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0. INTRODUZIONE: I PROPOSITI DI STUDENTI DEMOCRATICI. 0.1 Un nuovo sistema universitario italiano. Tu devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Mohandas Karamchand Gandhi Il nostro Paese per molti anni, già a partire dalla fine del XIX secolo, ha rappresentato una vasta risorsa per le economie più progredite del mondo. La forza lavoro impiegabile nelle industrie più avanzate ha provocato una forte emigrazione, motivata dallo stato di arretratezza economica, socio culturale e istituzionale in cui ha versato a lungo l’Italia post - unitaria. Oggi, dopo l’industrialismo, la crescita degli anni ’50 e ’60 del ‘900 e l’urbanesimo, il nostro Stato non è in grado di competere in modo efficace con le più avanzate economie mondiali sulla ricerca scientifica, sullo sviluppo di tecnologie avanzate, sulla produzione di beni sofisticati, e ciò comporta nuovi movimenti migratori all’estero di ricercatori, di studenti, di giovani professionisti; ovvero, un progressivo impoverimento del nostro tessuto culturale, del nostro bagaglio scientifico, delle nostre possibilità di crescita tecnologica. In sostanza, se per anni l’Italia ha mostrato incapacità a costruire e valorizzare un sistema occupazionale ed economico che offrisse risposte ad un’ampia, quanto generalizzata, domanda di lavoro poco o affatto qualificato, e ciò ha contribuito anche ad acuire gli squilibri fra le regioni del Nord e quelle del Sud, oggi il Paese non riesce a trattenere le proprie migliori energie per finalizzarne gli studi e le conoscenze verso un avanzamento sociale, economico ed ovviamente culturale. In questo quadro, risultano assai evidenti i limiti del sistema universitario italiano. Da una parte, le carenti risorse economiche da utilizzare per offrire alla popolazione studentesca e docente strutture adeguate, laboratori efficienti, biblioteche ben fornite, mezzi informatici d’avanguardia; d’altro canto, la cattiva gestione del patrimonio economico ed umano, la crescita dei potentati e delle baronie, la mancanza di valutazioni, e conseguenti scelte, in base a criteri rigorosi. Il Governo Prodi II, ed il suo Ministro dell’Università Mussi, non sono stati incisivi né tempestivi nell’arginare un processo culturale “deviante” promosso dalla destra politica negli ultimi quindici anni: ovvero, l’idea che la pubblica amministrazione non sia in grado di offrire servizi di qualità ed adeguati alle necessità contemporanee e, pertanto, sia più consono destrutturare gli enti erogatori statali e affidarsi a strutture private. Anche l’università pubblica, prima con l’ex Ministro Moratti poi con il Ministro Gelmini, ha visto messa in discussione il suo ruolo centrale per la crescita ed il progresso del Paese, aggravando la condizione degli

Stati Generali dell'Università - Studenti Democratici Roma

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0. INTRODUZIONE: I PROPOSITI DI STUDENTI DEMOCRATICI.

0.1 Un nuovo sistema universitario italiano.

Tu devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.

Mohandas Karamchand Gandhi

Il nostro Paese per molti anni, già a partire dalla fine del XIX secolo, ha rappresentato una vasta risorsa per

le economie più progredite del mondo. La forza – lavoro impiegabile nelle industrie più avanzate ha

provocato una forte emigrazione, motivata dallo stato di arretratezza economica, socio – culturale e

istituzionale in cui ha versato a lungo l’Italia post - unitaria.

Oggi, dopo l’industrialismo, la crescita degli anni ’50 e ’60 del ‘900 e l’urbanesimo, il nostro Stato non è in

grado di competere in modo efficace con le più avanzate economie mondiali sulla ricerca scientifica, sullo

sviluppo di tecnologie avanzate, sulla produzione di beni sofisticati, e ciò comporta nuovi movimenti

migratori all’estero di ricercatori, di studenti, di giovani professionisti; ovvero, un progressivo

impoverimento del nostro tessuto culturale, del nostro bagaglio scientifico, delle nostre possibilità di

crescita tecnologica.

In sostanza, se per anni l’Italia ha mostrato incapacità a costruire e valorizzare un sistema occupazionale ed

economico che offrisse risposte ad un’ampia, quanto generalizzata, domanda di lavoro poco o affatto

qualificato, e ciò ha contribuito anche ad acuire gli squilibri fra le regioni del Nord e quelle del Sud, oggi il

Paese non riesce a trattenere le proprie migliori energie per finalizzarne gli studi e le conoscenze verso un

avanzamento sociale, economico ed ovviamente culturale.

In questo quadro, risultano assai evidenti i limiti del sistema universitario italiano. Da una parte, le carenti

risorse economiche da utilizzare per offrire alla popolazione studentesca e docente strutture adeguate,

laboratori efficienti, biblioteche ben fornite, mezzi informatici d’avanguardia; d’altro canto, la cattiva

gestione del patrimonio economico ed umano, la crescita dei potentati e delle baronie, la mancanza di

valutazioni, e conseguenti scelte, in base a criteri rigorosi.

Il Governo Prodi II, ed il suo Ministro dell’Università Mussi, non sono stati incisivi né tempestivi

nell’arginare un processo culturale “deviante” promosso dalla destra politica negli ultimi quindici anni:

ovvero, l’idea che la pubblica amministrazione non sia in grado di offrire servizi di qualità ed adeguati alle

necessità contemporanee e, pertanto, sia più consono destrutturare gli enti erogatori statali e affidarsi a

strutture private.

Anche l’università pubblica, prima con l’ex Ministro Moratti poi con il Ministro Gelmini, ha visto messa in

discussione il suo ruolo centrale per la crescita ed il progresso del Paese, aggravando la condizione degli

atenei, mediante l’aumento dei fondi per il finanziamento delle università private e la contestuale

decrescita del FFO per gli atenei pubblici; la nascita di numerose università telematiche (spesso di scarsa

qualità accademica); la proliferazione di nuovi atenei e la frammentazione degli istituti in numerose sedi

distaccate; il raddoppio dei corsi di studio e la moltiplicazione dei moduli (o esami) che gli studenti devono

sostenere; i privilegi della classe docente e il suo mancato rinnovamento generazionale; lo scarso impiego

di dottorandi e ricercatori e la misera attenzione a loro rivolta; la riduzione sistematica del fondo pubblico

per la ricerca e l’incapacità di attrarre risorse private; addirittura, l’eventualità di ridisegnare lo stato

giuridico degli atenei pubblici facendoli confluire in fondazioni di diritto privato, senza un chiaro quadro

normativo entro cui operare.

L’impegno Di Studenti Democratici deve, quindi, essere indirizzato su molteplici fronti: l’analisi

dell’impianto normativo, delle regole e delle consuetudini che regolano il sistema universitario italiano;

la ricerca di proposte innovative, ed alternative a quelle della destra al governo della città e del Paese,

che rendano più efficienti e diffusi i servizi agli studenti, che migliorino e razionalizzino l’offerta didattica

e formativa, che amplino il diritto allo studio per le categorie sociali più deboli, che agiscano sulla

trasparenza dell’impiego di denaro pubblico, che riordinino le spese e riducano le sedi decentrate e

distaccate, che costruiscano una “rete” di università pubbliche efficienti e di qualità sull’intero territorio

nazionale, che introducano criteri meritocratici per il personale docente e tecnico – amministrativo e per

l’accesso di nuove figure professionali, che concorrano a migliorare gli standard per la ricerca.

Per Studenti Democratici pensare una nuova università pubblica, ed il suo rapporto con quella privata e la

società tutta, ed agire nelle singole facoltà può voler dire non solo ampliare il consenso e l’attenzione degli

studenti, ma affrontare una notevole quantità di temi politici collegati alle problematiche delle giovani

generazioni: dalle questioni riguardanti la mobilità pubblica a quelle di carattere sanitario, dall’offerta

culturale della città al mercato degli affitti ed immobiliare, dalla scarsa mobilità sociale agli ausili ai più

deboli, dalle esperienze all’estero alla costruzione di una politica comune europea, dall’impiego di risorse

economiche pubbliche per la ricerca al contributo privato, dall’introduzione di giovani docenti e ricercatori

al rinnovo delle classi dirigenti del Paese, dall’alfabetizzazione informatica e tecnologica della popolazione

alla questione meridionale.

E’ fondamentale, a riguardo, agire come mai prima. Coinvolgere studenti e corpo docente, associazioni e

gruppi politici, giovani professionisti e studiosi per “misurare” la propria proposta politica e per avvicinare

esperienze differenti già presenti nelle università e nella società contemporanea.

I meriti, le responsabilità, le conquiste e le sconfitte di Studenti Democratici si misureranno, nei prossimi

anni, prima di tutto sulle questioni che riguardano l’istruzione pubblica.

La portata del rinnovamento che la nuova organizzazione giovanile saprà esprimere sarà pesata sulla sua

capacità di porsi innovativi obiettivi politici, di radicarsi nei luoghi di studio e di socializzazione delle

generazioni più giovani, nella maturità con la quale saprà dar fisionomia ad istanze di cambiamento e

riforma del sistema universitario italiano. Un sistema che va difeso perché pubblico, un sistema che va

profondamente modificato perché largamente inefficace ed inefficiente e non ancora egualitario.

0.2 Le fondazioni private: dismissione dell’università pubblica.

Noi non ci riempiamo la bocca parlando "della gente". Noi

abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente tra la

gente.

Romano Prodi, presentazione del Programma dell'Unione,

Roma 11 febbraio 2006

Da quando si è insediato, nel 2008, il Governo Berlusconi è più volte intervenuto in materia universitaria

caratterizzando la propria iniziativa secondo un modello culturale preciso: la pubblica amministrazione non

è capace di erogare servizi di qualità malgrado l’alto dispendio di risorse che comporta per l’erario statale.

Questo atteggiamento è apparso evidente in molti ambiti mediante il congiunto intervento dei Ministri

Brunetta, Tremonti e Gelmini; il primo, infatti, ha prodotto una potente campagna contro il pubblico

impiego quale causa dei mali del Paese ed ha più volte etichettato i dipendenti pubblici come “fannulloni”

inefficaci; il Ministro dell’Economia ha sostenuto sia irreversibile lo sperpero e l’inefficienza della P.A. e, di

conseguenza, ha varato molteplici interventi che comprimono le risorse a disposizione degli enti pubblici

per l’erogazione dei servizi ai cittadini ampliando, di fatto, le prerogative dei privati; il Ministro Gelmini, ha

avallato i tagli dei fondi nazionali rivolti agli atenei pubblici e non ha sostenuto i precari alle dipendenze

degli istituti scolastici in tutta la penisola.

Quanto avvenuto per l’università e la scuola pubblica italiana, in questo contesto, è equiparabile a ciò che è

stato prodotto per gli altri fondamentali settori che lo Stato gestisce al fine di offrire ai propri cittadini

servizi accessibili a tutti ed uguaglianza di trattamento: la sanità e la previdenza sociale, la difesa e la

sicurezza del cittadino (si pensi, a riguardo, al messaggio inviato al Paese con l’introduzione delle “ronde”:

lo Stato e la forza pubblica non sono in grado di garantire la sicurezza, siano i cittadini a farlo

autonomamente ed in modo arbitrario), il governo del territorio e la giustizia.

Non è un caso il continuo riferimento di Berlusconi e dei suoi ministri alle aziende private quali unico

strumento di efficacia ed efficienza gestionale.

In questo quadro, appare aver fatto breccia nel Paese l’idea culturale di fondo che la destra ed il Governo

perseguono.

Recuperare agibilità nelle facoltà universitarie e nelle aule scolastiche degli istituti medi superiori vuol dire,

per Studenti Democratici, prima di tutto offrire una proposta culturale antitetica che individui nelle

istituzioni pubbliche lo strumento necessario al servizio del cittadino per garantire uguaglianza e

accessibilità; e, in seconda istanza, significa individuare le modalità operative per coniugare “uguaglianza ed

accessibilità per tutti” a “qualità, merito e trasparenza”.

In un anno e mezzo il Governo ha proceduto nel proprio intento tagliando radicalmente i fondi per il

funzionamento degli atenei (il fondo nazionale, che ammonta a poco più di 7 miliardi di euro, è stato

ridotto per il 2010 di 700 milioni, mentre per il 2011 la somma dei tagli raggiungerà 1,3 miliardi) e,

contemporaneamente ha identificato, quali unici mezzi per reperire risorse, le donazioni di soggetti privati

e la possibilità per le università di cambiare la propria ragione sociale divenendo fondazioni private.

In questo senso, già i tagli apportati sono da ritenersi gravi se si considera che il sistema dell’università e

della ricerca italiano è enormemente sotto finanziato (per citare un solo dato, a riguardo, si consideri che il

finanziamento pubblico alle università è in Italia lo 0.6% del PIL a fronte dell’1.1% della UE). Ma, cosa

ancora più grave, è che questo genere di politica implica, da una parte, la sistematica e pesante riduzione

dei fondi per università e ricerca in un contesto come quello italiano in cui, più che nel resto delle UE, il

bilancio del settore è fortemente legato all’impegno delle istituzioni pubbliche. Di fatto, così, il Governo

allontana l’esperienza (ed il quantitativo di risorse destinate) italiana da quella europea.

D’altra parte, “affamando” gli atenei pubblici l’esecutivo spinge rettori e consigli d’amministrazione ad

accettare la logica delle fondazioni private: e questo è l’aspetto più pericoloso di tale provvedimento.

I CdA diverrebbero permeabili a soggetti privati, anteponendo all’interesse della ricerca e

dell’insegnamento pubblici la logica del profitto e lo stesso patrimonio immobiliare degli atenei, per effetto

di un comma della “legge Gelmini”, potrebbe essere svenduto alle fondazioni private. Il tutto senza un

adeguato quadro normativo entro le quali dovrebbero agire le università italiane – fondazioni private.

Nel combinato disposto di tagli e fondazioni private si intravede il motivo culturale che il Governo

Berlusconi persegue, ed al quale gli Studenti Democratici devono essere in grado di opporre un progetto di

università pubblica nella quale, come avviene in ogni contesto europeo, si insegnino tutte le discipline

scientifiche ed umanistiche (prescindendo dai risultati economici raggiungibili); si integrino ricerca e

didattica; siano tarate accessibili rette di frequenza; siano presenti strumenti di diritto allo studio; si

proceda all’interazione degli atenei e dei centri di ricerca con le altre istituzioni della società civile.

Gli Studenti Democratici, in sostanza, devono attrezzarsi per offrire il progetto culturale e politico di una

università italiana plasmata secondo il modello europeo e, quindi, governata e regolata da oggettivi

criteri scientifici e culturali e non dagli incostanti, quanto impropri, valori di mercato.

Si tratta, ed è bene ribadirlo, di elaborare non una semplice offerta politica ma di costruire una più ampia e

complessa proposta educativa. E nel fare ciò, bisogna inserire l’università in un’ottica in cui le istituzioni

pubbliche recuperino credibilità, agli occhi dei cittadini, mediante l’innalzamento della qualità,

l’eliminazione degli sprechi e la trasparenza nelle scelte.

La nostra cultura, quindi, ci impone di dirigerci nella direzione opposta a quella fin’ora percorsa dal

Governo e, soprattutto, ci prescrive di opporci con decisione alla dismissione dell’università quale ente

pubblico ed a favore di fondazioni private.

0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese.

L'utopia è una donna bellissima che vedo sullo sfondo. Io

avanzo di due passi, lei arretra di due. Io avanzo di tre, lei

arretra ancora. A cosa serve allora l'utopia? A camminare.

Eduardo Galeano

L’Italia è un Paese che dal secondo dopoguerra è stato capace di porsi in evidenza a livello mondiale.

L’industrializzazione ed il “miracolo economico” degli anni ’50 e ‘60, l’urbanesimo e i cambiamenti

demografici, la competitività sui mercati internazionali e l’importanza geopolitica nel contesto della Guerra

fredda nel Mediterraneo, sono alcuni degli enormi macrostravolgimenti che hanno interessato l’Italia del

XX secolo. Nel contempo, però, questa crescita esponenziale ha provocato significative contraddizioni ed ha

accentuato alcuni problemi e, su tutti il divario fra nord e sud, il primo posto al centro del progresso che

avveniva ed il secondo ancora figlio dell’arretratezza feudale e accompagnato verso una potente

migrazione verso le aree più industrializzate o verso l’estero. I dati statistici, ancora a distanza di molti anni,

ci mostrano un divario enorme non solo in termini economici, di reddito, di produttività, di occupazione,

ma anche per quanto riguarda l’offerta e la qualità dei servizi ai cittadini. L’università ed il comparto

culturale rappresentano una voce “a bilancio” delle regioni meridionali in assoluto passivo, e che va

analizzata con attenzione. Il nostro intento deve mirare ad utilizzare un servizio pubblico essenziale, quale

la formazione universitaria e la ricerca scientifica e tecnologica, per diminuire le differenze fra Nord e Sud

del Paese e per offrire maggiore equità ed uguaglianza ai cittadini ed agli studenti.

Risulta, infatti, evidente che se tutta l’università e la ricerca pubbliche italiane soffrono dei continui tagli

operati, di strutture arretrate, della mancanza di dinamicità e del dovuto ricambio generazionale, appaiono

altrettanto palesi le condizioni drammatiche in cui versano nel mezzogiorno.

Qui, sono presenti atenei poco “appetibili” a causa di loro caratteristiche intrinseche, in parte mutuate dal

contesto sociale, politico, culturale e geografico in cui sono sorte, ed in parte afferibili agli errori ed alle

cattive gestioni che hanno guidato il sistema di ricerca ed universitario nazionale.

I numeri sono chiari: se dal meridione, fino ad alcuni anni fa, migravano disoccupati e lavoratori poco o per

nulla qualificati, oggi migrano studenti universitari, giovani diplomati e laureati. Il dato assume un peso

ancora più significativo se si considera che nel sud d’Italia gli immatricolati all’università sono in

proporzione, e spesso in termini assoluti, molti di più che nella restante parte del Paese 1. indicando, di

fatto, un vero e proprio esodo che coinvolge centinaia di migliaia di giovani ogni anno.

1 A titolo esemplificativo, si tenga presente che dalla sola regione Calabria (che ha una popolazione residente di

poco superiore ai 2 milioni di abitanti) il numero di immatricolati agli atenei italiani è di 15.000 unità annue mentre

dalla regione Toscana (con popolazione residente poco superiore ai 3.600.000 residenti) gli immatricolati alle università

sono “solo” 14.000. I dati sono del Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU

(2008: 15).

Le cause di tale limitata desiderabilità sono originate dagli scarsi collegamenti e scambi culturali con le

principali università europee, dall’insufficiente prestigio derivato dai titoli di studio conseguiti negli atenei

del mezzogiorno, dall’inadeguatezza di strutture e servizi che assecondino il diritto allo studio, dalla

mancanza di biblioteche e laboratori e di insufficienti spazi per la didattica, trascurando, ovviamente, il

calcolo di quanti preferiscono trasferirsi fin da subito nelle città universitarie centrosettentrionali

prefigurando la successiva, inevitabile, migrazione dovuta alla ricerca di occupazione.

Questo fenomeno comporta, in definitiva, un danno consistente per il Sud e per l’intera penisola. Le

ripercussioni sono di carattere economico e culturale e sfociano, ovviamente, nella definizione delle

relazioni sociali e politiche di quelle aree.

Le regioni meridionali si impoveriscono della loro parte più dinamica e vitale, di quella culturalmente più

vivace ed elevata, di quella socialmente più votata a costruire relazioni interpersonali disinteressate

generando un ulteriore divario con le altre macroaree del Paese.

Inoltre, i borghi e le città, così, sono vissuti prevalentemente da residenti d’età più elevata e con aspettative

ed ambizioni minori.

Dal punto di vista economico l’impoverimento risulta evidente, quanto significativo: oggi, le famiglie del

Sud contribuiscono in modo massiccio all’attività economica delle principali città universitarie

centrosettentrionali drenando capitali dal sistema produttivo domestico, impoverendo, di fatto, la

domanda e l’offerta delle regioni meridionali ed inibendone l’iniziativa privata.

Il sistema universitario pubblico deve essere riformato ponendosi come obiettivo la riduzione delle

disuguaglianze e delle differenze fra Nord e Sud d’Italia, facilmente leggibili dai dati statistici e,

congiuntamente a massicci e mirati interventi su tutti gli altri aspetti sociali, economici e culturali, si deve

tornare ad ambire alla costruzione di un paese unito e solidale senza più una così elevata differenziazione

fra gli opposti poli geografici.

