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studi culturali - supplementconcetti e pratiche

collana diretta daAlberto Mario Banti, Arnold I. DavidsonVinzia Fiorino, Carlotta Sorbacura editoriale: Marica Setaro

in collaborazione con

Centro Interuniversitario di Storia Culturale Università di Bologna, Padova, Pisa, Venezia

1. Il lungo Ottocento e le sue immagini. Politica, media, spettacolo a cura di Vinzia Fiorino, Gian Luca Fruci, Alessio Petrizzo, 2013, pp. 292

Il lungo Ottocentoe le sue immagini

Politica, media, spettacolo

a cura diVinzia Fiorino, Gian Luca Fruci, Alessio Petrizzo

Edizioni ETS

© Copyright 2013

EDIZIONI ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

[email protected]

DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884673760-1

www.edizioniets.com

Questo volume è stato pubblicato con il contributodel Dipartimento di Civiltà e forme del sapere nel quadro del programma

di assegnazione dei fondi indivisi di Ateneo dell’Università di Pisa

Stamura d’Ancona nel Risorgimento.Un mito neomedievale fra letteratura e pittura

Benedetta Gennaro

1. Donne con le armi

Era una donna Vedova, ma de animo virile chiamata Stamira. Questa con una secure spe-zò dicta botte accendendoli el foco; et con admiratione de tutti non abbandonò l’impresa, fino non vide el foco ben acceso ne li dicti allogiamenti de li inimici.

La storia di Stamura che nel 1173 dà fuoco alle macchine da guerra tedesche viene così rac-contata in volgare dal cronista quattrocentesco Lazzaro de’ Bernabei1; ma è solo nell’Ottocento che le sue gesta, che avevano contribuito alla vittoria della città di Ancona contro l’imperatore Federico Barbarossa, escono dall’ambito della storia comunale picena e iniziano a essere cono-sciute in tutta la penisola italiana2. È allora infatti che patrioti, politici, uomini e donne di lettere attivi nel movimento risorgimentale comprendono l’importanza dell’uso del patrimonio storico e culturale per enfatizzare la comunanza artistica, musicale, letteraria, linguistica degli abitanti della penisola italiana. Negli anni Quaranta si assiste alla proliferazione di iniziative editoriali che hanno come obiettivo quello di “raccontare storie” al popolo perché impari a sentirsi parte di una comunità nazionale che affonda le sue radici nel passato. A questo proposito, Ernest Gellner sostiene che non importa di quali storie si parlasse, purché queste fossero funzionali al progetto nazionalista, mentre Adrian Lyttelton ha posto l’accento su come la scelta di ripren-dere certi episodi del passato piuttosto di altri sia importante da analizzare, perché non tutte le storie sono uguali e non tutte si prestano a essere rilette nello stesso modo3. In questo senso, la scelta di determinati periodi e, al loro interno, di specifici episodi, risponde all’esigenza di coagulare intorno a precisi momenti del passato la sensibilità del pubblico popolare contri-buendo così alla costruzione di un immaginario collettivo. Il fatto che di questo immaginario collettivo facessero parte anche donne in armi è importante per comprendere la posizione ambigua assunta dagli uomini dell’Ottocento nei confronti della partecipazione femminile alla costruzione dello stato unitario.

A livello narrativo e visuale, infatti, la necessità di legittimare il movimento risorgimentale attraverso l’inclusione del maggior numero di persone può portare alla sospensione di divieti e proibizioni dettati dalla codificazione delle differenze di genere. Può accadere, cioè, che si ovvi

1 Cit. in Michele Polverari, Francesco Podesti, Electa, Milano 1996, p. 25. 2 Sebbene le fonti medievali usino l’appellativo di «Stamira», in questo saggio ho scelto di seguire il modo

con cui la donna anconetana fu conosciuta nell’Ottocento, ovvero con l’appellativo di «Stamura». 3 Ernest Gellner, Nazioni e nazionalismo (1983), Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 3-10; Adrian Lyttelton, Cre-

ating a National Past: History, Myth and Image in the Risorgimento, in Albert Russell Ascoli, Krystyna von Henne-berg (a cura di), Making and Remaking Italy. The Cultivation of National Identity around the Risorgimento, Berg, Oxford-New York 2001, pp. 27-28.

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all’imperativo, sempre valido nella vita reale, secondo il quale sono gli uomini a difendere con le armi la patria/casa, mentre alle donne è assegnato il compito di difenderla “passivamente”, senza impegnarsi direttamente nella battaglia, ma offrendo supporto morale ed emotivo, non-ché domestico. Tuttavia l’immagine rimasta di queste donne è prevalentemente quella della madre coraggiosa che sacrifica gli affetti familiari per amor di patria (fig. 1) o di colei che svolge il proprio ruolo di “ausiliaria” all’interno delle mura di casa. Nel dipinto di Odoardo Borrani del 1861 (fig. 2), ad esempio, vediamo una donna intenta a cucire la bandiera tricolore nella sicura quiete dell’ambiente domestico; varianti di questo tema sono le note rappresentazioni delle cucitrici di camicie rosse (fig. 3) o delle confezionatrici di coccarde. Al lavoro femminile per antonomasia viene affidato il compito di cucire l’immagine della nazione: ma anche se sono impegnate in lavori il cui significato e la cui portata valicano le mura dell’oikos, donne come queste non sembrano mettere in discussione il proprio ruolo nella gerarchia della polis.

Rapportata a questo universo iconografico, la traiettoria tracciata dalle rappresentazioni pre- e post-unificazione di una figura come quella di Stamura esemplifica forse più chiara-mente il rapporto che l’universo maschile – sia dei committenti che degli artisti – ha avuto con l’idea assai più dirompente della donna in armi. La partecipazione armata delle donne è talvolta giustificata dall’eccezionalità degli eventi del Risorgimento: in particolare negli anni Quaranta e Cinquanta la donna guerriera viene accolta con maggiore indulgenza e celebrata spesso per il coraggio e l’ardore delle sue gesta; si assiste allora a una tale crescita nella cir-colazione di raffigurazioni che ritraggono donne in armi che

se è vero che l’immagine-simbolo della donna che guida il popolo con la spada sguaina-ta messa in circolo dalla Francia rivoluzionaria è pressoché assente in Italia […], è vero anche che enfatizzare l’estraneità del “genere femminile” alla dimensione armata del ri-scatto della patria costituisce una forzatura indebita e per molti versi fuorviante4.

La maggior parte del materiale iconografico che aveva come soggetto figure femminili in armi riguarda la stampa periodica, satirica in particolare, e il genere delle cartes-de-visite, ovvero di quelle piccole foto-cartoline a uso privato che ritraevano uomini e donne nelle più svariate pose. In alcune di queste immagini viene suggerita la possibilità che le donne possano imbracciare un’arma e usarla per la difesa della patria. Cantiniere e vivandiere che si accompagnavano all’esercito garibaldino o a quello piemontese potevano trovarsi nelle condizioni di imbracciare un’arma e prendere parte al combattimento: un simile episodio è al centro di una litografia a colori del 1859 dal titolo Bersaglieri Creali auf Vorposten fallend, und seine Tochter, in cui la figlia cantiniera si sostituisce al padre bersagliere morente (fig. 4). Non meno interessante risulta una carte-de-visite colorata di volontaria garibaldina del 1866, dove è ritratta una giovane donna in camicia rossa con in mano un fucile, mentre sul retro è appuntata – probabilmente per iniziativa maschile – la dicitura tranquillizzante «vivandiera» (fig. 5)5. Immagini simili circolavano fin dalla vigilia del 1848: sono ormai piuttosto conosciu-te agli storici le rappresentazioni a imitazione di figurini militari che ritraevano donne armate

4 Simonetta Soldani, Il campo dell’onore. Donne e guerra nel Risorgimento italiano, in Mario Isnenghi, Eva Cecchinato (a cura di), Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, UTET, Torino 2008, p. 135.

5 Su questa immagine, si veda Angelica Zazzeri, «Carte-de-visite» di una volontaria garibaldina, in Alberto Mario Banti con la collaborazione di Pietro Finelli, Gian Luca Fruci, Alessio Petrizzo, Angelica Zazzeri (a cura di), Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 358-359. Esiste un’altra immagine ritraente quella che sembra essere la stessa giovane donna: in quest’ul-tima la volontaria/vivandiera viene colta con la mano posata sul calcio della rivoltella, a significare non solo la possibilità, ma piuttosto la certezza che ella userà l’arma (fig. 6).

