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STEFANO ZAMBONI

La rinnovata concezione dellapace nella Pacem in terris

L’enciclica Pacem in terris costituisce senz’altro il compimen-to del pontificato giovanneo che si sarebbe concluso di lì a poco.Al suo apparire, è stata percepita come una grande novità, sia peril balzo in avanti nella tradizione del pensiero cattolico, sia perchési presentava come una risposta alle attese dell’umanità che lan-guiva nel clima di un conflitto, di una fortissima tensione tramondo occidentale e mondo orientale.

Ma qual è la concezione della pace che l’enciclica veicola?Perché è stata percepita come una radicale novità? Senz’altro aquesta percezione ha contribuito molto il clima storico in cui èstata elaborata,1 ma si può anche trovare, nella sua struttura e ar-gomentazione, una nuova concezione della pace. Non c’è dubbioche l’impianto teoretico del documento sia molto classico, eppu-re c’è un dinamismo che vale la pena di sottolineare, a partire dadue poli complementari, che si potrebbero definire rispettivamen-te nei termini di «ordine» e «fecondità».2

UNA CONVIVENZA ORDINATA

«La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti itempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto

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RTM (2013)179, 319-326

Stefano Zamboni, docente di etica teologica all’Accademia Alfonsiana e allaPontificia Facoltà Teologica Marianum; direttore della Rivista di Teologia Morale.

1 Per un’attenta ricostruzione storica, cf. A. MELLONI, Pacem in terris. Storia del-l’ultima enciclica di Papa Giovanni, Laterza, Roma-Bari 2010.

2 Per una considerazione più approfondita sui fondamenti teologici dell’eticadella pace, mi permetto di rimandare al mio intervento «Linee di teologia ed eticadella pace», in Rivista di Teologia Morale 44(2012)174, 193-199.

dell’ordine stabilito da Dio»:3 è l’incipit dell’enciclica. È un’afferma-zione perentoria che connette, in modo strettissimo, l’anelito delcuore umano e l’ordine stabilito da Dio: solo nell’intima unione fraquesti due aspetti si può auspicabilmente realizzare la pace in terra.La Gaudium et spes, ponendosi in questa scia, afferma che la pace«non è la semplice assenza della guerra», è invece «frutto dell’ordi-ne impresso nella società umana dal suo divino Fondatore».4

Ora, il concetto di ordine richiama Agostino; è lui che defini-sce la pace come tranquillitas ordinis, la concordia come confor-mità all’ordine che assegna a ciascuno il suo posto.5 Si tratta, spie-ga l’enciclica, di un «ordine che la coscienza rivela e ingiunge pe-rentoriamente di seguire»6 e così emerge chiaramente che non èquestione di un ordine cosmico, meccanico, governato da ferreeleggi matematiche, ma dell’ordo che Dio scrive nella «natura uma-na»,7 nell’intimo della sua «coscienza».8

È importante evidenziare questo dato, perché se l’enciclica siesprime in termini molto classici, contiene però anche l’idea chel’essere umano non debba semplicemente obbedire a un ordineprefissato, ma possa contribuire a edificarlo, a costituirlo median-te il suo apporto personale.9 In altre parole, la polis non può esse-

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3 PT 1: EV 2/1.4 GS 78: EV 1/1587.5 Cf. AGOSTINO, La città di Dio, XIX, 13, 1: «[…] la pace degli uomini è l’ordi-

nata concordia, la pace della casa è l’ordinata concordia del comandare e obbedired’individui che in essa vivono insieme, la pace dello Stato è l’ordinata concordia delcomandare e obbedire dei cittadini, la pace della città celeste è l’unione sommamen-te ordinata e concorde di essere felici di Dio e scambievolmente in Dio, la pace del-l’universo è la tranquillità dell’ordine. L’ordine è l’assetto di cose eguali e disegualiche assegna a ciascuno il proprio posto».

6 PT 3: EV 2/2.7 PT 4: EV 2/2.8 È interessante che Pietro Pavan, che è stato il redattore dell’enciclica giovan-

nea, abbia confidato al segretario del Segretariato per l’unità dei cristiani che nel te-sto dove si legge natura, originariamente c’era conscientia; il cambiamento è stato ap-portato per paura di una qualche forma di soggettivismo: cf. MELLONI, Pacem in ter-ris, 73, nota 43.