In tal senso, si auspica una riduzione del numero di atenei dislocati ed una altrettanto decisa

diminuzione di sedi distaccate al fine di concentrare finanze ed intelligenze per la realizzazione di veri e

propri centri culturali, in grado di attrarre eccellenti operatori didattici e di inserirsi nei circuiti

internazionali della ricerca scientifica e tecnologica. In questo modo, una più elevata e riconosciuta

offerta formativa, unita ad efficaci strumenti a garanzia del diritto allo studio, produrrebbe il

contenimento dell’abbandono per motivi di studio delle regioni meridionali e porterebbe benefici effetti,

diretti ed indiretti, sulle economie di quelle aree del paese. Si agirebbe, in questo modo, anche sulla

dinamicità culturale e politica del territorio trattenendo le individualità più giovani e preparate e

sull’intero sistema produttivo, di servizi e consumi, oltre che sull’occupazione.

Il Sud è il centro geografico del Mediterraneo. L’università e la ricerca, l’interazione con i principali

atenei europei e la comunicazione con le istituzioni culturali del Maghreb e dell’Asia Minore potrebbero

renderlo anche il centro culturale di un bacino enorme ed in continua evoluzione e fulcro di nuovi scambi.

0.4 Noi siamo la rappresentanza studentesca.

[…] Ci affacceremo al nuovo millennio senza sperare

di trovarvi nulla più di quello che saremo capaci di

portarvi.

Italo Calvino, Six Memos for the Next Millennium

Gli esiti delle più recenti tornate elettorali negli atenei pubblici di Roma hanno visto il centrosinistra in

grave decrescita. La nascita del Partito Democratico e la sua difficoltà a definirsi in termini identitari, la

devastazione nelle file della sinistra massimalista, la disgregazione delle nostre forze e la disarticolazione

dei luoghi di discussione, di sintesi e di decisione unito al lungo travaglio che ha condotto alla costituzione

dei Giovani Democratici, hanno prodotto un quadro romano a tinte fosche. Oggi, però, l’università torna a

rappresentare una delle priorità dei Giovani Democratici e, ci auguriamo, un luogo di investimento politico

per il PD.

Come Studenti Democratici abbiamo bisogno di definire un nostro modello culturale e politico da veicolare

nelle facoltà e fra gli studenti e per farlo dobbiamo mobilitare i nostri circoli territoriali e costruire una

nostra organizzazione solida e riconoscibile che contribuisca a superare le particolari situazioni di stallo ed

incomprensione, imperdonabile, che si sono innescate fra precedenti organizzazioni giovanili e all’interno

delle stesse.

Per questo risulta fondamentale il confronto, finalmente tutto politico, sulle idee, i problemi e le esigenze

degli studenti. Per questo è motivato lo sforzo di produrre un documento programmatico degli Studenti

Democratici di Roma unico ed unitario, rigoroso, organico e particolareggiato.

Per tornare ad essere protagonisti, per lanciare una nuova grande stagione di attivismo universitario in

cui gli studenti tornino al centro della nostra azione politica, non è sufficiente, però, un rinnovato slancio

concettuale. Ad una seria e profonda riflessione che ci permetta di individuare l’essenza delle nostre istanze

e la definizione dei nostri obiettivi prioritari dobbiamo accostare una forma organizzativa migliore ed

unificante che rappresenti, anche in ambito universitario, l’unicità di intenti degli Studenti Democratici di

Roma.

Siamo consapevoli che fare politica all’università comporta la necessità di confrontarsi quotidianamente

con le esigenze e i problemi di chi la vive; significa essere sempre pronti a rispondere alle sollecitazioni;

significa lottare, a volte anche in modo duro, contro le inefficienze e le storture che non mancano di

presentarsi e che, alle volte, sono connaturate al nostro sistema universitario.

Lo strumento essenziale per fare tutto ciò è rianimare la rappresentanza e rinvigorire la partecipazione dei

nostri iscritti e degli studenti. È questo l’unico mezzo che abbiamo per poter essere determinanti ed

influire negli organi decisionali e per farci portatori delle istanze di cambiamento. È dunque necessario

iniziare la costruzione di una nuova forma di rappresentanza che ci permetta innanzitutto di essere

pubblicamente riconoscibili e presenti mediante una struttura associativa direttamente riconducibile a

Studenti Democratici in tutti gli atenei pubblici e privati.

Facendo tesoro dell’esperienza degli ultimi anni, e pur nel rispetto delle specificità dei singoli atenei, è

auspicabile che tutte queste si caratterizzino in modo univoco per consentire un immediato riconoscimento

delle nostre organizzazioni e per agevolare una maggiore operatività anche fuori dai confini universitari.

In questo quadro, il nostro contributo può essere determinante alla riunificazione di tutte le realtà

riconducibili a Studenti Democratici e, in prospettiva, alla costruzione di un centrosinistra unito nella

rappresentanza degli studenti in ogni singola facoltà e fino ai livelli più elevati. Il nostro obiettivo è quello

di convogliare il grande dinamismo di movimenti e associazioni, sebbene preservandone la capacità di

iniziativa singola, in una organizzazione capace di assumere decisioni condivise e di produrre una

maggiore, più ampia e più visibile, iniziativa politica.

1. TRE RIFLESSIONI SUL FUTURO DELL’UNIVERSITA’.

Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni

ugualmente comode che ci dispensano, l'una come

l'altra, dal riflettere.

Jules-Henri Poincaré

1.0 Introduzione.

L’università’ italiana è stata messa in subbuglio, ancora una volta, da un documento, spedito dal ministro

dell’istruzione Maria Stella Gelmini il 4 Settembre, a tutti i rettori e direttori amministrativi delle università

italiane. Il documento consta di due parti: la prima analitica che riassume i risultati non incoraggianti

ottenuti dalla riforma del “3+2” e una seconda più tecnica che descrive le misure che saranno attuate nel

prossimo futuro per ‘razionalizzare’ il quadro dell’offerta formativa, riducendo parallelamente anche i costi.

La parte analitica e le priorità d’intervento illustrate dal ministro sono pienamente condivisibili: la riduzione

degli sprechi dovuti alla proliferazione dei corsi di laurea e all’apertura indiscriminata di sedi decentrate;

l’eliminazione degli ostacoli organizzativi alla libera circolazione degli studenti tra i vari atenei; l’

assicurazione di un’offerta formativa qualificata, coerente con le linee guida stabilite dalla dichiarazione di

Bologna.

Non condivisibili invece sono i due postulati su cui si basa questa nuova riforma.

In primo luogo, la volontà di ‘affamare’ le università per spingerle verso la ricerca di nuove fonti di

finanziamento. E’ chiaro che in un paese dove l’investimento privato nell’università è marginale 1, l’unica

nuova fonte di introito è l’incremento delle tasse pagate dagli studenti 2.

Non è vero che occorre spendere meno. Anzi ci sarebbe da dire che la razionalizzazione dell’università

dovrebbe essere accompagnata da una crescita degli investimenti pubblici.

Se si considera l’Unione Europea quale benchmark si vede chiaramente che solamente la Bulgaria spende

meno dell’Italia 3. I Paesi dell’UE spendono in media l’1,1% del PIL per l’università, mentre l’Italia solo lo

0,8% 4. In secondo luogo lo stabilimento di premi e punizioni pecuniarie per gli atenei virtuosi non segue

alcuna logica razionale. Occorrerebbe, infatti, stabilire dei meccanismi di premio e punizione, secondo

modalità diverse, per evitare di aggravare il divario già enorme tra le università del Nord e quelle del Centro

Sud.

1 In Italia solo il 7,7% della spesa universitaria e’ finanziato da partner privati. Nel resto d’Europa la media e’

del 12,5. Questo e’ soprattutto dovuto alla mancanza di investimento primario dello stato in infrastrutture e ricerca. Nei

paesi più sviluppati (anche negli Stati Uniti D’America) la spesa privata è ingente grazie a particolari regolamentazioni

ed al fermo impegno dello stato nel finanziamento dell’università’ e la ricerca.

2 Tutto molto simile all’evoluzione inglese, in cui le tasse universitarie hanno subito un brusco aumento verso la

fine degli anni novanta.

3 Dati Eurostat sull’educazione relative al 2006.

4 Guida la classifica la Danimarca con il 2,3%.

Partendo da queste due importanti considerazioni, questo breve intervento si articola su tre punti: l’analisi

dei problemi riguardanti la classifica proposta dal ministero e l’applicazione del meccanismo premi-

sanzione; la persistenza del divario Nord-Centro Sud e in fine la centralità di una possibile riforma del

mondo della ricerca in linea con i paesi più avanzati.

1.1 Problemi del ranking usato dal Ministero e la necessità di uno sguardo solidale verso le università in

difficoltà.

E’ doveroso stilare delle classifiche per capire chi sta facendo bene in termini di ricerca e didattica. Ma la

classifica pubblicata nel mese di Luglio, che di fatto condiziona direttamente la quantità di fondi ricevuti

dalle università, presenta dei lati oscuri. Non vengono forniti i criteri e i punteggi relativi a ogni indicatore

considerato. Si dice solo che 2/3 del punteggio finale dipende dall’attività di ricerca e 1/3 da quella

didattica. La tanto invocata ‘trasparenza’ non viene applicata a questi indicatori, dei quali purtroppo non si

conosce nulla.

A questo va aggiunto che la classifica stilata non coincide con i più importanti ranking pubblicati da

autorevoli istituti a livello mondiale (e.g. THES). Pur soprassedendo sulla costruzione del ranking, non si può

non evidenziare che l’attribuzione dei fondi solo sulla base dell’‘efficienza’ degli atenei rischia di aggravare

il divario esistente fra le università del Nord e del Centro-Sud. Non sorprende che solo sei università di

quest’area facciano parte del gruppo delle virtuose.

Alla luce di questi squilibri pre-esistenti, l’approccio iniziale non può essere solo punitivo.

Si deve pensare a un sistema in cui le università virtuose mantengano una maggiore autonomia nella

gestione della didattica e delle questioni finanziarie, mentre quelle non virtuose vengano monitorate a

stretto giro dal ministero. Si dovrebbe, inoltre, creare un fondo per dare vita a partnerships tra le

università virtuose e quelle meno organizzate, per permettere il trasferimento di good practices. Questo

potrebbe essere l’inizio di una riforma partecipata.

Ancora una volta, invece, si procede dall’alto senza tenere in conto il potenziale ruolo sinergico che il

ministero dovrebbe avere con il mondo dell’università. Si rischia, cosi, di ripetere tutto quello che di

sbagliato è stato fatto con la precedente riforma.

1.2 Il riequilibrio Nord – Sud.

Continua a crescere lo squilibrio tra Nord-Sud con il corollario dell’esodo di studenti verso le migliori

università del nord. Basilicata, Calabria, Sicilia e Campania (giusto per citare gli esempi più eclatanti)

nonostante la presenza di numerosi atenei regionali non riescono a essere attrattive per molti cittadini

residenti in regione e ancora meno capaci di compensare il flusso in uscita con quello in entrata 5.

Occorre razionalizzare il panorama dell’offerta formativa, riducendo il numero delle università e

migliorando la qualità di un numero minore d’istituzioni.

5 A questo titolo vedi il Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU

(2008: 15) e già citato nel paragrafo 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese.

La Calabria per esempio con i suoi due milioni di abitanti, possiede ben tre università, ma il 38,4% degli

studenti emigra altrove (CNVSU, 2008:15). Ciò significa che il massiccio investimento per finanziare tre

università non ha raggiunto il suo obiettivo. In questo senso, il progetto di fusione fra atenei va preso

seriamente in considerazione.

1.3 Concentrazione della ricerca.

Il progetto di fusione per molti atenei potrebbe concorrere alla creazione di importanti clusters universitari

capaci di generare ricerca di alto livello. Sul modello tedesco si potrebbe pensare di finanziare

maggiormente 10 istituzioni (distribuite in maniera equa sul territorio nazionale) in cui si concentri la

maggior parte dell’attività di ricerca. Uno dei problemi maggiori del nostro paese è l’assenza di università

leader capaci di fare da cassa di risonanza a livello internazionale. La prima università italiana nel ranking

THES 5 è Bologna, che si piazza al 192esimo posto nel mondo. Quest’assenza riduce la possibilità

d’integrazione dell’università italiana nel panorama mondiale.

Per quale ragione un valente studente straniero dovrebbe venire in Italia per un dottorato o per proseguire

le sue ricerche? Nel nuovo scenario, le altre università più periferiche dovrebbero maggiormente

concentrarsi sulla didattica e appoggiarsi ai dieci atenei di riferimento per la ricerca. Questa iniziativa

ridurrebbe enormemente gli sprechi generati dall’eccessiva decentralizzazione.

Infine, occorre investire di più, in modo più efficiente e concentrato, limitando il numero di professori

ordinari e accrescendo quello di dottorandi e ricercatori. La riforma parzialmente risponde a questo

bisogno, riducendo il peso degli ordinari ma senza garantire adeguati nuovi fondi per i giovani ricercatori. La

riforma dei cicli di dottorato è stata annunciata, bisognerà quindi attendere per un giudizio più completo.

In ultimo, consideriamo positiva l’idea di introdurre una commissione di esperti esterni ed internazionali

per decidere le promozioni accademiche sulla base della qualità della ricerca prodotta.

1.4 Conclusioni.

C’e’ bisogno di una riforma radicale dell’università. In questo intervento sono stati toccati i tre ambiti che a

nostro avviso sono prioritari, purtroppo la nostra rabberciata università necessita di molte altre misure.

Sarebbe bello vedere in futuro una discussione allargata sulla riforma, in cui emerga una condivisione

d’intenti tra governo, opposizione, strutture universitarie e studenti.

I progetti calati dall’alto hanno sempre fallito in passato, non bisogna ripercorrere la stessa strada.

Purtroppo i continui annunci, cosi come in molti altri ambiti (come per esempio la riforma previdenziale),

accrescono le resistenze e non giovano alla qualità del dibattito pubblico. Ci auguriamo, che il ministro e il

governo tengano conto del grande fermento che esiste intorno al mondo universitario e sfruttino la storica

occasione fornita da questa riforma per iniziare un nuovo percorso condiviso.

5 Vedi documento CNVSU (2008: 114).

2. UN SISTEMA SULLA VIA DEL DECLINO.

L'istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si

possono utilizzare per cambiare il mondo.

Nelson Mandela

2.0 Introduzione.

Il valore di una istituzione, tanto più se si parla dell’Università, dipende da quanto realmente essa

rappresenta il sistema in cui opera, ed oggi, la società italiana non sembra considerare particolarmente

importante il ruolo di tale istituzione. Come potrebbe essere diverso?

In un sistema caratterizzato da bassa mobilità sociale, dove le relazioni familiari contano più delle qualità

personali, l’Università non può essere considerata un investimento profittevole. Se a questo aggiungiamo

un sistema economico con piccole imprese in settori manifatturieri tradizionali, in concorrenza soprattutto

con i paesi emergenti, manca anche il collegamento con il mondo del lavoro.

L’unica cosa che conta è il titolo, “il pezzo di carta”, quindi la scelta dell’Università è la stessa che si fa per

comprare il latte: il posto più vicino.

In un sistema siffatto, senza controllo e pressione sociale, il sistema è lasciato in balia degli interessi degli

attori interni e locali, ovvero, delle varie corporazioni che affollano i nostri atenei, da quelle dei professori a

quelle degli studenti. In questo contesto l’Università perde totalmente il suo ruolo che dovrebbe essere

quello di volano di una crescita sociale ed economica del paese.

Negli ultimi decenni, infatti, l’abbassamento della qualità e la proliferazione di corsi di laurea “facili” hanno

portato il sistema ad essere ancora più classista. Eppure a sinistra rincorrendo i miti dell’ “egualitarismo”, in

un sistema che dovrebbe essere per natura diseguale per garantire ai migliori di poter emergere, non si è

compreso che sono proprio le classi meno agiate a rimetterci da un abbassamento della qualità

dell’istruzione universitaria.

Per garantire un’adeguata mobilità sociale, più che spendere risorse per eliminare ogni numero chiuso,

necessario soprattutto in quelle facoltà con elevati costi di gestione, sarebbe stato più opportuno investire

tali fondi nel diritto allo studio (borse di studio, alloggi, mense, …). In tal modo si sarebbe garantita una

reale parità di accesso all’istruzione universitaria, e non solo in apparenza.

2.1 Qualche dato.

Utilizzare qualche dato statistico sulla situazione del sistema educativo italiano, e in particolar modo di

quello universitario, può essere utile per descrivere lo stato dell'Università italiana.

Prendendo dai dati OCSE sull’istruzione (Education at glance), la spesa per studente in Italia è attorno alla

media dei paesi OCSE per la scuola primaria e secondaria, ma nettamente al di sotto nel sistema

universitario (8026 USD contro una media di 11512).

In realtà, Roberto Perotti nel suo ultimo libro ("L'Università truccata", Einaudi) rettifica quest’ultimo dato,

affermando che considerando la piaga tutta italiana degli studenti fuori corso che non utilizzano le

strutture universitarie, la spesa per studente anche nel sistema terziario si collocherebbe in media con i

paesi OCSE.

I dati presentati da Daniele Checchi e Tullio Jappelli sulla Voce ci dicono qualcosa in più sull’evoluzione e

sull’efficienza della struttura organizzativa del sistema universitario italiano.

Se le riforme del sistema universitario hanno prodotto dal 1985 al 2005 un aumento del numero di studenti

immatricolati di circa il 65%, a questo incremento è corrisposto un aumento spropositato dell’offerta

formativa. Le facoltà universitarie, infatti, sono aumentate di quasi il 90%, mentre il numero di corsi di

laurea (considerando solo quelli magistrali) è passato da 778 a ben 2194 (+ 287%).

Inoltre, bisogna ricordare che l’assegnazione dei fondi all’università tramite il Fondo di Finanziamento

Ordinario (FFO) fino al 2008 è avvenuta sostanzialmente a pioggia (criterio della spesa storica) a

prescindere dai meriti accademici e di ricerca (dai dati del decreto Mussi 2008 sappiamo che solo il 2,2% dei

fondi del FFO sono stati assegnati in base al merito).

Se a questi dati aggiungiamo concorsi truccati, baronaggio diffuso, ricerca scadente, fuga dei cervelli

all’estero, abbiamo il quadro di un sistema chiaramente inefficiente che va assolutamente riformato. In un

quadro del genere, l’Italia è lontanissima dal traguardo che si è posta a Lisbona: quello di una società basata

sulla conoscenza.

2.2 Autonomia senza responsabilità: università senza merito.

In questi anni è stata concessa autonomia agli Atenei senza, però, un’equivalente responsabilizzazione,

creando un sistema inefficiente e totalmente autoreferenziale.

L’autonomia, infatti, diventa autoreferenzialità, quando non è accompagnata da un “sistema competitivo”

di allocazione dei fondi “pubblici” basato su criteri oggettivi con cui valutare la ricerca e la didattica. Ciò

non significa l’isolamento delle università che non si dimostrano in linea con il mercato, ma incentivare i

differenti atenei ad adottare un modello virtuoso di gestione delle risorse a loro disposizione, in particolare

quando parliamo di reclutamento di ricercatori e professori.

Solo premiando il merito sulla base di risultati rigorosamente verificati, come avviene oramai con criteri

sufficientemente oggettivi in larga parte del mondo, e investendo risorse su questa opera di

rinnovamento si può permettere al sistema universitario di uscire dal guado.

Per anni, invece, in particolare nelle esperienze di Governo del centro-sinistra, si è cercato tramite una

crescente burocratizzazione del sistema di imporre comportamenti virtuosi. La ricerca del “concorso

perfetto” nelle assunzioni, la serie infinita di parametri imposti dall’alto dal Ministero non hanno sortito

alcun effetto. Anzi, hanno livellato il sistema verso il basso. Un esempio su tutti è quello della doppia

idoneità nei concorsi per professori che alla fine ha finito per incrementate le probabilità di promuovere i

candidati interni delle Università, indipendentemente dal merito.

Nel frattempo, nonostante l’istituzione di due organi preposti alla valutazione della ricerca (CIVR) e della

didattica (CNVSU), fino al 2008 il Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università è stato ripartito tra i

diversi atenei a pioggia, seguendo un criterio di “spesa storica”.

2.3 Gli interventi del Governo: i tagli al FFO nel decreto 112/2008.

Il governo Berlusconi ha avuto rispetto all’Università un atteggiamento a dir poco schizofrenico.

Con il decreto legge 112 del Giugno 2008, il Ministro dell’Economia Tremonti ha esordito tagliando

bruscamente i fondi al Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università (FFO). I tagli previsti sono ad

aumentare, con decrementi al FFO che diventano sostanziali solo a partire dal 2010 (63 milioni nel 2009,

190 nel 2010, 316 nel 2011, 417 nel 2012 e 455 dal 2013).