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di moschetto e pugnale (fig. 7), significativamente addestrate da una concittadina piuttosto che da un uomo, oppure ritratti come quelli di Luigia Battistotti Sassi che si era distinta sulle barricate nella difesa di Milano durante le Cinque giornate, rappresentata con lo schioppo in spalla (fig. 8), per arrivare alle sfilate militari femminili il giorno dell’ingresso di Garibaldi a Napoli nel settembre 1860 (figg. 9-10) e al ritratto di una giovane donna insieme ad altri tre volontari garibaldini, dove la femminilità della donna in armi è fatta salva mediante il vezzo di appuntare dei fiorellini sul cappello (fig. 11)6.

All’indomani dell’unificazione, tuttavia, la patriota in armi inizia a essere rappresentata con più circospezione, rispecchiando così il ripiegamento nel domestico e nel privato a cui le donne italiane vengono esortate dopo il 18617. Un ripiegamento illustrato assai efficacemen-te da una tela di Giuseppe Sciuti del 1877, Le gioie della buona mamma (fig. 12). La donna di Sciuti presta il proprio corpo alla nazione attraverso la maternità: ella segue i progressi nella lettura del figlio più grande facendogli sillabare alcune delle parole chiave del lessico nazional-patriottico come «amore», «patria», «madre», «città» (fig. 13) e allo stesso tempo osserva quello di mezzo che, aiutato da una domestica vestita nei colori della bandiera italia-na, posa il dito su Roma, nuova capitale d’Italia. Non solo fisicamente, con l’allattamento, la donna italiana cresce la prima generazione post-unitaria, ma anche attraverso l’insegnamento è capace di imprimere nei propri figli l’amor di patria. Cinque anni prima, nel 1872, Eugenio Comba ha dato alle stampe un volume celebrativo delle vite femminili illustri: l’autore vi sottolinea che il luogo più consono all’operare femminile è quello domestico e che, tuttavia, è necessario impartire alle donne una giusta educazione che comprenda anche la conoscen-za delle gesta delle loro illustri concittadine. In ordine cronologico il secondo ritratto della serie è dedicato a Stamura e ad Aldruda di Bertinoro, nobildonna romagnola il cui arrivo ad Ancona è fondamentale ai fini della vittoria finale. Le due donne «dimostrarono un coraggio superiore al loro sesso»8: Aldruda, in particolare, è ricordata per la sua eccezionale bellezza e paragonata a Giuditta, eroina biblica salvatrice della patria israelita9. Le gesta delle donne combattenti del Risorgimento, in sostanza, vengono viste o come esempi di comportamento anomalo10 oppure motivate non solo dall’amor di patria, ma da un ben più forte sentimento

6 Sul tema, in relazione alla storia del Risorgimento, si vedano: A. Zazzeri, Donne in armi: immagini e rap-presentazioni nell’Italia del 1848-49, in «Genesis», V (2006), n. 2, pp. 165-188; Stefano Petrungaro, Armate asbur-giche. Sulla militanza armata femminile, in Id. (a cura di), Fratelli di chi. Libertà, uguaglianza e guerra nel Quaran-totto asburgico, Edizioni Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2008, pp. 113-138; S. Soldani, Armi di donne, donne in armi. Saggio iconografico in M. Isnenghi, E. Cecchinato (a cura di), op. cit., pp. 146-155.

7 Cfr. Michela De Giorgio, Le italiane dall’Unità ad oggi. Modelli culturali e comportamenti sociali, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 3-38; Ilaria Porciani, Disciplinamento nazionale e modelli domestici nel lungo Ottocento: Ger-mania e Italia a confronto, in Alberto Mario Banti, Paul Ginsborg (a cura di), Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgi-mento, Einaudi, Torino 2007, pp. 97-126.

8 Eugenio Comba, Donne illustri italiane proposte ad esempio alle giovinette, Favale & Co., Torino 1872, p. 4. L’uso di soffermarsi sull’aspetto fisico delle donne in armi rivela spesso la posizione ideologica dell’autore nei con-fronti delle combattenti. Nell’impossibilità di ridimensionare l’atto violento giustificandolo, per esempio, come motivato da amore coniugale, spesso l’aspetto fisico della donna è descritto in termini poco lusinghieri: il giorna-lista Giuseppe Cesana ricordando una delle eroine delle Cinque giornate di Milano, Luigia Battistotti Sassi, scri-veva: «Deh, fossi tu men forte, e almen più bella!» (Ricordi di un giornalista 1821-1851, Tipografia Bortolotti, Mi-lano 1890, p. 206).

9 Per un’analisi dell’uso della storia e dell’immagine di Giuditta e della sua quasi totale assenza nel discor-so risorgimentale, si veda Paolo Bernardini, Judith in the Italian Unification Process, 1800-1900, in Kevin R. Brine, Elena Ciletti, Henrike Lähnemann (a cura di), The Sword of Judith. Judith Studies across the Disciplines, OpenBook Publishers, Cambridge 2010, pp. 397-410.

10 Si pensi al modo in cui è ricordata un’altra protagonista del Risorgimento, la contessa Maria Martini della Torre: nonostante la partecipazione attiva a molti dei momenti cruciali delle guerre d’indipendenza, la contessa è

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amoroso nei confronti dei loro padri/mariti/figli. Si consegnano così alla posterità medaglioni commemorativi di personaggi femminili esaltati per la loro abnegazione materna e coniugale, che si giudica fondamentale alla fortificazione della popolazione maschile italiana.

Nelle pagine che seguono esaminerò il modo in cui la storia di Stamura d’Ancona è letta nell’Ottocento e mi soffermerò sulle variazioni di tale lettura. Ho scelto di porre al centro del mio discorso la figura di una donna in armi del passato perché trovo interessante il modo in cui essa fu diversamente piegata dalla retorica risorgimentale secondo le necessità dettate da quel «lieux du possible» che è stato il Risorgimento italiano, per dirla con le parole di Arlette Farge e Cécile Dauphin.

Derrière l’universelle domination masculine, des brèches s’entrouvrent à certains mo-ments, des configurations ponctuelles surviennent qui peuvent montrer qu’ont existé et qu’existent des ‘lieux du possible’, des moments spécifiques où se tentent des échappées et où s’inscrivent pour l’histoire des événements non figés, importants pour la mémoire et pour l’avenir, susceptibles de renverser l’ordre qu’on dit immuable des choses11.

Il successo del progetto risorgimentale, infatti, dipende dalla capacità di mobilitazione di tutti i membri della comunità immaginata per renderli parte attiva e integrante di una nazione in armi (fig. 14). I momenti di crisi politica e militare determinati dall’accelerazione degli eventi nel corso del secolo offrono così alle donne italiane spazi inattesi di libertà di movimento, non dissimili da quelli sperimentati durante rivolte e moti di epoche precedenti, nei quali la presenza femminile non solo era tollerata bensì attesa12. Le proteste di popola-zioni affamate guidate da donne sono eventi relativamente comuni in epoca moderna. E la partecipazione delle donne alle rivolte per il pane non è imputabile affatto a una tendenza presunta naturale delle donne a occuparsi della famiglia e degli approvvigionamenti. Come hanno invece dimostrato eloquentemente Arlette Farge, Natalie Zemon Davis e Michelle Perrot, le donne del Medioevo e del Rinascimento non temono di essere coinvolte in fatti d’arme perché il loro status legale rimane alquanto nebuloso e la «sospensione dell’ordine» esercitata in questi momenti di rivolta non minaccia lo status quo ma, piuttosto, sospende temporaneamente l’ordine stabilito (analogamente a quanto avveniva nel periodo di carne-vale, quando alle donne era concesso vestirsi da uomo e viceversa). Le mura cittadine per estensione diventano quelle di casa e, viceversa, quelle domestiche diventano quelle della città, la sovrapposizione tra il dentro e il fuori si rivela fondamentale: la donna che si muove all’interno dello spazio urbano pare più facile da controllare e da “riportare all’ordine”, una volta passata l’emergenza. Più difficile diventa riassorbire l’azione della donna in armi sul campo di battaglia extra-urbano: la sua scelta di unirsi alle truppe è giudicata incomprensi-bile, innaturale, pericolosa e ai limiti dell’aberrante.

per lo più descritta come una personalità instabile e fanatica, poco affidabile e ai limiti della follia. Si vedano, in particolare: Carlo Pagani, Uomini e cose in Milano dal marzo all’agosto del 1848, Editore Cogliati, Milano 1906 e Antonietta Drago, Donne e amori del Risorgimento, Aldo Palazzi, Milano 1960.

