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Indice
Introduzione 3
1 Conservazione della natura, biodiversità, conflitti ambientali 5
1.1 La biodiversità tra impatti antropici e paradigmi scientifici 5
1.2 Modelli di conservazione della biodiversità: strategie, centri di biodiversità ed aree protette 15
1.3 Foreste umide tropicali 24
1.4 Biodiversità: un approccio ecosistemico 29
1.5 Territorio, conflitti ambientali ed aree protette 36
2 Inquadramento geografico, ecosistemico e territoriale 46
2.1 Ecuador: geografia, biodiversità ed ecosistemi 46
2.2 Ecuador: società, comunità indigene, territorio 53
2.2.1 Aree Protette e territori indigeni 59
2.3 Area di studio 60
2.3.1 Regione Amazzonica Ecuadoriana: ecosistemi 60
2.3.2 La Riserva della Biosfera Yasuní: biodiversità e gestione dell’area protetta 66
2.3.3 La produzione petrolifera: impatti socio-ambientali 72
2.3.5 Vie di comunicazione terrestri all’interno dell’area di studio 79
2.3.6 Uso del territorio 82
2.3.7 Attori e poste in gioco 85
2.3.8 Definizione area di studio tramite analisi G.I.S. 93
3 Materiali e metodi 97
3.1 Indagine bibliografica e workshops sul campo 97
3.2 Attività di campo 98
3.2.1 Raccolta punti GPS 99
3.2.2 Interviste e raccolta dati da informatori privilegiati 100
3.2.3 Problematiche di lavoro 103
2
3.3 Sistemi Informativi Territoriali 105
3.3.1 Cartografia tematica 108
3.3.1 Immagini satellitari 111
4 Risultati 117
4.1 Introduzione 117
4.2 Area di studio 118
4.3 Input cartografici 121
4.4 Carta tematica degli ecosistemi della RAE: input cartografico 121
4.5 Sistemi idrografici della regione amazzonica ecuadoriana 124
4.6 Comunità indigene, colonos e centri urbani: input cartografico 128
4.7 Studio dei sistemi forestali amazzonici ed impatto antropico 131
4.8 Ground truth, punti GPS e grafo stradale 144
4.9 Via di comunicazione stradale Occidental Petroleum: analisi quantitativa 145
4.10 Via Auca e bacino idrografico Curaray: analisi quantitativa e pattern di territorializzazione 150
4.11 Riserva della Biosfera Yasuní (RBY) e produzione petrolifera: analisi geografica con approccio transcalare 160
4.12 Installazioni per l’estrazione petrolifera e Riserva della Biosfera Yasuní: carta di densità 165
4.13 Analisi comparativa ed overlay tra carta di densità
delle installazioni petrolifere e Zona intervenida 168
4.14 Risultati delle interviste ad informatori privilegiati 171
5 Discussione e conclusioni 173
Bibliografia 184
Allegati 194
Ringraziamenti 198
3
Sic alid ex alio numquam desistet oriri Vitaque mancipio nulli datur, omnibus usu.
(Lucrezio, De rerum natura) Introduzione Il lavoro di questa tesi nasce dall’esigenza personale di affrontare il tema della
conservazione della natura nella sua complessità cercando di superare le barriere che
separano l’uomo dall’ambiente per entrare nel vivo del problema.
La ricerca è stata condotta in una delle venticinque regioni definite da Myers (2000) “centri di biodiversità” situata nella parte occidentale della foresta tropicale amazzonica in un’area caratterizzata da un’elevata diversità biologica e dalla presenza di popolazioni indigene: La Riserva della Biosfera Yasuní. La scelta di tale area è legata sia alla volontà di consolidare le conoscenze naturalistiche in una delle regioni più biologicamente sensibili del pianeta, sia al desiderio di entrare in contatto con le comunità indigene che vi abitano per comprendere le problematiche che attraversano questa porzione di foresta amazzonica. L’area di studio, oltre ad essere stata istituita come Parco Nazionale IUCN (cat. II, IUCN, 1982), è inserita come area protetta all’interno dei programmi per la conservazione e lo sviluppo sostenibile dell’UNESCO (MAB, 1989, Man and Biosphere Program), costituendo per la comunità internazionale uno dei modelli piu’ avanzati di compatibilità tra la tutela della biodiversità ad ogni livello organizzativo e attività umane sostenibili. Tuttavia, negli ultimi decenni, all’interno dell’area si sono sviluppate attività antropiche a carattere industriale legate prevalentemente alla produzione petrolifera ed all’estrazione di legname per l’esportazione, influenzando sia i programmi nazionali ed internazionali per la conservazione della biodiversità, che le attività tradizionali e la vita stessa delle popolazioni indigene (Narvaez, 2004). Le attività per l’estrazione e la produzione petrolifera sono divise in aree lottizzate che si sovrappongono geograficamente alla Riserva della Biosfera ed ai territori indigeni, producendo impatti sugli ecosistemi e sulle comunità locali che si manifestano nel cosiddetto conflitto ambientale (De Marchi, 2004). Cercando di mantenere un approccio ecosistemico sono state sviluppate sia attività di campo che analisi quantitave di natura geografica, per approfondire le problematiche
4
socio-ambientali e verificare la compatibilità tra gli attuali modelli di conservazione e le attività industriali presenti nell’area. Lo scopo della tesi è stato quello di quantificare i cambiamenti della foresta umida tropicale per ciascuna formazione vegetale sostituita da attività antropiche, approfondire le dinamiche di interazione uomo-ambiente nell’area di studio e verificare la sostenibilità socio-ambientale tra i modelli di gestione delle aree protette e la produzione petrolifera. Dopo aver sviluppato attività di campo volte ad acquisire dati geografici, rilievi GPS ed informazioni raccolte tramite interviste non strutturate, sono state condotte, tramite l’uso di sistemi G.I.S. (Geographical Information Systems), analisi quantitative e qualitative sulle relazioni spaziali tra le attività antropiche, gli ecosistemi, la Riserva della Biosfera Yasuní ed i territori indigeni. In particolare le analisi quantitative hanno preso in esame l’impatto antropico sulla copertura vegetale, lo stato di avanzamento delle vie di comunicazione terrestri all’interno della foresta primaria, la densità delle installazioni petrolifere ed i pattern territoriali sviluppati dalle attività produttive per l’estrazione petrolifera lungo un’asse stradale e dalle comunità indigene Wuaorani e Quichua nell’area di influenza della Riserva della Biosfera Yasuní. L’esperienza sul campo e le analisi quantitative prodotte hanno permesso di comprendere come i diversi modi di percepire la natura e di tradurla in risorse da sfruttare possano portare a dimensioni di conflittualità ambientale tra i diversi attori in gioco nel territorio.
5
1 Conservazione della natura, biodiversità, conflitti
ambientali
1.1 La biodiversità tra impatti antropici e paradigmi scientifici Affrontare oggi il tema della conservazione della natura e delle sue risorse, nella sua
complessità, si rivela quasi sempre impresa ardua e spinosa, soprattutto se le analisi
vengono spinte in profondità e se si tratta l’argomento insieme alle molteplici
implicazioni che esso comporta.
Quando si parla di conservazione, specialmente nell’ambito delle scienze naturali,
spesso ci si riferisce all’idea ampia di preservare la natura, nel senso di recuperare
specie botaniche o zoologiche dai processi di estinzione, oppure di proteggere un’area
d’interesse naturalistico per riportarla al suo stato originario. Ciò che principalmente
preoccupa gli addetti ai lavori della conservazione sono la frammentazione degli
habitat ed il cosiddetto effetto margine che, per le conseguenti minacce per le specie
ed le biocenosi, sono fenomeni sempre più studiati e rappresentati dai modelli della
biogeografia delle isole e vengono ricondotti, direttamente o indirettamente, ad
interventi antropici in termini di riduzione areale (Primack, 2004, pp. 132-139).
L’aumento dei tassi di riduzione della biodiversità e la degradazione degli habitat
sono indiscutibilmente riconosciuti come problemi attuali, legati prevalentemente alle
attività antropiche su scala locale e globale. Sovente però il dibattito interno alle
scienze naturali si torce intorno alla cosiddetta conservazione in situ o ex situ,
affrontando le problematiche all’interno del paradigma meramente conservazionista
legato alla perdita di una specie o alla perdita di un habitat. Anche se sono passati
oramai trent’anni dall’uscita del celebre libro di Myers (1979) dove l’immagine
dell’arca che affonda poneva per la prima volta al centro del dibattito i numeri e le
stime dei tassi d’estinzione, a volte sembra che l’approccio alla questione ambientale
in termini di riduzione di biodiversità debba essere confinato ai soli specialisti del
settore, preoccupati della potenziale estinzione di una specie per la perdita
dell’oggetto di ricerca o del valore naturalistico della stessa. Qui si annida inoltre il
problema sulle strategie della conservazione naturalistica intorno alla salvaguardia
6
delle specie; deve essa attuarsi in situ o ex situ? Nonostante l’importanza che
rivestono i musei e gli orti botanici, specialmente in termini di didattica e di ricerca
specifica ex situ, le scienze naturali, da qualche decennio a questa parte, si sono
trovate un po’ in difficoltà rispetto alla conservazione della natura in termini organici
e complessivi. Questo accade non solo per la galoppante importanza e “quotazione”
che l’approccio genetico-biochimico della biologia molecolare sta avendo all’interno
delle scienze naturali, ma anche perché quest’ultima, da un po’ di tempo a questa
parte, è passata nello spettroscopio della “Scienza Contemporanea”, frantumandosi in
molte discipline specifiche, relative alla natura sensu lato, “molecolarizzandosi” e
privandosi di una visione olistica che forse oggi dovrebbe avere la conservazione
della natura all’interno della cosiddetta questione ambientale (Cini, 1994).
Anche dalle lontane Galapagos, studiando i meccanismi di speciazione dei celebri
fringuelli che hanno aperto la strada alla teoria di Darwin, Peter Grant, biologo
evoluzionista, si pone il quesito: “What does it mean to be naturalist at the end of the
XX Century?” (Cosa significa essere naturalista alla fine del XX secolo?) (1999).
Forse lo stesso Grant, citando Gentry (1989, p. 127), si accorge, dalla prospettiva
della biologia evoluzionistica, che “lo straordinario tasso di speciazione delle piante
nel bosco umido tropicale del’Ecuador, è accompagnato da un altrettanto
straordinario ed elevato tasso di estinzione di locali endemismi dovuto alla
deforestazione. Non è solo l’eredità biologica dell’umanità che si impoverisce, ma
anche la nostra stessa eredità intellettuale che viene erosa quando questi unici e attivi
laboratori di speciazione scompaiono dalla faccia della terra. Inoltre quelli di noi che
sono interessati ai processi evolutivi hanno un incentivo aggiunto per preservare il
nostro pianeta dalla distruzione delle restanti foreste tropicali. Abbiamo bisogno delle
foreste tropicali se vogliamo veramente capire i processi di speciazione ed evoluzione
che hanno fatto incrementare la diversità della vita sulla terra.” (Grant, 1999). In
questo caso, sicuramente sentita nel profondo da parte di chi studia i processi
evolutivi e la biologia delle popolazioni, la perdita di biodiversità rappresenta un serio
problema da affrontare e da far emergere dalla specificità delle discipline scientifiche
delle scienze naturali. A volte però la generica perdita di diversità biologica legata
all’impatto delle attività antropiche sull’ambiente si infrange su due immagini
7
speculari ma asimmetriche: strumento per coloro che riconoscono il suo valore in
termini economici da un lato o giocattolo nel modo urbano e occidentale di guardare
alla complessità dei viventi dall’altro (De Marchi, 2002). Talora sono gli stessi
naturalisti e scienziati che proiettano sulla diversità biologica, in maniera
inconsapevolmente semplicistica e semplificata, questa seconda immagine.
Quest’ultimo approccio alla biodiversità ed alla sua degradazione può in qualche
modo ricollegarsi al paradigma che ha condizionato la scienza moderna, di
derivazione galileiana-newtoniana, che applica largamente il metodo riduzionistico,
isolando i singoli fenomeni ed interpretandoli come catene lineari causa-effetto
(Pignatti, Trezza, 2000 pp. 20-31). Si tratta dello stesso paradigma scientifico che ha
mantenuto separato l’uomo dall’ambiente e che ha considerato quest’ultimo come un
contenitore da cui è comodo sottrarre “risorse” e in cui scaricare rifiuti. Un paradigma
(o approccio) sistemico considera invece l’ambiente come un ecosistema: un sistema
auto-organizzante che accumula ordine sotto forma di materia organica (bio-massa) e
di specie viventi (biodiversità) (Pignatti, Trezza, 2000).
E’ infatti nella tipologia di relazioni che intercorrono tra comunità umane ed
ecosistemi che si traducono nelle varie forme d’uso delle risorse naturali che vanno
ricercati e riscoperti gli approcci per sviluppare modalità di conservazione della
natura organiche e complessive. Le relazioni tra comunità umane ed ecosistemi, che
insieme costituiscono un sistema bimodulare, sono di tipo verticale e senza dubbio
danno luogo a compromissioni di natura ambientale e diventano morfogenesi delle
reti trofiche (Vallega, 1995, pp. 71-77).
La biodiversità è invece da considerarsi quindi come diversità multiscalare
dell’organizzazione biologica (geni, popolazioni, specie ed ecosistemi) e può essere
considerata ad ogni scala geografica (locale, regionale e globale) e la sua
conservazione dovrebbe avere un approccio ecosistemico che si orienti all’interno di
questa concezione.
E’ dalla Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro all’interno dell’Earth
Summit (1992), che si delineano misure a carattere internazionale per la protezione
della diversità biologica ad ogni livello ed il suo uso sostenibile. E’ ormai acquisito
che le attività antropiche stanno fondamentalmente, e spesso in modo irreversibile,
8
mutando la diversità della vita sul pianeta, e la maggior parte di questi cambiamenti si
traduce in perdita di biodiversità (M.A., 2005), che da allora diventa sempre più res
publica, anche se con differenti interpretazioni ed approcci spesso discordanti.
Semplicemente usando una chiave di lettura ecologica si ritiene che qualsiasi
intervento umano su un elemento del sistema vivente ai diversi livelli di
organizzazione, data la struttura interattiva di questo, è destinato ad influenzare gli
elementi connessi dello stesso sistema, in modo tanto più incisivo quanto più forte è
l’intervento e quanto più numerose e strette sono le connessioni al livello di
organizzazione gerarchica pertinente e, eventualmente con altri, con esso collegati
(Buiatti, 2000).
Rifacendosi ai lavori commissionati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)
ad oltre 1300 scienziati per lo stato globale degli ecosistemi, (Global Ecosystem
Assessments, 2005), è comunque utile rilevare, solamente in riferimento alla perdita
di biodiversità in termini di estinzioni biologiche, che i dati e le proiezioni future non
sono tra i più rassicuranti.
Tra il 10% ed il 50% dei taxa studiati (mammiferi, uccelli, anfibi, conifere e cicadi)
sono attualmente sotto minaccia di estinzione, basandosi sui criteria
dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN, 2001, in M.A., 2005).
9
Fig. 1.1 Tassi di estinzione delle specie in tre intervalli temporali: passato lontano (documentazione fossile), passato recente (estinzioni registrate), futuro (basato su piu’ modelli). Fonte: Millennium Ecosystem Assessment, 2005 Premesso che la biodiversità ad ogni livello segue su scala planetaria un gradiente
latitudinale aumentando verso le fasce tropicali (Primack, 2004, pp. 38-40) e che di
conseguenza gli “ambienti” più ricchi si ritrovano nelle foreste pluviali, (WCMC,
1992) il cui bioma rappresenta più della metà delle specie esistenti al mondo con il
solo il 7% della superficie terrestre (Whitemore, 1990) costituendo la più grande
riserva della storia evolutiva del pianeta (M.A., p. 87), urge sottolineare come
attraverso lo studio di un ampio range di gruppi tassonomici la grandezza di
popolazione e la diversità biologica sono in declino (M.A., 2005).
Anche i centri di endemismo sono concentrati ai tropici; centri di endemismo relativi
ai taxa di uccelli, mammiferi ed anfibi tendono qui a sovrapporsi (IUCN 2004, Red
list od threatened Species. A Global Species Assments. IUCN, Gland, Switzerland).
10
Anche in termini di produttività, la quantità netta di carbonio fissata dalle piante
(KgC/m2) con la fotosintesi, principale fonte di energia della biosfera (M.A., Forest
and Woodland Systems, 2005), e di biomassa le foreste tropicali esprimono elevati
livelli comparati con le foreste di conifere in zone temperate e boreali.
Fig. 1.2 Comparazione della diversità tra gli otto regni biogeografici: A) Ricchezza specifica; B) Endemismi (fonte: M.A., 2005)
Mentre nel passato le forti spinte di cambiamento e di modulazione della diversità
all’interno della biosfera sono state guidate da processi estrinseci alla vita stessa,
come i cambiamenti climatici, i movimenti tettonici, ed eventi extraterrestri nel caso
del Terziario, gli attuali trend di cambiamento sia sulla biodiversità che sui cicli
biogeochimici ed idrologici naturali (Primack, 2004) risultano da processi intrinseci
alla vita sulla Terra, e quasi esclusivamente legati alle attività antropiche: rapidi
11
cambiamenti climatici, cambio d’uso dei suoli, sovrasfruttamento delle risorse,
introduzione di specie alloctone invasive, agenti patogeni e inquinanti. Tali processi,
che si legano tra loro in relazioni complesse e che spesso agiscono in maniera
sinergica, sono considerati come fattori antropogenici che danno impulso e guidano i
cambiamenti sopraccitati; tali processi sono conosciuti come anthropogenic direct
drivers (M..A., 2005 cap. 4. Biodiversity, p. 96). Tra i più importanti impatti diretti e
pervasivi sulla biodiversità ricordiamo: la distruzione degli habitat (M.A., cap. 4), il
sovrasfruttamento delle risorse naturali, (M.A., 2005 cap. 4), l’introduzione di specie
alloctone invasive (alien species) Primack, 2004), agenti patogeni (M.A., cap. 4
Biodiversity, 2005) ed inquinanti ed infine, ma non irrilevante, i cambiamenti
climatici (M.A., cap. 9, 2005 ).
L’evoluzione di nuove specie e l’estinzione di altre sono in sé un processo naturale.
La diversità biologica, in termini di specie, che è attualmente presente rappresenta
appena il 2% di quelle che sono vissute sulla terra (Primack, 2004). Attraverso i
tempi biologici di evoluzione, il cui ordine di grandezza è di milioni di anni, c’è
sempre stato un netto eccesso di speciazione nei confronti dell’estinzione che ha
portato alla enorme diversità biologica sperimentata oggi sulla terra. Ciò che è
importante rilevare è che i processi di cambiamento che determinano la
degradazione/perdita di habitat, la riduzione della biodiversità ad ogni livello, ed i
cambiamenti climatici, condizionati direttamente dai sopraccitati anthropogenic
direct drivers, si svolgono su una scala temporale differente.
E’ infatti all’interno della scala dei tempi storici, quella che racchiude l’evoluzione
culturale, tecnologica e socio-economica dell’Homo sapiens, che i processi di
trasformazione della biosfera, dell’idrosfera e della atmosfera (e inevitabilmente della
geosfera) acquistano un ritmo ed una velocità assai rilevante; sono state le grandi
innovazioni tecnologiche ed il loro uso dettato ed imposto dai sistemi politico-
economici a diventare determinanti spartiacque all’interno della scala dei tempi
storici (Rifkin, 2000).
I tempi storici dell’uomo hanno attraversato le prime rivoluzioni tecnologiche del
neolitico, in cui si sono sviluppate le prime attività agricole stazionarie, l’allevamento
e l’accumulo di proprietà, fino alla grande rivoluzione tecnologica-produttiva della
12
dell’era industriale. I ritmi dei tempi storici e dei tempi biologici sono stati trasposti
su scale enormemente differenti: l’ordine di grandezza è di centinaia d’anni nel primo
caso, di milioni o miliardi nel secondo. Con i modelli di sviluppo e di produzione
dominanti e con l’attuale livello tecnologico impiegato, le capacità di modificare
ecosistemi, paesaggi e cicli biogeochimici sono notevolmente aumentate in funzione
del tempo e dello spazio. Il tempo sta quindi cambiando unità di misura nel rapporto
uomo-natura. La scala sottesa ai tempi storici dell’uomo è di tipo logaritmico,
aumenta in serie geometrica, con crescita esponenziale. La scala dell’evoluzione
biologica invece è la misura dei processi evolutivi ed è dell’ordine di grandezza di
milioni/miliardi di anni (Tiezzi, 2001). Quando si affrontano le problematiche relative
alla biodiversità, oltre alla sua dimensione multiscalare, il valore ecologico puramente
intrinseco si esprime anche attraverso la sua stessa storia, prodotto di una complessità
ed un’evoluzione incredibili di tre miliardi e mezzo di sperimentazioni di forme di
vita (Shiva, 2001).
Per meglio comprendere però da un’altra prospettiva, non escludente ma includente,
la questione della biodiversità è opportuno approcciarsi ad essa con gli strumenti
analitici propri della geografia della complessità (Turco, 1988).
Se da un lato anche il rapporto del Millenium Ecosystem Assessments ha preso in
esame e sviluppato numerose analisi quantitative degli impatti antropici sulla
biodiversità prevalentemente a livello di specie e/o habitat, l’insieme dei fattori che
determinano l’andamento dei processi causali sui sistemi ambientali è di più difficile
valutazione, specialmente se la scala è a livello di ecosistema o di meta-ecosistema.
(De Marchi, 2000).
Ecosistemi e società si evolvono nel tempo in relazioni reciproche che, interagendo
portano alla costruzione dei sistemi complessi territoriali. L’interazione nel tempo e
nello spazio tra società ed ambiente da luogo ad un sistema bi-modulare i cui
sottosistemi sono caratterizzati da una propria auto-organizzazione ed autonomia pur
mantenendo le capacità di interazione tra loro (Vallega, 1995).
I sistemi territoriali sono quindi prodotti dalle interazioni continue e reciproche tra
società umane ed ambiente e sono dipendenti da processi continui di produzione e
distruzione di biodiversità ad ogni livello organizzativo. L’ecosistema originario deve
13
ridurre i livelli di complessità naturale per poter consentire alla società di “erogare”
servizi e beni utili (M.A, Ecosystem Services, 2005) in maniera costante e per poter
riprodurre le azioni nel tempo. Tali operazioni si traducono in semplificazioni
dell’ecosistema: modificazioni delle caratteristiche fisiche del paesaggio per
consentire spostamenti, conversione in allevamenti o attività pastorizia, coltivazioni
di solo alcune piante selezionate (monocolture), attività produttive, insediamenti (De
Marchi, 2000). Queste attività sono sempre state sviluppate nel corso della storia
dell’uomo, ma con modulazioni notevoli in intensità ed estensione, specialmente a
partire dal secolo scorso. E’ proprio all’interno di questi interventi antropici che
vanno cercati i meccanismi ed i processi delle interfacce società-natura, che
influiscono sulla biodiversità e che direttamente o indirettamente costituiscono
impatti sui sistemi ambientali.
I processi che esercitano in qualche modo influenza sulla biodiversità possono essere
individuati in meccanismi diretti ed indiretti che, per la loro genericità e
standardizzazione possono essere utilizzati in diversi contesti territoriali. (De Marchi,
2000).
Sono state individuate sei famiglie di meccanismi diretti che agiscono sulla
biodiversità e sei famiglie di meccanismi indiretti; Meccanismi diretti Meccanismi indiretti
Sfruttamento delle popolazioni naturali Cambiamenti dell’agricoltura, della selvicoltura, della pesca Introduzione di organismi e patologie alloctone Inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’atmosfera Cambiamenti climatici globali
Organizzazione sociale Crescita della popolazione Modelli di consumo Commercio globale Sistemi economici e politiche incapaci di valutare il reale valore dell’ambiente e delle risorse naturali Modelli iniqui di proprietà e gestione dei flussi di benefici provenienti dall’uso e dalla conservazione delle risorse naturali
Tab. 1.1 De Marchi (2000)
14
Come si evidenzia dalla tabella i meccanismi indiretti descrivono le attività socio-
economiche, frutto delle strategie utilizzate dalle società nel relazionarsi con
l’ambiente; i meccanismi indiretti agiscono sui meccanismi indiretti.
E’ implicito che i meccanismi utilizzati sono stati generalizzati e che le dinamiche
uomo-ambiente dipendono dal tipo di relazione tra società ed ambiente. Anche se
molto spesso viene enfatizzata la crescita demografica come problema principale nei
processi di perdita di biodiversità, è opportuno evidenziare che nell’insieme delle
cause i meccanismi legati al mercato globale, ai sistemi economici,
all’organizzazione sociale, alla ineguale distribuzione dei benefici delle risorse, ai
modelli di consumo, sono fortemente responsabili nel determinare l’intensità e
l’estensione dei processi che influiscono sulla perdita di biodiversità (De Marchi,
2000).
I meccanismi indiretti sono strettamente collegati con le dinamiche di cambio della
copertura ed uso del suolo (land cover/ land use). Questi due dinamiche appartengo a
due modi distinti di percepire e descrivere le dinamiche di cambiamento della
morfologia del suolo: land cover è spesso usato per lo stato fisico del suolo, spesso in
termini di copertura vegetale o in analisi geomorfologiche (solitamente impiegata
nell’ambito delle scienze naturali); land use invece rappresenta l’uso del suolo anche
in termini qualitativi (impiegata in geografia, antropologia, pianificazione territoriale,
economia). L’intreccio analitico dei due approcci, contemporaneamente consente una
rappresentazione più completa delle dinamiche che interfacciano sistema
sociale/sistema ambientale (De Marchi, 2000).
Quando si affrontano le problematiche relative alla biodiversità quindi è utile
effettuare le analisi all’interno di un modello concettuale ecosistemico che collega il
livelli della diversità dei viventi, le funzioni degli ecosistemi e le dinamiche land
use/land cover (De Marchi, 2000).
15
1.2 Modelli di conservazione della biodiversità: strategie, centri di biodiversità ed aree protette.
La biologia della conservazione ha mantenuto per molto tempo un approccio di tipo
classico per salvaguardare la biodiversità, soprattutto a livello di specie e di
popolazione, esprimendo una prospettiva romantica e forse un po’ naive nel
preservare il maggior numero di specie nella maggior area possibile. Tale pensiero
però poco si concilia con l’uso delle risorse naturali, le popolazioni locali e con i
sistemi economici e produttivi odierni locali e globali.
A causa di tali evidenze gli stessi biologi della popolazione hanno convalidato il
concetto di Shaffer (1981) di minima popolazione vitale (MPV) definito come la “la
più piccola popolazione isolata avente il 99% di probabilità di persistere per 1000
anni nonostante gli effetti prevedibili di eventi demografici, ambientali e genetici
casuali e le catastrofi naturali”. Dopo aver definito il MPV, all’interno del quale
vengono condotte stime quantitative sul numero di specie indispensabile per non
evolvere in processi di estinzione (dimensione della popolazione, tipo di habitat,
cambiamenti ambientali), è stata introdotta “la minima area dinamica” (MAD), ossia
l’unità areale minima per garantire la minima popolazione vitale (Menges, 1991, in
Primack 2000). In questa definizione, oltre all’orientamento alla conservazione
impostato unicamente a livello di specie, traspare anche l’impronta concettuale di tipo
deterministico-riduzionista, che considera l’ambiente da proteggere come un sistema
isolato e descrive i fattori demografici ed ambientali determinabili in un meccanismo
lineare di probabilità (Cini, 1999).
Tali concetti e studi per preservare la biodiversità a livello di specie si esprimono in
strategie di conservazione del tipo in situ che permettono cioè di tutelare le specie e le
popolazioni all’interno del loro stesso habitat. Indubbiamente per gli obiettivi propri e
circoscritti della biologia della conservazione a livello di specie/popolazioni, è stata la
strategia più accolta, in quanto le specie sarebbero in grado in continuare i processi
evolutivi di adattamento all’interno del loro habitat selvatico.
L’altra strategia di conservazione contemplata e praticata dai biologi è la cosiddetta
conservazione ex situ, ossia portare le specie fuori dall’ecosistema nel quale vivevano
16
e si erano evolute per coltivarle/allevarle in condizioni artificiali: zoo, acquari, orti
botanici, banche del seme sono gli esempi più noti. (inserire la validità come
strumenti didattici )Se da un lato, ai fini limitati della biologia della conservazione e,
nei casi estremi in cui le specie sono seriamente minacciate e versano in processi
irreversibili di estinzione, la conservazione ex situ è una strategia forse comprensibile,
dall’altro questa modalità è sovente al centro di critiche e dibattiti per le numerose
implicazioni di carattere socio-economico che essa comporta.
Risvolti delicati e complessi dal punto di vista socio-economico sono le banche del
germoplasma, dove vengono conservati e gestiti i patrimoni genetici di piante (non
solo minacciate), provenienti dalla biodiversità locale selvatica di ogni regione del
pianeta (specialmente dai PVS tropicali dove si concentra la maggior diversità
biologica) e dai cultivar selezionati dalle popolazioni rurali. Tale argomento che
implica doverose riflessioni sui diritti di proprietà, sull’accesso e sulla gestione delle
risorse fitogenetiche all’interno delle banche del germoplasma verrà approfondito nel
paragrafo successivo.
Rispetto alla conservazione ex situ è lo stesso Primack (1998) che, dalla sua
prospettiva di biologo della conservazione, riconosce seri limiti biologici, genetici ed
etologici intrinseci alla strategia appena menzionata: per non incorrere in derive
genetiche e fenomeni di inbreeding le specie ex situ dovrebbero essere assai
numerose (alcune centinaia); le specie conservate al di fuori dal loro ecosistema
possono costituire solo una parte del pool genico della popolazione poiché prelevate
solo in una certa area geografica; le popolazioni conservate negli zoo per molte
generazioni possono adattarsi geneticamente alle condizioni artificiali; le specie
zoologiche in cattività possono modificare la loro etologia e, qualora rilasciate in
natura, avere difficoltà nel procacciarsi cibo, poiché in cattività non è stato mai
appreso (Primack, 2004, pp. 246-260).
Su scala globale la World Conservation Monitoring Center (WCMC), Birdlife
International e la Conservation International hanno individuato le aree prioritarie per
conservazione della biodiversità a livello di specie e le maggiormente compromesse
sotto il profilo della degradazione degli habitat. Tali zone sono state chiamate centri
caldi per la biodiversità, ossia biodiversity hotspot (Myers et al., 2000).
17
I principi fondamentali per stabilire i biodiversity hotspot sono legati a due criteri: il
tasso di endemismo e la perdita di habitat. Non avendo disponibilità di dati su un
ampio range tassonomico, per quanto riguarda il tasso di endemismo, sono state prese
in considerazione le piante vascolari, che devono rappresentare almeno lo 0,5% delle
specie finora note; per quanto concerne la perdita di habitat gli hotspots devono aver
perso almeno il 70% delle formazioni vegetali originarie (Myers et al., 2000).
Su scala globale quindi sono stati al momento rilevati venticinque hotspots che
soddisfano questi requisiti e che coprono l’1,4% della superficie delle terre emerse.
L’insieme dei venticinque hotspots costituisce il 44% delle piante vascolari sul totale
di quelle conosciute, il 28% delle specie di uccelli, il 30% delle specie di mammiferi,
il 38% delle specie di rettili il 54% delle specie di anfibi (Myers et al., 2000).
E’ importante segnalare come su venticinque hotspots 12 siano situati negli ambienti
di foresta umida tropicale, tra cui l’area del mediterraneo e le Ande tropicali per
l’elevato tasso di piante endemiche (13.000 specie pari al 4,3% e 20.000 specie, pari
al 6,7% della flora mondiale) sono state classificati come hyper-hotspots, ossia
hotspots speciali (Primack, 2004 p. 311).
All’interno della tassonomia conservazionista sono state classificate inoltre tre zone
di foresta umida tropicale che non avendo perso il 70% della vegetazione originale
non possono rientrare nella categoria biodiversity hotspots, pur contenendo oltre il
15% delle specie vegetali mondiali; tali zone vengono denominate major wilderness
areas, ossia grandi aree selvatiche incontaminate (Myers et al., 2000).
Un’altra interessante classificazione che le organizzazioni conservazioniste hanno
adottato è quella relativa ai Paesi dove è concentrata la maggior biodiversità a livello
di specie: i Paesi Megadiversi (Megadiversity Countries). Sono stati definiti 17 Paesi
Megadiversi di cui cinque all’interno della foresta pluviale del bacino amazzonico
(Primack, 2004, p. 313).
Le discriminanti per la definizione di questi centri di biodiversità sono rispetto alla
biodiversità a livello di specie e non di ecosistema. (Myers et al., 2000).
18
Fig. 1.3 Distribuizione dei Centri di Biodiversità (Biodiversity Hotspots) su scala globale. Fonte: Conservation International (2004) Per valutare lo stato di conservazione l’IUCN, attraverso metodi quantitativi, ha
elaborato un sistema di classificazione in base allo stato di rischio a cui le specie sono
esposte e generando le note categorie in cui racchiuderle. Sulla base di queste
divisioni, attraverso il censimento delle specie minacciate, il WCMC ha
successivamente redatto a livello mondiale le note liste rosse e le liste blu, ripartite
per aree geografico-politiche e suddivise per gruppi tassonomici.
La minaccia di estinzione delle specie sollevata dall’IUCN e altre società scientifiche
nonchè l’emergere dei problemi ambientali legati alla riduzione di biodiversità
specifica hanno dato impulso, nella seconda metà del secolo scorso, alla proposta di
trattati ed accordi che sono stati sottoscritti a livello nazionale ed internazionale. A
livello internazionale la prima ad essere approvata è la Convenzione di Washington,
compilata nel 1973 dall’United Nation Environment Programme (UNEP), conosciuta
come CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild
Fauna and Flora), che regolamenta esclusivamente il commercio transnazionale di
specie animali e vegetali sotto minaccia d’estinzione, e la convenzione di Bonn
(1979), riguardante le specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica.
19
A livello comunitario, per citare qualche esempio rilevante, è stata sottoscritta la
Direttiva Uccelli 79/409/CEE e la Direttiva habitat 92/43/CEE.
Questo tipo di approccio alla conservazione, oltre che ad essere riduttivo e poco
efficace, rivela i suoi limiti e le sue contraddizioni proprio per la difficoltà nel
separare concettualmente le specie dagli ecosistemi (Pignatti, Trezza, 2000). Per
questo parte delle organizzazioni conservazioniste hanno ritenuto necessario spostare
l’attenzione sulla biodiversità nella sua dimensione multiscalare ed attuare strategie
per la conservazione a livello di comunità/ecosistemi (Reid, 1992 in Primack, 2000).
E’ attraverso un diverso approccio alla tutela della biodiversità che emergono nuovi
accordi internazionali per la conservazione, innalzando la protezione da livello di
specie ad habitat.
Il primo accordo sulla protezione degli habitat è la Convenzione di RAMSAR (1971)
che tutela le zone umide (wetlands), aree di notevole importanza ecologica per gli
uccelli migratori; nel 2002 la Convenzione di Ramsar veniva sottoscritta da 133 paesi
su 194.
Nel 1979 viene stipulata la Convenzione di Berna per la conservazione della Vita
Selvatica e dell’Ambiente Naturale in Europa, ratificata nel 2002 da 45 Paesi europei
ed africani, nonché dalla Comunità europea.
Nello stesso periodo UNESCO, IUCN e Consiglio Internazionale per i Monumenti e i
Siti, promuovono la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Culturale e
Naturale mondiale, mettendo in relazione il patrimonio biologico ed ecologico a
quello culturale. Esempi nostrani di siti dichiarati “Patrimonio dell’Umanità” sono
l’Orto Botanico di Padova o l’arcipelago delle isole Eolie.
Gli strumenti impiegati per mettere in campo la conservazione, sia essa a livello di
specie o di habitat, si sono tradotte frequentemente nella delimitazione di parchi,
riserve ed aree naturali protette. Così dalla realizzazione delle prime riserve in Africa
agli inizi del XX secolo, create dai coloni inglesi per garantirsi la selvaggina nelle
battute di caccia, al boom nella seconda metà del secolo scorso, dei parchi nazionali,
pur con differenti propositi ed utilizzi, le aree naturali protette si sono rapidamente
diffuse su scala mondiale (Adams, Hutton, 2007, pp. 152-156).
20
Il modello senz’altro più rappresentativo nell’ambito della conservazione, per tutto il
secolo scorso, è stato il primo parco nazionale ufficialmente istituito negli Stati Uniti
nel 1872: the Yellowstone National Park. Il modello di tale parco si muove
concettualmente intorno all’idea di delimitare un’area naturale “selvaggia” e
originaria (the pristine nature) che deve essere distinta e fisicamente separata
dall’ambiente esterno, comprese le attività umane. Da questo modello di
conservazione traspare il paradigma del pensiero scientifico illuminista, dalla cui
l’enfatizzazione della separazione tra uomo ed ambiente si sono sviluppati i concetti
di riserve, parchi ed aree protette. In questo modello concettuale l’idea suprema ed
estrema di parco naturale è quella della “protezione integrale”, evitando qualunque
interferenza o rumore di fondo di carattere antropico (Adams and Hutton, 2007).
A partire dall’istituzione ufficiale del primo parco nazionale si sono rapidamente
diffusi numerosi parchi nazionali su scala globale, facendo diventare il Yellowstone
National Park un typus ed un modello dominante per la creazione di aree naturali
protette ispirate alla pristine nature.
Proprio in seguito alla rapida ed enorme diffusione di parchi nazionali, riserve ed aree
protette worldwide ed al loro diverso utilizzo e finalità l’IUCN, tramite la
Commissione Internazionale sui Parchi Nazionali ed Aree Protette (CNPPA), ha
ritenuto opportuno riorganizzare e ridefinire il sistema di classificazione, pubblicando
nel 1978 il primo rapporto su “Categorie, Obiettivi e Criteri”.
Dopo una serie di revisioni ed aggiornamenti (Perth, 1990; Caracas 1992) l’IUCN ha
ritenuto opportuno far chiarezza ridefinendo ed aggiornando (standardizzando) le
categorie relative alle aree protette pubblicando le linee guida come orientamento per
le politiche internazionali e nazionali sull’istituzione di aree protette (IUCN, 1994).
Le categorie contenute nel sistema di classificazione corrente dell’IUCN si
sviluppano su una serie progressiva di aree protette (dalla categoria I alla VI) in base
al grado di protezione e di inclusività delle attività antropiche (IUCN, 1994). Mentre
le categorie I e II rispecchiano il classico modello di parco nazionale, (da strict
protected reserve/wilderness area a national park) le suddivisioni di ordine superiore
modulano progressivamente il flusso di prodotti e servizi di ecosistema, fino all’uso
21
sostenibile degli ecosistemi naturali (dalla categoria III, monumenti naturali, alla
categoria VI, aree protette con gestione sostenibile delle risorse) (IUCN, 1994).
Le indicazioni contenute nelle linee guida dell’IUCN sull’istituzione e la
categorizzazione delle aree protette rimangono, tuttavia, dei semplici suggerimenti e
consigli rispetto alle politiche ambientali che vengono sviluppate da ciascun Paese in
base anche a questioni squisitamente politiche e socio-economiche. Basti pensare che,
secondo uno studio condotto dall’IUCN (1994), in Sudamerica l’84% delle aree
protette non corrisponde alle categorie sopraccitate.
E’ all’interno della categoria VI definita dal CNPPA dell’IUCN che sono state
inserite le Riserve del Programma per l’Uomo e la Biosfera dell’UNESCO (Man and
Biosphere Program, MAB). Tale programma è stato lanciato in via sperimentale agli
inizi del 1970 e si è rivelato, almeno sulla carta, uno dei più avanzati tra i modelli di
aree protette, delineando così un nuovo approccio alla conservazione della natura. Il
programma MAB infatti è “finalizzato ad integrare le attività umane, la protezione
dell’ambiente naturale, la ricerca scientifica e l’ecoturismo nella stessa area” (Batisse,
1997 in Primack, 2004), enfatizzando le relazioni reciproche tra uomo ed ambiente.
