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Gatlinburg, paradiso della middle class Oltre 10 milioni di turisti invadono ogni anno la cittadina del Tennessee, dove si fondono teatri, distillerie, siti storici, musei, parchi divertimento, minigolf, piste da go-kart, comunità autoctone, e negozi di prodotti artigianali OSSERVATORIO POPAI di Daniele Tirelli* novembre 2013 64 Pm

Gatlinburg, paradiso della middle class

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Gatlinburg, paradisodella middle class

Oltre 10 milioni di turisti invadono ogni anno la cittadina del Tennessee, dove si fondono teatri, distillerie, siti storici, musei, parchi divertimento, minigolf, piste da go-kart, comunità autoctone, e negozi di prodotti artigianali

OSSERVATORIO POPAI

di Daniele Tirelli*

novembre 201364Pm

Alle spalle, i maestosi si-lenzi delle Great Smoky Mountains. Davanti la lunga, serpeggiante,

verde canopia della Parkway che scende verso il Tennessee. E all’im-provviso, la “surreale”, chiassosa, frenetica strip commerciale di Gatlinburg. Non più le inquietanti, solitarie atmosfere “hillbilly” del-le sperdute cittadine minerarie di montagna, fondate secoli fa da rudi highlander scozzesi, ma l’impatto con lo sfacciato e “volgare” (ma

non per noi!) consumismo ameri-cano che dalla boom-town di Pige-on Forge è risalito fino al confine di stato. Gatlinburg, avamposto solitario strappato alla foresta da William Ogle all’alba dell’Ottocento, di-spiega gli stereotipi della “Sou-thern way of life” e dei suoi pia-ceri: il fascino della “wilderness”, la musica, tanto cibo e ancor più “moonshine whiskey”, un tempo diabolica mistura distillata “al chiaro di luna”, nella notte del

Proibizionismo. Oggi, al contrario, il moonshine è il punto d’orgoglio locale, declinato in una pletora di aromi e offerto nelle “ole distille-ries” da mattina a sera, quasi fosse limonata.Area di caccia e di passaggio per gli indomiti Cherokee, Gatlinburg trovò le origini in una baracca di legno edificata da Ogle per traffi-care con quegli indiani. Poi, stan-co della solitudine, egli scelse di trasferirvi la famiglia dal South Carolina, dove, abbandonato dalla

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fortuna, soccombette alla malaria. La sua famiglia allargata, però, completò il viaggio incompiuto di Ogle: era il 1806, e fu l’avvio della colonizzazione di Gatlinburg irro-bustita dai veterani della Guerra Civile. Oggi Gatlinburg è radicalmente di-versa. Entro i suoi confini prospe-rano 4.000 abitanti dediti all’acco-glienza di oltre 10 milioni di turisti ogni anno. Immersa in una riserva naturale di struggente bellezza che i vacanzieri ammirano dallo Space Needle, un belvedere alto 124 me-tri, la città gioca sul connubio di un paesaggio senza tempo con il divertimento più sfacciato. Teatri, distillerie, siti storici, musei, par-chi divertimento, minigolf, piste da go-kart, comunità autoctone, negozi di prodotti artigianali e folkloristiche “stables” si fondono in una miscela godereccia che este-ti e intellettuali “highbrow” trova-no indigesta quanto il moonshine. Gatlinburg è infatti una delle tan-te espressioni “blasfeme” del con-cetto di tempo libero delle classi medie americane, improntato a quell’evasione gaudente e spensie-rata che altri luoghi mitici come Las Vegas, Myrtle Beach o Atlan-tic City hanno espanso su grande scala. Il concetto si materializza addentrandosi nell’area abitata: un vortice di colori, insegne, odori, sculture, richiami… il tutto sot-to una coltre di musica country e bluegrass. La sequenza decorativa della Parkway 441, che taglia in due l’abitato per poi spingersi verso Knoxville, è l’invito ammiccan-te a fermarsi per chi transita. È il conforto consumista di chi ha ma-gari voluto rivivere un (tranquillo) “week-end di paura” e l’angoscio-sa sensazione del contatto con la natura e l’umanità selvaggia del-le Appalachian Mountains. Così i passanti si accalcano dentro la