Tale intervento di “razionalizzazione della spesa” (così è stato definito dallo stesso Ministro dell’istruzione

Gelmini) sembra rispecchiare l’atteggiamento ostile che la destra berlusconiana ha sempre avuto rispetto

all’Università. In sede di finanziaria con un vincolo di bilancio allora stringente, e con promesse elettorali da

mantenere, il Governo non ha avuto problemi a reperire risorse da un sistema, quello dell’Istruzione in

generale e dell’Università in particolare, non considerato decisivo e cruciale per lo sviluppo economico e

sociale del paese.

Tuttavia, nonostante tale atteggiamento ostile nei confronti dell’istruzione, dell’università e della ricerca

pubbliche, il governo ha effettuato alcuni interventi che sembrerebbero, per la prima volta dopo anni,

interessanti e meritano attenzione ed approfondimento.

2.4 Gli interventi del Governo: gli incentivi al merito.

Con un successivo Decreto Legge 180/2008 il Ministro Gelmini ha previsto la destinazione del 7% del FFO

(500 milioni) alle università che risultino migliori in quanto a produzione scientifica, organizzazione e

didattica.

Si tratta del primo intervento da parte di un governo che decide di iniziare a destinare una quota

significativa del FFO in base a criteri di merito.

Le linee guida del Governo, inoltre, prevedono inoltre progressivi incrementi degli stanziamenti in base al

merito negli anni successivi, fino ad arrivare a stanziare fino al 30% del FFO ( oltre 2 miliardi di Euro). Non

pochi dubbi erano stati mossi sui criteri che il Ministro avrebbe poi adottato, poiché il modello di

ripartizione dei finanziamenti sulla base dei risultati è quello da cui dipende la possibilità di incidere

effettivamente sui comportamenti degli atenei. Si tratta, infatti, di definire parametri e coefficienti volti a

premiare davvero la qualità.

Tuttavia, la scelta di allocare i 523,5 Ml, per il 66% sulla base “Qualità della Ricerca Scientifica” e il restante

34% sulla base “Qualità dell'Offerta Formativa” e dei risultati dei processi formativi sembra essere più che

ragionevole.

I criteri scelti per la ricerca, in particolare, si sono basati per il 50% sul buon lavoro di valutazione della

ricerca fatto negli anni passati dal CIVR, che ha utilizzato, principalmente, parametri largamente condivisi

quali il numero delle pubblicazioni e la qualità della rivista su cui si pubblica: canoni sufficientemente

oggettivi su cui basare delle valutazioni.

Mentre per ciò che riguarda la didattica, si è evitato di creare incentivi perversi (come quello di trasformare

le Università in “diplomifici” peggiorandone la qualità) mitigando il metodo di calcolo secondo il numero dei

laureati, con valutazioni degli output, quali ad esempio, statistiche riguardanti la collocazione dei laureati

sul mercato del lavoro.

Chiaramente le polemiche non sono mancate, in particolare da parte di quegli atenei che da tali criteri sono

risultati penalizzati.

Da questo punto di vista i partiti all’opposizione e gli Studenti Democratici devono fungere da pungolo per il

governo, cercando di vigilare attentamente sui criteri di ripartizione dei fondi, poiché senza un controllo

serio sulla definizione dei criteri c’è sempre il rischio di arrivare a metodi “ad personam”, che tendano a

favorire un ateneo o un ente piuttosto che un altro, per ragioni che hanno poco a che fare con la ricerca o

la didattica. Bisogna, inoltre, anche garantire l’anonimato del valutatore per garantirne l’onestà del suo

giudizio. Proprio di recente, infatti, alcuni episodi passati quasi inosservati ai giornali, hanno messo in

discussione questo principio centrale per perseguire l’obiettivo di premiare il merito.

2.5 Una necessaria riforma della governance.

Premiare il merito, però, potrebbe non essere sufficiente se a tali misure non si accompagna una modifica

della governance delle istituzioni universitarie.

Come detto precedentemente, il principio democratico della rappresentanza corporativa è quello che oggi

è alla base del sistema di governo dei nostri Atenei. Ognuno prende la sua parte di finanziamenti in piena

“autonomia”, senza responsabilizzazione alcuna. Dai professori alle rappresentanze studentesche.

Bisogna riformare tale sistema, per passare ad un modello di tipo anglosassone ormai sposato da moltissimi

paesi europei (vedi Svezia, Danimarca o Olanda). La via anglosassone ha preferito il meccanismo della

nomina a cascata a quello elettorale. Il CDA nominato dagli stakeholder nomina a sua volta il Rettore, il

quale ha poteri superiori a quelli a disposizione in Italia.

La verticalizzazione dei processi decisionali e l’individuazione dei centri di responsabilità in modo preciso e

trasparente, combinato ad un meccanismo di valutazione e monitoraggio degli atenei basati su criteri

oggettivi (di cui si è già detto nei paragrafi precedenti), sono di incentivo alla responsabilizzazione del

sistema.

A questo punto si possono lasciare libere le università di assumere e premiare chiunque esse vogliano,

diventando loro stesse le datrici di lavoro dei lori docenti e ricercatori. In questo sistema di “incentivi

virtuosi” i singoli atenei saranno costretti a fare politiche conformi ai propri obiettivi istituzionali, perché, in

caso contrario, vedranno drasticamente diminuire i fondi “statali” a loro disposizione.

In questo modo avremmo anche risolto il problema dei concorsi, e non avremmo più la necessità di andare

alla ricerca di quello “perfetto”.

2.6 Il coraggio di cambiare.

Quanto fin qui proposto naturalmente non rappresenta un progetto di riforma di tutto il sistema

universitario, ma andrebbe ad incidere pesantemente sul potere delle tante lobby accademiche.

Si avrebbe per la prima volta la possibilità di distribuire le risorse future premiando il merito. Tali

iniziative se accompagnate da adeguate misure di diritto allo studio, darebbero all’Università la

possibilità di perseguire due dei suoi obiettivi principali: essere il volano della crescita economica e di

un’adeguata mobilità sociale.

3. UNA CRITICA PUNTUALE ALLA RIFORMA UNIVERSITARIA.

Il futuro appartiene a coloro i quali credono nella

bellezza dei loro sogni.

Elanor Roosevelt

3.0 Introduzione.

Di seguito si accenna, in modo puntuale, a quanto proposto dagli Studentii Democratici di Roma in

relazione alla riforma del Ministro Gelmini in merito all’università italiana. Un quadro complessivo di analisi

e critica, con valutazioni sistemiche e d’insieme formulato dagli Studenti Democratici di Roma è articolato

nei capitoli precedenti.

3.1 I nodi focali.

3.1.1 Fusioni tra atenei.

Questo è un principio che abbiamo più volte enunciato, chiesto di applicare e difeso quando proprio il

precedente Governo Berlusconi ed il Ministro Moratti agevolavano la proliferazione di atenei pubblici e

telematici e, di fatto, assecondavano la dispersione delle risorse dell’università pubblica, ne consentivano il

progressivo invecchiamento bloccando il ricambio del corpo docente e tagliando i finanziamenti per

l’assunzione di dottorandi e ricercatori, e non contrastando fenomeni di baronia diffusa.

La proposta di riforma prevede la possibilità di fondere o aggregare, su base federativa, università vicine,

anche in relazione a singoli settori di attività, per aumentare la qualità, evitare duplicazioni e abbattere i

costi ma affidando ogni meccanismo amministrativo a consorzi di diritto privato e a CdA al 40 % partecipati

da privati e di nomina rettorale.

3.1.2 Bilanci più trasparenti.

Da un primo ministro che ha prodotto la depenalizzazione del falso in bilancio, lo scudo fiscale ed ha

condonato decine di reati ed irregolarità, che ha scialacquato patrimonio pubblico, agevolato lo sperpero e

depotenziato la Corte dei Conti, non ci aspettiamo rigore e attenzione per i bilanci degli atenei. Questi,

però, secondo le nuove proposte del Ministero dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza

(attualmente non calcolano, ad esempio, la base di patrimonio degli atenei), prevedendo il

commissariamento degli atenei in caso di dissesto, meccanismi premiali nell’attribuzione dei finanziamenti,

la valutazione periodica ai fini dell’attribuzione degli scatti economici e la rimodulazione dei trattamenti

economici dei docenti con scatti che da biennali divengono triennali. Per quanto riguarda il personale non è

prevista alcuna forma di contrattazione, proseguendo sulla strada dell’”incomunicabilità” fra Governo e

parti sociali.

Gli Studenti Democratici chiedono che debiti e crediti siano resi più chiari secondo criteri nazionali

concordati tra i ministeri Istruzione e Tesoro e facciano riferimento ad esplicite voci di bilancio facilmente

verificabili. Inoltre, chiediamo maggiore pubblicità e trasparenza sulla destinazione e l’impiego dei fondi

a disposizione delle università rendendo, di fatto, maggiormente partecipi gli studenti ed i cittadini al

controllo delle scelte assunte da rettori, consigli d’amministrazione, presidi e dipartimenti.

3.1.3 Diminuzione dei settori disciplinari.

Uno dei motivi che ci hanno spinto, in passato, a scendere i piazza ed a manifestare contro le scelte assunte

dall’ex Ministro Moratti, riguardava l’aumento incontrollato dei corsi di studio e delle discipline didattiche

favorendo, in effetti, spesso solo la spesa pubblica e l’attribuzione di cattedre a professori.

Un primo, sebbene non risolutivo, intervento in questa direzione è stato preso dal Governo Prodi per

volontà del Ministro Mussi, il quale è intervenuto sulla riduzione di moduli che ogni studente deve

sostenere.

Un titolo del provvedimento del Governo interviene verso la riduzione dei settori scientifici e disciplinari e

l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale come pre-requisito per i concorsi e gli avanzamenti di

carriera. Sono previste rinnovate norme sul reclutamento fondate su concorsi integralmente locali (con

scarso riconoscimento del merito e della trasparenza ma lasciando spazio alle baronìe favorite da nicchie di

potere) per ogni singolo ateneo e nuove discipline per gli assegni di ricerca, per i ricercatori e per i contratti

di insegnamento.

Il Governo non ha assolutamente preso in considerazione le sollecitazioni e le proposte formulate da

operatori e parti in causa: non ha realizzato alcun riconoscimento per i ricercatori come terza fascia

docente mentre sembra accelerarne l’applicazione della messa ad esaurimento.

Per Studenti Democratici risulta difficile valutare in modo completamente positivo l’impossibilità di

compiere assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato, assecondando la scelta di contratti triennali

rinnovabili una sola volta: di fatto, la terza fascia diventa lo strumento per reclutare a tempo determinato.

Non crediamo, secondo i modelli anglosassoni del Nord e Centro Europa, che il tempo determinato sia

l’unica modalità per assumere il personale di ricerca (che, ripetiamo, vorremmo fosse anche riconosciuta

come corpo docente di terza fascia), ma se associamo ai provvedimenti assunti il pesante taglio di fondi

pianificato con la Legge 133 del 2008, temiamo che gli attuali ricercatori avranno scarse probabilità di salire

di fascia.

In sostanza, ci pare non ci sia stato il minimo tentativo di offrire una risposta ai temi del precariato.

Chiediamo maggiore attenzione verso i dottorati di ricerca: più assunzioni, maggiori risorse destinate al

settore, più adeguati stipendi. Infine, chiediamo criteri stringenti ed oggettivi per la verifica del loro

operato e per il riconoscimento delle loro pubblicazioni.

3.1.4 I rettori e la struttura d’ateneo.

Cardine di ogni riforma di governance è l'adozione di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti

di interessi legati a parentele.

Come meglio specificato nel capitolo precedente, chiediamo il passaggio ad un modello nord europeo che

individui nei CdA e nei rettori il centro del potere decisionale e, di conseguenza, l’individuazione dei centri

di responsabilità. Un sistema trasparente basato su criteri oggettivi di valutazione offre la possibilità di

responsabilizzare l’apparato e di giudicarne in modo immediato le scelte.

In merito, quindi, chiediamo che il Governo, oltre a porre un limite massimo complessivo di 8 anni per il

mandato dei rettori (inclusi quelli già trascorsi prima della riforma), formuli una netta distinzione di funzioni

tra Senato accademico e CdA. Il primo avanzi proposte di carattere scientifico, il secondo si assuma la

responsabilità chiara degli investimenti, delle assunzioni e delle spese di gestione, anche delle sedi

distaccate.

Consideriamo utile una riduzione dei componenti del Senato accademico e del CdA al fine di evitare organi

pletorici e poco responsabilizzati, mentre chiediamo un rafforzamento della rappresentanza studentesca.

Con il testo approvato in Consiglio dei ministri si propone agli Atenei un modello organizzativo fortemente

centralistico e gerarchico che, però, marginalizza gli organi elettivi per accentrare potere solo al vertice. Ciò

induce a pensare che quanto già ripetutamente evidenziato dagli Studenti Democratici di Roma stia

assumendo forma: i governi Berlusconi accentuano la vocazione aziendalistica dell’Università pubblica

annichilendo ogni strumento di controllo esercitabile da studenti, docenti e ricercatori. Ciò, diviene ancora

più limpido se si considera lo svilimento del ruolo riservato al Senato accademico e l’accorpamento, di

fatto, delle funzioni ai CdA. Inoltre, tutto questo, assume connotati “torvi” per la pubblica Università se si

valutano attentamente le conseguenze ottenibili da CdA con il 40% di membri esterni: si affidano agli

esterni sia le risorse economiche e immobiliari degli atenei sia quelle umane legate alla didattica. I Studenti

Democratici ritengono possibile, ed anzi utile, reclutare dall’esterno componenti di CdA e Senato

accademico, ma in una percentuale minoritaria e, comunque, non superiore a ¼ dei suoi membri.

Oltretutto, si fa notare la scarsa attenzione riservata all’autonomia universitaria, imponendo norme rigide e

di dettaglio e lasciando pochissimo spazio alla discussione interna degli atenei. Anche qui, Studenti

Democratici crede sia fondamentale restituire al sistema universitario uniformità ed omogeneità nelle

scelte didattiche e nei criteri organizzativi, ma lasciando inalterato e tutelando il principio d’autonomia.

Infine, riteniamo che il nucleo di valutazione d'ateneo debba essere ad assoluta maggioranza esterna, per

consentirne una valutazione imparziale e composta da professori, studiosi o ricercatori titolati

3.1.5 Il merito vale anche per i professori.

Il Ministro ha proposto la nascita di una commissione nazionale (con membri italiani e per la prima volta

anche stranieri) che dovrà abilitare coloro che sono ammessi a partecipare ai concorsi per le varie fasce. La

commissione dovrebbe valutare capacità e curriculum sulla base di parametri predefiniti. Le università,

così, dovrebbero avere l’obbligo di assumere solo quelli riconosciuti validi dalla commissione.

Gli Studenti Democratici chiedono vengano previsti incentivi economici al trasferimento per i docenti per

agevolare e rendere possibile la mobilità, con procedure semplificate per i docenti di università straniere

che vogliono partecipare alle selezioni per posti in Italia.

Se il Ministro Gelmini prevede modifiche perché i professori a tempo pieno lavorino 1.500 ore annue, di cui

almeno 350 per docenza e servizio agli studenti, gli Studenti Democratici di Roma chiedono che sia resa

obbligatoria e vincolante ai fini statistici la valutazione degli studenti sui corsi, gli insegnamenti ed i docenti.

Solo costruendo un doppio sistema di valutazione “commissione nazionale – studenti” si possono

determinare delle graduatorie di qualità della didattica e della ricerca per i professori e diventa possibile

applicare gli scatti stipendiali ai migliori insegnanti.

3.1.6 Diritto allo studio.

Questa materia risulta essere molto complessa ed articolata e, per un maggiore approfondimento si

rimanda all’apposito capitolo. Gli Studenti Democratici intendono comunque ribadire la necessità di una

riforma organica della Legge 390/1991, in accordo con le Regioni, al fine di accorpare istituti ed enti che

agiscono nel settore, per produrre un aumento del servizio ed una maggiore diffusione, per spostare il

sostegno direttamente agli studenti e favorire l’accesso agli studi superiori, alla mobilità, alla casa. Gli

Studenti Democratici di Roma chiedono che si proceda, in sostanza, alla formulazione di un vero e

proprio welfare per gli studenti.

4. UNA COSTRUZIONE IN BILICO SU UN INSOSTENIBILE DIVARIO.

Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che

vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e se non

le trovano le creano.

George Bernard Shaw

4.0 Introduzione.

Abbiamo già più volte, nei paragrafi precedenti, accennato alla sperequazione presente nel nostro sistema

universitario, ed a maggior ragione analizzandone le strutture ed i servizi del Nord con quelli del Sud Italia.

E’ oggettivamente complesso dipingere un quadro chiaro in cui vengano evidenziati tutti i punti di forza e

tutte le debolezze storiche, sociali, culturali, strutturali, politiche ed economiche che hanno generato un

divario tanto ampio. Diventa, quindi, ancora più complicato non utilizzare tinte fosche per formulare un

giudizio credibile e per produrre una proposta di modifica dello status quo.

In questo capitolo cercheremo, però, di arricchire ulteriormente la nostra analisi non perché la “questione

meridionale” sia causa dei problemi dell’università pubblica italiana, ma perché un nuovo sistema di

istruzione e ricerca pubblici non può non tener presente l’anomalia che descrive la nostra penisola per

impiegare al meglio le risorse e le energie.

L’università, come la scuola e la ricerca, la sanità e la previdenza sociale, la giustizia e la sicurezza del

cittadino, il governo del territorio e l’ambiente, deve rimanere pubblica e messa al servizio del cittadino per

risolvere le differenze, le diseguaglianze, le disparità e poter finalmente offrire a tutti i giovani di questo

Paese pari opportunità. D’altro canto, solo se riuscirà a risolvere le difficoltà del proprio Mezzogiorno l’Italia

potrà continuare ad esercitare un ruolo importante a livello internazionale ed a rimanere competitiva sui

versanti sia economici sia culturali.

4.1 Una faglia: Nord - Sud.

Nel luglio 2009, le graduatorie stilate dal Ministero hanno portato alla luce numerose “anomalie” e

molteplici caratteristiche dei nostri atenei.

All’’università di Lecce, nella graduatoria del Sole 24 Ore al penultimo posto sulla qualità, la retta media si

aggira intorno ai 350 euro l’anno. Al Politecnico di Milano, primo nella stessa graduatoria, uno studente

paga mediamente quattro volte di più.

E’ evidente che, senza nemmeno dover accennare a rette da 40 mila euro annui delle università americane,

quella investita a Lecce è una cifra superiore di soli 150 euro rispetto a quanto una famiglia spende per

mandare un figlio al liceo.

Fra il Politecnico di Milano e l’università di Lecce, estremi nel nostro Paese, si collocano tutti gli altri atenei

pubblici italiani. E più si scende a Sud più le rette diminuiscono. Calano, a causa di un minor reddito medio

delle famiglie e, contestualmente, in relazione all’esenzione totale o parziale cui hanno diritto gli studenti.

Ma anche per una precisa scelta politica volta a formulare un “do ut des” così formulato: lo Stato offre poco

ma in cambio chiede poco.

Ma il danno prodotto agli stessi atenei appare evidente e rilevante. Infatti, le 18 università delle regioni

inserite all’Obiettivo 1 in Europa (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia, Molise), dove il Pil

pro capite è inferiore al 75 per cento della media Ue hanno ricevuto, per questioni legate al reddito, nel

solo 2006 circa 229 milioni di euro in meno rispetto a quelle del Centro - Nord.

Se si considera che il taglio di 700 milioni di euro previsto per il 2010 dalla Finanziaria del 2008 rischia di

portare al collasso il nostro sistema universitario appare evidente l’entità della somma inutilizzabile per i

nostri atenei.

I dati raccolti dal Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario) parlano chiaro: la tassa

compresa tra i 1.000 e i 1.500 euro l’anno negli atenei del Nord è quella più comune (33,9 per cento).

Succede anche al Centro (21,5%). Nelle università del Sud invece troviamo in questa fascia solo il 7,4% degli

iscritti. Nelle università del Sud la fascia di tasse in cui si concentra il maggior numero di studenti è quella

compresa fra i 300 e i 400 euro (20,4%). Nel Nord a pagare quel tipo di contributo è solo il 3,4%, il 5,8% al

Centro. Da questi dati si percepisce la forte differenza di contribuzione tra Nord e Sud, sebbene non si

tenga conto del fatto che il fenomeno della “migrazione” per motivi di studio investe in pieno il

Mezzogiorno drenando verso le università centrosettentrionali ingenti capitali 1.