In questo modo i protocolli di ricerca MAB concettualizzano e traducono
nell’istituzione delle Riserve della Biosfera modelli di compatibilità tra protezione
degli ecosistemi minacciati e lo sviluppo sostenibile a beneficio delle popolazioni
locali, riconoscendo da un lato il ruolo dell’uomo nel modellare il paesaggio,
dall’altro l’esigenza di trovare le modalità con cui l’uomo possa usare le risorse
naturali in modo sostenibile senza degradare l’ambiente (Primack, 2004, pp. 397-
406).
Anche per quanto riguarda il modello concettuale di “area protetta” i piani MAB
esprimono elementi decisamente innovativi. La riserva non è concepita come una
“campana di vetro” che protegge gli ecosistemi isolandoli dall’ambiente circostante,
bensì come un sistema che interagisce con il mondo circostante integrando nella
gestione e nella pianificazione le esigenze e le culture delle popolazioni locali
(Campagna UNESCO, Parigi, 1981). L’area protetta passa quindi da sistema isolato a
sistema aperto, permettendo scambi di “materia ed energia” con l’ambiente esterno,
purché siano garantiti i meccanismi di sostenibilità ambientale e sociale.
22
Per strutturare questo modello di area protetta l’UNESCO ha stabilito dei criteri al
fine di effettuare zonazioni (zoning) a diversi gradi di influenza antropica (vedi fig.
5): un nucleo centrale (core area) a protezione integrale a causa dell’elevato grado di
sensibilità e di minaccia dell’ecosistema; una zona di rispetto (buffer zone) all’interno
della quale sono consentite attività tradizionali (orti tradizionali, raccolta di prodotti
forestali come frutti o piante medicinali) e attività di ricerca; un’area più esterna,
(transition area) all’interno della quale sono concesse alcune forme di sviluppo
sostenibile come progetti di agroecologia a piccola scala, uso di risorse a basso
impatto ambientale ed attività di ricerca sperimentale. Questa zonazione consente da
un lato di preservare alcuni paesaggi modellati dall’uomo e l’integrità degli
ecosistemi, dall’altro le zone cuscinetto possono aiutare ed facilitare la dispersione
degli animali ed il flusso genico tra il nucleo centrale e sistemi più esterni (Primack,
2004, p. 345).
Fig. 1.4 Modello di zonazione delle Riserve della Biosfera (da MAB France, modificato.) Così come le categorie delle aree protette (IUCN, 1994) le Riserve della Biosfera
sottostanno a giurisdizione e sovranità nazionale e sono state inserite all’interno della
Rete Mondiale delle Riserve della Biosfera (World Network of Biosphere Reserve);
23
da quando è stato lanciato il Programma MAB a livello mondiale sono state istituite
531 Riserve della Biosfera in 105 paesi (UNESCO, MAB, 2008).
E’ opportuno inoltre sottolineare come questo modello avanzato di area protetta,
nonostante le indicazioni dell’UNESCO e le numerose realizzazioni a livello
mondiale, rimanga spesso un progetto virtuale che si scontra con le dinamiche
territoriali, con lo stato giuridico e con le condizioni polico-economiche dei Paesi nel
quale è realizzato. All’interno della Riserva della Biosfera Yasuní (UNESCO, 1989)
presa in esame come caso di studio, non si presenta alcuna caratterista dei Programmi
MAB (David Romo, 2006, comunicazione personale) e non esiste nessuna zonazione
al suo interno. L’unica zonazione presente è quella effettuata dal Ministero
dell’Energia che ha suddiviso la riserva in 12 aree per le attività estrattive legate
produzione petrolifera (vedi elaborazione GIS, fig. 2.6, pag 81).
Fig. 1.5 Distribuzione delle Riserve della Biosfera su scala planetaria. Fonte: UNESCO – MAB 1.3 Foreste umide tropicali Come si è accennato nel paragrafo precedente il gradiente di biodiversità è
latitudinale ed aumenta dai poli alle zone temperate fino ai tropici, per raggiungere
l'apice nella fascia equatoriale dove si concentra la massima diversità biologica.
24
E’ alle basse latitudini che si sono sviluppate le foreste tropicali (Tropical Moist
Rainforest) che da un lato sono refugia estremamente importanti per la biodiversità
terrestre dall’altro una tra le componenti fondamentali nei sistemi biogeochimici della
terra. Esse inoltre con le loro risorse naturali (fondamentalmente biodiversità e
prodotti forestali), provvedono al sostentamento ed alla riproduzione sociale di molte
popolazioni locali, tra le quali considerevoli quote di popolazioni indigene.
L’IUCN ha stimato che il 12,5% delle specie vegetali mondiali, il 44% degli uccelli,
il 57% degli anfibi, l’87% dei rettili ed il 75% dei mammiferi sono seriamente
minacciati dalla crescente degradazione degli ecosistemi forestali tropicali (IUCN
1996, 1997).
Myers definisce la regione biogeografica della foresta umida tropicale come “foreste
sempreverdi, o parzialmente sempreverdi, in aree che ricevono non meno di 100 mm
di precipitazione mensile con un regime pluviometrico uniforme nel corso dell’anno
ed una temperatura annuale media di 24° Celsius; le formazioni vegetali si estendono
solitamente in aree al di sotto dei 1400 metri di quota ed, in esempi di foresta matura,
è possibile distinguere diversi livelli di stratificazione” (Myers, 1980 in Perry, 1982).
Attualmente i processi di deforestazione e la degradazione delle foreste coinvolgono
l’8.5% dei rimanenti sistemi forestali naturali su scala globale, di cui circa la metà
sono in Sudamerica (M.A., p. 75).
Nel corso dei tempi storici le foreste, globalmente, hanno subito una imponente
riduzione e degradazione: negli ultimi tre secoli si sono ridotte approssimativamente
del 40% di cui 3/4 durante gli ultimi duecento anni (M.A., Drivers of Ecosystem
Change, 2005 p. 597).
L’insieme delle attività antropiche infatti sta determinando processi di alterazione
della superficie terrestre ad un tasso ed una scala che non hanno precedenti nella
storia dell’uomo, concorrendo in magnitudo solamente con le transizioni dei periodi
glaciali/interglaciali (NAS in Gutman et al., 2004); a tal proposito è molto
significativo il termine coniato da alcuni scienziati per definire l’attuale Era
geologica: l’Antropocene (Crutzen, 2005).
E’ da tenere presente inoltre che i sistemi forestali, globalmente, giocano un ruolo
fondamentale nel ciclo del carbonio e conseguentemente nell’accelerazione e
25
decelerazione dei cambiamenti climatici; secondo il terzo rapporto dell’International
Panel Climate Change (IPCC, in M.A., 2005) le proiezioni rispetto al riscaldamento
globale (global warming) prevedono un innalzamento della temperatura tra i 1.4°-
5.8° Celsius 2100, variazione molto più alta rispetto all’intervallo temporale 1990-
2001 (IPCC., 2001 in M.A., 2005).
Anche se va rilevato che in Europa e negli Stati Uniti il trend di disboscamento è
stato invertito in parte grazie alla consapevolezza ed alle politiche ambientali di
riforestazione, non si può dire lo stesso per quanto riguarda le foreste naturali
tropicali. Il disboscamento di foreste primarie ai tropici continua con un tasso annuale
di dieci milioni di ettari: un’area paragonabile alla Grecia, oppure tre volte il Belgio
(M.A., 2005, p. 587).
E’ infatti ampiamente confermato che da nessuna parte come ai tropici i processi di
deforestazione legati al cambiamento d’uso del suolo ed alla copertura vegetale hanno
dirette implicazioni nel bilancio globale del budget di carbonio sulla base di modelli
(Houghton et al., 2000 in M.A. 2005) e misure atmosferiche (Ciais et al., 1995, 1995,
in M.A. 2005).
Le attività legate al cambio di copertura vegetale ed uso del suolo (land cover e land
use) sono tra i principali processi antropogenici che, degradando e sostituendo le
formazioni vegetali originarie, determinano un elevato impatto ambientale nella
foresta amazzonica, la cui conversione in terreni agricoli ed aree urbanizzate crea un
disturbo ecologico a scala regionale e sovra regionale, anche a notevole distanza dalle
aree colpite (Walker, Solecki, 1999, in M.A., 2005).
Pertanto la deforestazione tropicale è collegata ad attività antropiche come
l’espansione della “frontiera” agricola che, richiedendo il cambio d’uso del suolo,
conduce alla sostituzione della copertura forestale. A quest’ultima sono da aggiungere
le attività estrattive quali lo sfruttamento del legname e l’estensione delle
infrastrutture produttive e di comunicazione terrestre (Gomez-Pompa, 1991, in M.A.,
2005) che sempre più stanno coinvolgendo le foreste primarie tropicali. Le
infrastrutture di comunicazione stradali che si propagano all’interno della foresta
tropicale costituiscono il primo input di deforestazione, contemporaneamente,
utilizzando l’asse stradale principale si attivano processi disboscamento ortogonale
26
dando luogo ad un doppio pettine. Lungo queste strade comincia la pratica
“modernizzante” della foresta tropicale, portandosi dietro, a seconda dei casi, le
attività produttive (De Marchi, 2004). Come verranno prese successivamente in
esame all’interno del caso di studio nel cap. 6, queste pratiche di costruzione del
territorio lungo un’asse stradale portante rispecchiano le cosiddette logiche di terra
(Bertoncin, 2004) e determinano un processo di territorializzazione per sostituzione
della foresta primaria lasciando spazio ad attività prevalentemente agricole ed
estrattive. I processi di colonizzazione agricolo-estrattiva lungo via principale
all’interno della foresta determinano l’apertura di processi ortogonali all’asse
portante, dando come risultante un pattern a “spina di pesce”.
Contrariamente al detto ecologico che “la diversità promuove stabilità” appare ormai
confermato che i sistemi forestali ad elevata complessità, come le foreste tropicali,
sono dinamicamente fragili e che può essere assai difficile rigenerarsi anche un
piccolo disturbo (May, 1975, in Perry, 1982).
Dal punto di vista ecologico e della sostenibilità è fondamentale mettere in luce che le
specie arboree tropicali sembrano essere adattate alla riproduzione solamente sotto le
condizioni dello stato primario. Queste caratteristiche e la bassa densità delle
differenti specie per ettaro hanno portato alcuni ricercatori a concludere che le foreste
tropicali sono essenzialmente risorse non rinnovabili (Gomez-Pompa, 1991).
Rispetto anche al caso di studio ed alle analisi sviluppate successivamente in questa
tesi è importante sottolineare come processi di cambiamento land use/land cover
presenti all’interno del bacino amazzonico abbiano un ruolo significante anche su
scala globale, andando ad influenzare l’idrologia, il clima ed i cicli biogeochimici
globali (Crutzen et al., in M.A., 2005).
Anche se la deforestazione delle foreste tropicali è legata genericamente alle attività
di cambio d’uso del suolo e di copertura vegetale è importante distinguere tra attività
locali di coltivazione transitorie (shifting cultivation), tra cui la pratica slash-and-
burn (taglia e brucia), e attività legate ai sistemi economici e produttivi globali. Tra
questi le attività con ruolo importante nella deforestazione tropicale, presenti anche
nell’area di studio successivamente presa in analisi, sono l’estrazione di legname ad
uso industriale (spesso da esportare a basso costo nei paesi occidentali ), la creazione
27
di piantagioni industriali e monocolture intensive (piantagioni di palma da cocco,
palma africana, cacao, albero della gomma, tek, etc.), grandi aree per gli allevamenti
bovini ed estrazione mineraria e petrolifera (Primack, 2004, pp. 122-123).
L’intensità e l’estensione areale delle attività estrattive ed agro-industriali sopracitate
sono direttamente collegate alle dinamiche economiche e produttive su scala locale
ma soprattutto globale.
E’ fondamentale ricordare inoltre che i sistemi forestali, specialmente nei Paesi in Via
di Sviluppo (PVS) delle zone tropicali, garantiscono con le loro risorse la
sopravvivenza di molte popolazioni a tal punto che solamente la raccolta di prodotti
forestali contribuisce al 50% del consumo alimentare (Cavedish, 2000, in Primack,
2004). E quindi opportuno evidenziare come i popoli indigeni che vivono all’interno
delle foreste tropicali abbiano ereditato un elevato patrimonio culturale di conoscenze
di natura ambientale e che la loro stessa sopravvivenza si basi sulla gestione di
numerose risorse biologiche utilizzate nell’ambito alimentare, medico e religioso.
Una forte degradazione dell’ecosistema forestale o una sua riduzione areale laddove
si sovrappongono territori indigeni hanno importanti ricadute sulla loro stessa vita e
riproduzione sociale. Tale impatto quindi, oltre ad essere di natura ambientale, ha
delle serie implicazioni sulle popolazioni locali che, utilizzando sistemi e conoscenze
tradizionali, hanno sviluppato un pacchetto di strategie diversificate, spesso
sostenibili, per sopravvivere (Shiva, 2001).
28
Fig. 1.6 Pattern di deforestazione. Nelle due immagini superiori il modello a spina di pesce, nelle inferiori la sua evoluzione. Amazzonia peruviana. Fonte: Google Earth.
29
Fig. 1.7 Distribuzione dei sistemi forestali originali e rimanenti. (fonte: UNEP, 2004) 1.4 Biodiversità: un approccio ecosistemico Il superamento del modello conservazionista classico e del suo approccio alla
biodiversità unicamente livello di specie comincerà ad avviarsi nei lavori sulla
“questione ambientale” all’interno del Summit della Terra di Rio de Janeiro
(UNCED, 1992). E’ qui infatti che, con la stesura della Convenzione sulla
Biodiversità (CBD), la diversità biologica comincia ad assumere importanza nella sua
multiscalarità (dai geni ai metaecosistemi) e nella sua complessità. Oltre alla
protezione della biodiversità a tutti i livelli, tra gli obiettivi principali della
Convenzione vengono inseriti anche “l’uso durevole dei suoi componenti e la
ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse
genetiche […]” (CBD, 1992). Sono proprio questi due obiettivi che, introducendo per
la prima volta l’importanza del concetto di sostenibilità della gestione della diversità
biologica e dell’equa ripartizione dei benefici derivati dalle risorse genetiche delle
specie selvatiche e domestiche, aprono il dibattito sulla complicata questione dei
30
diritti su tali risorse (De Marchi, 2002). Tale problema entra nel merito delle strategie
per la conservazione in situ ed ex situ.
La conservazione della diversità biologica ex situ, ad esempio, è uno degli aspetti più
controversi e dibattuti non solo in termini di tutela delle specie minacciate, ma anche
in termini di diritti di proprietà intellettuale. Il materiale genetico delle specie
vegetali, selvatiche o cultivar, viene conservato e gestito all’interno delle banche del
germoplasma sia per una “archiviazione” a scopi scientifici sia per incrementare la
variabilità genetica tramite incroci infraspecifici e l’impiego di tecnologie del DNA
ricombinante. Questi procedimenti sono indispensabili e assai preziosi per le industrie
farmaceutiche, agro-alimentari e biotecnologiche che operano sulla produzione e sul
mercato globale. I geni delle varietà locali o delle specie selvatiche forniscono
sostanzialmente il materiale genetico e chimico di base per tali industrie. Nel passato
le banche del germoplasma, coordinate dall’ente internazionale per l’agricoltura (il
Consultive Group in International Agricolture Research CGIAR) e localizzate
prevalentemente nei PVS, raccoglievano gratuitamente semi e tessuti vegetali e li
consegnavano ai centri di ricerca ed alle industrie. I benefici e gli enormi profitti
originati dalla commercializzazione dei prodotti derivati dalle risorse biologiche non
venivano ripartiti od indirizzati localmente.
Non è cosa di poco conto rilevare che circa il 96% della variabilità genetica
necessaria a soddisfare la produzione farmaceutica, agricola e biotecnologica su scala
globale provenga direttamente dai PVS delle fasce tropicali, laddove si concentra la
maggior parte della diversità biologica (Primack, 2004, pp. 246-262).
La Convenzione sulla Biodiversità discussa a Rio de Janeiro ha pertanto innescato un
acceso dibattito, specialmente tra i Paesi industrializzati ed i PVS che possiedono le
risorse biogenetiche, facendo emergere enormi difficoltà sulle misure da prendere
rispetto alla proprietà intellettuale sulle risorse biologiche (De Marchi, 2002 p.3). La
CBD è stata attualmente ratificata, non con poche riserve e complicazioni, da 170
Paesi; il Congresso degli Stati Uniti ha notevolmente tardato a sottoscriverla a causa
dei limiti che venivano imposti alla crescente industria biotecnologica all’interno del
paese (Primack, 2004, p. 407).
31
Nonostante la Convenzione sulla Diversità Biologica possa considerarsi uno
strumento per la tutela dei diritti sulle risorse biogenetiche le misure da adottare non
sono facilmente attuabili alle banche del germoplasma istituite perlopiù nei PVS.
Alcune ricerche infatti hanno dimostrato che circa il 65% del materiale genetico
raccolto nelle banche del seme e del germoplasma è privo delle certificazioni di base
sui dati e sulle loro caratteristiche (Croucible group, 1995 p. 29).
Un altro dei nodi che il CBD tramite l’organo decisionale (Conferenza delle Parti,
COP) e l’Organo Sussidiario di Consulenza Scientifica e Tecnologica (SBTT) sta
cercando di scogliere è quello relativo alla perdita di biodiversità intesa come
“riduzione qualitativa o quantitativa di componenti, a lungo termine o in maniera
permanente, ed il loro potenziale di fornire beni e servizi che possono essere misurati
a livello globale, regionale o nazionale” (COP VII/30, 2004).
E’ proprio il potenziale della biodiversità di fornire beni e servizi, ben sintetizzati
nell’insieme degli ecosystem services (Cap. Ecosystem Services, in MA 2005) che si
traduce nella capacità dell’ecosistema di soddisfare le esigenze delle società rurali e
delle comunità indigene dei PVS.
La stessa perdita di biodiversità, all’interno del rapporto Biodiversity across
Scenarios, viene considerata non solo come riduzione in servizi di ecosistema in
termini di misure di abbondanza di specie, ma anche come erosione delle risorse
genetiche da cui dipendono le stesse attività di sussistenza delle società rurali (M.A.,
2005, p. 403).
E’ stato stimato che la biodiversità locale riesce soddisfare i nove decimi del
fabbisogno di base per la sopravvivenza attraverso l’erogazione di ecosystem
services, di cui la metà non deriva direttamente da forme di agricoltura stabile o
itinerante, ma da biodiversità conservata in orti semiselvatici, lungo le zone ripariali
dei fiumi o all’interno della stessa foresta umida tropicale.
La biodiversità riesce quindi, localmente, a soddisfare le necessità basiche in termini
di cibo, medicine, piante aromatiche ed essere associata a valori culturali ed estetici
per le comunità rurali (Mooney, 1997). E’ con l’insieme delle conoscenze locali che
le società rurali e le comunità indigene riescono a gestire le risorse biologiche.
32
L’insieme delle forme di gestione della biodiversità tramite modelli tradizionali che
integrano l’uso dei saperi locali e tecnologia a basso impatto ambientale garantiscono
alle società rurali di vivere al di sotto della capacità di carico degli ecosistemi locali, e
sono intrinsecamente ecologici (Shiva, 2001).
Questo insieme di strategie diversificate, sviluppate per garantire la produzione e
riproduzione sociale del territorio in ecosistemi locali a bassa capacità di carico come
quelli della foresta umida tropicale (De Marchi, 2004) configurano quelli che
Dasmann (1988) ha chiamato “Gente degli Ecosistemi”. Tale categoria viene
contrapposta a “Gente della Biosfera” che vive al di sopra delle capacità di carico
degli ecosistemi locali utilizzando “risorse provenienti da tutti gli ecosistemi della
terra attraverso elevati costi energetici e materiali” (De Marchi, 2004). Se da un lato
nella “Gente degli Ecosistemi” la produzione e riproduzione sociale del territorio è
basata su un controllo prevalentemente simbolico sulle risorse naturali, dall’altro
nella “Gente della Biosfera” viene usata una strategia complessiva basata sul
controllo materiale delle risorse, espansione dello spazio di raccolta ed alta possibilità
di sostituzione sia dei prodotti che dei luoghi (De Marchi, 2002, p. 3). E’ in questo
modo, ad esempio, che anche Paesi dichiarati “Megadiversi” come il Brasile
ottengono 2/3 delle calorie umane derivate da piante alimentari che provengono da
specie vegetali coltivate in altri continenti (Crucible group, 1995).
In questo contesto si inserisce il ruolo delle strategie della conservazione ex situ e
delle banche del germoplasma diventa ambiguo, in particolar modo per quelle
localizzate nei PVS.
Un caso significativo è quello del Centro per il Miglioramento del Mais e del
Frumento (International Maize and Wheat Improvement Centre, CIMMYT), situato
in Messico, che svolge attività di miglioramento della variabilità genetica di questi
cereali e la mette a disposizione delle industrie agroalimentari su scala globale. E’ in
questo modo che il 60% della varietà genetica del frumento per la produzione della
pasta italiana viene selezionata in Messico. E’ difficile quantificare globalmente quale
sia il contributo economico in germoplasma ed in conoscenze locali provenienti dai
contadini del Sud del Mondo per l’agricoltura dei Paesi industrializzati, ma alcuni
studi eseguiti proprio sul CIMMYT hanno stimato che l’ammontare complessivo solo
33
per le industrie agricole di USA, Australia, Nuova Zelanda ed Italia è di circa 1,5
miliardi di dollari. Lo stesso meccanismo si riproduce nel caso dell’Istituto
Internazionale per la Ricerca sul Riso (International Rice Research Institute, IRRI),
situato a Manila, dal quale provengono le varietà di riso coltivate in Italia (Mooney,
1997, p. 53) e i cui benefici non tornano agli agricoltori filippini che hanno effettuato
il lavoro di selezione unendo i saperi locali alla diversità biologica vegetale (De
Marchi, 2002). Anche se i dati provengono da studi condotti in passato e non sono
aggiornati, esprimono comunque valori di tendenza e, su tali tematiche, va preso atto
che non è facile reperire lavori recenti e pubblici.
Lo stesso dispositivo, dalla scala locale a quella globale, coinvolge i processi per la
produzione di farmaci a livello industriale. Almeno 7000 principi attivi appartenenti
alla farmacopea occidentale (dall’aspirina alle pillole contraccettive) sono ottenuti da
processi di chimica di sintesi da materiale vegetale ed il loro valore complessivo è
stato stimato tra i 35.000 ed i 47.000 milioni di dollari (Croucible Group, 1995;
UNEP 1992).
La medicina tradizionale indigena, che coniuga i saperi locali con l’utilizzo delle
risorse biologiche nell’ambito della salute, contribuisce a quasi tre quarti della
produzione di farmaci a base vegetale disponibili oggi sul mercato (Rifkin, 1998).
Numerosi sono i casi documentati, tra cui si riportano: il caso della pianta chiamata
dagli indigeni della regione amazzonica ecuadoriana “Sangre de Drago” (Croton sp.,
Euphorbiaceae), utilizzata nella medicina tradizionale e passata attraverso il canale
“The healing forest” (una organizzazione no-profit per la conservazione della
biodiversità e dei saperi indigeni) alla compagnia statunitense Shaman
Pharmaceuticals“ e trasformata in “semilavorato industriale” per l’industria
farmaceutica (Mooney 1997, p. 152; De Marchi, 2002) che nonostante gli accordi di
“reciprocità” ha pagato con poche migliaia di dollari lo scambio; il caso del Barbasco
(Clibadium silvestre, Asteraceae), una pianta ben conosciuta dalle popolazioni
indigene amazzoniche ed usata nella medicina tradizionale ed in agricoltura, che
l’impresa Foundation for Etnobiology ha brevettato e venduto alle compagnie
farmaceutiche Zeneca e Glaxo; il caso dell’Ayahuasca (Banisteriopsis caapi,
Malpighiaceae) usata nella medicina tradizionale e nelle ritualità shamanico-indigene
34
ecuadoriane, brevettata dall’International Plant Medicine Corporation (IPMC) e
utilizzata come farmaco sperimentale nelle terapie psichiatriche; il celeberrimo caso
del chinino, un principio attivo usato come farmaco nella prevenzione e nella cura
della malaria, derivato da piante arboree ed arbustive tropicali del genere Cinchona
(Raven, 1997, p. 574); il caso del curaro (chondrodendron tomentosum ) che, raccolto
lungo le sponde del fiume Curaray (Amazzonia ecuadoriana) ed usato dalle
popolazioni Wuaorani come veleno per stordire le prede, è diventato oggi un
importante anestetico chirurgico e distensivo muscolare.
Il ruolo quindi di biologi, antropologi, chimici e farmacisti, diventa talvolta delicato
ed esula dalle competenze disciplinari specifiche allorché i finanziamenti per la
ricerca provengono dalle grandi imprese che sponsorizzano spedizioni in tutto
l’emisfero meridionale, in cerca di caratteristiche genetiche che potrebbero avere un
valore commerciale. L’insieme delle attività che derivano da “bioprospezioni”
finalizzate a scopi commerciali è quello che Rifkin chiama “pirateria biologica”
(Rifkin, 1998).
Fig. 1.8 Preparazione dell’estratto di Ayauasca ( Banisteriopsi caapi), a cura di uno shamano Wuaorani, Ecuador.
35
Il modo in cui i prodotti chimici del metabolismo secondario di molte specie vegetali
(un meraviglioso esempio di coevoluzione biochimica delle piante con i loro
predatori) si combina con le conoscenze locali delle popolazioni indigene trasforma la
risorsa biogenetica in “semilavorato industriale” (Raven, 1997, p.573; De Marchi,
2002).
Tuttavia è doveroso segnalare che esistono rari esempi di conservazione e gestione
partecipativa delle risorse biogenetiche ex situ, come la banca del seme indiana
Nadvanja, che sono istituite per il beneficio delle comunità locali e la conservazione
della biodiversità (Shiva, 2001, p. 56).
Sarà solo successivamente, nel quinto incontro a Montreal del SBTTA della CBD
(2000), che si assumerà formalmente l’approccio ecosistemico come metodologia
generale per la realizzazione della Convenzione sulla Diversità Biologica
riconoscendo che “le società umane, con la loro diversità culturale sono una
componente integrale del sistema” (SBSTTA, Montreal 2000).
Questo è stato un cambiamento di paradigma molto importante anche per la
conservazione della natura, determinando il passaggio dall’approccio alla biodiversità
a livello di specie all’approccio ecosistemico.
Tra i punti cardine emersi nell’incontro del SBTT di Montreal viebe ribadito che le
comunità locali sono responsabili della biodiversità nel loro intorno e devono essere
direttamente coinvolte nei processi decisionali riguardo l’uso delle risorse naturali e
devono prendere parte nella ripartizione dei benefici che ne conseguono.
Anche il concetto di sostenibilità è stato rivisitato articolandolo su tre livelli:
ambientale, economico e socio-culturale. Affinché la gestione di una risorsa naturale
sia durevole, la sostenibilità deve essere mantenuta in tutti e tre gli ambiti. E’
opportuno segnalare inoltre come, ai fini di una gestione sostenibile della
biodiversità, vadano tenute in considerazione tutte le informazioni rilevanti,
includendo le conoscenze scientifiche, le conoscenze indigene e tradizionali,
l’innovazione e le pratiche ( SBSTTA, Montreal, 2000, De Marchi, 2002)
Il tema della biodiversità e della sua conservazione quindi è difficilmente affrontabile
con un approccio a livello di specie o con atteggiamento riduzionistico, ma richiede
una visione sistemica del ruolo della diversità biologica anche per le sue dinamiche
36
multiattoriali (De Marchi, 2002). La biodiversità infatti, oltre che ad inquadrarsi in
una dimensione multiscalare, è da collocarsi all’interno delle dinamiche multiattoriali,
dove soggetti portatori di interessi, con differenti logiche d’agire utilizzano strategie
diverse per effettuare un controllo, simbolico o materiale, sulla diversità biologica.
(Bertoncin 2004, De Marchi, 2002).
1.5 Territorio, conflitti ambientali ed aree protette Come già è stato accennato nel precedente paragrafo, all’interno del processo aperto a
Rio de Janeiro della CBD (1992) la visione meccanicistica della natura viene
superata: da semplice ambiente esterno, distaccato, giunge ad essere considerata un
sistema complesso che “comprende i processi essenziali, le funzioni e le interazioni
tra organismi e il loro ambiente e tra ecosistemi, includendo le società umane come
componente integrante degli ecosistemi” (SBSTTA, 2000). All’interno di questo
sistema complesso bimodulare è possibile riconoscere un modulo fisico, formato
dalle componenti biotiche ed abiotiche, ed un modulo umano, costituito dai sistemi
sociali e dalla loro organizzazione, che si interfacciano e si influenzano
reciprocamente, creando un sistema bimodulare società-natura (Vallega 1990; 1995).
Tale interfaccia società-ambiente configura le interazioni e le diverse forme di utilizzo
delle risorse, ben rappresentate degli ecosystem services, servizi indispensabili per la
riproduzione della vita delle comunità umane. Questo “punto di cerniera” tra modulo
fisico e modulo umano diventa lo spazio nel quale si strutturano i sistemi territoriali che,
dotati di propria auto-organizzazione ed autonomia, costituiscono un sistema interagente
(De Marchi, 2002). Il territorio quindi è considerato come sistema complesso che
interfaccia società e natura mantenendo le caratteristiche proprie di sistema: multi
stabilità, resilienza, emergenza, auto-organizzazione ed omeostasi (Turco, 1988; Faggi,
1991).
E’ nel quadro della geografia umana, spazio di saldatura tra le discipline delle scienze
naturali e delle scienze sociali, e nell’approccio ecosistemico che si trovano gli strumenti
37
analitici utili ad affrontare, nella complessità, la diversità biologica, la sua conservazione
e la sua gestione.
Conservazione e gestione della biodiversità determinano l’inserimento di
quest’ultima in dinamiche di carattere territoriale facendola diventare “posta in
gioco” per soggetti che hanno interessi e valori diversi e che attuano strategie
differenti nel rapportarsi alle risorse naturali.
Le strategie adottate nel binomio conservazione-gestione della biodiversità, per le
differenti razionalità sociali connesse, possono comportare dinamiche conflittuali o
cooperative tra i vari soggetti chiamati in causa. La biodiversità, per il suo valore
multiscalare, da semplice bene naturalistico da tutelare e proteggere si può evolvere
in “posta in gioco” contesa tra diversi soggetti. Questo è reso evidente, ad esempio,
quando la si è paragonata a “semilavorato” per l’industria agro-alimentare e
biotecnologica, diventando materia vivente oggetto di controversie, da collocarsi più
in un’arena di contesa ambientale che in un ambito circoscritto alla conservazione. E’
in questo modo che le comunità e le società rurali indiane, per tutelare i propri diritti
sulla biodiversità, organizzando le proprie banche del germoplasma (Nadvanja,
Shiva, 2001) tramite processi partecipativi e comunitari, producono una progettualità
alternativa a quella di altri soggetti (le industrie farmaceutiche, agroalimentari e
biotecnologiche), che si rende visibile attraverso la conflittualità ambientale. In
questo caso la posta in gioco non è solamente la biodiversità a livello di specie o di
geni, ma la sua associazione alle conoscenze locali che derivano da un altro modo di
percepire e usare la diversità biologica. Senza infatti i saperi sviluppati dalle
popolazioni indigene nel loro modo di percepire e rappresentare la biodiversità e
costruire il territorio, le risorse genetiche sarebbero un insieme di codici e proteine
sintetizzate non facilmente utilizzabili dall’industria farmaceutica, biotecnologica ed
agroalimentare (De Marchi, 2002).
In entrambe le rappresentazioni la biodiversità diventa risorsa da sfruttare solo
quando alla materia vivente viene attribuito un significato e le vengono associate
proprietà e caratteristiche: se accanto ad una attribuzione di significato conoscitivo si
associa una progettualità si rende palese lo “scontro” tra due logiche differenti, ossia
il sapere tradizionale ed il sapere scientifico. Turco (1988) usa una chiave di lettura
38
interessante e esemplificativa definendo “competenze” quelle del sistema tradizionale
e “conoscenze” quelle del sistema codificato dalla modernità . Le prime si originano
nella pratica, attraverso sperimentazioni, riscontri ed errori, le seconde attraverso
processi verificati tramite il metodo scientifico, che spesso si basano sull’acquisizione
delle competenze delle società rurali e dei saperi locali.
Le comunità indigene e le società rurali infatti mostrano quanto mai come esistano
percezioni diverse della natura e diversi modi di conoscerla e rappresentarla; se per
un verso la si può considerare come una sommatoria di componenti biotiche,
abiotiche e relazioni in uno spazio fisico dall’altro diventa una costruzione sociale
che l’uomo costruisce edifica in un processo di esplorazione e conoscenza; “l’uomo
non è spettatore, ma un attore, non sta fuori dal mondo, ma dentro. […] La natura
resta alla base di tutte le sue realizzazioni successive: è questo mondo
straordinariamente complesso che egli scruta e che plasma, per farne alfine il luogo
del suo abitare, una geografia, la sua dimora” (Faggi, Turco, 2001).
E’ quindi dallo status più o meno consapevole di uomo-abitante che l’attore sociale
diventa il fondamento di ogni processo di costruzione del territorio (Bertoncin, 2004)
e che, attraverso un valore che Hewitt chiama people’s geography si determinano i
possibili scenari di conflitto ambientale. Infatti, attraverso tendenze innate di
affettività dell’uomo verso il topos e il bios (alcuni autori la chiamano topofilia e
biofilia), la dimensione ambientale va oltre lo spazio geografico fisico-biologico,
portando all’espressione di una posizione di rifiuto delle trasformazioni delle qualità
naturali di un luogo, causate da un cambio d’uso delle risorse, dall’alterazione del
paesaggio o dall’occupazione di uno spazio (Faggi, Turco, 2001 pp. 12-18; Primack
2004, p.16).
Tale rifiuto, concretamente, si può manifestare contro la costruzione di
un’infrastruttura di trasporto, di un oleodotto, di un inceneritore o, paradossalmente,
nella realizzazione o gestione di un’area naturale protetta. In entrambi i casi vengono
sollevati i problemi di chi paga i costi e chi ne trae i benefici contrapponendo due o
più attori: un attore che trae i benefici della localizzazione, un altro che paga i costi
ambientali. In alcuni casi la dimensione può contrapporre una collettività più ampia,
39
come uno stato, ad una più circoscritta, come una comunità locale. La localizzazione
porta benefici alla prima mentre fa pagare i costi ambientali alla seconda.
Il conflitto ambientale, genericamente, ha come posta in gioco la natura, sensu lato, e
vede in competizione soggetti (gruppi, stati, imprese, comitati) che con strategie ed
interessi diversi, devono soddisfare le proprie esigenze e necessità accedendo alle
risorse naturali (Faggi, Turco, 2001 p. 11-75).
Persino le strategie impiegate nella conservazione della natura attraverso l’istituzione
di parchi ed aree protette possono portare a dimensioni di conflittualità ambientale. Il
rifiuto si esplica non tanto per l’avversità ai programmi di conservazione, quanto per
l’esclusione delle comunità locali dai processi decisionali, di pianificazione e gestione
dell’area protetta. L’istituzione e la realizzazione di un’area protetta, solitamente,
passa attraverso l’individuazione del valore ambientale da proteggere (specie, habitat
o ecosistema), sua perimetrazione fisica, e l’attuazione attraverso i processi giuridico-
istituzionali del caso.
La problematicità spesso consiste nella mancanza di processi preliminari, ma
fondamentali, di partecipazione e condivisione, che permettano alle richieste tecnico-
scientifiche, giuridiche, politiche ed economiche di intrecciarsi con il consenso e
l’appoggio delle comunità locali (Faggi, Turco, pp. 13-14).
E’ utile ricordare come anche sulla base dei concetti di pristine nature o wilderness
area, dominanti del pensiero conservazionista del secolo scorso, sia stato adottato il
Yellostone National Park come modello di parco nazionale da esportare, con l’unico
obiettivo della conservazione e valorizzazione della “natura selvaggia” da preservare
ed escludendo di fatto le società rurali dalle modalità di gestione dell’area protetta se
non persino dallo stesso spazio fisico nel quale vivevano (Holmes, 2007).
Le società rurali, che spesso conoscono e vivono il loro status di uomo abitante
affermando i valori della people’s geography, vengono quindi escluse dalla gestione
ambientale dell’area protetta (talvolta anche manu militari o con dislocamenti forzati
dalle aree protette), vedendosi negato l’accesso alle indispensabili risorse naturali.
Questo processo di netta demarcazione e separazione degli spazi per la conservazione
delle wilderness areas e per le attività umane, conduce inevitabilmente al fatto che le
comunità non riescono ad accedere a quegli ecosystem services che per molto tempo
40
hanno permesso loro di produrre e riprodurre loro stesse e il territorio con cui
interagivano. Le popolazioni indigene, in molti casi dei PVS, venivano attaccate
militarmente o giuridicamente per essere espulse dall’area come viene riportato nei
casi di studio di questo tipo in Africa: il Nechesar National Park e l’Omo National
Park (Etiopia, 2004) la cui realizzazione ha comportato l’allontanamento fisico di
500 persone e le ha costrette a re-insediarsi al di fuori di esso(Adams, Hutton, 2007).
Nello studio di caso preso in esame in questa tesi, l’istituzione nel 1979 del Parco
Naturale Yasuní (IUCN, 1982) e il successivo innalzamento a livello di Riserva della
Biosfera (1989) nella pianificazione e gestione dei programmi MAB (UNESCO,
MAB, 2004), hanno comportato la ridefinizione dei territori indigeni Wuaorani e
Quichua e la loro riubicazione delle comunità attraverso l’uso di elicotteri e
dislocamenti forzati. Tali dinamiche per la realizzazione della Riserva della Biosfera
Yasuní hanno innescato i primi segnali di rifiuto da parte degli attori locali indigeni
verso la perimetrazione dell’area protetta (Vallejo, 2003 p. 40).
In questi casi le aree naturali protette pongono importanti questioni da affrontare con
un approccio sistemico: quali siano le comunità da escludere, tramite quale autorità,
quali siano i benefici e verso chi siano indirizzati, e soprattutto a quali costi (Faggi,
Turco, 2001).
Le modalità di realizzazione delle aree protette, con le loro logiche territoriali e
multiattoriali, diventano percorsi che portano a possibili scenari di conflitto
ambientale. Tali conflitti, oltre a coinvolgere due o più attori territoriali ed avere una
o più “poste in gioco” legate alla natura, possono esprimersi in quelle che sono
chiamate arene di contesa ambientale.
Le arene di contesa sono degli spazi concettuali dove gli attori si esprimono e
difendono i propri interessi, determinando le occasioni del conflitto e le modalità
principali attraverso cui questo si sviluppa (Faggi, Turco, 2001).
La genesi dei conflitti ambientali passa spesso attraverso le arene di contesa
ambientale che sono in rapporto alle controversie ideologiche, scientifiche,
giuridiche, economiche, politiche.
Il conflitto ambientale sottende quindi un problema legato alla locazione fisica che
traduce una dinamica sociale generata da una geografia, ossia da una modalità di
41
agire territoriale “che proietta sulla collettività, locale o più ampia, effetti più o meno
profondi o duraturi.” (Faggi, Turco, 2001).
A volte queste due tipologie di rifiuto alle trasformazioni territoriali, siano esse per la
costruzione di infrastrutture o per la realizzazione di aree protette, si combinano
dando luogo ad una vasta gamma di percorsi possibili e scenari di conflitto
ambientale.
I conflitti ambientali presi in esame si contestualizzano nella Regione Amazzonica
Ecuadoriana (RAE) e gravitano dentro ed intorno la Riserva della Biosfera Yasuní
istituita nel 1989 (UNESCO, MAB, 2004). L'Ecuador, dichiarato Paese Megadiverso
(WCMC, UNEP, 2004) e incluso nell’area definita biodiversity hotspot nelle Ande
tropicali (Primack, 2004), ha attualmente in corso ventidue conflitti ambientali
documentati (Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali, CDCA, 2009)
rivelandosi, per le poste messe in gioco, per gli attori e per il ruolo che ricopre a
livello internazionale nella conservazione della biodiversità, un paese ad alta criticità
ambientale e sociale (Fontaine, 2003). Le poste in gioco all’interno della RAE
possono essere per semplicità differenziate ma esse si intrecciano e si sovrappongono
nella complessità delle dinamiche territoriali, determinando una genesi del conflitto
ambientale articolata e complessa, con percorsi plurali e di diplomazia multipla (De
Marchi, p.108). Le poste in gioco dei conflitti ambientali sviluppati all’interno della
RAE sono messe in relazione alle seguenti risorse naturali: le risorse forestali, le
risorse genetiche, le risorse idriche, le risorse minerarie, e le risorse idrocarburiche
(Fontaine, 2004).