11 Cécile Dauphin, Arlette Farge, Introduction, in Ead. (a cura di), De la violence et des femmes, Albin Michel, Paris 1997, pp. 13-14.

12 A. Farge, Protesters Plain to See, in Nathalie Zemon Davis, Arlette Farge (a cura di), A History of Women in the West. Renaissance and Enlightenment Paradoxes, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambrid-ge 1993, pp. 489-505. In un interstizio di libertà inattesa, si colloca, non a caso, anche l’intensa e variegata mobili-tazione extralegale di numerose patriote in occasione dei plebisciti risorgimentali di unificazione; cfr. G.L. Fruci, Cittadine senza cittadinanza. La mobilitazione femminile nei plebisciti del Risorgimento (1848-1870), in «Genesis», V (2006), n. 2, pp. 21-56.

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Il mio saggio si divide in due parti: la prima dà conto di alcune versioni in prosa e poe-sia della storia di Stamura, mentre la seconda analizza le due tele commissionate al pittore Francesco Podesti sul medesimo soggetto. Nel discutere i testi e i dipinti cercherò di porre l’accento sul modo con il quale gli autori, sempre uomini, si siano confrontati con il tema della donna in armi.

Nell’analizzare la resa testuale e pittorica della storia di Stamura vorrei contribuire ad ampliare il concetto di canone, così come elaborato da Alberto Mario Banti ne La nazione del Risorgimento, per includere testi destinati esplicitamente al popolo e generalmente me-no conosciuti. La loro «costellazione lessicale» rimanda comunque agli stessi meccanismi retorici utilizzati dalle opere del canone risorgimentale per tratteggiare una «morfologia elementare del discorso nazionale», per costruire in maniera più o meno coerente quel «cir-cuito comunicativo che […] doveva dunque puntare sulla costruzione di “immagini” che sapessero svolgere un’efficace azione retorica sugli interlocutori: che fossero poi vere o false, non aveva la minima importanza»13.

2. Stamura in prosa e poesia

Tutte le versioni ottocentesche della storia di Stamura si rifanno alla cronaca redatta da Boncompagno da Signa, professore di retorica allo Studio di Bologna, che, a seguito di un viaggio compiuto ad Ancona tra il 1198 e il 1200, redige la storia della guerra mos-sa dalle truppe imperiali di Federico Barbarossa in accordo con la flotta veneta contro la città marchigiana. L’importanza strategica della città picena andava oltre la sua posizione privilegiata nell’Adriatico. Il forte legame di Ancona con Bisanzio, infatti, rappresenta per Barbarossa e per Venezia motivo di preoccupazione sia a livello diplomatico che strategico. L’uno vuole espandere i suoi domini fino al Sud, l’altra preferisce non avere rivali nel bacino dell’Adriatico14.

Nel 1201, a trent’anni di distanza dalla vittoriosa conclusione dell’assedio d’Ancona, Bon-compagno è invitato dal podestà della città picena, Ugolino Gosia, a leggere pubblicamente il Liber de obsidione Ancone, una delle poche fonti storiche a occuparsi in modo dettagliato dell’assedio della città15. La redazione del Liber viene fatta attingendo alle testimonianze dirette degli assedianti e, nonostante la mancanza di fonti similmente dettagliate, gli storici concordano nel sostenere che Boncompagno «ebbe la fortuna di essere bene informato, e insieme il merito di riferire fedelmente le notizie ricevute»16.

Alle orecchie del pubblico ottocentesco il libro di Boncompagno risulta particolarmente attuale: nella memoria della popolazione anconetana, infatti, la storia dell’assedio del 1173 si sovrappone a quella dell’occupazione subita tra il maggio e il giugno del 1849 da parte degli austriaci, quando però gli assediati vengono sconfitti e il capoluogo marchigiano occu-pato17. La diffusione durante il Risorgimento di opere sull’assedio di Ancona testimonia il

13 A.M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, To-rino 2000, p. 111.

14 Federico Barbarossa cercò senza successo di occupare Ancona nel 1158, nel 1167 e nel 1173.15 Paolo Garbini, Introduzione, in Boncompagno da Signa, L’assedio di Ancona. Liber de obsidione Ancone, a

cura di P. Garbini, Viella, Roma 1999, pp. 13-19.16 Ivi, p. 26.17 Palermo Giangiacomi, responsabile per più di un ventennio della biblioteca comunale Luciano Benincasa

di Ancona, redasse un elenco parziale di tutte le pubblicazioni che nell’Ottocento si occuparono dell’assedio di Ancona e delle gesta di Stamura. Giangiacomi, tra l’altro, cita le diciassette sestine che Giannina Milli improvvisò

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rinnovato interesse per la storia medievale e locale come base comune sulla quale costruire uno Stato italiano unitario18. A questo proposito, un passo della cronaca di Boncompagno sembra servire da monito a ogni divisione interna, profetizzando:

al riguardo una opinione mi porta ad affermare che l’Italia non può farsi tributaria di nessuno a meno che ciò non sia causato dalla malvagità e dal rancore degli italiani. Nelle leggi è scritto infatti che l’Italia non è provincia, ma signora delle provincie19.

Il Liber, quindi, si prestava a essere usato dalla retorica nazional-patriottica nell’inventare quella tradizione che, con le parole di Eric Hobsbawm, si poneva come obiettivo quello di «establish continuity with a suitable historic past»20.

La storia dell’assedio di Ancona rappresenta un momento dell’età comunale durante il quale la cittadinanza riesce a organizzarsi, superare difficoltà e divisioni, e presentarsi com-patta contro il nemico. Il tema dell’assedio inteso come “patologia esogena” da estirpare è particolarmente utile ai fini delle narrazioni nazional-patriottiche che esaltano il risveglio italiano contro l’invasore straniero. Francesco Domenico Guerrazzi si cimenta nel raccon-to di ben due assedi, l’Assedio di Firenze (1836) e l’Assedio di Roma (1863-65), ma nel suo primo romanzo storico, La battaglia di Benevento (1828), egli tratteggia le gesta di Stamura:

Stumara [sic], valorosa gentildonna, vergognando della viltà loro, senza metter tempo trammezzo, preso un tizzone, si scaglia a tutta corsa verso la torre, vi giunge, vi appic-ca il fuoco, né prima si parte che, suscitando un altissimo incendio, conosce di lì a poco sarà ridotta in cenere21.

Tra il 1848 e il 1854 le tipografie torinesi stamparono diversi volumi dedicati all’eroina anconetana, segno della popolarità della storia22. Alla storia di Stamura d’Ancona il giorna-

la sera del 17 febbraio 1864 per celebrare Stamura e l’eroismo degli abitanti di Ancona (ivi, pp. 103-107). Su Gian-nina Milli, poetessa ufficiale del Risorgimento liberale, cfr. Maria Teresa Mori, Figlie d’Italia. Poetesse patriote nel Risorgimento (1821-1861), Carocci, Roma 2011, pp. 104-105, 119-123.

18 Sul neomedievalismo risorgimentale, si vedano: I. Porciani, Il Medioevo nella costruzione dell’Italia unita: la proposta di un mito, in Pierangelo Schiera, Reinhard Elze (a cura di), Il Medioevo. Immagini modelli e miti tra due popoli nell’Italia dell’Ottocento: Germania e Italia, il Mulino, Bologna 1988, pp. 163-191; Ead., L’invenzione del medioevo, in Enrico Castelnuovo, Giuseppe Sergi (a cura di), Arti e storia nel Medioevo, IV, Il Medioevo al pas-sato e al presente, Einaudi, Torino 2004, pp. 253-279; S. Soldani, Il Medioevo del Risorgimento nello specchio della nazione, ivi, pp. 149-186. Più in generale, sulla mitografia medievalista delle nazioni, si veda: Patrick J. Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, Carocci, Roma 2009.

19 B. da Signa, op. cit., pp. 120-121. A testimonianza della circolazione degli scritti di Boncompagno da Si-gna nel XIX secolo e di una loro possibile ricezione in chiave risorgimentale, noto che Felice Govean, pur senza attribuirgliene la paternità, nel suo Stamura d’Ancona scrive «l’Italia non potrà mai essere fatta schiava dello stra-niero se non per italiana malizia ed invidia nostra fraterna, ed è sentenza scritta nelle leggi: L’itaLia non essere proVincia, ma signora deLLe proVince» (Felice Govean, Stamura d’Ancona. Cenni Storici, Baricco & Arnoldi, Torino 1848, pp. 7-8; maiuscolo nell’originale).

