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Itinerario biblico-catechetico dell'arcidiocesi di Pescara-Penne per l'anno della fede (IV Fascicolo)
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Anno del la Fede 2012-2013
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L’itinerario diocesano annuale
Con il Motu proprio “Porta Fidei” dell’11 ottobre 2011, papa Benedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede per il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La nostra Arcidiocesi intende proporre a tutte le parrocchie e le realtà ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede..
Il cammino annuale è un cammino comune e al tempo stesso elastico,
adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, affinché venga rispettato il carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso in 6 tappe, che ricalcano i momenti specifici dell’anno liturgico (ottobre‐novembre; tempo di Avvento e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate).
Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni di
incontro e comunione per tutta la diocesi. In questo modo abbiamo cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno.
Il quadro d’insieme di tutto l’anno è affidato all’Icona Biblica della
moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17. 10aAl loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto.
10bAllora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono. 11bEgli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Questo brano è stato diviso anch’esso in 6 parti, ciascuna di esse
corrisponde ad una tappa del cammino annuale, come indicato nello schema
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che segue: la prima tappa tra ottobre e novembre (Lc 9,10a.11a); la seconda tappa nel tempo di Avvento e Natale (Lc 9,10b); la terza tappa nel periodo di gennaio e febbraio (Lc 9,11b); la quarta tappa nel tempo di Quaresima (Lc 9,12‐13); la quinta tappa nel tempo di Pasqua (Lc 9,14‐16); infine, la sesta tappa in estate (Lc 9,17).
Il cammino diocesano sulla fede e questo sussidio sono il frutto del lavoro di tutti gli uffici della nostra diocesi. È possibile, per qualsiasi necessità, contattare alcuni dei sacerdoti responsabili del progetto ai seguenti numeri:
‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale) 329.68.14.898 ‐ don Domenico (Pastorale Giovanile) 340.67.06.645 ‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria) 380.36.18.590 ‐ don Nando (Pastorale Biblica) 327.88.56.338
I testi biblici che caratterizzano ogni tappa sono da intendersi come dei
“moduli”. Nel senso che ogni gruppo di parrocchia, movimento o associazione potrà scegliere se e come utilizzarli: possono essere utilizzati tutti consecutivamente (visto che hanno una loro continuità) o possono anche essere presi singolarmente o parzialmente (avendo comunque ciascun modulo un senso compiuto per se stesso). In questo modo, ognuno potrà costruirsi un itinerario ad hoc in base alle necessità della realtà nella quale opera, rispettando le proprie specificità e contemporaneamente non perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi.
Ogni modulo è corredato delle seguenti piste di approfondimento e attualizzazione:
a. la spiegazione esegetica guida ad una maggior comprensione del testo biblico;
b. il filo rosso, che offrendo elementi di crescita umana e spirituale presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;
c. riflessione diretta ai giovani; d. spunti per la vita di coppia; e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e ai
malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro; f. spunti per attività di catechesi sul tema; g. proposte celebrative.
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LA QUARTA TAPPA
La fede provata Moduli biblico‐catechetici di approfondimento
della Quarta Tappa (Quaresima)
Introduzione
a. La mappa del nostro cammino
Dall’Icona biblica (vv 12‐13): 12
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi
risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
Continuando a seguire la nostra icona biblica annuale di Lc 9,10‐17, ci troviamo ora all’amara esperienza della pochezza di mezzi da parte dei discepoli. Si trovano il problema di dover dare da mangiare a tanta gente e non hanno di che sfamarli. È l’esperienza dell’inadeguatezza e dell’impo‐tenza. Potrebbe essere persino l’esperienza del fallimento e della negazione di ciò in cui si è sempre creduto. È lo smarrimento che tante volte anche noi proviamo di fronte ai nostri insuccessi. È lo sconcerto per la percezione che Dio si sia fatto assente, reso irreperibile, abbia abbandonato noi e tutto. È questa la prova della fede!
La sperimentiamo in tanti momenti o periodi di apparente sconfitta. Eppure, col senno di poi riconosciamo che proprio essi, contrariamente a quanto sentivamo dentro, costituiscono la gestazione di un vita nuova, la rinascita ad una vita più piena. Ritroviamo Dio in un rapporto più intimo e in modo più consapevole. Facciamo esperienza dell’importanza di una comunità che ci ha sorretto nei nostri barcollamenti, piccola porzione di quella Chiesa che è fatta di gente come noi e che cammina con noi in Cristo.
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Alla luce di tutto questo, la nostra vita può essere concepita come un esodo: un uscire da noi stessi per aderire a un progetto che ci permetta di auto‐trascenderci, ovvero squarciare il nostro orizzonte troppo umano e aprirci all’amore infinito di Dio. Questo esodo richiede di essere disposti ad abbandonare le nostre comodità e pigrizie, a lasciare ciò che a noi risulta ben conosciuto e che ci rassicura. Solo così possiamo andare verso ciò che è nuovo, anche se, essendo ancora ignoto, esso può essere fonte di ansia.
Questo passaggio che è una vera e propria pasqua spirituale. È passare un deserto fatto di smarrimenti e incertezze, che però preludono ad un ritrovarsi rinnovati. In questo deserto avvertiamo l’aridità che ci è procurata dal non soddisfare più i nostri vecchi gusti e, allo stesso tempo, non trovare ancora soddisfazione per le nuove gioie. Eppure percorrendo questo deserto scopriamo tante cose importanti. Innanzitutto, nel silenzio, seppur arido, delle nostre passioni troviamo la verità del nostro cuore. Nella molteplicità delle dune sabbiose della nostra interiorità comincia a tratteggiarsi un sentiero, … il nostro sentiero, …il cammino della nostra vita. Per di più, scopriamo che all’appuntamento con quanto di più autentico abbiamo in noi, non manca di farsi trovare anche il nostro Signore Gesù, nostro Salvatore. A questo punto ci accorgiamo che non siamo soli, ma persino che siamo parte di qualcosa di più grande, di un popolo in cammino. Fratelli che camminano con noi percorrendo il nostro stesso sentiero. Il deserto si fa meno arido, lo smarrimento lascia il posto ad un nuovo orientamento e la terra promessa si fa più vicina. Persino il peregrinare si fa compimento di quella promessa legata alla terra, che è la meta della nostra ricerca. Perché la terra promessa, più che un luogo, è una nuova condizione di pienezza di vita!
b. L’itinerario della Quaresima di Carità
Ci accompagna in questo tratto di strada anche il messaggio di Benedetto XVI indirizzato alla Chiesa tutta per la Quaresima 2013 dal titolo “Credere nella carità suscita carità”. Vogliamo fare nostre le parole del Papa che ci invita a «scoprire la fede come percorso per conoscere la verità e a vivere la carità come cammino nella verità scoperta. Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine “carità” alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. È importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola». Non v’è azione più
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benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l’evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana»1. Attraverso l’approfondimento dell’itinerario “Carità e testimonianza”, desideriamo porre all’attenzione di tutti le proposte e le riflessioni maturate nell’ambito del nostro gemellaggio con la Diocesi di Sapa in Albania, perché la nostra quaresima di carità non sia solo una raccolta di risorse materiali, ma un avvicinamento concreto del cuore ai nostri fratelli d’oltre mare, che trovi concretezza non solo nella carità dell’elemosina ma anche nella preghiera e nel digiuno che il Signore vorrà suggerirci per vivere il suo amore più intensamente. Potremo vivere concretamente queste tappe attraverso la Settimana di animazione missionaria, dal 17 al 24 febbraio, che vedrà la presenza dei 4 missionari della nostra diocesi in Albania presenti a Pescara. Inoltre venerdì 15 marzo ci sarà la veglia di preghiera in occasione della Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri nella parrocchia di S.Pietro Apostolo con la presenza del Vescovo della diocesi albanese di Sapa Mons. Luciano Augustini.
c. Descrizione dei moduli
Dopo aver introdotto alcune categorie spirituali con le quali potremo leggere questa quarta tappa quaresimale, eccone ora una descrizione dei moduli.
In esso vengono presentati quattro moduli corrispondenti ai vangeli domenicali dell’anno liturgico in corso (anno C): dalla seconda alla quinta domenica di quaresima2. Questa volta più che mai i moduli sono parte di un cammino dalle caratteristiche specifiche. Vogliamo riscoprirci popolo di Dio che compie il suo esodo, attraversando il deserto delle prove della vita, per giungere alla resurrezione della Pasqua.
Per iniziare il nostro cammino, qualsiasi esso sia, abbiamo bisogno di sapere quale sia la nostra meta. Non è possibile infatti studiare un percorso e quindi iniziare a compierlo, se non se ne conosce prima la destinazione. Ecco allora il primo modulo, la trasfigurazione, anticipazione della nuova condizio‐
1 Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013. 2 Il vangelo della prima domenica di quaresima, infatti, è già stato proposto all’inizio del
nostro cammino annuale ed è possibile trovarlo nel primo sussidio.
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ne di salvezza inaugurata dalla resurrezione di Cristo. Come dire che accoglia‐mo l’esperienza del deserto nella nostra vita, ma in vista della terra promessa.
Non sempre le nostre vie vanno nella giusta direzione, non sempre procedono nella stessa direzione delle vie di Dio. Sarà necessario verificarsi ed essere disposti ad accogliere l’invito di Gesù a convertirci, cioè a “invertire” il nostro cammino di marcia verso i sentieri di Dio. È quanto viene proposto con il secondo modulo, vangelo della terza domenica di quaresima. Così cercheremo di tornare sulla via di Dio per evitare di lasciarci smarrire dal peccato.
Nel terzo modulo, vangelo della quarta domenica di quaresima, abbiamo la possibilità di scoprire che nel nostro cammino non siamo soli! Noi siamo figli di Dio. Lui ci cerca con lo sguardo mentre noi siamo ancora lontani, si “com‐muove” verso di noi: Dio si “muove‐con” noi! Nel nostro cammino di vita, questo è già una salvezza per noi, pur non essendo ancora arrivati alla meta.
Infine, con la peccatrice perdonata presentata al quarto modulo – vangelo della quinta domenica di quaresima – facciamo nostro il monito rivolto da Gesù all’adultera di non peccare più. Infatti, non vogliamo “mancare il nostro bersaglio” (questo significa letteralmente in greco “peccare”) e se dovessimo cadere, sappiamo che possiamo sempre rialzarci e riprendere il passo verso Cristo.
Ma accogliamo altresì il monito che Gesù rivolge implicitamente ma efficacemente agli uomini pronti a lapidare l’adultera: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Non è possibile, infatti, creare un nuovo ordine di relazioni attraverso il giudizio e la condanna. Se vogliamo essere popolo di Dio in cammino, non orientiamo il nostro sguardo morbosamente sul male altrui, ma – come Gesù che si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra – edifichiamo le nostre relazioni sulla discrezione amorevole, che è propria di chi ha il senso del suo errore e sa usare la giusta misericordia verso se stesso e gli altri. Dimenticare tutto ciò sarebbe davvero un peccato, sarebbe davvero un mancare la nostra meta!
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1. Primo modulo. La meta del nostro cammino
Lc 9,28‐36
28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni
e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
a. Approfondimento esegetico
In tutti e tre i sinottici il racconto della trasfigurazione comincia con un’indicazione temporale: «sei giorni dopo» dicono Matteo e Marco, «otto giorni dopo» afferma Luca. In questo modo gli evangelisti collegano la trasfigurazione alla confessione di Pietro. In entrambi i brani il tema è la divinità di Gesù, il Figlio, e in entrambi i casi la gloria del Figlio è legata alla sua passione.
Il testo afferma che Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e sale sul monte a pregare. Secondo il Vangelo di Marco (14,33; cfr. anche Mt 26,37) questi tre discepoli saranno di nuovo con Gesù sul monte degli Ulivi nel momento dell’estrema angoscia di Gesù, una specie di contraltare all’episodio della trasfigurazione. C’è un chiaro riferimento a Esodo 24, in cui viene descritta la stipulazione dell’Alleanza di Dio con Israele. Lì si dice che Mosè porta con sé, nella sua salita sul monte Sinai, Aronne, Nadab e Abiu.
Che cosa rappresenta il monte? Salire sul monte significa allontanarsi dalla confusione e dal peso della vita quotidiana; significa anche avere uno sguardo più ampio sulla realtà, aprirsi a una visione più grande della vita e
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delle cose. Si capisce allora perché il monte nell’Antico Testamento è il luogo dell’incontro e della rivelazione di Dio: ci sono le condizioni per ascoltare Dio che parla. Il Papa fa notare che il Sinai, l’Oreb (è il Sinai nella tradizione deuteronomistica) e il Moria sono al tempo stesso monti della rivelazione e monti della passione, e rimandano al monte del tempio dove la rivelazione diventa liturgia (Gesù di Nazaret, pag. 356). Anche nella vita e nella missione di Gesù il monte è fondamentale: il monte della tentazione, il monte della predicazione (il Discorso della montagna), il monte della preghiera, il monte della trasfigurazione, il monte dell’angoscia, il monte della croce e il monte dell’ascensione.
L’evangelista Luca è l’unico a dirci che la trasfigurazione è un avvenimento di preghiera (v. 29). In precedenza aveva anche indicato lo scopo della salita: «salì sul monte a pregare» (v. 28). Il volto di Gesù, dice il testo, cambia d’aspetto e la sua veste diventa candida e sfolgorante. La descrizione di ciò che avviene non è molto precisa: in che senso il volto di Gesù cambia d’aspetto? Si percepisce la difficoltà dell’evangelista nel descrivere quello che è successo: la rivelazione dell’identità di Gesù, il suo essere Figlio di Dio. L’umanità di Gesù celava la sua divinità, ora, davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, questa diventa visibile; ciò che Pietro aveva dichiarato nella sua confessione, in questo momento si rende disponibile
anche ai sensi3.
Allo stesso tempo la trasformazione (anche se Luca, a differenza di Marco e Matteo, non usa il verbo della “metamorfosi”) è un annuncio di risurrezione: i tre discepoli possono vedere quale sarà lo stato (eterno) di Gesù dopo la sua morte e risurrezione. In Lc 24 due uomini in abito sfolgorante fanno sapere alle donne che Gesù è risorto. In At 1 all’ascensione di Gesù sono presenti due uomini in bianche vesti. Nel nostro brano la veste di Gesù diventa candida e sfolgorante.
Egli non è solo: appaiono due uomini che conversano con lui. Sono Mosè ed Elia. Entrambi hanno sperimentato la presenza di Dio sul monte. Ora, sul monte parlano con Gesù. Solo Luca ci dice l’argomento della loro
3 Il Simbolo Niceno‐Costantinopolitano, così chiamato perché frutto dei primi due Concili
Ecumenici (Nicea, 325, e Costantinopoli, 381) e tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell’Oriente e dell’Occidente (è quello che usiamo abitualmente nella Messa, cfr. CCC 195 ), esprime questo nella parte riguardante il Figlio con le parole: «Dio da Dio, Luce da Luce».
