL CASO
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Indagini:
Il Nucleo di polizia tributaria avviò a fine 2013 una verifica fiscale per quanto
riguardava l’Iva, le imposte sui redditi e altri tributi per il periodo che va dal
2007 al 2012.
L’accertamento riguardava l’omessa dichiarazione dei redditi per cinque anni
consecutivi con conseguente elusione fiscale per un totale di circa 400 milioni di
euro.
Secondo la difesa della Fondazione, le dichiarazioni erano state correttamente
predisposte nel loro contenuto e oggetto di puntuale pagamento delle imposte
dovute ma non sono state inoltrate all’Agenzia delle Entrate per un
inadempimento imputabile esclusivamente ad un dipendente, all’epoca dei fatti
responsabile amministrativo e incaricato degli adempimenti fiscali e contributivi.
Inoltre, la Guardia di Finanza contestava alla Fondazione la vendita di titoli
azionari effettuata nel 2005, avvalendosi di esenzione fiscale che una legge
prevedeva per differenziare il patrimonio azionario delle fondazioni di origine
bancaria, perfezionatasi giuridicamente nel 2006 e nel 2007, anni in qui questa
agevolazione non era più prevista.
Detta interpretazione non fu condivisa dalla Fondazione e fu oggetto di
contestazione con adeguate argomentazioni giuridiche.
Secondo la difesa, la vendita dei titoli azionari era stata preventivamente
sottoposta al Ministero del Lavoro, organo di vigilanza, che l’aveva esaminata ed
autorizzata in quanto rispondente alle raccomandazioni dello stesso Ministero in
materia di diversificazione del rischio degli investimenti di fondazioni di origine
bancaria. L’intera operazione era stata poi riportata secondo la Fondazione con la
massima trasparenza nel bilancio di esercizio anno 2005.
IL CASO
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
L’indagine in merito agli accertamenti fiscali in capo alla Fondazione sono stati
archiviati per insussistenza di profili penali a carico del Presidente della
Fondazione. Le memorie difensive hanno smentito l’accusa di elusione
dimostrando che gli investimenti compiuti erano conformi alle normative di
legge: l’operazione finanziaria era rischiosa ma legittima.
Inoltre, la Fondazione ha giustificato l’omessa presentazione delle dichiarazioni
dei redditi come un errore di un dipendente che per manifesta incapacità non
aveva mai spedito le dichiarazioni per via telematica all’Agenzia delle Entrate,
falsificando poi la ricevuta di trasmissione.
Inoltre, l’ente ha dimostrato di aver sempre versato le imposte previste pertanto
l’omessa dichiarazione risultava ininfluente ai fini fiscali.
Dopo i controlli la Fondazione aveva presentato tutte le dichiarazioni dei redditi
contestate ed ha risolto il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate oltre che
l’indagine penale.
IL CASO
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Con tale termine si identificano le quattro società di revisione leader
nel mercato mondiale della revisione:
- PricewaterhouseCoopers (Pwc)
- Ernest & Young
- Deloitte Touche Tohmatsu
- KPMG
Società di revisione
BIG FOUR
Caso Parmalat
Il caso Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta
e aggiotaggio compiuto da una società privata in Europa.
Furono coinvolte due società di revisione: Grant Thornton e Deloitte &
Touche; la prima aveva certificato i bilanci della società dal 1990 al
1998 quando l’incarico fu conferito alla Deloitte & Touche.
Furono condotte due indagini parallele: la prima per aggiotaggio,
ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni (sociali e ai revisori) e
ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob; la
seconda per associazione a delinquere e bancarotta.
La società Grant Thorton (oggi Italaudit) venne condannata con una
sanzione pecuniaria di 240 mila euro e 400 mila di confisca.
Mentre la società di revisione Deloitte &Touche ha corrisposto a
Parmalat Spa la somma di 149 milioni di dollari per risarcimento danni.
Caso Parmalat COMUNICATO STAMPA
Accordo transattivo fra Parmalat S.p.A. e altre società del Gruppo e Deloitte &
Touche S.p.A. e Dianthus S.p.A.