Esaminando i dati del Cnvsu sugli esoneri dalle tasse universitarie divisi per macroaree geografiche sembra

che i risultati non cambino. Il 18% degli iscritti in corso gode di un esonero totale mentre il 19,5% ha diritto

a un esonero parziale. Nel Nord - Est il dato si ferma rispettivamente un 15,4% e un 8,3%. Nel Nord - Ovest

si registra un 12% e un 3,5%.

I dati hanno suggerito molti interrogativi fra gli statistici e, sebbene il Sud sia certamente penalizzato

rispetto al Nord e al Centro da un minor reddito delle famiglie, tuttavia è sembrato mettere in discussione

la veridicità delle dichiarazioni al fisco.

Nel mese di luglio 2009 in un articolo di giornale de La Repubblica si domandava, a riguardo, se fosse

“possibile che figli di operai e di impiegati con stipendi bassi non rientrino nei requisiti necessari per godere

delle provvidenze per il diritto allo studio, mentre figli di professionisti con redditi meno accertabili

riescono a farvi ricorso?”

L’Università della Calabria (l’unica del Sud che aderisce al gruppo Aquis, ovvero 11 atenei che si battono per

la qualità), ateneo con tassazione media di circa 600 euro su un reddito medio di 18 mila euro, ogni anno

esonera completamente dal pagamento delle tasse 8.000 studenti su 35 mila. E le compensazioni da parte

dello Stato non sono mai arrivate.

1 A questo proposito si vedano i paragrafi 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese e 1.2 Il

riequilibrio Nord – Sud ed il Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU

(2008: 15).

Qui i dati non riescono ad evidenziare la grandissima fuoriuscita di neo immatricolati verso le università del

Centro e del Nord Italia, ma appare abbastanza elementare associare la forte migrazione esistente

all’abbassamento dei livelli economici di chi resta in Calabria.

Di fatto, quindi, il combinato disposto di evasione e migrazione dei giovani con redditi familiari più elevati

comporta un pauroso impoverimento delle università pubbliche meridionali e dell’intero sistema

economico di quelle regioni a favore di un arricchimento degli atenei centrosettentrionali e delle economie

delle città e delle regioni ospitanti.

5. L’UNIVERSITA’ E LA FIDUCIA NEL FUTURO.

L'uomo che seppe la guerra

e lotte degli uomini,

imparò dal fascino della notte

il chiarore del giorno.

Rocco Scotellaro

5.0 Introduzione.

E’ una sensazione diffusa. Forse uno stato d’animo devastante come lo sconforto che ha colpito un’intera

generazione. Forse l’incapacità di sognare e di sognarsi. Forse è il frutto di un paese “bloccato”, che non

offre prospettive, non valuta meriti e competenze, passioni e dedizione.

Il risultato, però, è che i giovani italiani sono sempre più convinti che l’università non sia in grado di

offrire le competenze necessarie per il mercato del lavoro e ci si laurea nei nostri atenei senza nutrire

grande speranza per il futuro.

Questo senso di smarrimento è più diffuso in Italia rispetto ai coetanei del resto d’Europa, tuttavia neanche

loro sono troppo sereni. E un ulteriore tassello riguarda la convinzione di non riuscire a costruire in tempi

“decenti” la propria autonomia economica e sociale dalla famiglia d’origine.

5.1 Le aspettative.

L’88 per cento degli studenti ha preoccupazioni per la carriera che li aspetta. Solo il 9,2 per cento

per cento guarda con tranquillità al futuro. In Europa lo stato d’animo dei giovani italiani non ha

pari. Solo i giovani spagnoli conservano meno sprazzi di fiducia (7,2 per cento).

La media europea conta un 32,6 per cento di ottimisti, con picchi fra i norvegesi (61,9 per cento) e

gli olandesi (61,2 per cento). Trascurando i paesi del Nord Europa, quasi sempre con indicatori

migliori dei nostri, è vero che anche in Germania (46,6 per cento), Francia (37,3 per cento) e Regno

Unito (19,5 per cento) le aspettative dei giovani sono migliori di quelle dei coetanei italiani.

5.2 Le riforme. Incompiute.

Nell’ultimo decennio molte sono state le teorie e le formulazioni, spesso neppure portate a termine,

che hanno guidato l’agire dei governi che si sono succeduti circa il nostro sistema universitario.

Certamente, non hanno trovato il gradimento dei giovani visto che il 39,4 per cento degli studenti

pensa che i corsi di studio non siano in grado di fornirgli gli “skill” richiesti dal mercato del lavoro.

In Europa la media dei giovani che ha la stessa opinione sul proprio apprendimento universitario è

del 27,2 per cento e, in taluni paesi le convinzioni degli studenti sono quasi rovesciate rispetto alla

situazione italiana. Il 71 per cento dei giovani francesi ritiene che le lezioni universitarie abbiano

offerto loro gli strumenti necessari per affrontare il lavoro. In Olanda il dato sale al 74,1 per cento,

in Norvegia l’83,4 per cento. Solo gli spagnoli, unici in Europa, offrono una valutazione, negativa,

simile a quella dei nostri studenti.

5.3 La mobilità.

La fotografia che nei paragrafi precedenti i dati fanno dell’Italia e dell’Europa, offrono uno

spaccato delle preoccupazioni e delle croniche deficienze che gli studenti universitari affrontano

ogni giorno.

Malgrado ciò, però, e nonostante in tanti abbiano deciso di lasciare l’Italia per trovare un degno

sbocco professionale, rimane ancora elevato il numero di neolaureati che non sono disposti a

muoversi. Un dato più elevato rispetto a quello delle media europea.

Uno su cinque si dice non disponibile a trasferirsi in altra nazione anche nel caso in cui ricevesse

un’offerta di lavoro interessante. Lo stesso atteggiamento lo hanno solo il 12,2% dei giovani

europei. Addirittura la percentuale risulta più bassa in Germania (8,6 per cento), Francia (5,3 per

cento), Spagna (7,2 per cento) e Regno Unito (6,8 per cento).

All’opposto, però, risulta interessante il dato che vuole più di quattro italiani su dieci disponibili a

muoversi in ogni parte del mondo e il 22 per cento si dice pronto ad andare in qualsiasi nazione

europea.

Risposte alle domanda: “Immagina di ricevere un’offerta di lavoro interessante. Fino dove sei disposto a

trasferirti?”

Nazione Risposte

Mondo Europa Nazione Non disposto

Austria 50,5 24,2 12,9 12,4

Belgio 42,6 21,9 21,7 13,8

Repubblica Ceca 27,0 28,9 22,9 21,2

Danimarca 53,3 16,4 24,0 6,3

Finlandia 43,5 19,9 17,7 18,9

Francia 67,5 15,9 11,3 5,3

Germania 47,2 18,9 25,2 8,6

Grecia 39,7 34,8 13,5 12,1

Ungheria 35,3 30,8 17,7 16,2

Irlanda 58,1 14,1 21,7 6,1

ITALIA 41,9 22,0 16,1 20,0

Olanda 48,7 12,6 20,6 18,1

Norvegia 50,5 15,6 11,7 22,2

Polonia 29,9 23,4 29,6 17,1

Portogallo 61,7 23,4 12,2 2,6

Spagna 52,2 17,4 23,2 7,2

Svezia 61,9 15,1 15,1 7,9

Svizzera 53,9 13,7 18,7 13,7

Regno Unito 57,7 12,8 22,6 6,8

MEDIA EUROPEA 47,6 20,4 19,9 12,2

Fonte: Trendence Institut, Berlino (su 196 mila studenti in 750 università europee).

5.4 I tempi.

I tempi per trovare il primo impiego e per avere accesso alla prima occasione di lavoro sono oggetto

della valutazione degli studenti e dei neolaureati.

In Europa gli universitari programmano un’attesa media di poco superiore ai quattro mesi.

In Italia, invece, la percezione dei giovani, è di quasi sei: più che in qualunque altra nazione. In

Norvegia bastano 2,9 mesi, in Francia e in Olanda (3,3), ovvero circa la metà dell’Italia. Poco di

più, ma meno che da noi, ce ne vuole in Spagna (4,3 mesi) e Regno Unito (5,3 mesi).

5.5 Gli stipendi.

Altro tema centrale riguarda lo stipendio che, in caso di lavoro magari a tempo determinato,

probabilmente non sarà eccezionale. Certamente sottodimensionato rispetto alle aspettative.

La retribuzione che si aspettano i laureati italiani comporta una retribuzione lorda annua pari a

19.127 euro. Anche su questo tema siamo lontani dalla media europea che si aggira intorno ai

23.967 euro annui. I valori più alti si registrano in Danimarca (49.151 euro), Germania (40.689

euro), Norvegia (43.524 euro) e Svizzera (49.921 euro).

Risposte alle domanda: “Quanto ti aspetti di guadagnare in un anno nel tuo primo impiego?”

Nazione Risposte

euro

Austria 32.823

Belgio 25.664

Repubblica Ceca 12.893

Danimarca 49.151

Finlandia 29.293

Francia 34.486

Germania 40.689

Grecia 14.729

Ungheria 10.961

Irlanda 28.338

ITALIA 19.127

Olanda 28.911

Norvegia 43.524

Polonia 9.345

Portogallo 14.109

Spagna 18.286

Svezia 30.578

Svizzera 49.921

Regno Unito 30.819

MEDIA EUROPEA 23.967

Fonte: Trendence Institut, Berlino (su 196 mila studenti in 750 università europee).

6. IL CORAGGIO CHE MANCA. 1

Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che

conta è il coraggio di andare avanti.

Winston Churchill

6.0 Introduzione.

La proposta di legge del Pd per la riforma dell'università non affronta le questioni cruciali che davvero

permetterebbero il suo rilancio. Poche righe sui dottorati di ricerca, senza alcun incentivo a reali sinergie tra

atenei. E pochi soldi per le borse di studio di merito. Molto spazio invece è dedicato ai concorsi.

I ricercatori cambiano il nome, ma non lo stipendio. Di nuovo c'è l'istituzionalizzazione del doppio binario

per il passaggio alle fasce superiori della docenza.

Si poteva osare qualcosa di più, magari guardando ai paesi all'avanguardia nella ricerca.

Il 22 maggio 2009 è stata resa pubblica una bozza di proposta di legge del Partito Democratico

sull’università.

Una prima lettura del testo, ambiziosamente intitolato “interventi per il rilancio e la riorganizzazione delle

università”, sembra un po’ “di braccino corto”, più condizionato dalle solite prudenze di ispirazione

sindacale che dalla reale volontà di innovare.

Di seguito riportiamo quattro esempi, tra i vari possibili.

6.1 Dottorati, lauree e borse di studio.

Senza dottorati di ricerca di alto livello internazionale non ci può essere rilancio dell’università italiana.

Alla cruciale questione dei dottorati, la proposta Pd dedica poche righe: sono volte a introdurre incentivi

fiscali e contributivi all’assunzione dei dottori da parte del settore privato. Nessun incentivo, invece, per le

iniziative dirette a creare reali sinergie tra atenei in questo campo.

Inoltre, si continua ad affidare l’organizzazione dei dottorati al volontariato dei docenti, e si lascia che un

dottorato possa essere avviato da qualsiasi facoltà di qualsiasi università, per quanto dequalificata o priva

di strutture idonee alla ricerca dei dottorandi. Ma dire che le facoltà cui si danno soldi per i dottorati

vengono selezionate sulla base della loro performance nel campo della ricerca scientifica deve essere stato

considerato eversivo dell’ordine costituito!

4 Il testo è tratto da un articolo di Andrea Boitani, Manca il coraggio all’università del PD, pubblicato il

22.07.2009 su lavoce.info.

Le università italiane sono le uniche in Europa che consentono di laurearsi anche dopo venti anni, ripetere

gli esami un numero infinito di volte, con appelli spesso mensili. La conseguenza è che gli studenti

universitari italiani hanno il più basso tasso di completamento degli studi in Europa, anche se aumentato un

po’ dopo l’introduzione della “laurea breve”, cioè triennale. E ancora troppi completano il corso di studi

dopo tantissimi anni e solo per prendere il famoso “pezzo di carta”. Per cambiare tutto questo nella

proposta Pd non c’è una sola parola. Ma se questo andazzo italiano non viene cambiato una volta per tutte,

l’università non può essere rilanciata, anzi, l’università non può essere tale.

Finalmente si prevede l’istituzione di borse nazionali di merito per il diritto allo studio.

Naturalmente la procedura di accesso è farraginosa quanto basta; ma la cosa più sconcertante è lo

stanziamento: 100 milioni di euro per 10 mila borse di studio da 10 mila euro l’una per tre anni. Se si voleva

dare un segnale forte, bisognava prevedere uno stanziamento ben più consistente, data la popolazione

universitaria italiana. Va bene la responsabilità finanziaria, ma, si può anche alzare un po' il tiro.

6.2 I ricercatori e la riforma.

La riforma dei concorsi occupa la maggior parte del testo. I ricercatori cambiano nome e diventano

professori di terza fascia, ma non cambiano stipendio (nelle consuete more di una revisione generale dello

“stato giuridico”), né cambia il fatto che la tenure è praticamente garantita anche per la terza fascia.

La cosa nuova è l’istituzionalizzazione del doppio binario per il passaggio alle fasce superiori della docenza.

Il primo binario è la “promozione”, riservata agli avanzamenti di carriera interni all’ateneo, anche se con la

“foglia di fico” di una valutazione “che si avvarrà di giudizi forniti da esperti italiani e stranieri esterni

all’ateneo”.

Il secondo binario è il “reclutamento”, riservato a “coloro che non siano in servizio presso l’università che

ha emanato il bando”. Unico vincolo: i bandi per promozioni possono arrivare a essere il doppio di quelli

per reclutamento dell’anno precedente. Se non si recluta nessuno dall’esterno non si può promuovere

neanche un interno.

Siamo sicuri che questo vincolo basti a superare la deriva localistica e familistica dell’università italiana?

Non si prevede alcuna differenza di status e di stipendio tra coloro che seguono il percorso interno e coloro

che superano un ben più selettivo concorso internazionale. Non si prevede nessuna tenure track per

professori di secondo livello.

Aspiranti alla promozione e al reclutamento devono aver ottenuto l’“abilitazione” nazionale, cioè essere

entrati in una lista aperta di docenti giudicati “abili” da una commissione che resta in carica tre anni. Senza

vincoli numerici, chi se la sentirà di escludere Tizio o Caio dalla lista?

Visto che si stava mettendo mano a una riforma, per di più dall’opposizione, non si poteva osare qualcosa

di più, magari guardando alle best practices dei paesi all’avanguardia nel settore della ricerca e

dell’istruzione superiore?

Il disegno di legge del Pd sembra, nella sua forma attuale, il tentativo di contrapporre qualcosa, purchessia,

ai tuttora non pienamente svelati disegni del governo più che un vero tentativo di riformare

profondamente e coraggiosamente l’università italiana.

7. IL TALENTO PREMIATO. 1

Ho dovuto studiare la politica e la guerra in modo che i miei

figli possano studiare la matematica e la filosofia.

John Adams

7.0 Introduzione.

Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo. Dunque, per permettere al sistema

universitario italiano di aprirsi verso l'esterno, reclutare i migliori cervelli internazionali e trattenere

quelli italiani è necessario un deciso innalzamento delle retribuzioni di ricercatori e professori.

Il confronto tra carriere analoghe negli Stati Uniti e in Italia mostra l'entità della perdita per chi resta nel

nostro paese. Ma il ruolo di ingresso non può più rappresentare per tutti un'assunzione a tempo

indeterminato.

Cosa serve per curare i mali dell’università italiana? È opinione condivisa che ancorare una parte non

marginale delle risorse economiche distribuite agli atenei ai risultati della ricerca sarebbe un passo

importante per creare un sistema di incentivi in grado di promuovere il merito e le effettive capacità di

ricerca di chi è avviato alla carriera accademica.

7.1 Confronto Italia – Usa.

Si tratta di una posizione ampiamente condivisibile. Tuttavia, per riuscire a reclutare i talenti della ricerca,

italiani o stranieri che siano, occorrerà intervenire anche su un altro aspetto: rendere più concorrenziali i

profili retributivi offerti dalla carriera accademica in Italia. Per tutti i primi venti anni di carriera, sono infatti

nettamente inferiori ai valori di riferimento del mondo accademico internazionale. Per rendersene conto,

basta fare un confronto con le retribuzioni dei docenti statunitensi.

Il confronto con gli Stati Uniti è indicativo per due ragioni. Primo, le retribuzioni delle istituzioni

universitarie statunitensi con dottorati di ricerca orientano i profili retributivi di tutti i principali istituti

internazionali che ambiscono a reclutare buoni talenti sul mercato internazionale.

Secondo, l’American Association of University Professors pubblica ogni anno un rapporto completo sui

profili retributivi dei docenti universitari, con dati che, se si escludono dal computo del salario lordo annuo

tutti i pagamenti per i benefit relativi, ad esempio, a fondo pensione, social security, unemployment,

assicurazione sanitaria, sono ben confrontabili con i dati italiani sullo stipendio lordo annuo, al netto dei

contributi previdenziali versati all’Inps dagli atenei.

Naturalmente, è necessario prestare attenzione a due elementi. Primo, la progressione degli stipendi dei

docenti statunitensi per anni di anzianità è minima per gli Assistant Professors ed è piuttosto limitata per gli

4 Il testo è tratto da un articolo di Daniele Brandonio, Il talento premiato dallo stipendio, pubblicato il

30.07.2009 su lavoce.info.

Associate Professors e i Full Professors e in ogni caso è sempre legata a una verifica dei risultati della

produzione scientifica e della qualità della didattica. Secondo, a parità di ruolo e anzianità, la variabilità

delle retribuzioni dei docenti statunitensi è piuttosto elevata e dipende dal tipo di università (prestigio

dell’istituzione e distinzione tra università pubblica e privata) e soprattutto dall’ambito disciplinare. I settori

dove il reclutamento è più esposto alla concorrenza del mercato, come ad esempio business administration

and management, law and legal studies, computer and infomation science, economics, e engineering, a

parità di ruolo e istituzione universitaria, hanno retribuzioni più alte rispetto a letteratura inglese da un

minimo del 44 per cento a un massimo del 101 per cento, secondo i dati 2005/06 contenuti nel rapporto

2007 dell’American Association of University Professors.

Tabella 1: Le retribuzioni dei docenti statunitensi (a.a. 2007/08, 241 atenei con dottorati di ricerca)

Full Prof.

(€ p.p.p)

Associate Prof.

(€ p.p.p)

Assistant Prof.

(€ p.p.p)

95 perc 142909 92398 78605

90 perc 126185 86105 73172

80 perc 114858 80804 68303

70 perc 107536 76564 65033

60 perc 104279 73584 62123

50 perc 99287 70759 60350

40 perc 93415 68205 57873

30 perc 88605 65080 55698

20 perc 83437 62552 53735

10 perc 77151 59756 51006

Fonte. Survey AAUP, anno accademico 2007/08. Parità potere acquisto: Usd/Eur = 1,11

Retribuzioni lorde annue in € al netto dei benefit, assicurazioni sanitarie e contributi previdenziali.

Numero atenei: 241. Numero docenti: 178584

Tabella 2: Le retribuzioni dei docenti italiani (situazione all’1/1/2008)

Anzianità di servizio

in anni Professore ordinario Professore associato Ricercatore

0 (non conf.) 53133 40217 22561(*)

3 56235 42389 34748

5 60469 45378 36272

7 63473 47511 38398

9 67707 50510 39922

11 70710 52643 42048

13 74944 55637 44175

15 79178 58632 45866

17 82512 60999 47557

19 85847 63367 49249

21 89181 65735 50940

23 92515 68103 52631

25 95850 70471 54323

27 99184 72839 56014

29 75207 57705

31 77574 58748

33 59791

35 60384

Fonte: Cun sede di Bari (prof. Alberto Paglierini).

(*) Lo scatto retributivo è dopo 1 anno anziché 3.

Retribuzioni lorde annue in € al netto dei contributi Inps versati dagli atenei.

Nella tabella 3, è illustrato il differenziale retributivo Stati Uniti - Italia, a parità di potere d’acquisto,

seguendo un tipico profilo di avanzamento di carriera di un giovane talentuoso assistant professor assunto

in regime di tenure-track, a cui è fatto corrispondere un analogo avanzamento di carriera nel sistema

universitario italiano, partendo dal ruolo di ricercatore non confermato per finire con il ruolo di professore

ordinario. Per gli Stati Uniti il livello retributivo indicato è quello medio per ruolo dei 178.584 docenti con

tenure-track presenti in 241 atenei con corsi di dottorato.

