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Il cristianesimo fece bere a

Eros il veleno: in realtà egli

non ne morì ma degenerò in

vizio.

F. Nietzsche

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PREMESSA

Il senso dell'opera è primariamente storico e filosofico. La domanda

fondamentale è: “In che modo una imago mentale come il demoniaco ha

potuto sedimentare storicamente, al punto da edificare i pilastri ideologici

dell'Occidente cristiano”? (e questa è come si vede la destrutturazione

dell'antica domanda metafisica sulla natura del “Diavolo” e specularmente

del Dio). Il testo, attraverso un'analisi di stampo weberiano (il capitalismo

moderno -la possessione- nello sfondo dell'etica protestante quale

conseguenza epocale dell'ossessione nevrotica), vuole ricondurre il concetto

metastorico del demoniaco in ambito prima metapsicologico e poi

strettamente psicologico, per riportarlo al culmine del processo dialettico

hegeliano nuovamente nella storia. Si vedrà nelle analisi che seguono come

il demoniaco sia l'antitesi del Logos (inteso metafisicamente come Cristo;

metapsicologicamente come principio di Ragione; storicamente come

l'epoca ultima dello Spirito che in virtù dei principi di identità e

contraddizione ha bandito l'alterità, e che è dunque diventato nella sua

autonomia qualcosa da esorcizzare. In una parola: l'irrazionalità e

l'inconscio, l'Errore, lo scetticismo apostatico che porta ancora a chiedersi

“e che cos'è la Verità?”), e come il Logos, nella sua guerra a Dioniso abbia

assunto una rigida forma storico/semantica: la tirannia di un'ottica morale,

la rigidità di un pensiero che non riconosce l'ambivalenza e la

contraddizione, l'arroganza dei significati già codificati che non consentono

ulteriori aperture.

La lettura è banale e accademica fino a circa pagina 60, il lettore è invitato

a non scoraggiarsi e a procedere oltre (quello che sembra scontato si

rivelerà una premessa fondamentale), poiché il senso del testo richiede la

ricognizione completa dell'opera, soprattutto le ultime 20-30 pagine.

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NOTA INTRODUTTIVA

Questo studio intende chiarire la natura di quella

primaria e fondamentale esperienza angosciosa che,

fatta risalire ad un originario senso di colpa e

tradizionalmente ricondotta sui binari metafisici, ha

assunto dilatandosi dall'individuo un significato

collettivo ed esistenziale. Una imago -nella sua essenza-

psicologica che per quanto strumentalmente associata

alla nozione di peccato (dall'infrazione della legge

mosaica a quella edipica), ha saputo irrompere nell'Io

con tutto il proprio dispiegamento esistensivo e

sintomatico. Addirittura epocale se consideriamo le

forme in cui di cultura in cultura e di geografia in

geografia si è storicamente presentata: la ritroviamo ad

esempio com'è noto nel manicheisimo, nell'ebraismo,

nel cristianesimo e poi, in tempi più recenti, come

ombra, inconscio, alterità dialettica, malattia. E allora è

doveroso chiedersi: quale terreno tormentato

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condividono lo spirito religioso e quello patologico

(nevrotico o psicotico), invasi come sono ai confini del

possesso da quel demoniaco che, tanto nella religione

quanto nella malattia (com'è volgarmente concepito in

epoca moderna) pare essere il sostrato, la condizione

stessa di possibilità dell'Io? Al di là dei luoghi -e quindi

dei particolari caratteri iconografici di cui le diverse

letterature si servono per dare voce al sintomo- accade

infatti che l'inondazione angosciosa venga a

personificarsi (e la personificazione è un processo

dialettico psico-adattivo che consente al principio di

piacere e/o simboli eonici, di trasformarsi

canalizzandosi in quello desessuato di realtà, nel

sistema etico di una civiltà e dunque nei mitologemi

della storia culturale e metafisica di un popolo, dando a

sua volta origine ai riti etnici che gli sono propri) nei

totemismi strutturanti della morale (sub-coscienti nella

nevrosi, preclusi nella psicosi). Delineandosi nel suo

divenire fondante come l'a-priori, il modo di aprirsi

(come ad esempio può esserlo l'in-quanto heideggeriano

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che, simile all'imperativo di Kant, fonda e costruisce,

organizza nei processi visivi la mente umana nell'ottica

morale; apre il da alla possibilità del Sein, all'essere,

possibilità pro-gettuale che non evade comunque mai i

limiti antropologici e funzionali del Principio di

Ragione) all'enigma del mondo, nel raccogliere

teleologico cielo-terra-mortali-divini tipico dell'essere

umano (del Dasein che ha scienza del bene e del male),

che dà una forma al calvario (il peccato, il senso di

colpa che muove ad una coscienza) morale. Se non hai

scienza del bene e del male non hai infatti morale,

alcuna coscienza (e anzi, a ben guardare, la coscienza è

sempre coscienza del male, una cattiva coscienza), e

nella coscienza nessuna possibilità di libertà. La

domanda posta in precedenza diventa allora più

esplicita: in definitiva che cosa concepiamo come male?