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conversazione: «l’esodo che stava per compiersi a Gerusalemme» (v. 31). L’esodo è evidentemente la Pasqua di Gesù, la sua morte e risurrezione che avviene a Gerusalemme. L’uso del verbo plērōo (compiersi) suggerisce che nell’evento della morte e risurrezione di Gesù si compiono le Scritture, la Legge e i Profeti parlano della sua Pasqua. Mosè (la Legge) ed Elia (i Profeti) testimoniano che l’attesa di Israele è finita. È Gesù, il Figlio di Dio, la speranza di Israele; è lui il liberatore, nel suo esodo verso Dio si compirà l’esodo verso la salvezza dell’umanità. La Legge e i Profeti che parlano di lui adesso parlano con lui.
Nella teologia di Luca Gerusalemme ha un ruolo centrale. È in essa che si compie la redenzione (ricordiamo che Salvatore è un titolo caro a Luca), è lì che gli apostoli ricevono lo Spirito Santo e da lì partono per portare l’annuncio di salvezza fino ai confini della terra.
I discepoli, oppressi dal sonno, non hanno ascoltato la conversazione dei tre personaggi, hanno però fatto in tempo a vedere la gloria di Gesù e gli altri due con lui, e li hanno anche riconosciuti, come risulta dalle parole di Pietro: «Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». La menzione delle capanne ha fatto pensare alla festa ebraica di Sukkot (Capanne) che dura una settimana. Questo spiegherebbe anche l’indicazione temporale con cui si apre il brano: «otto giorni dopo questi discorsi». La confessione di Pietro avrebbe avuto luogo il primo giorno della festa, la trasfigurazione l’ultimo. Al tempo di Gesù questa festa aveva assunto anche un significato escatologico: uno dei caratteri dei tempi messianici era il soggiorno dei giusti nelle tende di cui quelle della festa delle Capanne erano figura. La trasfigurazione di Gesù è interpretata da Pietro come il segno che i tempi messianici sono arrivati. Ma egli dovrà imparare che il tempo messianico è il tempo della croce e che non c’è trasfigurazione senza passione. Seguendo Gesù fino a Gerusalemme scoprirà che l’«esaltazione» (Vangelo di Giovanni) del Maestro si compie sulla croce.
I discepoli, dunque, devono ancora imparare. Devono ascoltare Gesù. Questo dice la voce che esce dalla nube che li ha avvolti (vv. 34‐35). La nube nell’Esodo è il segno della presenza di Dio, la Shekinah (cfr. ad es. Es 24,15‐18). La voce, dunque, è di Dio. Le parole ricalcano quelle udite dopo il battesimo di Gesù con un’aggiunta: «Ascoltatelo!». La visione scompare e il suo significato più profondo è riassunto da questo imperativo:
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«Ascoltatelo!». I discepoli, ascoltando Gesù, la Parola di Dio fatta carne, ne sperimenteranno la potenza e parteciperanno alla suo mistero di morte e risurrezione, saranno anche loro trasfigurati.
b. Il filo rosso
Nella trasfigurazione Gesù ha mostrato il suo volto glorioso, che è meta del suo esodo, ovvero della sua pasqua di morte e resurrezione. È un anticipo dell’ottavo giorno (otto giorni dopo…), giorno senza fine, fuori del tempo. È la vita eterna, l’abitare nella casa del Padre.
Anche per noi meditare la trasfigurazione di Gesù, significa guardare alla meta del nostro peregrinare su questa terra. Saper guardare oltre la nostra morte corporale, ma anche oltre il nostro dolore e le nostre sconfitte morali e interiori, che rappresentano la nostra possibile morte spirituale di ogni giorno. Il punto è che solo se si ha ben chiara la meta, è possibile tracciare il giusto percorso per arrivarci.
A questo proposito, significativo è che Gesù viva la sua trasfigurazione, proprio mentre sta pregando. Così può essere anche per noi! La preghiera è la nostra possibilità di guardare oltre il nostro momento attuale, per proiettarci verso ciò al quale siamo chiamati. La preghiera ci ricolloca all’interno del nostro “habitat originario”: il nostro rapporto con Dio. Ci ridona la consapevolezza che veniamo dalla terra sì, ma siamo destinati al cielo. Per esso siamo stati creati. Ci aiuta a cercarci nel cuore di Dio, nel disegno che Lui ha per noi.
Non ci stupisce che tutto questo possa risultarci difficile. In questa nostra società, abbiamo bisogno di rieducarci a guardare alto! Il nostro volare basso si rende evidente se pensiamo alla difficoltà che abbiamo oggi a credere in alti ideali e a fondare le nostre scelte concrete su quei valori nei quali crediamo.
I nostri ideali ci stanno sopra e ci indicano come possiamo essere. Ma oggi si fa molta difficoltà a parlarne. L’ideale spesse volte è troppo alto o frainteso. La realtà è troppo diversa da come dovrebbe essere e l’eccessiva distanza tra la realtà e l’ideale finisce col generare frustrazioni e ansie. I valori, invece, più che starci sopra, ci stanno davanti e ci indicano il cammino. Una volta scoperto, il valore ci attrae e quindi ci muove a compiere il nostro progetto. Ci indica ciò che vale e, in quanto tale, dà “valore” alla nostra stessa
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vita. La rende degna di essere vissuta. La colora di sfumature e prospettive, senza le quali sarebbe grigia e depressa.
Molto del malessere del nostro tempo nasce dalla mancanza di fiducia in qualcosa che possa dare valore ai nostri giorni. In questo contesto, soprattutto noi cristiani siamo chiamati a non abbassare lo sguardo. A non accontentarci di fare scelte al ribasso, comode, ma prive di amore e passione. La Pasqua ci ricorda l’importanza di guardare avanti, …di guardare Cristo, luce al nostro cammino! Ancor più per il fatto che Cristo è molto più di un ideale o di un valore, è una persona …che ci salva!
Sappiamo che non è facile innalzarci. Anche i discepoli di fronte a tanto erano oppressi dal sonno: hanno dovuto superare delle resistenze interiori molto forti. Lasciarci attrarre da qualsiasi vero valore per la nostra vita e, in particolare, dal Valore per eccellenza, che è Dio, significa sperimentare la nube. Il valore ti supera. Lo intuisci e lo desideri, ma è tutto da scoprire nel suo senso più profondo ed è tutto da conquistare nella sua realizzazione pratica. Lo cogli ma mai appieno, ti sfugge eppure ti avvolge. È una presenza, al modo di un’ombra. Avere paura è la cosa più naturale. Non spaventiamoci della paura! La fiducia che il Signore non ci farà mancare la sua rivelazione, la sua voce, ci sosterrà e ci indicherà la strada.
• Qual è la mia meta? L’obiettivo della mia vita?
• Posso dire nella mia vita di saper guardare spesso in alto? Quali sono i miei valori? Cosa ha valore concretamente per me?
• Come vivo la mia preghiera? Mi rimanda a ciò che vale nella mia vita o si tratta di una semplice pratica da compiere perché il Signore me lo chiede? È mettere Dio al centro della mia vita o è solo una pratica che Dio mi chiede, un compito da svolgere?
c. Giovani
La Quaresima è un tempo particolare legato alla riflessione sulla nostra vita, sui nostri ideali, e su qual è la strada che vogliamo percorrere, verso quale direzione vogliamo andare. Gesù invita noi come Pietro, Giacomo e Giovanni ad uscire dalla massa e dalla quotidianità, a salire con lui sul monte per pregare. Gesù era già salito da solo sul monte, quello delle tentazioni, e aveva guardato, con la suggestione offertagli dal demonio, gli ideali degli
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uomini confrontandoli con il progetto di Dio: in quell’occasione aveva deciso e scelto di fidarsi del Padre.
Ora è sul monte con gli apostoli, di notte, a pregare per insegnare loro che con la preghiera e nella preghiera s’incontra il Padre. Ed è proprio in questa atmosfera particolare che avviene la Trasfigurazione di Gesù che illumina di luce la notte, fa svegliare gli apostoli e li riempie di ammirazione. Hanno potuto contemplare almeno per una volta, e sarà l’unica, la gloria della divinità nascosta dalla normalità dell’umanità. Hanno visto quello che era oltre il visibile umano e quella che sarebbe stata la fine, oltre la morte, oltre la croce. A questo punto è importante chiederci che valore diamo noi alla preghiera, quanto tempo le dedichiamo, e quale esperienza traiamo da essa; questo tempo, infatti, ci chiede in particolare di dedicare tempi di solitudine, tempi di preghiera per poter incontrare e sperimentare la presenza del Signore.
Interviene Pietro con la sua proposta, rivelatrice di quello che è il suo carattere. La nuvola, segno della presenza di Dio, avvolge lui e i compagni e avviene la proclamazione del Padre che Gesù è il suo Figlio. La piena rivelazione del Figlio comporta l’invito ad ascoltarlo perché è lui la completa manifestazione del Padre, e in lui, sintesi della storia della salvezza e centro della storia dell’umanità, troviamo l’amore del Padre per noi e anche la possibilità di vivere da fratelli tra noi.
Ascolto vuol dire fidarsi, lasciarsi condurre da lui, camminare dietro a lui con la certezza che lui è l’unico Salvatore.
Riguardo all’ascolto ci dobbiamo interrogare:
• Quale abitudine ho all’ascolto della Scrittura e, in modo particolare, del Vangelo?
• Faccio riferimento al Signore, che mi parla dal Vangelo, nelle scelte della mia vita?
• Come mi aiutano il contatto con la Parola e l’esercizio della preghiera a sentire il Signore presente nella mia vita, a vedere oltre le cose immediate e, per il futuro, a vivere la speranza della vittoria sulle paure, sui fallimenti, e su annunci di sempre nuove catastrofi?
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d. Coppie
Nell’episodio della Trasfigurazione Gesù si manifesta ai suoi discepoli nella gloria, dona loro la possibilità di vedere la meta del cammino intrapreso. Gesù dà anche a noi oggi la possibilità di guardare la meta per aiutarci a tracciare il percorso più giusto da fare. Come sposi cristiani abbiamo dalla nostra parte la Grazia del Sacramento: “Sacramentum” in latino è la traduzione della parola greca “Mysterion”, che è la Gloria nascosta e rivelata sotto i segni della storia, l’opera di Dio nel tempo dell’uomo. In virtù della Grazia del Sacramento del matrimonio la coppia sponsale si muove su tre grandi orizzonti:
• L’origine divina, essa non nasce solo dalla convergenza di interessi umani, ma è la risposta ad una chiamata che viene dall’Eterno, è una vocazione che pesca dal mistero stesso dell’Amore eterno di Dio;
• È immagine e somiglianza di Dio: nella Trinità, c’è una relazione d’Amore tra i Tre che sono uno, “distinti nell’unità”; così nella coppia i due e la loro fecondità sono segno di un’ unità che va costruita ogni giorno ma è anche donata dall’alto, ed è immagine di quella trinitaria;
• Il destino della famiglia è preciso: è in cammino verso un orizzonte grande di senso, i due non solo si promettono fedeltà e amore reciproco ma scommettono insieme verso un orizzonte grande di senso, di speranza , di bellezza e di pace. 4
Abbiamo così, grazie al nostro amore sponsale, il privilegio non solo di
vedere la meta ma anche di iniziare a viverla e sperimentarla ogni giorno nella nostra quotidianità nella consapevolezza e nella certezza che nonostante le nostre fragilità, le nostre debolezze, i nostri fallimenti, le nostre paure, le nostre fatiche, l’orizzonte è Lui e lo abbiamo davanti agli occhi ogni giorno: ci si manifesta nell’altro sposo/sposa, nei figli, nel mondo e noi stessi siamo la manifestazione della sua Gloria per chi abbiamo accanto e per chi incontriamo lungo la nostra strada.
4 Liberamente tratto dall’intervista rilasciata da Mons. Bruno Forte in occasione della
Visita ad limina dei Vescovi della CEAM al Pontificio Consiglio della Famiglia.
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Gesù si trasfigura mentre è in preghiera, cioè mentre entra in relazione intima e profonda col Padre. Anche a noi sposi la preghiera dovrebbe servire come il carburante che alimenta l’energia e la potenza della grazia ricevuta; le modalità sono diverse, ad esempio la riflessione sulla Parola del giorno, una preghiera profonda di condivisione in coppia, una preghiera individuale, un momento di silenzio contemplativo. E quando tutto questo è difficile perché siamo troppo impegnati e non riusciamo a ritagliarci un momento per stare con Gesù, preghiera è anche donare a Lui il nostro fare quotidiano ripetendoci nella giornata: “PER TE GESU”‘, così la nostra meta sarà sempre chiara anche se il cammino è faticoso.
e. Carità e testimonianza
«Il mio sogno è avere un’attività per conto mio, come un ristorante» dice Cézanne, immigrato di ventuno anni. «Sono ambizioso e ho forza di volontà. So di potercela fare e alla fine farò in modo che i miei sogni si avverino». Questo giovane esprime così il suo sogno concreto e la forza che mette in moto tutta la sua vita nel realizzarlo.
Ognuno di noi nutre nel proprio cuore ideali alti, spesso molto più importanti del sogno concreto di un lavoro. Essi dicono i nostri valori, ciò che ci spinge a muovere tutta la nostra vita, verso un orizzonte “altro”. “Altro” dai valori contrabbandati come tali da questo mondo, che ci appiattiscono verso una mediocrità che non ci appassiona, in cui ci sentiamo assopire.
Eppure se ci lasciamo opprimere dal sonno rispetto ai nostri ideali, rischiamo di negarli anche a chi è più in difficoltà, perché oppresso dal bisogno o dalla sofferenza o, ancora, perché, in carcere o straniero, allontanato da una rete di relazioni amicali e familiari che possano sostenerlo.
Il loro “grido” che ci richiama ad una vita “alta”, perché desiderosa di essere una vita “altra”, ci infastidisce e vorremmo che tacesse.
Il loro “grido” ci richiama anche al desiderio dell’amore di Dio “la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e che ci dà il coraggio di vivere e di agire”5.
5 Cf. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013.
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• Sono capace di riconoscere e promuovere la dignità delle persone più bisognose, guardando a loro secondo l’ideale alto di Dio? Quale esperienza potrei raccontare?
• So aiutare coloro che si accontentano di sogni a basso “prezzo” ad alzare lo sguardo, mostrandogli la via della resurrezione per una vita piena?
• Accompagno con la preghiera chi è nel bisogno, perché nel dialogo con Dio possiamo insieme trovare le strade per superare le situazioni di morte, il dolore e le sconfitte morali e interiori e rinascere a vita nuova?