Lo sviluppo delle attività petrolifere cominciato agli inizi del 1960 (Varea et al.,
1997) con la costruzione della prima via di comunicazione terrestre (la Shell road,
1962) che collegava la RAE alle Ande e il contemporaneo sviluppo della
colonizzazione agricola della RAE (legge di Riforma Agraria e Colonizzazione,
1967) promosso dallo stato ecuadoriano, hanno dato inizio a processi di
territorializzazione per sostituzione, basati principalmente su attività industriali
estrattive quali il legname ed il petrolio (Vallejo, 2003). L’espansione della frontiera
petrolifera nell’Amazzonia ecuadoriana ed il degrado ambientale da essa provocato,
documentato in numerosi studi nei PVS (Turco, 1997; OTCA, 2004; Narvaez 1996;
42
De Marchi 2004), costituisce, con l’avanzamento delle grandi infrastrutture di
comunicazione, uno dei direct drivers nei processi di degradazione degli ecosistemi
forestali tropicali e nelle dinamiche di cambiamento in rapporto alle modalità land
use/land cover (Forest and Woodlands System, M.A. 2005, p. 607), alimentando
l’ampliamento e l’intensificazione delle attività agricole e dell’estrazione di legname
ad uso commerciale su piccola e grande scala (Narvaez, 2000). Gli indirect drivers
(Forest and Woodlands Systems, M.A. 2005, p. 609) nei processi di degradazione e
conversione delle formazioni forestali sono da riferirsi alle dinamiche dei sistemi
sociali e alle politiche agricole ed economiche che esercitano un elevato grado di
influenza sui direct drivers (si veda la tab. 1.0 pag. 9).
All’interno dello spazio amazzonico ecuadoriano concorrono quindi, in maniera
sinergica, diversi processi di territorializzazione condotti dai diversi attori
sintagmatici (Faggi, Turco, 2001), legati all’istituzione ed alla gestione della Riserva
della Biosfera Yasuní, all’espansione della frontiera agricola ed all’insieme delle
attività industriali per la produzione petrolifera (Narvaez, 1998).
La conflittualità ambientale messa in relazione all’area protetta risale all’ istituzione
del Parco Yasuní nel 1979 (IUCN, 1982) la cui delimitazione si è sostanzialmente
basata sull’individuazione di ampie wilderness areas (con copertura vegetale
“intoccata”) tramite voli aerei e fotointerpretazione, utilizzando un approccio al
territorio letteralmente desde arriba.(dall’alto) (Moran, 2005).
In realtà tali ampie wilderness areas di “foresta vergine” erano utilizzate ed
attivamente modificate da diverse comunità umane che abitano la pianura
amazzonica, in particolare gli indigeni Wuaorani, Quechua, Shuar, Cofan e contadini
provenienti da altre aree (i colonos) (Vallejo, 2003).
Le pratiche di territorializzazione sviluppate dalle comunità locali amazzoniche sono
però morbide e prevalentemente simboliche, mediate dal corpus di conoscenze e
competenze sviluppate nel rapporto con l’ambiente naturale (De Marchi, 2004, p.
140). Le attività delle comunità indigene amazzoniche, consistendo in agricoltura
itinerante, caccia, pesca e raccolta, risultavano di poca incidenza sulle dinamiche land
use/ land cover (Brownrigg, 1997), pertanto non facilmente visibili o individuabili
tramite immagini satellitari e fotografie aeree (Vallejo, 2003). La perimetrazione del
43
Parco Nazionale Yasuní (1979) e la successiva Riserva della Biosfera, processo
contemporaneo all’occupazione dello spazio amazzonico per lo sviluppo delle attività
agricole e petrolifere della RAE (Narvaez, 1996), ha contribuito alla rottura
dell’assetto territoriale e dell’integrità culturale delle popolazioni indigene portando,
nel 1989, alle prime condizioni conflittuali tra gli attori coinvolti nell’area: comunità
indigene, militari, compagnie petrolifere, missionari (Vallejo, 2003).
A seguito del boom delle attività petrolifere innescatosi con la scoperta di grandi
giacimenti a partire dal 1970 (Fontaine, 2006) e della crisi del modello agro-
esportatore ecuadoriano (Vallejo, 2003) si sviluppano sempre più le infrastrutture di
comunicazione terrestri e comincia a configurarsi il nuovo territorio amazzonico,
tramite processi di “modernizzazione” di quell’area geografica costituita al 96% da
foresta umida tropicale (Narvaez, 1996): installazioni ed industrie petrolifere,
oleodotti e polidotti, centri per il processamento del greggio (vedi fig. 4.12) ed attività
agricole commerciali e permanenti sviluppate su piccola e grande scala (Narvaez,
2000).
Il processo costruttivo di tale configurazione territoriale e l’occupazione dello spazio
geografico amazzonico, tramite l’assegnazione delle licenze d’uso del suolo per la
produzione petrolifera e la realizzazione del complesso infrastrutturale per
l’estrazione, trasporto e smaltimento del petrolio, ha avuto notevoli implicazioni sotto
il profilo ecologico e sociale che hanno fortemente contribuito allo sviluppo del
conflitto che, con periodi di latenza e di visibilità, è al giorno d’oggi ancora in
evoluzione (Narvaez 2000; Vallejo, 2003; Fontaine, 2004).
Gli impatti ambientali della produzione petrolifera nell’Amazzonia ecuadoriana sono
principalmente legati alle deforestazione di circa il 30% delle formazioni forestali
tropicali ed alla loro frammentazione (Gomez, 1991), all’inquinamento della rete
idrografica e delle falde acquifere (Narvaez, 1996, p. 12; International Water
Tribunal, 1994, in De Marchi, 2004), all’erosione del suolo ed alla perdita di
biodiversità (Haller et al., 2007; Narvaez 2000).
Inoltre la colonizzazione della regione amazzonica, ed il suo processo unilaterale di
integrazione fisica e territoriale alla modernità ecuadoriana ha comportato anche
impatti a livello sociale (Santos 1991, in Narvaez, 1996). L’espansione delle attività
44
produttive agricole e petrolifere e la costruzione di grandi infrastrutture di
comunicazione hanno dato impulso alla canalizzazione dei flussi migratori all’interno
della RAE ed alle conseguenti nuove pratiche di territorializzazione nello spazio
amazzonico (Narvaez, 1996).
Se da un lato gli stessi impatti ambientali, soprattutto gli effetti sulle risorse idriche e
biologiche, hanno influenzato qualitativamente e quantitativamente gli ecosystem
services disponibili alle comunità locali, dall’altro il processo di territorializzazione
attraverso la rete viaria utilizzata per le attività produttive ha comportato una
sovrapposizione tra le logiche d’agire differenti: quella delle popolazioni indigene
influenzata dalle logiche d’acqua e adattata al denso reticolo idrografico dei bacini
fluviali amazzonici, l’altra dei nuovi attori che costruiscono il territorio lungo le
infrastrutture di comunicazione terrestri. (Bertocin, 2004). Quest’ultimo agire
territoriale determina lo sviluppo di processi di territorializzazione per sostituzione,
nei quali le formazioni forestali originarie vengono sostituite attraverso la
parcellizzazione per l'agricoltura estensiva (prevalentemente monocolture di palma
africana), nuove forme di agricoltura stabile e l’occupazione dello spazio fisico
impiegato per le installazioni dell’industria petrolifera (De Marchi, 2004).
Per la sua sovrapposizione geografica e territoriale ai processi appena descritti la
Riserva della Biosfera Yasuní è, sia direttamente che indirettamente, coinvolta nelle
dinamiche del conflitto ambientale, trasformandola da area protetta a livello
internazionale in una delle poste in gioco nella complessità del conflitto.
45
Fig. 1.9 Dayuma, buffer zone della Riserva della Biosfera Yasuní. Importante fuoriuscita di petrolio causata dalla rottura di un oleodotto situato in prossimità del corpo d’acqua. (attività di campo del 12/04/2006;-coordinate geografiche 0.646° Sud e 76.855° Ovest; sistema di riferimento WGS84)
46
2 Inquadramento geografico, ecosistemico e territoriale 2.1 Ecuador: geografia, biodiversità ed ecosistemi L’Ecuador è un piccolo stato del Sudamerica che si affaccia sull’oceano pacifico e la
cui superficie giace esattamente nell’intersezione tra l’equatore e la catena montuosa
delle Ande. I limiti politico-amministrativi sono compresi tra le coordinate
geografiche 1°21’06’’ Nord e 5°0’56’’ Sud e tra le longitudini 75°11’49’’ e 81°0'40’’
Est. La superficie attuale è di 256.370 Km2 per la regione continentale e di 371 km2
per la regione insulare che comprende l’arcipelago delle isole Galápagos, situate
nell’oceano pacifico a 965 Km dalla costa ecuadoriana (FAO, 2000; Istituto
Geografico Militar de Ecuador, 2006). A causa delle storiche dispute territoriali con
il confinante stato peruviano (dal 1941 al 1998), per il controllo dell’area amazzonica
e dei giacimenti petroliferi situati nel sottosuolo della regione, i limiti di stato sul
versante orientale sono stati ridefiniti nel 1998 con la cessione di 14.000 Km2 di
foresta umida tropicale al Perù, portando l’Ecuador all’attuale estensione geografica.
(MAE, 2008; Galeano, 1997).
Nonostante la sua posizione geografica lo collochi all’interno della fascia equatoriale
il clima dell’Ecuador varia enormemente da una regione all’altra a causa della
presenza della Cordigliera delle Ande e dell’influenza delle correnti oceaniche fredde
di Humboldt in estate e di quelle calde del Niño in inverno (McCoy, 2003, FAO,
2000).
I rilievi topografici dominanti sono costituiti dalla doppia catena montuosa delle
Ande, la Cordigliera Occidentale e la Cordigliera Orientale, che dividono l’Ecuador
continentale in tre regioni biogeografiche distinte, caratterizzate da sistemi ecologici e
sociali differenti (MAE, 2008, FAO, 2000):
- la regione pacifica, comunemente denominata La Costa
- la regione interandina compresa tra la cordigliera occidentale e quella orientale,
chiamata Sierra
- la regione amazzonica che, estendendosi per tutta l’area ad est della Cordigliera
della Ande, viene chiamata el Oriente.
47
Fig. 2.1 Ecuador: Immagine satellitare. (Fonte: NASA, World Wind) e quadro d’insieme (elaborazione G.I.S.)
Fig. 2.2 Ecuador, le tre regioni biogeografiche: la Costa, la Sierra, l'Amazzonia. (Fonte: MAE, 2008)
48
La Costa rappresenta la porzione compresa tra l’Oceano Pacifico e la Cordigliera
delle Ande occidentali fino a 1.300 metri s.l.m., con una superficie relativamente
pianeggiante, ad eccezione di piccole catene montuose regione presenta un clima
caldo umido con precipitazioni annuali che oscillano tra i 355 mm nella parte
meridionale a 6.000 mm nella parte settentrionale. La temperatura media varia tra i
23° ed i 25° Celsius (MAE, 2008, FAO, 2000).
La Sierra include le aree situate tra i 1300 metri s.l.m. e le cime, o il limite dei
ghiacciai (da 3000 ad oltre 4000 metri s.l.m.), sia della Cordigliera occidentale che di
quella orientale delle Ande che corrono tra loro parallele in direzione nord-sud. La
regione ricopre una superficie di 64.760 Km2 e la precipitazione annuale media è di
circa 1.500 mm con temperature medie che oscillano tra i 12° ed i 20° Celsius e
variano notevolmente in funzione del gradiente altitudinale (MAE, 2008, FAO,
2000).
La Regione Amazzonica Ecuadoriana (RAE), o semplicemente Oriente, corrisponde
a tutta l’area compresa tra i 1.300 metri s.l.m. della Cordigliera Orientale delle Ande
fino al limite di stato con il Perù, costituendo la parte occidentale del bacino del Rio
delle Amazzoni, di cui rappresenta il 2%. Con la sua estensione di 131.130 Km2
l’Oriente amazzonico rappresenta quasi il 50% dell’intera superficie nazionale ed è
costituito prevalentemente da un denso bosco umido tropicale. A sua volta all’interno
della RAE si possono distinguere due subregioni corrispondenti all’alto Oriente, tra i
1300 ed i 600 metri s.l.m., con temperature medie di 20°C e precipitazioni di circa
4500 mm/anno, ed il basso Oriente che, con temperature medie che superano i 24°C e
precipitazioni di circa 3200 mm/anno, si estende per tutta la pianura alluvionale. In
entrambe le subregioni il clima è considerato caldo umido tropicale (MAE, 2008;
FAO, 2000).
La Cordigliera andina presenta ventidue cime montuose con altitudini superiori ai
4.200 metri s.l.m., di cui molte sono costituite da vulcani attivi o dormienti. Nell’area
compresa tra la Cordigliera Occidentale e quella Centrale si trova la celebre “strada
dei vulcani”, chiamata in questo modo nel XIX secolo dal naturalista Alexander von
Humboldt, lungo la quale si individuano più di dieci edifici vulcanici, tra cui il
49
Cotopaxi ed il Tungurauha (rispettivamente di 6.896 e 5.023 metri s.l.m.) considerati
tra i più attivi al mondo (McCoy, 2003).
Addizionalmente a questi tre sistemi biogeografici regionali si aggiunge la regione
insulare, ossia l’Arcipelago delle Galápagos, costituita da tredici isole maggiori e sei
isole minori. La regione è situata lungo la linea equatoriale e la genesi dell’arcipelago
è di origine vulcanica (MAE, 2008; FAO, 2000).
Tutti i maggiori fiumi del reticolo idrografico ecuadoriano hanno origine nella
regione della Sierra, organizzandosi in due sistemi idrografici che si orientano o sul
versante occidentale verso l’Oceano Pacifico, o sul versante orientale scorrendo nel
grande bacino idrografico del Rio delle Amazzoni.
I principali fiumi che scorrono dalle Ande verso l’Oceano Pacifico sono:
Guayas, Esmeraldas, Cañar, Macará, Chota. Quelli che drenano dai versanti delle
Ande orientale diventando affluenti del Rio delle Amazzoni sono:
Putumayo, Napo, Tigre, Pastaza, Santiago, Coca (MAE, 2008).
La diversità degli elementi geografici, la variabilità climatica e la storia geologica del
Paese hanno determinato l’esistenza di numerosi ecosistemi nei quali oggi si
concentra una tra le più elevate variabilità biologiche esistenti (ECOCIENCIA,
IUCN, 2001).
Dal punto di vista della biodiversità infatti l’Ecuador è stato inserito all’interno della
lista dei Megadiverse Countries (WCMC, UNEP, 2004), ossia tra i diciassette Paesi
con più alta diversità biologica, a tal punto da occupare il primo posto al mondo sia
nella relazione tra specie di vertebrati su 1000 Km2 di superficie sia per il numero di
endemismi di vertebrati sulla medesima unità areale (MAE, IUCN, 2001). Sempre
all’interno dello stesso documento (WCMC, UNEP, 2004) l’Ecuador si colloca tra i
primi Paesi per numero assoluto di specie di anfibi, uccelli e farfalle (ECOCIENCIA,
IUCN, 2001, p. 4).
Riguardo alle piante vascolari sono state identificate 25.000 specie, di cui il 75%
come piante autoctone e fra cui il 27.3% sono specie endemiche (ECOCIENCIA,
IUCN, 2001)
L’area compresa tra la Cordigliera occidentale e la pianura amazzonica rientra inoltre
tra i centri di biodiversità (biodiversity hotspots, vedi fig. 1.3) individuati da Myer
50
(2000) presentando, come caratteristiche discriminanti per suo riconoscimento di
hotspots, lo 0.5% degli endemismi su scala globale e la perdita del 70% delle
formazioni vegetali originarie.
All’interno della regione continentale ecuadoriana si possono individuare sette biomi
terrestri contemplati nella classificazione IUCN: il bosco umido tropicale, il bosco
secco tropicale, la savana, il bosco montano, il paramo, la foresta di mangrovie e
matorrales xerofitico (ECOCIENCIA, IUCN, 2001).
I sistemi di classificazione relativi agli ecosistemi tropicali sono differenti e si basano
sulle relazioni tra formazioni vegetali e componenti biotiche, componenti abiotiche,
sistema climatico, fattori ambientali (temperatura, bilancio idrico), fattori edafici e
topografici, composizione tassonomica dominante. Il sistema di classificazione più
utilizzato nel passato per descrivere gli ecosistemi tropicali su scala nazionale è
quello proposto da Cañadas (1983) che si basava sul sistema bioclimatico di
Holdridge (1947, 1967), configurando la tassonomia ecosistemica sulla base delle
relazioni tra le formazioni vegetali e il sistema climatico. Usando tale sistema di
classificazione Cañadas ha categorizzato venticinque ecosistemi individuati su scala
nazionale (IUCN, ECOCIENCIA, 2001, p. 22). Recentemente sembra invece essere
sempre più adottata la proposta di classificazione di Sierra (1999) che, appoggiandosi
sul sistema bioclimatico di Holdridge, presenta una struttura a livelli gerarchici che
“basandosi su caratteristiche quantificabili a varie scale di dettaglio siano in grado di
descrivere la struttura, la fenologia, la composizione della vegetazione e la sua
organizzazione in classi relativamente omogenee e uniche” (Sierra, 1999). Il sistema
di classificazione di Sierra si basa quindi su tre livelli gerarchici, ciascuno dei quali
definisce progressivamente caratteri più ristretti delle unità di vegetazione (Sierra,
1999). In questo modo oltre ad un sistema di classificazione standardizzato e
riconosciuto dal Comitato Federale per i dati geografici degli Stati Uniti (FGDC
1997, in Sierra, 1999) è stato prodotto uno studio cartografico basato su immagini
satellitari per monitorare lo stato delle formazioni vegetali rimanenti in Ecuador
(ECOCIENCIA, IUCN, 2001; Sierra, 1999).
I sistemi forestali originari nelle tre regioni biogeografiche (Costa, Sierra e Oriente)
risultano essere infatti profondamente degradati, tantoché un documento del World
51
Resource Institute (1989) ha stimato che nell’intero Paese ecuadoriano siano rimaste
circa il 26% delle foreste primarie. Anche se altre analisi quantitative condotte sulla
copertura forestale rimanente hanno prodotto valori dissimili, probabilmente a causa
della diversa scala di studio (il 42% di Estrella nel 1993 ed il 49% di Sierra nel 1999),
la deforestazione della foresta umida tropicale rimane oggi in Ecuador uno dei
problemi ambientali all’ordine del giorno (Rudel, 1996 in ECOCIENCIA, 2001).
Nel sistema di classificazione degli ecosistemi proposto da Sierra (1999) il primo
livello gerarchico è definito per le caratteristiche fisionomiche generali della
vegetazione, il secondo livello si riferisce a caratteristiche più dettagliate della
struttura e fenologia (determinati principalmente su criteri ambientali), il terzo livello
si riconduce invece alle variazioni altitudinali della vegetazione, le relazioni con le
componenti abiotiche del paesaggio e degli aspetti bioclimatici (Holdridge, 1967;
ECOCIENCIA, IUCN, 2001, p. 23). Sulla base di tale sistema di classificazione sono
stati ottenuti trentaquattro ecosistemi differenti presenti su scala nazionale
ecuadoriana, di cui le classi più rappresentative sono:
- Bosco sempreverde de tierras bajas de la amazonia; è l’ecosistema più esteso
nella regione amazzonica, coprendo oltre il 70% dell’area. Le formazioni
vegetali ricevono precipitazioni superiori ai 2000 mm/anno.
- Bosco sempreverde inondabile de tierras bajas; sono ecosistemi caratterizzati
da inondazioni legate ai ritmi di piena e di magra dei fiumi.
- Bosco de neblina montano; questo ecosistema si estende tra i 2000 ed i 3000
metri s.l.m. Le formazioni vegetali presenti in questo ecosistema ricevono
precipitazioni comprese tra i 500 ed i 2000 mm/anno ed hanno un regime
termico tra i 10°ed i 12°C.
- Matorral seco de tierras bajas; tale ecosistema si localizza nelle zone più
interne della regione continentale ecuadoriana, presentando formazioni
vegetali secche, spinose con piante arboree, disperse nell’area, che possono
raggiungere i sei metri d’altezza. Questo ecosistema si colloca al di sotto dei
100 metri s.l.m. ed ha precipitazioni medie al di sotto di 200 mm/anno.
- Bosco deciduo de tierras bajas; tale ecosistema è frequente nella Costa ed in
un intervallo altitudinale tra i 50 ed i 600 metri s.l.m. Le condizioni climatiche
52
variano da un sito all’altro, purché le precipitazioni siano comprese tra i 50 ed
i 300 mm/anno.
- Matorral umido montano; questo ecosistema è tipico delle valli interandine
umide comprese tra i 2.000 ed i 3.000 metri s.l.m. Le formazioni vegetali
rappresentano oramai il 24% della copertura originaria poiché l’impatto
antropico, specialmente legato ad attività agricole e di pastorizia, è stato
rilevante.
- Paramo; questo ecosistema è caratterizzato dalla presenza di vegetazione
aperta, semiaperta, arbustiva ed occasionalmente boschiva. I paramos si
trovano generalmente tra i 3.400 ed i 4.500 metri s.l.m e conformano
tipicamente il paesaggio d’altura andino. Sono divisi in cinque tipologie
differenti: paramo erbaceo, paramo de frailejones, paramo de almohadillas,
paramo arbustivo e paramo secco. Tutte le tipologie di paramo sono legate
alle caratteristiche ecologiche comuni, come l’alta radiazione ultravioletta,
scarsità d’acqua, bassa pressione di ossigeno e basse temperature (Sierra
1999; ECOCIENCIA, IUCN, 2001).
53
2.2 Ecuador: società, comunità indigene, territorio L’Ecuador è una repubblica democratica presidenziale fondata nel 1830 in seguito
alle guerre d’indipendenza ed al successivo distaccamento dalla Repubblica della
Gran Colombia istituita da Simon Bolivar (Chiaramonti, 1992). Attualmente
all’interno del Paese ecuadoriano, secondo l’ultimo censimento INEC (Istituto
Nazionale di Statistica) del 2001, risiedono 12.5 milioni di abitanti, con un tasso
di crescita del 2-3% all’anno, di cui circa il 60% vive in aree urbanizzate (INEC,
2001). A causa della forte crisi economica che ha coinvolto il Paese nell’ultimo
decennio del novecento, l’Ecuador ha adottato ufficialmente il dollaro
statunitense come moneta corrente abbandonando l’antica valuta ecuadoriana, il
Sucre, che aveva perso oltre il 40% del suo valore. E’ stimato che circa il 30%
della popolazione è economicamente attiva (INEC, 2001): la maggior parte è
costituita da emigranti in Paesi europei, principalmente la Spagna, che hanno
lasciato l’Ecuador nella grande ondata migratoria del 2000 (Fontaine, 2006).
L’economia nazionale fino al 1960-1970 si è basata principalmente su attività
commerciali estrattive ed agricole, come la gomma e le piantagioni di banane e
cacao, conferendo all’Ecuador un ruolo centrale nelle esportazioni di tali prodotti
(Haller, 2007) in Sudamerica. Sarà la convergenza tra la crisi del modello agro-
esportatore e la scoperta di consistenti giacimenti petroliferi nell’amazzonia
ecuadoriana a determinare un’inversione di tendenza nelle attività produttive ed
economiche del piccolo paese sudamericano. Nel 1973 l’Ecuador entra a far parte
dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) implementando
enormemente le attività di prospezione ed estrazione di petrolio nell’Oriente. Gli
introiti delle esportazioni di greggio coprono oggi quasi il 55% del bilancio
economico nazionale (Fontaine, 2006; Haller et al., 2007).
Recentemente, in seguito all’imponente domanda del mercato globale, l’Ecuador
è diventato uno dei maggiori esportatori di gamberetti, i quali vengono prodotti in
allevamenti intensivi di specie alloctone (camaroneras) sulla costa del Pacifico,
all’interno degli ecosistemi a Mangrovie, protette dalla convenzione RAMSAR
54
sulle zone umide. Attualmente la produzione di gamberetti a fini commerciali
rappresenta il 18,8% delle esportazioni ecuadoriane (Haller et al., p. 309).
Il sistema produttivo ecuadoriano si basa quindi su attività estrattive ed agro-
industriali, implicando un uso del suolo legato all’agricoltura intensiva e alla
gestione di risorse non rinnovabili come il petrolio e l’estrazione di numerosi
minerali (oro, stagno, zinco, piombo, rame, carbone, ferro) (FAO, 2000).
USO DELLA TERRA SUPERFICIE (ha) PERCENTUALE Boschi naturali 11.473.000 42% Agricoltura e caccia 7.721.000 28% Suoli urbani non produttivi 5.096.000 18% Terre ad uso potenziale forestale
2.578.000 9.53%
Allevamento di gamberi 93.000 0.34% Aree adibite a “saline” 19.000 0.07% TOTALE 27.058.000 100%
Tab. 2.1 Ecuador: uso della terra e superficie utilizzata in Ecuador; all’interno della categoria “Boschi naturali” rientrano anche le aree in concessione per la produzione petrolifera. (Fonte: FAO, 2000) La popolazione dell’Ecuador è formata per il 52% da gruppi indigeni, per il 40%
da meticci mentre il rimanente 8% è composto principalmente da gruppi etnici
afrodiscendenti e di origine spagnola (FAO, 2000). La popolazione indigena e
meticcia, nonostante le migrazioni verso le aree urbanizzate di tutto il Paese, vive
prevalentemente nelle zone rurali della Costa, della Sierra e della RAE
(ECOCIENCIA; 2001).
COSTA SIERRA ORIENTE Awà Otavalo Cofàn Chachi Cayambe Sionas e Socoyas Tsachila Cotopaxi Quichuas dell’Amazzonia Afroecuadoriani Salasaca Wuaorani Epera Chimborazo Shuar Saraguro Záparos Cañar Achuar
Tab. 2.2 Ecuador, gruppi indigeni divisi per comunità formalmente riconosciute dallo stato ecuadoriano (Fonte: FAO, 2000).
55
La maggior parte delle popolazioni indigene ecuadoriane, nelle loro differenze e
peculiarità, condividono le stesse problematiche principalmente legate alla
questione territoriale, all’accesso alle risorse naturali ed ai diritti su tali risorse
(Brownrigg, 1996).
Trattare la questione della biodiversità in Ecuador significa anche affrontare la
tematica della diversità culturale. Le popolazioni indigene hanno infatti stabilito
relazioni ancestrali con gli ecosistemi presenti sul territorio ecuadoriano,
utilizzando gli ecosystem services derivati dalla biodiversità, e hanno sviluppato
conoscenze e competenze per gestirla senza comprometterla (ECOCIENCIA,
IUCN, 2001).
A maggior grado di biodiversità corrisponde un livello maggiore di complessità
degli ecosistemi e ne consegue una maggior difficoltà nel conoscerli, interpretarli
e gestirli (ECOCIENCIA, IUCN, 2001). Questa stessa complessità però ha dato
impulso ad un arricchimento delle conoscenze e delle competenze delle
popolazioni indigene, tramite modalità di adattamento specifiche, di risposta
creativa e differente in termini di tecnologie e di forme di organizzazione socio-
culturali delle comunità locali. Tali relazioni modificano le forme di adattamento
tra le comunità e la biodiversità. Anche se il sistema indigeno di uso del territorio
si fonda su principi e caratteristiche comuni a tutta la popolazione indigena, le
attività sono sviluppate e modulate in maniera differenziata per essere in grado di
utilizzare gli ecosystem services in base alla biodiversità specifica ed al potenziale
produttivo dei vari ambienti naturali nei quali vivono (Brownrigg, 1996).
La maggior parte dei gruppi indigeni e delle popolazioni locali utilizza
coltivazioni itineranti, più o meno intensamente, con la combinazione di attività
di caccia, raccolta e pesca. Riguardo alla biodiversità le conoscenze e competenze
locali sviluppate per soddisfare i propri bisogni sono molto elevate; è difficile
effettuare delle stime, ma si pensa che il numero di specie conosciute ed utilizzate
dalle comunità sia compreso tra le 300-600 specie. Solamente nell’ambito della
medicina tradizionale e nelle piante utilizzate per curare la malaria, in una
comunità dell’Amazzonia brasiliana, venivano segnalate un’ottantina di piante
(Paoletti, 2001). Anche se non esistono studi con dati completi sulla conoscenza
56
della biodiversità nell’uso tradizionale, è significativo notare che alcune
popolazioni amazzoniche come gli Yanomami (Venezuela), con un livello alto di
integrità culturale e di adattamento all’ecosistema forestale, sappiano riconoscere
390 specie vegetali ed animali ad uso alimentare (Paoletti, 1999).
Le piante più importanti utilizzate dalle popolazioni indigene e dalle società rurali
ecuadoriane nella dieta alimentare, solo per citarne alcune, sono: yuca ( o
manioca, Manihot sculenta), patate dolci (Ipomoea batatas), platano e banane
(appartenenti alla famiglia delle Musaceae), taro potatoes (Colocasia esculenta),
chonta (Iriartea deltoidea) e chontaduro (Bactris gasipaes e alberi da frutta
(Moran, 2000).
Le modalità di organizzazione della produzione, lo sviluppo di tecnologie, la
formazione di sfere specifiche di conoscenze sommato al complesso sistema
simbolico che ha regolato l’impiego di risorse, hanno reso possibile per millenni
la gestione degli ecosistemi tropicali e allo stesso tempo la loro conservazione. A
testimoniare questa gestione sostenibile delle risorse naturali è il fatto che, al
momento, la maggior parte di foresta primaria rimasta in Ecuador si trova in aree
geografiche appartenenti al territorio indigeno, ossia l’Amazzonia ecuadoriana.
Le popolazioni indigene e le società rurali dell’Ecuador, nella loro eterogeneità
culturale, sono dislocate territorialmente e si plasmano prevalentemente
all’interno dei confini naturali delle regioni biogeogeografiche sopracitate.
Le comunità locali della Costa (Agua, Chachi, Tsachila, Afroecuadoriane, Epera)
si sono sviluppate ed adattate, ad esempio, in base agli ambienti naturali degli
ecosistemi del bosco sempreverde de tierras bajas e del bosco sempreverde
pedemontano della Cordigliera Occidentale delle Ande (vedi fig. 2.2 p. 47).
La comunità indigena più numerosa è quella Chachi, la cui popolazione è stimata
intorno alle otto mila persone e vivono nella parte nord-occidentale della Costa
Esmeraldas, un una regione biogeografica che è la continuazione del Chocò
(Colombia). Tale regione è il secondo biodiversity hotsposts riconosciuto in
Ecuador (Primack, 2004). Le pratiche tradizionali sono legate all’agricoltura
itinerante, alla pastorizia e taglio selettivo di piante arboree. La dieta alimentare si
basa sul platano e sulla yuca; commercializzano cacao e caffè, così come canoe di
57
legno e artigianato costruito con fibre vegetali. Il contesto ambientale di questa
popolazione indigena è stato fortemente condizionato dalla penetrazione delle
imprese di legname e dalla colonizzazione agraria. Gli ecosystem services derivati
dalla biodiversità delle formazioni boschive e dai fiumi sono fortemente diminuiti
a causa delle pervasive attività estrattive, minando profondamente la base
alimentare e proteica di questa popolazione. Molte comunità soffrono di malattie
tropicali come l’oncocercosi e la malaria (ECOCIENCIA, 2001).
Le stesse problematiche coinvolgono le comunità indigene Tsachila che abitano ai
limiti della provincia di Pichincha nella costa. Qui l’avanzata della colonizzazione
agricola e delle imprese agro-industriali ha prodotto la perdita quasi totale del loro
territorio ancestrale. Le attività tradizionali sono oggigiorno estremamente ridotte
e la loro vita è immersa nel commercio di bestiame, frutta tropicale e l’esercizio
della medicina tradizionale per fini commerciali. I pochi elementi culturali che
riescono a mantenere coesione etnica sono soprattutto legati alla lingua, il
“tsafiqui” (ECOCIENCIA, 2001).
Un’altra popolazione indigena della Costa che merita di essere menzionata è
quella degli Awà. Queste popolazioni vivono nella parte nordoccidentale della
regione, tra Esmeraldas e Carchi e il loro territorio si estende fino in Colombia.
Sono approssimativamente intorno alle cinquemila unità e vivono tra gli
ecosistemi del bosco sempreverde basso montano (da 1300 a 1800 metri s.l.m) e
del bosco montano de neblina (da 1800 a 3000 metri s.l.m.). La loro strategia
adattiva ha fatto sì che si spingessero in zone isolate lungo le fasce pedemontane
ed i Paramos delle Ande Occidentali, dedicandosi a forme di agricoltura
itineranti, caccia e raccolta di frutti. La costruzione di nuove strade nei loro
territori, le attività intensive per l’estrazione di legname dalle formazioni boschive
e le pratiche agricole monocolturali stanno minacciando gli ecosistemi nei quali
abitano e quindi anche la loro stessa esistenza e cultura.
Le popolazioni cosiddette afroecuadoriane, o afrodiscendenti, sono cominciate ad
arrivare in Ecuador durante il periodo della “tratta degli schiavi” dall’Africa e si
sono insediate nelle zone litoranee della provincia di Esmeraldas, nella valle del
rio Chota e nella zona nord della Sierra. Secondo alcuni le popolazioni
58
afrodiscendenti, organizzate in comunità locali, sono circa 500.000 ed hanno, in
maniera eterogenea, sviluppato meccanismi di recupero e di valorizzazione del
loro patrimonio culturale africano.
Le comunità indigene della Sierra sono società multietniche che hanno adottato il
Quichua, di origine pre-incaica, come lingua comune. Queste popolazioni abitano
prevalentemente la parte settentrionale della Cordigliera delle Ande adattandosi
agli ecosistemi d’altura (tra i 1.300 ed i 4.300 metri s.l.m). Tale adattamento ha
permesso loro di sviluppare un’insieme di pratiche e competenze definite di
“microverticalità”, che facilitano nell’integrazione con il pronunciato gradiente
topografico dei versanti andini. In questo modo hanno sviluppato un’insieme di
strategie tali da consentire l’agricoltura tradizionale in terrazzamenti, su diversi
livelli climatici o la pratica della policoltura nel medesimo ecosistema. Anche se
non tutta la popolazione della Sierra è contadina, la maggior parte delle società
multietniche Quichua basano il loro sostentamento su attività legate
all’agricoltura e all’artigianato, per i quali l’accesso alla terra è elemento
essenziale per la sopravvivenza.
Riguardo al sistema agricolo ed ai suoi modelli di produzione è importante
rilevare che, nonostante le numerose riforme agrarie attuate, l’accesso alle terre e
la loro distribuzione siano oggi problematiche importanti per la sopravvivenza e
l’integrità delle comunità indigene. Il 2,2% della popolazione possiede più del
50% delle terre e che un terzo coltiva meno del 10% della superficie utilizzabile
(Haller et al., 2007).
Le popolazioni indigene e le comunità locali nel corso della storia sono state
sottomesse e sfruttate in diversi gradi e forme di intervento (socio-culturali,
tecnologiche, economiche e di conoscenza) che ne hanno modificato
l’organizzazione sociale, le “cosmovisioni”, le pratiche culturali e le modalità di
uso e di gestione delle risorse naturali, provocando ripercussioni sugli ecosistemi.
A livello internazionale è la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD),
ratificata dall’Ecuador nel 1993, che ha permesso per la prima volta il
riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali sulla
biodiversità e le risorse naturali. E’ il Trattato 169 dell’ILO sulle popolazioni
59
indigene e tribali (International Labour Organization, Ginevra 1989) a sancire a
livello internazionale i loro diritti, anche se sarà solamente nel 2005 che il
governo ecuadoriano adotterà ufficialmente l’approccio ecosistemico per la
conservazione della biodiversità (Ministerio de Relaxiones Esteriores, de
Comercio y Integracion, MRECI, 2005).
Riguardo alle popolazioni locali (indigene e colonos) dell’Oriente amazzonico
verrà dedicato un approfondimento nell’inquadramento territoriale dell’area di
studio, dove verranno affrontate le problematiche relative alla Regione
Amazzonica Ecuadoriana.
2.2.1 Aree Protette e territori indigeni Uno dei problemi sentiti da parte delle comunità locali indigene è la sovrapposizione
delle Aree Protette inserite nello SNAP ai territori indigeni. Delle ventitre aree
protette nella regione continentale dieci sono state realizzate nell’Oriente
amazzonico. Secondo stime della CONFENAIE (Confederazione Nazionale
Popolazioni Indigene) i territori indigeni situati all’interno tali aree o nelle zone
d’influenza adiacenti ad essi rappresentano circa il 20% dei territori indigeni
rivendicati nella RAE (vedi tab. 2.3, p. 60). La maggioranza di tali aree protette si
localizza nella zona nordorientale della RAE, laddove si sono concentrate le aree
concesse per attività industriali per la produzione petrolifera (Ecociencia, 2001).
L’istituzione e la realizzazione di tali Aree Protette ha determinato una serie di
conflitti tra i quali merita di essere trattato a parte quello rispetto alla proprietà legale
delle terre. Secondo la legge forestale vigente in Ecuador (art. 71 e art. 73) infatti
l’istituzione delle Aree Protette in territorio indigeno comporta l’acquisizione dei
diritti di proprietà sulla terra ed impone la restrizione alla popolazione dell’uso e della
gestione delle risorse naturali (FAO, 2000).
Come spesso accade la realizzazione di tali aree predisposte per la conservazione
della biodiversità non ha previsto né attuato il coinvolgimento delle comunità locali
60
né in fase di realizzazione né in quella gestionale, escludendo di fatto le popolazioni
indigene dai processi decisionali e di pianificazione.
Area Protetta (SNAP)
Superficie (ha)
Comunità indigene che vivono all’interno dell’Area Protetta
Popolazioni indigene che vivono nella zona d’influenza dell’Area Protetta
P.N. El Condor 2.440 Shuar Shuar P.N. Llanganates 219.707 Assenti Quichua P.N. Podocarpus 146.280 Assenti Shuar P.N. Sangay 517.765 Assenti Shuar e Quichua P.N. Sumaco 205.249 Quichua Quichua P.N. Yasuni 982.000 Quichua, Wuaorani,
Shuar Quichua, Wuaorani, Shuar
Riserva Biologica Limoncocha
4.613 Quichua Quichua
Riserva faunistica Cuyabeno
603.380 Cofàn, Secoya, Siona, Quichua
Quichua
Riseva ecologica Antisana
120.000 Quichua Quichua
Riserva Ecologica Cayambe-Coca
403.103 6 gruppi indigeni 3 gruppi indigeni
Tab. 2.3 Relazioni tra popolazioni indigene ed Aree Protette appartenenti allo SNAP. (Fonte: Kingman e Ruiz in ECOCIENCIA, 2001) 2.3 Area di studio 2.3.1 Regione Amazzonica Ecuadoriana: ecosistemi. L’area di studio si inserisce nella Regiòn Amazònica Ecuadoriana (RAE) (el Oriente)
che, con il 45% del territorio nazionale, ricopre all’area geografica che si colloca a
partire dai 1.300 metri s.l.m. della fascia orientale della Cordigliera delle Ande per
arrivare fino ai limiti di stato ad Est, ossia al confine con Perù e Colombia.
All’interno della RAE si trovano circa la metà delle formazioni boschive
dell’Ecuador, tra le quali la dominante è la foresta umida tropicale (MTF), e si
concentra circa il 40% della biodiversità del Paese (MAE, 2001). Il clima della RAE si caratterizza in base a due regimi pluviometrici: il primo segue l’asse nord-sud seguendo un’altimetria simile con precipitazioni medie
comprese tra i 4.000 mm ed i 2.000 mm annuali, diminuendo secondo il gradiente
61
latitudinale; il secondo regime pluviometrico segue l’asse est-ovest ed ha
precipitazioni comprese tra i 2.500 mm ed i 3.500 mm annui aumentando d’intensità
lungo la fascia pedemontana orientale delle Ande (ECORAE, 2002).