Parmalat S.p.A. e Deloitte & Touche S.p.A. e Dianthus S.p.A. (la società che ha operato in
Italia sotto il nome di Deloitte & Touche fino a luglio 2003) comunicano che in data
odierna l’azione per risarcimento danni iniziata da Parmalat S.p.A. contro Deloitte &
Touche S.p.A. e Dianthus S.p.A. è stata transata. Sono state anche transate le pretese
riconvenzionali fatte valere da Deloitte & Touche S.p.A. e Dianthus S.p.A. contro
Parmalat S.p.A. Deloitte & Touche S.p.A. e Dianthus S.p.A. si sono impegnate a
corrispondere in favore di Parmalat S.p.A. un corrispettivo valutato in US$ 149.000.000. A
seguito della transazione Parmalat S.p.A. e Deloitte & Touche S.p.A. e Dianthus S.p.A. si
sono impegnate a ritirare tutte le azioni pendenti e le reciproche pretese. La transazione
pone termine ad anni di attività investigativa compiuta da Parmalat e ad approfondita
istruttoria delle parti in relazione alle azioni civili negli Stati Uniti. Essa è stata agevolata
da varie autorità giudiziarie e amministrative. In base alla transazione, Deloitte & Touche
S.p.A. e Dianthus S.p.A. si sono riservate l’opzione, contro pagamento dell’importo di $
15 milioni, di risolvere la transazione entro 60 giorni ove non ottenessero, entro tale
periodo, un “contribution bar” in base all’Illinois Joint Tortfeasor Contribution Act.
Parmalat S.p.A. e Deloitte & Touche S.p.A. esprimono soddisfazione per la transazione
raggiunta, la quale pone le basi per relazioni future di reciproca soddisfazione. Parmalat
S.p.A. e Deloitte & Touche S.p.A. intendono collaborare in futuro.
Collecchio, 12 gennaio 2007
Del Collegio Sindacale
L’attività del Collegio Sindacale è regolato dal codice civile, libro V- Del
Lavoro, sezione VI-bis – Dell’amministrazione e del controllo, paragrafo 3, agli
articoli:
• Art.2399- «Cause d’ineleggibilità e di decadenza»
• Art.2403- «Doveri del collegio sindacale»
• Art.2403-bis- «Poteri del collegio sindacale»
• Art.2406- «Omissioni degli amministratori»
• Art.2407- «Responsabilità»
• Art.2409- septies- «Scambio di informazioni»
• Art.2429- «Relazione dei sindaci e deposito del bilancio»
Falso in bilancio
Il falso in bilancio nel diritto societario è la compilazione di ‘‘false
comunicazioni sociali’’ ovvero una rendicontazione non veritiera e corretta dei
fatti accaduti e degli indicatori di rilievo che dovrebbero essere espressi nel
bilancio d’esercizio di un’azienda.
L’art. 2423 c.c., secondo comma, stabilisce che: «il bilancio deve essere redatto
con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio».
La compilazione corretta del bilancio è obbligatoria e inderogabile, in quanto i
terzi possono reperirvi le informazioni necessarie per assumere delle decisioni
commerciali.
Una redazione non corretta implica necessariamente una falsità di
rappresentazione della situazione aziendale ed è considerata dal nostro
ordinamento una frode e punita come reato.
Falso in bilancio
Nell’ordinamento civile italiano il falso in bilancio è regolato dal libro V, titolo
XI- Disposizioni penali in materia di società e consorzi, capo I, del codice
civile:
‘‘Delle falsità’’
• Art. 2621: «False comunicazioni sociali»
• Art. 2621- bis: «Fatti di lieve entità»
• Art. 2621- ter: «Non punibilità per particolare tenuità del fatto»
• Art. 2622: «False comunicazioni sociali nelle società quotate»
• Art. 2625: «Impedito controllo»
Falso in bilancio
-Storia-
Testo originario
Nel codice civile il falso in bilancio era inizialmente contemplato solo nell’art.
2621, «false comunicazioni ed illegale ripartizione degli utili», la sanzione
prevista era la reclusione da 1 a 5 anni e una multa da 10.000 a 100.000 lire.