• Come sostengo l’evangelizzazione e la promozione umana degli abitanti della diocesi di Sapa (in Albania) con cui la nostra diocesi è gemellata?
f. Spunti per attività
Prima proposta
1. Ascolto di due brani musicali: “Un senso” di Vasco Rossi e “Tensione evolutiva” di L. Jovanotti (oppure “Chiamami ancora amore” di R. Vecchioni)
2. Conversazione guidata attraverso domande‐stimolo per la condivi‐sione: a. In quale di questi testi ti ritrovi di più? b. Jovanotti parla di “una ragione per vivere”, qual è la tua? c. Vasco Rossi parla di una vita «che un senso non ce l’ha, ma che
domani arriverà». Tu come ti poni di fronte a queste parole?
Seconda proposta
1. Il gruppo si siede in cerchio e al centro si pongono delle riviste. 2. Si invita ciascuno a prendere le riviste e a ritagliare tutte quelle
immagini che esprimono i propri valori. 3. Ognuno incolla le immagini su un foglio come se volesse creare un
collage. 4. A gruppi di due si condivide il proprio lavoro esprimendo i vissuti ad
esso legati (Cosa mi ricorda? A quale situazione mi riporta? Quali emozioni provo ritornando a quelle vicende?).
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5. A conclusione del percorso ci si riunisce nel grande gruppo e tutti dicono con una parola il valore che più degli altri guida la sua vita, soprattutto nei momenti di difficoltà.
g. Momento celebrativo
ADORAZIONE EUCARISTICA
Canto iniziale e saluto del presidente
Canto di esposizione Se è possibile “Oh oh oh adoramus te Domine”
Salmo 145 (144),1‐14 Durante questo salmo si espone il Santissimo e lo si incensa e si canta ad ogni strofa il ritornello proposto o un altro adatto
O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza.
Una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue imprese. Il glorioso splendore della tua maestà e le tue meraviglie voglio meditare.
Parlino della tua terribile potenza: anch’io voglio raccontare la tua grandezza. Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia.
Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
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Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza,
per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno. Il tuo regno è un regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente.
Pausa di silenzio … Vangelo (Lc 9,28‐36)
Letto il vangelo della trasfigurazione ognuno porta all’altare le candele consegnate precedentemente e si compie un momento di adorazione silenziosa e personale davanti all’eucarestia esposta.
Quindi un lettore espone il commento “filo rosso” con le domande corrispondenti che possono essere consegnate in un foglietto da dare singolarmente. Per comodità mettiamo di nuovo le domande di seguito alle quali ne abbiamo aggiunte altre.
Canto di adorazione e silenzio
Per riflettere Cosa posso dire al Signore presente qui davanti a me? … È la mia meta? … Qual è l’obiettivo della mia vita? … Posso dire nella mia vita di saper guardare spesso a Lui? … Come vivo la mia preghiera? … Mi rimanda a Chi vale nella mia vita o la riduco ad una semplice pratica da compiere perché il Signore me lo chiede? … È mettere Dio al centro della mia vita o è solo una pratica che Dio mi chiede, un compito da svolgere?
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Benedizione o reposizione semplice Se possibile, sarebbe il caso di ascoltare una testimonianza di qualcuno che ha fatto una bella esperienza di preghiera, sia un consacrato opp. una famiglia.
Preghiere
Padre nostro
Benedizione e canto finale
Quanto segue potrebbe essere preparato su un foglio da lasciare a coloro che sono venuti all’adorazione come momento di preghiera personale o come catechesi sulla preghiera.
Ci sono quattro condizioni “di fondo” per la preghiera:
1. il silenzio: Dio è presente in me in quanto creatura – mi dona ogni momento vita e respiro – ed è presente in modo “soprannaturale” in me che amo Gesù e osservo la sua parola (Gv 14,23)… So sostare, stare solo, restare fermo e semplicemente fare spazio in me?... «Tu sei in me… Tu mi ami… Mi fido di Te...»;
2. l’accettazione di se stessi: tutto è grazia (Mt 10,29‐31): la mia storia passata (famiglia, vicende, sbagli e colpe,...), la situazione presente (ambiente di vita, persone che mi circondano, lavoro, occupazioni,…), me stesso (doti e talenti, malesseri del corpo, lacune nella formazione, difetti da cui non riesco a liberarmi) … Cosa fatico di più ad accettare? Cosa mi dice di me, questo? ... «Ti ringrazio di tutto… Accetto tutto dalle Tue mani… Ti offro tutto…»;
3. l’accettazione degli altri: si tratta del comandamento dell’amore (Mt 22,29; Gv 15,12), con attenzione a quanto accetto tutti gli altri; due aspetti particolari: il perdono dei nemici e il superamento della gelosia… Chi fatico ad amare? Perché? ... «Aiutami a comprenderlo… a perdonarlo… ad amarlo… Ti ringrazio dei doni che mi hai dato… che gli hai dato… per la stima di cui gode…»;
4. la libertà del cuore: è la condizione più importante e riassuntiva, indispensabile per trovare Dio nella preghiera e per ascoltare la sua voce.
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Libertà dalle cose (Lc 14,33), dalle persone (Mt 10,37), da me stesso (Lc 9,23) cioè dal desiderio di riuscire ad ogni costo e di essere stimato dagli altri, dalla paura di fare brutta figura o subire critiche… Quanto sono libero? ... «Liberami da questa cosa… da questa persona… da me stesso… dalla paura…».
Due i frutti da ricavare:
1. l’impegno nel proprio dovere: (Mt 7,21) «Signore, aiutami ad amare la tua volontà… a scegliere il bene… a scoprire le necessità degli altri… Fammi capire che cosa posso fare per loro… dammi tanta generosità…»;
2. l’abbandono fiducioso: (Lc 22,42) «Signore, sono nelle tue mani… Mi fido di te… Non la mia, ma la tua volontà sia fatta...».
I contenuti della preghiera sono sei:
1. la preghiera di lode: universale, gratuita, eterna (Mt 11,25)… «Ti lodo, Signore mio Dio… Ti lodo per le tue creature… Per l’intelligenza umana… Tu sei infinitamente più bello di ogni opera…»;
2. la preghiera di ringraziamento: completa la lode, mi aiuta a sentirmi immerso nell’amore di Dio (Gv 11,41)… «Grazie, Signore, per le tue creature… Grazie, Gesù, di avermi salvato… Grazie perché esisto… Grazie anche per questa cosa…»;
3. la richiesta di perdono: nasce da tre sentimenti (Sal 50): il dispiacere delle mancanze commesse, la gioia di essere perdonato, il desiderio sincero di ricominciare… «Signore, abbi pietà di me… Grazie, Signore, del tuo perdono… Aiutami, Signore, a ricominciare…»;
4. la preghiera di offerta: ci unisce ai sentimenti di Cristo, che ha offerto e offre totalmente se stesso (Eb 10,7), ci unisce al suo sacrificio, anche eucaristico, e a quello di Maria… «Ti offro, Signore, tutto il mio lavoro… Tutte le mie croci… Tutta la mia vita passata, presente e futura…»;
5. la preghiera di domanda: Dio sa già di cosa ho bisogno, ma domandare educa il mio cuore a tre sentimenti: umiltà di aver bisogno di tante cose,
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dipendenza da Dio, fiducia nel Signore (Mt 6,11; Gv 17,11; Lc 11,9‐10)… «Padre Nostro…» (preghiera maestra)…
6. la preghiera di ascolto: se la vita è risposta all’amore di Dio, ascoltare è l’esercizio determinante (Rm 12,2)… «Aiutami a conoscere la tua volontà… Dammi la libertà del cuore… Parla, che il tuo servo ti ascolta…».
2. Secondo modulo. La direzione giusta
Lc 13,1‐9
1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei
Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». 8Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai»».
a. Approfondimento esegetico
Questo brano è specifico di Luca. Si può dividere in due parti. Nella prima (vv. 1‐5) due fatti di cronaca danno a Gesù la possibilità di rivolgere un invito urgente alla conversione; nella seconda (vv. 6‐9) abbiamo la parabola del fico, anch’essa legata al tema della conversione.
Il testo si apre con un’annotazione di carattere temporale: «in quello stesso tempo», secondo la traduzione della CEI, «in quello stesso momento» si potrebbe tradurre anche. Gesù aveva appena detto alle folle: «Come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (12,56). Non stanno
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valutando correttamente il tempo che stanno vivendo, “l’oggi”; non stanno interpretando correttamente l’agire di Gesù. E questo non perché non abbiano i mezzi intellettuali per farlo, ma per mancanza di volontà. Per questo Gesù dice loro: «Ipocriti!». Il nostro brano, dunque, si collega a quello precedente non solo per l’annotazione temporale ma anche per il tema: decidersi in fretta per Gesù.
Torniamo al nostro testo. Si presentano alcuni e riferiscono a Gesù un fatto tragico: Pilato ha ucciso alcuni pellegrini provenienti dalla Galilea facendo scorrere il loro sangue «insieme a quello dei loro sacrifici» (v. 1). L’uccisione è avvenuta all’interno del tempio di Gerusalemme, dove i pagani non potevano assolutamente entrare (pena la morte). Si tratta, quindi, di un fatto doppiamente grave: è stata usata violenza ed è stato commesso un sacrilegio. Questo episodio non è attestato altrove ma è coerente con quanto dicono le fonti extrabibliche sulla crudeltà di Pilato.
Gesù reagisce alla notizia con una domanda (v. 2) e un invito pressante (v. 3). Nella religiosità popolare (anche a causa della teologia deuteronomistica) le sciagure erano interpretate come una punizione per i peccati commessi. Questo emerge anche dal brano del cieco nato di Gv 9 (cfr. in particolare 9,2‐3 ). Gesù respinge questa concezione e ne approfitta per rivolgere un invito molto forte: «se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo». Notiamo che Gesù ripete la stessa domanda e lo stesso invito dopo aver riferito lui stesso un altro fatto di cronaca, che, a differenza del primo, è una disgrazia: diciotto persone sono morte a causa del crollo di una delle torri delle mura di Gerusalemme, nei pressi della piscina di Siloe (vv. 4‐5).
Che significano queste parole? L’espressione “allo stesso modo” ci permette di cogliere il messaggio di Gesù. I Galilei uccisi da Pilato e quelli travolti e uccisi dalla torre sono morti improvvisamente, inaspettatamente. Gesù dice: il tempo stringe; di fronte all’annuncio del Regno non si può continuare a tergiversare. Bisogna decidersi, avere il coraggio di cambiare
(convertirsi6). Gesù aveva detto in 5,39: «Nessuno che beve il vino vecchio
6 Il Catechismo degli Adulti, al numero 142, afferma: «Convertirsi significa assumere un
diverso modo di pensare e di agire, mettendo Dio e la sua volontà al primo posto, pronti all’occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere. Significa liberarsi degli idoli che ci siamo creati e che legano il cuore: benessere, prestigio sociale, affetti disordinati, pregiudizi culturali e religiosi».
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desidera il nuovo perché dice “il vecchio è gradevole”». Bisogna avere il coraggio di seguire Gesù con convinzione, lasciando, se necessario, abitudini vecchie che danno un senso di sicurezza ma che non ci mettono al riparo dal pericolo della morte eterna. Il rischio di trovarsi improvvisamente fuori della salvezza è reale.
Questo viene confermato dalla parabola del fico. In fondo sia il padrone che il vignaiolo pensano che se un albero non porta frutto, deve essere tagliato. La differenza sta nel fatto che il primo vorrebbe tagliarlo subito, dopo aver cercato invano frutti per tre anni, il secondo chiede di aspettare ancora un anno. Nel frattempo egli si prenderà cura del fico, farà tutto il possibile perché porti frutto. Se questo non accadrà il padrone dovrà tagliarlo. Se la parabola mette in mostra da un lato la pazienza di Dio, dall’altro dice anche che il tempo concesso non è infinito. L’albero non è stato tagliato ma non si è deciso di lasciarlo lì per sempre: gli è solo stato dato un anno in più.
b. Il filo rosso
Abbiamo individuato nel primo modulo la meta del nostro peregrinare, ora volgiamo l’attenzione alla direzione giusta per raggiungerla. “Conversione” proprio questo significa: una sorta di inversione ad “U” per cui si cambia radicalmente senso. Ovviamente il significato del termine non è solo fisico. Applicato alla nostra interiorità indica un “cambiare mentalità”, passando dalla logica umana a quella di Dio. I figli si nutrono della mentalità dei loro genitori, così noi, figli di Dio, ci nutriamo della mentalità del nostro padre celeste perché diventi la nostra. Spesso noi cristiani diamo un’accezione moralistica alla conversione, ponendo immediatamente l’accento sul comportamento. Ma esso cambia davvero solo quando cambia il modo di vedere le cose. Alla luce di questa novità di prospettiva, per cui le cose vengono viste in modo diverso, ecco radicarsi una solida novità di comportamento.
Le stesse immagini proposte da Gesù ci suggeriscono in cosa è urgente per noi la conversione e quali siano le sue modalità. L’immagine della torre ci parla di noi. Dal punto di vista antropologico, «la torre è immagine del divenire umano. La sua forma circolare richiama la totalità dell’uomo. Come essa ha le fondamenta nel terreno e s’innalza verso il cielo, così l’essere umano ha bisogno di radicasi nella terra, nella storia della sua vita, per
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potersi elevare e divenire anche un essere del cielo»7. La torre che rovina addosso agli uomini rappresenta allora un modello di umanità che noi uomini del duemila continuiamo a seguire, ma che non funziona più. Le cronache parlano di stragi della follia, stupri e femminicidi sempre più frequenti. Da studi statistici e sociologici emerge che è in crescita l’aggressività nelle relazioni e la litigiosità nei tribunali. Nuovi dati allarmanti si hanno anche riguardo all’aumento di disturbi psicologici e psichiatrici, come depressione e quant’altro. Tutto questo fa pensare che il modello di vita e di uomo che ci ostiniamo ad realizzare attraverso le nostre scelte è così fallimentare che ci sta crollando addosso.
Ma in tutto questo non dobbiamo cedere alla tentazione di affidare la nostra speranza di salvezza a improbabili superstizioni8 o a rigidi moralismi. Quegli uomini che pensavano di salvarsi con i loro sacrifici, si sono ritrovati uccisi e – significativamente – il loro sangue scorreva insieme a quello dei loro sacrifici. Come a dire che non possiamo pensare di conquistarci la salvezza attraverso l’osservanza cieca di una pratica, per quanto sacra essa sia. Se la salvezza fosse un automatismo per cui “se vado a messa mi garantisco un posto in paradiso”, allora questa presunta religiosità poco sarebbe diversa dalle pratiche superstiziose9. La strada è “sacrificarsi”, che significa assumersi la responsabilità di “rendersi cosa sacra”, donandosi ai fratelli in scelte di amore concrete nel nome di Cristo.
Perché questo cambiamento avvenga è necessaria la misericordia di Dio che ci apre sempre nuove possibilità, ma anche la nostra disciplina che ci permette di coglierle. Infatti duplice è l’azione risanante del contadino della parabola posta a conclusione del nostro brano: «rivoltare il terreno per favorire la fioritura è la prima e basilare condizione perché l’albero possa a suo tempo fruttificare»10: ecco lo zappettare doloroso ma necessario ed efficace, affinché la terra lasci passare l’acqua e il concime! Una terra arida
7 A. GRÜN, Gesù il terapeuta. La forza risanante delle parabole, San Paolo 2012, 33. 8 Si pensi all’idea della fine del mondo che si è così diffusa in tutto il globo terrestre lo
scorso dicembre, causando in alcune persone più suggestionabili (tra cui molti bambini e giovani) scoramento e pensieri di morte!