A causa della diversità degli habitat, del clima e degli ecosistemi, la regione
amazzonica ecuadoriana (RAE) presenta un’elevata diversità biologica in ogni suo
livello organizzativo. Il contributo in termini di biodiversità e di tasso di endemismo
della RAE porta l’Ecuador ad essere riconosciuto come Paese Megadiverso
(ECORAE, 2002)
Per avere un’idea ci si può riferire al bacino idrografico del Rio Napo, dove sono
state classificate 470 specie di pesci, numero che supera i registri di qualunque altro
sistema idrografico del mondo (IUCN, ECOCIENCIA, 2000).
A seguire una breve descrizione degli ecosistemi presenti nella RAE (vedi
elaborazione G.I.S, carta degli ecosistemi, fig. 4.2, pag 123)
Bosco sempreverde de tierras bajas de la Amazonia
Questo ecosistema costituisce l’estensione più ampia della RAE e dell’intera Amazon
basin. Si estende su un’area di 1.492.858 ha e ricopre il 43% della RAE (ECORAE,
2002). Include vegetazione su colline medianamente diseccate (ossia con incisioni di
origine fluviale) e boschi su terreni piani e ben drenati, non inondabili e in terreni
piani poco drenati. Sono formazioni boschive differenti, altamente eterogenee, con
elevati indici di biodiversità (Sierra, 1999). Tali formazioni hanno una volta forestale
che può raggiungere i 30 metri di altezza e piante arboree emergenti che superano i
40 metri, chiamati “alberi di tierra firme”. La tierra firme si distribuisce su terreni
relativamente piani di origine alluvionale o colluviale. Gran parte della vegetazione
naturale è stata tagliata, lasciando poche aree dove è presente l’ecosistema originario;
è stato stimato che la biodiversità sui terreni piani ha il 40% in meno di specie che
crescono in terreni collinari (ECORAE, 2002).
Il suolo è fertile e, in alcuni casi, con drenaggio scarso. Il clima della tierra firme è da
umido a molto umido tropicale (Holdrige, 1967); la temperatura oscilla tra i 23 ed i
26 gradi Celsius e le precipitazioni annuali medie sono superiori a 3000 mm. La flora
caratteristica è la seguente (Sierra, 1999): Iriartea deltoidea, Oenocarpus bataua
(Aracaceae); Virola duckei e Otoba glycycarpa (Myristicaceae); Parkia multijuga
62
(Mimosaceae); Eschweilera coriaceae (Lecythidaceae); Pourouma minor e P. bicolor
(Cecropiaceae).
Bosco inondabile de tierras bajas por agua blancas
Si estende su un’area di 129.288 ha costituendo il 3,78% della RAE. Si tratta di
formazioni vegetali che sono ubicate nei terrazzi contigui ai grandi fiumi di acqua
blancas y claras, ossia con una grande quantità di sedimenti in sospensione. E’ più
comunemente chiamata Varzea. La vegetazione arriva fino a 35 metri di altezza e,
lungo le sponde dei grandi fiumi soggetti costantemente a piene, si formano strati
orizzontali di vegetazione in differenti stadi di successione (ECORAE, 2002).
Dall’esterno è visibile e caratteristico uno strato erbaceo-arbustivo ove predominano
Gynerium sagitatum, Tesaria integrifolia e Calliandra angustifolia; un secondo strato
costituito da Cecropia sp. organizzate a macchia densa lungo le zone ripariali del
fiume, tra i 300 ed i 450 metri s.l.m; un terzo strato di bosco più stabile è costituito
principalmente da Ficus insípida e Calycophyllum spruceanum (Sierra, 1999). Il
suolo è fertile ed in alcuni casi mal drenato, formato da superfici di spianamento. Il
clima è umido e molto umido tropicale con precipitazioni medie annuali di 3.000 mm
e la temperatura varia tra i 23 ed i 26 gradi Celsius (Holdrige, 1967). Questo
ecosistema si caratterizza per comunità vegetali di specie pioniere e colonizzatrici
legate ad un flusso stagionale di inondazione. La vegetazione è quindi esposta a
processi morfodinamici fluviali che originano sedimentazione progressiva. Si trovano
specie tra le quali: Amaranthus gracilis, Ageratum conyzoides, Tessaria integrifolia,
Cassia reticulata, Cecropia membranacea, Cyperus ligularis, Fimbristylis
dichotoma, F. littoralis, Kyllinga pumila, Torolinium odoratum, Alchornea
castaneifolia (Sierra, 1999).
Bosco de tierras bajas de palmas y aguas negras
La sua area è di 306.623 ha e rappresenta l’8,97% della RAE. Questo ecosistema è
comunemente noto come moretal o aguajal (Sierra, 1999). Occupa grandi estensioni
piane, mal drenate, e pertanto fangose o inondabili per la maggior parte dell’anno. Le
formazioni arboree raggiungono i 30 metri di altezza con sottobosco relativamente
denso. Buona parte dell’area è inondabile da fiumi di acque “nere”, ossia con molto
materiale organico in sospensione. Altri autori chiamano questo ecosistema igapò
63
(Pourrut et al., 1995). Il suolo è fertile ed in alcuni casi mal drenato, formato da
superfici di spianamento. Il clima è umido o molto umido tropicale con precipitazioni
medie annue di 3.000 mm (Sierra, 1999). Le formazioni arboree appaiono
marcatamente idromorfiche caratterizzate da Mauritia flexuosa associata ad
Astrocaryum sp, con una volta forestale tra i 25 ed i 30 metri (Sierra, 1999).
Occupano i terrazzi fluviali umidi e con scarso drenaggio (ECORAE, 2002).
Zona Intervenida
Nella letteratura ecuadoriana il termine zona intervenida si riferisce ad un ambiente
dove la perdita di habitat un ecosistema dove l’impatto antropico ha determinato la
sostituzione della copertura vegetale. L’ecosistema è fortemente degradato ed i
processi antropici tendono alla modernizzazione ed all’urbanizzazione dello spazio
amazzonico. Più comunemente nella letteratura ecuadoriana tale situazione
ecosistemica viene definita zona intervenida, ossia un’area con elevato intervento
antropico che ha modificato la struttura ecosistemica (ECORAE, 2002). La zona
intervenida ricopre all’interno della RAE una superficie di 555.043 ha che
corrisponde al 16,25% dell’area. A causa della perdita di habitat tali aree non hanno
nessun valore ecologico e “si raccomanda di recuperare la loro attitudine naturale”
(ECORAE 2002).
Gelidofita
Si estende per un’area di 2.601 ha che rappresenta lo 0,08% della RAE e si trova
sopra i 4.700 metri s.l.m. Il paesaggio è dominato prevalentemente da muschi e
licheni. Le piante fanerogame sono praticamente assenti o crescono nel sottosuolo. La
temperatura media annua è prossima allo zero Celsius (ECORAE, 2002)
Páramo de almohadillas
Si localizza tra i 4.000 e 4.500 metri s.l.m. All’interno dell’Oriente copre circa
104.335 ha e rappresenta circa il 3% della regione amazzonica (ECORAE 20002).
Le formazioni vegetali sono in prevalenza arbusti, piante a rosetta e de almohadilla (a
cuscino), tipiche del paramo andino (Sierra, 1999). Le forme arboree sono assai
ridotte in dimensioni ed appartengono al genere Polylepis ed Escallonia. I suoli sono
poveri e fortemente erosi ed il clima di questi ecosistemi è caratteristico del paramo
64
piovoso e del paramo molto piovoso. Le precipitazioni annuali medie sono tra i 1000
ed i 1500 mm. La temperatura fluttua tra i 4 ed i 9 gradi Celsius (Holdrige, 1967).
Páramo herbáceo
Questo ecosistema ricopre 54.345 ha, equivalente a 1,59% della RAE. La maggior
parte del paramo erbaceo si sviluppa tra i 3.400 e 4.000 metri s.l.m. Il suo limite
inferiore è sovente delimitato dalla Ceja Andina arbustiva laddove esiste l’ecosistema
originario, altrimenti la demarcazione coincide con aree deforestate sostituite con
campi coltivati. Questa tipologia di paramo è dominata da piante erbacee del genere
Calamagrostis e Festuca. Il suolo è a bassa fertilità, il substrato instabile e
impermeabile. La piovosità media annuale è tra 1 000 a 1 500 mm (Holdrige, 1967).
Paramo de frailejones
Questo ecosistema è caratterizzato da molte specie del genere Espeletia (Asteraceae)
e si colloca tra i 3.500 ed i 3.700 metri s.l.m nella cordigliera orientale dell’Ecuador.
Le specie piu’ rappresentative sono Azorella spp (Apiaceae); Espeletia pycnophylla
ssp angelensis; Espeletia pycnophylla ssp llanganatensis; Pentacalia andicola;
Pentacalia spp; Diplostephium floribundum; Baccharis teindalensis; Werneria
crassa (Asteraceae) (ECORAE, 2002).
Bosco di Neblina delle Ande orientali
Si ubica tra i 2.000 ed i 2.900 metri s.l.m. Gli alberi sono ricoperti da abbondante
muschio e sono numerose le epifite, specialmente le orchidee, felci e appartenenti alla
famiglia delle Bromeliaceae, che qui esprimono la loro massima biodiversità insieme
con le Bambusoideae (ECORAE, 2002). Questo ecosistema si estende su un’area di
109540 ha che equivale al 3,21% della RAE. Il clima è da temperato molto piovoso a
paramo molto piovoso. La temperatura fluttua tra i 12 e i 18 gradi Celsius, e le
precipitazioni annuali medie arrivano a 3.000 mm (Holdrige, 1967).
Bosco sempreverde alto montano delle Ande orientali.
Ricopre un’area di 182.177 ha che rappresenta il 5.33% della regione amazzonica
ecuadoriana. Si estende dai 2900 a 3.600 metri s.l.m..ed include la vegetazione di
transizione tra il bosco alto montano ed il paramo (Sierra, 1999). Il suolo è a bassa
fertilità ed il suo clima è compreso tra il piovoso-temperato al paramo molto piovoso.
65
La temperatura oscilla tra i 12 ed i 18 gradi Celsius. La precipitazione annuale media
è di 1500 mm (Holdrige, 1967).
Bosco sempreverde basso montano della Cordigliera amazzonica
Si estende su un’area di 126.285 ha che rappresenta il 3,7% della RAE. La volta
forestale raggiunge i 20-30 metri di altezza il bosco è sempreverde e molto denso con
tre strati difficilmente separabili (ECORAE, 2002); Cedrela odorata risulta essere tra
le piante arboree emergenti. Si colloca tra i 1.300 e 1.700 metri s.l.m. ed il suo clima
è classificato come molto umido temperato e piovoso temperato con temperature tra i
12 ed i 18 gradi Celsius; le precipitazioni annuali medie oscillano tra i 1.500 ed i
2.000 mm (Holdrige, 1967).
Praterie della tierras bajas della Amazzonia
Consiste in formazioni vegetali galleggianti situate ai bordi delle lagune della pianura
amazzonica tra i 100 ed i 200 metri s.l.m.. Le associazioni erbacee sono dense e
possono raggiungere anche i due metri di altezza. La maggior parte delle specie sono
piante acquatiche delle famiglie delle Araceae, Marantaceae, Thyphaceae (Sierra,
1999). Il clima è analogo a quello della tierra firme.
Matorral alto montano della Cordigliera amazzonica.
Si estende su un’area di 2.335 ha e rappresenta appena lo 0,07% della RAE. La
vegetazione è tipo macchia e non superiore agli 8 metri di altezza e sono molto
abbondanti muschi e licheni; il tasso di endemismo è molto elevato (Sierra, 1999); il
suolo è a bassa fertilità ed il clima oscilla tra il temperato molto piovoso a temperato
umido (Holdrige, 1967). In questo ecosistema si trovano molte specie ancora
sconosciute delle famiglie Myrtaceae, Humiriaceae e Lauraceae. Il suolo è a bassa
fertilità. La temperatura oscilla tra i 12 ed i 18 gradi Celsius e le precipitazioni
annuali medie sono di 1.500 mm (ECORAE, 2002).
Bosco sempreverde pedemontano dell’Amazzonia
Ricopre un’area di 138.058 ha che equivale al 4,04% della RAE. Tra i 600 ed i 1300
metri si sviluppa una fascia ecotonica tra le specie amazzoniche ed andine (ECORAE,
2002). La volta forestale di queste formazioni vegetali supera i 30 metri di altezza. Le
piante arboree emergenti appartengono al genere Dacryode (Sierra, 1999). Il carattere
di ecotono è dato dalla presenza di alcuni generi tipici delle Cordigliera andina come
66
Saurauia, Hedyosmum, Brunellia e Weinmannia (Ibid., 1999). La diversità biologica
relativa agli uccelli è decisamente alta: 465 specie che costituiscono più del 30% del
totale ecuadoriano (ECORAE, 2002). Il suolo ha una bassa fertilità ed il clima fluttua
tra il molto umido subtropicale e piovoso tropicale con una temperatura tra i 18 ed i
24 gradi e precipitazioni annuali al di sopra dei 2.000 mm (Holdrige, 1967).
Bosco sempreverde basso montano delle Ande orientali
L’area è di 67.406 ha ed equivale all’1,97% della RAE estendendosi in un intervallo
altimetrico tra i 1.300 ed i 2.000 metri s.l.m. Le piante rampicanti sono meno
presenti, mentre felci, orchidee ed i muschi diventano più abbondanti (ECORAE,
2002). Il suolo presenta una bassa fertilità ed il clima è temperato molto piovoso o
temperato umido; la temperatura oscilla tra i 12 e 18 gradi Celsius, con una
precipitazione annuale media di 1.500mm (Holdrige, 1967).
Le tipologie di ecosistemi appena discusse verranno riprese nel capitolo 4 dove sono
state sviluppate le analisi quantitative con il software G.I.S. prendendo in esame gli
ambienti naturali modificati dalle attività antropiche.
2.3.2 La Riserva della Biosfera Yasuní: biodiversità e gestione dell’area protetta Per soddisfare le condizioni della conservazione in situ e l’uso sostenibile degli
ecosistemi naturali e della biodiversità il governo ecuadoriano ha istituito il Sistema
Nazionale delle Aree Protette (SNAP) attraverso il decreto esecutivo numero 74,
approvato il 24 agosto 1981 (Ecociencia, IUCN, 2001) (vedi elaborazione G.I.S. fig.
2.6 p. 81 ).
Il Parco Nazionale Yasuní, grazie al supporto della Food and Agricolture
Organization (FAO) e della United Nation Environment Programme (UNEP), è stato
istituito nel 1979, appartiene al sistema SNAP ed insieme al territorio indigeno
Wuaorani costituisce la Riserva della Biosfera Yasuní (RBY) che, per la eccezionale
diversità biologica e per il patrimonio culturale delle popolazioni indigene, è definita
67
e riconosciuta nel 1989 all’interno del programma Man and Biosphere dell’UNESCO
(Villaverde et al., 2005, p. 82).
La RBY è situata a nordest dello stato ecuadoriano, tra i fiumi Rio Napo e Rio
Curaray, e copre approssimativamente 16800 km2 di cui circa 9800 km2 sono definiti
come Parco Nazionale e 7000 km2 come riserva indigena Wuaorani (Villaverde et
al., 2005, p. 34) (vedi elaborazione G.I.S. fig. 4.1 pag. 120).
Inoltre Tramite il Decreto Esecutivo n° 552 del 1999 è stata creata, al fine di dare
un’alta priorità di conservazione e tutela, un’area a “Riserva Integrale” di 7580 km2,
denominata Zona Intangible, la quale definisce un limite all’interno del quale vivono
in isolamento volontario gruppi indigeni “non contattati” Tagaeri-Taromenane (vedi
elaborazione G.I.S. fig. 4.1 pag. 120), appartenenti all’etnia Wuaorani, che si
mantengono al di fuori dell’influenza del mondo culturale ed economico occidentale.
All’interno di quest’area infatti è formalmente interdetta qualunque forma di attività
estrattiva (Oilwatch, 2005).
Il Parco Nazionale Yasuní (PNY), preso in esame dalla Commission on National
Park and Protected Areas (CNPPA), rientra ufficialmente nella lista dei Parchi
Nazionali ed aree protette IUCN e, in quanto tale, nel 1979 è stato inserito nella
categoria II (IUCN, 1982, p. 196) designato legalmente come strict protected area
(Naughton-Treves et al., 2006).
Le formazioni vegetali presenti nella RBY appartengono al bioma del bosco umido
tropicale (tropical moist forest, Holdridge 1967) di cui oltre l’80% dell’area è
dominata dall’ecosistema tierras bajas de la Amazonia comunemente chiamato tierra
firme, e da terre inondabili por aguas blancas (Varzea) e por aguas negras (Igapò)
(secondo il sistema di classificazione di Sierra, 1999) (vedi elaborazione G.I.S., fig.
4.2 pag. 123).
La R.B.Y. è collocata nella regione inserita tra i venticinque centri di biodiversità
(biodiversity hotspots), denominata da Myers Tropical Andes (2000) ed è considerata
una delle aree geografiche con i più alti livelli di biodiversità dove si concentra il
maggior numero di specie endemiche (Villaverde et al., 2005; ECOCIENCIA, IUCN,
2001; Scientists concerned YNP, 2004). In particolare sono stati riscontrati alti livelli
68
di biodiversità per piante arboree, epifite, anfibi, rettili, pesci d’acqua dolce, uccelli,
chirotteri ed insetti (ECOCIENCIA, IUCN, 2001).
Su scala globale la parte occidentale dell’Amazon Basin è una delle 20 aree mondiali
che contiene più di 3000 specie di piante vascolari su 10.000 Km2 di superficie
(Gomez et al., 1991; Scientists concerned YNP, 2004).
L’eccezionale biodiversità e tasso di endemismi presenti all’interno della RBY sono
probabilmente da ricondursi alla teoria dei “rifugi forestali” del Pleistocene (the
Pleistocene Refugia Hypotesis) la quale ritiene che, all’interno di aree tropicali e sub-
tropicali, le specie abbiano potuto sopravvivere ai drastici cambi climatici del
Quaternario isolandosi e continuando i processi di speciazione (Mayr et O’Hara,
1985).
Complessivamente in tutta l’area della RBY sono state descritte e identificate 1813
specie di piante arboree di cui 300 completamente nuove a cui tutt’oggi deve essere
ancora attribuito un nome scientifico (Ecociencia, 2001).
Secondo gli studi condotti dalla Stazione Scientifica di Ricerca Yasuní (Università
Cattolica di Quito, PUCE) sulla composizione e dinamica forestale, all’interno di un
plot di 25 ha di area sono state censite 1.104 specie di piante arboree ed arbustive.
Tale valore di diversità biologica è comparabile solamente con quelli del Lambir Hill
National Park (Malaysia) dove sono state registrate 1.182 specie in un plot di 52 ha.
(Pitman, 2002; vedi allegato pag. 195 ). Inoltre, solamente riferendosi ad un plot di un
ettaro prossimo alla Stazione per Ricerca sulla Biodiversità Tiputinì (TBS) nella
RBY, sono state registrate 644 specie di piante arboree. Nella RBY la diversità
specifica si estende anche ad altri taxa vegetali, tra cui 313 specie di epifite (Kreft et
al., 2004), 500 specie di liane (Valencia et al., 2002).
Con 567 specie registrate la RBY è ugualmente tra i siti con più alta diversità nel
taxon uccelli, di cui l’area protetta ha un ruolo chiave nella conservazione poiché essa
contiene il 44% delle 1300 specie di uccelli documentate in Amazzonia, la regione
con il più alto numero di uccelli del mondo (Haffer, 1990 in Scientists concerned
YNP, 2004).
Anche rispetto ai mammiferi la RBY presenta valori di diversità elevati. Essa ospita
come minimo 173 specie di mammiferi che rappresentano circa il 40% delle specie
69
presenti nell’Amazon Basin, tale valore è assai indicativo se si pensa che la RAE
costituisce solamente il 2% di superficie del bacino amazzonico. Nella Riserva della
Biosfera in oggetto, tra l’altro si trovano 10 specie di primati non umani tra cui
Alouatta senicolus, Lagothrix lagotricha, e la nota spider monkey, ossia Ateles
belzebuth (Di Fiore, 2001).
Lo stesso dicasi per i chirotteri: 81 specie documentate che rappresenta circa il 10%
delle 986 specie note al mondo (Scientists concerned YNP, 2004). All’interno della
RBY è stata registrata inoltre la presenza di 105 specie di anfibi e di 83 specie di
rettili, rappresentando, in termini di erpetofauna, la maggior diversità di tutto il
continente sudamericano (ECOCIENCIA, IUCN, 2001). Rispetto ciò è rilevante far
presente che la zona di Santa Cecilia, a nord della RBY, aveva il primato di diversità
in erpetofauna con la presenza di 177 specie, il cui habitat però è stato fortemente
degradato dai processi di colonizzazione attivatisi lungo le vie di comunicazione
dell’industria petrolifera (Read, 1996 in Scientists Concerned YNP, 2004).
Anche se non esistono stime precise nella letteratura scientifica esistente, alcuni
autori, tra cui Erwin, ritengono che in un ettaro di foresta umida della RBY possano
esserci più di 100 mila specie di insetti ed un numero come 6x1012 individui: la più
alta biodiversità in termini di insetti al momento nota. Moltissime di queste specie
sono completamente nuove alla scienza e molti sono i generi che si stanno oggi
scoprendo (Erwin in Scientists concerned YNP, 2004).
Per la quantità di specie ad alta priorità di conservazione il World Conservation
Monitoring Center, utilizzando le categorie IUCN, ha pubblicato nella Lista Rossa
mondiale numerose specie minacciate d’estinzione presenti all’interno della RBY.
Tra i Gravemente minacciati (Critically endangered) a livello globale si segnala la
lontra gigante (Pteuronura brasiliensis), il tricheco di Manatee (Trichecus inunguis)
che vivono negli ambienti acquatici dei fiumi Yasuní e Pastaza (Carrera, 2006).
Anche la CITES ha inserito all’interno delle Appendici I e II numerose specie
minacciate, tra cui solo per menzionarne qualcuna, il delfino rosa di fiume (Inea
geoffrensis), il puma (Puma concolor) ed il tapiro amazzonico (Tapirus terrestris).
Per visualizzare in dettaglio, in base ai dati disponibili, l’elenco delle specie a rischio
70
ed il loro grado di minaccia tra i mammiferi, anfibi ed uccelli, in relazione alle
categorie IUCN ed alle Appendici I e II cella CITES (vedi tab. 2 in allegati p. 195).
Esiste dunque un contesto legislativo articolato in diversi gradi di protezione che
regolamenta i programmi per la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse
naturali di tale area protetta. All’interno dello Stato ecuadoriano l’area geografica
corrispondente allo Yasuni, assimilabile alla categora National Park IUCN, è
regolamentata dall’Istituto Ecuatoriano Forestales y de Areas Naturales y Vida
Silvestre (INEFAN) che si interlaccia con il Ministero dell’Ambiente e
dell’Agricoltura; la riserva indigena che include il territorio indigeno Wuaorani è
stata istituita per decreto legge ma non appartiene al Sistema Nazionale Aree Protette
(SNAP); la cosiddetta zona intangibile, ad alta priorità di conservazione, ma collocata
al di fuori del Sistema Nazionale delle Aree Protette.
A livello internazionale l’insieme del territorio indigeno Wuaorani e il Parco
Nazionale Yasuni vanno a costiture la Riserva della Biosfera del programma MAB.
Nonostante l’elevato, seppur contraddittorio, complesso sistema di protezione dovuto
alle peculiari caratteristiche dell’area di studio ed alla legislazione ecuadoriana,
questa zona, situata nella parte occidentale dell’Amazzonia è stata condizionata dagli
enormi giacimenti petroliferi che ha nel sottosuolo determinando la suddivisione del
territorio in aree geometriche per la produzione petrolifera e sovrapponendo le aree
ad altissima biodiversità con le aree per la produzione petrolifera. (vedi fig. 2.3 p. 71)
71
Fig. 2.3 Biodiversità per numero di specie di mammiferi, uccelli ed anfibi nei continenti americani. Sovrapposizione tra biodiversità, aree protette e concessioni petrolifere nell’Amazzonia occidentale. (fonte: Ploseone, elaborazione di Finer, 2008)
72
2.3.3 La produzione petrolifera: impatti socio-ambientali. Il petrolio nel suo intero ciclo di produzione è uno dei processi principali che
configura il territorio amazzonico e, in particolare, per la sua intensità e densità,
l’area di studio presa in esame (vedi fig. 4.2 p. 123). L’area di studio si colloca
all’interno della più grande riserva petrolifera del territorio ecuadoriano, che coincide
geograficamente con la Regione Amazzonica Ecuadoriana (RAE) (Narvaez, 2001) e
che oggi rappresenta uno degli spazi dove le arene di contesa ambientale trovano
espressione (Ortiz, 1999).
La cosiddetta colonizzazione petrolifera della RAE è un processo multifattoriale che
è accompagnato da attività parallele che esercitano influenze dirette ed indirette nel
territorio amazzonico ecuadoriano (Fontaine 2003, 2006; Narvaez 1996).
E’ infatti tramite le prime attività esplorative (peraltro di scarso successo) che la
compagnia petrolifera Shell nel 1937 costruisce la prima via di comunicazione
terrestre che unisce l’Oriente alle Sierra (Haller et al., 2007). Le attività produttive
però hanno cominciato ad avere carattere industriale ed economico a partire dagli
inizi del 1970, quando la compagnia statunitense Texaco ha cominciato a dislocare
nella RAE le prime installazioni per l’estrazione e la produzione di petrolio
(Kimerling, 1991).
E’ in questo periodo che l’Ecuador intraprende la sua corsa per l’esplorazione e lo
sfruttamento dei grandi giacimenti di combustibili fossili che si trovano nel
sottosuolo dell’amazzonia ecuadoriana, realizzando l’insieme delle infrastrutture per
poter facilitare, sostenere ed implementare l’industria petrolifera (Fontaine, 2003).
Nel 1971 infatti, dopo aver rilevato la presenza di enormi reservoir petrolifere, lo
stato ecuadoriano costruisce la seconda via di comunicazione terrestre tra Lago Agrio
e Quito e, con l’aiuto economico e tecnico di numerose compagnie petrolifere
internazionali costruisce parallelamente l’oleodotto SOTE (Sistema de Oleoductos
Tran Ecuatorianos) che permette il trasporto del petrolio greggio dalle piattaforme
d’estrazione e separazione (cracking) alle raffinerie situate sul litorale Pacifico
(Haller, 2007). L’oleodotto SOTE affonda le sue radici nel sottosuolo dell’Oriente
amazzonico e corre i suoi 500 Km di lunghezza elevandosi sulle Ande per trasportare
73
il petrolio greggio fino al porto di Balao, nella provincia di Esmeraldas (Ortiz et al.,
1995) (vedi elaborazione G.I.S., fig. 4.21 p. 161).
La capacità di trasporto del SOTE è stata implementata di tre volte per far fronte a
quello che l’Ecuador ha conosciuto come boom petrolero tra il 1970 ed il 2000,
trasportando da 250.000 barili di greggio al giorno nel primo periodo fino ad arrivare
a 400.000 barili/giorno nel 2005 (Fontaine, 2006).
Fig. 2.4 Oleodotto SOTE, passo andino di Papallacta Nel 1972 lo stato ecuadoriano è entrato nell’OPEC (Organization of Petroleum
Exporting Countries) per uscirne nel 1992 a causa della sovraproduzione e per aver
ecceduto le quote di mercato (Narvaez, 2000).
Con la continua e crescente domanda da parte dei mercati e l’avanzata della frontiera
petrolifera nell’estremo Oriente, l’Ecuador ha ulteriormente implementato il
complesso infrastrutturale per il trasporto del greggio costruendo, tramite un
consorzio di compagnie transnazionali tra cui anche l’ENI-AGIP, l’Oleducto de
Crudo Pesados (OCP, Oleodotto di Greggio Pesante), che dal territorio indigeno
74
Wuaorani all’interno della RBY si allaccia nella località andina di Baeza all’oledotto
principale SOTE (Arco Oriente, 1999).
Attualmente la produzione di petrolio supera i 400.000 barili al giorno che vanno a
coprire quasi il 50% del PIB (Prodotto Interno Lordo) ed il 40% delle esportazioni
dello stato ecuadoriano (Fontaine, 2004).
Per consentire le fasi di esplorazione e di sfruttamento dei giacimenti petroliferi lo
stato ecuadoriano, attraverso il Ministero dell’Energia, ha stabilito criteri e modalità
per il diritto di accesso al sottosuolo amazzonico (Narvaez, 1998).
In questo modo, nonostante le numerose aree protette gestite e tutelate all’interno
dello SNAP (Sistema Nazionale per le Aree Protette, di competenza del Ministero
dell’Ambiente) ed i territori indigeni tutelati dalla Costituzione ecuadoriana, l’Oriente
amazzonico è stato suddiviso in numerosi lotti petroliferi (Oilwatch, 2005).
Le concessioni petrolifere (Oil Blocks) per l’esplorazione e la produzione petrolifera
ricoprono oggi circa 7 milioni di ettari del suolo nazionale (vedi elaborazione G.I.S.,
fig. 4.21, pag. 168) e, nel corso degli anni sono state assegnate a diverse compagnie
petrolifere, spesso transnazionali, che hanno notevolmente influenzato il territorio
nella sua complessità, coinvolgendo Parchi Nazionali, Riserve della Biosfera,
comunità locali (indigene e contadine) e territori indigeni legalmente assegnati dallo
stato.
Circa il 60% della Regione Amazzonica Ecuadoriana è suddivisa in lotti petroliferi
che si sovrappongono geograficamente al Sistema delle Aree Protette (vedi
elaborazione G.I.S, fig. 4.22 pag. 162), di cui la categoria Parques Nacionales è
riconosciuta dallo stato ecuadoriano e descritta nelle linee guida dell’IUCN tra i
modelli di conservazione e protezione dell’IUCN dei Parchi Nazionali (vedi
documento 1 in allegati p. 194).
Allo stato attuale, per garantire le attività esplorative ed estrattive, dodici Oil Blocks
si trovano all’interno della Riserva della Biosfera Yasuní, inclusa la buffer zone (vedi
elaborazione G.I.S., fig. 4.23 pag. 163).
Gli impatti diretti ed indiretti della colonizzazione petrolifera dell’Amazzonia
ecuadoriana sono molteplici e coinvolgono sia la sfera ambientale che quella sociale,
75
coinvolgendo attori interni come le comunità locali (indigene e contadine) e lo stato
ecuadoriano ed attori esterni come le compagnie petrolifere.
Gli impatti delle attività petrolifere cominciano dalla indispensabile fase esplorativa
sul campo, tramite la cosiddetta prospezione sismica (seismic prospection) (Ortiz,
1995; Fontaine 2003, 2006; Haller et al., 2007). Per sviluppare tali attività viene
spianata una porzione di foresta per costruire la base logistica, il primo eliporto, da
cui tramite metodi geofisici a riflessione partono le prime linee, di 3 o 5 metri di
ampiezza, per costruire un graticolato di centinaia di km2 dove vengono posizionati
centinaia di geofoni. Dopo aver scavato fosse profonde 10-20 metri ed aver provocato
esplosioni di cariche di dinamite di 20 libbre ciascuna, si procede alle valutazioni
geosismiche (Pieri, 1988; Kimmerling, 1996; workshops Quito 2006a; 2006b, 2006c,
2008a interviste semistrutturate). Le esplosioni producono onde d’urto che vengono
riflesse e rifratte in maniera diversa e cambiano la loro velocità a seconda della
densità, consistenza e forma delle rocce nel sottosuolo; in questo modo è possibile
individuare pieghe anticlinali, diapiri ed elementi di discontinuità stratigrafica (Pieri,
1988).
La seconda fase è quella esplorativa vera e propria che, tramite la perforazione di
pozzi denominati wildcats, (i pozzi pionieri), consente di individuare e delimitare i
campi petroliferi in base ai risultati prodotti da tali piattaforme d’estrazione che
“sondano” il sottosuolo per individuare i reservoir (Pipkin, 2007). Questa fase è
indispensabile e delicata poiché solo attraverso valutazioni qualitative e quantitative
dei dati provenienti dai wildcats le compagnie petrolifere decidono se procedere alla
fase estrattiva e produttiva. Le probabilità che i pozzi pionieri abbiano successo è
molto bassa. E’ stato calcolato che vi è solamente una possibilità su 50 che un pozzo
wildcat dia esito positivo. La probabilità migliora se si considerano tutti i pozzi
trivellati, inclusi quelli relativi ai campi petroliferi conosciuti. Tra il 1970 ed il 2003,
un pozzo su quattro è stato perforato con successo (Pipkin, 2007). Delle centinaia di
pozzi presenti nella RAE buona parte sono wildcats (vedi elaborazione G.I.S., fig
4.22 pag. 162)
I reflui industriali vengono prodotti a partire da questo stadio del ciclo di produzione
e per pratica diffusa vengono dispersi fosse o vasche non impermeabilizzate, o
76
semplicemente rilasciati nell’ambiente, senza nessun trattamento, come si vede nella
fig. 2.4 all’interno dell’area di studio (Haller et al. 2007, Narvaez 1996, 2000;
Oilwatch 2005; 2006a, 2006b, 2008, interviste semistrutturate sul campo).
Fig. 2.4 Vasca di raccolta reflui dell'industria petrolifera, San Carlos L’impatto ambientale dell’industria petrolifera più rilevante è quello sui corpi
d’acqua (Narvaez 2000; Fontaine 2006; workshop Quito, 2006; interviste
semistrutturate sul campo 2006b, 2006d).
Il petrolio estratto in Ecuador viene chiamato crudo poiché è una miscela di acqua di
strato, gas di origine organica (dal CH4 al C4H10), di origine inorganica (H2S, CO2) e
sedimenti sciolti (prevalentemente sabbie e gesso). La composizione dell’acqua di
strato presente nell’acquifero circostante il giacimento ha una composizione variabile,
dipendendo dal tipo di rocce e dalle condizioni di temperatura e pressione che hanno
determinato la formazione del reservoir) (Narvaez, 2000). Se le rocce sono calcaree
ci si aspetta grandi quantità di calcio, magnesio, potassio ed altri elementi metallici in
minor proporzione; se le rocce sono silicee saranno predominanti i silicati di sodio,
potassio, calcio, magnesio (Fontaine 2006).
77
Essendo l’acqua un importante solvente e provenendo da considerevoli profondità nel
sottosuolo (3000-5000 metri) contiene inoltre metalli pesanti (come V, Ni, Al, Pb),
composti organici a basso peso molecolare, differenti sali inorganici ed alcuni gas
come anidride carbonica, ossigeno e azoto (Narvaez, 2000).
Fig. 2.5 Fossa per lo smaltimento dei reflui industriali. Dayuma, 2008 Se le rocce trappola contengono elementi radioattivi, le stesse acque di strato possono
contenerle. Sono presenti inoltre varie impurità in sospensione, la cui concentrazione
può rendere l’acqua inutilizzabile anche a fini industriali (Narvaez, 2000).
L’acqua petrolifera che fuoriesce dai pozzi d’estrazione inoltre contiene diversi
additivi chimici utilizzati dall’industria per agevolare ed ottimizzare le quantità di
greggio da sfruttare (Narvaez, 2000) che viene veicolata attraverso polidotti verso i
centri di processamento (Central Processing Facilities, vedi fig. 3.4 pag. 116).
L’acqua che deriva complessivamente dalla produzione petrolifera viene chiamata
nella letteratura scientifica ecuadoriana agua de formacion e rappresenta il principale
elemento diretto di contaminazione ambientale nella Regione Amazzonica
Ecuadoriana (Haller et al., 2007).
78
L’agua de formacion viene estratta in proporzioni diverse variando a seconda del sito
di produzione petrolifera, ma rappresenta sempre la parte preponderante del fluido
estratto dal sottosuolo (Narvaez, 2000); in alcuni casi su 10 barili estratti 8 sono
costituiti da agua de formacion (Guerrero, 2008, comunicazione personale intervista
semistrutturata).
La produzione petrolifera nella RAE è associata a 217.741 barili di agua de
formacion al giorno (Narvaez, 2000) di cui, per le poche informazioni documentate,
solamente la compagnia nazionale Petroecuador riversa 31.000 barili diari
nell’ambiente (Narvaez, 1996, 2000).
E’ infatti lo smaltimento delle acque reflue non trattate dell’industria petrolifera che
costituisce l’impatto ambientale e sociale più rilevante il quale può determinare, nella
sua complessità, la dimensione del conflitto ambientale.
Anche se non sono state condotte molte indagini sull’inquinamento dei sistemi
acquatici a causa delle difficoltà operative in loco, la letteratura esistente presenta dei
dati interessanti.
E’ infatti la CORDAVI nel 1991 (Corporacion por la Defensa de la Vida) che
attraverso gli studi condotti sulle qualità delle acque dei bacini fluviali della zona di
Coca e Lago Agrio, farà emergere la dimensione del conflitto ambientale amazzonico
nell’arena di contesa giudiziaria, portando i risultati delle analisi all’International
Water Tribunal di Amsterdam (IWT) (De Marchi, 2004).
Tali studi si sono focalizzati principalmente sugli impatti dell’industria petrolifera sui
corsi d’acqua e sulle falde freatiche, facendo emergere elevati livelli d’inquinamento.
I dati provenienti dall’esame di campioni d’acqua prelevati all’interno dei campi
petroliferi hanno rivelato alte concentrazioni di sali e di idrocarburi policiclici
aromatici esprimendo valori rispettivamente di 31 g/l e di 1000 ppm. A causa
dell’elevata densità di drenaggio dei bacini fluviali della RAE sono stati esaminati
inoltre campioni d’acqua provenienti da siti in prossimità dei campi petroliferi e a
notevole distanza rivelando concentrazioni di idrocarburi da 10,196 a 0.23 mg/l nei
luoghi più lontani (Varea, 1997, pp. 331-333). Il limite individuato della presenza di
idrocarburi per la stabilità degli ecosistemi acquatici è di 0.004 mg/l (Narvaez, 2000).
79
In un altro studio condotto nell’area di studio tra i corsi d’acqua del Rio Napo e Rio
Coca, dove le comunità locali bevono, pescano e si bagnano, attraverso l’analisi di
campioni d’acqua si sono riscontrate concentrazioni di idrocarburi da 100 a 10.000
volte superiori ai limiti consentiti dall’Agenzia per la Protezione Ambientale
statunitense (EPA) (CDES, 1994; Hurtig et al., 1998).
A seconda dello stadio del ciclo di produzione petrolifero vengono generati materiali
reflui differenti dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
Ogni pozzo esplorativo perforato produce mediamente 4000 m3 di reflui industriali
non trattati che vengono deposti in fosse scavate nella terra chiamate in gergo
piscinas (vedi fig 2.4 p. 76)
Solamente all’interno dei Centri per il Processamento del petrolio greggio (CPF)
vengono prodotti più di 16 milioni di litri di fluidi reflui ogni giorno, smaltiti
direttamente nell’ambiente (Hurtig et al., 1998, p. 25-30).
Nonostante non esistano ricerche specifiche condotte su vasta scala, gli impatti
ambientali diretti sulla biodiversità appaiono rilevanti. In accordo con gli studi
condotti dalla CORDAVI all’interno delle formazioni boschive tropicali (TMF)
direttamente a contatto con l’industria petrolifera (piattaforme di produzione, CPF,
oleodotti) la perdita di flora è stata stimata intorno al 60% delle famiglie, al 71% dei
generi ed al 70% delle specie (Varea, 1997, p. 332).
2.3.5 Vie di comunicazione terrestri all’interno dell’area di studio
All’interno del territorio amazzonico ecuadoriano i processi per lo sviluppo della
produzione petrolifera determinano impatti a catena per effetto di altre attività come
l’agricoltura intensiva (ad esempio la Palma africana), il taglio legale ed illegale di
legname pregiato della foresta tropicale, la colonizzazione agraria campesina
(Narvaez, 2000).
80
Le infrastrutture stradali costruite per l’esplorazione e la produzione petrolifera
rappresentano il principale fattore di migrazione e d’espansione dell’agricoltura non
tradizionale all’interno dell’area di studio (Walsh et al., 2002).
Solamente tra il 1985 ed il 1996 le compagnie petrolifere e lo stato ecuadoriano
hanno implementato la rete viaria della RAE del 400% portando da 1830 a 7250 Km
l’estensione dei tracciati stradali all’interno della foresta umida tropicale (Scientists
concerned YNP, 2004).