E perché proprio la sua rivelazione costruisce una

coscienza, l'Io pensante? Davvero insomma dobbiamo

dedurre che la coscienza sia sempre, nella sua

fondamentale espressione totemica, essenzialmente

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religiosa? Una questione -come si vede- sostanziale che

porta a sottoporre a indagine il significato morale, la

misura e i limiti dell'Io (l'Io, spinto dal rimorso,

sacrifica all'altare morale la fecondità della coscienza, la

quale nel demone che la muove all'essere assume le più

svariate forme: nell'uno conducendo l'individuo a

redimersi nel culto e nella fede, nell'altro fluttuando

nell'allucinazione schizofrenica -attraverso la

forclusione epiclesica della colpa- con la reiezione

apostatica del nome-del-Padre e nell'ipermoralismo

compulsivo/invasamento della colpa). Ossessione che

serve a scongiurare, nuovamente esorcizzandolo nel

martirio morale, il furore simbolico che ribolle nel

sottosuolo del pre-cosciente e che irrompe nella imago

della colpa, come si detto dell'angoscia. Uno stesso

modo dell'essere (in fondo) che immolandosi si rimuove

nel primo, e agisce spaventoso nel secondo. La

coscienza morale, come vedremo, è infatti la

discriminante non solo tra bene e male ma della stessa

eziologia patologica, il parametro di giudizio tra la

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normalità (sistema cristiano) e la malattia (sistema

calvinista), e in definitiva tra la nevrosi (struttura

nevrotica: sistema cristiano-calvinista) e la psicosi

(struttura psicotica: sistema ateo). Configurandosi come

l'ultimo dei rimandi ontofilogenici, il mandala

mitologico rinvenibile in ciò che la nostra tradizione ha

identificato nel fenomeno demoniaco (il Geviert della

coscienza). L'equazione è infatti questa: più sono

angosciato (avverto ovvero la spaventosa e inafferrabile

rivelazione del mio Sé) più sono un moralista, uno che

ha saputo fare del vizio una virtù (e per dirla con

Nietzsche, non è forse vero che: c'è un'arroganza della

bontà che si presenta come cattiveria? Qualcosa di

spaventoso e abominevole nella compassione, nella

pietà?). Per questo la morale, come pure la

sovrastruttura etica (di cui una specie di dilatazione

prospettica) è per quanto necessaria, nelle sue ragioni

inquisitorie qualcosa non solo di morboso, ma che sa

addirittura di zolfo, una malattia storica. Perversione da

cui sembrano immuni tutte le altre specie animali. Ma è

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tuttavia proprio essa, nata come si detto dalla scienza

del male, il demone che ha saputo fare la quadratura

della coscienza, e nella coscienza del pensiero, del

Logos (anche in questo Nietzsche ha le sue motivazioni

nel considerare il Logos, e per essere precisi il Logos

socratico, la voce e il daimonion, su cui si edificata la

civiltà occidentale, come una profanazione della natura,

uno stato di deiezione dall'essere che ha la sua estetica

nel rogo della vita, di tutto quello che ha il sapore della

felicità). E la ri-flessione, il pensiero (che è poi dramma

di Narciso: da sempre inteso come orientamento ottico,

fenomeno visivo) che cos'è se non un ri-flettersi, un

flettersi e guardarsi come altro da Sé secondo quello

sdoppiamento che è tipico (antropos, come Platone

scrive nel Cratilo, è colui che torna sui suoi passi, che -

anathron ha opope - riesamina ciò che ha visto) della

schizofrenia, dell'alienazione? Un problema come si

vede, questo della coscienza quale dilatazione ottica

della colpa morale assolutamente primario, specie se

teniamo conto del valore ontologico del Logos nel

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muovere a quella scienza e quella tecnica che sono

l'espressione massimamente celebrata del mondo

moderno. Se il pensiero è infatti una malattia, un errore

biologico, o come direbbe Nietzsche un incidente

evolutivo, che cosa si apre dietro al dispiegamento

sintomatico della nevrosi (ciò che l'attuale apparato

produttivo definisce con intenti repressivi nevrosi) che

ha il nome antico di nichilismo? Quali dovranno essere

gli esiti di una malattia morale che ha i connotati

luterani di una condanna alla dannazione eterna?