9 La superstizione «può anche presentarsi mascherata sotto il culto che rendiamo al
vero Dio, per esempio, quando si attribuisce una importanza in qualche modo magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie»: CCC 2111.
10 Ibidem, 36.
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e secca, infatti, è compatta e impenetrabile sia all’acqua che al concime, le quali restano in superficie e non fertilizzano il terreno. Ma se viene usata su di essa la zappa, tanto dolorosamente quanto efficacemente l’acqua può scendere in profondità e l’albero torna capace di portare frutto. Allo stesso modo, sembra che alcune esperienze della nostra vita, dolorose come se qualcuno ci stesse zappando l’anima, possono renderci permeabili alla grazia di Dio e nuovamente capaci di aprirci alla vita.
«La seconda operazione consiste nella concimazione, che per analogia sta a significare la cura e l’amorevole sollecitudine»11 con cui Dio ci lavora. L’accompagnamento spirituale personale è il contesto privilegiato per fare un attento e generoso lavoro su di sé, al fine di discernere la volontà di Dio e disporre il nostro cuore ad accoglierla.
• Sono disposto a “convertire” il mio modo di pensare o sono rigidamente fermo sulle mie opinioni? Abbandono mai le mie convinzioni per adottare la logica di Gesù?
• Il mio comportamento buono è coerente espressione del mio modo di vedere le cose? O faccio le cose buone più per un senso del dovere che perché ho interiorizzato il senso?
• Mi faccio accompagnare spiritualmente per discernere la volontà di Dio per la mia vita con l’aiuto di una persona più esperta di me?
• Nelle prove della mia vita permetto a Dio di zappettarmi al fine di rendere più penetrabile il mio cuore alla grazia di Dio? Cosa significa concretamente questo? Come posso farlo?
• Quanto la superstizione ha posto nelle mie scelte?
c. Giovani
Gesù viene messo dinanzi al grande problema della morte, delle disgrazie e delle violenze, realtà che incutono paura all’uomo e che fanno dubitare della presenza di Dio. Gesù chiede ai suoi interlocutori di non collegare direttamente le violenze con il peccato personale, ma di vedere nei mali del mondo il frutto del peccato. Lui non è venuto a classificare gli uomini in buoni e cattivi, né a togliere le disgrazie che ci affliggono, ma ad insegnarci a guardare ai mali del mondo come invito ad interrogarsi su
11 Ibidem, 36.
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come viviamo. Con la sua vita, ha affrontato questo enorme problema dell’umanità, diventando vittima della violenza per salvarci dalla violenza stessa. Noi giovani, di fronte ai mali del mondo, spesso pensiamo che non riguardino noi e viviamo come se essi non ci fossero, oppure ci organizziamo a ribellarci e a trovare a tutti i costi i colpevoli.
Il Signore ci presenta un’altra strada, dicendoci che questo male interpella ciascuno di noi personalmente, e non possiamo fare né gli indifferente né i ribelli, ma abbiamo bisogno di diventare veri, autentici, e di vincere il male nel nostro cuore, cioè convertirci.
La conversione è passare dai falsi ideali, personali e della logica del mondo, che producono paura e violenza ad un atteggiamento di fiducia che viene dal fatto di essere figli nel Figlio e quindi amati da un Padre che ha cura di noi e che sa trarre il bene dal male, la vita dalla morte. E con lui, nel suo amore, nella presenza del Cristo e nella potenza dello Spirito, noi possiamo farci carico dei mali del mondo, impegnando così la nostra vita a servizio dei fratelli.
Ci viene in aiuto la parabola del fico che, di fronte alle nostre lentezze e alle nostre ricadute, ci comunica con forza la premura che il Padre ha per ciascuno di noi e la sua pazienza nei nostri riguardi.
• Qual è la mia reazione di fronte alle disgrazie e alle violenze di cui ogni giorno sono spettatore?
• Quale conversione penso che Dio mi voglia proporre di fronte a questi fatti?
• Riesco a capire il valore del tempo come occasione offertami dall’amore del Padre per la mia conversione?
d. Coppie
Gesù con le parole “No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,3) ci fa un invito forte e deciso alla conversione, pena la morte, ma non la morte fisica, bensì quella interiore, rappresentata da un’esistenza vuota, una vita senza senso, priva di Amore: in definitiva un esistere senza VIVERE.
Quante volte nella coppia rischiamo di dimenticare, presi dalle incombenze del quotidiano, che l’altro è dono di Dio per me ed io per lui/lei e che il nostro vivere insieme è un cammino di conversione che passa
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attraverso le gioie, le gratificazioni, i fallimenti e le sofferenze del quotidiano e ha come filo conduttore il volgere i nostri sguardi verso Lui.
Allora, trovare un tempo nel quotidiano per pregare in coppia, per avere un incontro in cui porsi reciprocamente la domanda: “Come stai? Come sta il tuo cuore?” è linfa vitale per il nostro rapporto perché ci da l’opportunità di sollevare lo sguardo dal quotidiano, non per distaccarcene, ma per guardarlo da una prospettiva diversa, con occhi diversi, facendo memoria che l’altro mi è stato donato per la mia conversione.
Un tempo di preghiera di coppia che è un tempo di profonda intimità tra noi e con Gesù, radicati con la storia delle nostre vite nella realtà del quotidiano, come le fondamenta della torre, ma capaci di volgere lo sguardo verso l’alto, a Dio, per dare senso e significato proprio al nostro vivere quotidiano perché sia sempre più Vita e non solo esistenza.
Il mantenere aperto questo canale di dialogo tra noi tre, io tu e Dio, è anche per ricordare ogni giorno che l’altro per portare frutto, come ci chiede Gesù, ha bisogno del nostro amore, che l’altro va “concimato”, ovvero che ogni giorno dobbiamo prenderci cura di lui/lei con amorevole sollecitudine.
Se il nostro amore di coppia guarda a Lui, allora non potrà rimanere infecondo e saremo segno del Suo Amore per l’uomo, la nostra coppia sarà “eucarestia” per coloro che incontreremo nel cammino quotidiano.
e. Carità e testimonianza
«Tutta l’iniziativa salvifica viene da Dio, dalla sua Grazia, dal suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della carità. Queste non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fede senza opere è come un albero senza frutti: queste due virtù si implicano reciprocamente» (dal messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013).
Offerta, dono, abnegazione, accettazione, rinuncia, penitenza, mortificazione, ascesi, lotta, croce sono tutte sfumature dell’unica realtà del sacrificio, del modo concreto con cui rispondiamo all’amore di Dio “rendendoci cosa sacra”.
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Per ognuna di esse, però, ci vengono anche in mente i volti di persone vicine alla nostra vita, qualcuno a cui abbiamo detto “offri questa malattia a Dio”, oppure “accetta la tua croce”, o ancora “quell’uomo in carcere sta scontando la sua pena, sta facendo penitenza”.
• Guardando ad ognuno di loro, possiamo dire di aver indicato una strada di santificazione, di consacrazione o piuttosto abbiamo offerto solo frasi consolatorie per dirci vicini a chi è nel bisogno?
• La nostra esperienza di fede riesce a testimoniare a chi è nella sofferenza la presenza di un Dio che non è lontano, che non si dimentica di noi, ma che anche nella difficoltà è capace di rigenerarci? Quali parole riusciamo a donare?
• Cosa sto sacrificando, cosa sto offrendo, in questa Quaresima, per rispondere all’amore di Dio che ha offerto tutto se stesso in Gesù? Il mio dono è opera di carità per il prossimo, per chi è affamato, senza lavoro, malato, o in carcere, o nella solitudine, o nell’ignoranza di Cristo? Come sto contribuendo alla missione della nostra Chiesa diocesana in Albania?
f. Spunti per attività
Prima proposta
Descrizione dell’attività 1. Dopo aver letto il brano si dà a ciascuno un foglio in cui si chiede di:
a. Elencare qui di seguito le azioni del padrone delle vigna …………………………………………………………………………………………….
b. Elencare qui di seguito le azioni del vignaiolo …………………………………………………………………………………………….
c. Raccontare se ci si “sente” più nel ruolo del padrone o del vignaiolo quando si pensa a se stessi e al proprio rapporto con il Signore ……………………………………………………………………………..
2. Si invita il gruppo a condividere quanto si è scritto nella riflessione personale in piccoli sottogruppi che, in seguito, metteranno in scena la parabola con un finale sceneggiato da loro.
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Seconda proposta
Descrizione dell’attività 1. Si divide il gruppo in due sottogruppi che chiameremo gruppi A e B 2. Si fanno sedere le persone e si dividono in due gruppi gli alberi
(gruppo A) e i pellegrini (gruppo B). Al suono di una musica di sottofondo i gruppi sono condotti per una visualizzazione guidata. Ecco di seguito il possibile testo della voce guida con e indicazioni per la musica di accompagnamento. Si usa come sottofondo una musica suggestiva, rilassante almeno in questo primo momento di riscaldamento a. Introduzione Mi metto seduto in una posizione comoda. Metto i piedi in modo che la pianta sia completamente poggiata a terra ... La schiena è poggiata comodamente sullo schienale della sedia e la testa è dritta sulla schiena ... Le spalle riposano sul tronco non stando né troppo curve in avanti né troppo aperte all’indietro ... Le mie braccia sono comodamente poggiate sulle ginocchia con i palmi rivolti in basso. Quando me la sento, chiudo gli occhi. Ora mi concentro sul mio respiro, che compio a bocca chiusa … Compio respirazioni lente e prolungate … Ad ogni inspirazione sento espandersi il mio torace. Passo a respirare con il diaframma e sento il mio addome espandersi fino alla parte alta sotto il torace ... Ad ogni espirazione sento l’addome e il torace svuotarsi e l’aria uscire dalle mie narici … ad ogni espirazione, insieme all’aria sento uscire anche le mie preoccupazioni e le mie tensioni … ad ogni inspirazione, incamero anche benessere ed energia. La musica si fa un poco più intensa b. Creazione del contesto immaginario
Sono in un bosco … Mi guardo intorno … È misterioso e animato! … Mi alzo dalla sedia restando con gli occhi chiusi e cammino in questo enorme spazio verde … Mi muovo lentamente … Se sono un albero, al battito di mani della guida un incantesimo mi trasformerà in un albero ben radicato a terra, immobile. Una volta fermatomi nella mia posizione fissa, apro gli occhi. Se sono un pellegrino, invece, al battito di mani mi fermerò e mi lascerò bendare ...
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La musica continua nel sottofondo. La voce guida spiega che… c. Realizzazione dell’esperienza specifica
Se sono un pellegrino, riprendo il mio cammino … Cammino nel bosco incantato ... Mi sono avventurato in questo bosco e mi sono smarrito … Se sono un albero, al passaggio dei pellegrini smarriti, … magicamente mi muovo e con i miei rami prendo per mano i viandanti e li conduco, collaborando con gli altri alberi, senza proferire alcuna parola o alcun suono, verso una meta immaginaria. La musica continua nel sottofondo ancora per circa un minuto. Dando il tempo ai partecipanti di vivere a fondo l’esperienza e di ascoltare le proprie sensazioni. d. Chiusura dell’esperienza
Ora mi fermo. Sento i miei piedi sul pavimento. Riascolto il mio respiro … Quando sono pronto, riapro gli occhi … Mi guardo intorno e vado lentamente a sedermi. Stop della musica.
3. Alla fine dell’esperienza i due gruppi si scambiano i ruoli ripetendo l’esperienza.
4. Al termine dell’esperienza si chiede al gruppo di rispondere a queste domande‐stimolo per la condivisione del vissuto:
a. In quale ruolo ti sei sentito più a tuo agio? Perché?
b. Cosa hai provato a muoverti bendato in uno spazio oscuro guidato da mani sconosciute?
c. È facile per te fidarti degli altri e/o di Dio nel cammino della tua vita?
d. Cosa hai provato quando sei stato costretto all’immobilità?
e. Ti è mai capitato di vivere questa sensazione anche nella tua esperienza di fede?
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g. Momento celebrativo
LA VIA CRUCIS Qui sotto una breve spiegazione dell’origine della Via Crucis, può essere
comodamente letta come introduzione al momento di preghiera:
Origine della Via Crucis Simbolo di un’esperienza universale di dolore e di morte, di fede e di speranza, la Via
Crucis commemora l’ultimo tratto del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: da quando Egli e i suoi discepoli, “dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi” fino a quando il Signore, reggendo il patibulum, fu condotto al “luogo del Golgota” dove fu crocifisso e inumato in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia di un giardino vicino. Reperti archeologici attestano, già nel II secolo, l’esistenza di espressioni di culto cristiano nell’area cimiteriale dove era stato scavato il sepolcro di Cristo. Forme embrionali della futura Via Crucis possono essere ravvisate nella processione che si snodava fra i tre edifici sacri eretti sulla cima del Golgota ‐ l’Anastasis, la chiesetta ad Crucem e la grande chiesa del Martyrium ‐ e nella via sacra, un cammino attraverso i santuari di Gerusalemme che si desume dalle varie “cronache di viaggio” dei pellegrini dei secoli V e VI sec.. La Via Crucis, nella sua forma attuale, risale al Medio Evo inoltrato. Nel corso del Medio Evo, infatti, l’entusiasmo sollevato dalle Crociate, il rifiorire dei pellegrinaggi a partire dal secolo XII e la presenza stabile, dal 1233, dei frati minori francescani nei “luoghi santi” suscitarono nei pellegrini il desiderio di riprodurli nella propria terra: un esempio in tal senso è il complesso delle sette chiese di Santo Stefano a Bologna. Verso la fine del secolo XIII la Via Crucis è già menzionata, non ancora come pio esercizio, ma come cammino percorso da Gesù nella salita al Monte Calvario e segnato da una successione di “stazioni”.La pratica della Via Crucis nasce dalla fusione di tre devozioni che si diffusero, a partire dal secolo XV, soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi: la devozione alle “cadute di Cristo” sotto la croce; la devozione ai “cammini dolorosi di Cristo”, che consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi di dolore compiuti da Cristo durante la sua passione; la devozione alle “stazioni di Cristo”, ai momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario o perché costretto dai carnefici, o perché stremato dalla fatica, o perché, mosso dall’amore, cerca ancora di stabilire un dialogo con gli uomini e le donne che partecipano alla sua passione. Nella sua forma attuale, attestata già nella prima metà del secolo XVII, la Via Crucis, diffusa soprattutto da san Leonardo da Porto Maurizio († 1751), approvata dalla Sede Apostolica ed arricchita da indulgenze, consta di quattordici stazioni.