Tale valore è di poco superiore alla mediana della distribuzione di tabella 1 e, per i settori maggiormente

esposti alla concorrenza internazionale, rappresenta un dato piuttosto prudenziale, visto che, con tutta

probabilità, la distribuzione delle retribuzioni occupa interamente solo i decili più elevati di tabella 1.

Tabella 3: Il profilo delle retribuzioni nei primi 20 anni di carriera (Stati Uniti vs Italia)

Anzianità in servizio Posizione Retr. Annua USA (€ p.p.p) Posizione Retr. Annua Italia (€) % ITA /USA

Ingresso

(1° anno) Assist. prof. 61362 Ric. non conf. 22561 36,77%

2°-3° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 34478 56,19%

4°-5° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 36272 59,11%

6° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 40217 65,54%

7°-8° anno Assoc. prof. 72111 Assoc. non conf. 40833 56,63%

9° anno Assoc. prof. 72111 Assoc. n.c. 42389 58,78%

10°-11° anno Assoc. prof. 72111 Assoc 47511 65,89%

12° anno Assoc. prof. 72111 Assoc 50510 70,04%

13°-14° anno Full prof. 106706 Prof. Straord 53133 49,79%

15° anno Full prof. 106706 Prof. Straord 53999 50,61%

16° anno Full prof. 106706 Ord 67707 63,45%

17°-18° anno Full prof. 106706 Ord 70710 66,27%

19°-20° anno Full prof. 106706 Ord 74944 70,23%

Retribuzioni lorde annue in € (parità potere acquisto: Usd/Eur=1,11), a.a. 2007/08 Usa, 1/1/2008 Italia, esclusi benefit,

assicurazioni sanitarie, contributi pensionistici.

Dati Usa pari alla retribuzione media per ruolo (241 atenei con dottorati).

Dati Italia inclusivi del computo relativo alla ricostruzione di carriera.

I dati della tabella 3 evidenziano un gap delle retribuzioni italiane rispetto a quelle statunitensi pari a oltre

576mila euro come valore attualizzato dei flussi dei primi venti anni di carriera (una differenza del - 40,2 per

cento rispetto al flusso delle retribuzioni medie statunitensi).

7.2 Reclutare i migliori.

Se si vuole effettivamente offrire una opportunità al sistema universitario italiano di aprirsi verso l’esterno

e reclutare anche buoni talenti internazionali (e trattenere i migliori tra gli italiani) è perciò necessario, per

molti settori di ricerca, un deciso innalzamento del profilo retributivo non solo dei ricercatori, ma anche

dei livelli di ingresso dei ruoli di associato e di ordinario.

Gli attuali profili retributivi dei ricercatori e gli ostacoli alle promozioni ai ruoli successivi attraverso un

sostanziale rallentamento della cadenza delle procedure di valutazione e il blocco del turn-over, appaiono

invece la ricetta sicura per perpetuare il continuo e progressivo allontanamento dall’accademia italiana dei

migliori talenti. Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo: occorre dunque dare tempi

certi per il passaggio dei ricercatori meritevoli al ruolo di professore associato e poi ordinario e innalzare in

modo deciso la retribuzione media d’ingresso in modo che risulti adeguata rispetto all’investimento in

capitale umano richiesto per acquisire capacità di ricerca e didattica d’eccellenza.

E va abbandonata l’anomalia italiana di un ruolo d’ingresso che, superato un solo primo triennio di verifica,

rappresenta per tutti un’assunzione a tempo indeterminato. Nei sistemi accademici di eccellenza il

percorso di carriera standard è invece sempre più di tipo tenure-track con retribuzioni di ingresso molto più

elevate in tutti i ruoli, ma con la possibilità di impiego a tempo indeterminato solo per chi è stato

effettivamente in grado di produrre una meritevole attività di ricerca e una buona qualità della didattica

dopo un prolungato periodo di prova di sei - otto anni come assistant professor.

7.3 A chi il FFO.

Proponiamo la trascrizione dei criteri utilizzati dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e delle Ricerca,

per ripartire una quota (destinata a crescere nel tempo) del Fondo ordinario per le università 2009. Il

documento è pubblico, ma sino ad ora non è stato divulgato su di un sito accessibile a tutti. Riteniamo che

renderlo pubblico sia necessario per promuovere un confronto sull'argomento. Sarebbe utile che il

ministero pubblicasse le tabelle riassuntive e di confronto per tutte le università.

Art. 5, commi 3 e 8, Legge 24 Dicembre 1993, n. 537.

3. Nel fondo per il finanziamento ordinario delle università sono comprese una quota base, da ripartirsi tra

le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute

direttamente dallo stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartirsi

sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e

tecnologica, sentito il consiglio universitario nazionale e la conferenza permanente dei rettori, relativi a

standard dei costi di produzione per studente e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto

delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali.

8. A partire dal 1995, la quota base per il fondo di finanziamento ordinario delle università sarà

progressivamente ridotta e la quota di riequilibrio dello stesso fondo sarà aumentata almeno di pari

importo. La quota di riequilibrio concorre al finanziamento a regime delle iniziative realizzate in conformità

ai piani di sviluppo. Il riparto della quota di riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei

costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le

aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli standard europei.

Art. 2, commi 428 e 429, Legge 24 Dicembre 2007, n. 244.

428. Ai fini del concorso dello Stato agli oneri lordi per gli adeguamenti retributivi per il personale docente

e per i rinnovi contrattuali del restante personale delle università, nonchè in vista degli interventi da

adottare in materia di diritto allo studio, di edilizia universitaria e per altre iniziative necessarie inerenti il

sistema delle università, nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca è istituito un

fondo con una dotazione finanziaria di 550 milioni di euro per l'anno 2008, di 550 milioni di euro per l'anno

2009 e di 550 milioni di euro per l'anno 2010, comprensiva degli importi indicati all'articolo 3, commi 140 e

146, della presente legge. Tale somma è destinata ad aumentare il Fondo di finanziamento ordinario per le

università (FFO), per far fronte alle prevalenti spese per il personale e, per la parte residua, ad altre

esigenze di spesa corrente e d'investimento individuate autonomamente dagli atenei.

429. L'assegnazione delle risorse di cui al comma 428 è subordinata all'adozione entro gennaio 2008 di un

piano programmatico, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il

Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Tale

piano è volto a:

a) elevare la qualità globale del sistema universitario e il livello di efficienza degli atenei;

b) rafforzare i meccanismi di incentivazione per un uso appropriato ed efficace delle risorse, con

contenimento dei costi di personale a vantaggio della ricerca e della didattica;

c) accelerare il riequilibrio finanziario tra gli atenei sulla base di parametri vincolanti, di valutazioni

realistiche e uniformi dei costi futuri e, in caso di superamento del limite del 90 per cento della spesa di

personale sul FFO, di disposizioni che rendano effettivo il vincolo delle assunzioni di ruolo limitate rispetto

alle cessazioni;

d) ridefinire il vincolo dell'indebitamento degli atenei considerando, a tal fine, anche quello delle società ed

enti da essi controllati;

e) consentire una rapida adozione di un sistema programmatorio degli interventi che preveda adeguati

strumenti di verifica e monitoraggio da attivare a cura del Ministero dell'università e della ricerca, d'intesa

con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la CRUI, e che condizioni l'effettiva erogazione delle

maggiori risorse all'adesione formale da parte dei singoli atenei agli obiettivi del piano.

Art. 2 Legge 9 Gennaio 2009, n. 1.

1. A decorrere dall'anno 2009, al fine di promuovere e sostenere l'incremento qualitativo delle attività delle

università statali e di migliorare l'efficacia e l'efficienza nell'utilizzo delle risorse, una quota non inferiore al

7 per cento del fondo di finanziamento ordinario di cui all'articolo 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e

successive modificazioni, e del fondo straordinario di cui all'articolo 2, comma 428, della legge 24 dicembre

2007, n. 244, con progressivi incrementi negli anni successivi, e' ripartita prendendo in considerazione:

a) la qualità dell'offerta formativa e i risultati dei processi formativi;

b) la qualità della ricerca scientifica;

c) la qualità, l'efficacia e l'efficienza delle sedi didattiche.

2. Le modalità di ripartizione delle risorse di cui al comma l sono definite con decreto del Ministro

dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avente natura non regolamentare, da adottarsi, in prima

attuazione, entro il 31 marzo 2009, sentiti il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca e il

Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. In sede di prima applicazione, la

ripartizione delle risorse di cui al comma 1 e' effettuata senza tener conto del criterio di cui alla lettera c)

del medesimo comma.

Calcolo del FFO per il 2009.

Si parte da una quota base (FFO 2008) che viene abbattuta al 87,29% per tener conto del 7% e "delle

obbligazioni precedentemente assunte". A questa si aggiungono le voci che derivano dal c.d. Patto

2008/2010 – 511 milioni di euro - che prevede una quota per aumento costi del personale, una quota di

incentivo derivante dalla distanza dal 90% del FFO, una quota derivante dal riequilibrio e altre piccole voci.

Infine a questa si aggiunge la quota derivante dalla ripartizione del 7% - altri 523 milioni di euro.

A) Quota Base

La "quota base" è stata calcolata considerando le assegnazioni disposte nell'anno 2008 in applicazione dei

criteri definiti dai D.M. 30 aprile 2008, n. 99 e D.I. 30 aprile 2009. Tale quota è ridotta all' 87,29% per tenere

conto dello stanziamento complessivo, al netto del 7% e delle obbligazioni precedentemente assunte o

legate ad azioni di sistema previste per legge. Sono state escluse dalla riduzione le Istituzioni che non

partecipano al 7% e le Istituzioni speciali.

La "quota base" (87,29%) è stata ulteriormente ridotta, per un importo totale pari a 39,5 Ml€, in misura

proporzionale ai risparmi 2009 derivanti, per ciascun ateneo, dal turn over 2008 (art. 66, comma 13, D.L.

112/2008, L. 133/2008 e art. 1, comma 3, D.L. 180/2008, L. 1/2009).

Ai valori risultanti di cui sopra sarà aggiunta l'eventuale quota relativa al 2009 per mobilità docenti e

chiamate dirette dell'anno 2008.

B) Patto 2008/2010 - Ml€. 511,5 (disponibilità 2009 al netto quota 7%)

- Quota incremento costi personale (309 Ml€)

- Incentivo distanza 90% AF/FFO (10 Ml€)

- Scuole Speciali - art.2, comma 431, Legge 24 dicembre 2007 n.244 (11 Ml€)

- Accordi di programma (74,5 Ml€)

- Interventi di Sistema (7 Ml €)

- Riequilibrio e relativa Accelerazione - Modello CNVSU (100 Ml€)

C) Criteri e indicatori per la ripartizione quota 7%

L'importo di 523,5 Ml€, di cui all'art.4, Legge 9 gennaio 2009, n.1, viene ripartito per il 34% sulla base degli

indicatori A1-A5 (Qualità dell'Offerta Formativa e risultati dei processi formativi) e per il restante 66% sulla

base degli indicatori B1-B4 (Qualità della Ricerca Scientifica), come di seguito specificato.

Qualità dell'Offerta Formativa e risultati dei processi formativi (177,99 Ml €)

Descrizione Indicatore Peso Indicatore

di Ateneo

Peso x

Indicatore

A1

Rapporto tra il numero di docenti di ruolo che appartengono a settori

scientifico-disciplinari (SSD) di base e caratterizzanti e il numero teorico di

corsi nell'a.a.2008/09 (corsi di laurea e corsi di laurea magistrale a ciclo

unico). Per il calcolo dell'indicatore si rapporta il valore specifico con quello

mediano.

0,20

A2

Rapporto tra il numero di studenti iscritti, nell'a.a. 2008/09, al secondo anno

avendo acquisito almeno i 2/3 dei CFU previsti e il numero di immatricolati,

del medesimo corso, nell'a.a. 2007/08. Per il calcolo dell'indicatore si

rapporta il valore specifico con quello mediano.

0,20

A3 Rapporto tra CFU effettivamente acquisiti e CFU previsti per gli studenti

iscritti nell'a.a. 2007/08. Per il calcolo dell'indicatore si rapporta il valore 0,20

Descrizione Indicatore Peso Indicatore

di Ateneo

Peso x

Indicatore

specifico con quello mediano.

A4

Rapporto tra il numero di insegnamenti per i quali è stato richiesto il parere

degli studenti ed il numero totale di insegnamenti attivi nell'a.a. 2007/08. Per

il calcolo dell'indicatore si rapporta il valore specifico con quello mediano.

0,20

A5

Percentuale di laureati 2004 occupati a tre anni dal conseguimento del titolo.

Per il calcolo dell'indicatore si rapporta il valore specifico con quello medio

per ripartizione territoriale (nord-ovest, nord-est, centro, sud, isole) - ISTAT.

0,20

INDICE COMPLESSIVO (I.C.A.)

L'indice complessivo I.C.A. è moltiplicato per una grandezza rappresentativa della dimensione

dell'ateneo, pari al numero degli iscritti "attivi", ossia gli studenti che hanno acquisito nel corso

dell'a.s.2008 almeno 5 CFU.

Iscritti con

almeno 5 CFU

Totale(*) iscritti

con almeno 5 CFU

Fattore di Ponderazione

di Ateneo (Fp)

(*) Sono considerati tutti gli Atenei Statali con esclusione dell'Università degli Studi dell'Aquila, dell'Università degli

Studi "Carlo BO" di Urbino, dell'Università di Roma "Foro Italico", delle Università per Stranieri di Perugia e di Siena.

Indice Complessivo (I.C.A.) = 0,20 x A1 + 0,20 x A2 + 0,20 x A3 + 0,20 x A4 + 0,20 x A5

Fattore di ponderazione (FP) = Iscritti con almeno 5 CFU (Ateneo)/Iscritti con almeno 5 CFU (Totale Atenei)

QF = FP x I.C.A.

Si precisa che, in considerazione dei confronti di ogni singolo indicatore con i valori mediani, il

valore finale (QF) dovrà essere trasformato come percentuale sul totale del Sistema (Atenei che

partecipano alla ripartizione 7%). Tale valore costituirà il moltiplicatore per il calcolo della quota spettante

(esempio: se QF = 2%, all’ateneo spetta 0.02 x 177.99 ml).

Qualità della Ricerca Scientifica (345,51 Ml€)

Descrizione Indicatore Peso Indicatore di

Ateneo

Peso x

Indicatore

B1 Coefficiente di ripartizione delle risorse destinate alle Aree-VTR

2001-03 - CIVR 0,49

B2 Coefficiente di ripartizione delle risorse destinate alle attività di

valorizzazione applicativa VTR 2001-03 - CIVR 0,01

B3

Percentuale di docenti e ricercatori presenti in progetti PRIN 2005-

2007 valutati positivamente, "pesati" per il fattore di successo

dell'area scientifica

0,15

B4 Percentuale di finanziamento e di successo acquisiti nell'ambito dei

progetti del VI PQ - Unione Europea - CORDIS 0,35

INDICE COMPLESSIVO (I.C.B.) 5

QR = I.C.B. = 0,49 x B1 + 0,01 x B2 + 0,15 x B3 + 0,35 x B4

Anche qui il valore finale (QR) dovrà essere trasformato come percentuale sul totale del Sistema (Atenei

che partecipano alla ripartizione 7%). Tale valore costituirà il moltiplicatore per il calcolo della quota

spettante (esempio: se QR = 2%, all’ateneo spetta 0.02 x 345,51 ml).

8. IL WELFARE DELL’INSERIMENTO E IL DIRITTO ALLO STUDIO.

Un buon libro è quello che viene aperto con trepidazione e

chiuso con profitto.

Amos Bronson Alcott

8.0 Introduzione.

Nel mondo in cui viviamo oggi, l’istruzione non può essere ridotta al semplice ruolo di strumento mediante

il quale vengono fornite alcune nozioni di base per poter operare in modo proficuo nel processo produttivo.

L’istruzione va concepita, innanzitutto, come uno strumento di formazione complessiva del cittadino e di

promozione del pieno sviluppo della persona, come individuo e come parte di un contesto collettivo.

Il diritto allo studio è il diritto a scegliersi il proprio posto nella società, ed a costruirsi il bagaglio di

conoscenze necessario a partecipare alle sue sfide future. È per questo che va garantito in maniera

universale, per non lasciare che le disparità sociali incidano sulla possibilità per ciascuno di realizzarsi e di

contribuire alla crescita comune.

Il diritto allo studio non può, perciò, esaurirsi nella garanzia dell’accesso ad un percorso di istruzione.

Comprende la possibilità di scegliere una via adatta alle proprie attitudini e la garanzia dei mezzi necessari

per seguirla. Comprende il diritto ad una formazione personale e culturale approfondita e complessiva, che

non si limiti alle nozioni relative all’ambito scelto. Comprende il diritto a terminare il percorso di studi in un

tempo ragionevole, e a proseguirlo durante l’attività lavorativa.

Soprattutto, il diritto allo studio va pensato in relazione al diritto dei giovani a intraprendere un percorso di

vita autonomo, per poter impiegare le proprie energie nel lavoro e nella società.

I cambiamenti intervenuti nell’ultimo quindicennio nel mercato del lavoro hanno costruito una flessibilità

senza ammortizzatori, che ha finito per paralizzare nel precariato le energie delle nuove generazioni. Ciò ha

provocato pesanti conseguenze per l’intera società, che si trova con giovani che restano fuori dal mondo

del lavoro e a casa con i genitori fino ai trent’anni, e che ritardano la creazione di un nucleo familiare,

contribuendo all’invecchiamento complessivo della popolazione, che pesa come un macigno sulla

collettività.

L’investimento sui giovani e sulla formazione è, invece, il contrappeso necessario alla “flessibilizzazione” del

lavoro. La fine del modello del posto fisso comporta la necessità di concepire la vita lavorativa in relazione

non più ad un posto, ma ad un percorso, in cui una formazione approfondita e continua svolge un ruolo

decisivo. E la necessità di superare l’impostazione lavoristica del welfare, verso un’impostazione

universalistica di welfare della cittadinanza, più adatto ad accompagnare le diverse figure lavorative nei

percorsi intrapresi e ad offrire garanzie contro povertà ed esclusione. Un welfare che non può dimenticare

il sostegno alla formazione e all’inserimento nel mondo del lavoro.

La garanzia del diritto allo studio, e quindi alla scelta e alla costruzione del proprio bagaglio fondamentale

nel percorso lavorativo, è un pilastro di questa necessaria riorganizzazione delle forme di tutela, e necessita

di un importante investimento da parte del sistema pubblico. Come l’uscita dal mondo del lavoro è protetta

dal sistema pensionistico, anche la fase di formazione e di ingresso nel mondo del lavoro ha bisogno, oggi,

di una forma di protezione sociale. Un vero e proprio “welfare dell’inserimento”, che fornisca al giovane le

risorse necessarie per costruire il proprio accesso nella società e garantisca il percorso che è il contrappeso

necessario della flessibilità.

Nel quadro di questo welfare dell’inserimento le diverse questioni comprese nel diritto allo studio trovano

una sistemazione organica e una soluzione non frammentaria, ma nello stesso tempo lo stesso diritto allo

studio è ricondotto nell’ambito di un contesto più ampio, quello della formazione personale e

dell’inserimento dei giovani nella società e nel mondo del lavoro.

La costruzione di questo welfare passa per il riconoscimento ai giovani di uno status che trascende la

qualificazione di studente: i giovani tra i 18 e i 25 anni vanno considerati, in principio, studenti, anche se

decidono di entrare nel mondo del lavoro senza avvalersi di un percorso formativo superiore, in quanto

iniziano comunque un percorso di vita autonoma e, non essendo inseriti nella dinamica del “posto fisso”,

potrebbero presto aver bisogno di integrare le proprie competenze con un percorso di formazione che

affianchi quello lavorativo. Uno status universale, applicabile a tutti i giovani residenti sul territorio italiano,

e quindi anche a stranieri ed immigrati.

Uno status complesso, che includa il diritto ad una serie di prestazioni da parte del sistema pubblico, delle

istituzioni universitarie e di alcune categorie di privati. Uno status flessibile, in quanto suscettibile di avere

contenuti differenziati a seconda del percorso scelto, delle necessità mostrate e delle disponibilità di

partenza.

8.1 I cardini del nuovo welfare.

In questo quadro vanno affrontati in modo organico gli ostacoli all’universalità del diritto allo studio.

Proponiamo alcune ipotesi di lavoro in merito alle questioni che riteniamo più urgenti.