Riforma del 1986
Il Decreto 30/1986 ha modificato l’articolo in «false comunicazioni ed illegale
ripartizione di utili o di acconti sui dividenti», il nuovo reato era sanzionato con
la reclusione da 1 a 5 anni e un’ammenda da 2 milioni a 20 milioni di lire.
Falso in bilancio
-Storia-
Riforma del 2002
Il D.lgs. n. 61 del 11 aprile 2002 modificò profondamente il titolo XI del libro
V del codice civile riguardanti le disposizioni penali in materia di società e
consorzi.
Nello specifico, aveva previsto due ipotesi di false comunicazioni sociali
regolate da due differenti articoli:
- Art. 2621 c.c. «false comunicazioni sociali» faceva riferimento al falso in
bilancio con carattere esclusivamente formale, punito con l’arresto fino ad 1
anno e sei mesi;
- Art. 2622 c.c. «false comunicazioni sociali in danno delle società, dei soci e
dei creditori» riguardava il falso in bilancio che provocava dei danni alla
società, ai soci e ai creditori; la sanzione prevista era la reclusione da 6 mesi
a tre anni. Nel caso in cui la società era quotate in borsa il reato era punito
con la reclusione da 1 a 4 anni.
Falso in bilancio
-Storia-
Riforma del 2002
Le due ipotesi erano identiche sotto il profilo dei soggetti attivi, della condotta,
dell’oggetto materiale, distinguendosi per la presenza nel solo art. 2622 c.c. del
requisito del pregiudizio patrimoniale.
Apparve evidente l’intenzione del legislatore di diversificare l’oggetto giuridico
delle due ipotesi criminose: nell’articolo 2621 c.c. l’interesse protetto dalla norma
poteva considerarsi la trasparenza nell’informazione societaria, mentre per l’ipotesi
di cui all’art. 2622 c.c. il bene protetto appariva essere il patrimonio.
La conclusione che potrebbe essere tratta è che l’articolo 2621 c.c. prevedeva un
reato di pericolo a tutela della regolarità dei bilanci e delle altre comunicazioni
sociali nei confronti della generalità, l’articolo 2622 c.c. introduceva un reato di
danno a tutela degli interessi dei soci e dei creditori.
Riforma del 2002
Occorre segnalare che nel nuovo articolo 2622 c.c. veniva disciplinata una
fattispecie di reato aggravata, che si configurava in termini di reato di danno,
perseguibile a querela della persona offesa e avente ad oggetto l’interesse
patrimoniale facente capo ai soci e ai terzi creditori. In base a tale articolo le
condotte previste dall’articolo 2621 c.c., se cagionavano un danno patrimoniale alla
società, ai soci o ai creditori erano punite con pene più severe.
La procedibilità era a querela di parte, ad eccezione delle società quotate per le
quali si procedeva d’ufficio.
Nella norma era descritto dettagliatamente il dolo richiesto: era necessario, ai fini
della sussistenza del reato, che la falsa esposizione o l’omessa comunicazione
fossero state poste in essere con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico (dolo
intenzionale), al fine di conseguire per sé o per gli altri un ingiusto profitto ed
avessero cagionato un danno patrimoniale ai soci o ai creditori (dolo specifico).
Falso in bilancio
-Storia-
Riforma del 2002
Tra gli elementi innovativi della nuova fattispecie era la previsione di alcune soglie
quantitative, ai fini della sussistenza- punibilità del reato:
• le falsità e le omissioni non alteravano in maniera sensibile la rappresentazione
della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo
al quale essa appartiene;
• ovvero non determinavano una variazione del risultato economico di esercizio,
al lordo delle imposte, non superiore al 5%, oppure variazione del patrimonio
netto non superiore all’1%;
• ovvero il fatto era conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differivano in misura non superiore al 10%.
Riguardo agli illeciti commessi al di sotto delle soglie, il legislatore aveva previsto
l’irrogazione di una sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione
da sei mesi a tre anni dagli uffici direttivi.