Vangelo (Lc 13,1‐9) Il testo del Vangelo di Lc 13,1‐9 espone alcuni aspetti fondamentali per
la vita cristiana: l’urgenza di cambiarsi, l’impossibilità di fondare la propria conversione e salvezza semplicemente su un cammino ascetico,
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l’importanza dei sacrifici non come offerte al Signore di cose o altro ma come rendersi sacri davanti a Dio amando il prossimo ed infine l’aiuto che ognuno di noi deve cercare negli altri per scoprire la volontà di Dio. Lo “strumento” che il Signore usa per aiutarci in questa nostra “via” è Gesù stesso. Riflettere sulla sua vita, sul suo amore, contemplare la sua capacità di donarsi per noi genera dentro di noi un desiderio forte di rispondere a questo amore, non con pratiche e riti, ma con la nostra vita.
Per ogni uomo, e quindi anche per Gesù, gli ultimi momenti della vita sono sicuramente i più significativi. I gesti, le parole, gli sguardi sono tutti gravidi, cioè pieni, della sua presenza e della sua missione. Meditando sulle stazioni della Via Crucis sforziamoci di usare tutti i sensi per penetrare all’interno di esse. Non sia una pratica distratta da sguardi, o da altri pensieri. Sforziamoci di immedesimarci in questi episodi conclusivi della vita di Gesù. Lasciamoci interpellare da questo amore sconfinato:
Cosa ha portato il Signore Gesù ad amarmi in questo modo così folle? Ho qualche merito? Riesco ad accettare un amore totalmente gratuito? Come posso rispondere? Cosa stride nella mia vita con questo Amore?
Struttura incontro Per la guida. (1) Leggere l’introduzione messa in nota, quindi, dopo (2) il
segno di Croce iniziale e prima di iniziare la meditazione della stazioni, si può (3) leggere il Vangelo di Lc 13,1‐9 e (4) il commento “il filo rosso”. Oppure leggere il testo riportato appena sopra. A questo punto, si può iniziare con (5) la Via Crucis tradizionale, lasciando dopo ogni stazione almeno un breve momento di silenzio, senza molti canti, né troppe spiegazioni per ogni stazione. Lasciamo che siano esse a suscitare in noi delle domande.
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3. Terzo modulo. Dio si com‐muove, si muove con noi
Lc 15,1‐3.11‐32.
1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I
farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:
11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far
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festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
a. Approfondimento esegetico
È una delle pagine più famose di tutti e quattro i Vangeli. Solo dal cuore di Gesù, che, in quanto Figlio, conosceva Dio come nessun altro, poteva venire un racconto così bello e coinvolgente. La parabola del figliol prodigo o del padre misericordioso, come si preferisce dire oggi, è l’ultima di tre parabole che abbracciano l’intero capitolo 15 del Vangelo di Luca, e che sono note come le parabole della misericordia. In esse si ripete il seguente schema: qualcosa/qualcuno che si è perso viene ritrovato, per questo si fa festa. Gesù le racconta perché i farisei e gli scribi non accettano il suo comportamento nei confronti dei peccatori. Gesù «accoglie i peccatori e mangia con loro», per questo «i farisei e gli scribi mormoravano» (v. 2 ).
La parabola che la Chiesa ci propone nella liturgia della Quarta domenica di Quaresima comincia così: «Un uomo aveva due figli». Il testo non ci presenta mai i due figli insieme, ma prima il minore (vv. 12‐24), poi il maggiore (vv. 25‐32), entrambi a confronto con il padre.
In pochi versetti viene raccontata la discesa del figlio più giovane verso il baratro: chiede al padre la parte di eredità che gli spetta, raccoglie le sostanze, va in un paese lontano dove vive da dissoluto. Dopo aver speso tutto, sopraggiunge anche una carestia che lo costringe a pascolare i porci: un lavoro particolarmente umiliante per un ebreo, dato che il maiale era considerato un animale impuro e per questo era allevato solo dai pagani; e umiliante perché non garantiva al figlio giovane un salario sufficiente: «Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla» (v. 16). Affamato e senza un aiuto: ha toccato il fondo.
Luca è stato velocissimo nel descrivere il precipitare del figlio minore verso il baratro. Ma a questo punto il ritmo rallenta. Il figlio «ritornò in se stesso» (v. 17). Non dobbiamo interpretarlo come un segnale di con‐versione. Significa semplicemente che si è accorto dell’errore. Sta morendo di fame mentre a casa di suo padre gli operai hanno cibo in abbondanza. Sta
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confrontando la sua condizione con quella degli operai di suo padre, e conclude che tornare a casa è la cosa migliore. È vero che dirà a suo padre: «Ho peccato verso il Cielo e davanti a te» (v. 18) ma ciò che lo spinge a tornare non è il dolore che gli ha inferto (andandosene) ma la condizione di indigenza in cui si trova. Con queste parole spera di fare breccia nel cuore del padre. D’altra parte non vuole puntare troppo in alto, si accontenta di essere un umile operaio, pur di mangiare: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati» (v. 19).
Il figlio minore, però, non viene riaccolto in casa per la sua supplica. Il padre gli corre incontro quando è ancora lontano, lo abbraccia e lo bacia. Il suo comportamento è mosso dalla “compassione”, l’amore viscerale della madre che i profeti hanno cantato tante volte (cfr. Os 11,1‐9). Il figlio non finisce nemmeno il discorso che si era preparato e ottiene molto più di quanto sperava: viene ristabilito nella dignità di figlio (il vestito, l’anello, i sandali), e non semplicemente riaccolto come operaio. Al padre interessa solo che il figlio sia tornato a casa, non perché sia tornato e nemmeno che cosa abbia fatto dopo essersene andato. La sua gioia è immensa perché il figlio «era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24 ). Questa è l’unica cosa che conta.
Il figlio maggiore entra in scena a questo punto, dopo che è cominciata la festa per il ritorno del fratello. La sua indignazione è la conseguenza di un ragionamento semplicissimo: il fratello non merita il trattamento che il padre gli ha riservato perché ha sperperato i suoi (del padre) soldi con le prostitute; lui, piuttosto, che serve il padre da tanti anni e non ha mai disobbedito a un suo comando (v. 29), meriterebbe di più.
Il problema del figlio maggiore è che anche lui si concepisce come un servo, non come un figlio. Ragiona come il fratello (che egli disprezza tanto da non chiamarlo mai fratello) che è tornato a casa perché vuole il salario degli operai di suo padre; a lui il padre non dà abbastanza, merita un trattamento diverso. La logica dei due figli è la stessa: ciascuno deve avere quello che si merita.
Ma non è la logica del padre. Egli non fa conti né con l’uno né con l’altro. Ama i due figli indipendentemente da quello che hanno fatto. «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (v. 31): non dà a ciascuno secondo i meriti, ma secondo la grandezza del suo amore.
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L’obiettivo della parabola, possiamo dire in conclusione, non è fare un confronto tra i due figli, ma tra la mentalità dei due figli e quella del padre. Questo padre è Dio, e Dio soltanto, che si rallegra per il ritorno dei peccatori, che ama gli uomini in modo smisurato e per questo non si rassegna all’idea di perderli.
b. Il filo rosso
Seguiamo il percorso dei due figli della parabola. Con loro sperimentiamo che nel cammino arido della nostra quaresima non siamo soli: abbiamo anche noi un Padre Buono che si muove con noi, soprattutto nel momento in cui ci smarriamo nel nostro deserto e ci sentiamo più soli.
Il figlio giovane è irrefrenabilmente bramoso di vita, sperpera i suoi averi e dissipa se stesso e la sua dignità (si mise al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci). Ma toccato il fondo riesce a reagire. Rientra in se stesso, si “ritrova” dopo essersi “perduto”, e decide di risollevarsi (Mi alzerò). Nel testo greco la parola anastàs (essendosi alzato) richiama l’atto del risorgere: era morto e ora vuole tornare alla vita. Eppure il ragazzo non ha ancora compreso un gran ché dell’amore del Padre. Ha compreso quanto male si sia procurato e ha realizzato di aver smarrito se stesso, questo sì. Per il resto ha speranza di ritrovarsi nuovamente a casa, ma non sa ancora cosa lo aspetta. Lui si è preparato il discorsetto da fare al padre, cercando di fargli una proposta ragionevole, una sorta di contrattazione seguendo le solite modalità del mondo. Ma lui non sa che al suo ritorno sarà avvolto immeritatamente dal abbraccio benedicente del padre, che lo accoglierà oltre ogni sua previsione.
In effetti, attraversando i nostri deserti approdiamo ad una maggior conoscenza di noi stessi, che è tutt’uno col conoscere Dio. Nel luogo più sacro della nostra identità profonda non possiamo che trovare anche Dio e il suo amore. L’Amante e l’amato non possono che trovarsi insieme! Così, essendo rientrati in noi stessi possiamo lasciarci incontrare dal Padre, sperimentandone la compassione. L’esperienza umana più vicina ad essa è sicuramente l’amore viscerale che una mamma nutre per il suo piccolo. Sia in greco che in ebraico, infatti, il termine tradotto in italiano con “compassione” indica le viscere materne che si muovono all’unisono con il figlio che esse hanno generato. È in questo modo che Dio prova
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compassione per noi, nel senso che “patisce con noi”. Ne condivide il “patos”, cioè i “movimenti” della nostra anima diventano i suoi. L’amore di Dio è tale da esprimersi in una visceralità praticamente simbiotica, una sorta di risonanza emotiva e globale per la quale l’amante ha in sé gli stessi movimenti dell’amato. Ne condivide il sentire interiore profondo! Ecco così che nel nostro deserto, incontrando noi stessi (rientrò in se stesso), troviamo Dio (lo baciò).
Ma c’è da chiedersi quale tra i due fratelli sia nel deserto più arido. A ben guardare, il fratello maggiore ha sempre vissuto nella casa del padre, ma con la mentalità dello schiavo. Non si è accorto che il Padre era sempre con lui e che avrebbe potuto prendere in piena libertà tutti i capretti che voleva (tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo). Viveva come ospite a casa sua! Lui, sempre così vicino al padre, eppure così lontano dal cogliere il suo amore! La parabola sembra rivolta soprattutto a lui e a chi, come lui, non ha ancora incontrato il Padre. Il fratello minore che è peccatore Lo incontra, ma del maggiore non è detto cosa sceglierà di fare, se prenderà parte alla festa o meno... La parabola, infatti, è rivolta ai farisei e agli scribi che presumevano di essere giusti. Essi non avevano capito che, nella loro presunzione di giustezza, avevano perso Dio.
In conclusione, noi ci identifichiamo più facilmente con il minore, ma abbiamo bisogno di stanare il fratello maggiore che è in noi. Solo l’atto di umiltà alla quale noi “maggiori” siamo chiamati ci permetterà di sperimentare che Dio si muove con noi. Quello che noi viviamo nel nostro deserto non è a Lui estraneo. Lui se ne coinvolge profondamente. Anche le cose più dure e nascoste che viviamo non resta perduto, perché resta nel cuore di Dio. Ogni cosa può trovare il suo senso. Un grande disegno riassume ogni cosa in sé e apre ad una speranza nuova ogni nostra sconfitta.
• Riesco ad avere consapevolezza del mio peccato? O tendo piuttosto a ritenermi giusto? Migliore di altri? Ho talvolta la sensazione di poter e dovere avanzare diritti meritati? Tendo a fare confronti con altri che ritengo “minori” rispetto a me o a quello che faccio?
• Il fratello minore che è in me… a che punto si trova della sua esperienza di smarrimento e ritrovamento?
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Sono al momento di polemica e rottura e mi sto prendendo quello che mi spetta per andarmene?
Sto facendo esperienza del vuoto che mi lascia l’abbandonarmi alle mie bassezze?
Oppure mi sto rialzando per decidermi a tornare a casa di mio padre?
O magari ho sperimentato l’abbraccio di Dio nella mia vita e sto festeggiando questa gioia?
• Se io sono il fratello maggiore, quale finale scriverò per questa parabola? Cosa sceglierò di fare: entrerò alla festa o no? Di solito cosa faccio nella mia vita?
c. Giovani
Questo Vangelo è la risposta all’invito pressante alla conversione ascoltato in quello precedente. Ci dice che il cuore di tutto è l’amore. Se abbiamo incontrato l’amore, se ci crediamo e se orientiamo tutta la nostra vita verso l’amore e per l’amore siamo uomini nuovi, convertiti secondo la nostra origine, secondo la nostra natura e secondo il nostro destino.
Se non abbiamo incontrato l’amore, la nostra vita prende strade che sono palliativi dove all’essere che è l’amore viene sostituito l’avere che è il successo, il potere... (cfr. Vangelo delle tentazioni).
Abbiamo il padre della parabola che incarna la vita e la esprime nell’amore gratuito, l’amore accogliente, l’amore che non giudica, l’amore che non guarda i propri interessi, l’amore che non guarda ai torti ricevuti ma che vuole i figli nella vita, nell’amore e nella gioia.
Il banchetto che conclude la vicenda del figlio minore è un immagine per la nostra vita, delle nostre feste vere (non quel divertimento che rincorriamo per coprire le nostre insoddisfazioni e le nostre paure), quella festa che il nostro Padre ci annuncia come approdo della nostra vita.
I due figli non hanno capito l’amore del padre (è chiaro che è una parabola che ci vuole dire certe cose perché con un padre come questo ci viene da interrogarci su come sia possibile non scoprire l’amore). Tutto quello che era del padre era loro, non hanno capito che l’eredità è il frutto del lavoro del padre che è per loro, che è opera del padre, e che è dono gratuito dato ai figli. I due prendono strade compensative fuori dell’amore, convinti di trovare la felicità. Abbiamo il più piccolo che segue i programmi
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emozionali di una felicità, nella sregolatezza, nel divertimento, nell’uso sbagliato dei soldi; solo nell’umiliazione scopre che è un fallito, scopre che ha sbagliato obiettivo. E quando torna, per un calcolo opportunistico, scopre un’accoglienza che diventa una festa.
Il maggiore con progetti di legalismo e di fedeltà alla tradizione vive una vita senza soddisfazione e al momento del ritorno del fratello, esprime l’amarezza della vita che vive, la rabbia che prova verso il padre e verso il fratello, e l’incapacità di partecipare alla festa. È chiaro che l’immagine di questi due figli è l’immagine di ognuno di noi. Gesù ce li mette davanti perché aiutino noi che siamo frustrati, ribelli e insoddisfatti, a guardare cosa abbiamo nel cuore, quale senso diamo alla nostra vita e che capacità abbiamo di godere dell’amore del Padre. Quello che conta è che incontria‐mo quell’amore che ci genera alla vita. È la realtà della conversione: il sentirci figli di un Padre che ci ama e che ci vuole nell’amore.
• Riesci ad aver chiaro dove i tuoi falsi progetti di felicità non ti fanno riconoscere l’amore e ti rendono schiavo del successo, dei soldi, del divertimento, ecc...?