Recenti studi hanno stimato che per ogni chilometro di strada costruita all’interno
della foresta umida tropicale vengono deforestati 120 ettari, convertendo l’uso del
suolo in attività agricole permanenti.
Le strade di maggior importanza dal punto di vista strutturale, di colonizzazione
agricola e di impatto ambientale che coinvolgono la RBY sono la Via Auca e la Via
Maxus.
La Via Auca, finanziata e costruita dalla compagnia petrolifera Texaco rappresenta,
storicamente, la prima grande “arteria” infrastrutturale di comunicazione terrestre per
garantire l’esplorazione e lo sfruttamento petrolifero all’interno della RAE (Haller,
2007). Le prime attività per la costruzione dell’asse stradale all’interno della foresta
umida tropicale risalgono al 1972 (Kimerling 1996) e nel corso di trent’anni è
diventata sia la dorsale portante per l’industria petrolifera sia la via principale della
colonizzazione agricola delle popolazioni locali (vedi elaborazione G.I.S., fig. 3.1 p.
112).
E’ infatti attraverso la Via Auca e la sua fitta rete di senderos e caminos aperti nella
foresta primaria che gruppi indigeni e colonos si spostano per insediarsi nelle
cosiddette linee di colonizzazione all’interno della foresta primaria (Walsh et al.,
2002).
Riguardo a tali processi di colonizzazione petrolifera e successivamente agricola è
utile considerare che la RAE ha perso durante questa fase di “modernizzazione” il
7,2% di foresta primaria con un tasso di deforestazione che è aumentato dal 6.8% del
1986 al 13.5% del 2001. La stessa Via Auca gioca un ruolo chiave in tali processi e
rappresenta attualmente l’avamposto tra i 14 maggiori fronti di deforestazione a
livello mondiale (Myers, 1993).
81
Gli impatti ambientali delle infrastrutture di comunicazione terrestre sugli ecosistemi
della foresta umida tropicale sono ampiamente documentati nella letteratura
scientifica e si articolano nella perdita di habitat legato alla deforestazione ed ai
processi di territorializzazione per sostituzione della copertura vegetale, alla
diffusione di agenti inquinanti (spesso per la costruzione di strade nella RAE vengono
utilizzati scarti della produzione petrolifera), l’effetto margine, frammentazione di
popolazioni ed altri elementi legati ad effetti visivi, acustici, e meccanici che possono
influenzare il comportamento degli animali e la loro distribuzione (Scientists
concerned, 2004).
Fig. 2.6 Elaborazione GIS: Ecuador, Sistema Aree Protette e concessioni petrolifere
82
2.3.6 Uso del territorio Nell’area interessata dallo studio di caso si intersecano logiche di uso e
organizzazione del territorio discordanti se a volte non contrapposte. Molte di queste
derivano dalla stessa storia di colonizzazione dell’Oriente e dai processi di
integrazione dello spazio amazzonico ad opera dello Stato ecuadoriano (Narvaez,
1999).
Lo stesso termine “oriente” con il quale viene definita è evocativo e lo colloca in uno
spazio simbolico dell’immaginario nazionale.
Con le spedizioni esplorative dei conquistadores spagnoli come Francisco de
Orellana (il primo uomo bianco che ha navigato il Rio Napo e che battezzò il Rio
delle Amazzoni) crolla rapidamente il mito di El Dorado e si esauriscono le
spedizioni dei “cacciatori” di oro e di diamanti. L’Amazzonia ecuadoriana diventa,
per tutto il 1700 ed il 1800, per l’immaginario collettivo delle popolazioni urbane e
per le politiche dello stato ecuadoriano, una periferia lontana e inaccessibile
(Narvaez, 2000).
La Regione Amazzonica Ecuadoriana, per le sue barriere naturali costituite
dall’imponente catena montuosa delle Ande, era considerata fino alla metà del
novecento una zona remota e inospitale, una foresta umida fitta e densa non
facilmente penetrabile abitata da temibili gruppi indigeni, gli Aucas, ossia i
“selvaggi” (Cabodevilla, 1999).
Il processo di integrazione della regione amazzonica alle logiche modernizzanti dello
Stato ecuadoriano è cominciato verso la metà del 1900 attraverso l’espansione dei
mercati mondiali che ha dato il via alla ricerca di nuove materie prime e di risorse
energetiche da sfruttare, con la necessità, allo stesso tempo, di diminuire la pressione
demografica nell’area andina (la Sierra), attraverso l’assegnazione di lotti agricoli, le
fincas di 50 ha di terra, agli abitanti delle Ande perché andassero a colonizzare l’area
amazzonica.
E’ così che, attraverso la legge di Riforma Agraria e di Colonizzazione (Ley de
Reforma Agraria y Colonizacion), lo stato ecuadoriano avvia di fatto l’integrazione
della RAE (Region Amazzonica Ecuadoriana) incentivando le migrazioni
83
nell’Oriente attraverso l’assegnazione di parcelle di terreno ad uso agrario (Vallejo,
2003). L’appropriazione dei terreni dell’Oriente amazzonico era libera, ma i titoli di
proprietà venivano assicurati alla condizione di deforestare almeno la metà dei 50
ettari occupati dai contadini che migravano nella RAE. Questi nuovi attori che si
inseriscono nelle dinamiche territoriali migrando all’interno dello spazio amazzonico
sono definiti colonos, e possono essere sia gruppi indigeni che meticci (Tapia, 2004).
In questo modo venivano attivati i processi d’espansione della frontiera agricola in
Amazzonia.
A partire dalla scoperta dei primi reservoir petroliferi all’interno della RAE, tra il
1920 ed il 1940 ad opera della compagnia Shell Oil, ma soprattutto nel 1972 tramite
la compagnia Texaco insieme al Consorzio Ecuadoriano per l’Estrazione Petrolifera
(CEPE) si attivano i processi di integrazione dell’Oriente intrecciandosi con la
necessità di mettere a produzione i giacimenti di combustibili fossili presenti nel
sottosuolo amazzonico (Narvaez, 2000; De Marchi, 2004).
Seguendo il processo di espansione della frontiera agricola e petrolifera è possibile
osservare le dinamiche degli attori locali. Le popolazioni indigene, l’attore interno per
eccellenza del sistema territoriale amazzonico, vengono in contatto nel corso della
storia con missionari, esploratori, colonos dalla Sierra e dalla Costa (Tapia, 2004;
Narvaez, 1996). Il sistema di organizzazione territoriale delle popolazioni indigene si
fondava, sostanzialmente, sulla continuità dei territori ancestrali. Questo significa che
una popolazione indigena occupava un’estensione molto ampia di territorio
amazzonico che risultava quindi a bassa densità demografica, organizzandosi in
comunità distribuite in ogni parte dei territori ancestrali. Lo spazio amazzonico
diventa territorio comunitario, di norma sufficiente per il sostentamento e la
riproduzione sociale delle popolazioni indigene, attraverso un controllo simbolico
delle risorse naturali attuate attraverso pratiche tradizionali di agricoltura, caccia,
pesca e raccolta (De Marchi, 2004).
Nei periodi in cui le risorse interne al territorio comunitario diventavano insufficienti,
gli appartenenti alla comunità potevano spostarsi nei territori contigui, ad uso comune
tra le diverse comunità della stessa popolazione indigena. La logica secondo la quale
le comunità si insediavano in un territorio seguiva le vie d’acqua, organizzandosi in
84
un sistema territoriale plasmato dai bacini idrografici amazzonici ed utilizzando i
corsi d’acqua in ampio spettro di ordini gerarchici (Brownrigg, 1996; Marchetti 2000;
Bertoncin, 2004).
Nel corso della storia, con l’ingresso nel territorio amazzonico di attori esterni, si
sono viste contrapposte sempre due logiche: quella degli attori esterni che cercavano
di accentrare le comunità indigene intorno ai pueblos (villaggi di colonizzazione nella
selva, di norma lungo i fiumi principali), e quella della maggior parte delle
popolazioni indigene che tentavano di fuggire a questa logica allontanandosi ancora
di più verso l’interno, verso le aree meno accessibili, seguendo corsi fluviali minori
(Tapia, 2004).
Tra gli attori esterni i colonos sono quelli che, pur determinanti nella trasformazione
del territorio amazzonico, si sono integrati in questo processo, venendo nel tempo a
condividere con le popolazioni indigene stili di vita e usi del territorio (Moran, 2000).
Una differenza determinante tra logiche indigene e logiche esterne si è verificata nel
momento in cui ha avuto luogo la lottizzazione delle concessioni petrolifere (Oil
Blocks) e la titolazione dei terreni ad uso agricolo nel territorio amazzonico:
parcellizzazione contro continuità territoriale.
Logiche di sfruttamento produttivo contro logiche di sostentamento. L’Oriente
diventa quindi lo spazio fisico che contiene le risorse naturali da sfruttare da parte
delle compagnie statali o da appaltare a compagnie private nazionali e straniere, per
l’estrazione prevalentemente di combustibili fossili, legname ed altri prodotti
forestali. I processi di colonizzazione amazzonica vengono portati avanti attraverso la
progressiva costruzione di infrastrutture di comunicazione terrestre, attuata dalle
compagnie petrolifere. La prima strada che collega l’Amazzonia ecuadoriana alla
Sierra risale al 1937, costruita dalla compagnia Shell Oil, e dà il via alla prima
riorganizzazione territoriale dei colonos nello spazio amazzonico ecuadoriano.
E’ attraverso la costruzione di vie di comunicazione stradali pavimentate che ha
luogo la riorganizzazione territoriale della RAE, determinando processi di
territorializzazione per sostituzione della copertura vegetale (vedi elaborazione GIS.,
fig. 3.1 pag 112) (De Marchi, 2004).
85
Le logiche modernizzanti assunte come regola territoriale dall’attore statale e da attori
esterni come le compagnie petrolifere si sviluppano proprio a partire dalle principali
dorsali di comunicazione terrestre, e si intrecciano con i processi di colonizzazione
agricola di cui i colonos sono attori protagonisti.
2.3.7 Attori e poste in gioco
Allo stato attuale, all’interno dell’area di studio, è presente una dinamica attoriale
complessa che non sempre consente di distinguere nettamente gli attori territoriali in
gioco. Si tenterà comunque di interpretare e di categorizzare gli attori presenti
nell’area di studio in base agli interessi di cui sono portatori ed alle dinamiche che
configurano il conflitto ambientale. Pertanto è operazione utile dividerli in attori
“interni” ed “attori esterni” (Bertoncin, 2004).
I principali attori interni si possono distinguere all’interno delle popolazioni locali
(indigeni e colonos) e le amministrazioni locali. Lo Stato ecuadoriano in Amazzonia
si comporta invece come attore esterno, ed è a sua volta differenziato in istituzioni
ministeriali come il MAE (Ministero dell’Ambiente che gestisce il Parco Nazionale
ed il territorio indigeno), il Ministero dell’Energia (che si occupa della
regolamentazione delle attività petrolifere), le Forze Armate (che tramite il Ministero
della Difesa hanno influenze sulla compagnia petrolifera nazionale alla compagnia
petrolifera statale Petroecuador) ed infine l’ECORAE (Ente per l’Eco-sviluppo della
Regione Amazzonica Ecuadoriana) (Narvaez, 2004). Le diverse istituzioni attraverso
le quali si articola l’azione dello Stato sono portatrici di interessi diversi e
contrastanti. Se da un lato il MAE e l’ECORAE dovrebbero garantire la
conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali all’interno
delle aree protette, dall’altro lato Petroecuador ed il Ministero dell’Energia giocano
un ruolo egemone nella gestione delle riserve di combustibili fossili all’interno della
RAE. In questa seconda faccia dell’attore statale si inserisce l’Esercito ecuadoriano
che, all’interno del territorio amazzonico, gioca un ruolo non indifferente sia nel
86
controllo dei limiti di stato con il Peru’ sia nella salvaguardia delle politiche
petrolifere nell’Amazzonia ecuadoriana. (Ortiz, 1999).
Anche gli altri attori interni, le comunità indigene e i colonos, presentano logiche
contraddittorie che portano a dinamiche territoriali alquanto differenti: una minoranza
delle comunità indigene e dei colonos diventa talvolta parte integrante delle logiche
degli attori esterni, come le compagnie petrolifere transnazionali (Fontaine, 2003).
Tra gli attori interni si possono ricordare le amministrazioni pubbliche locali, spesso
in conflitto con lo Stato.
La maggioranza delle comunità indigene e dei colonos presenti nell’area di studio è
invece un attore antagonista alle logiche di sfruttamento produttivo delle risorse
energetiche, di quelle agricole e forestali.
Le comunità indigene e i colonos presenti nell’area di studio e direttamente o
indirettamente azioni coinvolte nell’area di influenza della Riserva della Biosfera
sono le seguenti:
- le popolazioni indigene Wuaorani
- le popolazioni indigene Quichua
- le popolazioni indigene Shuar
- i contadini colonos
Lo spazio geografico corrispondente alla Riserva della Biosfera è
approssimativamente riconducibile è quello che è stato il territorio indigeno
ancestrale degli Wuaorani (Cabodevilla, 1999).
Questo gruppo etnico storicamente ha sempre vissuto in isolamento anche rispetto
alle altre popolazioni indigene. Solamente nel XIX secolo, quando è cominciata la
ricerca nell’Amazzonia di piante come il caucciù, è entrato in contatto con altre
culture. Per le loro attività tradizionali gli Wuaorani necessitano di un territorio molto
esteso. Le attività sedentarie sono temporanee e praticate attraverso piccole
coltivazioni di yuca manioca (Mahinot sp.) e platano (banana, Musa sp.)
Successivamente migrano in un altro punto della foresta tropicale per non esaurire la
scarsa fertilità del suolo amazzonico. Prima di migrare in altre zone sono soliti
bruciare le proprie case e le piccole colture affinché, come dice un indigeno
Wuaorani “i nutrienti ritornino nel suolo”. Da quando ha preso piede la
87
colonizzazione dell’Amazzonia ecuadoriana, il territorio indigeno Wuaorani ha subito
notevoli cambiamenti e riduzione areale a causa specialmente delle attività di
esplorazione e sfruttamento petrolifero e di imprese di legname. Il ruolo della
realizzazione del Parco Nazionale Yasuní e dell’istituzione della RBY nella
ridefinizione del territorio indigeno Wuaorani non è stato indifferente, provocando
nel 1989 dislocamenti via elicottero di numerose famiglie indigene (Vallejo, 2003).
Inoltre la costruzione della Via Auca e l’espansione della frontiera petrolifera ed
agricola in quella zona hanno determinato un cambiamento culturale e geografico
rilevante nella popolazione Wuaorani (Toledo, 2001).
Le comunità indigene Quichua costituiscono il gruppo etnico più numeroso presente
nell’area di influenza della Riserva della Biosfera. È un attore che si è inserito nei
processi di colonizzazione agricola all’interno dell’area di studio insediandosi o lungo
le zone ripariali del basso Rio Napo o, utilizzando l’asse stradale portante della Via
Auca, sovrapponendosi ai territori indigeni Wuaorani. In entrambi i casi vive in
piccoli insediamenti nelle zone periferiche della RBY.
Le popolazioni indigene Shuar, per la dinamica territoriale legata all’espansione
agricola e petrolifera, giocano un ruolo di colonos. Infatti hanno abbandonato, tra il
1960 ed il 1970, i loro territori ancestrali nella fascia pedemontana per andare a
colonizzare l’area orientale della RBY, nella zona della via Auca. La maggior parte
delle comunità Shuar tuttavia non possiede titoli di proprietà sulle terre occupate. Gli
Shuar, nonostante non abbiano mantenuto legami geografici con la loro terra
d’origine, mantengono l’approccio indigeno nella gestione delle risorse naturali,
sviluppando prevalentemente attività tradizionali legate a piccole colture itineranti,
alla caccia, alla pesca ed alla raccolta (Haller et al., 2007).
I colonos rappresentano gli attori interni “migranti” per antonomasia. La maggior
parte di loro sono contadini che sono stati trainati dalle politiche agrarie ed
economiche dello Stato ecuadoriano arrivando in Amazzonia solamente nel decennio
successivo alla riforma agraria. A ciascun colono venivano assegnati 50 ha di foresta
primaria di cui la metà doveva essere disboscata per legge (Narvaez, 1996). A partire
dalla prima “linea di colonizzazione agricola” parallela all’asse stradale principale, si
è successivamente creata una dinamica incontrollabile di occupazione di porzioni di
88
foresta che venivano disboscaste per il mercato del legname. Le politiche agrarie
promosse dal governo ecuadoriano hanno anche innescato dinamiche di compra-
vendita puramente speculativa delle terre titolate, andando a determinare la creazione
su piccola e grande scala di cooperative agricole di colonos organizzate in gradi e
livelli differenti (Accion Ecologica, 2006).
Le principali attività dei colonos sono legate a diverse forme di agricoltura
permanente, principalmente legate alla produzione commerciale di caffè, che
rappresenta circa il 70% degli introiti economici famigliari.
Tra gli attori esterni antagonisti a quelli sopradescritti si ritrovano lo Stato e le
strutture conservazioniste presenti all’interno della RBY.
L’Esercito ecuadoriano è direttamente collegato alla compagnia nazionale petrolifera
Petroecuador e spesso collabora con le altre compagnie transazionali che hanno
attività estrattive nella RAE (Narvaez, 1996).
La presenza delle Forze Armate ecuadoriane dentro la RBY e nel suo intorno è
permanente attraverso il controllo delle vie d’accesso all’area. Giocano inoltre un
ruolo fondamentale nelle dinamiche del conflitto legato al Petrolio, intervenendo in
difesa delle compagnie petrolifere (Haller et al., 2007; 2006, comunicazione
personale; Guerrero, 2006 intervista semistrutturata).
Tra gli attori interni, presenti nell’a area di studio, si collocano le organizzazioni per
la conservazione e la ricerca scientifica: la Stazione Scientifica Yasunì (Università
Cattolica di Quito, PUCE) e la Stazione di Biodiversità Tiputinì (Università San
Francisco di Quito). La prima si trova sulle rive del fiume Tiputini lungo la via
petrolifera Maxus, ed utilizza come struttura base di ricerca una vecchia piattaforma
d’estrazione concessagli dalla compagnia Maxus (Riveira, 2006, intervista
semistrutturata). Attraverso un decreto amministrativo dell’INEFAN (Istituto
Nacional Ecuatoriano Forestal y de Area Naturales) viene concesso alla PUCE la
gestione amministrativa e tecnico-scientifica della stazione di ricerca che è stata
finanziata nel primo periodo dalla compagnia Maxus e successivamente dalla Repsol,
nuova concessionaria del Oil Block n° 16 (Oilwatch, 2005).
L’Università Cattolica per sviluppare le sue attività di ricerca e di conservazione
riceve mediamente dalla compagnia Repsol YPF tra i 40 ed i 60 milioni di dollari
89
all’anno che sono da considerarsi un finanziamento vincolante (Romo, 2006,
intervista semistrutturata). In questo senso la PUCE è responsabile delle strategie per
la conservazione della biodiversità all’interno della RBY ma, in qualche modo, si
comporta come attore interno sinergico all’attore esterno rappresentato oggi dalla
compagnia ispanico-argentina Repsol YPF, titolare della concessione petrolifera
numero 16 (Oilwatch, 2005). La Stazione di biodiversità Tiputinì si trova anch’essa
all’interno dell’Oil Block n° 16 gestito dalla Repsol e svolge attività di ricerca,
educazione e conservazione. La dirigenza politica della Stazione Tiputinì non trova
che ci siano incompatibilità tra le attività per la produzione petrolifera e la
conservazione della biodiversità all’interno della RBY (Romo, 2006, intervista
semistrutturata).
Gli attori esterni presenti nell’area di studio sono prevalentemente compagnie
petrolifere multinazionali che hanno individuato nel sottosuolo della RBY
un’opportunità di sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Nel corso degli ultimi
vent’anni si sono alternate diverse compagnie petrolifere in base alle politiche ed agli
accordi inter-governativi dello stato ecuadoriano (Fontaine, 2006). Tra quelle presenti
oggigiorno, all’interno dell’area di studio, è opportuno ricordare gli operatori
all’interno delle seguenti concessioni petrolifere:
- Oil Block n° 16, gestito dal 1993 dalla compagnia Repsol YPF subentrata alla
Maxus che ha avuto problemi d’immagine per una gestione dell’area interna alla
RBY poco rispettosa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni Wuaorani. (Riveira,
2006, intervista semistrutturata). All’interno di questa concessione petrolifera è stata
costruita, dall’omonima compagnia, la strada Via Maxus che penetra per 180 Km la
foresta umida tropicale all’interno della RBY. Esercito ecuadoriano e guardie private
della Repsol YPF controllano rigidamente l’accesso alla strada e quindi anche alla
RBY interdicendo l’accesso a personae non gratae come ambientalisti o
organizzazioni conservazioniste non affini alla produzione petrolifera (Proano, 2006,
intervista semistrutturata, 2006 osservazione diretta).
- Oil Block n° 15, gestito fino al 2006 dalla compagnia statunitense Occidental
Petroleum (OXY). La OXY Petroleum è stata responsabile della costruzione
non autorizzata della strada petrolifera che si spinge all’interno della buffer
90
zone della RBY (vedi elaborazione G.I.S. fig. 4.12) (ENS, 2005). Per aver
subappaltato la gestione della concessione a terzi è stata nel 2006 espulsa
dall’Ecuador (Fontaine 2006, El Comercio, 2006).
- Oil Block n° 10, gestito dalla compagnia italiana ENI-AGIP che è presente
con attività di estrazione e produzione petrolifera dal 1987 con la
compartecipazione del consorzio statunitense ARCO . Dal 1999 comincia le
operazioni di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti petroliferi con il
100% del possesso della concessione. Avendo rilevato nello stesso anno
notevoli quantità di petrolio da mettere in produzione, la compagnia italiana
ha contribuito fortemente alla costruzione del nuovo oleodotto chiamato OCP
(Oleoducto de Crudo Pesado). Il lotto petrolifero dell’ENI-AGIP è situato per
la maggior parte all’interno del territorio indigeno Wuaorani nella Riserva
della Biosfera Yasuní (Accion Ecologica, 2006; Oilwatch, 2006).
- Oil Block n° 31 Petrobras, inserita per quasi la sua totalità all’interno del
Parco Naturale Yasuní e del territorio indigeno Wuaorani. Il limite
meridionale di questa concessione si sovrappone con la Zona Intangible,
riserva “integrale” ad alta priorità di conservazione, dove vivono in
isolamento i gruppi etnici Tagaeri-Tanomenane. La costruzione della terza
strada petrolifera all’interno della RBY ha sollevato numerosi scienziati che
hanno chiesto l’immediata interruzione dei lavori (Scientists concerned YNP,
2004).
- Oil Block n° 14 e 17, gestito dall’impresa canadense Encana subentrata alla
compagni francese ELF. Per poter consentire le attività di produzione ELF ha
implementato la rete stradale della Via Auca e della Via Maxus, sviluppando
ramificazioni fino all’interno della sua concessione. Dopo una fase che vedeva
la compagnia Vintage Oil come operatore temporanea della concessione, i
diritti di esplorazione e produzione passano all’impresa Encana che ha
effettuato l’esplorazione con metodi geosismici su 170.000 ha di cui la metà
dentro la RBY (OilWatch, 2005).
- Oil Block ITT (Ishpingo-Taboncocha-Tiputini). Tale lotto petrolifero è di
proprietà della compagnia nazionale Petroecuador e si ipotizza sia la più
91
grande riserva petrolifera dell’Ecuador con 800.000 milioni di barili di
petrolio nel sottosuolo. Al momento sono stati perforati quattro pozzi per la
produzione e si sta progettando la costruzione di un oleodotto che trasporti il
greggio dal fiume Tiputinì alla stazione petrolifera di Shushufindi. Nel 2007 il
governo ecuadoriano, guidato da Correa, ha lanciato una campagna
internazionale chiamata ITT-Yasunì che proponeva di non sfruttare gli enormi
giacimenti petroliferi presenti nel sottosuolo. La proposta prevedeva che i
governi del Nord del mondo comprassero i bond emessi dallo stato versando
la metà dei soldi del greggio non estratto. La campagna oggigiorno non ha
avuto buon esito (Proano, 2008, intervista semistrutturata; Ordonez, 2008,
intervista semistrutturata).
All’interno dell’area di studio, lungo i limiti meridionali della buffer zone della
RBY, ci sono altre aree delimitate per lo sfruttamento dei giacimenti che, essendo
ancora in fase esplorativa, sono prive delle infrastrutture necessarie alla
produzione (vedi fig. 4.1 p. 120) (ECORAE, 2002).
Gli attori esterni sopraccitati e l’attore statale rappresentato da Petroecuador sono
portatori di interessi esclusivamente legati allo sfruttamento delle risorse non
rinnovabili presenti all’interno dell’area di studio e giocano un ruolo
fondamentale nei processi di territorializzazione nell’Oriente amazzonico
ecuadoriano.
Gli attori interni, prevalentemente le comunità locali indigeno-campesine, si
contrappongono alle logiche eterocentrate degli attori esterni ma si organizzano
nel territorio secondo dinamiche complesse e a volte contraddittorie. Alcuni attori
esterni infatti, come la Repsol YPF e l’ENI-AGIP, tramite l’organizzazione di
progetti “comunitari” e l’impiego della cosiddetta “tecnologia a basso impatto
ambientale”, hanno costruito altre forme di rapporto con alcune parti degli attori
interni antagonisti, tra cui le comunità indigene Wuaorani dell’Oilblocks n°16 e
n°10, rendendo ancor più complessa la dinamica attoriale.
Anche se non è cosa semplice identificare e definire le poste in gioco all’interno
dell’area di studio, perlomeno per quanto riguarda gli attori esterni e l’attore
statale causa gli interessi di cui sono portatori, è possibile rintracciarne una, legata
92
ai copiosi giacimenti di combustibili fossili presenti nel sottosuolo della regione
amazzonica ecuadoriana (Fontaine 2006). Tale posta in gioco però non coincide
con quella degli attori interni, indigeni e colonos, i quali contrappongono le loro
logiche d’agire per conseguire rivendicazioni di carattere territoriale.
Le arene di contesa ambientale derivate dallo sviluppo del conflitto all’interno
dell’area di studio sono molteplici ed intrecciate tra loro, dislocandosi tra il piano
giudiziario, quello della mobilitazione, e quello delle controversie scientifiche
sugli impatti socio-ambientali della produzione petrolifera (Faggi, Turco, 2001).
Gli attori interni, indigeni e colonos, in relazione sinergica con ONG
ambientaliste come Accion Ecologica, hanno spesso portato la visibilità del
conflitto a livello nazionale ed internazionale, come i numerosi ricorsi al
Tribunale delle Garanzie Costituzionali (CGT) ed all’International Water
Tribunal di Amsterdam (IWT) (Fontaine, 2006; De Marchi, 2004).
A livello nazionale ed internazionale l’istituzione e la realizzazione del Parco
Nazionale e della Riserva indigena Wuaorani (che sul piano internazionale
assume valore legale di Riserva della Biosfera) hanno contribuito da un lato a
portare l’attenzione sulla conservazione della biodiversità e del patrimonio
culturale delle popolazioni indigene, dall’altro, insieme alla compartecipazione
gestionale di alcune organizzazioni conservazioniste come Fundacion Natura,
Wildlife Conservation Society (WCS) giocano un ruolo assai contraddittorio nella
riduzione degli impatti ambientali e sociali della produzione petrolifera
(Kimerling 1996; Oilwatch, 2005; Riveira, 2006, intervista semistrutturata;
Proano, 2006, intervista semistrutturata, Martinez, 2006, intervista
semistrutturata)
La dimensione e l’evoluzione del conflitto ambientale che ne consegue sarà
affrontata nel caso di studio tramite l’incrocio degli interessi in gioco e delle
strategie dispiegate per conseguirli, utilizzando come metodo la sovrapposizione
cartografica tra la geografia fisica e quella degli attori presenti sul territorio.
93
2.3.8 Definizione area di studio tramite analisi G.I.S. L’area di studio comprende il Parco Naturale Yasuní, il territorio indigeno Wuaorani,
una buffer zone di 10 km dalla Riserva della Biosfera Yasuní, i bacini idrografici dei
fiumi Rio Napo e Rio Curaray nonché le principali vie di comunicazioni stradali, città
ed insediamenti antropici.
Attraverso un’analisi critica e l’elaborazione cartografica del materiale acquisito,
attraverso l’uso di software G.I.S. e l’esperienza diretta sul campo, si è convenuto
stabilire i limiti dell’area di studio per l’analisi territoriale, sulla base di tre processi
importanti che configurano e modificano il territorio dell’Oriente amazzonico
ecuadoriano:
- i limiti naturali definiti dai bacini idrografici
- la Riserva della Biosfera Yasuní, inclusiva del Parco Naturale e territorio
indigeno Wuaorani
- le aree delle concessioni per la l’estrazione e la produzione petrolifera
Il fitto reticolo idrografico dei rios amazzonici che si snodano all’interno della Moist
Tropical Forest (MTF) è uno dei fattori dominanti sia nei processi geomorfologici e
pedogenetici che nei processi di territorializzazione delle comunità indigeno-
campesine e di altri attori presenti nell’area (De Marchi, 2004).
Per questo motivo la scelta dei limiti dell’area di studio è stata operata anche sulla
base dei bacini idrografici tra i quali il Rio Napo ed il Rio Curaray come limiti
naturali e barriere semipermeabili della Riserva della Biosfera Yasuní e come
elemento strutturante del contesto amazzonico dell’area in questione.
Per il suo fitto reticolo idrografico e per il ruolo che esso gioca nelle poste in gioco
dei conflitti ambientali dell’Amazon Basin l’acqua è elemento strutturante l’ambiente
e, nella sua relazione con la componente biotica dei produttori primari, caratterizza
nel suo complesso il sistema ambientale amazzonico più di quanto possa farlo una
singola specie o la foresta (M. De Marchi, 2004).
Il Rio Napo, con i suoi 1400 km di lunghezza, è uno degli affluenti più lunghi e con
maggior portata del Rio delle Amazzoni e, ad eccezione della suo tratto andino di
circa 250 km dove scorre su alveo roccioso e a ciottoli, si snoda nell’ampia pianura
94
alluvionale chiamata Varzea presentandosi, con un’ampiezza media di 1-3 km e
dando luogo ad oltre 120 isole fluviali (Gonzalez et al., p. 13).
Oltre ai bacini idrografici del Rio Napo e del Rio Curaray ed i limiti della RBY come
processi determinanti il territorio amazzonico ecuadoriano sono state prese in
considerazione le aree di concessione petrolifere che si intersecano geograficamente
con i suddetti limiti. Infatti nell’Oriente ecuadoriano (in Ecuador l’area geografica ad
Est della Cordigliera delle Ande è comunemente denominata come Oriente, e
coincide approssimativamente con lo spazio amazzonico includendo le province di
Sucumbíos, Orellana, Napo, Pastaza, Morona Santiago e Zamora-Chinchipe) ricopre
una superficie di oltre 135 000 km2 al di sotto dei quali si trovano i maggiori
giacimenti di petrolio.
Le aree di licenza per l’estrazione e produzione petrolifera sono passate da circa 300
mila ha inizialmente dati in concessione alla compagnia Texaco (1972), a 3,2 milioni
ha complessivi, ripartiti tra 12 macroimprese nazionali e transnazionali, suddividendo
geometricamente l’Amazzonia ecuadoriana in 16 oil blocks da 200 mila ha ciascuno
(Narvaez, 2000). Allo stato attuale dei 135.000 km2 di Amazzonia ecuadoriana circa
il 65% è stato suddiviso in aree di concessione per la produzione petrolifera (Fontaine
2004).
La definizione dell’area di studio si basa quindi sull’analisi geografica dei sopracitati
tre processi di trasformazione del territorio amazzonico. Attraverso l’esaminazione
della cartografia tematica con software G.I.S. si è proceduto a compiere operazioni di
intersezione geometrica tra le aree dei bacini idrografici, della RBY e delle
concessioni petrolifere, ottenendo la delimitazione dell’area di studio.
Oltre a compiere operazioni di intersezione geometrica per definire i limiti dell’area
si è ritenuto opportuno creare una buffer zone di 10 km intorno al perimetro della
RBY. E’ utile ricordare come, nonostante la RBY sia stata inserita nei programmi
MAB dell’UNESCO, non siano mai state attuate sulla carta o sul campo operazioni di
zoning sulla base dei criteri delle Riserve della Biosfera; all’interno della RBY viene
quindi totalmente a mancare una zonazione in differenti gradi di influenza antropica
(core area, buffer zone, transition zone) capace di conservare l’integrità degli
ecosistemi da un lato e di consentire attività tradizionali e forme di sviluppo
95
sostenibile dall’altro. Infatti con i programmi MAB l’UNESCO configura un nuovo
paradigma della conservazione della natura dove le aree protette non sono riserve di
ecosistemi isolate dall’ambiente circostante, bensì sistemi aperti che interagiscono
con il mondo esterno integrando nella pianificazione territoriale esigenze, culture e
modelli di gestione delle risorse tradizionali delle popolazioni locali (Primack, 2007).
Sotto il profilo ecologico le zone cuscinetto possono essere utili a facilitare e favorire
la dispersione delle specie e del flusso genico tra le aree centrali a protezione
integrale (core area), le zone di transizione e l’ambiente circostante la Riserva della
Biosfera (Primack, 2007, pp. 345-347).
Non essendoci alcuna forma di zoning ufficiale all’interno della RBY è stato scelto di
creare un buffer areale intorno al perimetro della Riserva della Biosfera di 10 km e di
assegnarli il valore concettuale di buffer zone, o zona de amortiguamento, come
riconosciuto nel progetto di Legge Speciale art. 46 per la conservazione e l’uso
sostenibile della biodiversità in Ecuador che la definisce come “aree pubbliche,
private o comunali adiacenti alle Areas Protegidas (AP) che contribuiscono alla
conservazione ed all’integrità delle stesse” (Moscoso, 2003, p. 80).
Tale zona de amortiguamento, o zona cuscinetto, è già stata elaborata e considerata
come zona d’influenza per la RBY rispetto ad attività antropogeniche che possono
costituire minaccia per la conservazione della biodiversità. In una ricerca con
approccio conservazionista elaborata con G.I.S. sull’abbondanza relativa di
mammiferi di media e piccola taglia (> 1 Kg) in rapporto ai gradi di influenza,
distribuzione ed intensità delle attività antropogeniche sulla RBY sono stati assegnati
diversi valori lineari per il buffer: 3 km per strade e aree deforestate, 10 km per gli
insediamenti urbani, 5 km per accampamenti di caccia illegale, 1 km per i pozzi
petroliferi e 2 km per il taglio selettivo di alberi (Rios et al., 2006). Considerando la
RBY come un sistema aperto e complesso e dopo aver preso in esame i sopracitati
tematismi cartografici, si sono evidenziati molteplici gradi di accessibilità dipendenti
dalle reti di comunicazione (stradali, idriche o senderos nella selva), dai centri urbani
e pueblos, dalle infrastrutture petrolifere e dalla dinamica dei sistemi sociali, pertanto
si è convenuto stabilire in almeno 10 km il buffer d’influenza intorno alla RBY. Dieci
96
Km sono inoltre una distanza 10 km sono una distanza facilmente perricorribile a
piedi attraverso la creazione di caminos e senderos (Moran, 2000).
Nell’elaborazione con G.I.S. per la produzione dell’output cartografico dell’area di
studio si sono inseriti inoltre alcuni elementi determinanti i sistemi socio-ambientali
dello spazio amazzonico ecuadoriano tra cui: le città principali, insediamenti
comunitari indigeni e colonos, le principali vie di comunicazione, le concessioni
petrolifere, i limiti provinciali amministrativi. Si veda analisi G.I.S. dell’area di studio
nella (fig. 4.1 p. 120).
Le informazioni geografiche utilizzate per l’elaborazione dell’area di studio sono
state ricompilate in base alla necessità di inquadrare il contesto amazzonico
ecuadoriano per l’analisi del territorio, mettendo a fuoco sia le aree protette e le
risorse naturali, sia gli attori ed i processi di territorializzazione.
97
3 Materiali e Metodi 3.1 Indagine bibliografica e workshops sul campo Prima di procedere all’inquadramento sistemico, all’analisi geografica e quantitativa
all’interno dell’area di studio si è proceduto a un’indagine bibliografica
multidisciplinare e allo studio di numerosi testi scientifici esistenti (bibliografia
scientifica e di settore, tesi di dottorato, letteratura grigia, fonti secondarie) prodotti
nell’ambito di ricerca sia sudamericano che nordeuropeo e nordamericano. Oltre ad
essere stata condotta in rete, l’indagine bibliografica è stata principalmente sviluppata
ed elaborata sul campo, a Quito, all’interno delle biblioteche e degli archivi
dell’Università Cattolica, dell’Università San Francisco, della Facultad
Latinoamericana Ciencias Sociales (FLACSO) sezione studi socio-ambientali, del
dipartimento per la protezione ambientale della Provincia di Orellana, nonché presso
Organizzazioni Non Governative (ONG) per la conservazione della natura
(ECOCIENCIA, SIMBIOE, WALSH) ambientaliste (Acciòn Ecologica, rete indigena
Angel Shingre, Land is life). Per l’analisi geografica dell’area di studio e le attività di
campo si è mantenuto un approccio ecosistemico, pertanto l’indagine bibliografica è
stata condotta prendendo in esame testi, ricerche e studi di caso sviluppati nell’ambito
dell’ecologia del paesaggio, biologia della conservazione, geografia fisica, geografia
umana e sociale, geologia del petrolio, agro-ecologia, antropologia, etnobiologia,
diritto ambientale, economia e politica.
Durante il periodo di ricerca in Ecuador si è preso parte e si sono acquisiti i lavori dei
seguenti workshops, indispensabili ai fini dell’analisi geografica:
- “Wuaorani nel vortice della conservazione del Parco Naturale Yasuni”, prof.
Ivan Narvaez, Istituto FLACSO, Quito. Data: 20/04/2006:
- “Riserva della Biosfera Yasuni tra governance ambientale e governance
energetica”, prof. Ivan Narvaez, Istituto FLACSO, Quito. Data: 20/06/2006
- “Petrolio e sviluppo sostenibile nell’Amazzonia ecuadoriana”, prof. G.
Fontaine, Istituto FLACSO, Quito. Data: 26/07/2006
- “Amazzonia ecuadoriana: popolazioni indigene tra aree protette e produzione
petrolifera.”, Università Politecnica Salesiana, Quito. Data: 30/06/2006
98
3.2 Attività di campo Durante il periodo di permanenza in Ecuador (aprile-settembre 2006, gennaio 2008;
vedi tabella 4.1) sono state condotte diverse attività di campo volte da un lato a
raccogliere dati utili all’analisi geografica quantitativa e a consolidare le conoscenze
sull’Amazzonia, dall’altro ad approfondire ed investigare le cosiddette arene di
contesa ambientale (Faggi, Turco 2001, p. 25). Per questo la parte dell’analisi relativa
ai conflitti ambientali è stata sviluppata attraverso il metodo dell’intervista e
dell’osservazione partecipante sul campo, raccogliendo informazioni dirette dagli
attori sintagmatici, ossia gli stakeholders organizzati con programmi per la difesa dei
loro interessi (Faggi, Turco, 2001 p. 58) e recandosi all’interno dell’area di studio per
acquisire esperienza sugli impatti socio-ambientali della produzione petrolifera
nell’Amazzonia ecuadoriana. Pertanto si è ritenuto di notevole importanza per la
ricerca visitare, all’interno dell’area di studio, le cosiddette vie del petrolio (Via
Auca, La Joya de los Sachas e la zona di Lago Agrio, vedi Fig. 3.1 p. 112), siti per
l’estrazione petrolifera, centri per il processamento del petrolio greggio, ma anche le
comunità locali ed il territorio indigeno. Le visite in loco, le interviste e l’esperienza
diretta sono stati procedimenti fondamentali per raccogliere informazioni di prima
mano sui probabili impatti dell’industria petrolifera sia sull’ambiente che sulle
comunità locali. Le attività di campo sono state organizzate con l’aiuto del
dipartimento per la protezione ambientale della Provincia di Orellana, di
Organizzazioni Non Governative ambientaliste come Acción Ecologica,
dell’Osservatorio per i diritti umani ed ambientali della città di Puerto Francisco di
Orellana (El Coca) e della rete indigena Angel Shingre (El Coca).