Falso in bilancio
-Storia-
Lievi modifiche del 2005
La legge 262 del 28 dicembre 2005 modificò lievemente il primo tipo di falso in
bilancio previsto dall’articolo 2621 c.c. aumentando la pena da un anno e sei mesi a
2 anni di reclusione e prevedendo delle lievi sanzioni amministrative e l'interdizione
dagli uffici direttivi da 6 mesi a 3 anni.
Prescrizione:
- Quando la falsa comunicazione sociale era di carattere esclusivamente formale si
prescriveva in quattro anni, salvo che non intervenisse nel frattempo un atto
interruttivo per il quale la prescrizione si portava a cinque anni.
- Quando la falsa comunicazione sociale arrecava un danno patrimoniale ai soci
ovvero ai creditori il reato si prescriveva, a seconda che intervenissero o meno
atti interruttivi, in cinque o in sei anni.
Falso in bilancio
-Storia-
La riforma del 2015
La legge 69 del 27 maggio 2015 (entrata in vigore il 14.06.2015) ha ridefinito
totalmente il reato di falso in bilancio, eliminando la depenalizzazione del 2002
e riportando il reato sotto l’ambito penale.
La legge ha diviso l’illecito in due fattispecie:
- Il reato di «false comunicazioni sociali» regolato dall’articolo 2621 c.c.,
riguarda il falso in bilancio commesso da società non quotate in borsa,
punito con la reclusione da 1 a 5 anni.
- Il reato di «false comunicazioni sociali delle società quotate» regolato
dall’articolo 2622 c.c., riguarda il falso in bilancio commesso da società
quotate, la sanzione prevista è l’arresto da 3 a 8 anni.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
La riforma del 2015
La riforma ha inserito due nuovi articoli nel c.c.:
• art. 2621-bis c.c. prevede il falso in bilancio delle società non quotate quando il
reato è di lieve entità. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 3 anni, la
medesima pena si applica alle società non soggette alla legge fallimentare, in
questo caso il delitto è punibile a querela della società, dei soci o dei creditori.
• art. 2621-ter c.c. riguarda invece i casi di particolare tenuità del fatto, previsti
dall’articolo 131-bis del codice penale, stabilisce che il giudice deve valutare
l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori.
Sono stati eliminate le soglie di non punibilità introdotte nel 2002 ed è stata abolita
la procedibilità a querela, se non per le società non soggette alla legge fallimentare.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
L’articolo 2621 del codice civile prevede che:
«False comunicazioni sociali - Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli
amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei
documenti contabili societari, i sindaci e liquidatori, i quali, al fine di conseguire
per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre
comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge,
consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero
omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore,
sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni
posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
Soggetti attivi del reato possono essere gli amministratori, i direttori generali, i
sindaci e i liquidatori. A tali soggetti vanno poi aggiunti:
- i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari;
- coloro che sono indicati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di
vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestititi per
conto di terzi (art. 2639- estensione delle qualifiche soggettive- «per i reati
previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o
titolare della funzione prevista dalla legge è equiparato sia chi è tenuto a
svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo
continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione»).
L’interesse tutelato dalla norma è la trasparenza o la fiducia dei terzi nella veridicità
delle rappresentazioni contenute nelle comunicazioni sociali. Si tratta di un delitto
di pericolo concreto, di conseguenza non necessita il verificarsi di un danno per i
creditori o i soci.
Falso in bilancio
-Spunti-
Gli atti sui quali può incidere la falsità devono essere necessariamente i bilanci, le
relazioni o altre comunicazioni sociali previste dalla legge dirette ai soci o al
pubblico.
Quanto alle relazioni la disciplina delle società di capitali offre più esempi,
legislativamente nominati, di relazioni degli amministratori o dei sindaci: la nota
integrativa (elemento costitutivo del bilancio); la relazione sulla gestione; la
relazione dei sindaci al progetto di bilancio; la relazione al bilancio finale di
liquidazione, ecc.