20 Eric J. Hobsbawm, Introduction, Inventing Traditions, in Eric J. Hobsbawm, Terence Ranger (a cura di), The Invention of Tradition, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 1.

21 Francesco Domenico Guerrazzi, La battaglia di Benevento, storia del secolo XIII, I, Poligrafia Italiana, Li-vorno 1849, p. 159. Dieci anni dopo la pubblicazione della Battaglia, Carlo Leoni riprende l’episodio dell’assedio di Ancona nel suo Speronella o l’origine della Lega Lombarda commettendo lo stesso errore nella trascrizione del nome di Stamura: «Allora la valorosa Stumara, preso un tizzone ardente, si scagliò contro di quella [una torre di legno], né prima si partì che, suscitato l’incendio, conosce di lì a poco sarà ridotta in cenere» (Carlo Leoni, Spe-ronella o l’origine della Lega Lombarda. Storia del secolo duodecimo, Pirotta, Milano 1837, pp. 129-130).

22 In particolare, nel 1848 le gesta di Stamura vengono popolarizzate da un volume di Felice Govean (vedi infra) e da un breve racconto storico apparso a puntate sul «Mondo Illustrato» a firma di Luigi Cicconi (Stamura

Stamura d’Ancona nel Risorgimento 229

lista torinese Felice Govean dedica un volume della collana «libri per il popolo» pubblicata dalla casa editrice torinese Baricco & Arnaldi nel 184823. Uno degli obiettivi di Govean è quello di «insegnare al minuto popolo la storia dei gloriosi nostri fatti nazionali, dei nostri eroi, dei nostri uomini celebri»24. Quella di Stamura è la storia di una donna coraggiosa mossa all’azione alla vista della sua città ridotta alla fame dall’assedio imposto dal nemico. Nell’introduzione Govean spiega che il volume per accuratezza storica si sarebbe dovuto chiamare L’assedio di Ancona, ma di avere scelto Stamura in omaggio alle gesta dell’eroina anconetana perché «di lei la storia non dice che quel tanto riportato da noi, tanto però da renderla immortale». La decisione di dedicare il libro alla sola Stamura viene ulteriormente ribadita dall’epigrafe, tratta dall’Orlando Furioso:

Le donne antique hanno mirabil coseFatto ne l’arme e ne le sacre Muse;E di lor opre belle e glorioseGran lume in tutto il mondo si diffuse.Arpalice e Camilla son famose,Perché in battaglia erano esperte ed use […]

Le donne son venute in eccellenzaDi ciascun’ arte, ove hanno posto cura;E qualunque all’istorie abbia avvertenza,Ne sente ancor la fama non oscura.Se ’l mondo n’è gran tempo stato senza,Non però sempre il mal influsso dura;E forse ascosi han lor debiti onoriL’invidia o il non sapere degli scrittori25.

I versi con cui Ariosto aveva condannato la poca attenzione prestata dagli scrittori nei con-fronti delle «audaci imprese» femminili funzionano da espediente narrativo per la storia che Govean si accinge a narrare. Egli, da un lato, prende le distanze da tutti quegli scrittori invidiosi o ignoranti del passato che hanno preferito tacere degli atti di coraggio compiuti dalle donne invece di celebrarle per il loro coraggio; dall’altro lato, collega le gesta di Stamura a quelle delle eroine virgiliane Camilla e Arpalice, rendendo esplicita la genealogia eroica che collega

all’assedio d’Ancona, in «Il Mondo Illustrato», 9, 16 e 30 dicembre 1848). Ad accompagnare la storia di Cicconi è anche una riproduzione litografica del grande quadro storico di Francesco Podesti dal titolo Il giuramento de-gli anconetani (vedi infra). Nel 1851 Carlo Avalle dà alle stampe Stamura o le donne d’Ancona. Cantica drammati-ca (Tipografia italiana di Savoiardo e Bocca, Torino) e nel 1854 esce da autore ignoto Stamura ovvero l’assedio di Ancona nel 1171. Dramma in cinque atti (Tipografia Lobetti Bodoni, Pinerolo).

23 La composizione del volume di Govean data quindi al periodo fondamentale per la costruzione della re-torica risorgimentale di massa che, unendo politica e cultura, emozioni e azioni, contribuì all’allargamento del-la base di consenso al movimento per l’indipendenza; cfr. G.L. Fruci, A. Petrizzo, Risorgimento di massa (1846-1849), in A.M. Banti con la collaborazione di P. Finelli, G.L. Fruci, A. Petrizzo, A. Zazzeri (a cura di), Nel nome dell’Italia, op. cit., pp. 150-256.

24 F. Govean, Balilla, Baricco & Arnoldi, Torino 1848, p. 2. Le collane di editoria popolare avevano tra i pro-pri obiettivi espliciti quelli di presentare esempi che potessero sollecitare l’azione dei giovani patrioti, offrendo modelli comportamentali dai quali trarre ispirazione. Banti ha evidenziato come «il tema della nazione si sganciò del tutto dall’ambito dell’ingegneria costituzionale […] e si proiettò nello spazio della produzione poetica, nar-rativa, melodrammatica e pittorica. In tal modo il discorso nazional-patriottico poté avere una presa e un succes-so di pubblico che, per la natura dei media, gli sarebbe stato negato quando fosse stato affidato esclusivamente al classico trattato politico» (A.M. Banti, op. cit., p. 29).

25 Ludovico Ariosto, Orlando Furioso (1532), Hoepli, Milano 1959, p. 202 (canto XX).

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l’anconetana a figure femminili dell’antichità classica. In questo modo, Stamura assume un va-lore pedagogico, che ben si armonizza con il progetto educativo risorgimentale che si sforzava di trovare collegamenti continui tra antichità, medioevo e contemporaneità.

La scelta di Govean di comunicare questa genealogia attraverso le gesta di una donna in armi, enfatizza proprio il valore esemplare di tale figura per le donne e gli uomini del Ri-sorgimento. La scelta di sostantivi e aggettivi dalla forte connotazione nazional-patriottica contribuisce ulteriormente al progetto pedagogico del racconto, che intende legare le gesta di Stamura e il coraggio degli anconetani al pubblico ottocentesco. Se il legame tra l’Anco-na del 1173 e l’Italia del 1848 non fosse ancora abbastanza chiaro, Govean invoca proprio Stamura per appellarsi alle donne italiane:

O Stamura, fortissima fra le donne italiane, tu non dubitasti per la salute della patria esporre a nemiche saette il tuo petto di madre; o donna d’Ancona, come dovevi essere bella cinte le trecce brune con l’elmo d’acciaio! – Figlie italiane, la dote d’anima robusta sia non interrotta eredità fra di voi, perché a non poche delle avole vostre la gloria depo-se sul capo a Stamura, la sudata corona delle battaglie26.

Uno degli stereotipi che la retorica risorgimentale tentava in tutti i modi di combattere è quello di associare la penisola italiana e i suoi abitanti a immagini di debolezza ed effemi-natezza. Govean usa proprio la figura della donna in armi come espediente narrativo per stimolare gli uomini italiani alla battaglia e per sconfiggere il diffuso adagio secondo il quale «les Italiens ne se battent pas»:

O uomini, vi avranno dunque ad insegnare le donne come per la patria si debba morire? E che, v’arrestano dall’incendiare quelle macchine, che saranno la rovina d’Ancona no-stra, pochi sassi lanciati ed alcune saette? Guerrieri, guerrieri, seguite me che son donna, guerrieri, guerrieri, seguite Stamura27.

Egli non condanna la decisione di Stamura di prendere parte ai combattimenti, al con-trario sottolinea la forza del corpo materno contraddistinto dal coraggio (da intendersi qui come ardimento della madre di fronte al pericolo cui sono esposti i suoi figli) che giustifica la presa delle armi. Le donne italiane, ricorda Govean, dovrebbero far tesoro della robustezza d’anima, lascito di generazioni femminili passate, e usare tale qualità per rendersi ugualmente degne di indossare la corona della battaglia. Lo scompiglio creato fra i “tedeschi” offre agli anconetani la possibilità di razziare il campo nemico dei cadaveri dei cavalli morti in battaglia che sono prontamente portati entro le mura cittadine, «tanta era la fame, che non ne rispar-miarono nemmeno le budella»28. Il coraggio di Stamura, dunque, ha come risultato quello di sfamare un’intera città e, in questo senso, le gesta eroiche dell’anconetana rientrano perfet-tamente nel modello della donna che combatte per sfamare la propria famiglia che, in piena armonia con la retorica risorgimentale, è ampliata fino a ricomprendere tutta la cittadinanza.