selva di richiami, di suggestioni pubblicitarie e commerciali che campeggiano ai lati della strada, assieme ai negozietti country, le abitazioni folkloristiche e i quick restaurant. L’enunciazione pro-grammatica del luogo è la ripro-duzione maniacalmente curata, ironica e citazionista, dei tipici riferimenti iconografici america-ni. Ne consegue un’estetica che non è seriamente intenzionata a replicare pedissequamente le pro-prie fonti d’ispirazione. Semmai le omaggia con leggero disincanto, per dimenticarle presto e senza nostalgia. E così facendo ripropone un tratto caratteristico della cultu-ra popolare prevalente. Nello specifico, l’espediente del-la decorazione commerciale, a Gatlinburg, ricorre anche a figure aggettanti che, secondo ben noti stilemi barocchi, si staccano dal fondo per catturare l’attenzione dei passanti. Dunque, l’intramontabile gusto pop di questo paese, parte dal poco o dal nulla del signage e degli onnipresenti bassorilievi a colori vivaci per creare un tutto coeren-te e sensato. Chiara è l’intenzione di connotare visivamente la strip con una trama coreografica spon-tanea, ma complessa, di cui l’ec-cesso e l’enfasi decorativa sono la principale cifra stilistica. L’intento è suscitare, mediante tecniche col-laudate, una sensazione di stupore e di piacevole disorientamento. Il flusso perenne di turisti esposto a quest’esondazione segnica com-pletata da un onnipresente tappe-

to sonoro non può fare a meno di coinvolgere dunque anche il più distaccato degli osservatori. È la giocosa immagine d’insieme della successione orizzontale di vetrine da cui deriva un’elencazione sim-bolica e riassuntiva del consumi-smo americano.Gatlinburg, incurante dei pregiu-dizi estetici ampollosi, ostenta il piacere per il grottesco e il bizzar-ro, assecondando un gusto popola-re che ancora apprezza, nonostante lo splatter cinematografico iper-realistico, l’ingenuità dell’haun-ted house con i suoi manichini e le sue strutture apparentemente decrepite e fatiscenti oppure il surrealismo dell’equino antropo-morfo robotizzato che cavalca un vecchietto tremolante. Insomma il principio del bestiario e dell’inu-suale, consacrato dal grande Bar-num Circus, vale ancora e si com-pleta con l’immancabile “Ripley’s Believe It or Not! Museum”. Commistioni e abbinamenti im-probabili danno dunque un senso compiuto a un eclettismo a forti tinte, essenzialmente volto a un pit-toresco da cui trapela l’entusiasmo, l’ingenuità, il kitsch spensierato di quell’estetica popolare americana che lo spirito Tennessee sembra ac-centuare senza complessi. Il tutto è declinato in una cospicua serie di attrazioni: dai parchi divertimento e acquatici (Wild Bear Falls Indoor Waterpark, Ober Gatlinburg, che d’inverno si trasforma in impianto sciistico) all’intrattenimento fami-liare (Earthquake Ride, Amazing