Passando alla categoria dei bilanci, la norma penale contiene un generico
riferimento ai bilanci, sembra necessario ritenere che la norma si riferisca: al
bilancio di esercizio, al bilancio finale di liquidazione, al bilancio per la richiesta di
fallimento, nonché a vari bilanci straordinari redatti in occasioni di particolari
circostanze ( es. per la riduzione del capitale per perdite, per fusione, ecc.…)
Per la categoria delle comunicazioni, deve trattarsi di comunicazioni previste dalla
legge e devono essere dirette ai soci o al pubblico. Vanno escluse le mere
registrazioni interne, le comunicazioni all’interno del consiglio di amministrazione,
del collegio sindacale, le comunicazioni a carattere individuale.
Falso in bilancio
-Spunti-
Falso inbilancio-Spunti-
L’elemento soggettivo per la configurabilità dell’illecito è rappresentato dal dolo
specifico, caratterizzato dalla conoscenza e volontà di alterare il vero al fine di
conseguire un ingiusto profitto per sé o per gli altri con la consapevolezza di
cagionare danno.
L’ elemento oggettivo è configurato nella condotta consapevole di:
- esporre fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero,
- omettere fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla
situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo al
quale la stessa appartiene,
in modo concretamente idoneo ad indurre in errore.
Le principali differenze con la precedente disposizione sono:
- l’uso dell’avverbio consapevolmente;
- non si fa riferimento all’intenzione di ingannare i soci o il pubblico;
- sia la condotta attiva sia quella omissiva devono avere per oggetto fatti materiali
rilevanti, precedentemente la condotta omissiva aveva ad oggetto le ‘‘informazioni’’
la cui comunicazione è imposta per legge;
- l’aggiunta dell’avverbio per indicare concretamente l’idoneità ad indurre in
errore.
Falso in bilancio
-Spunti-
Il reato di cui all’art. 2621 c.c. è un reato istantaneo che si perfeziona, quanto alle
relazioni ed ai bilanci, con il deposito degli stessi che segna il momento della
conoscenza legale; quanto alle altre comunicazioni nel momento in cui avviene la
ricezione da parte dei destinatari (Cass. 21 ottobre 1999, Maellore),
In particolare, nel caso di bilancio, il reato si perfeziona nel luogo in cui si riunisce
l’assemblea ed il bilancio viene illustrato ai soci e si consuma nel deposito dello
stesso presso la sede sociale.
Il reato si prescrive in sei anni in base all’art. 157 del c.p., aumentabile fino a sette
anni e sei mesi in caso di interruzione termini ex art. 160 c.p..
La procedibilità è d’ufficio.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
L’art. 2621- bis codice civile recita:
«Fatti di lieve entità- Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da
sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all’articolo 2621 sono di lieve entità,
tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli
effetti della condotta.
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma
precedente quando i fatti di cui all’articolo 2621 riguardano società che non
superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267. In tal caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei
soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale».
Falso in bilancio
-Spunti-
Il legislatore con l’introduzione di questo articolo ha ritenuto corretto punire meno
severamente i fatti di lieve entità.
Il giudizio di particolare tenuità deve fare riferimento alla globalità del fatto, ai
profili della condotta, all’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da
questi determinato.
Le linee conduttrici per il giudizio di tenuità di un fatto di reato sono: valutazione
globale della condotta, non decisività del rilievo economico del danno causato o del
lucro cercato a fronte di condotte implicitamente gravi, natura e dimensioni della
società, verifica del grado di lesione del bene giuridico protetti dalla norma
incriminatrice.
Il secondo comma richiama la disposizione della legge fallimentare:
per le società che non possiedono i requisiti di fallibilità vale la diminuzione di pena
prevista dal primo comma nel caso in cui i fatti contemplati siano di lieve entità.
Inoltre per tali società, è prevista la procedibilità a querela della società, dei soci, dei
creditori o degli altri destinatari delle comunicazioni sociali.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
L’art. 2621- ter codice civile recita:
«Non punibilità per particolare tenuità – Ai fini della non punibilità per
particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis del codice penale, il giudice
valuta, in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai
soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621- bis».
L’articolo 131- bis del codice penale prevede che:
«Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a
cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la
punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del
danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 131, primo comma, l’offesa è di
particolare tenuità e il comportamento risulta essere non abituale».