Mentre l’assedio continua e la battaglia infuria fuori dalle mura di Ancona, un’altra donna si distingue per il proprio coraggio e spirito d’iniziativa, la Contessa Aldruda di Bertinoro

26 F. Govean, Stamura d’Ancona, op. cit., p. 11.27 Ivi, p. 10.28 Ivi, p. 11.

Stamura d’Ancona nel Risorgimento 231

la quale, insieme alle truppe del principe ferrarese Guglielmo di Marchesella, si dirige verso Ancona29:

Marchesella e la stessa Aldruda, fatta di donna animoso capitano, gli spinsero contro i cavalli, minacciandolo colle spade nude ed animando i loro; gli Anconetani, visto dalle mura quello inaspettato soccorso, presero pure essi le armi […]. Sull’albeggiare, Aldruda e Marchesella entrati in Ancona, abbondantemente la città soccorsero d’ogni cosa30.

Aldruda è presentata da Govean quasi come un’antenata della principessa Cristina Trivul-zio di Belgiojoso che, proprio nel fatidico 1848, anno della pubblicazione della Stamura di Govean, entra a Milano alla testa di un battaglione armato 31. L’autore arricchisce, inoltre, la cronaca di Boncompagno facendo stringere amicizia fra le due donne e mostrando l’ammira-zione della contessa Aldruda nei confronti della popolana Stamura e delle sue concittadine:

Aldruda di Bertinoro altamente commendando l’animo più che virile delle donne Anconitane, volle sempre in ogni festa seduta al suo fianco Stamura, la valorosa vedova, che incendiando le macchine dell’odiato nemico a quel modo prolungato l’assedio, aveva fatto che Ancona si era potuta salvare32.

Stamura e Aldruda si alleano riconoscendo il beneficio di unire le proprie forze. La com-plicità instauratasi fra le due donne è sottolineata più volte: la popolana e l’aristocratica sono legate dal comune desiderio di scacciare l’invasore e ripristinare il giusto ordine, secondo cui l’Italia è signora di province piuttosto che provincia essa stessa. La collaborazione fra diversi strati della popolazione per fronteggiare e sconfiggere l’invasore pone l’accento anche sul programmatico profilo interclassista del Risorgimento che si prefigge di unire donne e uomini del popolo e dell’aristocrazia. La dimensione municipale sottolineata dalla storia nar-rata da Govean, inoltre, ben si sposava alla dimensione localista di gran parte della retorica

29 Prima del Liber di Boncompagno, si segnala la cronaca di Giovanni Cinnamo (Joannes Kinnamos) nella quale ampio spazio è dedicato all’intervento di Aldruda, considerato cruciale per la vittoria: «Ma allora una don-na, di nazionalità italiana, magnanima quant’altre mai e coraggiosa come un uomo, la quale dopo essere rimasta vedova era vissuta in castità, quando seppe ciò che succedeva ad Ancona e come si fosse giunti al momento deci-sivo, si infiammò di grande ardore – non per nulla era delle parti di Roma – e decise di venire in aiuto delle cit-tà a sue spese. Ma siccome ciò che aveva non era sufficiente per quella guerra, impegnò persino i suoi figli e rag-giunta così una somma di denaro maggiore, inviò degli ambasciatori in città esortandoli a tenere alto il morale e a non arrendersi al nemico. […] Nel frattempo questa comandante, che si trovava in prossimità di Ancona, unì le sue truppe a quelle degli anconetani. Attaccata battaglia, i tedeschi non riuscirono a sostenere l’assalto e furono messi in fuga dall’esercito della donna dopo avere subito ingenti perdite» (cit. in P. Garbini, op. cit., pp. 23-24).

30 F. Govean, Stamura d’Ancona, op. cit., p.19.31 Su Cristina di Belgioioso, si veda ora: Mariachiara Fugazza, Karoline Rörig (a cura di), «La prima donna

d’Italia». Cristina Trivulzio di Belgioioso tra politica e giornalismo, FrancoAngeli, Milano 2010. Nel suo Liber, Bon-compagno riporta l’esortazione alla battaglia pronunciata da Aldruda alle sue truppe: «mi sono decisa a parlare tra voi contro la consuetudine usuale delle donne, convinta che, sebbene il mio discorso non brillerà per bellez-za di parole né sarà illustrato da prefazioni filosofiche, tuttavia costituirà per voi una esortazione fruttuosa. […] dopo la morte di mio marito, benché afflitta, domino senza contrasti su tutta la contea. Abbondo talmente di ca-stelli, borghi, villaggi e tenute, che nemmeno riesco a badare a tutto. […] Mi hanno dunque fatto venire qui la miserevole afflizione dei cittadini anconetani e le lacrimevoli preghiere delle nobildonne che paventano di cadere in mano agli assedianti più di quanto non si possa dire, giacché essi sottoporrebbero i loro corpi a una vergogna senza fine. […] Bandite ogni rinvio, che spesso impigrisce gli animi di molti, e indossate le armi sul far del gior-no, […] le vostre spade siano lavate nel sangue di chi resisterà, poiché non si deve offrire indulgenza a chi non si ricorderebbe del perdono se avesse occasione di delinquere» (B. da Signa, op. cit., pp. 154-155).

32 F. Govean, Stamura d’Ancona, op. cit., p. 20.

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risorgimentale (che poneva spesso l’enfasi sulla costituzione di comitati e governi locali, guardie civiche) e la Stamura popolana serviva a dare al processo di unificazione quella di-mensione di guerra di popolo necessaria affinché il richiamo alle armi potesse essere sentito da quanti più possibile.

Stamura è popolato così da personaggi combattenti tra i meno avvezzi a ricoprire il ruolo di protagonisti come Giovanni, prete nuotatore che

in sole mutande si getta nelle onde, e così nuotando nuotando s’avvicina alla gran nave […] finché arrivato a tiro, si toglie una scure che s’aveva legata alla cintura, recide le go-mene delle àncore e le navi […] l’una con l’altra di sbattono, crosciano, si scompaginano minacciando affondarsi33.

Nonostante l’atto d’eroismo del vecchio sacerdote, Ancona non riesce a liberarsi dall’as-sedio. A incitare la popolazione piegata dalla fame ci pensa quindi un «vecchio bianco come neve, centenario, quasi cieco per tanti anni vissuti, curvo e tentennando sopra un bastone»34, che riesce ad arringare i suoi concittadini, convincendoli a fare una colletta per inviare tre ambasciatori fuori le mura a chiedere aiuto. Fra gli episodi più curiosi della narrazione della resistenza anconetana, già presente nel testo di Boncompagno, v’è quello della nobildonna che, visto un soldato indebolito dalla mancanza di nutrimenti, gli offre il seno:

Ebbene, replicò la donna slacciandosi il seno e mostrandogli la nudata mammella, cibati del mio latte, sebbene da quindici giorni io non abbia mangiato che cuoio bollito, e poco latte più mi rimanga per lo stesso mio figlio – Il soldato arrossì, e senza più aggiungere parola, preso lo scudo e la spada e cacciandosi fra i nemici, quattro in breve tempo ne uccise, e lui stesso combattendo morì35.

Il meccanismo narrativo della fiction prevede che l’offerta della nobildonna sia sufficiente a scuotere dal torpore il soldato anconetano; la generosità materna imbarazza l’uomo e lo spinge alla battaglia dove troverà la morte.

Quella narrata da Felice Govean nella Stamura è storia corale che sottolinea il valore virile delle donne anconetane. Questa caratteristica è illustrata dall’autore in modo esplici-to, offrendo esempi di madri e donne che si spingono a offrire il loro corpo come estremo rimedio alla fame, suggerendo un cannibalismo necessario affinché gli uomini ritrovino le forze e sconfiggano il nemico. Tale tema era già stato toccato da Boncompagno che così fa parlare le donne anconetane:

Forse le carni degli asini sono più buone da mangiare delle nostre? Mangiateci o gettateci in mare, perché crediamo che sia male minore morire piuttosto che cadere in mano a co-loro che per legge hanno il furore e i cui capi non vogliono o non sanno essere clementi36.

In sintesi, nella Stamura di Govean la protagonista femminile viene esaltata per le proprie azioni senza mai dover ricorrere a giustificazioni che possano limitarne la carica eversiva rappresentata dall’immagine di donna combattente; anzi, le azioni di Stamura servono da

33 Ivi, p. 12.34 Ivi, p. 13.35 Ivi, p. 16. 36 B. da Signa, op. cit., p. 141.

Stamura d’Ancona nel Risorgimento 233

esempio alle donne dell’Ottocento affinché anch’esse possano indossare l’elmo ed impugnare le armi in nome dell’Italia.