1 - Prima questione da affrontare, nella costruzione di questo welfare universalistico dell’inserimento, è

quella della possibilità di accesso all’educazione superiore. La necessità della formazione nell’attuale

mercato del lavoro obbliga a garantire l’universalità della possibilità di accesso all’università, e quindi della

possibilità di scelta dei singoli sul proseguimento del proprio percorso formativo. Ciò significa, innanzitutto,

la copertura dei costi fissi per chi non ha disponibilità economiche adeguate. Ci sono costi veri e propri,

quindi innanzitutto le tasse e i libri, e ci sono costi della vita universitaria, cioè il mancato reddito dato dalla

rinuncia al lavoro, i costi di trasporti, mense, eccetera. Varie soluzioni sono immaginabili, e possono essere

integrate tra loro.

- Il primo discrimine nell’accesso alla formazione superiore avviene sulla base del censo. E' questo il primo dato che va tenuto presente in qualsiasi intervento di diritto allo studio, perché chiunque voglia migliorare la propria istruzione merita sostegno. Bisogna potenziare il sistema di borse di studio, in modo che il criterio di giudizio sia meramente di carattere economico e che il contributo della borsa venga versato interamente alla vincita della borsa e senza clausole, non in fase

successiva, cosicché lo studente possa cominciare con tranquillità l'anno accademico, e solo dopo la sessione di settembre tenere conto degli esami realmente superati.

- Le tasse universitarie costituiscono una voce di spesa rilevante per gli studenti universitari. Lo studio è però un diritto e le tasse vanno concepite non come un corrispettivo per il servizio offerto, ma come un contributo alle amministrazioni che lo erogano. Tale contributo non deve mai essere, quindi, tale da impedire l’accesso ai corsi universitari, e deve essere dovuto secondo il meccanismo delle imposte progressive, esonerando dal pagamento delle tasse gli studenti sotto una certa soglia di reddito. Il sistema attuale sembra rispondere solo parzialmente a queste caratteristiche, in quanto fa gravare su alcune categorie deboli oneri troppo gravosi che convincono talvolta all’abbandono degli studi. Il prolungamento degli studi oltre il tempo previsto può comportare un aumento del contributo dovuto, fatte salve alcune situazioni particolari quali quella degli studenti lavoratori, delle studentesse madri, degli studenti con problemi di salute o portatori di alcuni handicap.

- A questi strumenti si può affiancare un meccanismo di prestiti d'onore da parte delle istituzioni statali (nazionali e locali) o da parte di altre istituzioni, in modo che lo studente appena maturato, indipendentemente dal tipo di formazione superiore cui vuole accedere, possa essere dotato di un “corredo” che gli consenta di iniziare la sua vita autonoma. Prestito che verrà restituito appena il giovane sarà provvisto di un reddito fisso attraverso le tasse, o in un meccanismo tipo mutuo.

- Il libro è lo strumento principe con il quale gli studenti accedono al sapere, ma, a causa della struttura universitaria, da veicolo di riscatto sociale attraverso la cultura, rischia di diventare territorio di disuguaglianza. Pensiamo che il libro, che è fattore qualitativo e quantitativo della formazione, debba essere a portata di tutti gli studenti e per far ciò si possono percorrere diverse strade. Fornire le biblioteche di facoltà e dipartimenti di più copie dei libri di testo (con l'ausilio anche dei professori che quei testi li hanno scritti) ed aprire il prestito a tutti gli studenti iscritti. Creare una banca del libro on-line per ogni facoltà, ossia dove sia possibile per gli studenti trovare dispense e libri scritti dai professori in formato elettronico. Sponsorizzare un interscambio di testi tra studenti (con l'ausilio delle biblioteche) in modo da creare un efficiente sistema di baratto tra studenti.

- Tra i costi fissi della vita universitaria un posto importante è assunto dai trasporti e dal vitto. Per quel che riguarda il vitto un ausilio importante è dato dalle mense universitarie. Bisogna potenziare questo sistema facendo in modo che esse siano presenti non solo nelle sedi centrali degli atenei, ma anche in quelle periferiche, moderando i costi, magari anche attraverso la possibilità di scegliere tra un pasto completo ed una sola portata. Per quel che riguarda i mezzi, bisogna far si che i costi ridotti siano estesi a tutti gli studenti (indipendentemente dalla residenza) sia sul trasporto urbano sia su quello regionale, per venire incontro anche alle esigenze degli studenti pendolari. In particolar modo riguardo al trasporto regionale ci si deve battere affinchè agli studenti vengano concessi sconti di circa il 50% (come avviene a Roma).

- I costi della vita universitaria possono essere ridotti tramite il buon funzionamento dei servizi universitari, a cominciare dalle biblioteche, dalle aule studio, dai laboratori, dai servizi informatici. Spazi che devono essere aperti a tutti gli studenti, all'avanguardia ed aggiornati (soprattutto i laboratori) e contenenti ausili alla didattica e allo studio. Gli spazi concessi agli studenti costituiscono, tra l’altro, un importante luogo di confronto. Anche le attività sportive, che rivestono una particolare importanza nella formazione personale, vanno incoraggiate mediante strutture e gruppi sportivi offerti dalle istituzioni universitarie. La gestione di questi spazi può essere condotta con l’ausilio degli studenti stessi, tramite lo strumento delle borse di collaborazione o di convenzioni con associazioni studentesche ed esterne.

- Tra i servizi universitari assume un’importanza autonoma la presenza di presidi sanitari, ambulatori e consultori. La presenza di tali strutture nelle università, aperte a tutti i giovani titolari dello status di studente, è un importante complemento del diritto a costruirsi un percorso di vita autonomo. Tali ambulatori e consultori vanno pensati con una funzione di guida dei giovani all’educazione sanitaria, e come punto di riferimento con riguardo a igiene, alimentazione, contraccezione, droghe, prevenzione di malattie stagionali, epidemie, eccetera.

Accanto ad un sistema generale di copertura dei costi fissi, devono essere previsti strumenti

speciali e livelli di protezione accentuati in presenza di necessità particolari.

- Gli studenti portatori di handicap hanno diritto a delle strutture in grado di accoglierli, ma anche ad una protezione sociale commisurata al grado delle difficoltà presentate. Bisogna fare sì che i nostri atenei non presentino più barriere architettoniche e che siano dotati di percorsi per ciechi. Le nostre biblioteche devono essere dotati di ausili didattici (per lo meno per le materie base) per studenti non udenti e non vedenti. Tutto ciò può essere possibile attraverso il finanziamento dello sportello dei disabili in modo che diventi uno strumento di coordinamento, ascolto, accoglienza e denuncia delle inefficienze del sistema.

- Bisogna che l'istituzione universitaria venga in aiuto di quanti vivono lo studio universitario in maniera complementare rispetto ad altre scelte di vita indipendente come la maternità ed il lavoro; e ciò perché chiunque decida di ampliare la propria formazione, in un qualsiasi contesto è una ricchezza per lo Stato e le istituzioni. Per fare ciò bisogna innanzitutto progettare dei percorsi didattici alternativi per queste categorie; ossia tali da permettere di laurearsi in tempi più lunghi ma con eguale profitto e senza un aumento dell'onere delle tasse. Lo status di studente lavoratore va riconosciuto sia dallo Stato che dal datore di lavoro, garantendo delle tutele sindacali a protezione sia della condizione di lavoratore, sia della condizione di studente (tramite, per esempio, la possibilità di chiedere una quota di ore di permesso per motivi di studio o esami, o la possibilità di avere un orario alternativo). Mentre, per garantire le studentesse madri, un ottimo passo sarebbe quello di aprire l'asilo universitario anche ai figli delle studentesse, senza graduatorie, in modo che esse possano seguire serenamente i corsi, ed inoltre, dotare i bagni universitari di strutture adatte a donne con bambini (per esempio il fasciatoio).

2 - La questione dell’accessibilità dell’istruzione superiore va affrontata, oltre che dal punto di vista

dei costi, anche dal punto di vista organizzativo e didattico.

- Nei grandi atenei gli strumenti attraverso i quali gli studenti possono entrare in contatto con le istituzioni universitarie sono spesso insufficienti. Le esperienze di sportelli gestiti da studenti sono virtuose e vanno potenziate, mediante adeguati investimenti che ne garantiscano una maggiore accessibilità, a cominciare dagli orari di apertura per giungere fino al trasferimento a tali sportelli di alcune competenze in ordine alle pratiche che riguardano gli studenti. Anche i servizi on-line sono uno strumento importante in questo senso: l’aumento delle informazioni e delle pratiche gestibili tramite internet è certamente positivo, vanno incrementati gli strumenti di comunicazione, e semplificazione, tra gli studenti e le segreterie.

- Il sistema didattico attuale presenta una scarsa differenziazione nei generi di apprendimento proposti e nei livelli, e una scarsa flessibilità nella creazione dei percorsi. Il monopolio degli atenei tradizionali comporta un’offerta formativa schiacciata sui corsi classici e su un livello medio di formazione. Accanto a questi corsi vanno previsti strumenti formativi diversi, istituti specializzati, corsi di formazione professionale e scuole d’eccellenza. Alla diversificazione deve accompagnarsi la possibilità di gestione autonoma del percorso di studi, valorizzando il sistema dei crediti formativi.

- La differenziazione dei percorsi e dei livelli di apprendimento può essere affiancata dalla previsione, per alcuni tipi di percorso e di livello, di concorsi per selezionare l’accesso. Tali concorsi devono basarsi su una valutazione che vada oltre il calcolo di un punteggio ad un test d’ingresso, misura che tende a produrre disfunzioni e disuguaglianze. La valutazione deve comprendere l’insieme delle attività curriculari dello studente e, possibilmente, avvenire ad un livello del percorso di studi in cui lo studente abbia già avuto modo di dimostrare le sue attitudini. La previsione di tali concorsi va, inoltre, collegata alla previsione di un’ampia differenziazione dell’offerta educativa, in modo che il mancato accesso al corso desiderato non significhi un declassamento, e comporti la possibilità di intraprendere un diverso percorso educativo.

3 - La mobilità degli studenti è un tassello fondamentale del diritto allo studio. La possibilità di

svolgere un periodo di studio all’estero è molto importante, sia dal punto di vista della formazione

personale, sia dal punto di vista della creazione di un sentimento di solidarietà e di comune appartenenza

tra i giovani europei e di tutto il mondo.

- Il programma Erasmus è uno dei caratteri distintivi dell’attuale generazione, oltre che un potente motore dell’integrazione Europea. L’investimento in questo senso va potenziato, al fine di renderlo un’esperienza universalmente accessibile. Il numero delle borse va aumentato, e l’entità delle borse va incrementata e diversificata a seconda del reddito, e va previsto, per i redditi più bassi, l’anticipo almeno parziale della borsa. Accanto al programma Erasmus, vanno in generale potenziati gli strumenti di mobilità degli studenti: periodi di studio all’estero possono essere previsti nel quadro di accordi inter-universitari con Università anche extra-europee, e vanno adeguatamente sostenuti.

- Lo strumento principale resta quello del riconoscimento di crediti per esami sostenuti all’estero, in particolare nell’Unione Europea. Tale riconoscimento permetterebbe agli studenti di scegliersi il proprio percorso di studio senza gli ostacoli posti dalle frontiere che, nel mondo del lavoro e della circolazione delle conoscenze, hanno un significato sempre più relativo. A questo fine vanno previsti sistemi di conversione che, pur mantenendo la necessaria flessibilità, offrano un margine di certezza allo studente che pianifica il proprio percorso formativo.

- L’importanza delle esperienze all’estero non va limitata ai periodi di studio. Le esperienze lavorative all’estero fanno parte, anch’esse, del bagaglio di conoscenze di cui i giovani possono servirsi nella loro attività futura. Vanno perciò incoraggiati gli accordi con imprese ed istituzioni estere, per favorire la mobilità degli studenti e degli ex-studenti, per periodi di lavoro, apprendistato e stage. In molti paesi, per la maggior parte dei corsi di laurea, un’esperienza di lavoro all’estero è considerata obbligatoria: questo esempio va seguito anche in Italia, prevedendo adeguate forme di sostegno agli studenti a basso reddito.

4 - Complemento necessario della possibilità di accesso è la prospettiva dell’entrata nel mondo del

lavoro in tempi ragionevoli, per stabilizzare il percorso di vita autonomo che si intraprende 1. L’accesso

all’Università resta, infatti, limitato alle categorie sociali favorite, quando il conseguimento del titolo di

studio ha tempi lunghi e incerti, e, soprattutto, quando il possesso del titolo di studio non comporta

significativi vantaggi in merito ai tempi e alle modalità dell’entrata nel mondo del lavoro, né in relazione al

reddito percepito. L’istruzione e l’attività produttiva restano due ambiti indipendenti: hanno funzioni

diverse e devono avere regole diverse, ed essere gestiti autonomamente. Il potenziamento degli strumenti

di contatto tra questi due ambiti è però una garanzia, per i giovani, di non sprecare l’investimento fatto

nella propria formazione, ed è importante per favorire la corretta allocazione delle energie e delle

competenze nei vari settori.

- La riduzione dei tempi di accesso al mondo del lavoro comincia con la didattica. La differenziazione dei percorsi didattici, di cui si è parlato sopra, può innanzitutto consentire ai giovani di pianificare percorsi con scadenze differenziate, e quindi anche percorsi di studio brevi. Ancora di più, c’è bisogno che le istituzioni universitarie, nella loro autonomia, adottino sistemi e calendari didattici che coinvolgano lo studente in un ritmo che permetta alla media degli studenti di seguire il corso naturale degli studi. Il sistema tradizionale delle lezioni frontali e degli esami basati sullo studio personale si rivela spesso inadeguato a questo fine. Con riguardo ai contenuti, la prospettiva di una rapida entrata nel mondo del lavoro ha bisogno di una certa valorizzazione dei profili pratici della materia studiata. Ciò non significa “funzionalizzare” lo studio all’attività

1 A questo proposito si veda il capitolo 5. L’università e la fiducia nel futuro.

produttiva, ma costruire un insegnamento che metta lo studente in grado di servirsi delle competenze acquisite.

- Accanto alla previsione di strumenti pratici all’interno della didattica, è importante prevedere forme di contatto tra l’Università e il mondo del lavoro durante il percorso di studi, con la valorizzazione di periodi di apprendistato e stage come attività formative. Tale previsione passa per una responsabilizzazione delle strutture pubbliche e private che si incaricano dell’apprendistato, e per la garanzia, tramite appositi controlli, dell’effettivo svolgimento dell’attività formativa.

- Decisivo, nella riduzione della distanza tra titolo di studio e accesso alle attività lavorative, è lo scambio di informazioni tra università, istituzioni pubbliche ed imprese private. Gli strumenti attuali di comunicazione, per alcuni versi ben funzionanti, vanno migliorati con la previsione di una maggiore accessibilità da parte degli studenti, rendendoli uno strumento di scelta più che di “pesca” da parte delle imprese.

5 - Il welfare dell’inserimento deve essere sufficientemente flessibile per seguire il giovane a

seconda dei percorsi scelti. In particolare, l’attuale mercato del lavoro è costruito in modo che la

linea di demarcazione tra formazione e lavoro non sia più così netta. Così è sempre più frequente la

formazione abbinata all’attività lavorativa. Non si tratta della figura classica dello studente

lavoratore (di cui ci siamo già occupati sopra), che lavora per pagarsi gli studi in un ambito estraneo

a quello dei suoi studi. Qui si tratta, invece, del giovane che intraprende la propria attività

professionale e la affianca ad un percorso di formazione progressiva. - Tra i contrappesi necessari alla flessibilità vi è appunto la possibilità di integrare costantemente il

proprio bagaglio, la possibilità di una formazione continua, che consenta al giovane e, in generale al lavoratore, di adeguare le proprie conoscenze al mondo che cambia. Non si può pensare ad un lavoratore privo della garanzia del posto fisso e privo anche della libertà di scelta sul proprio percorso. Tale libertà si fonda anche sulla formazione continua, che va prevista come una vera e propria forma di ammortizzatore sociale. Al lavoratore vanno infatti garantiti, oltre alla copertura per i periodi di disoccupazione, adeguati strumenti per provvedere, durante questi periodi, all’integrazione delle proprie conoscenze e al proprio rilancio nel mondo del lavoro.

6 - Accanto ai servizi compresi nell’università, la formazione complessiva del giovane, anche non

studente, non può prescindere dalle opportunità di formazione extra-universitarie. Il diritto allo studio,

come ricordato, è relativo non solo alle competenze necessarie alla produzione, ma comprende

l’educazione del cittadino e la promozione della persona umana.

Il giovane costruisce la sua formazione soprattutto lontano dai banchi: è perciò necessario garantire

a tutti la possibilità di accedere alle iniziative formative e culturali presenti sul territorio e sui media.

- Lo status di studente va in questo caso inteso nel senso più esteso possibile: tutti i giovani sotto i 25 anni devono poter essere considerati studenti a questo fine. A tale status devono corrispondere facilitazioni per mostre, musei, gallerie, convegni, seminari, cinema, teatro, concerti. Tali facilitazioni possono consistere in sconti sulle entrate, sconti sugli abbonamenti, previsione di giornate a entrata libera, abbinamento tra attività culturali e attività ricreative. Per la documentazione dello status di studente non c’è bisogno, sul territorio nazionale, per i giovani italiani e stranieri, di un apposito documento: la carta d’identità è sufficiente per dimostrare di avere meno di 25 anni. È, comunque, necessario fornire i giovani di una carta dello studente per consentire loro di usufruire dei benefici riservati agli studenti fuori dall’Italia.

7 - Un problema a parte è quello dell’alloggio. Una questione che riguarda in primo luogo gli

studenti fuori sede, ma che coinvolge anche gli altri studenti e i giovani lavoratori. L’alloggio è, infatti, il

principale ostacolo per i giovani che desiderano costruirsi un percorso al di fuori del nucleo familiare. Tale

scelta è un diritto, e in quanto tale va garantita.

- La soluzione principale è quella del sostegno agli affitti. L’attuale Governo ha operato, con l’eliminazione dell’Ici anche per gli immobili di alto valore, una scelta a favore dei proprietari. Tale scelta andava fatta a favore di chi sta in affitto, soprattutto visto l’abbattimento Ici effettuato per le categorie sociali meno abbienti dal Governo Prodi. Il ripristino dell’Ici sugli immobili di alto valore può finanziare una forma di contribuzione statale e regionale sugli affitti (si tenga presente che l’Ici era una delle poche “tasse federali” presenti nel nostro sistema contributivo), da operare in relazione alla situazione complessiva dell’inquilino, con particolare attenzione all’età. Tale operazione favorisce anche la trasparenza del contratto di affitto, in quanto sarebbe impossibile accedere all’aiuto pubblico in assenza di un regolare contratto.

- Come forma ulteriore, o alternativa, di supporto agli inquilini in affitto sotto i 25 anni, si può pensare ad un censimento dei proprietari disposti ad affittare ai giovani titolari dello status di studente, nel rispetto di determinati standard di prezzo e di trasparenza. Al vantaggio per i giovani, che usufruirebbero di un certo numero di alloggi a prezzo contenuto e della garanzia del controllo pubblico, corrisponderebbero vantaggi fiscali per i proprietari iscritti a tali elenchi.

- Anche in quest’ambito potrebbe operare il sistema del prestito d’onore. I giovani che intendono costruire un percorso di vita autonomo meritano un investimento da parte dello Stato, a patto che si impegnino a risarcire la collettività dell’impegno preso, garantendo così la stessa possibilità alle nuove generazioni.

- Strumento necessario in materia di alloggi resta l’investimento nelle case dello studente. È lo strumento principale di garanzia della mobilità degli studenti, quindi della libertà di scelta del proprio percorso di formazione. Il numero attuale di posti è largamente insufficiente, e anche la qualità degli alloggi è spesso ai limiti dell’agibilità. In questo campo occorre innanzitutto un investimento economico, e quindi la ridefinizione dei criteri di accesso: criterio primario resta il reddito, ma vanno prese in considerazione le necessità curriculari e il rispetto della durata del corso di studio.

9. I MIGRANTI E NOI.

Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri,

allora vi dirò che nel vostro senso io non ho patria e reclamo

il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un

lato e privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia

patria, gli altri i miei stranieri.

Don Lorenzo Milani

9.0 Introduzione.

Negli ultimi anni la società ha subito un’evoluzione che ha visto un progressivo aumento del numero di

studenti che possono essere definiti come “stranieri” ed anche di “seconda generazione”, per questo

motivo il documento che andiamo a presentare ha l’obiettivo di analizzare i temi che nascono da questo

nuovo fenomeno socio-culturale in ambito universitario. Inoltre, il documento ha lo scopo di proporre delle

possibili soluzioni alle nuove problematiche e di cogliere i vantaggi derivanti dalla nuova situazione.