• Riesci a capire quando ti fai giudice, quando ti fai migliore degli altri per il tuo impegno? Comprendi che in realtà proprio il tuo impegno è la radice di una profonda insoddisfazione che ti isola e che ti impedisce di vivere perché non vivi l’amore e perché sei incapace di essere una ricchezza per gli altri?
• Nella tua vita concretamente dove ti pare di vedere i segni di questo straordinario amore del Padre?
d. Coppie
“Quando era ancora lontano suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.”
Certamente tante volte abbiamo fatto esperienza della compassione di Dio, del suo abbraccio, del suo bacio; tutte le volte in cui costretti ad attraversare il deserto della nostra aridità, della nostra solitudine, della nostra inadeguatezza, del nostro fallimento, durante il quale abbiamo percepito l’assenza di Dio, all’improvviso abbiamo trovato la forza per reagire e rientrando in noi stessi, ci siamo ritrovati, e proprio là nella profondità di noi stessi abbiamo ritrovato anche Dio e il suo Amore.
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Quando facendo il bilancio della nostra vita personale e matrimoniale abbiamo sentito di aver toccato il fondo, di essere senza via d’uscita, abbiamo dato un “colpo di reni”, quasi siamo rimbalzati sul fondo del nostro fallimento. Questo “colpo di reni” si realizza partendo dall’aver preso consapevolezza della propria personale tragedia. Si parte così da una relazione con se stessi, poi si può andare verso l’altro. Proprio così fa il figliol prodigo: ”Ritornò in sé…..si alzò e tornò da suo padre”. Il deserto è esperienza profonda dell’incontro con Dio che passa attraverso l’incontro con la nostra intimità più profonda, più sacra.
Anche nel matrimonio attraversiamo momenti di deserto, sia scelto o voluto da noi, sia indipendente dalla nostra volontà, comunque sia ci costa dolore viverlo, ci porta talvolta ad allontanarci, a ferirci, a chiudere il nostro cuore all’altro. In quei momenti ci sentiamo soli, abbandonati da chi amiamo e anche da Dio. È proprio allora che si fa più potente la grazia del nostro essere sposi in Cristo perché siamo in due, anzi in tre: il suo Spirito fa si che ognuno di noi diventi per l’altro il Padre buono che attende con rispetto e pazienza, che non fa pressione, lascia libero l’altro facendogli sentire la sua presenza e il suo amore e quando ha ripreso contatto con se stesso, gli corre incontro e lo accoglie con un abbraccio e un bacio.
Grazie a questa tenerezza reciproca, l’altro diventa la “casa” a cui tornare nella certezza di essere accolti senza condizioni.
La nostra salvezza passa attraverso il nostro coniuge, non può prescindere da lui perché Dio ci ha scelti insieme.
e. Carità e testimonianza
«Tutta la vita cristiana è un rispondere all’amore di Dio. La prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il “sì” della fede segna l’inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr Gal 2,20). Quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede
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diventa veramente “operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12)»12.
Ci sentiamo attratti a vivere nell’amore sollecitati dall’amore del Padre? I nostri gesti sono espressione del suo modo di amare? Proviamo a dare concretezza a questa domanda.
• Il papa nel messaggio per la quaresima 2013 ci dice che la prima forma di carità è spezzare la Parola di Dio, annunciare suo Vangelo. Sentiamo in noi quella tensione missionaria che ci spinge a cercare chi attende questo annuncio, sia esso vicino o in terre lontane? Il nostro gemellaggio con l’Albania ci rende attenti, ci mette in preghiera per i nostri fratelli albanesi, ci rende disponibili a condividere la loro vita “comunitaria”, magari anche partecipando attivamente a campi o iniziative nella loro terra?
• Il Padre esprime la propria misericordia, l’amore viscerale, materno, per il suo figlio, attendendolo, scrutando il suo ritorno alla finestra. Abbiamo gli stessi sentimenti di attesa per chi si è allontanato e magari vive in situazioni di degrado morale e materiale? Siamo pronti a riavvicinarli, a ricondurli in un ambito familiare?
• I due figli accusano il Padre di non avergli dato ciò che invece il Padre ha condiviso con loro sin dalla loro nascita. Siamo pronti a condividere i nostri beni (tempo, attenzione, valori, cose materiali, ..) con chi è nel bisogno e magari addebita a Dio la mancanza di ciò che desidera?
12 Cf. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013
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f. Spunti per attività
Prima proposta Descrizione dell’attività Si propone al gruppo una lettura della parabola lucana attraverso la
contemplazione del quadro di Rembrandt, dipinto nel 1669 ed esposto presso il museo di San Pietroburgo.
1. Brainstorming. Il gruppo liberamente esprime quanto il dipinto suscita nel proprio cuore. Le parole vengono segnate su un cartellone posto al centro della stanza
2. Descrizione del dipinto. Il tema del quadro è il ritorno spirituale dell’umanità intera. Vi è
rappresentata l’accoglienza, da parte del padre, nei confronti del figlio minore. Sul lato destro vi è il figlio maggiore che osserva; e sullo sfondo altre figure umane non ben determinate che, come noi, contemplano la scena.
Fermiamoci a contemplare anzitutto i colori che il pittore utilizza: colori marroni scuri, ocra e bianco, ma pieni di calore interiore, che sprigiona dai rossi vibranti e dalle calde tinte dorate.
L’artista in questa opera mescola pure la luce alle tenebre in modo da suggerire il sorgere dell’alba, una fiamma di luce solare, un’immagine di risurrezione.
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La figura centrale del padre e del figlio forma un fuoco raggiante. Il gesto dolce e delicato d’amore del padre riammoglia il figlio. È sempre Dio che prende l’iniziativa, che si china su di noi tenendoci stretti.
Il figlio minore è in atteggiamento di totale pace e riposo in seno a suo padre come una nave arrivata in porto dopo una tremenda tempesta; o come un bambino addormentato in grembo a sua madre. Le vesti sono tutte logore e sporche come le vele di una barca dopo avere combattuto con i venti e le correnti marine.Le vesti di sacco cadono in pieghe profonde e scure attorno alle gambe ad indicare che l’oscurità del peccato aderisce ancora alla sua persona che solo adesso si sta aprendo alla luce: “Dio è luce, e in Lui non ci sono le tenebre” (1Gv 1,5).La testa del giovane è rasata come quella di un prigioniero o di un pidocchioso o di un ammalato o di un bambino appena nato.Le sue carni sono piagate, i sandali a pezzi di cui uno è perso nella polvere.Il giovane non si cura degli altri personaggi. A lui interessa la presenza del padre e del battito del cuore di questo padre che lo stringe al suo petto con quelle mani che sanno ora di amore paterno (mano sinistra) ora di amore materno (mano destra).Gli occhi del giovane sono chiusi per gustare questo momento di intimità reciproca e per assaporare il profumo del padre e la preziosità delle sue vesti.Notare ancora che le due figure formano un solo asse di luce brillante mentre i loro cuori battono all’unisono sotto un tetto porpora e colonne di oro puro.
Il figlio maggiore Sullo sfondo sta il figlio maggiore. Il suo è un
atteggiamento incerto e sospettoso dell’amore del padre verso il fratello minore. Tuttavia il suo mantello riflette il colore del gruppo centrale e riceve dignità e sicurezza dalla loro luminosa unità.
Il padre La nostra contemplazione si concentra ora sulla figura del padre: il cui amore è senza condizioni. L’autore ritrae il padre come un anziano i cui occhi sono umidi di tristezza. La sua faccia è solcata dagli anni di attesa del figlio. Ci si focalizzi sul genitore‐Dio che incarna tutte le qualità di tenerezza e di forza che diamo a coloro che ci hanno dato la vita e si sono presi cura di noi (“Mostraci il Padre”: Gv 14,8).
I suoi occhi velati simboleggiano l’amore che volge uno sguardo cieco sui nostri errori. Il suo sguardo stanco ci ha cercato appassionatamente. La
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ricchezza delle vesti e il vellutato denotano la ricchezza della grazia che ci dispensa, nonché l’accoglienza che riserva al figlio minore.
La notte .Le due figure centrali sono circondate dalla notte, la notte in cui il figlio minore ha vissuto gran parte della sua vita. Ma è nel cuore della notte che avviene il grande miracolo della vita; è nell’oscurità che tutto diventa benedetto ed è più bella dell’alba. La luce del giorno eterno di Dio albeggia e una nuova creazione si realizza per il figlio e per ciascuno di noi.
È in questa disposizione che si capisce come solo Gesù può riportare l’umanità al Padre.
La storia di questo figlio minore è la storia di Gesù. Ma Gesù non ha dissipato le sostanze del Padre, anche se non “considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo …” (Fil 2,6‐11).
Notiamo ancora la figura del giovane: i suoi vestiti di sacco indicano lo stato di schiavitù, il vestito comune dell’umanità, che rappresenta tutte le miserie del mondo: guerre, fame, sfruttamento.
Questo è il tipo di notte e il genere di tenebre che Gesù ha vinto. L’animatore invita il gruppo a condividere quanto l’immagine ha
suscitato attraverso delle domande stimolo del tipo:
• In quale personaggio ti ritrovi di più?
• Cosa si provi verso ciascun personaggio?
• Quale è più vicino ai tuoi sentimenti adesso?
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g. Momento celebrativo
Celebrazione Penitenziale
per la Quaresima (tratta dal Rito della Penitenza)
La presente celebrazione può essere utilizzata anche quando non si celebra il Sacramento della Riconciliazione)
Premessa generale
La Quaresima è il tempo penitenziale per eccellenza, sia per i singoli fedeli che per tutta la Chiesa. È bene quindi che la comunità cristiana approfitti di questo tempo per prepararsi, con celebrazioni penitenziali, a partecipare pienamente al mistero pasquale. Si tenga presente il carattere penitenziale della liturgia della parola nelle Messe proposte per la Quaresima. Può essere quindi opportuno, per le celebrazioni penitenziali, l’uso del Lezionario e del Messale Romano.
Schema della celebrazione
Canto iniziale scelto dal repertorio parrocchiale.
Sacerdote: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre mediante la santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue, grazia e pace in abbondanza a tutti voi. (Cf 1Pt 1, 1‐2)
Assemblea: E con il tuo spirito.
Sacerdote: Fratelli, col peccato siamo venuti meno agli impegni del nostro Battesimo: preghiamo il Signore perché mediante la penitenza ci ristabilisca nel suo amore.
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Assemblea: Padre santo, come il figliol prodigo mi rivolgo alla tua misericordia: «Ho peccato contro di te, non son più degno d’esser chiamato tuo figlio». Cristo Gesù, Salvatore del mondo, che hai aperto al buon ladrone le porte del paradiso, ricordati di me nel tuo regno. Spirito Santo, sorgente di pace e d’amore, fa’ che purificato da ogni colpa e riconciliato con il Padre io cammini sempre come figlio della luce.
Sacerdote: Guarda con bontà, o Signore, questi tuoi figli, nati a nuova vita nell’acqua del Battesimo; come li hai redenti con la tua passione, così rendili partecipi della tua risurrezione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Assemblea: Amen.
Lettore: Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corinzi (10,1‐13) Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non diventate idolàtri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. Non abbandoniamoci alla fornicazione, come vi si abbandonarono alcuni di essi e ne caddero in un solo giorno ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore, come fecero alcuni di essi, e caddero vittime dei serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi,
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chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla. Parola di Dio.
Assemblea: Rendiamo grazie a Dio.
Lettore: rit.: Abbiamo peccato: perdonaci, o Signore. (sal 105,6‐10.13‐14.19‐22)
Abbiamo peccato come i nostri padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso.
Ma Dio li salvò per il suo nome, per manifestare la sua potenza. Minacciò il mar Rosso e fu disseccato, li condusse tra i flutti come per un deserto; li salvò dalla mano di chi li odiava, li riscattò dalla mano del nemico.
Ma presto dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno, arsero di brame nel deserto, e tentarono Dio nella steppa.
Si fabbricarono un vitello sull’Oreb, si prostrarono a un’immagine di metallo fuso; scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia fieno.
Dimenticarono Dio che li aveva salvati, che aveva operato in Egitto cose grandi, prodigi nel paese di Cam, cose terribili presso il mar Rosso.
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Assemblea: Lode a te, o Cristo, Verbo di Dio. Le tue parole, Signore, sono spirito e vita, tu hai parole di vita eterna.
Lode a te, o Cristo, Verbo di Dio.
Sacerdote: Dal Vangelo secondo Luca (15,1‐3.11‐32) In quel tempo si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo
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comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Parola del Signore.
Assemblea: Lode a te, o Cristo.
Il sacerdote tiene l’omelia nella quale non mancherà di sottolineare la necessità di valorizzare la grazia del Battesimo con una testimonianza di vita fedele al vangelo (cfr. 1Cor 10, 1‐1.3); la gravità del peccato dopo il Battesimo (cfr. Eb 6, 4‐8); l’infinita misericordia con cui Dio, nostro Padre, sempre ci accoglie quando, dopo il peccato, facciamo ritorno a lui (cfr. Lc 15 ; la Pasqua, festa che riempie di gioia la Chiesa per l’iniziazione cristiana dei catecumeni, e la riconciliazione dei penitenti.
Sacerdote: Ecco, fratelli, il tempo favorevole, ecco il giorno della misericordia di Dio e della nostra salvezza; ecco il tempo in cui fu sconfitta la morte ed ebbe inizio la vita eterna. Ora nella vigna del Signore si fa una nuova piantagione; si potano i vecchi tralci, perché facciano più frutto. Ognuno di noi si riconosce peccatore, e mentre è stimolato alla penitenza dall’esempio e dalle preghiere dei fratelli, fa la sua umile confessione e dice: «Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Distogli lo sguardo dai miei peccati, Signore, e cancella tutte le mie colpe. Rendimi la gioia della tua salvezza e crea in me un cuore nuovo e generoso». Con cuore pentito invochiamo il Signore che abbiamo offeso con le nostre colpe. Egli ci aiuti con il suo Spirito, perché nella Chiesa, comunità dei redenti dalla sua misericordia, possiamo unirci alla gloria del Signore risorto.
Lettore: Perdona. Signore, i peccati commessi contro l’unità della tua Chiesa.
Assemblea: Donaci di formare un cuore solo e un’anima sola.
Lettore: Contro di te, Signore, abbiamo peccato. Assemblea: Cancella con la tua grazia le nostre colpe.
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Lettore: Concedi a noi peccatori il perdono e la pace. Assemblea: Fa’ che siamo riconciliati con la tua Chiesa.
Lettore: Fa’ che ci convertiamo e diventiamo apostoli del tuo amore. Assemblea: Donaci di riparare le offese alla tua sapienza e alla tua
bontà.
Lettore: Purifica e rinnova, Signore, la tua Chiesa. Assemblea: Rèndila sempre più testimone del tuo Vangelo.
Lettore: Raggiungi con la tua grazia coloro che si sono allontanati da te.