Prima di Govean, il tema della virilità femminile, incarnato da Stamura, era stato toccato anche dal pometto in ottava rima Stamura o l’assedio di Ancona dell’anno 1174, composto nel 1839 da Olivo Gabardi Brocchi:

Perfin la donna timida e impotente Per imbelle natura, fe’ paleseL’intrepido valor che in viril pettoDa lunga etade non ha più ricetto37.

Nel 1859 Gabardi Brocchi, avvocato liberale e patriota fuggito esule da Modena all’indo-mani del fallimento dei moti del 1831, marito della poetessa Isabella Rossi Gabardi Brocchi, diede alle stampe un volumetto dal titolo Leggende istoriche italiane in ottava rima. Si tratta di una collezione di trentacinque poemi dedicati a celebri personaggi della storia italiana composti per la maggior parte tra il 1837 e il 1843. Tali Leggende dovevano, nelle intenzioni dell’autore, rianimare una popolazione avvilita e incapace di risollevarsi dopo le sconfitte subite nelle rivoluzioni degli anni Venti e Trenta. La seconda leggenda è dedicata all’eroina anconetana e alla valorosa difesa della città. Gabardi Brocchi segue in linea di massima la narrazione di Boncompagno da Signa. La Stamura di Brocchi, però, si muove all’interno di una ragnatela di rapporti familiari altrimenti assente dalle narrazioni coeve, a sottolineare l’importanza della comunità nazionale intesa sia in senso parentale che etnico. Ecco Stamura, quindi, unire all’amor di patria il desiderio di vendetta per la morte del marito quale moti-vazione all’azione38. A differenza delle altre versioni, inoltre, quella di Brocchi contiene una variazione significativa, Stamura muore:

Sul limitar del suo vedovo ostelloGiace Stamura, il cui valor prestanteVedemmo già dei barbari flagella […]Salva la patria al loro aspetto intende,La patria a cui sacrò suoi voti e gesta…Lieta giugne le mani… le protende…Ah!… ricadon sui fianchi… immota restaL’anelito che più non si riprendeDal sen depresso, appieno manifestaLa grand’alma dal frale ormai partita,Ai suoi cari in eterno riunita!… 39.

Il sacrificio finale evidenzia che solo il martirio può legittimare l’eccezionalità delle gesta, insinuando l’impossibilità per la donna di ritrovare il proprio posto all’interno della struttura sociale e comunitaria dopo aver agito fuori dagli schemi comportamentali giudicati consoni; meglio, quindi, consegnare Stamura al pantheon eroico dei martiri caduti nel nome della libertà. Così manipolando la narrazione originaria, Gabardi Brocchi sembra seguire alla lettera la precisazione fatta da Giovanni Berchet riguardo l’uso delle fonti storiche da parte

37 Olivo Gabardi Brocchi, Leggende istoriche italiane in ottava rima, Le Monnier, Firenze 1859, p. 26.38 «E giura vendicar patria e consorte! / Questo una colta ancor guarda ed abbraccia, / Quindi sospinta dal

voler più forte, / All’ostello rivola, u’appresta quanto / Volgerà in breve la ostil gioia in pianto» (ivi, p. 31).39 Ivi, p. 41.

Il lungo Ottocento e le sue immagini234

della letteratura: «L’incumbenza mia, secondo l’obbligo che me ne impone l’arte, non è di rappresentargli [al lettore] un fatto storico quale precisamente fu, ma è solo di suscitare in lui qualche cosa simile all’impressione, al sentimento, all’affetto che susciterebbe in lui la presenza reale del fatto»40. Berchet spiega come possa essere utile l’utilizzo della storia per sviluppare negli animi una coscienza nazionale a patto che si lasci fare il mestiere dello sto-rico agli storici, perché i letterati useranno la storia come fonte d’ispirazione.

La storia narrata delle gesta di Stamura, presentata al pubblico ottocentesco sia in prosa che in poesia, esemplifica perfettamente il modo con il quale gli scrittori del Risorgimento decisero di rappresentare la donna che, consapevolmente e senza rimorsi, decide di rischiare la propria vita in prima linea in nome della libertà della propria terra dall’occupazione stra-niera. Nella variante redatta dal giornalista piemontese Govean, la protopatriota anconetana presenta tratti eroici indiscutibili e le sue gesta vengono inquadrate nella cornice della resi-stenza di un popolo unito senza differenze sociali né di genere. L’eroismo di Stamura (e di Aldruda, e delle donne del popolo e della nobilità picena che non esitano a offrire i propri corpi affinché i soldati trovino la forza di rialzarsi e combattere) viene descritto per quello che è: un atto di coraggio. Mentre Govean celebra la risolutezza e lo spirito di iniziativa di Stamura, Gabardi Brocchi sente, invece, la necessità di giustificare le gesta dell’anconetana inserendole nel contesto più rassicurante e familiare della donna spinta all’azione dopo che le sono stati tolti gli affetti più cari.

3. Stamura dipinta

La storia di Stamura è stata recuperata dall’oblio nel diciannovesimo secolo non solo dalla letteratura, ma anche dalle arti visive con due dipinti eseguiti dal pittore Francesco Podesti a quasi trent’anni di distanza: Il giuramento degli Anconitani (1844-48) e Stamura che incendia le macchine all’assedio di Ancona (1877).

Con poche eccezioni, la pittura ottocentesca ha relegato le figure femminili in ambienti domestici, intente a cucire camice rosse, a benedire la partenza dei familiari maschi come volontari e soldati nelle guerre d’indipendenza, oppure a leggere lettere dal fronte. In questo contesto, quindi, le tele di Podesti assumono particolare interesse e le sue scelte compositive meritano attenzione perché suggeriscono un cambiamento di atteggiamento nei confronti della presenza attiva e della partecipazione femminile al Risorgimento.

Nel 1844, il comune di Ancona commissionò a Podesti una tela che avesse come soggetto un episodio di storia locale (fig. 15). Accettando l’incarico il 17 agosto dello stesso anno, in una lettera Podesti scrisse:

Rappresenterei il momento in cui nel Consiglio ancora il Vecchio non tace e già eccitati gli animi di tutti a generosa immaginazione, fidenti nella divina misericordia vengono i messaggeri cacciati, e i cittadini giurano, o di salvare la patria o di morire. Esprimerei le diverse passioni, lo sdegno, la disperazione, la fierezza degli uomini pronti a combattere ed a morire, la gioia e lo sgomento delle madri, delle mogli e delle figlie per la terribile risoluzione, lo stupore e la rabbia dei messi per tanto coraggio in tanta estrema miseria. La gioventù baldanzosa, la vecchiaia che rivive alla gloria, il valore, l’amore, la povertà,

40 Giovanni Berchet, Agli amici miei in Italia, in Id., Opere, I, Poesie, a cura di Egidio Bellorini, Laterza, Ba-ri 1911, p. 66.

Stamura d’Ancona nel Risorgimento 235

la fame, tutto si unirebbe a far grande ed interessante il soggetto, a preferenza di molti altri, come per se stesso eloquentissimo ed eminentemente drammatico41.

Francesco Podesti sembra replicare con queste parole al monito fatto ai pittori di storia da Pietro Estense Selvatico nel suo Sull’educazione del pittore storico odierno italiano, pubblicato a Padova nel 1842, dove si legge:

Il pittore ha comune coi mimici i messi di rappresentare un soggetto: ella non può valersi della espressione della fisionomia e del linguaggio dei gesti […] lo spettatore si fa allo-ra egli stesso poeta, e colla mente discorrendo tutte quelle circostanze del soggetto che è forzato ad indovinare, le allarga, le distende colla potenza dell’immaginazione, e ne risente nell’animo un’impressione molto più viva che se la vedesse da’ colori figurare42.

La data precisa di esecuzione della grande tela Il giuramento degli Anconetani (3,85 × 5,10 m) ci è ignota ma è possibile circoscriverne la realizzazione al quadriennio 1844-48 visto che una riproduzione litografica della tela appare sul «Mondo Illustrato» del 9 dicembre 1848 (fig. 16). Prima di arrivare definitivamente ad Ancona nel 1856 il quadro viaggia fuori dall’Italia: notizie della presenza della tela di Podesti a Londra si trovano nelle cronache dei quotidiani londinesi dell’epoca: nell’edizione del 26 luglio 1851 del «Morning Post», nella rubrica Fashionable Entertainments, si legge come «a great historical picture, containing forty life-size figures, painted by the Cavalier Podesti» sia in esibizione alla Lichfield House Gal-lery of Modern Pictures di St. James43; mentre nel 1855 si può ammirare la tela del pittore anconetano a Parigi, in occasione dell’esposizione universale dello stesso anno44.