La situazione dell’università italiana attualmente si compone di studenti stranieri comunitari ed extra-

comunitari; studenti di origine straniera, nati in Italia; studenti di origine straniera, immigrati in Italia, ma

che hanno svolto la maggior parte della loro formazione scolastica nel nostro paese; studenti Erasmus che

soggiornano in Italia per 6 mesi od un anno.

9.1 Stato di fatto.

Si può osservare una generale propensione verso studi indirizzati a materie tecnico scientifiche, che sono

considerate capaci di offrire immediati sbocchi lavorativi; tale propensione è probabilmente dovuta alla

combinazione tra attitudini, retaggio culturale e preferenze dello studente e come queste si rapportano con

l’offerta formativa italiana e con le sue caratteristiche.

Il primo punto della nostra analisi è la definizione dei vari tipi di studenti che possono essere definiti come

“stranieri”; di seguito cercheremo di dare una spiegazione su ciò che intendiamo per studenti stranieri

extra-comunitari, studenti stranieri comunitari e studenti di seconda generazione.

Per quanto riguarda gli studenti extra-comunitari, la nostra analisi ha riscontrato una serie di problemi; i più

importanti sono le difficoltà legate alla burocrazia, alla padronanza delle lingua, all’integrazione in un

ambiente socioculturale diverso da quello di origine ed in ultimo i problemi derivanti dalla ricerca di un

alloggio. Tuttavia questo ultimo argomento non sarà oggetto della nostra ricerca in quanto è una questione

più generale che colpisce anche gli studenti fuori sede ed è pertinente all’organizzazione dell’università.

La nostra ricerca, però, non si sofferma propriamente sulle questioni che riguardano i problemi degli

studenti stranieri comunitari, in quanto, sebbene questi vengano a vivere in un paese straniero, non hanno

le medesime difficoltà che possono trovare gli studenti extracomunitari.

Innanzi tutto, la percentuale di studenti comunitari è inferiore, poiché questi scelgono per studiare in Italia

soluzioni come il progetto Erasmus o simili, inoltre non hanno i particolari problemi legati alla burocrazia,

essendo cittadini europei, ed in ultimo vengono a vivere in un paese che ha delle radici culturali simili alle

loro.

Per ciò che concerne gli studenti di seconda di generazione riscontriamo che questi hanno i medesimi

problemi degli studenti extracomunitari, però rispetto a questi ultimi gli studenti di seconda generazione

sono avvantaggiati poiché, vivendo in Italia, conosco il paese e le sue regole e hanno una maggiore

conoscenza della cultura e della lingua.

L’analisi verte su due questioni fondamentali: i problemi degli studenti stranieri ed, ovviamente, le

proposte che gli Studenti Democratici possono offrire alla discussione pubblica e, nello specifico, all’interno

degli atenei romani.

Il primo problema che riscontriamo è la burocrazia. La lentezza della burocrazia, purtroppo triste

caratteristica italiana, si concretizza nella consegna dei permessi di soggiorno già scaduti, provocando disagi

nel quotidiano ed inoltre, fatto ancor più grave, nel non poter godere dei prerogative e diritti derivanti dal

possesso di questo. Nello specifico la situazione creata dalla lentezza burocratica non permette di viaggiare

al di fuori dell’Italia, eccetto se la destinazione è il proprio paese di origine. Un’altra problematica legata

alla burocrazia riguarda la difficoltà dovuta alla scarsa chiarezza sulle lunghe e macchinose procedure. Si

nota, inoltre, che le restrizioni di orario di lavoro, solo venti ore settimanali, imposte dal permesso di

soggiorno per studenti impedisce di mantenersi lavorando durante gli studi. Non bisogna dimenticare come

la conoscenza della lingua italiana influenzi l’approccio alla burocrazia.

Problema, infatti, fondamentale che deve affrontare lo studente straniero riguarda la questione della

lingua; questa problematica non si trova solo nella vita quotidiana creando delle difficoltà nel rapporto con

gli altri, ma si riscontra anche nello studio, generando difficoltà nell’apprendimento ed al momento di

sostenere gli esami di profitto.

9.2 Stato futuro auspicabile.

Riguardo alle difficoltà appena esposte la nostra ricerca cerca anche di dare delle soluzioni possibili che

possano essere attuate dall’università.

Per quel che riguarda la burocrazia, proponiamo di istituire uno sportello che possa aiutare gli studenti

stranieri nell’iter burocratico dando le informazioni necessarie. A nostro avviso lo sportello potrebbe

seguire il modello di quelli già presenti all’interno dell’università, come ad esempio il CIAO. Infatti la

gestione dello sportello potrebbe essere affidata a studenti vincitori di una borsa di studio, adeguatamente

formati e che abbiano opportune conoscenze linguistiche.

La questione della lingua, secondo noi, potrebbe essere risolta inserendo dei corsi di italiano all’interno

delle varie facoltà; ciò potrebbe aiutare, ovviamente, l’apprendimento della lingua, ma anche faciliterebbe

lo studente al momento dello studio e permetterebbe di apprendere e conoscere quei termini tecnici

indispensabili e richiesti dallo studio universitario. Per rispettare le diverse esigenze religiose e culturali, si

chiede l’istituzione di un menù vegetariano in tutte le mense dell’università.

Inoltre, chiediamo anche che l’università metta a disposizione dei luoghi dove sia possibile pregare, come

avviene per il credo cattolico nelle singole cappelle universitarie.

Gli Studenti Democratici di Roma si propongono, quindi, di promuovere attività, eventi e aprire spazi che

possano favorire l’integrazione tra le diverse culture. Nello specifico riteniamo opportuno organizzare

dibattiti e seminari, favorire la presentazione di libri, la visione di filmati e documentari, procedere con

momenti di incontri quali concerti, cene e tornei sportivi.

Infine, crediamo utile costruire all’interno degli atenei uno strumento che renda possibile scambiare le

rispettive conoscenze linguistiche, organizzando gruppi di conversazione in lingua.

10. L’UNIVERSITÀ PRIVATA: UN AMBITO IN ESPANSIONE

Ci sono due cose che non possono essere attaccate

frontalmente: l'ignoranza e la ristrettezza mentale. Le si può

soltanto scuotere con il semplice sviluppo delle qualità

opposte. Non tollerano la discussione.

Lord John Emerich Dalberg Acton

10.0 Le ragioni di una scelta “alternativa”.

La struttura associativa che vogliamo costruire dovrà iniziare a confrontarsi con una realtà che, per motivi

essenzialmente ideologici, viene trascurata da troppo tempo. Sono molti, infatti, gli studenti che scelgono

l’università privata non per una preclusione ideologica nei confronti di quella pubblica, ma semplicemente

perché ne prediligono l’offerta sul piano didattico e organizzativo.

Come Studenti Democratici riteniamo che l’università pubblica sia e debba continuare a rimanere la vera

spina dorsale del sistema universitario italiano e che, in quanto tale, debba essere finalmente messa al

centro di una grande opera di investimenti. Dobbiamo però essere realistici e iniziare a guardare in faccia

alla realtà senza alcun pregiudizio: l’università privata c’è e non è nemica dell’università pubblica. Un

numero sempre maggiore di famiglie che se la può propri figli di terminare velocemente gli studi e accedere

prima al mondo del lavoro. Talvolta, invece, la scelta dell’università privata avviene per la volontà di seguire

corsi di studio maggiormente formativi e maggiormente rispondenti a quelle che sono le richieste delle

imprese. Si decide così a favore di un certo modello didattico e della sua maggiore capacità formativa

rispetto al tipo di mercato del lavoro in cui ci si vorrebbe inserire.

10.1 Lavorare per far crescere tutte le potenzialità.

A Roma la realtà delle università private è particolarmente significativa, prime tra tutte si trovano atenei

quali la Luiss, la Cattolica e la Lumsa che rappresentano realtà con le quali non ci si può non confrontare.

Sarebbe estremamente miope ed imperdonabile pensare di non dare vita in queste università ad una

nostra struttura associativa ritenendo di non trovare una risposta positiva alle nostre istanze e alle nostre

battaglie, soprattutto in quei luoghi dove la nascita del Partito Democratico ha riscosso un grande

interesse.

È giunto dunque il momento di considerare l’università privata non più come un ricettacolo di “figli di papà”, ma come una realtà che integra e completa il sistema universitario italiano e ne copre le carenze, riuscendo a soddisfare meglio le esigenze più specifiche di certe realtà aziendali. Laddove i privati, le aziende e gli imprenditori ritengono di non avere dal sistema universitario pubblico laureati formati

secondo percorsi sufficientemente adeguati alle loro necessità, è giusto, assolutamente legittimo e garantito anche da un punto di vista costituzionale, che si possano organizzare e strutturare realtà formative la cui presenza non fa che arricchire il panorama didattico, formativo e intellettuale dell’intero sistema universitario. Affermare che le università private non dovrebbero esistere o dovrebbero subire una qualche forma di velata discriminazione significherebbe ledere la competitività del nostro paese. Le Libere università, le Università cattoliche, i Politecnici costituiscono un polo di eccellenza in cui non possiamo pensare di non essere presenti.

10.2 Le nostre priorità: diritto allo studio, merito e accesso al mercato del lavoro.

Le forme, i contenuti e le modalità della nostra presenza in questi atenei dovranno essere adeguate al contesto e alla dimensione in cui ci vuole inserire. In questi ambiti i temi su cui dovremo concentrarci saranno quelli del diritto allo studio e dell’accesso, anche da parte dei soggetti privi di mezzi economici sufficienti. Non discriminare le università private significa infatti non discriminare gli studenti che le frequentano. Per questo pensiamo che sia doveroso che uno studente meritevole privo dei mezzi sufficienti possa vedersi garantita la possibilità di raggiungere i livelli più alti degli studi attraverso opportuni strumenti economici. Ciò deve essere garantito sia continuando a permettergli di concorrere all’assegnazione delle borse di studio pubbliche dell’Azienda regionale per il diritto allo studio, sia attraverso altre forme. Riteniamo a tal proposito che anche i privati possano e debbano fare di più. Il merito e la necessità di investirvi il più possibile non può essere solamente professato, ma deve diventare pratica quotidiana a partire dai corsi di studio universitari. Pensiamo pertanto a forme di esonero totale dalle tasse universitarie per alcuni studenti particolarmente meritevoli all’atto della loro iscrizione ad un corso di laurea magistrale, o a forme di esonero parziale per le matricole che si sono diplomate con il massimo dei voti. Solo mostrando un vero investimento economico in politiche meritocratiche a partire dalle università, possiamo sperare che esso divenga pratica concreta anche all’interno del mondo del lavoro. Ed è proprio questo un altro ambito sul quale dobbiamo far sentire la nostra voce. La nostra organizzazione non potrà infatti pianificare campagne sui temi, purtroppo, ormai classici delle disfunzioni del sistema universitario pubblico per rivolgersi a studenti che hanno la fortuna di non viverle. Quando parliamo di università dobbiamo ricordarci che parliamo di un periodo limitato della vita e funzionale ad un altro ben più lungo caratterizzato dalla permanenza nel mondo del lavoro. E’ su questo che dobbiamo concentrarci con grande attenzione, per affermare in modo netto la necessità di un mercato del lavoro molto più meritocratico e competitivo di adesso e che, in quanto tale, dovrebbe essere in grado di assorbire con facilità un buon livello di flessibilità. Un mercato del lavoro che, a differenza di oggi, non sia più tarato in modo categoriale, ma che si rivolga alla singola persona e che, nei momenti di necessità, sia finalmente in grado di assicurarle un buon livello di protezione sociale. È su questi temi che pensiamo debba muoversi la nuova associazione studentesca che andremo a costruire. Una comunità di ragazze e ragazzi con un occhio sempre attento alla realtà e che pensano che l’istruzione, l’impegno e il merito debbano essere sempre pubblicamente valorizzati. Solo così riusciremo a produrre quel dinamismo sociale che permetterà al nostro paese di tornare a correre. Una comunità di persone sempre pronta a vigilare e a farsi valere, per fare in modo che, come si diceva una volta, anche il figlio dell’operaio possa diventare dottore, o, come si dice oggi, che l’ascensore sociale funzioni veramente. È solo con un nostro grande impegno sul fronte della formazione e dell’istruzione che si può sperare di andare oltre alla pura e semplice eguaglianza delle opportunità.

11. I FUORISEDE, UNA REALTA’ DA AFFRONTARE.

Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue

speranze.

Theodor W. Adorno

11.0 Introduzione.

Ogni anno migliaia di studenti, prevalentemente dalle regioni meridionali, decidono di proseguire il

proprio percorso di studi a Roma e presso le sue strutture universitarie, alimentando un gettito economico

non indifferente e accrescendone la dinamicità culturale.

Se dovessimo raccontare la vita di uno studente la potremmo paragonare ad un’incredibile corsa ad

ostacoli. Le difficoltà che si trova ad affrontare sono innumerevoli, ma il nodo principale è il

riconoscimento dei diritti e di uno status particolare, suscettibile di un trattamento specifico 1. In questo

senso ci sono delle necessità sentite unicamente dallo studente fuorisede nel suo vivere in un ambiente

nuovo ed estraneo a quello casalingo.

11.1 Situazione abitativa.

Come già detto precedentemente i problemi sono innumerevoli. Il primo sicuramente è la ricerca di una

dimora. Nelle città universitarie sono innumerevoli gli annunci di affitto a studenti, a prezzi esorbitanti e,

spesso, con accordi verbali non supportati da appositi contratti d’affitto. Oltre ai costi eccessivi e la

mancanza di contratti, gli appartamenti sono spesso privi di qualsiasi standard di igiene e sicurezza.

I proprietari degli immobili sono arrivati a pretendere per una stanza singola anche 600 euro e non meno di

300 euro per un posto letto. Ciò, produce una distorsione nel mercato degli affitti e genera conseguenze sul

rapporto di locazione e sui diritti degli studenti in affitto. L’impossibilità degli studenti di richiamarsi a

qualsiasi clausola o legge che possa tutelarli li pone in una condizione di totale subordinazione, senza né

diritti né garanzie, in mano all’arbitrio del padrone di casa.

Risulta chiaro che la risoluzione definitiva del problema si avrebbe solo con l’attuazione di una seria politica

di riduzione del mercato nero, in un processo di crescente emersione e regolarizzazione degli affitti e dei

rapporti studente - padrone di casa. In questo senso si potrebbe stilare un contratto tipo di locazione

apposito per gli studenti, che metta insieme le esigenze minime per assicurare gli studenti, da una parte, e

le necessità dei padroni di casa dall’altra.

A riguardo, la proposta che avanzano gli Studenti Democratici di Roma è duplice: da una parte crediamo sia

necessaria una politica nazionale che intervenga sugli affitti e a sostegno sia delle giovani coppie sia degli

studenti aprendo un fondo nel bilancio statale che incentivi i proprietari attraverso un sistema di sgravi

fiscali; dall’altra, una maggiore attenzione al tema da parte del Comune di Roma e degli enti pianificatori

al fine di programmare un maggior numero di alloggi convenzionati e a canone equo.

1 A questo proposito si veda il capitolo 8. Il welfare dell’inserimento ed il diritto allo studio.

Il combinato disposto delle nostre proposte crediamo sia utile anche per favorire una forte emersione del

“nero” e l’aumento del gettito fiscale, un progressivo miglioramento della qualità degli immobili locati e un

certo ridimensionamento dei prezzi complessivi d’affitto.

11.2 Spostarsi a Roma.

Problema a parte, e non meno importante, è quello dei trasporti pubblici. Sono noti a tutti i disagi della

mobilità nella città di Roma, che investe non solo lo studente fuorisede e lo studente romano, ma anche il

lavoratore costretto all’uso dell’automobile per la scarsa qualità del servizio pubblico. Il territorio del

comune è il più grande d’Europa in quanto ad estensione e vi è un’oggettiva difficoltà a far fronte alla

numerosa domanda dell’utenza. Tuttavia ciò non può rappresentare un alibi per non evitare la questione.

L’utente si confronta giornalmente con l’inadeguatezza del servizio e con la mancanza di una pianificazione

che possa risolvere una situazione che ogni giorno diventa sempre più insostenibile.

Negli anni vi sono state innumerevoli iniziative aventi l’obiettivo di estendere l’abbonamento mensile

agevolato anche agli studenti non residenti, che purtroppo non hanno arrecato l’esito desiderato.

Ribadiamo la nostra domanda di estensione a tutti gli studenti, fuorisede e non, dell’abbonamento ATAC

e COTRAL agevolato. Analogamente riteniamo essenziale il potenziamento delle linee dirette alle varie

università romane e aumentando i collegamenti fra le sedi periferiche e centrali.

11.3 Le nostre proposte.

Per quanto riguarda l’erogazione di servizi aggiuntivi e specifici, come già detto prima, si deve procedere

all’ottenimento ed il riconoscimento dello status di studente. Per gli studenti fuorisede tale status

comporterebbe una serie di agevolazioni: una carta convenzionata con i settori più diversificati come

librerie, cinema, teatri, agevolazioni sui trasporti, palestre con vantaggi che nel caso degli studenti

fuorisede potrebbero tradursi anche in convenzioni sulle spese alimentari.

Un servizio utile per gli studenti, che le istituzioni potrebbero realizzare, è quello di uno specifico sportello

informativo, sulle offerte di ogni quartiere, sui costi, sui trasporti: spesso lo studente arriva a Roma da solo

e aiutarlo nelle prime scelte potrebbe costituire un servizio utile.

Tale sportello potrebbe rappresentare un punto di riferimento anche successivamente: punti di forza

potrebbero essere l’assistenza legale, assistenza sanitaria con eventuale iscrizione all’ASL e indicazione dei

medici generici presenti sul territorio.

Da soli, probabilmente, non possiamo ottenere un risultato tangibile ed è evidente che il fenomeno non

può e non deve essere spezzettato in tanti frammenti. L’idea è quella di immaginare una piattaforma

comune da sviluppare a tutti i livelli raccogliendo anche l’interesse della popolazione romana, di cui

abbiamo estrema necessità.

Non ci sarà possibilità di miglioramento se non nel reciproco riconoscimento delle diverse parti in causa.

Proprio per questo il nostro compito è quello di effettuare una svolta, verso il dialogo, verso l’attenzione,

verso la consapevolezza, prendendoci carico di un necessario sforzo di elaborazione e di organizzazione.

Una città come Roma non può certo permettersi di dimenticare questo gran numero di giovani, i loro diritti,

i loro bisogni.

12. LA COMUNICAZIONE UNIVERSITARIA.

La verità che rende gli uomini liberi risulta essere nella

maggior parte dei casi la verità che gli uomini non vogliono

ascoltare.

Herbert Agar

12.0 Introduzione.

La recente campagna elettorale per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti ha segnato un profondo solco

rispetto al passato per il grande cambiamento globale e per il definitivo accantonamento delle dottrine

politiche neoconservatrici dell’America del nord. Nell’elezione di Obama vi è la presenza di una scelta

condivisa dal mondo intero: una scelta corsa per le autostrade della rete, per le immagini pop trasmesse dai

grandi canali dell’informazione mondiale, per l’interesse suscitato dal nuovo presidente che ha scatenato

autentici tormentoni mediatici.

I grandi eventi del nuovo millennio hanno come minimo comune denominatore la rete. I giochi olimpici, i

programmi televisivi, il cinema, i momenti drammatici (come le immagini delle vittime di attacchi

terroristici o i combattimenti nel Medio Oriente e in Afghanistan): tutto viene trasmesso ad un' unica,

grande platea mondiale.

Così, anche la comunicazione politica ha assunto un ruolo fondamentale ad ogni livello, da quello nazionale

fino alle più piccole amministrazioni locali. I politici, i partiti, le associazioni scolastiche e universitarie, i

sindacati: ciascuno di questi esige una propria identità differenziandosi nei mezzi e nelle forme

comunicative.

12.1 Come agire.

La semplice comunicazione cartacea (manifesti, volantini) non basta più. Ora per veicolare il proprio

pensiero è necessario interagire con l’utente finale. E’ questo il motivo che ha permesso nella

comunicazione politica lo spopolare dei social network e della blogosfera. E' necessario entrare in contatto

con l’elettore o con il militante attraverso un “click”, aggiornare continuamente le proprie posizioni su

tematiche specifiche e discuterne in tempo reale.

L’evoluzione dei sistemi mediatici si è ormai declinata dalla dimensione di mass media a quella di personal

media. Le applicazioni tecnologiche sono ormai orientate al soddisfacimento di una nuova frontiera della

comunicazione: garantire le potenzialità di accesso a tutti i contenuti della conoscenza e dell’informazione

e insieme consentire un godimento in forma autonoma sul piano spaziale e temporale.