Assemblea: Fa’ che ritornino e rimangano sempre nel tuo amore.
Lettore: Tu che ci hai redenti nel sangue del tuo Figlio. Assemblea: Fa’ che viviamo in noi il mistero della sua morte e
risurrezione.
Lettore: Ascolta, Signore, l’umile preghiera del tuo popolo. Assemblea: Donaci il perdono e la pace.
Lettore: Abbiamo molto peccato, ma confidiamo nella tua misericordia.
Assemblea: Volgiti a noi, Signore, e noi ci convertiremo a te.
Lettore: Accogli, Signore, il tuo popolo che si pente e si umilia davanti a te.
Assemblea: Perché non rimanga confuso chi confida in te.
Lettore: Abbiamo peccato, o Signore, e ci siamo allontanati da te. Assemblea: Distruggi i nostri peccati nell’abisso della tua misericordia.
Lettore: Ritorna a noi, Signore, e liberaci dalle nostre colpe. Assemblea: Abbiamo infranto la tua legge e abbiamo violato la tua
alleanza.
Lettore: Donaci il tuo Spirito di santità e di giustizia. Assemblea: Ed esulteremo nella gioia di un cuore rinnovato.
Il sacerdote asperge i presenti con l’acqua benedetta, mentre tutti eseguono un canto tratto dal repertorio parrocchiale.
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(a questo punto si può celebrare il Sacramento della Riconciliazione).
Sacerdote: E ora, con le parole di Cristo nostro Signore, rivolgiamoci a Dio nostro Padre, perché rimetta i nostri peccati e ci liberi da ogni male:
Tutti: Padre nostro ...
Sacerdote:
Padre santo e misericordioso, che ci hai creati e redenti, tu che nel sangue del tuo Figlio hai ridonato all’uomo la vita eterna perduta per le insidie del maligno, santifica con il tuo Spirito coloro che non vuoi lasciare in potere della morte. Tu che non abbandoni gli erranti, accogli, o Signore, i penitenti che ritornano a te. Ti commuova o Signore l’umile e fiduciosa confessione dei tuoi figli, la tua mano guarisca le loro ferite, li sollevi e li salvi, perché il corpo della Chiesa non resti privo di nessuno dei suoi membri; il tuo gregge, Signore, non sia disperso, il nemico non goda della rovina della tua famiglia, e la morte eterna non abbia mai il sopravvento sui nati a vita nuova nel Battesimo.
A te salga, Signore, la nostra supplica, a te il pianto del nostro cuore: perdona i peccatori pentiti, perché dai sentieri dell’errore ritornino alle vie della giustizia e guariti dalle ferite del peccato custodiscano integra e perfetta la grazia della nuova nascita nel Battesimo e della riconciliazione nella Penitenza.
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Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio ...
Assemblea: Amen.
Sacerdote: Il Signore sia con voi.
Assemblea: E con il tuo spirito.
Sacerdote: Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: Glorificate il Signore con la santità della vostra vita, andate in pace.
Assemblea: Rendiamo grazie a Dio.
Un canto conclude la celebrazione.
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4. Quarto modulo. La possibilità di ricominciare
Gv 8,1‐11
1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo
nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
a. Approfondimento esegetico
Gesù racconta la parabola del padre misericordioso per far capire agli scribi e ai farisei che nel suo agire si manifesta l’amore di Dio per i peccatori. L’episodio dell’adultera ci mostra il comportamento concreto di Gesù nei confronti dei peccatori.
Il brano si apre con alcune notizie sul ministero di Gesù a Gerusalemme (vv. 1‐2). Dai vangeli sinottici sappiamo che Gesù ha trascorso l’ultima settimana della sua vita terrena a Gerusalemme. La notizia di Luca che Gesù di giorno insegna nel tempio e di notte pernotta all’aperto sul monte degli ulivi (21,37), concorda con quanto dice il Vangelo di Marco a proposito degli spostamenti di Gesù durante la settimana di passione (capitoli 11‐13).
Il monte degli Ulivi è situato a est di Gerusalemme; dista dalla città «quanto il cammino permesso in giorno di sabato» (cfr. At 1,12). È chiamato così perché nell’antichità le sue pendici erano coperte da piante di ulivo. Ai piedi del monte si trova il Getsemani (parola che significa “frantoio” ), il podere dove Gesù, in preda all’angoscia, ha pregato prima del suo arresto.
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Secondo i commentatori antichi fin dall’inizio del racconto è possibile scorgere la misericordia e la benignità di Gesù. San Tommaso d’Aquino (sec. XIII), sulla scorta di Sant’Agostino, fa notare che in greco “ulivo” (élaion) suona come “misericordia” (éleos). Ugo di S. Caro (sec. XIII) vede nel fatto che Gesù insegna stando seduto un segno della sua benignità «poiché è più familiare insegnare rimanendo seduti che non alzandosi ritti in piedi».
Il testo ci dice che gli scribi e i farisei conducono una donna sorpresa in adulterio (vv. 3‐4). Lo scontro tra Gesù e questi gruppi religiosi, a causa del comportamento di Gesù13, si sta facendo sempre più acceso. La situazione precipiterà in maniera irreversibile con la risurrezione di Lazzaro (Gv 11), quando sarà decretata la morte di Gesù. Vogliono coglierlo in fallo (v. 6) e per questo gli chiedono un parere su una situazione scottante: l’adulterio è un reato che secondo la legge di Mosè (Dt 22,22ss; Lev 20,10) deve essere punito con la morte (v. 5).
Dov’è la trappola? Se Gesù avesse assolto la donna avrebbe infranto la legge di Mosè; se l’avesse condannata, oltre a perdere la sua fama di uomo misericordioso, si sarebbe posto contro la legge di Roma, visto che solo le autorità romane potevano comminare la pena capitale. In ogni caso avrebbero avuto di che accusarlo, o davanti al Sinedrio, o davanti a Pilato.
Gesù non risponde subito. Si china e si mette a scrivere con il dito per terra. È inutile investigare per sapere che cosa abbia scritto Gesù. Il verbo greco significa “tracciare segni, disegnare” ma anche “mettere per iscritto un’accusa”. I Padri della Chiesa hanno interpretato questo gesto a partire da Geremia 17,13, dove si dice che su quanti sono infedeli a Dio incombe la rovina: «O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva». Una cosa è chiara: la tranquillità, l’imperturbabilità di Gesù, che gli scribi e i farisei pensano di aver messo in difficoltà.
Essi esigono una risposta, per questo insistono. E Gesù si alza e risponde: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7). L’espressione «getti per primo la pietra» riecheggia Dt 13,1 dove si
13 Lo abbiamo visto anche nella parabola del padre misericordioso. I due brani,
ovviamente, non sono cronologicamente collegati. Appartengono, infatti, a due Vangeli diversi: Luca e Giovanni.
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ordina che i testimoni oculari devono dare inizio all’esecuzione della pena capitale. Dopo aver dato questa risposta, Gesù si china di nuovo e ricomincia a scrivere per terra (v. 8).
Quello che dice Gesù è di una semplicità “disarmante” e di una sapienza straordinaria: chi avesse scagliato per primo la pietra contro la donna, avrebbe dichiarato di essere senza peccato. Ovviamente nessuno può dare inizio alla lapidazione. Pensavano di aver messo in grossa difficoltà il Maestro di Nazareth, chiedendogli di esporsi su una questione legale, ma Egli li ha messi nella condizione di non poter giudicare. Come ha detto uno studioso, il gesto di Gesù di chinarsi di nuovo e di non guardare in faccia gli accusatori, fa sì che essi siano messi di fronte alla loro responsabilità e prendano la loro decisione. Ed essi non possono far altro che andarsene a cominciare dai più anziani, come dice il testo (v. 9).
Restano Gesù e la donna, che nel frattempo non si è mossa da dove l’avevano messa (vv 10‐11). Nessuno l’ha condannata perché nessuno poteva condannarla. Nemmeno Gesù, l’innocenza in persona, la condanna. Ma, ovviamente, non approva la sua condotta. Dopo averle restituito con il perdono la dignità, la indirizza sulla via dell’onestà: «Va’ e d’ora in poi non peccare più».
b. Il filo rosso
Una donna colta in fragrante adulterio viene posta in mezzo, al cospetto di Gesù. Chissà! … C’è da aspettarsi che essa sia più nuda che vestita, vista la circostanza. E il suo stare in mezzo significa essere esposta agli occhi indiscreti, indagatori e persino lussuriosi di tutti. La morbosità e il perbenismo ipocrita di questi uomini sono due facce della stessa medaglia. Pensano di poter nascondere a se stessi il peccato annidato nel loro cuore, proiettandolo su quel corpo. Si illudono che eliminando quella donna possano eliminare il loro peccato. In realtà, il corpo di questa donna potrà essere attraente o meno, ma resta semplicemente un corpo. Il tratto peccaminoso non è in esso, ma piuttosto nello sguardo di chi vi indugia.
Può sembrare paradossale, ma il nostro moralismo cresce proprio nel terreno delle nostre meschinità e dei nostri peccati. Ci sentiamo attratti da essi e quindi ne abbiamo paura, così cerchiamo di esorcizzarli con atteggiamenti sommari e giustizialisti … Tanto rigidi quanto poco aderenti
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alla verità delle cose ... Tanto attaccati ai principi dichiarati, da schiacciare le persone in nome di essi.
Invece Gesù si mette a scrivere col dito per terra. Orienta il suo sguardo altrove, non sulla donna. Così facendo rispetta la donna per quello che realmente è. Anche con noi Gesù non accende i riflettori sulla nostra meschinità e non accende con essi la nostra vergogna. Questa estrema delicatezza, espressione sublime dell’amore divino, stride con l’atteg‐giamento giudicante degli uomini pronti a lapidar e la donna. Di fronte a questo atteggiamento di Gesù, essi devono rivedere il loro proposito e sono costretti a lasciar cadere a terra le loro pietre e le loro sentenze.
Purtroppo la morbosità perbenista è una realtà molto diffusa anche oggi. Forse più di quanto immaginiamo. In televisione si insiste fino all’ossessione su notizie di morte e su scandali. Le telenovele propongono modalità di relazione sconcertanti. Eppure ne siamo dipendenti!
Malgrado ci scandalizziamo o inorridiamo, indugiamo ad ascoltare e a guardare. Lanciamo qualche sentenza di condanna, eppure non ci accorgiamo che esse servono solo a noi: a nascondere proprio a noi stessi l’attrazione che ne subiamo. Senza rendercene conto noi ci nutriamo di ciò che aborriamo a parole!
L’invito fatto da Gesù a non peccare più, suona come il monito non solo per la donna adultera, ma soprattutto per noi che ci nascondiamo dietro le pietre che abbiamo pronte in mano. La parola greca che significa peccare visivamente indica il “mancare il bersaglio”. In effetti il nostro rischio è di mancare l’obiettivo della nostra vita, che è l’amore. Il monito di Gesù, allora, rappresenta un monito a non smarrirci, a non perdere la giusta strada perché il nostro cammino approdi in questa quaresima ad una maggior pienezza di vita.
Se abbandoniamo le nostre morbosità e usciremo dalle nostre compulsioni, ci accorgeremo che non siamo soli, ma siamo all’interno di un popolo, il popolo di Dio14. Questo ci aiuterà ad attraversare il nostro deserto e a tenere fissa la nostra meta, correggeremo la nostra rotta e ci lasceremo guidare dallo sguardo amorevole di Dio Padre.
14 La categoria di “popolo di Dio” merita un approfondimento: CCC 781‐786. Lumen
Gentium 9‐10.
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• Che posizione assumo verso chi sbaglia? Sono giudicante e duro o piuttosto discreto e amorevole? E verso e stesso?
• Quanto mi nutro acriticamente delle immagini di violenza e di sesso che trovo su televisione, giornali, internet…?
• Quali sono i momenti nei quali mi smarrisco? Cosa faccio? Come sto in essi?
• Confido nel fatto che non sono solo? Condivido il cammino della mia vita (università, lavoro, famiglia, amicizie, …) con chi mi è accanto?
c. Giovani
L’episodio dell’adultera ci insegna come vive un cuore che sta nell’amore. Gesù non accetta la provocazione degli scribi e dei farisei sulla sorte dell’adultera. Per lui è importante la persona, più del suo peccato e delle conseguenze del suo peccato. A lui interessano inoltre gli scribi e i farisei che stanno vivendo nell’accanimento contro la donna, giustificati da un falso atteggiamento di giustizia, che li pone di fronte alle proprie responsabilità: “se veramente siete migliori di lei...” .
Ciascuno di noi si trova ogni giorno a giudicare gli altri e a pretendere la giustizia perché si sente giusto; ma quando manca l’amore non c’è giustizia. E allora ancora una volta il Signore ci dice che lui è il Salvatore degli oppressi, le vittime, e degli oppressori, i violento. L’umanità dell’amore è quella che ci fa sentire tutti fratelli: senza giudizio, senza pretese, senza condanne.
Il perdono che questa donna riceve non è chiesto da lei e neppure ci viene detto che si sia pentita. È frutto del solo amore di Gesù che previene anche il nostro pentimento.
Alla conclusione dell’episodio, il modo con cui Gesù si pone di fronte alla “donna” è un’immagine sponsale dove la donna rappresenta ciascuno di noi e l’umanità intera, responsabile di tanti peccati. Gesù è lo sposo che, con il suo amore, quell’amore che lo porterà al dono totale della croce, ci rende nuovi. E ci rende capaci di andare alla festa, sperimentando il suo perdono, il sacramento della penitenza, e la gioia di vivere una umanità redenta nell’eucaristia pasquale.
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• Riesco a capire da quali radici vengono le mie richieste di giustizia per certi reati e per altre responsabilità?
• Che senso ha, nelle mie relazioni quotidiane, la pretesa che l’altro si penta e che l’altro cambi vita?
d. Coppie
Gli scribi e i farisei si rivolgono a Gesù avendo già condannato la donna sorpresa in flagrante adulterio e vogliono da Lui l’approvazione del gesto che stanno per compiere, la lapidazione. La condanna della donna e la conseguente pena sono basate sulla Legge e quindi gli scribi e i farisei si attendono l’approvazione da Gesù che è il Maestro, così lo chiamano loro. Se Gesù non confermerà la Legge, anche Lui, come la donna, potrà essere accusato e condannato.
Gli scribi e i farisei si sentono migliori degli altri perché osservano la Legge e sulla base della Legge condannano gli altri.
L’approccio di Gesù li spiazza, per loro la donna coincide con il peccato che ha commesso, sono incapaci di distinguere la persona dal suo errore, quindi nella loro prospettiva non ha senso darle una possibilità di ricominciare. Gesù non condanna la donna e né punta il dito contro loro per il gesto che stanno per compiere; li invita semplicemente a riflettere mettendoli di fronte alla loro vita.
E noi, coppie cristiane, come ci poniamo di fronte a chi vive le cosiddette “situazioni irregolari”: separati, divorziati, risposati,?