Il giuramento arriva ad Ancona quando la città è ancora occupata dalle truppe austriache. Il messaggio patriottico ha poche possibilità di essere frainteso:

Il successo fu immenso; la folla si pigiava a tutte le ore nella non vasta sala ad ammirare la tela meravigliosa, che tutti volevano vedere, studiare, esaminare e commentare […] l’insieme della grande scena, piena di movimento e di sentimento, colpiva e affascinava: lo scopo era raggiunto e allora bastava. Non negherò che al successo contribuisse anche il soggetto, suggestivo sempre, specialmente in quei momenti. Si vedeva rappresentata Ancona stretta d’assedio da un esercito tedesco, e ciò dopo appena sette anni dacché la città era uscita da un frangente consimile, e mentre si trovava coi tedeschi vincitori entro le sue mura; quindi si può immaginare come gli animi si esaltassero innanzi alle grandi memorie che suscitava la scena del giuramento. Il gruppo degli ambasciatori tedeschi venuti per proporre agli anconitani una resa disonorevole, cacciati a furor di popolo, do-po che il vecchio Fazio aveva arringato per la resistenza ad oltranza, era in special modo osservato; e molti stavano a guardare l’effetto che produceva quella scena sugli ufficiali austriaci, che in gran numero andavano a vedere il quadro45.

Al centro del quadro è posizionato «il Vecchio», ovvero il senatore Bonifacio Faziolo, che, sorretto da due giovani, incita alla resistenza la popolazione anconetana stremata dall’assedio

41 Cit. in M. Polverari, op. cit., p. 200.42 Pietro Estense Selvatico, Sull’educazione del pittore storico odierno italiano, pensieri di Pietro Selvatico, coi

tipi del Seminario, Padova 1842, p. 371. Ringrazio Sara Tarissi de Jacobis per la segnalazione di questo passo.43 «The Morning Post», July 26, 1851, p. 5. 44 M. Polverari, op. cit., p. 200.45 Enea Costantini, Il decennio di occupazione austriaca in Ancona, 1849-1859. Ricordi aneddotici, Stabilimen-

to tipografico del Commercio, Ancona 1916, pp. 248-250.

Il lungo Ottocento e le sue immagini236

e dalla mancanza di cibo. Leggiamo, dalle parole di Boncompagno, una parte del discorso del «Vecchio»:

Mi rivolgo a voi, anconetani, che derivate le vostre origini dalla nobile stirpe dei romani, a voi che fino a questo momento avete combattuto da veri uomini per difendere la liber-tà, perché vogliate ascoltare la parola di un vecchio e comprendere con molta attenzione il suo significato. […] Io fui console al tempo in cui il re Lotario ci assediava con forze consistenti, convinto di soggiogare la città in servitù perpetua. Tuttavia si ritirò, delu-so nella sua speranza e stremato dalla sua fatica. Prima e dopo di lui alcuni imperatori tentarono di fare la stessa cosa, e come lui non riuscirono a portare a compimento i loro propositi. Quale vergogna sarebbe dunque se a un solo chierico si arrendesse questa cit-tà che si è opposta a re e principi? Con quale faccia potreste ancora parlare, se la mitra di un arcivescovo vincesse questa città che non fu espugnata dalla corona di re, anzi di imperatori? […] Resistete, dunque, e combattete da uomini, poiché nella battaglia più grande si acquista il trionfo della gloria, e chi non rinuncia a correre guadagnerà il pre-mio tanto desiderato. […] altrimenti gettate in mare tutto il denaro, uscite dalla città e morite insieme con i vostri nemici, poiché è il male minore morire in guerra piuttosto che assistere alla distruzione della città e patire una vergogna senza fine46.

L’eco che tali parole devono aver avuto nei cuori dei patrioti risorgimentali sembra scon-tata: l’attualità del discorso dell’anziano console ben si adatta alle necessità retoriche del di-scorso nazional-patriottico e alla situazione d’assedio nella quale Ancona stessa si ritrovava settecento anni dopo. Alle spalle del «Vecchio», con le mani in preghiera rivolte al cielo, si trova Giovanni di Chio, il prete che con la sua coraggiosa nuotata riesce a togliere gli ormeggi alle navi veneziane. Alla destra del senatore Faziolo, un gruppo di donne, uomini e bambini, alcuni dei quali dipinti in atto di preghiera, altri in preda alla disperazione per la situazione in cui versava la città.

Al centro dell’immagine, di fronte al «Vecchio» sta Stamura: con la mano sinistra impugna saldamente una spada, mentre l’indice medio della sua mano destra punta verso il cielo. A livello compositivo, Stamura è ritratta come prima inter pares, unica donna a distinguersi nel gruppo dei giuranti. Nei resoconti dell’assedio, a partire da quello fatto da Boncompagno, non v’è traccia della presenza dell’eroina al discorso del «Vecchio», ma la sua inclusione è signifi-cativa perché Podesti assegna a Stamura la stessa condizione e lo stesso ruolo degli uomini. La sua partecipazione al giuramento assume maggior significato se si paragona il dipinto a uno dei suoi più famosi antecedenti, Le Serment des Horaces (1784) di Jacques-Louis David, nel quale le donne sono relegate in posizione marginale, prostrate dal dolore e visualmente separate da-gli uomini da un elemento architettonico, una colonna, a sottolineare la rigida separazione fra pubblico e privato, azione e emozione (fig. 17).

Quello del giuramento è un momento molto importante nelle narrative nazional-patriot-tiche ottocentesche e molti dei testi fondanti del canone risorgimentale descrivono con gra-vità il momento nel quale i patrioti dichiarano fedeltà alla causa dell’unificazione e si dicono pronti a morire per essa. Il giuramento, inteso come «patto dei congiurati, pronti a scattare all’azione (un’azione di carattere militare) che liberi la nazione dal giogo della tirannia o dell’occupazione straniera»47, sottolinea il momento in cui l’appartenenza alla comunità nazionale viene rivelata come esistente da sempre (e quindi in nuce già dal medioevo). Tale

46 B. da Signa, op. cit., pp. 131-133.47 A.M. Banti, L’onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo al-

la Grande Guerra, Einaudi, Torino 2005, p. 146.

Stamura d’Ancona nel Risorgimento 237

momento è caratterizzato da una sua specifica dimensione sacrale, che il dipinto di Podesti allude negli sguardi, rivolti verso il cielo, dei partecipanti al giuramento. Ecco, allora, che la partecipazione di tutta la comunità unita solennemente riesce a trasformare in vittoria la volontà di riscatto dallo straniero. Il giuramento diviene, infine, simbolo di una rivoluzione «più felice, perché desiderata e conseguita dalla nazione intera»48, nella quale l’artista include anche le donne.

Su commissione del conte Gioacchino Ragnini, Podesti realizza nel 1877 una “postilla” al Giuramento, ovvero Stamura che incendia le macchine d’assedio di Ancona (fig. 18)49. Origi-nariamente esposta nella Pinacoteca di Ancona, alla morte di Ragnini la tela viene spostata nel palazzo comunale della cittadina di Bertinoro, in omaggio alla contessa Aldruda, dove si trova ancora oggi.

In questa seconda tela, il pittore sceglie di concentrarsi sull’episodio più famoso della resistenza anconetana e, come abbiamo visto, strategicamente più importante ai fini della vittoriosa conclusione dell’assedio: il momento nel quale Stamura dà fuoco alle macchine da guerra tedesche. In mancanza di una dettagliata descrizione da parte di Podesti, è diffi-cile stabilire con certezza il motivo per il quale il pittore marchigiano abbia scelto proprio l’episodio di Stamura per la committenza di Ragnini. Abbiamo visto che diverse versioni letterarie della storia dell’assedio di Ancona circolavano già dagli anni Trenta del XIX seco-lo; a queste va aggiunto un libretto d’opera intitolato Stamura che Corrado Podesti, nipote del pittore, scrive nel 1876 ispirandosi proprio al Giuramento eseguito dallo zio fra 1844 e 184850. Francesco Podesti, però, non accoglie con favore lo sforzo lirico del nipote e si af-fretta a notare come il libretto abbia «de’ buoni versi e de’ non buoni, o mediocri insieme a idee un poco troppo comuni»51.