Problemi che non da oggi tolgono il sonno allo studioso

attento, e che agli inizi di un nuovo millennio si

caricano di significati ancestrali. E se è davvero questo

l'archetipo della Ragione, ciò che ha mosso la brutalità

dionisiaca ad indossare la maschera apollinea del Logos

e quindi della morale, quali saranno gli effetti

antropologici (essenzialmente antropologici) di un suo

ritorno alle origini primitive e mitologiche, precoscienti,

che sono la lingua, l'ultima delle cause formali della

coscienza? Quali gli effetti devastanti in definitiva del

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nichilismo sulla religione e ancora di più nella scienza?

La patologia mentale (da intendersi come ciò che la

rinata inquisizione scientista definisce strumentalmente

malattia), come pure ogni sistema etico-religioso nel

continuo strutturarsi attorno all'esorcismo morale si

delinea allora come il riflesso (e Dioniso specchiandosi

non vede forse il mondo?) di quel dio dell'ebbrezza e

delle voluttà che ha deciso di tornare all'essere, per

essere. Per impossessarsi (e la nevrosi non è forse, nel

suo significato religioso, una malattia egodistonica,

percepita dall'Io come qualcosa di estraneo, di

minaccioso, quasi come una presenza malefica? Una

vera e propria possessione demoniaca?) nuovamente di

quell'ente sottoposto a damnatio memoriae, eternamente

perduto che è l'uomo. Anzi, con Freud, si potrebbe

addirittura dire che la nevrosi non sia solo il negativo

della perversione, ma della stessa religione (e che cos'è

la religione se non oblatio panis una perversione

naturale, una violenza dello stato biologico?); una

religione laica che ha il suo altare sacrificale: venuta

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meno la fede metafisica (quella stessa che aveva finora

provvidenzialmente tamponato nei riti apotropaici più o

meno bene la fenomenologia bacchica), con l'illusione

dell'apocalittica soteriologia e dell'attesa dell'ultimo

paraclito, il demoniaco può infatti proporsi oggi

liberamente nei sistemi (controparte speculare, come

coscienza) etico e morali (esasperandosi nell'ossessione

della nevrosi compulsiva e del carattere anale che, senza

più fondamento ontologico, si inabissano nel vuoto

dell'assenza, vanificando nella condanna del nulla).

Freud diceva più semplicemente che la metafisica

sarebbe stata presto sostituita dalla metapsicologia, ma è

lo stesso. L'impegno della presente ricerca vuole essere

allora principalmente uno: fare emergere dal sintomo

dell'angoscia, a cominciare dalla fenomenologia

perversa e polimorfa dell'ossessione (sistema calvinista),

i simboli eonici dell'antico Dioniso, togliergli la

maschera morale con cui si è coperto il volto; forme

enantiodromiatiche di culto, per intenderci, che dal

cristianesimo alla new age si devono ricondurre

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all'angoscia morale. Alla chiamata profilattica e

terapeutica di una trascendenza simbolica che protegge

nell'epocale irrigidimento semantico dall'invasione di

quei significanti dell'inconscio che, in un'epoca tiranna

di contenuti (dispotismo di un principio di realtà che

tende a imporre la codificazione capitalistico-borghese

come principio normativo, e dunque a contenere i flussi

creativi e simbolici del desiderio nel cerchio magico

della triangolazione edipica, dove ogni cosa che sfugge

al controllo e all'ordine è medicalizzabile, una malattia:

teorie della perversione, della degenerazione,

dell'anormalità) parlano nella sola lingua consentita

delle pulsioni e del sintomo. Ossessione funzionale

all'ingranaggio economico (la compulsione morale porta

ad esempio lo spirito calvinista a circoscriversi nel

cerchio magico della legge, a sacrificarsi nel dovere e ad

alienarsi immolandosi nel lavoro), che normalizzandosi

nelle esperienze etiche e spi-rituali teurgiche di catarsi

(cos'è la seduta analitica se non una confessione, un

modo per abiurarsi e abiurare il desiderio, di sottoporsi

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e sottoporlo ai mandata ecclesia della legge mosaica-

edipica?) purificano in un nuovo battesimo (repressione

operata dalla civiltà produttiva sul simbolo tramite

l'interdetto all'incesto, meccanica della castrazione

desiderante come accesso alla legge) lo zolfo che

trasuda dall'Io (e che ha il nome distruttivo di

autocoscienza). Ieraticamente per allontanare la

minaccia di un'epoca tragica della coscienza che

rivendica la sua eonica universalità, la sua perenne

apocatastasi storica. Un mito, ma un mito che è a

fondamento del pensiero e dello stesso Io, che dopo

essersi coperto con la maschera del Logos (celebrandosi

di epoca in epoca nei rituali magici dell'oppio

spirituale), ha deciso di mostrarsi finalmente nella

tragedia demoniaca della follia.

Giancarlo Buonofiglio Milano Dic. 1998

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