Falso in bilancio
-Spunti-L’istituto introdotto recentemente rientra nell’ambito di quegli interventi voluti dal
legislatore per deflazionare il carico giudiziario, in modo da favorire l’esclusione
dal sistema giudiziario di condotte che, sebbene integrino fattispecie di reato,
risultano essere non meritevoli di una risposta sanzionatoria, in ossequio ai principi
di proporzione ed economia processuale.
In merito ai presupposti applicativi, il giudice deve fare riferimento all’art. 131- bis
c.p. secondo il quale la sussistenza della speciale tenuità deve essere desunta dalle
modalità di condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, valutati sulla base dei
criteri di cui all’art. 131, comma 1, c.p. che prevede:
«Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice
deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da
ogni altra modalità dell’azione;
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3) dalla intensità del dolo o del grado della colpa».
Il legislatore, con la nuova normativa ha lasciato alla valutazione discrezionale del
giudice la determinazione della soglia che determina ciò che rientra nel penale.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
L’art. 2622 codice civile recita:
«False comunicazioni sociali delle società quotate- Gli amministratori, i direttori
generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i
sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla
negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di un altro Paese dell’Unione
Europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei
bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al
pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero
omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore,
sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.
Falso in bilancio
-Normativa vigente-
Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:
1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una
richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano
o di un altro Paese dell’Unione Europea;
2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un
sistema multilaterale di negoziazione italiano;
3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla
negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di un altro Paese
dell’Unione Europea;
4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo
gestiscono.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le
omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalle società per conto di
terzi».
Falso in bilancio
-Spunti-
Per le società quotate il codice civile prevede una disciplina di maggior rigore:
la perseguibilità avviene d’ufficio, è consentito l’arresto facoltativo in flagranza
di reato, la custodia cautelare in carcere, l’utilizzo di intercettazioni telefoniche e
gli arresti domiciliari. Non sono previste cause di non punibilità per la particolare
tenuità del fatto.
Per queste società il delitto si configura attraverso due condotte:
a. commissiva - consistente nell’esporre consapevolmente fatti materiali non
rispondenti al vero (rispetto alle società non quotate in questo caso non è
richiesto che i fatti materiali non rispondenti al vero siano ‘‘rilevanti’’);
b. omissiva - omissione consapevole di fatti materiali ‘rilevanti’ la cui
comunicazione è imposta dalla legge.
Il reato si prescrive in otto anni aumentabili fino a dieci in caso di interruzione dei
termini.
Falso in bilancio
-Spunti-
Lasciando al giudice il difficile compito di definire caso per caso ciò che è
‘rilevante’, per ‘‘un fatto materiale non rispondente al vero’’ si intende:
- inserire in bilancio ricavi o costi non reali (derivanti da operazioni inesistenti
documentate da fatture false);
- lasciare in bilancio crediti definitivamente inesigibili;
- valutazione di qualcosa di inesistente come ad esempio un credito inesigibile o
irrealizzabile;
- omessa indicazione della vendita o dell’acquisto dei beni;
- mancata svalutazione di una partecipazione nonostante l’intervenuto
fallimento della partecipata;
- omessa indicazione di un debito derivante da un contenzioso nel quale si è
rimasti definitivamente soccombenti;
- valutazione delle rimanenze e dei lavori in corso.
L’elencazione non è ovviamente esaustiva ma si tratta di fatti non veri e non solo
di mere valutazioni o stime non corrette di fatti esistenti.
Falso in bilancio
-Spunti-Sanzioni pecuniarie.
In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile si applicano le
seguenti sanzioni pecuniarie (ex D. Lgs. 213/2001 all’art. 25 ter):
- per le false comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c., è disposta la sanzione
pecuniaria da duecento a quattrocento quote;
- per le false comunicazioni sociali previste dall’art. 2621- bis c.c., la sanzione
pecuniaria da cento a duecento quote;
- per le false comunicazioni sociali delle società quotate, art. 2622 c.c., la
sanzione prevista è da quattrocento a seicento quote.