Nella tela del 1877 Podesti abbandona la coralità del giuramento in favore del momento, quasi più intimo, nel quale Stamura appicca il fuoco alle macchine nemiche. Mentre con la mano sinistra la donna impugna una daga, sullo sfondo si intravedono le mura di Ancona, il colle San Ciriaco e l’Arco di Traiano. Lo stesso Francesco Hayez nell’elenco di «argomenti per quadri storici» aveva scritto della possibilità di realizzare una tela avente come soggetto l’assedio di Ancona notando come Stamura sia «la sola che osi affrontare la tempesta di colpi mortali che partivano da quelle macchine: vi porta la mano per incendiarle e vi riesce»52. E non a caso, rispetto al dipinto del 1844, anche Podesti sceglie di ritrarre Stamura in maniera dinamica, colta nel momento che la consegnerà alla storia. La postura della donna non sem-bra richiedere l’intervento protettivo dell’uomo, anzi, proprio per la presenza della daga si ha l’impressione che Stamura sia perfettamente in grado di proteggere se stessa.

È proprio questa autosufficienza a relegare Stamura ai confini dell’accettabile e Podesti sembra suggerire la complicata posizione della donna all’interno della struttura sociale in due modi. In primo luogo, Stamura è sola e questa solitudine diventa la cifra della difficoltà di reintegrare la donna armata nel tessuto sociale: l’assenza di bambini e anziani, che avrebbe giustificato il gesto di Stamura con la necessità di difendere i soggetti più deboli e indifesi, permette di leggere le azioni della donna in chiave offensiva. Potenzialmente, la donna in armi che agisce in solitaria diventa quindi un pericolo per la stabilità del sistema patriarcale.

48 Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, seconda edizione, dalla tipografia di Francesco Sonzogno, Milano 1820, p. 223.

49 Cfr. M. Polverari, op. cit., p. 256.50 Corrado Podesti, Stamira, dramma lirico in tre atti, Rossi, Pesaro 1876.51 Cfr. M. Polverari, op. cit., p. 256.52 Cit. in Giorgio Nicodemi, Francesco Hayez, Ceschina, Milano 1962, p. 187.

Il lungo Ottocento e le sue immagini238

Si noti, inoltre, come Stamura sembri agire al di fuori delle mura anconetane. Abbiamo già avuto modo di accennare all’importanza simbolica di mantenere la donna all’interno dello spazio urbano, per poterla più facilmente controllare e, se necessario, disciplinare. Spostare Stamura al di là dei bastioni sottolinea ulteriormente la sua uscita dall’ordine della dome-sticità e, per estensione, dalla gerarchia sociale. Il gesto di Stamura, eroico e violento allo stesso tempo, non può più iscriversi nel contesto dell’oikos, unico ambiente in cui la donna può legittimamente agire. Si potrebbe concludere che la solitudine di Stamura prefigura l’isolamento nel quale la donna risoluta e indipendente viene relegata all’indomani dell’u-nificazione nazionale.

La storia di Stamura, sia nei dipinti di Podesti che nei racconti di Govean e Gabardi Brocchi, sintetizza al suo interno tutte le costanti fondamentali della retorica nazionalista risorgimentale: atto eroico, assedio vittorioso, guerra di liberazione dallo straniero, ma tutti declinati al femminile. Se nelle produzioni risorgimentali, la storia di Stamura rientra nel progetto retorico di mobilitazione generale (seppure con la variante più addomesticata pre-sentata da Gabardi Brocchi), con la seconda tela di Podesti, Stamura sembra assumere alcuni tratti caratteristici della donna amazzone, castrante virago difficile da domare e per questo ostracizzata dall’opinione pubblica.

La solitudine espressa in Stamura che incendia le macchine d’assedio di Ancona stride quando si pensa alla donna dipinta nel Giuramento, parte attiva della comunità nazionale. Lo spazio dove il giuramento viene pronunciato non appartiene più alle donne; esse sono ormai presenze anomale, ai margini, da disciplinare. In Gendered Spaces, la sociologa ame-ricana Daphne Spain scrive:

Spatial segregation is one of the mechanisms by which a group with greater power can maintain its advantage over a group with less power. By controlling access to knowledge and resources through the control of space, the dominant group’s ability to retain and reinforce its position is enhanced. Thus, spatial boundaries contribute to the unequal status of women53.

È questa segregazione spaziale, ben descritta dalla tela del 1877, a svelare tutta la com-plessità della rappresentazione della donna in armi. Di fronte a essa si prova evidente am-mirazione per il coraggio dimostrato – un’ammirazione testimoniata anche dalla scelta di un dipinto di grandi dimensioni non destinato al consumo privato – ma è al contempo per-cepibile un certo disagio nei riguardi di comportamenti così sfrontati. Il contributo attivo di queste donne in armi, sebbene riconosciute (e immaginate) parte fondamentale e attiva della comunità nazionale, sembra necessitare di una riscrittura post-unitaria che le inquadri in ruoli e le chiuda in spazi definiti.

53 Daphne Spain, Gendered Spaces, The University of North Carolina Press, Chapel Hill 1992, pp. 15-16. Spain risponde all’invito formulato da Michel Foucault ad affrontare la storia – ancora tutta da scrivere – degli spazi come luoghi in cui il potere si manifesta e si mantiene (Power/Knowledge, Pantheon Books, New York 1980, p. 149).

Stamura d’Ancona nel Risorgimento

Tavole

Fig. 1. Gerolamo Induno, Un grande sacrificio, 1860, olio su tela (Accademia delle Belle Arti di Brera, Milano)

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Fig. 2. Odoardo Borrani, Il 26 aprile 1859, 1861, olio su tela (collezione privata)

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Fig. 3. Odoardo Borrani, Cucitrici di camicie rosse, 1863, olio su tela (Palazzo Bricherasio, Torino)

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Fig. 4. Bersaglieri Creali auf Vorposten Fallend, und seine Tochter, 1859, litografia a colori (Anne S.K. Brown Military Collection, Brown University Library, Providence).

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Fig. 5. Carte-de-visite di una volontaria garibaldina, Gallizioli e Fiori, Brescia 1866, (Museo del Risorgi-mento Luigi Musini, Fidenza)

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Fig. 6. Volontaria garibaldina, 1866, fotografia (Museo del Risorgimento, Milano)

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Fig. 7. Reclute femminili della guardia civica, 1847 ca., acquaforte (Gabinetto comunale delle stampe, Mu-seo di Roma)

Fig. 8. Luigia Battistotti maritata Sassi, Olivieri dis., P. Borlotti lit., Milano 1848, litografia a colori (Museo nazionale del Risorgimento italiano, Torino)

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Fig. 9. Francesco Wenzel, Napoli, il 7 settembre 1860, s.d., litografia, particolare (Società napoletana di storia patria, Napoli)

Fig. 10. Francesco Wenzel, Napoli, il 7 settembre 1860, s.d., litografia, particolare (Società napoletana di storia patria, Napoli)

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Fig. 11. Truppa di Garibaldi, 1860, acquarello (Anne S. K. Brown Military Collection, Brown University Library, Providence).

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Fig. 12. Giuseppe Sciuti, Le gioie della buona mamma, 1877, olio su tela (Palermo, collezione privata)

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Fig. 13. Giuseppe Sciuti, Le gioie della buona mamma, 1877, olio su tela, particolare (Palermo, collezione privata)

Fig. 14. Francesco Netti, Un episodio del 15 maggio 1848, 1861, olio su tela (Museo nazionale di San Mar-tino, Napoli)

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Francesco Podesti, Il Giuramento degli Anconitani, olio su tela 385x510 cm, Ancona, Civica Residenza, Sala Consiliare

Fig. 15. Francesco Podesti, Il giuramento degli Anconitani, 1844-48, olio su tela (Sala consiliare, Civica Residenza, Ancona)

Fig. 16. Ancona resiste vittoriosa alle armi del Tedesco Federico Barbarossa – Grande quadro del Cavaliere F. Podesti, in «Il Mondo Illustrato», 9 dicembre 1848.

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Fig. 17. Jacques-Louis David, Le Serment des Horaces, olio su tela, 1784 (Musée du Louvre, Paris)

Fig. 18. Francesco Podesti, Stamura che incendia le macchine all’assedio di Ancona, olio su tela, 1877 (Pa-lazzo comunale, Bertinoro)

Edizioni ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

[email protected] - www.edizioniets.comFinito di stampare nel mese di ottobre 2013