99
3.2.1 Raccolta punti GPS Tramite la tecnologia Global Positioning System (GPS) sono stati effettuati rilievi sul
campo all’interno dell’area di studio. Le vie di comunicazione stradale sono correlate
con il cambio di copertura vegetale e con la deforestazione della foresta amazzonica
(Laurance et al., 2002) ed avendo considerevoli impatti sia dal punto di vista
ecologico come la frammentazione degli habitat (Primack 2003, p. 133) che dal punto
di vista socio-ambientale (Fontaine, 2006) si è ritenuto opportuno percorrere la
principale via petrolifera, la cosiddetta Via Auca, per raccogliere dati topografici con
il GPS. La via Auca inoltre corre parallela alla Riserva della Biosfera Yasuní (RBY)
ad una distanza media di 10-20 km ed alcune strade secondarie vi entrano all’interno.
Dalla strada principale si propagano i processi di spostamento ed insediamento
antropico all’interno della foresta primaria, dando luogo alle cosiddette linee di
prima, seconda e terza colonizzazione. La strada, solo parzialmente pavimentata e per
la maggior parte fortemente dissestata, è stata percorsa per tutta la sua longitudine
fino all’interno del territorio indigeno Wuaorani (80 km a sud della città di el Coca) e
lungo le sue ramificazioni laterali. I dati raccolti (trackpoint) con il dispositivo GPS
sono stati convertiti con l’apposito software in formato .gpx ed in seguito esportati in
shape files per l’elaborazione con software G.I.S.
Si è ritenuto opportuno percorrere ed effettuare la raccolta di punti GPS lungo la
strada Via Auca. per ottenere un grafo stradale aggiornato dello stato di avanzamento
della più importante rete viaria petrolifera dell’Amazzonia ecuadoriana. Inoltre il
lavoro di rilievo sul campo è stato utile sia per verificare l’accuratezza dei dati
acquisiti, sia per riportare, tramite l’osservazione partecipante, il modello di
territorializzazione secondo le logiche di terra (Bertoncin, 2005).
100
3.2.2 Interviste e raccolta dati da informatori privilegiati Tramite il metodo dell’intervista si sono raccolte informazioni per quanto riguarda la
parte dell’analisi qualitativa relativa ai modelli di protezione e gestione della RBY ed
ai conflitti ambientali.
La ricerca qualitativa è stata condotta attraverso interviste semi-strutturate e non-
strutturate (P. Alasuutari, 1995) come strumento utile per esplorare le problematiche
ambientali e inquadrare le principali componenti della valutazione. Per la diversità
delle parti e dei soggetti interpellati si è convenuto utilizzare il metodo dell’intervista
semi strutturata che ha permesso di far emergere i diversi approcci alla conservazione
della biodiversità, alla difesa delle aree protette e all’uso delle risorse naturali.
Il metodo dell’intervista è stato strutturato non tanto in funzione di raccogliere dati su
base campionaria, bensì di procedere ad un’indagine qualitativa individuando soggetti
e parti coinvolti nelle dinamiche territoriali in grado di approfondire, nella
complessità e nel contesto naturale, le problematiche analizzate. Il metodo d’inchiesta
qualitativa inoltre ha permesso di effettuare una triangolazione di dati nell’ambito
degli impatti socio-ambientali della produzione petrolifera e dei differenti modelli di
gestione delle risorse naturali.
Le interviste sono state ripartite tra istituzioni, università e figure di competenza
(biologi, geografi ed antropologi) che si occupano della conservazione e della
protezione della RBY ed alcuni tra gli attori responsabili delle dinamiche territoriali
all’interno dell’area di studio. Il lavoro di inchiesta tramite intervista si è svolto
presso la città di Quito e sul campo in Amazzonia all’interno dell’area di studio. Sono
stati interpellati alcuni rappresentanti delle comunità locali, della stazione scientifica
di ricerca Tiputini dell’Università San Francisco, alcuni responsabili per la protezione
ambientale delle compagnie petrolifere ed esponenti di ONG ecuadoriane.
101
Persona intervistata
Ruolo/Istituzione Note Temi trattati Data luogo
Prof. David Romo
Biologia della conservazione, Univ. S. Francisco, Quito; co-direttore della Stazione Scientifica di Ricerca“Tiputini”, Riserva della Biosfera Yasuni
Note stenografiche; intervista semi-strutturata
Conservazione della biodiversità; Riserve della Biosfera; Produzione petrolifera all’interno di aree protette
07/07/2006 Quito
Dott. Fabricio Guaman
Biologo presso la ONG Ecociencia
Formato audio; intervista semi-strutturata
Biodiversità; comunità indigene; petrolio e conflitti ambientali
20/05/2006 Quito
Sig. Manuel Morocho
Rappresentante organizzazione indigena CONAIE
Formato audio; intervista semistrutturata
Comunità indigena; petrolio; conflitti ambientali
07/04/2006 Puerto Murialdo, provincia di Orellana
Delfín Ordóñez
Direttore del dipartimento per la protezione ambientale, Provincia di Orellana
Note stenografiche, formato audio/video; intervista semi-strutturata
Gestione del Parco Nazionale Yasuni; processi partecipativi comunità locali; conflitti ambientali
05/04/2006 08/04/2006 12/01/2008
Città di El Coca, provincia di Orellana
Dott. Jose Proaño
Antropologo presso la ONG Acciòn Ecologica, responsabile delle relazioni con le comunità indigene nell’Amazzonia Ecuadoriana
Note stenografiche, formato audio Intervista aperta; intervista semi-strutturata
Comunità indigene della RBY; conflitti ambientali; produzione petrolifera
21/05/2006 06/04/2006 05/01/2008
Quito Città di El Coca Quito
Dott. Bepi Tonello
Direttore esecutivo Fondo Ecuatoriano Populorum Progresio (FEPP) -
Note stenografiche; intervista libera
Comunità indigene; programmi UNEP; programmi per la protezione ambientale
12/06/2006 Quito
Sig. Remigio Riveira
Responsabile per la protezione ambientale e le relazioni con gli Wuaorani per la compagnia petrolifera REPSOL YPF
Note stenografiche; intervista semi-strutturata
Impatto ambientale; conservazione della biodiversità; relazioni comunitarie
27/06/2006 Quito
Sig.ra Maria Espinoza
Responsabile osservatorio Diritti Umani
Formato audio; intervista semi-strutturata
Produzione petrolifera; comunità indigene; Diritti umani ed ambientali;
06/04/2006 Citta di El Coca, provincia di Orellana
Sig. John Guerrero
Vice sindaco del Municipio di Dayuma
Formato audio; intervista semi-strutturata
Comunità locali; impatti socio-ambientali della produzione petrolifera
14/01/2008 Comune di Dayuma, provincia di Orellana
Comunità di Garcia Moreno
Comunità locale coinvolta nel conflitto ambientale
Note stenografiche; formato audio/video Intervista non strutturata di gruppo
Comunità locali; Impatti socio-ambientali della produzione petrolifera;
10/01/2008 Comune di Garcia Moreno, provincia di Orellana
Tab. 3.1 Principali interviste raccolte sul campo da informatori privilegiati
102
Persona intervistata
Ruolo/Istituzione Note Temi trattati Data luogo
Esperanza Martinez
Presidente della ONG Accion Ecologica
Note stenografiche; formato audio intervista semi-strutturata
Impatti socio-ambientali dell’industria petrolifera; dinamiche del conflitto ambientale.
20/05/2006 Quito
Dott. Melissa Moreano
Ricercatrice presso la Stazione Scientifica Yasuni, Università Cattolica di Quito
Note stenografiche, intervista semi-strutturata
Conservazione della biodiversità, popolazioni indigene, ricerca scientifica
22/05/2006 Quito
Dott. Diego Andrade
Geografo presso l’Università Cattolica
Note stenografiche, semi-strutturata
Sisitemi Territoriali Informativi ed aree protette in Ecuador
23/05/2006
Quito
Sig. Diocles Zambrano
Responsabile dell’Osservatorio per i diritti umani ed ambientali
Note stenografiche, formato audio/video Intervista aperta; intervista semi-strutturata
Comunità indigene; conflitti ambientali; produzione petrolifera
13/05/2006
05/01/2008
Città di El Coca
Sig. Jorge Claudio
Campesino colonos, arrestato a Dayuma in seguito al blocco della Via Auca
Note stenografiche; formato audio/video intervista libera
Conflitto ambientale a Dayuma, rapporto con le istituzioni
14/01/2008 Comune di Dayuma, provincia di Orellana
SIg. Diego Espinoza
Operaio della compagnia statale Petroecuador
Formato audio/video; intervista semi-strutturata
Bonifica degli ambienti forestali contaminati da idrocarburi.
14/1/2008 Comunità di San Carlos, provincia di Orellana
Dott.ssa Paula Maldonado
Geografa presso Ecociencia
Note Stenografiche; intervista semi-strutturata
G.I.S. Comunità indigene, conservazione
24/05/2006 Quito
Prof. Giovanni Onore
Docente di entomologia presso l’Università Cattolica di Quito
Note stenografiche; intervista semistrutturata
Conservazione della biodiversità; gestione dei parchi naturali
28/05/2006 Quito
Dott. Adolfo Maldonado
Medico specialista in medicina tropicale. ONG Accion Ecologica
Note stenografiche; intervista semistrutturata
Produzione petrolifera e salute umana in Amazzonia.
20/05/2006 Quito
Sig. Moy Enomenga
Rappresentante delle comunità Wuaorani
Formato audio; intervista semistrutturata
Riserva della Biosfera Yasuni; Comunità indigene; petrolio; impatti socio-ambientali
18/01/2008 Quito
Sig. Guadalupe LLori
Sindaco della città di Coca
Note stenografiche; formato audio Intervista non strutturata.
Processi di partecipazione comunitaria, gestione forestale, relazioni con lo Stato
14/5/2006 Città di El Coca
Tab. 3.1 Principali interviste raccolte sul campo da informatori privilegiati
103
3.2.3. Problematiche di lavoro
Le attività di campo si sono sempre svolte con l’accompagnamento diretto delle
organizzazioni locali e nazionali sopra citate che hanno seguito gli spostamenti
all’interno dell’area e garantito l’accesso alle comunità locali indigeno-campesine.
Tuttavia, durante gli spostamenti e i rilievi sul campo, si sono riscontrate alcune
difficoltà che hanno limitato l’attività di ricerca. E’ da registrare infatti come le
problematiche direttamente connesse alla conflittualità ambientale, specialmente in
zone di produzione petrolifera, abbiano ridotto lo spettro di ricerca sul campo e
condizionato profondamente la mobilità all’interno del territorio. L’area di studio in
analisi, inclusa la RBY, comprende attualmente quindici concessioni petrolifere ed è
situata in piena amazzonia ecuadoriana. L’accessibilità sia alla RBY che alle
comunità locali al suo interno è possibile attraverso le vie fluviali oppure attraverso
l’unica via stradale pubblica costruita nel 1994 dalla compagnia petrolifera Maxus.
(Finer 2008). Nonostante all’interno del Parco Nazionale Yasuní vi siano le stazioni
scientifiche di ricerca dell’Università Cattolica e San Francisco di Quito, i permessi e
le visite vengono filtrate dalle compagnie petrolifere titolari delle licenze per lo
sfruttamento dei giacimenti. Le compagnie tendono a limitare, ed in alcuni casi ad
impedire, l’accesso al Parco per studi e ricerche indipendenti sugli impatti socio-
ambientali della produzione petrolifera. La compagnia REPSOL YPF, titolare della
concessione numero 16 (Oil Block 16), controlla direttamente l’accesso al Parco
Nazionale Yasuni tramite checkpoints e presidi militari all’inizio della Via Maxus,
impedendo di fatto il libero ingresso alla riserva della biosfera.
In particolare l’accesso al Parco Nazionale Yasuni è praticamente interdetto, o
fortemente limitato, a membri di ONG per il monitoraggio ambientale e per il rispetto
dei diritti umani (Accion Ecologica, Ecociencia, Amazon Watch) e a personalità o
gruppi che hanno una reputazione avversa allo sfruttamento petrolifero. La parziale
entrata di visitatori all’interno del parco denota che valutazioni di impatto ambientale
(VIA) e ricerche scientifiche indipendenti sono di fatto inesistenti e difficili da
sviluppare (International Commission 2004). In molti casi quindi l’avvicinamento
alle infrastrutture petrolifere, ai pozzi d’estrazione ed in particolare alle vasche di
104
raccolta del petrolio fuoriuscito è stato difficoltoso e problematico. Va sottolineato
che l’accompagnamento delle organizzazioni locali all’interno dell’area di studio ha
permesso di visitare molti siti abusivi per lo smaltimento di liquami ed acque di
produzione nell’ambiente e di poter riportare, tramite l’osservazione diretta, interviste
e fotografie degli impatti socio-ambientali dello sfruttamento dei giacimenti
petroliferi nell’amazzonia ecuadoriana. Nonostante l’insieme delle problematiche e le
difficoltà di lavoro sul campo si è riusciti a procedere all’indagine qualitativa, a
raccogliere dati ed a inquadrare nel vivo le dinamiche, gli attori e le poste in gioco dei
conflitti ambientali. Pertanto le attività di campo sono state fondamentali ed hanno
assunto prezioso valore nell’elaborazione e nel processamento dei dati geografici.
Sito Ubicazione e lavoro sul
campo Inquadramento
territoriale Data
Oil Block: Petroecuador
Via Auca. Percorrimento della strada e raccolta punti GPS; visita alle infrastrutture petrolifere (pozzi, piattaforme, pompe, vasche di contenimento)
Principale via di comunicazione petrolifera in amazzonia; interseca la buffer zone della RBY ed entra nel territorio indigeno Wuaorani
10-20 aprile
2006
17-01-2008
Provincia Orellana
Comune di El Coca; visita ed interviste a persone di competenza presso: dipartimento per la protezione ambientale della provincia di Orellana; Proyecto Bosque; Osservatorio per i diritti umani e ambientali; sede della rete indigena Angel Shingre
La provincia copre la maggior parte della superficie della RBY. Il Proyecto Bosque è responsabile della gestione forestale e della partecipazione comunitaria; la rete Angel Shingre coinvolge ed organizza le comunità indigene presenti nel territorio.
5-20 aprile
2006
4-10 gennaio
2008
La Joya de los Sachas
Buffer zone della RBY. A nord della città di El Coca, zona con elevata densità di infrastrutture e pozzi petroliferi. Viaggio e visite nelle comunità locali. Osservazione diretta delle fuoriuscite di petrolio. Interviste ai rappresentanti delle comunità locali.
Zona ad alta criticità ambientale a causa del boom petrolifero degli anni ’80-’90. Impatto antropico elevato a causa della produzione petrolifera e monocolture di palma africana. Cambio quasi totale della copertura vegetale ed uso del suolo.
07-04-2006
105
Comunità di Dayuma
Buffer Zone RBY. Km 26 della Via Auca. Visita alla comunità ed interviste. Visita ai pozzi ed ai luoghi contaminati da petrolio. Osservazione diretta.
Comunità al centro del conflitto ambientale. Comunità locale principalmente di colonos. Zona ad alta densità di pozzi e infrastrutture petrolifere. Numerose fuoriuscite di petrolio.
06-04-2006
14-01-2008
Comunità di Murialdo
Buffer Zone della RBY. Rio Napo. Visita alla comunità indigena. Interviste ed osservazione diretta.
Comunità indigena Kichua. Luogo di ritrovo ed organizzazione delle reti indigene.
11-04-2006
Comunità del Bajo Huino
Buffer zone della RBY. Rio Napo. Visita alla comunità indigena. Interviste ed osservazione diretta. Visita alla piattaforma petrolifera fluviale della compagnia Perenco
Comunità Kichua situata a 2-3 km dalle nuove installazioni petrolifere della compagnia Perenco lungo le rive del Rio Napo.
14-04-2006
Comunità di Garcia Moreno
Buffer Zone. Via Auca a 10 km dalla città di El Coca. Visita alla comunità. Interviste ed osservazione diretta.
Comunità di colonos. Zona ad alta densità di pozzi ed infrastrutture petrolifere. Diretto coinvolgimento nel conflitto ambientale.
10-01-2008
Tab. 3.2 Attività di campo e luoghi visitati all’interno dell’area di studio
3.3 Sistemi Informativi Territoriali Il principale strumento utilizzato per l’analisi spaziale, quantitativa e geografica
all’interno dell’area di studio è il Sistema Informativo Territoriale (S.I.T), meglio
conosciuto con l’acronimo inglese di Geographic Information System (G.I.S.).
Tale sistema è costituito da un potente insieme di strumenti che permettono di
immagazzinare, ricercare, trasformare e rappresentare dati spaziali del mondo reale al
fine di ottenere scopi specifici (Burrough, 1986 in Gomarasca, 2002). Per molteplici
problematiche di natura territoriale, dalla gestione delle aree protette alle analisi
socio-demografiche, i sistemi G.I.S. risultano essere oggigiorno un’insieme avanzato
di strumenti con elevate capacità di visualizzazione ed elaborazione di informazioni
georeferenziate, utili sia nella la ricerca scientifica che, a livello decisionale, nella
pianificazione del territorio. Le tecnologie G.I.S. hanno inoltre notevoli potenzialità
nell’analisi spaziale riuscendo a mettere in relazione gli attributi della base di dati con
106
la componente geografica rappresentata graficamente, andando a raffigurare un
modello del mondo reale (Gomarasca, 2000).
Negli studi di natura ecosistemica va inoltre tenuto in considerazione come le
dinamiche dei sistemi vegetali, dei processi di erosione dei suoli, dell’idrologia
sotterranea e di superficie, ma anche di popolazione e di urbanizzazione siano
processi che mostrano la loro complessità in funzione del tempo e dello spazio,
pertanto difficilmente riconducibili a modelli estremamente semplificati o ridotti ad
una singola componente del sistema. Negli studi di tale natura è notevolmente
aumentato l’interesse verso i G.I.S. per simulare processi di dinamiche spaziali
(Gimblett, 2002).
Per la diversità tematica degli strati informativi e la possibilità di metterli in relazione
tra loro spazialmente e temporalmente i sistemi G.I.S si sono rivelati assai utili nel
descrivere i processi e le interazioni uomo-ambiente.
Un approccio molto interessante alla complessità ecosistemica è quello della
Geographical Information Science (GIScience). La GIScience, integrando la
componente della teoria scientifica e dei sistemi d’informazione, attraverso
tecnologie di remote sensing, di statistiche e di analisi spaziali, di modeling e
simulazione spaziale, di global positioning systems (GPS) e ovviamente di sistemi
G.I.S. prende in esame le interazioni non lineari uomo-ambiente, enfatizzando in
particolare le dinamiche land use/land cover (Walsh, 2002).
Tra le potenzialità della G.I.Science emerge quella di poter sviluppare analisi spaziali
del territorio nella sua complessità integrando,oltre alle componenti bio-fisiche, dati
di carattere antropologico, sociale, produttivo ed economico. In questo modo è
possibile configurare un’analisi sistemica in grado di poter descrivere un’area dal
punto di vista geografico anche in relazione alle dinamiche territoriali (Walsh, 2002).
Alcuni dati geografici acquisiti sul campo derivano da processi locali di Participatory
G.I.S. (PGIS); i dati acquisiti sono stati effettuati con rilievi GPS e sono relativi alla
titolazione delle terre ed alla loro assegnazione alle comunità locali amazzoniche. Il
PGIS è una delle pratiche emergenti nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) che si basa
sul coinvolgimento delle comunità locali attraverso processi partecipativi per
107
costruire sistemi informativi territoriali in grado di soddisfare le esigenze delle stesse
(Rambaldi, 2006).
L’indagine cartografica condotta sul campo e l’accesso a banche dati (dati
georeferenziati) hanno consentito l’acquisizione delle informazioni territoriali di base
utili ai fini delle analisi.
In seguito all’acquisizione si è proceduto alla pre-elaborazione dei dati operando
conversioni tra proiezioni e sistemi di coordinate differenti, controlli di adiacenza,
correzioni geometriche e controllo degli errori.
La ricompilazione dei dati geografici è stata effettuata utilizzando il Database
Management System (DBMS) relazionale integrato nel software G.I.S. che ha
consentito di gestire operazioni di trasformazione, di ricerca, di manipolazione e di
produzione di nuovi dati di output.
Tutti i dati bio-fisici, ecologici, geografici, antropici, socio-economici acquisiti sul
campo sono stati ricompilati ed integrati nel DBMS, creando un data storage che è
geograficamente e temporalmente referenziato e tematicamente differenziato.
Per poter sviluppare le analisi spaziali e la produzione di nuovi output cartografici è
stato utilizzato il software ArcGis versione 9.0 (ESRI) con il quale sono stati svolti i
procedimenti di ricompilazione dei dati geografici acquisiti, di analisi spaziale, di
produzione di carte tematiche, tabelle e grafici.
Le principali funzioni e set di operatori utilizzati con il software ArcGis 9.0 per
l’analisi spaziale sono stati:
- Operazioni di georeferenziazione
- Funzioni di misura per il calcolo di aree, lunghezze, distanze.
- Set di operatori di “overlay mapping”, ossia di sovrapposizione cartografica:
intersect, clip, union, erase.
- Operazioni di buffering, ossia la creazione di aree di rispetto.
- Operazioni di conversione: rasterizzazione e vettorializzazione.
- Operazioni di density analysis, per il calcolo e la produzione di mappe di
densità.
108
3.3.1 Cartografia tematica Per poter procedere allo studio geografico, all’interno della RAE, delle risorse
naturali, delle formazioni vegetali, degli ecosistemi, delle aree protette, delle
popolazioni indigene ma anche delle vie di comunicazione, delle infrastrutture
petrolifere e della parcellizzazione agraria è stato necessario svolgere un’accurata
indagine cartografica in loco presso gli istituti e le organizzazioni competenti.
Oltre all’acquisizione delle carte topografiche dell’amazzonia ecuadoriana in scala
1:250 000 e 1:50 000 presso l’Istituto Geografico Militare (IGM) di Quito è stata
svolta una raccolta di cartografia tematica in formato vettoriale (shape files) e raster e
di dati geografici relativi all’area di studio presso istituzioni, università e NGOs
ecuadoriane. Per poter sviluppare l’analisi spaziale e lo studio dei conflitti ambientali
e poterne tracciare traiettorie e scenari all’interno dell’area di studio sono state
raccolte e prese in esame numerose carte tematiche con dati georeferenziati inerenti ai
sistemi ecologici, sociali e produttivi, compilate sulle base delle componenti fisiche
(suoli, bacini idrografici, geomorfologia, clima), biotiche (ecosistemi, formazioni
vegetali, biodiversità, copertura vegetale), antropiche (insediamenti, comunità,
territori indigeni), economico-ecologiche (titolazione agraria, modelli di gestione ed
uso delle risorse, aree protette e parchi naturali, zonazioni economico-ecologiche) e
produttive (reti di comunicazione, infrastrutture economiche). Particolare attenzione è
stata dedicata alle carte tematiche relative alla produzione petrolifera ed alle
infrastrutture per comprendere le dinamiche territoriali che portano allo sviluppo di
conflitti ambientali.
Dopo aver acquisito in loco la cartografia tematica, attraverso l’utilizzo di software
GIS, si è proceduto alla presa in esame del materiale ed all’analisi critica dei dati
geografici, effettuando dei controlli incrociati con le diverse fonti acquisite per la
verifica di incongruenze o di gap nella base di dati geografica. Rispetto a questo, in
molti casi, sono stati utili i metadati inseriti nel materiale della cartografia tematica
acquisita che hanno dato informazione sull’origine dei dati geografici, sulla
metodologia, sulla scala, sul sistema di riferimento, proiezione e datum.
109
La compilazione di cartografia tematica, derivata da fotografie aeree e remote sensing
ed elaborata con software G.I.S., è in Ecuador pratica assai diffusa, sia in ambiti di
ricerca istituzionali come Università e Ministeri, sia all’interno di NGOs e fondazioni
per la conservazione della natura e lo sviluppo sostenibile; l’elaborazione ed il
processamento di dati georeferenziati delle componenti biofisiche e di quelle socio-
economiche è sovente utilizzata infatti per pianificazioni territoriali, piani di gestione
di aree protette, zonazioni ecologiche-economiche, analisi land use/land cover nonché
valutazioni di impatto ambientale (VIA). Istituzioni
visitate Definizione Tematismi Ruolo
dell’organizzazione data
ECORAE Istituto per l’eco-sviluppo regionale amazzonico; presidenza della Repubblica
Componente fisica Componente biotica Zonazione ecologica - economica Infrastrutture varie
Promuovere lo sviluppo sostenibile nell’Amazzonia ecuadoriana e l’interculturalità
06/05/2006 15/06/2006
IGM Ecuador Istituto Geografico Militare
Carte topografiche 8/04/2006
Ministerio Energia y Minas
Ministero dell’Energia; catasto minierario e concessioni petrolifere
Aree di concessione; infrastrutture; pozzi e piattaforme;
Assegnazione delle licenze per lo sfruttamento petrolifero
03/06/2006
ECOCIENCIA Fondazione Ecuadoriana per gli studi ecologici
Formazioni vegetali Ecosistemi Biodiversità
Piano di gestione della Riserva della Biosfera Yasuni
09/04/2006
SIMBIOE Società per la ricerca ed il monitoraggio della biodiversità ecuadoriana
Aree protette Insediamenti urbani Biodiversità Ecosistemi
Collaborazione della gestione delle risorse forestali, Orellana.
04/04/2006
WALSH Environmental Scientists and Engineers
Comunità indigene Wuaorani. Comunità indigene Kichua e colonos.
VIA per le compagnie petrolifere Gestione aree protette
07/04/2006
Accion Ecologica NGOs Comunità indigene e colonos
Difesa dei diritti degli indigeni e delle aree protette
10/06/2006
Dipartimento Ambientale, Orellana
Provincia di Orellana
Zonificazione ecologica-economica Proprietà ed uso delle risorse
Protezione ambientale su scala provinciale. Gestione forestale e partecipazione comunitaria.
20/04/2006
13/01/2008
Tabella 3.3 – Istituzioni e organizzazioni visitate sul campo per l’acquisizione della cartografia tematica e base di dati georeferenziati
110
In seguito alla raccolta dei materiali geografici si proceduto ad organizzare la
cartografia tematica acquisita in una base di dati divisa in 6 campi (fonte, nome della
carta, tematismo, categoria di primo livello, categoria di secondo livello, scala) e 250
records per poter compiere l’analisi comparata e svolgere la ricompilazione dei dati
geografici.
La raccolta, l’organizzazione in database e l’analisi comparata sono state operazioni
necessarie per ricompilare le carte ed i dati geografici al fine produrre una base
cartografica tematica che includesse la rete ed i bacini idrografici, gli ecosistemi, le
formazioni vegetali, la biodiversità e le specie più rappresentative, le comunità
indigeno-campesine, la titolazione delle terre, le vie di comunicazione, la produzione
petrolifera. Tematismo Fonte Scala Copertura Struttura
geometrica Utilizzo
Limiti amministrativi
ECORAE
1 : 100 000
Province: RAE
Poligono
Area di studio
Sistema Nazionale Aree Protette (SNAP)
SIMBIOE
1 : 250 000
Ecuador
Poligono
Carta SNAP Area di Studio Carta petrolio Carta comunità
Vie di comunicazione stradale
ECORAE 1 : 250 000 Province: Napo, Pastaza,
Orellana, Sucumbios
Polilinea
Area di studio Carta petrolio Carta comunità Carta titolazione terre
Sistemi forestali
ECOCIENCIA
1 : 250 000
Regione
Amazzonica Ecuadoriana
RAE
Poligono
Analisi quantitativa: erosione sistemi forestali per impatto antropico
Ecosistemi ECORAE 1 : 250 000 Province: Napo, Pastaza,
Orellana, Sucumbios
Poligono Carta ecosistemi Carta biodiversità
Bacini Idrografici ECORAE 1 : 250 000 RAE Poligono Area di studio Carta sistemi idrografici
Rete idrografica WALSH 1 : 250 000 RAE Polilinea Carta sistemi idrografici
Assegnazione delle terre
Dip. Geografia Dip. Geography, North Carolina
1 : 250 000 RAE Poligono Carta titolazione delle terre Analisi quantitativa
Comunità locali: indigeni e campesinos
RAE Punti Carta comunità indigene e campesinos
Licenze petrolifere
Min. Energia 1 : 250 000 Ecuador Poligono Carta petrolio
Pozzi petrolio Min. Energia 1 : 250 000 Ecuador Punti Carta petrolio Campi petrolio Min. Energia 1 : 250 000 RAE Poligono Carta Petrolio Tab. 3.4 Elenco carte utilizzate per l’analisi quantitativa e input cartografici
111
3.3 Immagini satellitari Oltre alla cartografia tematica digitale si è provveduto ad acquisire diverse immagini
satellitari per compiere operazioni di buffering sulle aree deforestate, lo studio e
l’analisi quantitativa di una via di comunicazione stradale per la produzione
petrolifera all’interno della Riserva della Biosfera Yasuni, ma anche di controllo
geometrico in overlay sulle carte tematiche ricompilate e proiettate in altri sistemi di
riferimento.
Sono state utilizzate immagini Landsat 7 Enhanced Thematic Mapper Plus (ETM+)
che per la loro risoluzione geometrica (da 15 a 30 metri/pixel) e risoluzione spettrale
sono particolarmente adatte per il monitoraggio della deforestazione regionale.
In particolare sono state acquisite scene satellitari Landsat 7 ETM+ scaricate dal sito
Global Land Cover Facilities dell’Università di Maryland
(http://glcf.umiacs.umd.edu) per il controllo geometrico e quello delle conversioni in
differenti sistemi di coordinate geografiche, nonché per la definizione cartografica
dell’area di studio.
La Società per la ricerca ed il monitoraggio della biodiversità ecuadoriana
(SIMBIOE) ha provveduto a fornire immagini satellitari Landsat 5 TM del 1987 e
Landsat 7 ETM+ del 2002, dalla stessa utilizzate per un’analisi diacronica sul cambio
delle copertura vegetale nella zona della cosiddetta “Via Auca”, la principale via di
comunicazione per le attività petrolifere della RAE. L’analisi diacronica acquisita in
loco ha dato indicazioni sul trend di cambiamento della copertura vegetale dall’anno
1987 all’anno 2002 cosicchè la scena Landsat 7 ETM+ (path 9, row 60; anno 2002) è
stata utilizzata per costruire una area di rispetto (buffer) delle aree deforestate intorno
alla strada e per produrre analisi quantitative all’interno della zona in analisi.
112
Fig. 3.1 Immagini Landsat ETM+ 2002 – Lago Agrio e Strada "Via Auca". Cambio della copertura e deforestazione del tipo “spina di pesce” (Elaborazione con G.I.S.)
113
Sono state inoltre utilizzate scene satellitari disponibili sulla piattaforma Google
Earth. Tali immagini mostrano in dettaglio una strada recentemente aperta all’interno
della foresta primaria senza le autorizzazioni governative (ref) dalla compagnia
petrolifera statunitense Occidental-Petroleum per lo sfruttamento dei giacimenti
petroliferi nell’area contigua ed all’interno della buffer zone della RBY. Le scene
satellitari in questione sono state prodotte dalla Digital Globe Company e solo
recentemente sono state pubblicate e rese gratuitamente disponibili tramite la
piattaforma software Google Earth. Le immagini sopracitate sono scene satellitari
ortorettificate acquisite dal satellite commerciale QuickBird sul quale è installato un
sensore Multispectral con le seguenti bande spettrali (MS Channels): blue (450-
520nm), green (520-600nm), red (630-690nm), near-IR (760-900nm). Le immagini
utilizzate per l’analisi spaziale, acquisite dal satellite Quickbird il 18 maggio 2003,
sono due scene di 16,5 x 16,5 chilometri al suolo, con coordinate geografiche UTM
di 0.49225° Sud, 76.0639° Ovest e 0.6332° Sud, 76.0677° Ovest; coprono buona
parte della concessione petrolifera n. 15 (Oil Block 15) e alcune parti della RBY. Per
la loro elevata risoluzione geometrica (2,4 metri/pixel al suolo) le due scene satellitari
mostrano in maniera dettagliata sia l’intera rete stradale (che entra nella buffer zone
della RBY) sia l’insieme delle infrastrutture per l’estrazione ed il processamento del
petrolio greggio.
114
Fig. 3.2 Strada OXY Petroleum e buffer zone della RBY, immagine georeferenziata. (fonte: MS Channels, Quickbird, 18/05/2003) Per poter sviluppare l’analisi quantitativa con le sopracitate scene satellitari è stato
necessario processare le immagini con i seguenti software:
- Google Earth PRO 4.2
- Photoshop CS2 (Adobe)
- Arcgis 9.0
Dopo essersi posizionati con lo strumento zoom di Google Earth a 237 metri dal
suolo sono stati salvati screenshots di tutto il tracciato stradale con risoluzione di
1400x1217 dpi (dot per inch) fino alle sue appendici terminali. Si sono ottenuti 60
screenshots che sono stati successivamente importati e processati con il programma
Photoshop CS2 per ricostruire le scene satellitari che coprono la strada petrolifera.
Con il file raster ottenuto si è in seguito passati alle operazioni di georeferenziazione
con il software ArcGis 9.0 per poter eseguire le operazioni di digitalizzazione ed
analisi quantitative. Per le operazioni di georeferenziazione sono stati individuati con
115
Google Earth otto punti ben riconoscibili all’interno dell’area, quindi si è proceduto
all’inserimento manuale delle coordinate x ed y con ArcGis 9.0. Successivamente si è
proceduto ad un controllo degli errori di georeferenziazione tramite operazioni di
overlay con altre carte tematiche acquisite, rilevando uno scarto di 10 metri circa. Per
effettuare i processi di georeferenziazione e l’analisi spaziale dell’area si è mantenuto
il sistema di riferimento WGS84.
Fig. 3.3 Screenshot su piattaforme petrolifere contigue ad importante alveo fluviale tipo braided. Immagine georeferenziata. (fonte: MS Channels, Quickbird, 18/05/2003)
116
Fig. 3.4 Screenshot del Centro di processamento del petrolio (CPF) della Occidental Petroleum lungo la buffer zone della RBY. (fonte: MS Channels, Quickbird, 18/05/2003)
117
4 Risultati 4.1 Introduzione Dopo aver effettuato la definizione dell’area di studio nell’Amazzonia ecuadoriana si
è proceduto alle indagini quantitative utilizzando i software ArcGis 9.0 per le analisi
geografiche e spaziali e Microsoft Excel 9.0 come foglio di calcolo per compilare
tabelle e grafici. Utilizzando un approccio ecosistemico per l’indagine territoriale le
analisi quantitative si sono sviluppate approfondendo le problematiche ambientali
nell’area della Riserva della Biosfera Yasuní, con particolare riferimento all’impatto
delle attività antropiche sui sistemi forestali ed allo sviluppo dei conflitti legati all’uso
delle risorse naturali.
Se da un lato l’analisi quantitativa è stata orientata sul cambio di copertura vegetale
ed uso del suolo (land cover) dall’altro si sono presi in esame i processi di
territorializzazione (Faggi, Turco, 2001) legati allo sfruttamento dei giacimenti ed
alla produzione petrolifera nello spazio amazzonico, laddove coesistono comunità
locali (indigene e meticcie) ed aree protette istituite dall’UNESCO all’interno dei
programmi MAB (Villaverde et al., 2005).
In base alla disponibilità dei dati acquisiti, ossia immagini satellitari e carte
tematiche, ed al ruolo che le vie di comunicazione stradali hanno nel cambio di
copertura vegetale ed uso del suolo (Walsh, Kelley, 2002) si è convenuto strutturare
le analisi quantitative relative all’impatto antropico intorno ai principali accessi
all’interno della foresta primaria. Pertanto le analisi quantitative di tipo land
cover/land use in rapporto alle vie di comunicazione stradali sono state le seguenti:
- analisi diacronica della copertura forestale e studio del rapporto tra attività
antropiche e sistemi forestali
- ground truth (“verifica al suolo”) e costruzione del grafo stradale tramite i
punti GPS raccolti sul campo della principale rete viaria della RAE (Via
Auca)
- aree protette e produzione petrolifera: analisi geografica e quantitativa con
approccio transcalare.
118
- digitalizzazione da immagini satellitari ed analisi quantitativa sulla strada
petrolifera costruita illegalmente dalla compagnia Occidental Petroleum
(Environment News Service, 16/02/2005).
- calcolo della densità delle installazioni per l’estrazione petrolifera a scala
macroregionale.
- analisi comparativa a scala macroregionale tra la carta di densità delle
installazioni petrolifere e la carta tematica delle aree con elevata degradazione
degli habitat.
- analisi quantitativa e comparativa dei modelli di territorializzazione
nell’intorno della rete stradale Via Auca ed il bacino idrografico Curaray
4.2 Area di studio L’elaborazione cartografica per la definizione dell’area di studio si è basata sui
seguenti tematismi:
- cartografia tematica dei sistemi amministrativi acquisiti in loco presso
l’Istituto per l’eco-sviluppo della Regione Amazzonica Ecuadoriana
(ECORAE); scala 1 : 250 000; datum Provisional South America 1956, Z18S.
- Cartografia tematica delle aree protette appartenenti allo SNAP, acquisite in
loco presso ECORAE; scala 1 : 250000; datum Provisional South America
1956, Z18S.
- Cartografica tematica del sistema di comunicazione stradale; scala 1 : 250
000, fonte Geography Department of Carolina; datum Provisional South
America 1956, Z17S.
- Cartografica tematica dei campi petroliferi, pozzi, polidotti, raffinerie, Central
Processing Facilities e infrastrutture petrolifere del Catasto petrolifero e della
direzione nazionale delle risorse minerarie (DINAGE); scala 1:250 000,
datum Provisional South America 1956, Z18S.
119
- Cartografia tematica delle comunità indigene Wuaorani, Kichua e degli
insediamenti di contadini colonos, acquisiti a Quito presso la Fundación
Ecuatoriana de Estudios Ecológicos (ECOCIENCIA); scala 1:250 000, datum
Provisional South America 1956, Z18S.
- Cartografia tematica degli insediamenti urbani, acquisita presso la ONG
Sociedad para la Investigaciòn y Monitoreo de la diversidàd Biologica
Ecuatoriana (SIMBIOE); scala 1 250 000, datum Provisional South America
1956, Z18S (fonte: Odeplant)
- Immagini satellitari Landsat ETM del 30 agosto 2000; sistema di riferimento
WGS84, proiettata in PSAD1956, Z18S; (fonte: Global Land Cover
Facilities)
120
Fig. 4.1 Elaborazione dell'area di studio: Riserva della Biosfera, comunità locali, limiti amministrativi, concessioni petrolifere, vie di comunicazione.
121
4.3 Input cartografici Attraverso la ricompilazione dei dati geografici acquisiti sul campo sono stati prodotti
degli input cartografici, ossia delle carte tematiche elaborate ad hoc, indispensabili
per l’analisi quantitativa, per la discussione sulle dinamiche territoriali e sui conflitti
ambientali:
- carta tematica degli ecosistemi della regione amazzonica ecuadoriana (RAE).
- carta tematica del sistema idrografico della RAE.
- carta tematica della produzione petrolifera
- carta delle popolazioni locali (indigene e campesinos meticce).
4.4 Carta tematica degli ecosistemi della RAE: input cartografico. La carta tematica degli ecosistemi è stata prodotta ricompilando i dati geografici
acquisiti in loco presso l’Istituto per l’eco-sviluppo della regione amazzonica
(ECORAE). I dati geografici presentano gap informativi dovuti ai cambiamenti dei
limiti amministrativi della provincia di Napo ed Orellana, localizzati a cavallo delle
due province. E’ stata inoltre riscontrata, nella base di dati ECORAE, una
disomogeneità nella raccolta dei dati, nella loro compilazione e nella metodologia
utilizzata; anche i metadata si sono rivelati in gran parte carenti. Pertanto si è
proceduto alla ricompilazione cartografica ed all’integrazione dei dati mancanti
effettuando triangolazioni con i dati acquisiti in loco presso le ONG Ecociencia ed
Accion Ecologica.