Le sanzioni pecuniarie sono determinate dal giudice secondo il meccanismo delle
quote: il numero delle quote è fissato all’esito di una valutazione che investe la
gravità del fatto, il grado di responsabilità dell’ente nonché le condotte poste in
essere dopo la commissione; il valore della singola quota è stabilito in base alle
condizioni economiche e patrimoniali della persona giuridica e può variare da un
minimo di € 258 ad un massimo di € 1549, salvo nei casi in cui l’ente abbia
ricevuto dal reato un vantaggio minimo, ovvero il danno inflitto sia di lieve entità,
nel qual caso il valore della quota sarà pari ad € 103.
Falso in bilancio
-Spunti-
PERSEGIBILITA' CAUSA DI NON PUNIBILITA' PENA
SOCIETA' NON FALLIBILI A querelaPREVISTA per particolare tenuità
dei fattiReclusione da 6 mesi a 3 anni
SOCIETA' NON QUOTATE D'ufficioPREVISTA per particolare tenuità
dei fatti
Reclusione da 1 a 5 anni Per fatti di lieve entità:
reclusione da 6 mesi a tre anni
SOCIETA' QUOTATE D'ufficio NON PREVISTA Reclusione da 3 a 8 anni
Falso in bilancio
-Il caso-
Con sentenza del 16 giugno 2015 n. 33774, la Cassazione ha annullato senza
rinvio alcuni capi di imputazione di una condanna per bancarotta a carico di un
soggetto ‘‘perché i fatti non sono più previsti dalla legge come reato’’ ritenendo,
cioè, che a seguito dell’eliminazione dell’inciso «ancorché oggetto di
valutazioni» dagli art. 2621 c.c. e 2622 c.c., gli elementi di bancarotta ex art. 223
L.F. riconducibili ai falsi in bilancio derivanti da valutazioni non debbano essere
più ricompresi nella fattispecie.
Nella versione precedente della norma, le sostanziose violazioni in materia di
valutazione erano previste come reato.
Con la nuova formulazione delle due fattispecie di false comunicazioni sociali ex
art. 2621 e 2622 c.c., si è ridotto l’ambito di operatività del penalmente rilevante
nel senso che sono esclusi i cosiddetti falsi valutativi, lasciando fuori dal
perimetro di ciò che è reato i casi più frequenti e insidiosi di falso in bilancio;
dichiarare di possedere qualcosa di stimato a un valore in realtà errato se regolato
con il Codice Civile, i principi contabili nazionali elaborati dagli appositi
organismi e degli standard internazionali Ias/Ifrs .
Falso in bilancio
-Il caso-Con sentenza n. 890/2016, la Cassazione ha contributo ad alimentare un vero e
proprio contrasto giurisprudenziale sostenendo che: «nell’art. 2621 c.c. il
riferimento ‘fatti materiali’ quali possibili oggetti di una falsa rappresentazione
della realtà non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi,
che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione
predeterminati o esibiti in una comunicazione sociale.»
Nel caso specifico, tra i fatti oggetto delle false comunicazioni vi erano crediti
c.d. incagliati, ossia esposizioni creditizie di fatto inesigibili. La società aveva
omesso di effettuare una tempestiva svalutazione, indicando in bilancio un
improbabile valore di realizzo.
La difesa ha sostenuto, in seguito della novella del 2015, l’irrilevanza penale
dell’errato apprezzamento del valore di realizzo di un credito effettivo.
La Suprema Corte si è radicalmente scostata dall’orientamento precedente
assunto, affermando che il falso valutativo è tuttora previsto dalla norma.
Da qui, la necessità di un intervento da parte delle Sezioni Unite. I giudici infatti
sono portati ad assumere un ruolo di supplenza con sentenza-trattato che fanno il
punto su una disciplina molto complessa, piuttosto che limitarsi ad applicare
chiare regole di diritto
Falso in bilancio
-Altre disposizioni-
Quando le false comunicazioni sociali abbiano cagionato o concorso a cagionare il
dissesto della società, si è in presenza di fatti di bancarotta fraudolenta ex art. 223
della legge fallimentare, il quale prevede che:
«Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori
generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno
commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216,
se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società
commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627,
2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile;
2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della
società.
Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216».