9 Secondo M. Toso, nell’enciclica giovannea «l’ordine morale naturale non è unordine solo trovato e da rispecchiare. È un ordine alla cui formazione concorre an-che la ragion pratica (cf ad es. PT 17), come ragione teonoma»: M. TOSO, «L’attua-lità della Pacem in terris», in P. PAVAN, Pace in terra. Commento all’enciclica Pacem interris, Editrice San Liberale, Treviso 2003, 7-51, qui 24, nota 22.

re edificata con una normatività more geometrico deducta, secondoil tentativo politico della modernità; l’umana convivenza, scrivel’enciclica, «deve essere considerata anzitutto come un fatto spiri-tuale».10 Si giunge così alla celebre affermazione secondo cui«l’ordine tra gli esseri umani nella convivenza è di natura morale.Infatti, è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secon-do giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore;esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovie più umani».11

L’affermazione di questi «pilastri» introduce significativi ele-menti di novità, che bene hanno avvertito anche il domenicanoLuigi Ciappi, maestro del Sacro Palazzo, e il gesuita Georges Jar-lot, teologo della Gregoriana, incaricati di redigere dei pareri sul-la bozza di enciclica elaborata da Pietro Pavan.12 Con accenti di-versi, i due teologi hanno rilevato anzitutto il rischio di un «depo-tenziamento» della verità e dei suoi diritti: se si afferma che lapersona umana è un assoluto dotato di dignità inviolabile, ciò por-ta a rompere con lo schema precedente in cui era la verità a esse-re titolare dei diritti, dal momento che, essendo imago Dei, la per-sona umana gode di una dignità anteriore a ogni considerazionedi carattere morale o ideale. Il secondo rischio rilevato è da rinve-nirsi nell’introduzione della libertà come pilastro della pace ac-canto alla verità e non a questa subordinato: nell’enciclica giovan-nea emergerebbe il pericolo di mettere sullo stesso piano verità elibertà, che così potrebbe inclinare verso una certa arbitrarietà.

L’enciclica segue dunque un altro schema, ponendo come fon-damento di questo «ordine» non la verità dei principi, non unapresunta «ideologia» della pace,13 ma l’affermazione della persona

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10 PT 19: EV 2/17. 11 PT 20: EV 2/18.12 Cf. MELLONI, Pacem in terris, 54-78. 13 Cf. B. FORTE, «Cristo nostra pace. Per una teologia cristiana della pace», in

AA. VV., Pacem in terris: impegno permanente. Le comunità cristiane protagoniste di se-gni e gesti di pace, Editrice Monti, Milano 2004, 96: «Qual è il tipo di pace che que-sta utopia della modernità porta con sé? È la pace di un mondo totalmente com-preso e risolto all’interno di una idea: è la pace dell’ideologia, è l’ideologia della pa-ce. Sappiamo bene quanta violenza le ideologie abbiano prodotto, ma non dovrem-mo dimenticare che tutte le ideologie sono nate dall’ambizione di realizzare una pa-ce universale: la pace del proletariato, la pace della giustizia, il sole dell’avvenire. C’è

e della sua inalienabile dignità.14 È bene rilevare che il primatodella persona non contraddice il riferimento a Dio,15 anzi la per-sona gode della sua assolutezza precisamente in quanto è imagoDei. Proprio perché capace di verità, giustizia, amore e libertà, lapersona umana è radicalmente capace di pace: dire «persona» si-gnifica che l’essere umano non è da concepirsi come l’individuoradicale, solitario, individualista della modernità, ma essere-in-re-lazione, naturalmente sociale; la sua libertà è chiamata a declinar-si nei termini della verità responsabile, i suoi diritti sono da ac-compagnare a corrispettivi doveri, la sua coscienza lo apre allagiustizia e alla solidarietà.

Questo è l’ordo di cui parla Giovanni XXIII: non dunque unordine cosmico, impersonale, ma un ordine morale che si radicanel «cuore» della persona; un ordine che permette di costruire lapace proprio in quanto categoria antropologica;16 un ordine capa-ce di valere tanto in rapporto alle relazioni tra gli esseri umani,quanto fra le comunità politiche nella luce del «bene comune uni-versale».