Si è quindi ottenuta la carta tematica degli ecosistemi della RAE utilizzata come input
cartografico per le analisi quantitative relative allo studio di vegetazione, delle rete
viaria, delle aree protette e della produzione petrolifera. In particolare sono stati
“estratti” i dati relativi alle aree con perdita o elevata degradazione degli habitat e
sostituzione della copertura vegetale, operando successivamente intersezioni
geometriche per le analisi quantitative.
122
A causa della diversità degli habitat, del clima e degli ecosistemi, la regione
amazzonica ecuadoriana (RAE) presenta un’elevata diversità biologica in ogni suo
livello organizzativo. Il contributo in termini di biodiversità e di tasso di endemismo
della RAE porta l’Ecuador ad essere riconosciuto come Paese Megadiverso
(Lindenmayer, Mark Burgman, 2005)
Ad esempio, nel bacino idrografico del Rio Napo sono state classificate 470 specie di
pesci, numero che supera i registri di qualunque altro sistema idrografico del mondo
(IUCN, ECOCIENCIA, 2000).
123
Fig. 4.2 Carta tematica degli ecosistemi della regione amazzonica ecuadoriana (RAE); al centro, evidenziato con il colore bianco, è visibile il gap informativo.
124
4.5 Sistemi idrografici della regione amazzonica ecuadoriana. La cartografia tematica relativa al reticolo idrografico ed al bacino della regione
amazzonica ecuadoriana (RAE) è stata ricompilata utilizzando principalmente i dati
ministeriali dell’Istituto ecuadoriano per l’eco-sviluppo della regione amazzonica
(ECORAE). A causa di gap negli strati informativi, in particolare nell’area della
Riserva della biosfera Yasuní (RBY), è stato necessario procedere ad integrazioni con
dati acquisiti presso la Fondazione ecuadoriana per gli studi ecologici
(ECOCIENCIA) e con la base di dati geografici della Corporazione per la ricerca ed
il monitoraggio della biodiversità ecuadoriana (SIMBIOE); è stata comunque
riscontrata anche in questo caso scarsa omogeneità sia nella raccolta dei dati
idrografici che nella metodologia della compilazione degli stessi. Nonostante i
procedimenti di integrazione cartografica la copertura dei dati relativi al reticolo
idrografico dell’area geografica nord-orientale della regione amazzonica è risultata
parziale.
L’elaborazione della carta dei sistemi idrografici è stata ritenuta indispensabile sia per
l’analisi dei differenti modelli di territorializzazione (Faggi, Turco, 2001) sia per
individuare possibili implicazioni di carattere ambientale nelle aree in cui l’elevata
densità di strutture per la produzione petrolifera ha determinato un importante
inquinamento delle acque superficiali e risorgive, come riportato dal Secondo
Tribunale Internazionale delle Acque di Amsterdam nel 1992 (Second International
Water Tribunal, 1994 in De Marchi, 2004).
Tramite l’osservazione diretta e le interviste raccolte sul campo è stata inoltre
riscontrata un’elevata presenza di vasche di raccolta, senza strutture
impermeabilizzate e a “cielo aperto” (vedi immagine satellitare e fotografia effettuata
sul campo, fig. 4.15 e 4.16 p.), di acque derivanti dalla produzione petrolifera in
prossimità di corsi d’acqua e risorgive, nonché di numerose fuoriuscite di petrolio
greggio e liquidi idrocarburici dai polidotti, direttamente riversati nell’ambiente.
All’interno della carta dei sistemi idrografici sono stati quindi ricompilati i dati
ministeriali ECORAE relativi all’inquinamento delle acque, che coinvolgono
principalmente il bacino del Rio Napo, Rio Aguarico, Conduè e Bonduè.
125
Tab. 4.1 Fiumi della Provincia di Orellana con presenza di agenti contaminanti (fonte: ECORAE, 2002)
Tenendo in considerazione che la densità di drenaggio media dei fiumi dell’Amazon
Basin è di circa 0.2-03 Km/Km2 (Muller, Cochonneau et al., 2000), è stata ritenuta
operazione opportuna individuare un’area campione (laddove i dati del reticolo erano
completi) ed effettuare il calcolo dell’indice di densità di drenaggio per effettuare una
comparazione.
L’area campione è stata individuata in prossimità della riserva della biosfera Yasuní e
nell’area con elevata densità di strutture petrolifere, nella zona di El Coca. Su un’area
di 2137 Km2 sono stati rilevati 1192 Km di reticolo idrografico, pertanto la densità di
drenaggio è di 0.55 Km/Km2.
Come si può rilevare dalla cartografia ricompilata, all’interno dell’area della regione
amazzonica (RAE), il sistema si evolve in un reticolo idrografico fittissimo (Strahler,
1984) e presenta una tipologia di ramificazione di tipo dendritico.
Tutti i bacini idrografici all’interno della Regione amazzonica ecuadoriana (RAE)
appartengono al grande e complesso sistema idrografico di drenaggio del Rio delle
Amazzoni; essi sono distribuiti in 7 grandi sottobacini che si formano principalmente
nella fascia pedemontana della Cordigliera andina (Ministero dell’Ambiente, 2005) e
della Cordigliera amazzonica (detta anche terza cordigliera).
L’intero corso dei fiumi si sviluppa quindi dal complesso orografico andino
procedendo da ovest verso est.
L’area della regione amazzonica si divide, partendo dal limite con la Colombia, nei
seguenti bacini idrografici:
- Rio Putumayo
- Rio Napo
- Rio Tigre
Nome fiume Area Km2 Livello di contaminazione Rio Aguarico 150.483 Alto Rio Napo 107.000 Alto Rio Conduè 12.142 Alto Rio Duè 4.205 Alto
126
- Rio Pastaza
- Rio Morona
- Rio Santiago
- Rio Mayo
Considerata l’elevata densità del reticolo idrografico è elemento interessante
riscontrare come le popolazioni locali, in particolar modo quelle indigene, tendono a
costruire il territorio proprio attraverso ed intorno ai corsi d’acqua, come sarà
discusso nel paragrafo sui modelli di territorializzazione.
127
Fig. 4.3 Carta del sistema idrografico: idrografia, bacini, fiumi contaminati e l'area campione su cui si è calcolata la densità di drenaggio.
128
4.6 Comunità indigene, colonos e centri urbani: input cartografico. All’interno dell’area di studio i sistemi sociali si sono organizzati lungo le vie di
comunicazione fluviali e terrestri. L’area fortemente urbanizzata è rappresentata dalla
zona compresa tra il Rio Napo ed il Rio Aguarico, all’interno della provincia di
Sucumbios, nell’Amazzonia ecuadoriana settentrionale prossima al confine con la
Colombia. Quest’area risulta, a partire dal secolo scorso, inserita all’interno dei
processi di urbanizzazione legati alla colonizzazione dello spazio amazzonico in
seguito alla riforma agraria ed al boom dell’industria petrolifera (Walsh et al., 2002).
Pertanto in quest’area i sistemi sociali si strutturano in uno spazio amazzonico sempre
più modernizzato da reti stradali, colture estensive ed complessi infrastrutturali
petroliferi. In quest’area si sono sviluppati centri urbani e altamente popolati come El
Coca, Lago Agrio, Shushufindi, Las Joya de los Sachas ed altri centri minori. La
cosiddetta Via Auca ha dato luogo allo sviluppo di centri urbani minori legati alle
attività petrolifere e agricole, con presenza di popolazioni con composizione etnica
mista (colonos-quichua) (Vallejo, 2002).
Le comunità indigene propriamente dette (Wuaorani e Quichua), presenti all’interno
dell’area di studio, sono localizzate prevalentemente nella parte meridionale della
stessa e si strutturano in villaggi ed insediamenti di piccole dimensioni lungo le vie
fluviali del bacino del Rio Napo e Rio Curaray.
All’interno dell’area di studio è presente inoltre il territorio indigeno Wuaorani i quali
hanno ricevuto, il 3 aprile 1990, il titolo legale dal governo ecuadoriano di Rodrigo
Borjia (Varea, 1997). Tale territorio indigeno costituisce la cosiddetta Riserva Etnica
Wuaorani ricoprendo 612.560 ha dello spazio amazzonico ecuadoriano. Il territorio
indigeno si plasma sul reticolo idrografico dei bacini idrografici dei seguenti fiumi:
Cononaco, Yasuni, Shiripuno, Tiguino, Cuchiyacu, Curaray, Nushino, Tzapino,
Tihueno e Manderoyaco. La Riserva Etnica Wuaorani è collocata all’interno del
bacino nord-occidentale del rio delle Amazzoni, al di sotto di 300 metri s.l.m., ed
include le province amministrative di Napo e Pastaza.
129
Sistemi sociali
Territorio indigeno Wuaorani 7708.81 Km2
Comunità indigene Wuaorani 30
Comunità Quichua e colonos 46
Centri urbani 7
Tab. 4.2 Sistemi sociali: estensione del territorio indigeno, numero di comunità indigene e meticcie, centri urbani.
130
Fig. 4.4 Organizzazione dei sistemi sociali nell'area di studio.
131
4.7 Studio dei sistemi forestali amazzonici ed impatto antropico Per sviluppare questo studio sono state prese in esame le carte tematiche acquisite
sul campo relative ai sistemi forestali della Regione Amazzonica Ecuadoriana
(RAE). Dopo aver effettuato un’analisi comparativa e critica tra le carte tematiche
acquisite presso l’istituzione ministeriale ECORAE e quelle delle ONG non
governative (ECOCIENCIA, WALSH e SIMBIOE) che operano nel campo della
conservazione della biodiversità e gestione delle aree protette, è stata ricavata la
base di dati geografici su cui effettuare l’analisi quantitativa. A causa di gap
informativi dovuti ai cambiamenti dei limiti amministrativi tra le province di
Napo, Orellana e Pastaza non è stato possibile utilizzare la base di dati
ministeriali di ECORAE ed è stato necessario compiere un’integrazione sia a
livello cartografico che a livello di database. La base di dati geografici quindi è il
prodotto della ricompilazione delle carte tematiche sulla copertura vegetale
originaria e su quella rimanente acquisite dalla ONG ECOCIENCIA ed integrate
con i dati ministeriali di ECORAE.
La copertura vegetale originaria è intesa come quella precedente alla cosiddetta
colonizzazione agricola nella RAE (ECOCIENCIA, 2002), quindi precedente al
secolo scorso, mentre la copertura rimanente è stata digitalizzata nel 2002
(ECORAE, 2002). Pertanto il risultato dello studio risulta essere un’analisi
diacronica di tipo land cover all’interno di tale intervallo temporale.
Il sistema forestale dell’area di studio è definito da nove formazioni vegetali
tipiche degli ecosistemi tropicali amazzonici (Sierra, 1999) che si estendono dalla
pianura alluvionale del Rio Napo con il Bosco Sempreverde de Tierras Bajas
(l’ecosistema geograficamente predominante) alla fascia pedemontana e montana
del versante orientale della Cordigliera andina. Quest’ultime aree geografiche
sono coperte dalle tipiche formazioni vegetali d’altura, ossia dal Bosco
Sempreverde Pedemontano alle formazioni vegetali delle aree biogeografiche
altitudine, ossia i Paramos (Sierra, 1999).
Attraverso le funzioni di overlay di ArcGis, in particolare intersect e clip, sono
state eseguite adeguate intersezioni geometriche per procedere all’analisi spaziale;
132
inoltre sono stati sovrapposti i layer del Parco Nazionale Yasuni, il territorio
indigeno Wuaorani e la buffer zone di 10 Km dalla RBY come componenti
fondamentali dello studio.
Dopo aver effettuato operazioni di clipping sull’area di studio precedentemente
definita si sono eseguite funzioni di misura per calcolare le aree di ciascuna
formazione vegetale.
Seguono le ricompilazioni ed elaborazioni cartografiche (output cartografici), le
tabelle ed i grafici.
133
Fig. 4.5 Carta tematica della vegetazione originaria e rimanente
134
Tabella 4.3 Copertura vegetale originaria: formazioni vegetali ed calcolo delle aree
SISTEMI FORESTALI – COPERTURA ORIGINARIA AREA Km2
Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia 38641.15
Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 3500.45
Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas" 2354.61
Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 1531.77
Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica 413.50
Bosco Sempreverde montano della Cordigliera Amazzonica 58.12
Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 42.00
"Matorral" alto montano umido della Cordigliera della Amazzonia 7.63
Paramo de Almohadillas 0.61
Totale superficie Km2 46549.88
135
Fig. 4.6 Copertura vegetale originaria s
136
Tab. 4.4 Copertura vegetale rimanente: formazioni vegetali e calcolo delle aree.
Fig. 4.6 Rappresentazione della copertura vegetale rimanente
SISTEMI FORESTALI - COPERTURA RIMANENTE AREA Km2
Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia 33748.65
Zona intervenida1 5819.70
Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 3465.22
Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas" 1897.89
Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 1108.38
Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica 405.02
Bosco Sempreverde montano della Cordigliera Amazzonica 58.12
Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 38.62
"Matorral" alto montano umido della Cordigliera della Amazzonia 7.63
Paramo de Almohadillas 0.61
Totale superficie Km2 46549.88
137
1Zona Intervenida: termine spagnolo che si riferisce alle aree soggette ad un totale cambio di copertura vegetale ed uso del suolo con lo sviluppo di colture estensive, urbanizzazione ed industrializzazione; l’area, originariamente ricoperta da foresta primaria, risulta ecologicamente degradata (cfr. immagini Landsat ETM+, fig 3.1)
138
Fig. 4.8 Carta tematica dell’impatto antropico su ciascuna formazione vegetale.
139
I dati cartografici relativi a Zona intervenida sono stati geometricamente intersecati
con gli altri layer ottenendo le aree di impatto antropico su ciascuna formazione
vegetale. L’impatto antropico consiste nelle aree di copertura originaria persa.
EROSIONE SISTEMI VEGETALI PER IMPATTO ANTROPICO AREA Km2
Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia 4892.5
Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas" 456.7
Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 423.4
Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 35.2
Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica 8.5
Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 3.4
Tabella 4.5 Impatto antropico: perdita delle formazioni originarie e calcolo delle aree
140
84.07%
7.85%
7.28%
0.61% 0.15%0.06%
EROSIONE SISTEMI VEGETALI PER IMPATTO ANTROPICO
Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della Amazzonia
Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas Blancas"
Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia
Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras"
Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera Amazzonica
Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia
Fig. 4.9 Impatto antropico sulle differenti formazioni vegetali.
Tabella 4.6 Comparazione tra le aree di copertura vegetale originaria e l’impatto antropico in termini di superficie su ciascuna formazione vegetale
EROSIONE SISTEMI VEGETALI PER IMPATTO ANTROPICO
copertura vegetale originaria
Copertura sostituita
Km2 Km2
Bosco Sempreverde de "Tierras Bajas" della
Amazzonia 35997.78 4892.50
Bosco Inondabile de "Tierras Bajas por Aguas
Blancas" 2277.22 456.71
Bosco Sempreverde Pedemontano della Amazzonia 1531.77 423.39
Bosco de "Tierras Bajas de Palmas y Aguas Negras" 3500.45 35.23
Bosco Sempreverde basso montano Cordigliera
Amazzonica 413.50 8.47
Prateria de "Tierras Bajas" della Amazzonia 42.00 3.37
141
0
5000
10000
15000
20000
25000
30000
35000
40000
Km2
BoscoSempreverdede "TierrasBajas" dellaAmazzonia
BoscoInondabile de
"Tierras Bajaspor AguasBlancas"
BoscoSempreverde
Pedemontanodella
Amazzonia
Bosco de"Tierras Bajas
de Palmas yAguas Negras"
BoscoSempreverde
bassomontano
Cordigliera Amazzonica
Prateria de"Tierras Bajas"
dellaAmazzonia
copertura vegetale originariacopertura vegetale sostituita
Fig. 4.10 Istogramma comparativo tra le formazioni vegetali originarie e le aree sostituite.
142
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%Bos
co Sem
preve
rde de
"Tier
ras Baja
s" de
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zonia
Bosco
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Prater
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"Tier
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ella A
mazzo
nia
copertura vegetalesostituitacopertura vegetaleoriginaria
Fig. 4.11 Istogramma comparativo in percentuale tra le formazioni vegetali originarie e le aree con sostituzione della copertura.
143
4.8 Ground truth, punti GPS e grafo stradale Le attività di campo all’interno dell’area di studio includono il rilievo GPS del
tracciato stradale della cosiddetta via Auca. Tale strada è stata percorsa in tutta la sua
lunghezza e lungo le sue ramificazioni laterali cercando di giungere fino alle sue
appendici terminali; la rete viaria è stata percorsa su un mezzo a quattro ruote,
pertanto il rilievo GPS si è effettuato su strade pavimentate o in terra battuta. E’ stato
ritenuto opportuno rilevare dati GPS lungo la rete viaria sopraccitata per effettuare la
cosiddetta ground truth, ossia una verifica al suolo delle informazioni geografiche e
spaziali.
I dati GPS del tracciato (trackpoints) sono stati processati con il software ArcGis 9.0
al fine di elaborare il grafo stradale della via di comunicazione. Il grafo stradale
ottenuto dal processamento dei dati GPS raccolti sul campo è stato sottoposto
all’analisi comparata con i tracciati viari della medesima via di comunicazione,
acquisiti dall’ECORAE ed Ecociencia. Tale operazione si è svolta per quantificare il
grado di evoluzione e di avanzamento all’interno della foresta primaria della strada in
oggetto.
144
Fig. 4.12 Evoluzione del grafo stradale della Via Auca dall’anno 2002 all’anno
2006
145
4.9 Via di comunicazione stradale Occidental Petroleum: analisi
quantitativa Tramite la piattaforma Google Earth è stata individuata la rete viaria petrolifera
costruita illegalmente dalla Occidental Petreoleum (Environment News Service, 2005)
che dalle zone ripariali del fiume Rio Napo si dirama in direzione della Riserva della
Biosfera Yasuní entrando nella buffer zone (vedi fig. 6.11). Dopo aver individuato
un’area campione di 140 Km2 che include tutta la rete viaria strada sopracitata, di
coordinate geografiche UTM 0.49225°- 0.6332° Sud e 76.0677°-76.0639° Ovest,
l’immagine, acquisita dal satellite QuickBird MS Channels in data 18/05/2003, è stata
georeferenziata con ArcGis 9.0. Successivamente alla georeferenziazione
dell’immagine si è proceduto alla digitalizzazione ed all’analisi spaziale delle vie di
comunicazione e delle infrastrutture petrolifere. L’analisi spaziale è stata effettuata
tramite funzioni di misura dell’insieme infrastrutturale della Occidental Petroleum
(tracciato stradale e strutture petrolifere) e delle intersezioni geometriche con le
formazioni vegetali e la buffer zone della RBY. Tali operazioni hanno consentito di
sviluppare l’analisi quantitativa rispetto alle aree di superficie forestale persa, la
lunghezza complessiva delle vie di comunicazione terrestri, delle infrastrutture
petrolifere e delle vasche di raccolta delle acque di produzione petrolifera (Haller,
Blochlinger, John et al., 2007). Ciascuna operazione di misura è stata effettuata sia in
funzione di un’analisi quantitativa dell’infrastruttura petrolifera all’interno dell’area
campione sia per compiere intersezioni geometriche con l’area della buffer zone della
Riserva della Biosfera Yasuní.
Il tracciato stradale è stato “aperto” all’interno foresta amazzonica primaria
intersecando le seguenti formazioni vegetali: il bosco sempreverde di tierras bajas (o
tierra firme), il bosco inondabile por aguas blancas e il bosco de tierras bajas de
Palmas y aguas negras.
146
Fig. 4.13 Infrastruttura per il processamento del petrolio greggio della Occidental Petroleum: Central Processing Facilitis (CPF). (fonte: Panoramio su piattaforma GoogleEarth)
147
Fig. 4.14 Rete viaria della compagnia petrolifera Occidental Petroleum
L’analisi quantitativa ha prodotto i seguenti risultati: Area campione Buffer zone RBY Lunghezza tracciato stradale 36.9 Km 14.4 Km Larghezza media del tracciato stradale 23 metri 21 metri Larghezza minima 10 metri 13 metri Larghezza massima 38 metri 38 metri Superficie deforestata 162 ha 60 ha Superficie strutture petrolifere 110 ha 30 ha Totale infrastrutture petrolifere 44 6 Tab. 4.7 Operazioni di misura sul tracciato viario e intersezioni con la buffer zone
148
Per larghezza del tracciato stradale si intende la parte pavimentata, le banchine e
l’area disboscata contigua alla strada.
La superficie deforestata è in riferimento all’area di foresta primaria che è stata
disboscata per consentire l’apertura della via e la costruzione del tracciato stradale.
Attraverso l’interpretazione delle immagini satellitari e l’osservazione diretta sul
campo è stato possibile inoltre individuare le vasche a “cielo aperto” di raccolta delle
acque di produzione dell’industria petrolifera (Vallejo, 2003) presenti all’interno
dell’area:
- 27 nell’area campione
- 6 all’interno della buffer zone della RBY
Fig 4.15 Immagine georeferenziata - satellite commerciale Quick Bird MS cannel 8/05/2003
149
Fig. 4.16 Vasca di raccolta acqua di produzione petrolifera, 12 gennaio 2008, San Carlos (Prov. Orellana). Le vasche di raccolta contengono idrocarburi, alte concentrazioni di sali e metalli
pesanti (Hurtig, Sebastian, 2002). Le vasche di raccolta delle acqua di produzione
individuate all’interno dell’area campione hanno le seguenti coordinate geografiche
UTM: toxic pit SUD OVEST
1 0.52863° 76.0419° 2 0.517746° 76.0562° 3 0.506508° 76.0683° 4 0.498614° 76.0725 5 0.497968° 76.0726° 6 0.498059° 76.0728° 7 0.498087° 76.0729° 8 0.494628° 76.0764° 9 0.494779° 76.0759°
10 0.498308° 76.0751° 11 0.498374° 76.0754° 12 0.505384° 76.0849° 13 0.505999° 76.0852° 14 0.529202° 76.0779° 15 0.529751° 76.0793° 16 0.529121° 76.0792° 17 0.529124° 76.0793° 18 0.539529° 76.1006° 19 0.532183° 76.1241° 20 0.529062° 76.1286° 21 0.529044° 76.1288°
150
22 0.529038° 76.1289° 23 0.529427° 76.1295° 24 0.55527° 76.0955° 25 0.555201° 76.0949° 26 0.583364° 76.0765° 27 0.589464° 76.0724°
Tab. 4.8 Localizzazione tramite coordinate geografiche delle vasche di raccolta (acque di produzione petrolifera); i valori sono espressi in millesimi di grado 4.10 Via Auca e bacino idrografico Curaray: analisi quantitativa e
pattern di territorializzazione. All’interno dell’area di studio sono individuabili alcuni modelli di territorializzazione
strettamente correlati alle diverse tipologie di attività antropiche presenti nel
territorio. Utilizzando l’immagine satellitare Landsat ETM+ del 2002 (vedi fig 3.1, p.
112)e la cartografia tematica ricompilata del sistema idrografico, della produzione
petrolifera e delle comunità locali, sono state focalizzate due aree territoriali: la zona
della Via Auca ed il bacino idrografico del Rio Curaray. Anche in questa sezione
sono state inserite le componenti portanti dell’analisi territoriale: la Riserva della
Biosfera Yasuní, le comunità locali, le vie di comunicazione (terrestre e fluviale) e la
produzione petrolifera (espressa in aree di concessione e numero di pozzi per
l’estrazione). In dettaglio per sviluppare l’analisi quantitativa e comparata tra i due
modelli territoriali sopraccitati sono state prese in esame le seguenti componenti:
- Parco nazionale Yasuní
- Territorio indigeno Wuaorani (Riseva indigena)
- Zona intangibile (riserva integrale)
- Vie di comunicazione: la Via Auca ed il reticolo idrografico del bacino Rio
Curaray
- Centri urbani, insediamenti e comunità locali
- Produzione petrolifera: numero e status dei pozzi per l’estrazione, le aree di
concessione per l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio.
Per poter ricavare il modello territoriale intorno alla via Auca in termini di estensione
geografica sono state prese in esame le immagini satellitari Landsat ETM+ (vedi fig.
3.1, p. 112) e l’analisi quantitativa dello studio di vegetazione sviluppato nel
151
paragrafo 6.1. Tramite l’interpretazione delle immagini satellitari, lo studio di
vegetazione prodotto, ma anche l’osservazione diretta sul campo si è convenuto
stabilire in 22 km di distanza lineare la zona di rispetto intorno alla via Auca. Il buffer
di 22 Km lineari è la distanza che intercorre tra l’asse principale della via Auca e gli
importanti elementi di cambiamento della copertura vegetale dovuti ai processi di
insediamento con elevato impatto antropico, che si sviluppano all’interno della
foresta primaria de tierras bajas dell’Amazzonia.
Per quanto riguarda l’area completamente interna alla RBY, di cui fa parte la zona
intangible, le vie di comunicazione terrestri sono marginali o del tutto assenti, e per
inquadrare i sistemi di comunicazione presenti nel territorio è stato sufficiente
individuare la zona coincidente i limiti naturali del territorio, ossia il bacino
idrografico del fiume Curaray.
152
Fig. 4.17 Modelli territoriali a confronto: bacino idrografico Curaray e Via Auca
153
L’analisi quantitativa e comparativa tra le due aree geografiche configura due distinti
modelli territoriali (pattern territoriali) strutturati secondo le diverse razionalità
territorializzanti (Turco, 1988) delineando così una forte contrapposizione: logiche di
terra e logiche d’acqua (Bertoncin, 2004).
Da un lato si ritrovano le pratiche “modernizzanti” del territorio che si sviluppano a
partire da una via terrestre, l’asse stradale principale, intorno alla quale si articolano i
processi di territorializzazione, dall’altro le vie di comunicazione adattate al fitto
reticolo idrografico dei fiumi amazzonici. Dall’asse stradale principale si propagano
quindi i processi di colonizzazione agricola ortogonali secondo la tipica geometria a
spina di pesce, corrispondenti alle pratiche di territorializzazione per sostituzione (De
Marchi, 2004).
L’analisi comparativa tra i due pattern territoriali sopraccitati rivela la
contrapposizione tra logiche d’acqua e logiche di terra e diventa uno strumento utile
per codificare il conflitto ambientale (De Marchi, 2004.).
All’interno del bacino idrografico del fiume Curaray i sistemi sociali si organizzano e
si riproducono lungo le vie di comunicazione fluviale conformando i piccoli villaggi
delle comunità indigene Waorani e Quichua (vedi fig. 4.17 pag. 152). Nonostante la
bassa capacità di carico degli ecosistemi amazzonici l’enorme patrimonio di
conoscenze olistiche delle comunità indigeno-campesine riesce ad assicurare la
produzione/riproduzione sociale del territorio (Neves, 1995) e le attività praticate
nella gestione ambientale per rispondere ai bisogni alimentari e tecnologici si basano
su un pacchetto di strategie diversificate e scarsamente impattanti: agricolture
itineranti spesso basate sulla policoltura, pesca, caccia e raccolta (Ortiz, 1999). Per
questo le popolazioni locali indigene dell’Amazzonia hanno maturato un’elevata
conoscenza dei sistemi ambientali, dalla tassonomia botanico-zoologica alle
successioni ecologiche, sviluppando la costruzione di un territorio dove prevale il
controllo simbolico su quello materiale (De Marchi, 2004) e determinando
un’impronta più morbida sui sistemi forestali.
Ed è proprio intorno ai sistemi idrologici che le comunità indigeno-campesine
dell’Oriente amazzonico ecuadoriano costruiscono il territorio, attuando pratiche di
territorializzazione basate sulle mediazioni che pedologia e idrografia offrono nel
154
rapporto uomo-spazio (Turco, 1988, pp. 59-71) e adattando al bacino fluviale il loro
sviluppo comunitario.
Nell’analisi comparativa sono stati ricompilati i dati relativi alla demografia per
effettuare operazioni di calcolo della densità media tra i due modelli territoriali. Per
ottenere infine l’output cartografico i geodata demografici sono stati elaborati per la
produzione della carta tematica che rappresenti la densità in abitanti per Km2. I dati
relativi alla densità di popolazione sono stati successivamente classificati in 7
categorie progressive.
Seguono gli output cartografici e i risultati delle analisi quantitative tra i due pattern
territoriali eseguite con il software ArcGis 9.0 ed il foglio di calcolo Excel 9.0.
All’interno delle due aree, attraverso operazioni di intersezione geometrica si è
condotta l’analisi quantitativa dei sistemi sociali: comunità indigene, meticcie e centri
urbani. Quest’ultimi si riferiscono ad insediamenti “urbanizzati” presenti all’interno
del territorio amazzonico.
Centri urbani Comunità Wuaorani Comunità Quichua
e colonos Territorio “Via Auca” 25 6 4 Territorio bacino Rio Curaray 12 13 22 Tabe. 4.9 Comunità locali presenti all'interno del buffer (22 Km) Via Auca e del bacino del Rio Curaray Il bacino idrografico del Rio Curaray ha un’estensione di 8024 Km2 mentre la zona di
rispetto lungo la Via Auca ricopre 4683 Km2.
La densità media di popolazione del bacino del Rio Curaray è di 2,28 abitanti per km2
mentre, quella relativa alla zona di rispetto lungo la Via Auca 10,72 abitanti per Km2
I dati geografici e numerici sulla demografia sono stati ricompilati dalle fonti
ministeriali dell’Istituto per l’ecosviluppo regionale amazzonico (ECORAE, 2002)
che, a causa di cambiamenti dei limiti amministrativi, presentano gap nella
sovrapposizione tra la Provincia Napo e Orellana.
In seguito si è proceduto all’analisi quantitativa delle infrastrutture petrolifere in
termini di concessioni (Oil Blocks) e pozzi installati per l’estrazione.
Numero pozzi petroliferi
155
Territorio Via Auca 318 Territorio bacino idrografico Rio Curaray 34 Tabella 4.10 Installazioni per l'estrazione petrolifera: comparazione Via Auca e bacino del Rio Curaray La produzione petrolifera si articola in base alle concessioni d’area (oil blocks), agli
operatori assegnatari (ossia le compagnie petrolifere) e allo status d’operatività (in
fase d’esplorazione o in fase di produzione) (Narvaez, 2000)
156
Fig. 4.18 Densità di popolazione tra il bacino idrografico Curaray e la via Auca
157
Oil Block OPERATORE STATUS AREA KM2 DESCRIZIONE 00 Petroecuador produzione 2294.17 Petroecuador 00 07 Keer - McGee produzione 489.16 Keer - McGee 07 14 Vintage produzione 184.32 Vintage 14 15 Occidental produzione 51.27 Occidental 15 17 Vintage produzione 186.03 Vintage 17 21 Keer - McGee produzione 298.10 Keer - McGee 21 30 Senza operatore esplorazione 638.64 Senza operatore 30 C Petroecuador produzione 134.845 Petroecuador C D Petroecuador produzione 39.89 Petroecuador D E Petroecuador produzione 315.51 Petroecuador E
Tabella 4.11 Concessioni petrolifere presenti all'interno del buffer Via Auca
Fig. 4.19 Aree delle concessioni petrolifere - territorio Via Auca
Come evidenzia il grafico il 60% della superficie assegnata per la produzione
petrolifera è di proprietà della compagnia statale Petroecuador che è subentrata alla
Texaco espulsa dall’Ecuador in seguito ai processi internazionali IWT ed
all’esplosione del conflitto ambientale con la celebre class action Aguinda-Texaco
(De Marchi, 2004).
In seguito si riportano i dati relativi alla produzione petrolifera all’interno del bacino
idrografico del Rio Curaray
158
Oil Blocks OPERATORE STATUS AREA Km2 DESCRIZIONE 10 Agip produzione 1389.00 Agip 10 21 Keer - McGee produzione 465.29 Keer - McGee 21 22 Senza operatore esplorazione 943.31 Senza operatore 22 30 Senza operatore esplorazione 1474.85 Senza operatore 30 32 Senza operatore esplorazione 94.00 Senza operatore 32 35 Senza operatore esplorazione 845.71 Senza operatore 35 37 Senza operatore esplorazione 655.19 Senza operatore 37 E Petroecuador produzione 25.41 Senza operatore E
Tabella 4.12 Concessioni petrolifere presenti all'interno del bacino idrografico Curaray
Fig. 4.20 Rappresentazione delle concessioni petrolifere all’interno del bacino idrografico Curaray
Come emerge dalla ricompilazione dei dati le attività petrolifere sono
prevalentemente in fase esplorativa e, nonostante siano definiti i cosiddetti oil blocks,
non ci sono le relative assegnazioni agli operatori.
Oltre all’analisi quantitativa e comparativa tra i due territori in questione si è
proceduto a operazioni di incrocio tra gli strati informativi relativi alle concessioni
petrolifere e la Riserva della Biosfera, per quantificare il grado di sovrapposizione
159
geografica. Singolarmente ciascuna delle due aree sopra analizzate è stata
sovrapposta alla RBY e quantificata la superficie e lo stato di operatività delle
rispettive concessioni petrolifere.
OIL BLOCKS OPERATORE STATUS AREA KM2 DESCRIZIONE
00 Petroecuador produzione 819.67 Petroecuador 00 07 Keer - McGee produzione 79.17 Keer - McGee 07 14 Vintage produzione 184.32 Vintage 14 15 Occidental produzione 2.18 Occidental 15 17 Vintage produzione 186.03 Vintage 17 21 Keer - McGee produzione 298.10 Keer - McGee 21 30 Senza operatore esplorazione 638.64 Senza operatore 30 C Petroecuador produzione 128.59 Petroecuador C D Petroecuador produzione 39.89 Petroecuador D E Petroecuador produzione 315.51 Petroecuador E
Tabella 4.13 Sovrapposizione delle concessioni petrolifere del buffer Via Auca sulla RBY OIL BLOCKS OPERATORE STATUS AREA KM2 DESCRIZIONE 10 Agip produzione 1029.16 Agip 10 21 Keer - McGee produzione 465.29 Keer - McGee 21 22 Senza operatore esplorazione 612.33 senza operatore 22 30 Senza operatore esplorazione 1030.78 senza operatore 30 32 Senza operatore esplorazione 15.16 senza operatore 32 35 Senza operatore esplorazione 668.70 senza operatore 35 37 Senza operatore esplorazione 636.12 senza operatore 37 E Petroecuador produzione 25.41 senza operatore E Tabella 4.14 Sovrapposizione delle concessioni petrolifere del bacino Rio Curaray sulla RBY
160
4.11 Riserva della Biosfera Yasuní (RBY) e produzione petrolifera: analisi geografica con approccio transcalare.
E' stato scelto di procedere all'analisi con un approccio territoriale transcalare a livello
macroregionale (P. Bonavero, 2005), considerando nell'insieme e nella complessità la
regione amazzonica ecuadoriana (l'Oriente) come spazio di frontiera agricola ed
estrattiva. L’analisi geografica ha preso in esame, a tre scale spaziali differenti, la
produzione petrolifera in riferimento alle aree protette e alla RBY: dal complesso
delle infrastrutture petrolifere e parchi naturali a scala nazionale (1:1000000), fino
all’area di studio (1:100000), utilizzando la regione amazzonica ecuadoriana (RAE)
come scala intermedia (1:250000).
All’interno del complesso infrastrutturale petrolifero si sono individuati i seguenti
elementi:
aree delle concessioni petrolifere (più comunemente Oil Blocks), strutture per
l’estrazione ed il pompaggio del greggio (oil wells, ossia pozzi petroliferi), oleodotti e
polidotti (pipe lines).
L’analisi quantitativa è stata sviluppata a tre scale differenti prendendo in esame le
aree delle concessioni petrolifere e le superfici del Sistema Nazionale Aree Protette
(SNAP). Oltre alle operazioni di calcolo areale, sono stati conteggiati i pozzi
petroliferi e svolte operazioni di misura su oleodotti e polidotti. Una volta effettuate
le sopracitate operazioni di misura sono state svolte funzioni di incrocio ed
intersezione geometrica con la Regione amazzonica ecuadoriana (RAE), l’area di
studio e la Riserva della Biosfera Yasuni, utilizzando come “comun denominatore” il
complesso infrastrutturale petrolifero.
Seguono gli output cartografici alle tre scale differenti ed i risultati delle analisi
quantitative.
161
Fig 4.21 Sistema Nazionale Aree Protette (SNAP) ed infrastrutture petrolifere.
162
Fig, 4.22 Regione Amazzonica Ecuadoriana (RAE), infrastrutture petrolifere e Riserva della Biosfera Yasuni.
163
Fig. 4.23 Area di studio: Parco nazionale Yasuní, territorio indigeno Wuaorani ed infrastrutture per la produzione petrolifera.
164
Scala nazionale
Regione amazzonica ecuadoriana (RAE)
Area di studio Riserva della Biosfera Yasunì
Concessioni petrolifere 75216 Km2 61543 Km2 38176 Km2 20246 Km2 Pozzi per l’estrazione 990 990 936 235 Polidotti (oil pipe lines) 2850 Km 1342 Km 1003 Km 315 Km Campi petroliferi Dato assente 916 Km2 916 Km2 421.8 Km2 Tab. 4.15 Analisi quantitativa alle differenti scale : produzione petrolifera Ecuador
Sup. totale: 283.560 km²
RAE Sup. totale: 105646 km²
Area di studio Sup. totale: 47740 km²
Riserva della Biosfera Yasunì Sup tot.25384 km²
Concessioni Petrolifere
26.52% 58.2% 79.9% 79.8%
Tab. 4.16 Concessioni petrolifere e percentuale di superficie coperta.
Regione amazzonica ecuadoriana (RAE) "el Oriente"
58%
42%
area concessionipetroliferearea senza concessioni
Fig. 4.24 Aree adibite alla produzione petrolifera: Regione amazzonica ecuadoriana (RAE) 105646 Km2; Oil Bloks 61543 Km2; Superficie senza concessioni: 44103 Km2
165
Concessioni petrolifere (oil blocks ) e Riserva della Biosfera Yasuní.Area totale RBY: 25384 Km2
Area Oil blocks : 20246 Km2
80%
20%
Oil Blocks
superficie nonconcessionata
Fig. 425 Rapporto tra la superficie della RBY e le aree concessionate per la produzione petrolifera 4.12 Installazioni per l’estrazione petrolifera e Riserva della Biosfera
Yasuní: carta di densità.
Dopo aver esaminato gli output cartografici derivati dalla ricompilazione dei dati
geografici sulle installazioni per l’estrazione petrolifera ed aver rilevato l’elevata
concentrazione di pozzi all’interno dell’area di studio, in particolare in zone contigue
alla RBY, è stato ritenuto opportuno procedere ad un calcolo di densità e elaborare
una carta tematica che rappresenti tali valori. Utilizzando come input cartografico la
carta delle installazioni per l’estrazione petrolifera su scala macroregionale (vedi fig.
4.22 p. 162) sono state eseguite operazioni di overlay e funzioni density tramite il
software ArcGis 9.0 per processare i dati geografici.
Poiché l’area di studio è situata all’interno del bosco umido tropicale (bht)
amazzonico e la RBY è stata dichiarata riserva della biosfera per l’elevato indice di
biodiversità, è stato ritenuto opportuno individuare in 100 km2 la superficie per
effettuare il calcolo di densità, ossia una distanza di 5.643 metri (raggio del buffer
166
puntuale) dalle installazioni petrolifere, impostando un output cell size di 800 metri
lineari.
Dopo aver convertito i dati vettoriali in dati raster si proceduto alla classificazione dei
valori, selezionando 5 classi per rappresentazione cartografica.
La carta di densità precedentemente elaborata ha espresso un’alta concentrazione di
installazioni per l’estrazione petrolifera all’interno dell’area di studio. In particolare la
densità dei pozzi aumenta nelle zone contigue alla RBY (specialmente nel quadrante
nord-ovest), è presente in ampie aree della buffer zone ed in numerosi casi è alta (da
31 a 50 pozzi) persino all’interno della riserva della biosfera (vedi elaborazione GIS,
fig. 4.26 p. 167).
In seguito riportiamo l’output cartografico della carta di densità.
167
Fig. 4.26 Densità delle installazioni petrolifere per l'estrazione del petrolio greggio
168
4.13 Analisi comparativa ed overlay tra carta di densità delle
installazioni petrolifere e Zona intervenida.