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Mirror Maze, Mysterious Mansion, Arcadia Planet Fun) e ai musei a tema (Hollywood Star Cars Mu-seum, Gatlinburg Heritage Mu-seum). Parallelamente la cittadina ha curato anche la valorizzazione della cultura locale (Great Smoky Arts and Crafts Community, la leg-gendaria Historic Ogle Log Cabin, Noah Ogle Place), e naturalmente i percorsi e siti naturali (Aerial Tramway, Hen Wallow Water Falls, Baskins Creek Falls) e la Roaring Fork, il sentiero che costeggia i ruscelli forestali e che in autun-no elargisce l’ineffabile spettaco-lo delle foreste multicolori. E poi teatri, cinema, cabaret e show di magia (Sweet Fanny Adams Thea-tre, Comedy Hypnosis Show with Guy Michaels, Bill Gladwell, The Mentalist). Da menzionare, infine, la pratica dei cosiddetti “Hillbilly Weddings”, vale a dire matrimoni consacrati secondo l’usanza loca-le in aree naturali, all’interno di cappelle rustiche personalizzabili,

oltre a quelle più canoniche disse-minate nell’area cittadina.E infine parliamo della storica Ole Smoky Moonshine Holler, che ri-vendicando con fierezza la sua natura di family business gestisce l’intera filiera non più del temuto “hooch” (l’epiteto che indicava il tipico liquore di bassa qualità per il contrabbando), ma di un superal-colico raffinato e rinomato. Emble-ma della città e mimesi edulcorata di un passato in realtà durissimo, oggi è il luogo più visitato e più citato di Gatlinburg, oltre che la prima distilleria ufficialmente au-torizzata, nel Tennessee, a produr-re fuori dalla clandestinità l’oro locale: il whiskey. Scaffali, capanne, travi e botti di legno utilizzate come supporto espositivo costituiscono l’intela-iatura materiale delle sue ambien-tazioni interne. L’estetica evocati-va di un’epoca così controversa è frutto di una cura meticolosa per i dettagli di corredo: vecchie tar-

ghe automobilistiche fissate sulle travi, réclame d’epoca, imballi, copricapi e capi in pelliccia alla Davy Crockett, l’eroe del Tennes-see. A ciò si aggiungano alcuni elementi dominanti del design interno: scintillanti e volumino-se automobili d’epoca, che furono utilizzate per il traffico clandesti-no dei distillati, ora costituiscono sedimenti storici di una nazione resa smemorata dalla sua crescita rapidissima e che cerca pertanto di ricostruire, ovunque e minuzio-samente, le proprie origini. Anche una Ford Coupe Deluxe del 1940 e altre auto mitiche colme di abiti possono assolvere questa funzio-ne, oltre a fungere da soluzioni di visual e cross-merchandising. È in questo ambiente che si svilup-pa un’autentica “moonshine ex-perience”. Si varca la soglia della Holler e un penetrante e pervasivo profumo di grano fermentato anti-cipa sensazioni che riconducono a un passato lontano e leggenda-rio. Si sorseggiano gli assaggi di whiskey. Si mangiano peanut bol-lite o apple pie. Poi su decine di tradizionali “rocking chairs” del sud si assiste a sessioni ininter-rotte di live bluegrass music nella piazzetta ricavata all’interno della costruzione. Ma la Holler delinea anche un trat-to d’identità nazionale, rivendica-to con orgoglio da innumerevoli citazioni e allusioni a riguardo, sparse in tutta la cittadina. Un’i-dentità che affonda le sue radici in un mondo remoto, laddove l’arte di produrre o smerciare in qualche modo il whiskey era un espediente per sopravvivere ai terribili anni di depressione economica e tro-vare un momentaneo conforto, in attesa di tempi migliori.* Presidente di Popai Italy

Alla concezione e alle ricerche

necessarie per l’articolo

ha contribuito Marco Tirelli

Scintillanti e voluminose

automobili d’epoca, che furono

utilizzate per il traffico clandestino

dei distillati, ora costituiscono

sedimenti storici di una nazione

resa smemorata dalla sua crescita rapidissima e che cerca pertanto di

ricostruire, ovunque e minuziosamente,

le proprie origini.

Gatlinburg ostenta il piacere

per il grottesco e il bizzarro,

assecondando un gusto popolare che

ancora apprezza l’ingenuità

dell’Haunted House con i suoi manichini

e le sue strutture apparentemente

decrepite e fatiscenti.

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