UNA CONVIVENZA FECONDA

«La convivenza fra gli esseri umani, oltre che ordinata, è ne-cessario che sia per essi feconda di bene. Ciò postula che essi rico-

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una sete di pace nell’animo moderno, ma la pace ambita è quella che viene costrui-ta partendo da un modello totalmente ideale che deve applicarsi alla realtà e trasfor-marla».

14 PT 5: EV 2/3: «In una convivenza ordinata e feconda va posto come fonda-mento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intel-ligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturisconoimmediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sonoperciò universali, inviolabili, inalienabili». È bene ricordare che «i diritti naturali te-sté ricordati sono indissolubilmente congiunti, nella stessa persona che ne è il sog-getto, con altrettanti rispettivi doveri; e hanno entrambi nella legge naturale, che liconferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibi-le»: PT 14: EV 2/12.

15 Infatti l’ordine morale «trova il suo oggettivo fondamento nel vero Dio, tra-scendente e personale»: PT 20: EV 2/18.

16 Cf. E. JÜNGEL, L’essenza della pace. La pace come categoria d’antropologia teolo-gica, Morcelliana, Brescia 1984.

noscano e rispettino i loro vicendevoli diritti ed adempiano i ri-spettivi doveri, ma postula pure che collaborino tra loro nelle mil-le forme e gradi che l’incivilimento acconsente, suggerisce, recla-ma ».17

Con questo ci si introduce nel secondo polo di questa rifles-sione: non è sufficiente l’idea di un «ordine» che strutturi la so-cietà, è necessario che la convivenza sia feconda; è necessario, inaltri termini, che questo ordine sia non solo riconosciuto, ma an-che realizzato. Per questo l’enciclica individua almeno tre stru-menti, volti dinamicamente alla realizzazione, anche se certo maidefinitiva, dell’«ordine» fra gli esseri umani e le comunità politi-che.

In primo luogo – ed è uno dei passi più significativi del testo– va evidenziato il riferimento ai segni dei tempi, con i quali Gio-vanni XXIII conclude ogni parte dell’enciclica: per quattro volteil Papa intende scrutare l’orizzonte e cogliere i segni di questo no-stro tempo, secondo l’esortazione di Gesù (cf. Mt 16,2-4; Lc12,54-56). Il tentativo di una «ermeneutica» dei segni, praticatanel vivo della storia, va salutato come felice novità, seppure contutte le incertezze e l’incompiutezza dell’esperimento. Con il ri-corso a questa categoria (che peraltro nell’enciclica non è oggettodi definizione, ma viene data semplicemente per presupposta), ilPapa intende declinare nel concreto della storia l’emergere di quelprofondo anelito che sale dal cuore umano e che è elemento co-stitutivo, come si diceva all’inizio, della pace in terra. In questa li-nea, ad es., il rigetto della guerra quale strumento di giustizia èmotivata dalla sua estraneità all’ordine razionale (alienum a ratio-ne), ma altresì dal particolare contesto storico, con il pericolo diuna guerra atomica, che rende obsoleta la morale classica nella le-gittimazione della «guerra giusta».18

In secondo luogo, va sottolineata la fiducia con la quale Pacemin terris guarda al tema dell’autorità. L’enciclica giovannea rilevache l’autorità «non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di

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17 PT 16: EV 2/14. 18 Cf. l’intervento di L. LORENZETTI in questo forum.

comandare secondo ragione»;19 è dunque una «forza morale»20

che fa appello alla coscienza e trova il suo fondamento nell’auto-rità di Dio di cui partecipa. In quest’ottica, assume il ruolo di gui-da e di garante per il mantenimento dell’ordine e il perseguimen-to del bene comune, che deve essere pensato non in termini idea-li, «dottrinali», ma in riferimento all’individuo, alla sua natura. Daqui l’importanza che assume la proposta di un’autorità mondialeper la promozione della pace, indicazione che è ripresa costante-mente dal magistero successivo.