Falso inbilancio
- Altre disposizioni-
L’art. 216 della legge fallimentare prevede che:
«Bancarotta fraudolenta- È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito,
l’imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero,
allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad
altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o
li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento
degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura
fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae,
distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura
fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o
simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna
per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni
l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad
esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Falso inbilancio
- Altre disposizioni -
L’art. 223 L.F. prevede delle pene più gravi, in caso di fallimento delle società, di
quelle contenute nel codice civile, per i reati di cui agli articoli 2621,2622 c.c.,
quando la commissione degli stessi abbia cagionato o concorso a cagionare il
dissesto della società. E’ perciò richiesto un nesso tra reato societario e dichiarazione
di insolvenza.
I soggetti attivi sono gli amministratori i direttori generali, i sindaci e liquidatori. Per
l’esistenza del reato non è necessario che i soggetti siano formalmente investiti delle
qualifiche richieste, essendo sufficiente lo svolgimento di fatto delle relative
funzioni. Rispondono di bancarotta gli amministratori in carica al momento della
dichiarazione di fallimento, ma anche quelli che abbiano svolto la relativa attività in
precedenza, commettendo i fatti penalmente rilevanti. I sindaci rispondono dei fatti
di bancarotta quando abbiano consapevolmente omesso di vigilare in presenza di una
contabilità tenuta caoticamente.
L’interesse protetto da tale disposizione è rappresentato dall’esigenza di reprimere i
comportamenti illeciti, posti in essere da individui che, sebbene non imprenditori,
hanno poteri di direzione e gestione dell’impresa.
Il reato si prescrive in 15 anni, ovvero 22 anni e mezzo in presenza di atti interruttivi.
Falso inbilancio
- Altre disposizioni-
L’art. 2625 c.c. prevede che:
«Impedito controllo- Gli amministratori che, occultando documenti o con altri
idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle
attività di controllo [o di revisione]1 legalmente attribuite ai socio o ad altri
organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a
10.329 euro.
Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad
un anno e si procede a querela della persona offesa.
La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati
regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il
pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al
decreto legislativo 24 febbraio 1998 , n. 58».
1 Parole soppresse dall’art. 37 D.lgs. 27 gen. 2010, n. 39.
Falso inbilancio
- Altre disposizioni-
L’art. 2625 c.c. configura due illeciti, uno amministrativo e l’altro penale,
restringendo l’operatività di quest’ultimo alle sole ipotesi in cui sia cagionato un
danno ai soci. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati o diffusi
tra il pubblico.
L’interesse protetto dalla norma è la complessiva posizione del socio, amministrativa
e patrimoniale, dai pregiudizi che possono derivare dall’ostacolo all’esercizio delle
funzioni di controllo.
I soggetti attivi possono essere esclusivamente gli amministratori.
Le condotte previste sono:
- occultamento di documenti,
- utilizzo di altri idonei artifici per impedire od ostacolare lo svolgimento delle
attività di controllo.
Diventa rilevante ogni comportamento che si risolva in un diniego o in ostacolo
all’altrui controllo purché sia presente un profilo di fraudolenza.
Per l’esistenza del reato è necessario che l’impedimento o l’ostacolo al controllo
abbiano cagionato un danno al socio.
Falso inbilancio
-Considerazioni conclusive-
Con la riforma, il legislatore ha voluto inasprire le sanzioni penali e le sanzioni
pecuniarie previste dall’articolo 2621 c.c.; non è più necessario per la configurabilità
del reato che vi sia l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico, è sufficiente
constatare il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto.
Tuttavia, la norma di cui all’art. 2621 c.c. e 2622 c.c., eliminando qualsiasi
riferimento alle ‘‘valutazioni’’ determina la non punibilità per le scorrette stime di
beni o debiti.
Inoltre, inserendo le locuzioni ‘fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero’ o
‘fatto di lieve entità’, lascia agli operatori del diritto l’onere di valutare l’entità
dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguenti ai fatti
di cui agli articoli 2621 e 2621- bis c.c..
Sul tema la Suprema Corte come detto si è già pronunciata con due opposte
sentenze.
La stessa Corte o il Legislatore dovranno tornare sull’argomento.
GRAZIE PER
L’ATTENZIONE