In base all’elaborazione delle carte ed all’analisi quantitativa dell’impatto delle
attività antropiche sulla copertura vegetale e sulle infrastrutture petrolifere
(concessioni, pozzi per l’estrazione, ed oleodotti) si è ritenuto opportuno verificare il
grado di sovrapposizione tra i sopraccitati tematismi.
Ipotizzando una relazione stretta, anche se non di linearità, tra la densità delle
installazioni per l’estrazione del greggio e la cosiddetta zona intervenida, è stato
ritenuto utile effettuare un’analisi comparativa tra le due carte tematiche
precedentemente elaborate.
Sono state ricompilate ed elaborate ad hoc le carte includendo i tematismi
sopraccitati ed aggiungendo su ciascuna il layer delle infrastrutture di comunicazione
terrestre.
Successivamente sono state effettuate funzioni di overlay tra le due carte per valutare
tramite il loro grado di sovrapponibilità le probabili relazioni territoriali.
Come si può constatare dall’output cartografico della fig.4.28 si presenta una evidente
sovrapposizione tra la copertura vegetale sostituita (fig. 4.27) e la densità dei pozzi
per l’estrazione petrolifera.
Allo stesso tempo il complesso infrastrutturale di comunicazione viaria della Regione
Amazzonica Ecuadoriana (RAE) funge da matrice tra i processi che portano ad
attività estrattive dei giacimenti petroliferi e la deforestazione presente nell’area.
169
Figure 4.27 Carta di densità delle installazioni petrolifere e carta della zona intervenida su scala macroregionale. Analisi comparativa.
170
Figure 4.28 Sovrapposizione della carta di densità delle installazioni per l'estrazione petrolifera e la carta della zona interveniva su scala macroregionale
171
4.14 Risultati delle interviste ad informatori privilegiati Attraverso interviste semi-strutturate e non-strutturate è stata sviluppata la parte
dell’analisi relativa all’indagine qualitativa volta ad esplorare ed approfondire le
problematiche legate ai modelli di conservazione della biodiversità e di gestione della
Riserva della Biosfera Yasuní, alla produzione petrolifera ed ai conflitti ambientali.
L’indagine qualititativa tramite intervista è stata in particolare utile sia come
strumento di integrazione dei dati difficilmente reperibili in letteratura, sia per
raccogliere informazioni di prima mano dalle persone di competenza specifica e
direttamente coinvolte nei temi sopraccitati. Le interviste, sviluppate tra la città di
Quito e l’Oriente amazzonico, sono quindi state ripartite tra soggetti legati alla
gestione della RBY, alla produzione petrolifera ed a figure attive nelle dinamiche
attoriali del conflitto ambientale. In alcuni casi il ruolo degli informatori privilegiati
intervistati ha avuto un elevato grado di sovrapposizione tra le attività di
conservazione della biodiversità e le dinamiche del conflitto ambientale.
Tra gli informatori privilegiati intervistati, nel merito della conservazione e nei
modelli di gestione da attuare, sono emerse posizioni ed approcci differenti.
Il ruolo delle Stazioni di Biodiversità all’interno della RBY dell’Università Cattolica
e della San Francisco di Quito è stato fortemente criticato sia da ONG ambientaliste
come Accion Ecologica, sia da parte dell’Osservatorio sui Diritti Umani ed
Ambientali della Provincia di Orellana. Tale critica è stata sollevata in quanto i
progetti di conservazione sviluppati dalle Università sopraccitate non includono nelle
attività di gestione le comunità locali presenti nel territorio e tendono a far emergere
la problematica ambientale solamente in termini di protezione di specie minacciate e
di ricerca speculativa. Da parte di alcuni ricercatori delle stesse università è inoltre
emerso come ci sia una relazione sinergica, sia in termini economici che in termini
funzionali, con alcune compagnie petrolifere. L’Università San Francisco e
l’Università Cattolica, tramite quanto emerso dalle interviste con il vice-direttore
della Stazione di Biodiversità Tiputini (David Romo) e con il responsabile della
compagnia petrolifera Repsol YPF, ricevono finanziamenti ed agevolazioni logistiche
dalla medesima impresa transnazionale che li “ospita” all’interno della concessione
172
petrolifera n°10. Entrambe le stazioni scientifiche di ricerca, sono situate infatti in
tale lotto petrolifero e, da quanto constatato sul campo e tramite differenti interviste
con altri attori interni, non ritengono incompatibili le attività di esplorazione e
produzione petrolifera con i progetti di conservazione all’interno della RBY.
Rispetto ai modelli di gestione della Riserva della Biosfera sono emerse posizioni ed
approcci contrastanti. Da un lato le ONG legate alle Organizzazioni indigene
rappresentate da Accion Ecologica e gli attori interni sensibili agli impatti socio-
ambientali dell’industria petrolifera, dall’altro organizzazioni e corporazioni
conservazioniste come WCS, Walsh e Fundacion Natura. Complessivamente non è
risultato chiaro il ruolo della RBY sia nella conservazione della biodiversità ad ogni
livello organizzativo, sia nella gestione sostenibile delle risorse naturali.
Dalle interviste con attori interni, come gli indigeni e i colonos delle comunità di
Dayuma e di Garcia Moreno, è stato possibile effettuare una triangolazione di dati
con le informazioni geografiche acquisite nella cartografia tematica relativa alle
installazioni petrolifere. Da quanto appreso tramite le interviste e le attività di campo
ci sono numerose incongruenze sulla dislocazione dei pozzi e sulle vasche di raccolta
dei reflui. Per quanto è stato possibile raccogliere in termini di dati e di verifiche
tramite osservazione diretta, risultano presenti nell’area di influenza della RBY,
numerosi pozzi e piscinas contenenti idrocarburi collocati all’interno dei territori
comunitari e che coinvolgono direttamente le aree degli orti tradizionali.
Dall’intervista con il rappresentate della Repsol è inoltre emerso che la compagnia
gioca un ruolo chiave gestendo direttamente i processi di partecipazione delle
comunità Wuaorani e innescando dinamiche di frammentazione interna. Questo è
stato reso possiibile sia coinvolgendo gli abitanti delle comunità nelle attività
lavorative dell’industria petrolifera, sia attraverso intrecci relazionali con ONG
conservazioniste come Fundacion Natura e la Wildlife Conservation Society.
I risultati e i dati acquisiti tramite le interviste semistrutturate verranno utilizzati per
sviluppare la discussione.
173
5 Discussione e conclusioni La discussione delle analisi G.I.S. è articolata sia su ciascuno dei risultati ottenuti
dalle sette indagini quantitative sia ponendo in relazione le stesse rispetto alle
dinamiche territoriali che coinvolgono la RBY e la sua area geografica d’influenza
all’interno della Regione Amazzonica Ecuadoriana (R.A.E).
L’analisi G.I.S. ha preso in esame le relazioni spaziali tra le seguenti componenti
presenti all’interno dell’area di studio:
- la copertura forestale
- la Riserva della Biosfera Yasuní (inclusa la buffer zone)
- le infrastrutture di comunicazione terrestre
- le infrastrutture petrolifere (concessioni, pozzi per l’estrazione, oleodotti e
polidotti)
- gli insediamenti antropici (centri urbani, comunità indigene e colonos)
Tali componenti agiscono in maniera sinergica nella configurazione del territorio
amazzonico esercitando influenza diretta ed indiretta sia sulle dinamiche di
cambiamento sia della copertura vegetale che dell’uso del suolo.
L’analisi diacronica della copertura forestale è stata effettuata tra le formazioni
vegetali originarie antecedenti ai processi di colonizzazione della R.A.E (Narvaez,
2004) e la vegetazione rimanente elaborata dai dati geografici dell’Istituto per l’Eco-
sviluppo della Regione Amazzonica, (ECORAE, 2002). I risultati cartografici
mostrano come, all’interno dell’area di studio, le attività antropiche che hanno
determinato la sostituzione della copertura vegetale originaria si siano concentrate
prevalentemente nello spazio geografico corrispondente al bioma della foresta umida
tropicale (Tropical Moist Forest, TMF) ed, in maniera meno estesa, nella fascia
pedemontana della Cordigliera delle Ande Orientali (vedi fig. 4.5). All’interno
dell’area di studio le attività antropiche hanno modificato l’84% della formazione
vegetale tierra firme ed il 7.85% del bosco inondabile (vedi fig. 4.7), corrispondenti
complessivamente ad una riduzione areale di habitat rispettivamente di 4892 Km2
nella prima formazione e di 456 Km2 nella seconda (tab. 4.5 e 4.6). La riduzione
areale propria di tali formazioni vegetali è riconducibile principalmente alle attività
174
produttive ed economiche che hanno dato impulso alla colonizzazione
dell’Amazzonia ecuadoriana a partire dal 1970 (Fontaine, 2006). La copertura
vegetale sostituita, ben espressa nella letteratura spagnola dal termine zona
intervenida per riferirsi agli habitat fortemente degradati dalle attività antropiche
(ECORAE, 2002), rappresenta una superficie di 5819 Km2, la cui area geografica è
interamente sovrapponibile alle aree dove le attività petrolifere sono nella fase
operativa (vedi fig. 4.5 p. 133 ed fig. 4.1 p. 120).
La sovrapposizione geografica della cosiddetta zona intervenida sulle aree della
produzione petrolifera mostra quindi come la relazione tra land cover e land use sia
molto stretta, rendendo evidente come la sostituzione della copertura vegetale sia da
relazionarsi al cambiamento d’uso del suolo, in questo caso principalmente riferito
alle attività petrolifere. Mettere in relazione land cover e land use è un’operazione
che permette di rappresentare in maniera più complessiva le dinamiche territoriali in
base alle interazioni uomo-ambiente (De Marchi, 2000).
Come è reso evidente dall’elaborazione G.I.S. della figura 4.7, la zona intervenida si
interseca con la buffer zone della RBY fino ad estendersi all’interno del territorio
indigeno Wuaorani dentro la RBY. Comparando l’immagine Landsat ETM+ del 2002
(fig. 3.1) con la carta della zona intervenida si evince come ci sia corrispondenza tra
il cambiamento di copertura vegetale e la rete stradale denominata “Via Auca”, ben
visibile nell’immagine satellitare sopraccitata.
La Via Auca, finanziata e costruita dalla compagnia petrolifera Texaco, rappresenta la
prima “arteria” infrastrutturale di comunicazione terrestre per l’esplorazione e lo
sfruttamento dei giacimenti petroliferi all’interno dell’Amazzonia ecuadoriana
(Haller, 2007). L’inizio dei lavori per la costruzione di questa strada risale al 1972
(Kimerling, 1996) alla quale successivamente sono state affiancate le infrastrutture
petrolifere di trasporto (oleodotti e polidotti) diventando nel corso degli ultimi
trent’anni sia la dorsale portante per il sistema economico-produttivo sia la principale
via per la colonizzazione agricola all’interno della foresta umida tropicale. E’ infatti
attraverso la Via Auca e la sua fitta rete di senderos e caminos che indigeni e colonos
si muovono per insediarsi all’interno della foresta primaria per intraprendere attività
di agricoltura stabile (Walsh, 2002).
175
I risultati derivati dai rilievi GPS sul campo, condotti per effettuare la ground truth
dei dati precedentemente acquisiti, mostrano quale sia l’evoluzione del tracciato della
via Auca tra il 2002 ed il 2006 all’interno della foresta primaria, in zone contigue alla
RBY. Il grafo stradale elaborato in base ai dati GPS evidenzia come nell’intervallo
temporale di tre anni il tracciato della rete viaria sia aumentato di 80 km lineari,
specialmente nelle sue ramificazioni sul versante orientale, fino ad intersecarsi con la
buffer zone della RBY. I processi di deforestazione attivati dall’asse stradale
principale di tale via di comunicazione sono pertanto in rapida evoluzione e non
facilmente controllabili.
Come si può osservare dall’immagine satellitare Landsat ETM+ del 2002 (vedi fig.
3.1 p. 112) dalla strada principale dipartono vie secondarie perpendicolari all’asse
stradale che penetrano all’interno della foresta primaria, facilitando i processi di
deforestazione. Dalle vie secondarie perpendicolari all’asse stradale principale si
evolvono successivamente senderos e caminos paralleli, andando a costituire le
cosiddette “linee di colonizzazione” agricola (Zambrano, 2006, intervista
semistrutturata). Il pattern che si configura sulla copertura forestale è quello tipico
della deforestazione a “spina di pesce” che si evolve in funzione del tempo fino a
dissolversi in un'unica area deforestata (Rudel, 1996).
Considerando che l’area di studio è uno tra i 14 maggiori fronti di deforestazione al
mondo (Myers, 1993) e che per ogni chilometro lineare di strada costruita nella
foresta umida tropicale si perdono circa 120 ettari di bosco (Sierra 2003, in Scientists
concerned YNP, 2004) si ritiene che la Via Auca, per la sua posizione geografica e
per la rapida evoluzione del tracciato stradale, giochi un ruolo fondamentale nei
processi di disboscamento, costituendo uno dei fattori di pressione più importanti
sulla RBY.
Ritenendo quindi le vie di comunicazione terrestri come componenti fondamentali
che catalizzano i processi di deforestazione e di cambio d’uso del suolo, è stata
condotta l’analisi quantitativa su un’altra strada che dalle zone ripariali del fiume
Napo si addentra nella buffer zone della RBY (vedi fig. 4.14, p. 117).
Tale strada è stata costruita dalla compagnia statunitense Occidental Petroelum nel
2005 per poter consentire le attività di esplorazione e di produzione petrolifera
176
all’interno dell’Oil Block n° 15. La costruzione e la realizzazione della Via Oxy è
avvenuta senza alcuna autorizzazione governativa e pertanto è da ritenersi
completamente illegale (ENS, 2005). Nell’analisi quantitativa risulta che la rete
stradale ha una lunghezza complessiva di 36 km, di cui 14.4 km che si sviluppano
dentro la buffer zone della RBY. La larghezza media del tracciato è di 23 metri
inclusa la banchina e l’area disboscata contigua alla strada. Tutte le strade presenti
all’interno della Regione Amazzonica Ecuadoriana sono state costruite da compagnie
petrolifere per realizzare l’infrastruttura di comunicazione e di trasporto per lo
sviluppo delle attività petrolifere, pertanto devono presentare una larghezza tale da
sopportare il traffico pesante (autoarticolati, autocisterne, ruspe e macchinari
industriali) e l’installazione dei polidotti (Narvaez 2000; Guerrero 2008, intervista
semistrutturata).
Dalle analisi quantitative condotte sulla strada sopramenzionata risulta che la
realizzazione del tracciato stradale e delle infrastrutture petrolifere ha comportato la
perdita netta di 162 ha di foresta primaria di cui 60 all’interno della buffer zone della
Riserva della Biosfera Yasuní. Tramite l’interpretazione delle immagini satellitari e la
verifica al suolo con le attività di campo sono state inoltre individuate le vasche di
raccolta dei reflui industriali della produzione petrolifera. I risultati dell’analisi hanno
portato all’individuazione di 27 vasche nell’area campione, di cui 6 scavate dentro la
buffer zone della RBY. I reflui derivati dalla produzione petrolifera contengono alte
concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti ed un’alta
percentuale di sali (Narvaez, 2000). Le vasche di raccolta dei reflui industriali
solitamente non sono impermeabilizzate né ricoperte da alcuna struttura, pertanto
tramite le abbondanti precipitazioni e percolazione si disperdono nell’ambiente
(Haller et al., 2007; Guerrero, 2006, Zambrano, 2006, 2008, Guaman, 2006, interviste
semistrutturata). Sebbene non esistano studi comprovati né analisi specifiche
sull’influenza di tali vasche di raccolta presenti all’interno dell’ecosistema della
foresta umida tropicale, si ritiene che possano costituire un rilevante impatto
ambientale.
177
Le infrastrutture di comunicazione prese in esame costituiscono due delle quattro
strade attualmente presenti nella foresta tropicale della RAE di cui la Via Auca
rappresenta il principale fronte di deforestazione (Gutman, 2004)
I risultati delle analisi quantitative sopraccitate danno indicazione anche sui possibili
impatti ambientali. I primi impatti, che agiscono in maniera diretta sugli ecosistemi
forestali dell’area di studio, sono costituiti dalla perdita di habitat legata alla
superficie deforestata per la costruzione medesima della strada e dalla possibile
contaminazione degli ambienti acquatici a causa dell’utilizzo di scarti grezzi derivati
dal ciclo produttivo del petrolio ed utilizzati per la realizzazione ed il mantenimento
stradale (Narvaez 2000; Oilwatch 2005). Anche se la riduzione areale non è di grande
entità la costruzione di strade ed oleodotti determina la frammentazione degli habitat
innescando una serie di eventi a catena nel complesso ecosistema tropicale che
possono minacciare le specie e le biocenosi. Questo può avvenire ad esempio
influenzando gli spostamenti degli individui, dividendo le popolazioni ed impedendo
il flusso genico tra le stesse (Gomez, 1991; Rudel 1996; Primack, 2004). Un altro tra
gli effetti della frammentazione consiste nel determinare una maggior vulnerabilità
delle biocenosi all’invasione di specie alloctone ed infestanti, così come è stato
osservato con le specie di liane infestanti della foresta amazzonica ecuadoriana. La
perdita d’areale diventa un corridoio solo per un determinato pool di specie di piante
che colonizzano i margini delle strade andando a modificare la composizione
specifica (Gomez, 1991, Rudel, 1996).
Gli impatti ambientali indiretti delle strade sugli ecosistemi sono invece
prevalentemente legati alle dinamiche territoriali che vengono provocate dalla
costruzione di un’infrastruttura di comunicazione terrestre all’interno della foresta
umida tropicale. Oltre alla perdita netta della copertura vegetale infatti si determinano
cambiamenti dell’uso del suolo e processi territoriali per sostituzione (De Marchi,
2004)
Le analisi quantitative successivamente sviluppate hanno preso in esame le relazioni
spaziali tra la produzione petrolifera e la Riserva della Biosfera Yasuní, effettuando
l’indagine su tre scale differenti: Ecuador, Regione Amazzonica Ecuadoriana
(R.A.E.) e area di studio (vedi analisi G.I.S. fig. 4.18, 4.19, 4.20 pp. 137-141).
178
Le componenti della produzione petrolifera quantificate sono state le seguenti: aree
assegnate per l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti (Oil Blocks), pozzi
trivellati, campi petroliferi e polidotti.
I risultati evidenziano come sul territorio nazionale ci siano 752160 Km2 di aree
lottizzate per la produzione petrolifera di cui 61.543 Km2 giacciono all’interno della
R.A.E. rappresentando rispettivamente il 26% della superficie ecuadoriana ed il 58%
della Regione Amazzonica; tali percentuali raggiungono il 79.9% della superficie
dell’area di studio ed il 79.8% della Riserva della Biosfera Yasuní (vedi tab. 4.15,
4.16 pag. 164). Le infrastrutture di trasporto del petrolio greggio e dei reflui
consistono in oleodotti e polidotti che dai pozzi estrattivi dell’Oriente amazzonico
giungono sul litorale del Pacifico fino al porto di Balao, provincia di Esmeraldas, ove
sono situate gli stabilimenti industriali per la raffinazione petrolifera (Fontaine,
2003).
Di 2.850 Km complessivi di tali infrastrutture di trasporto, 1.342 Km sono nella
R.A.E., 1000 Km all’interno dell’area di studio e 315 Km all’interno della Riserva
della Biosfera Yasuní (vedi tab. 4.15, pag. 164). I dati disponibili per compiere
l’analisi quantitativa inoltre mostrano come di 916 Km2 di campi petroliferi circa la
metà siano situati all’interno della RBY. Il totale dei pozzi crivellati per
l’esplorazione, la produzione o la re-iniezione dei reflui petroliferi è di 990
nell’Oriente amazzonico, 936 nell’area di studio e 235 all’interno della RBY.
L’elevata quantità di trivellazioni nella regione amazzonica è dovuta al diffuso
utilizzo di pozzi del tipo wildcats, ossia i pozzi esplorativi che, se danno esito
qualitativo e quantitativo positivo, portano alla delimitazione di un campo petrolifero.
La necessità di condurre la prospezione direttamente sul campo tramite pozzi wildcats
è dovuta al fatto che le valutazioni per l’individuazione dei reservoir petroliferi sono
difficili da condurre tramite l’utilizzo di tecnologie di remote sensing, trovandosi
l’area al di sotto della fitta e stratificata copertura vegetale della foresta umida
tropicale, l’interpretazione di immagini satellitari e fotografie aeree risulta
difficoltosa (Jongsma, 2001). Pertanto la messa in produzione dei giacimenti quindi è
affidata prevalentemente alla prospezione geosismica (sismic prospection) ed alle
179
trivellazioni dei pozzi wildcats, che presentano una possibilità su cinquanta di
successo (Pipkin, 2007, pp. 387-393; Narvaez, 2000; Fontaine, 2006).
Le analisi quantitative prodotte sulle relazioni spaziali tra la produzione petrolifera
effettuate sulle tre scale sopraccitate fanno risaltare un’elevata concentrazione delle
attività produttive di tale natura nella parte orientale del Paese ecuadoriano ed in
particolare nell’area geografica dove si colloca la Riserva della Biosfera Yasuní (vedi
analisi G.I.S., fig. 4.21, p. 161).
Si è ritenuto opportuno quindi effettuare un’analisi quantitativa su tutti i pozzi
trivellati all’interno dell’Amazzonia ecuadoriana, per ottenere una carta di densità di
tali installazioni (vedi analisi G.I.S., fig. 6.23). Come si può osservare dal risultato, la
densità maggiore di pozzi è presente nella parte nord-occidentale contigua alla RBY,
presentando valori estremamente elevati in alcune zone: da 31-51 fino a 100-184
installazioni su 100 Km2. Anche all’interno della Riserva della Biosfera tuttavia la
densità dei pozzi petroliferi è elevata, mostrando valori modulati tra i 10 ed i 100
pozzi su 100 km2 di area.
Le successive analisi quantitative effettuate tramite funzioni di overlay tra la carta di
densità dei pozzi e quella della copertura vegetale sostituita per attività antropiche
riportano le relazioni geografiche che intercorrono tra la produzione petrolifera e la
degradazione di habitat. Come si evince infatti dall’analisi G.I.S. (fig. 4.27 p. 169 e
4.28, p. 170) esistono relazioni spaziali dirette tra la densità dei pozzi e la cosiddetta
zona intervenida. Tali relazioni diventano ancor più strette con la sovrapposizione del
network stradale sviluppato all’interno dell’area della Regione Amazzonica
Ecuadoriana (analisi G.I.S., fig. 4.27, p. 1.69). In tale carta la sovrapposizione delle
infrastrutture stradali nella parte amazzonica ha una rilevante corrispondenza
geografica con la densità dei pozzi, mettendo in luce come le attività produttive legate
all’estrazione petrolifera siano supportate da un’efficiente rete stradale. La
combinazione tra queste due componenti determina l’insieme dei processi che
portano a dinamiche di cambiamento della copertura vegetale in rapporto all’uso del
suolo, in questo caso rappresentato, nella fase iniziale, dalle attività produttive di
sfruttamento dei combustibili fossili presenti nella Regione Amazzonica Ecuadoriana.
180
Si ritiene inoltre opportuno evidenziare come, attraverso la lettura dei risultati sulla
densità dei pozzi, delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto del petrolio
(oleodotti e polidotti) presenti all’interno dell’area d studio, tali attività siano in stato
avanzato di produttività specialmente nelle parte occidentale della RBY intersecando
la buffer zone lungo la Via Auca, e sviluppandosi all’interno del territorio indigeno
Wuaorani.
La dorsale portante dell’infrastruttura di trasporto del greggio, l’oleodotto SOTE, la
cui costruzione risale al 1971 e le cui condizioni sono alquanto precarie ha presentato
numerose rotture che hanno comportato consistenti fuoriuscite di petrolio (vedi
analisi G.I.S. fig. 6.19, pag. 139) (Narvaez, 2000; Oilwatch, 2005). Stime ufficiali
riportano che solamente lungo l’oleodotto principale SOTE si siano verificate,
nell’arco temporale di vent’anni, circa trenta importanti fuoriuscite di petrolio,
riversando 400.000 barili nell’ambiente circostante, di cui la maggior parte all’interno
dell’ecosistema della foresta umida tropicale (Bravo, Martinez, 1993). Le
infrastrutture di trasporto del petrolio si estendono per 2850 km lineari sull’interno
suolo ecuadoriano, di cui 1342 km coinvolgono la Regione Amazzonica Ecuadoriana
(vedi tab. 4.16, p. 164). Le rotture strutturali delle infrastrutture di trasporto
petrolifero riguardano tutta la rete presente sul territorio, inclusi gli oleodotti ed i
polidotti secondari e terziari che si snodano fino alle appendici terminali all’interno
dell’area di studio e della RBY (Narvaez, 2000). La documentazione di tali
fuoriuscite è lacunosa e spesso tende a minimizzare gli impatti sull’ambiente
(Oilwatch, 2005; Accion Ecologica, 2006). Per quanto è emerso dalle indagini
qualitative tramite interviste semistrutturate effettuate sul campo e l’osservazione
diretta è importante sottolineare come spesso le fuoriuscite e la dispersione di ingenti
quantità di petrolio dagli oleodotti siano segnalate alle autorità competenti dai
contadini e dagli indigeni che vivono sul posto (Ordonez 2006, 2008; Maldonado,
2006; Llori, 2006; Zambrano, 2006, 2008, Guerrero, 2008). Oltre a non essere spesso
documentate in relazioni ufficiali delle istituzioni competenti la bonifica ed il
recupero delle aree e dei terreni contaminati è spesso tardiva se non del tutto assente.
La fig. 4.16 a p. 149 mostra un importante sversamento di petrolio fuoriuscito da un
oleodotto secondario in località San Carlos, in prossimità della buffer zone della
181
RBY, avvenuto nel 1992 per cui la compagnia titolare, la statunitense Texaco, non ha
provveduto ad effettuare operazioni di bonifica e di indennizzo dei danni ambientali
(Zambrano, 2008, intervista semistrutturata). Per quello che è stato possibile rilevare
dall’acquisizione dei dati ufficiali e dalle fonti secondarie gli sversamenti di petrolio
dalle infrastrutture di trasporto sono all’ordine del giorno ed avvengono sull’intera
rete nazionale. Per dare un’idea della portata e della frequenza di tali fenomeni si
riporta che lo scorso 25 febbraio a causa della rottura nella fascia pedemontana
dell’oleodotto OCP, considerato a basso impatto ambientale in quanto alcuni tratti
sono interrati, sono stati riversati 15.000 barili di petrolio nell’ambiente,
coinvolgendo il fittissimo reticolo idrografico del Rio Napo (El Comercio,
27/2/2009). Lo sversamento, oltre a costituire un impatto ambientale di notevole
portata, ha coinvolto 47 comunità indigene che vivono lungo le zone ripariali del Rio
Napo e del Rio Coca, determinando a valle dei fiumi la sospensione per una settimana
dell’erogazione idrica dell’acquedotto per i 70 mila abitanti della città di El Coca, (El
Comercio, 28/2/2009).
Figure 2 Fiume Rio Coca, importante sversamento di petrolio dall'oleodotto OCP. (fonte: El Comercio, 27/2/2009)
Le analisi quantitative prodotte condotte nello studio 4.10 aprono una finestra su
alcune dinamiche territoriali che si sono sviluppate all’interno dell’area di studio.
182
Come è stato precedentemente discusso le infrastrutture di comunicazione terrestre,
finanziate e costruite da attori esterni al territorio amazzonico (lo Stato e le
compagnie petrolifere), costituiscono i principali direct drivers nelle dinamiche di
cambiamento della riduzione di habitat e della copertura vegetale. Oltre a ciò le vie
stradali costruite nella foresta primaria innescano processi di colonizzazione agraria,
supportati dallo Stato e da imprese agricole, che vedono protagonisti gli attori interni,
ossia indigeni e colonos, che migrano nelle nuove aree forestali accessibili per nuovi
insediamenti. E’ rispetto a queste due dinamiche che si sono configurati territori
differenti nell’area della RBY.
I risultati delle analisi quantitive condotte sulle vie di comunicazione terrestri e
fluviali mostrano modi diversi di costruire il territorio in base alle diverse logiche di
percepire la natura e le risorse. Le due aree prese in esame infatti rappresentano da un
lato un territorio costruito intorno ad un asse stradale principale che veicola attività
produttive e tende ad accentrare le comunità in centri urbani, dall’altro un territorio
configurato dai limiti naturali del bacino idrografico e plasmato sulle vie di
comunicazione fluviale.
Il pattern territoriale della Via Auca, definito dal buffer derivato dall’asse stradale
fino all’ultima linea di colonizzazione agricola all’interno della foresta primaria,
presenta una superficie areale di 4683 km2 all’interno della quale sono presenti 25
centri abitati, 6 comunità indigene Wuaorani e 4 comunità di Quichua e colonos. Il
territorio configurato invece sul bacino del Rio Curaray presenta 12 centri urbani, 13
comunità Wuaorani e 22 Comunità Quichua all’interno di un’area di 8.204 km2.
Come si evince dalla carta di densità demografica prodotta i valori ottenuti sono
estremamente diversi: tra i 12 ed i 44 abitanti per km2 nel territorio della Via Auca e
tra i 0.44 ed i 6 abitanti per km2 nel bacino del Rio Curaray.
I risultati ottenuti tra le due aree evidenziano due dinamiche territoriali
completamente differenti: da un lato la Via Auca, come modello di pratiche
territoriali “modernizzanti” veicolate da un asse stradale principale che struttura il
territorio sulla geografia della produzione petrolifera e dall’altro il bacino idrografico
del Rio Curaray come area naturale dove le popolazioni indigene Wuaorani e
183
Quichua hanno costruito il territorio utilizzando il fitto reticolo idrografico del Rio
Curaray come principale via di comunicazione (vedi fig.4.17 p. 152).
I risultati delle analisi quantitative svolte sui due pattern territoriali danno indicazione
su come si organizzino nell’amazzonia ecuadoriana i sistemi sociali rispetto ai centri
abitati, alle vie di comunicazione, ed alle attività produttive presenti. Utilizzando la
sovrapposizione cartografica tra la geografia fisica costituita dai bacini idrografici e
dalla copertura forestale su quella degli attori territoriali si denotano anche modi
differenti di percepire la natura di trarne risorse. Lungo la Via Auca è prevalso un
territorio della “produzione estrattiva” disegnata dall’attore statale, nel quale sono
stati determinanti i processi di sostituzione, nell’area del bacino del Rio Curaray
invece logica sottesa è quella di un controllo simbolico delle risorse naturali.
Nel territorio della “Via Auca” il 100% della superficie è lottizzato per le attività
petrolifere, di cui il 60% è gestito dall’attore statale Petroecuador, il 17% dalla
compagnia, l’8% dalla Vintage e solamente il 14 percento è rappresentato da una
concessione senza operatore (vedi tab. 4.11 e fig. 6.16. p. 132).
All’interno del territorio del Rio Curaray invece il 68% delle concessioni sono
attualmente senza operatore, mentre il 23.57% è gestito dalla compagnia ENI-AGIP,
il 7.90% dalla Keer-McGee ed lo 0.43% da Petroecuador.
Questo può significare che allo stato attuale le attività produttive a carattere estrattivo
sono concentrate laddove è possibile strutturare un territorio secondo le logiche di
terra trovandosi in conflitto con quelle comunità locali che si contrappongono
seguendo logiche d’acqua.
In conclusione si ritiene che, nonostante la Riserva della Biosfera si basi su modelli
avanzati di protezione, non ci siano oggi, nella complessità del territorio amazzonico
ecuadoriano, le condizioni per poter attuare né strategie effettive di conservazione né
attività sostenibili per l’ambiente. Anche se, come dice Myers (2000), “l’integrità
della biodiversità della foresta umida tropicale dipende dalla sua effettiva
protezione”, a volte superare la barriera che separa uomo ed ambiente consentirebbe
di poter comprendere le dinamiche territoriali che portano al conflitto.
184
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Allegati
Documento 1. Linee guida per la gestione delle aree protette Parchi Nazionali, II categoria: Protected area managed mainly for ecosystem protection and recreation; natural area of land and/or sea, designated to (a) protect the ecological integrity of one or more ecosystems for present and future generations, (b) exclude exploitation or occupation inimical to the purposes of designation of the area and (c) provide a foundation for spiritual, scientific, educational, recreational and visitor opportunities, all of which must be environmentally and culturally compatible.
Objectives of Management 1. to protect natural and scenic areas of national and international significance for spiritual, scientific, educational, recreational or tourist purposes; 2. to perpetuate, in as natural a state as possible, representative examples of physiographic regions, biotic communities, genetic resources, and species, to provide ecological stability and diversity; 3. to manage visitor use for inspirational, educational, cultural and recreational purposes at a level which will maintain the area in a natural or near natural state; 4. to eliminate and thereafter prevent exploitation or occupation inimical to the purposes of designation; 5. to maintain respect for the ecological, geomorphologic, sacred or aesthetic attributes which warranted designation; and 6. to take into account the needs of indigenous people, including subsistence resource use, in so far as these will not adversely affect the other objectives of management.
Guidance for Selection a) The area should contain a representative sample of major natural regions, features or scenery, where plant and animal species, habitats and geomorphological sites are of special spiritual, scientific, educational, recreational and tourist significance. b) The area should be large enough to contain one or more entire ecosystems not materially altered by current human occupation or exploitation. Organizational Responsibility Ownership and management should normally be by the highest competent authority of the nation having jurisdiction over it. However, they may also be vested in another level of government, council of indigenous people, foundation or other legally established body which has dedicated the area to long-term conservation.
195
Fonte:United Nation Environmental Programme (UNEP) http://www.unep-wcmc.org, visitato il 08/12/2008
Tab.1 Plot di ricerca del Center for tropical Forest Science (CTFS) Sito Paese Specie arboree (totale) Area (ha) Yasuní National Park Ecuador 1,104 25 Lambir Hills National Park Malaysia 1,182 52 Pasoh Forest Reserve Malaysia 816 50 Khao Chong Wildlife Refuge Thailand 602 16 Korup National Park Cameroon 494 50 Okapi Faunal Reserve D. R. of Congo 446 40 Palanan Wilderness Area Philippines 335 16 Barro Colorado Island Panama 300 50 Huai Kha Khaeng W. Sanctuary
Thailand 251 50
La Planada Nature Reserve Colombia 228 25 Sinharaia World Heritage Site
Sri Lanka 204 25
Luquillo Experimental Forest Puerto Rico 138 16 Mudumalai Wildlife Sanctuary India 71 50 Fonte: CTFS, 2004, www.ctfs.si.edu. Tab.2 Riserva della Biosfera Yasuní: Specie minacciate secondo le categorie IUCN e le Appendici CITES Nome volgare
Spagnolo Nome comune
Inglese Genere e
Specie IUCN L.R.
Ecuador
IUCN L.R.
Mondiale
CITES
Nutria gigante, Lobo de río
Giant otter Pteronura brasiliensis
CR EN I
Manatí Amazónico, Vaca de agua Vaca del Amazonas
Amazonian manatee, Water cow
Trichechus inunguis
CR VU I
Delfín rosado, Delfín Amazónico, Bufeo de río
Amazon river dolphin, Pink river dolphin, Boto
Inia geoffrensis EN VU II
Delfín gris de río, Tucuxi
Gray river dolphin
Sotalia fluviatilis
EN DD I
Guanfando, Perro vinagre
Bush dog Speothos venaticus
VU VU I
Mono araña de vientre amarillo,
White-bellied spider monkey
Ateles belzebuth VU VU II
196
Maquisapa Raposa de cola peluda
Bushy-tailed opossum
Glironia venusta
VU VU -
Tigrillo chico Oncilla, Little spotted cat
Leopardus tigrinus
VU NT I
Jaguar, Pantera, Tigre Americano
Jaguar Panthera onca VU NT I
Puma, León americano
Puma, Mountain lion
Puma concolor VU NT II
Chorongo, Mono lanudo común, Mono choro
Common woolly monkey
Lagothrix lagotricha
VU LC II
Nutria común, Nutria Neotropical, Perro de río, Lobo de agua
Neotropical river otter
Lontra longicaudis
VU DD I
Tapir Amazónico, Danta
Amazonian tapir
Tapirus terrestris
NT VU II
Raposa de agua, Zorra de agua, Comadreja de agua
Water opossum
Chironectes minimus
NT NT -
Raposa chica radiante, Zorra chica radiante
Little rufous mouse opossum
Marmosa lepida NT NT -
Gran falso vampiro
Great false vampire bat, Spectral vampire
Vampyrum spectrum
NT NT -
Tigrillo, Ocelote
Ocelot Leopardus pardalis
NT LC I
Tigrillo de cola larga, Burricón, Margay
Margay Leopardus wiedii
NT LC I
Chichico de manto dorado, Chichico amarillo
Golden-mantle tamarin
Saguinus tripartitus
NT LC II
Armadillo gigante, Armadillo trueno, Cutimbo
Giant armadillo
Priodontes maximus
DD EN I
Oso Giant anteater Myrmecophaga DD VU II
197
hormiguero gigante, Oso banderón
tridactyla
Murciélago de ventosas de La Val
La Val’s sucker-footed bat
Thyroptera lavali
DD VU -
Raposa lanuda Amazónica, Zorra lanuda de oriente
Amazonian woolly opossum
Caluromys lanatus
DD NT -
Murciélago orejudo mayor
Great big-eared bat, Davies’ big-eared bat
Micronycteris daviesi
DD NT -
Parahuaco ecuatorial
Equatorial saki monkey
Pithecia aequatorialis
DD LC II
Codici: CR = gravemente minacciato; EN = minacciato; VU = vulnerabile; NT = quasi a rischio; LC = rischio minimo; DD = dati insufficienti Fonte: Liste Rosse Mondiali (IUCN, 2004; Liste Rosse dei Mammiferi dell’Ecuador, 2001, Ministero dell’Ambiente, IUCN) Tab. 3 Riserva della Biosfera Yasuní: specie di anfibi minacciati secondo le categorie IUCN e le Appendici CITES
Genere e specie CITES IUCN – L.R. Mondiali Atelopus spumarius Dati assenti VU Rhamphophryne festae Dati assenti NT Allobates femoralis Appendice II LC Allobates zaparo Appendice II LC Dendrobates duellmani Appendice II LC Dendrobates reticulates Appendice II LC Dendrobates ventrimaculatus Appendice II LC Epipedobates bilinguis Appendice II LC Epipedobates hahneli Appendice II LC Epipedobates parvulus Appendice II LC Codici: VU = vulnerabile; NT = quasi a rischio; LC = rischio minimo Fonte: IUCN, Conservation International, 2004; Global Amfibian Assessment, 2004
198
Ringraziamenti Desidero ringraziare anzitutto la mia famiglia, mia madre e mio padre, per l’interminabile pazienza e per avermi regalato l’opportunità di accedere e terminare questo travagliato, contorto percorso di studi. Ringrazio la fortuna, per avermi fatto conoscere Valentina ed il suo sorriso che mi hanno accompagnato dall’inizio alla fine di questo sofferto lavoro. Non posso esimermi dal ringraziare ed abbracciare tutti quelli che ho conosciuto in Ecuador; per avermi fatto conoscere l’Amazzonia ed i suoi abitanti, e per avermi dato informazioni e passioni per costruire questo lavoro. Un grazie speciale a David, Diocles, Jose, Byron detto el Che, Delfin, Maria, John Guerrero, Diego Andrade, Edwin, Ivan Narvaez e a tutti gli altri che non posso qui menzionare. Un ringraziamento speciale a tutte le donne e gli uomini del colore della terra che ho conosciuto nell’amazzonia ecuadoriana. I loro occhi dal taglio indigeno mi hanno aperto il cammino e mi regalano tuttora il loro desiderio di dignità e libertà. Alla Comunità di Dayuma, colonos y Quichuas resistenti. Ringrazio l’emerito prof. Francesco Ferrarese, per avermi accompagnato nel mondo dei G.I.S., per la sua timida ma irriverente simpatia, soprattutto per avermi sopportato interminabili mesi in laboratorio. Adesso è finita. Forse. Ringrazio Chiara ed Andrea per l’enorme disponibilità e i preziosi consigli. Grazie ai miei compagni e alle mie compagne; quelli di ieri, quelli di oggi e di domani. Grazie, davvero, per avermi insegnato a camminare sognando, ad occhi aperti, un mondo migliore.