In terzo luogo, la fecondità di un ordine di pace è data dallapratica del dialogo. Se il perseguimento della pace è fondato sul-l’assoluto della persona, allora c’è sempre la possibilità di dialoga-re con ogni persona. A questo proposito, si ricorda la celeberrimaaffermazione dell’enciclica secondo cui «non si dovrà mai confon-dere l’errore con l’errante […] l’errante è sempre ed anzitutto unessere umano».21 In base a questo si deve sapientemente distin-guere tra «false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il de-stino dell’universo e dell’uomo» e «movimenti storici a finalitàeconomiche, sociali, culturali e politiche»,22 il che consente di in-staurare un dialogo fecondo anche dove le ideologie erigono mu-ri di incomunicabilità: «può verificarsi che un avvicinamento o unincontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fe-condo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani».23

Ermeneutica dei segni, forza dell’autorità, attitudine dialogi-ca: questi momenti scandiscono per l’enciclica una feconda «pras-si» di pace. In tale scia, è da sottolineare l’importanza che Giovan-ni Paolo II, nel ricordare il 40° dell’Enciclica, attribuisce ai gesti dipace.24

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19 PT 27: EV 2/20.20 PT 28: EV 2/20.21 PT 83: EV 2/57.22 PT 84: EV 2/57.23 PT 85: EV 2/57.24 GIOVANNI PAOLO II, «Pacem in terris»: un impegno permanente, Messaggio per

la Giornata mondiale della pace 2003, 9: EV 21/1462: «Strutture e procedure di pa-ce – giuridiche, politiche ed economiche – sono certamente necessarie e fortunata-mente sono spesso presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto della saggezza e del-l’esperienza accumulata lungo la storia mediante innumerevoli gesti di pace, posti da

UNA «UTOPIA IN CAMMINO»

Joseph Ratzinger, commemorando la figura di Pietro Pavan inun intervento presso la sede nazionale delle Acli nel 1999, scriveche non si può accusare la Pacem in terris di ingenuo ottimismo.Si tratta piuttosto di speranza, intesa come «la fiducia che nell’uo-mo l’immagine di Dio non può mai essere totalmente distrutta ela scintilla della luce divina vive nella creatura umana. Questascintilla può far rivivere la recta ratio, la vera ragione dell’uomo epuò far rivivere le esigenze della persona umana».25

È solo partendo da questa visione dell’uomo e della donnache si può edificare la vera pace. La grande scommessa di Pacemin terris, infatti, è proprio nel vedere la pace radicata nel cuoredell’essere umano, antecedentemente (anche se mai separata-mente) dalla sua traduzione politica. Questa infatti può esserecosì descritta: «La pace (prima che una teoria/teorie o elabora-zione intellettuale dei diversi saperi laici e/o religiosi), è un’espe-rienza, la più profonda dell’essere umano e della società: deside-rio e insopprimibile aspirazione dell’animo umano verso unacondizione ideale e totale, mai in pari con la condizione reale; èun bene, il più alto, un diritto, un dovere, un traguardo possibilee realizzabile in terra. In altre parole, l’enciclica non presenta unadottrina della pace dal di fuori (come un corpo estraneo), mapartendo dal soggetto umano e, alla maniera di Pascal e di Ago-stino, gli fa scoprire il senso delle sue aspirazioni e a quale fine loconducono».26

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uomini e donne che hanno saputo sperare senza cedere mai allo scoraggiamento. Ge-sti di pace nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteg-giamenti di pace […]. Gesti di pace sono possibili quando la gente apprezza pienamen-te la dimensione comunitaria della vita […]. Gesti di pace creano una tradizione e unacultura di pace».

25 J. RATZINGER, «Pietro Pavan il mio amico sapiente»: l’intervento, tenuto a Ro-ma il 27 ottobre 1999, si può leggere in http://www.ratzinger.us/modules.php?na-me=News&file=article&sid=185.

26 L. LORENZETTI, «La struttura della “Pacem in terris” (1963-2003). “Se vuoi lapace, costruisci la pace”», in D. ROSATI – D. CARTA, Pacem in terris. La fatica della pa-ce, EDB, Bologna 2003, 41-59, qui 43.

In quest’ottica è stato scritto giustamente che la Pacem in ter-ris è un’«utopia in cammino».27 Non certo nel senso di un sognoimpossibile e ingenuo, ma come autentica profezia che tocca ilcuore, che scuote la coscienza, indicando il traguardo di una con-vivenza ordinata e feconda tra gli esseri umani e i popoli di que-sta terra.

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27 D. CHRISTIANSEN, «Utopia in cammino. Rileggere la Pacem in terris 50 annidopo», in Il Regno-att. (2013)6, 177-183.