Il rischio è che si fondi un nuovo modello di comunicazione accessibile a pochi. Il nostro compito è quello di

evitare una nuova discriminazione, spetta a noi quindi entrare in contatto con i nostri coetanei,

specialmente in un sistema come quello universitario ricco di contraddizioni in termini di accessibilità delle

risorse.

La nostra generazione è sottoposta ad un flusso di informazioni e messaggi senza precedenti, è compito

nostro e della politica selezionarle ed adoperarle nel migliore dei modi.

La comunicazione multimediale e quella cartacea, dunque, non si escludono a vicenda e insieme non

devono essere sostitutive della comunicazione verbale. Quest'ultima rimane la forma più completa e

immediata di divulgazione e di confronto. Il “volantino” ha infatti il grande limite del pubblico (variegato ma

ristretto). Il web ha il limite della necessaria sinteticità. La parola ha il limite dello spazio e del tempo.

Una corretta comunicazione consta, quindi, di quattro fasi: una prima fase verbale dove si trovano i

contenuti (impossibile con le altre due forme); una seconda di divulgazione attraverso la carta e il web; una

terza di interazione dove chiunque possa dire la propria e, infine, una quarta fase verbale consistente nel

“tirare le somme”.

Solo rispettando queste quattro fasi si potrà avere una comunicazione completa e partecipata, dove tutti

contano e dove chiunque può integrare i contenuti su tematiche realmente condivise. Solo questo è un

comunicare democratico.

13. APPENDICE STATISTICA.

Guarda lo zero non vedrai nulla, guarda attraverso lo zero

vedrai l’infinito.

Robert Kaplan

13.0 La laurea.

Situazione occupazionale dei laureati specialistici a 1 anno dalla laurea.

Gruppo disciplinare Professioni Lavorano

(%) Efficacia

Stipendio mensile medio (€)

Professioni sanitarie Infermiere specializzato, ostetrica/o, tecnico della riabilitazione, esperto nella prevenzione sanitaria.

97,7 79,9 1530

Medico Medici senza specializzazione, odontoiatri.

82,0 98,1 1286

Ingegneria Ingegnere aerospaziale, biomedico, chimico, elettronico, navale.

77,8 93,5 1321

Architettura Architetto, ingegnere civile e ambientale.

77,7 93,5 951

Insegnamento Insegnante, pedagogo. 77,4 77,5 995

Educazione fisica Insegnante, istruttore, manager di aziende sportive.

73,9 77,8 929

Economico-statistico Economista, statistico, demografo.

73,1 89,1 1323

Politico-sociale Sociologo, pubblicitario, esperto in relazioni internazionali, redattore editoriale, esperto in cooperazione e sviluppo.

65,9 73,7 1136

Linguistico Interprete, traduttore. 65,8 77,1 1023

Agrario Agronomo, forestale, esperto agroalimentare e zootecnico, veterinario.

62,3 85,5 1055

Scientifico Fisico, informatico, 55,2 85,9 1190

2

Gruppo disciplinare Professioni Lavorano

(%) Efficacia

Stipendio mensile medio (€)

matematico.

Letterario Archeologo, archivista, storico, antropologo, filosofo, filologo.

52,0 71,2 856

Psicologico Psicologo. 46,8 71,7 763

Chimico-farmaceutico

Farmacista, chimico industriale, chimico.

38,0 – 69,3 85,4 1162

Geo-biologico Geologo, biologo, biotecnologo, geografo.

35,5 79,9 968

Giuridico Notaio, magistrato, avvocato. 23,9 79,3 1060

Elaborazione dati a cura della Galileo Servizi Editoriali.

Situazione occupazionale dei laureati di primo livello a 1 anno dalla laurea.

Gruppo disciplinare Professioni* Lavorano

(%)

Lavorano e sono iscritti

alla specialistica

(%)

Stipendio mensile

medio (€)

Medico-sanitario Infermiere, infermiere pediatrico, ostetrica/o, educatore professionale, fisioterapista, logopedista, assistente in oftalmologia, podologo, tecnico della riabilitazione psichiatrica, terapista della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva, terapista occupazionale, dietista, igienista dentale, tecnico audioprotesista, tecnico ortopedico, tecnico sanitario di laboratorio biomedico, tecnico sanitario di radiologia medica, assistente sanitario, tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro.

84,4 2,5 1304

Educazione fisica Insegnante di educazione fisica (previa abilitazione), istruttore, operatore della riattivazione motoria, esperto di sicurezza delle strutture sportive.

41,4 28,1 732

Insegnamento Educatore professionale, socio-sanitario, di comunità infantili, animatore culturale, formatore aziendale, operatore interculturale.

42,3 21,1 922

Politico-sociale Giornalista, PR, regista multimediale, webmaster, redattore editoriale, esperto in cooperazione allo sviluppo,

30,9 18,3 1014

3

Gruppo disciplinare Professioni* Lavorano

(%)

Lavorano e sono iscritti

alla specialistica

(%)

Stipendio mensile

medio (€)

mediatore e conciliatore, giovane funzionario delle organizzazioni internazionali, funzionario della Pubblica amministrazione, esperto di gestione delle risorse umane, funzionario dell’Unione europea, assistente sociale, guida turistica, promotore turistico.

Agrario Agronomo e forestale junior, enologo, tecnologo alimentare, biologo junior, pianificatore junior, zoonomo.

29,5 17,2 957

Chimico-farmaceutico

Informatore scientifico, tecnico del controllo di qualità, tossicologo ambientale, tecnico specializzato nell'alimentazione dietetica, cosmetologo, erborista, chimico junior.

33,1 11,7 930

Scientifico Esperto di diagnostica, tecnico commerciale e tecnico di assistenza, esperto di strumentazione di misure elettroniche, esperto in software per la gestione di reti di calcolatori, progettista di programmi di simulazione del comportamento di sistemi complessi, esperto di tecniche di programmazione multimediali, ingegnere informatico junior, sviluppatore software, esperto di supporti modellistici-matematici, esperto di analisi finanziaria.

30,8 14,0 1009

Linguistico Interprete, traduttore, mediatore linguistico. 28,3 16,4 818

Economico-statistico Statistico, attuario junior, esperto contabile, consulente in proprietà industriale, revisore contabile, economista, economista del territorio, operatore nel settore turistico e dei servizi.

25,7 17,7 1088

Letterario Esperto di caratterizzazione dei materiali e individuazione dei processi di degrado, tecnico di controlli ambientali in ambito di musei e parchi archeologici, tecnico di elaborazione dei dati e gestione di sistemi informatici museali, archivista, bibliotecario, storico dell'arte, restauratore, manager culturale.

20,0 20,7 737

Psicologico Dottore in tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro, dottore in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità.

13,6 26,8 869

Architettura Architetto junior, ingegnere civile e ambientale junior, esperto dei processi

22,1 16,0 799

4

Gruppo disciplinare Professioni* Lavorano

(%)

Lavorano e sono iscritti

alla specialistica

(%)

Stipendio mensile

medio (€)

edilizi, esperto di organizzazione del paesaggio, esperto della conservazione dei beni architettonici e ambientali, product design, interior design, visual design, fashion design, pianificatore junior, esperto di sistemi informativi territoriali.

Giuridico Consulente del lavoro, giurista d’impresa, operatore giudiziario, esperto in relazioni sindacali.

17,5 19,9 1095

Ingegneria Ingegnere industriale junior, ingegnere dell'informazione junior.

16,7 13,5 1016

Geo-biologico Biologo junior, biotecnologo agrario, geologo junior, geografo, analista del territorio, mediatore territoriale, promotore turistico.

11,8 13,5 748

Fonte: elaborazione Espresso su dati Almalaurea e MIUR * a titolo di esempio (26 Maggio 2009).

Quota di laureati sulle assunzioni programmate di figure high skill per famiglia professionale di

appartenenza (2008).

Famiglie di professioni high skill Quota laureati (%)

Servizi socio-sanitari 91,9

Istruzione, formazione, risorse umane 84,4

Efficienza dei processi produttivi e gestionale (ICT) 62,5

Core business produttivo 51,8

Marketing e Comunicazione, commerciale 43,0

Progettazione e design 38,3

Approvvigionamento beni/servizi e gestione magazzino

26,3

Gestione, amministrazione e controllo 24,4

Cultura, spettacolo e sport 17,1

Totale assunzioni high skill 45,4

Rapporto UNIONCAMERE 2009.

5

13. 2 Il valore del master.

Tasso occupazionale a cinque anni dalla laurea.

Formazione post-laurea Tasso occupazionale

Master di primo livello 84%

Master di secondo livello 86%

Nessun tipo di master 85%

Stabilità occupazionale a cinque anni dalla laurea.

Formazione post laurea Percentuale occupati stabili

Master di primo livello 60%

Master di secondo livello 61%

Altro tipo di master 66%

Nessun tipo di master 73%

Guadagno mensile a cinque anni dalla laurea.

Formazione post laurea Guadagno medio mensile in euro

Master di primo livello 1302

Master di secondo livello 1350

Altro tipo di master 1376

Nessun tipo di master 1343

Fonte: Rapporto Almalaurea 2007 sulla condizione occupazionale dei laureati.

Iscritti a master di I e II livello A.A. 2001/2002 – 2005/2006.

Anni Accademici Master di primo livello Master di secondo livello totale

2001/02 3369 2324 5693

2002/03 8872 7101 15.973

2003/04 13009 10.347 23356

2004/05 13615 12.592 26207

2005/06 16083 21.215 37298

6

Fonte: MIUR – Ufficio di statistica.

Iscritti ai master di I e II livello per facoltà A.A 2005/2006.

Facoltà Maser I e II livello

Medicina e chirurgia 5436

Scienze della formazione 4747

Lettere e filosofia 5167

Economia 3789

Giurisprudenza 2373

Scienze politiche 1468

Ingegneria 1889

Scienze matematiche, fisiche e naturali 1068

Scienze e tecnologie 1160

Psicologia 634

Architettura 846

Farmacia 406

Lingua e letterature straniere 430

Agraria 313

Scienze della comunicazione e dello spettacolo 306

Sociologia 222

Medicina veterinaria 175

Altro 6897

Totale 37298

Fonte: MIUR – Ufficio di statistica.

13.3 Occupazione e stipendio.

Occupati a 1 anno (12-18 mesi) dalla laurea di primo livello, atenei a confronto per gruppo disciplinare.

Professioni sanitarie.

7

Università Occupazione (%) Stipendio

Cagliari 98,2 1456

Insubria 96,6 n.p.

Udine 96,1 1305

Milano Bicocca 95,7 n.p.

Padova 95,6 1396

Educazione fisica.

Università Occupazione (%) Stipendio

Genova 87,5 786

Roma Foro Italico 87,4 747

Verona 87,2 878

Bologna 84,8 751

Udine 83,3 773

Insegnamento.

Università Occupazione (%) Stipendio

Università Cattolica 93,7 n.p.

Torino 88,7 1005

Verona 85 911

Bolzano 83,9 1202

Bergamo 83,8 n.p.

Politiche sociali.

Università Occupazione (%) Stipendio

Perugia stranieri 74,0 1347

Venezia Ca’ Foscari 73,5 862

Cattolica 72,9 n.p.

Modena e Reggio Emilia

71,6 1161

Piemonte Orientale 70,5 963

8

Agrario.

Università Occupazione (%) Stipendio

Cattolica 68,2 n.p.

Udine 62,8 987

Firenze 55,0 923

Bologna 53,9 1001

Padova 53,9 969

Nota: non sono stati considerati atenei con meno di 30 intervistati. Fonte: elaborazione L'Espresso su dati Almalaurea (laureati 2007, rilevati a 12 mesi), Cilea (laureati 2006, rilevati a 12-18 mesi).

Occupati a 1 anno (12-18 mesi) dalla laurea specialistica, atenei a confronto per gruppo disciplinare.

Ingegneria (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Ingegneria, Agraria, Medicina e

Chirurgia, SMFN, scuola di ingegneria aerospaziale).

Università Lavorano (%) Stipendio medio mensile €

Bergamo 92,6 n.p.

Politecnico Milano 90,0 1402 (M), 1326 (F)*

Pavia 88,7 n.p.

Ferrara 86,8 1250

Modena e Reggio Emilia 86,5 1319

Pisa 86,1 n.p.

Brescia 85,9 n.p.

Udine 82,9 1332

Bologna 82,5 1347

Parma 82,2 1385

*dati disponibili solo per genere.

Architettura (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Architettura, Ingegneria, Agraria, Design e arti, Scienze della formazione).

9

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Padova 92,3 934

Parma 88,0 1004

Pavia (ciclo unico) 87,5 n.p.

Politecnico Milano* 87,0 1126 (M), 1023 (F)**

Genova (ciclo unico) 85,7 893

Venezia IUAV 85,1 948

Genova 84,2 1159

Firenze (ciclo unico) 83,3 814

Bologna (ciclo unico) 82,0 911

Roma Tre 77,8 1066

* solo i dati della Facoltà di Architettura. ** *dati disponibili solo per genere.

Insegnamento (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Lettere e Filosofia e Scienze della formazione).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Cattolica 89,7 n.p.

Roma Tre 87,3 1171

Torino 87,1 1059

Padova 84,2 1079

Bologna 79,1 866

Messina 67,4 958

Bari 64,8 728

Cassino 63,3 987

Educazione fisica (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Medicina e Chirurgia, Scienze motorie, Scienze dell'educazione motoria).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Verona 90,0 1033

10

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Torino 83,3 907

Roma Foro Italico 82,2 829

Firenze 80,6 1047

Cassino 64,7 1023

Perugia 63,9 629

Economico-statistico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Economia, Giurisprudenza, Scienze manageriali, Scienze politiche, Scienze statistiche).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Tuscia (Viterbo) 97,0 1571

Pavia 93,3 n.p.

Brescia 92,9 n.p.

Cattolica 92,2 n.p.

Bicocca 92,1 n.p.

Bocconi 91,3 1533

LUISS Guido Carli* 86,2 1380**

Piemonte Orientale 83,0 1225

LIUC C. Cattaneo – Castellanza 81,9 1343

Udine 80,3 1221

*sole lauree quadriennali (vecchio ordinamento). ** media di ateneo.

Politico-sociale (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Conservazione dei beni culturali, Economia, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Lingue e letterature straniere, Scienze della comunicazione, Scienze della formazione, Scienze politiche, SMFN, Scienze manageriali, Medicina e Chirurgia).

11

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Cattolica 93,6 n.p.

Catania 87,1 1703

Milano 86,9 n.p.

Modena e Reggio Emilia 85,9 1180

Catanzaro 84,9 1258

Bicocca 84,1 n.p.

Chieti e Pescara 83,3 1350

Genova 78,7 1153

Parma 77,8 1102

Cassino 75,6 1026

Linguistico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e letterature straniere, Scienze politiche, Scienze umanistiche, Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori, Studi orientali).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Cattolica 87,0 n.p.

Modena e Reggio Emilia 82,3 1165

Padova 82,1 957

Bologna 80,9 1045

Genova 80,6 1161

Trieste 77,8 1063

Udine 77,1 1119

Torino 72,7 1118

Milano 65,4 n.p.

Venezia Ca' Foscari 65,0 992

12

Agrario (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Agraria, Medicina Veterinaria).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Parma 80,0 1090

Milano (ciclo unico) 78,9 n.p.

Firenze 77,8 1104

Milano 76,6 n.p.

Padova 75,9 1134

Torino 67,7 1098

Torino (ciclo unico) 66,7 624

Parma (ciclo unico) 61,0 769

Bologna (ciclo unico) 60,4 713

Bologna 60,0 1039

Scientifico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze e tecnologie, Scienze e tecnologie informatiche, SMFN).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Udine 84,6 1266

Bicocca 80,7 n.p.

Venezia Ca' Foscari 80,6 1303

Bari 79,1 1066

Milano 74,7 n.p.

Verona 67,6 1296

Pisa 67,4 n.p.

L'Aquila 66,2 1203

Trento 60,4 1084

Bologna 60,0 1154

13

Letterario (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Lettere e Filosofia, Architettura, Conservazione dei beni culturali, Scienze della formazione, Scienze della comunicazione, Scienze politiche, Lingue e letterature straniere, SMFN).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Cattolica 89,3 n.p.

Milano 70,2 n.p.

Venezia Ca' Foscari 68,7 999

Milano IULM 66,7 891

Pavia 62,5 n.p.

Genova 60,3 884

Verona 60,0 837

Torino 58,8 902

Padova 58,6 893

Firenze 53,7 879

Psicologico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Psicologia, Scienze cognitive, Scienze della formazione)

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Cattolica 77,3 n.p.

Genova 73,2 815

Pavia 71,0 n.p.

Trieste 61,2 832

Torino 59,1 874

Parma 59,0 689

Bicocca 56,5 n.p.

Bologna 54,8 793

Roma Sapienza 50,9 684

Padova 50,3 656

Chimico-farmaceutico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Chimica industriale, Scienze e tecnologie, SMFN, Farmacia).

14

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Pavia (ciclo unico) 92,8 n.p.

Milano 89,0 n.p.

Palermo (ciclo unico) 86,0 n.p.

Torino (ciclo unico) 85,2 1240

Camerino (ciclo unico) 82,3 1216

Pavia 81,7 n.p.

Firenze (ciclo unico) 78,0 1255

Pisa (ciclo unico) 77,1 n.p.

Padova (ciclo unico) 76,6 1257

Ferrara (ciclo unico) 75,9 1106

Geo-biologico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Agraria, Biotecnologie, Farmacia, Medicina e Chirurgia, Medicina Veterinaria, SMFN, Scienze della formazione, Lettere e Filosofia).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Milano 73,6 n.p.

Bicocca 73,2 n.p.

Pavia 65,4 n.p.

Pisa 62,9 n.p.

Milano San Raffaele 51,4 1112

Ferrara 46,2 986

Piemonte Orientale 44,6 1084

Modena e Reggio Emilia 43,1 1009

Parma 42,9 1107

Napoli Federico II 42,8 n.p.

Giuridico (al gruppo afferiscono classi di laurea attivati nelle facoltà di Economia e Giurisprudenza).

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Bocconi 84,7 1127

15

Università Lavorano(%) Stipendio medio mensile €

Bicocca 82,6 n.p.

Milano 64,4 n.p.

Sassari 60,9 1609

LUISS Guido Carli* 50,2 1380**

Napoli Federico II 44,4 n.p.

Piemonte Orientale 43,3 1486

Brescia 40,0 n.p.

Modena e Reggio Emilia 33,3 1126

Pisa 32,5 n.p.

*sole lauree quadriennali (vecchio ordinamento).

** media di ateneo Nota: non sono stati considerati atenei con facoltà con meno di 30 intervistati Fonte: elaborazione L'Espresso su dati Almalaurea (laureati 2007, rilevati a 12 mesi), Cilea (laureati 2006, rilevati a 12 -18 mesi), Università Bocconi (laureati 2007, rilevati a circa12 mesi), Politecnico di Milano (laureati 2007, rilevati a 12 -18 mesi), LUISS Guido Carli (2007, rilevati a 12 mesi).

Occupati a 1 anno (12-18 mesi) dalla laurea specialistica a ciclo unico, atenei a confronto per gruppo

disciplinare.

Medico (Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria e protesi dentaria).

Università Lavorano o formazione retribuita (%) Stipendio medio mensile €

Brescia 97,8 n.p.

Insubria 96,6 n.p.

Piemonte Orientale 95,1 1421

Modena e Reggio 94,0 1350

Verona 93,6 1284

Bicocca 93,5 n.p.

Sassari 93,3 1483

Catanzaro 93,0 1458

Napoli Federico II 90,1 n.p.

Milano 89,6 n.p.

Nota: non sono stati considerati atenei con facoltà con meno di 30 intervistati. Fonte: elaborazione L'Espresso su dati Almalaurea (laureati 2007, rilevati a 12 mesi), Cilea (laureati 2006, rilevati a 12-18 mesi).

16

Occupati a 1 anno (12-18 mesi) dalla laurea specialistica a ciclo unico, atenei a confronto per gruppo

disciplinare.

Medico (Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria e protesi dentaria).

Università Lavorano o formazione retribuita (%) Stipendio medio mensile €

Brescia 97,8 n.p.

Insubria 96,6 n.p.

Piemonte Orientale 95,1 1421

Modena e Reggio 94,0 1350

Verona 93,6 1284

Bicocca 93,5 n.p.

Sassari 93,3 1483

Catanzaro 93,0 1458

Napoli Federico II 90,1 n.p.

Milano 89,6 n.p.

Nota: non sono stati considerati atenei con facoltà con meno di 30 intervistati. Fonte: elaborazione L'Espresso su dati Almalaurea (laureati 2007, rilevati a 12 mesi), Cilea (laureati 2006, rilevati a 12-18 mesi).