Li accogliamo come Gesù fa con l’adultera dandole la possibilità di ricominciare o come gli scribi e i farisei basandoci sulla Legge li giudichiamo incapaci di distinguere l’uomo dal suo fallimento?
Noi “coppie regolari” che andiamo a messa la domenica e leggiamo la Bibbia, facciamo un cammino spirituale, che a volte ci consideriamo un po’ migliori di chi non lo fa, noi siamo capaci di guardare a Gesù che non ci fa sentire sbagliati, che evita di guardarci e non ci giudica per il nostro peccato, ma ci ama per quello che siamo, o siamo troppo presi dal giudicare e condannare coloro che vivono “situazioni irregolari” forti della Parola di Dio, usandola per inchiodarli a quelle che noi pensiamo siano le loro mancanze, le loro responsabilità?
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E se invece provassimo a ringraziare Gesù per il dono del nostro essere sposi, non dandolo per scontato, e ci facessimo compagni di viaggio di coloro che soffrono per il fallimento della propria vita di coppia?
Senza ergerci a giudici e senza avere la pretesa di salvare nessuno perché siamo “bravi discepoli” e quindi nella condizione di dare ricette.
L’amore, quello vero, quello delle parole di Gesù per l’adultera (e per ogni uomo, indipendente dalla sua condizione) ci chiede di essere con loro, con la stessa tenerezza di Gesù, di accoglierli nelle nostre comunità in quanto Figli di Dio e quindi unici e preziosi agli occhi del Padre, a prescindere dal fallimento che stanno sperimentato o hanno sperimentato.
Non è il fallimento ad uccidere, ma ciò che uccide è la solitudine nel fallimento: nella solitudine siamo portati a pensare che non c’è possibilità di rialzarsi e ricominciare.
Apriamo il nostro amore sponsale, rendendolo fecondo, all’accoglienza sia di coloro che sono nella sofferenza per la fine del loro matrimonio sia di chi, dopo il dolore del fallimento, ha ricominciato una nuova vita di coppia.
Non facciamoli sentire ai margini delle nostre comunità cristiane, “ghettizzati”, siamo tutti parte della stessa comunità in cammino dove il giudizio, o peggio il pregiudizio, il considerarsi “migliore di”, il pensare di essere “più avanti” (ma più avanti dove?) non ha senso. Il camminare insieme, ognuno nella propria condizione, è l’occasione offerta da Gesù ad ognuno di noi per essere come Lui, è l’occasione di farsi prossimo al fratello, di stare al suo passo, di gioire e soffrire con lui per gli avvenimenti della sua vita, di ascoltare col cuore le sue ricchezze e le sue fragilità.
Allora il cammino diventa incontro, luogo di gioia, perché nelle difficoltà, nelle sofferenze, nelle cose belle e brutte che la vita ci riserva, noi siamo lì insieme perché ci sentiamo amati, innanzitutto da Dio e dai fratelli.
e. Carità e testimonianza
La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l’unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell’amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di
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Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr Rm 5,5)15.
A volte nutriamo delle riserve rispetto a coloro che dovrebbero ricevere i nostri gesti di carità, magari ci capita di essere selettivi: “a te si, perché sei degno di riceverlo, ti comporti bene, ringrazi, mostri di apprezzare il mio aiuto, a te no, perché, per come sei, non meriteresti proprio nulla”. Non riusciamo ad esprimere l’amore di Dio che ama ognuno di noi così come siamo, perdona le nostre colpe e incoraggia i nostri passi incerti verso di Lui.
• Quali sentimenti nutriamo verso chi ha sbagliato ed è in carcere? Siamo capaci di sperare e chiedere, come cittadini, che la pena detentiva sia accompagnata da percorsi capaci di rigenerare la persona ad una vita diversa? In che modo possiamo farci artefici di una proposta che sensibilizzi tutta la comunità civile verso un’attenzione “includente”, che scardini l’idea di reclusione come “repulsione”?
• Quali sono i gesti concreti che possiamo compiere verso gli immigrati, o coloro che sono senza lavoro (perché senza esperienza o perché scartati dal mondo produttivo), o ancora verso i diversamente abili, che spesso sono percepiti come “improduttivi” perché si promuova la loro dignità?
• In che modo la nostra fede cristiana può essere luce e diventare operosa carità per il mondo albanese (per la diocesi di Sapa) che ancora mantiene viva la tradizione della vendetta verso chi ha sbagliato?
15 Cf. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013.
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f. Spunti per attività
Descrizione dell’attività Prima di iniziare l’incontro è importante preparare il setting (l’ambienta‐
zione) dell’incontro. Nella stanza ci sarà un cesto pieno di sassi e la riproduzione del dipinto “Gesù e l’adultera” di Lorenzo Lotto, qui sotto riprodotto in bianco e nero (sarebbe bene procurarsene una copia a colori).
1. Brainstorming: ognuno esprime quanto l’immagine gli suscita utilizzando una parola.
2. Lettura personale del dipinto.
• Prova a sentirti uno dei farisei: conosci la Legge di Mosé, sai che l’adulterio è una colpa grave. Vuoi condannare la donna… ma ti metti anche ad aspettare cosa dice Gesù, rimanendo nel tuo sdegno nei confronti di chi trasgredisce.
• Ascolta adesso il cuore della donna: prima senso di colpa, vergogna, paura di essere uccisa con una morte orrenda (la lapidazione), emarginazione … e poi fiducia, in Gesù, gratitudine e stupore.
• I colori: intono alla folla c’è buio, Gesù e la donna invece sono avvolti nella luce… è la notte del peccato e del giudizio, squarciata dalla luce della grazia.
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• La donna è spogliata, fragile, esposta… Gli uomini che le sono attorno sono rivestiti da abiti sovrabbondanti quasi ad indicare i pregiudizi di cui si sono portatori, schiacciati dalle loro stesse sovrastrutture.
3. Si propone al gruppo una riflessione: spesso anche noi ci
comportiamo come quella folla ogni volta che ci giudichiamo per quei peccati che la nostra coscienza non riesce a perdonarci.
4. Ognuno dei presenti è invitato a prendere i sassi e scrivere su di essi tutti quei giudizi.
5. Si chiede al gruppo di alzarsi in piedi e di camminare con questi sassi in mano. Accadrà che sarà impossibile farlo perché sarà scomodo anche solo tenerli tutti in mano. Si farà notare quanto il giudizio non permette la crescita della persona, ma lo costringe all’immobilità e ciò accade tutte le volte che il senso di colpa non ci permette di aprirci alla grazia.
6. L’animatore chiede al gruppo di lasciare andare via i sassi, di
lasciarli cadere davanti al dipinto in segno di conversione e di rinascita.
7. A conclusione dell’incontro chiede chi vuole di condivide le
sensazioni e i pensieri che hanno accompagnato l’esperienza appena vissuta.
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g. Momento celebrativo a sfondo vocazionale
ESAME DI COSCIENZA COMUNITARIO Proponiamo un esame di coscienza per la parrocchia. Questo incontro è
rivolto soprattutto alla sua vita ad intra. Una revisione di vita non per singoli o per gruppi in particolare ma per coloro che hanno, in seno alla comunità parrocchiale, un posto di responsabilità: il parroco (vicario parrocchiale e suore), i membri del consiglio pastorale, i membri del consiglio affari economici, i catechisti e i responsabili di gruppi e/o movimenti sia parroc‐chiali che non.
Questo momento di revisione non è una liturgia della parola, l’incontro perciò non si tenga in chiesa. Per il sacerdote, dunque, non si prevedono camice ecc. né un altare o altro, solo un tavolo con una bibbia con delle pietre poste intorno secondo il numero dei partecipanti e consegnate all’inizio. Poi saranno poste intorno alla bibbia dopo la lettura del Vangelo. Un incontro informale dunque.
Se si vuole, si inizia con un canto oppure con una preghiera e ci si mette in ascolto della parola. Dopo il Vangelo, oltre al gesto delle pietre vengono consegnate delle domande per la riflessione. Se qualcuno vuole può condividere. È bene, però, che venga fatta con questa regola: ognuno parli per sé e per le proprie responsabilità, non cadendo nel tranello di fare un discorso generale o valido per tutti. Ognuno parli per sé, come referente di un gruppo o altro, secondo il proprio grado di responsabilità. Nessuno parli dei problemi e delle responsabilità altrui, ognuno pensi a sé nel parlare. In questo caso si chiede di essere “individualisti”.
Canto iniziale e segno di Croce
Monizione Precede la lettura di Neemia la seguente monizione. Il libro di Neemia racconta le vicende di Neemia e altri ebrei tornati
dall’esilio dalla città di Susa (attuale Iran, al confine con l’Iraq) con l’incarico di ricostruire le mura della città di Gerusalemme. Neemia trova forte ostacoli nei samaritani ciò nonostante l’opera prosegue, vengono richiuse le brecce della città, si rinsaldano i cardini delle porte e vengono sostituite quelle bruciate. Anche il tempio viene riparato e si provvede a ripristinare
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una certa purità cultuale e tribale, rompendo, per esempio i matrimoni di ebrei con stranieri. In questo contesto per ripristinare il culto al tempio si fanno giorni di penitenza, di preghiera e di digiuno, si leggono le Scritture e si recita questa lunga preghiera come richiesta di perdono. In essa l’autore sacro ripercorrendo la storia di Israele e soprattutto mostra i numerosi tradimenti del popolo ma anche la bontà di Dio disponibile ad ascoltare sempre il grido del suo popolo.
Lettura di Neemia (Ne 9,5‐37) e, a seguire, del Vangelo (Gv 8,1‐11),
Commento Si può leggere “il filo rosso” senza le domande corrispondenti
Per l’esame di coscienza:
• Qual è il volto che mostriamo della nostra parrocchia? È il luogo
dove far fare esperienza del Signore? Come mostriamo il nostro
attaccamento al Signore?
• Ci sono critiche reciproche e fazioni all’interno della nostra
parrocchia? Cosa facciamo per spegnere questi focolai? Cosa
facciamo per proporre uno stile di comunione?
• Quante volte cadiamo nella tentazione di misurarci: quanti siamo e
quanto siamo importanti?
• Siamo mai caduti in un uso strumentale della parrocchia? Cosa fa la
parrocchia per noi?
• Abbiamo paura che qualcuno possa prendere il nostro posto? La
“nostra” messa, le “nostre” sale, “abbiamo fatto sempre così”?
Cadiamo in questa sorta di privilegi?
• Serviamo gli altri o ci facciamo servire? Siamo disposti a compiere
anche servizi umili pur avendo posti di responsabilità conservando
perciò uno spirito di diaconia?
• Quanto siamo accoglienti verso i “nuovi” o siamo chiusi nel nostro
piccolo mondo?
Si conclude con una richiesta di perdono, per esempio il “confesso” Quindi si conclude con un Padre Nostro e il segno di croce.
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Proposta di celebrazione
per il Mercoledì delle Ceneri
Può essere utilizzata anche come una celebrazione della Parola di Dio
Con il suggestivo rito dell’imposizione delle ceneri prende avvio il sacro tempo della Quaresima, durante il quale la liturgia rinnova l’appello a una radicale conversione, confidando nella divina misericordia. La Quaresima comincia con il gesto della cenere, ma finisce con quello dell’acqua della notte pasquale. Cenere all’inizio, acqua battesimale alla fine. Il segno penitenziale delle ceneri, sorto dalla tradizione biblica e conservato nella Chiesa, consente ai fedeli di riconoscersi bisognosi del perdono di Dio ed entrare nel tempo destinato alla purificazione e alla conversione «per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male» (cf colletta). Nei primi secoli questo gesto esprimeva il cammino dei penitenti, cioè di coloro che si preparavano alla riconciliazione che avveniva al termine della Quaresima, il giovedì santo. Essi, rivestiti dell’abito penitenziale e con la cenere sul capo, si presentavano alla comunità davanti alla quale esprimevano la volontà di conversione. Verso il secolo XI, sparita ormai l’istituzione dei penitenti, il gesto delle ceneri si realizzò per tutti i cristiani all’inizio della Quaresima. «L’inizio dei quaranta giorni di penitenza, nel Rito romano, è qualificato dall’austero simbolo delle Ceneri che contraddistingue la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Appartenente all’antica ritualità con cui i peccatori convertiti si sottoponevano alla penitenza canonica, il gesto di coprirsi di cenere ha il senso del riconoscere la propria fragilità e mortalità, bisognosa di essere redenta dalla misericordia di Dio. Lontano dall’essere un gesto puramente esteriore, la Chiesa lo ha conservato come simbolo dell’atteggiamento del cuore penitente che ciascun battezzato è chiamato ad assumere nell’itinerario quaresimale. I fedeli, che accorrono numerosi per ricevere le Ceneri, saranno dunque aiutati, a percepire il significato interiore, implicato in questo gesto, che apre alla conversione e all’’impegno del rinnovamento pasquale».
(Direttorio su liturgia e pietà popolare, 125)
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Guida: L’itinerario quaresimale ha inizio alla luce di due imperativi presenti nella liturgia del mercoledì delle ceneri: «Lasciatevi riconciliare con Dio» e «Convertitevi e credete al Vangelo». Sono un invito pressante a riscoprire l’amore di Dio che sempre precede l’uomo. La comprensione cristiana del peccato e della conversione diventa possibile solo a partire dall’amore gratuito e sorprendente di Dio, non a partire dalle nostre debolezze e limiti: «Anche se i nostri peccati fossero neri come la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria» (santa Faustina KOWALSKA). Il digiuno, la preghiera e la carità sono le armi che ci vengono offerte per risanare le antiche ferite relazionali: relazione con Dio, con gli altri, con il creato e con noi stessi. Camminiamo dunque verso la santa Pasqua sulle orme di Cristo, confrontando la nostra vita con la Parola di Dio che illumina, in maniera speciale, questo tempo.
Canto d’ingresso RITI D’INTRODUZIONE
Sacerdote: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: grazia e la pace del Signore Gesù, che con la sua croce ha mostrato agli uomini la bellezza dell’amore che salva il mondo, sia con tutti voi.
Assemblea: E con il tuo spirito.
Guida: L’usanza di coprirsi il capo di cenere per esprimere un profondo pentimento dei peccati commessi, risale alla più remota antichità. A tutti noi le ceneri ricordano la fragile natura umana e soprattutto l’urgenza della conversione e della penitenza. Le ceneri sono ricavate dalla combustione dei rami di ulivo benedetti l’anno scorso la Domenica delle Palme; erano rami pieni di vita ed ora sono secchi, così il nostro cuore, se non ci impegniamo a cambiare stile di vita.
Alcuni rappresentanti delle varie realtà ecclesiali operanti nella parrocchia pongono nel braciere, posto ai piedi dell’altare, i rami che saranno bruciati.
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Sacerdote: Fratelli e sorelle carissimi, con l’austero rito dell’imposizione delle ceneri, riprende l’annuale cammino della Chiesa verso la Pasqua. È tempo di conversione, di approfondimento della fede, di preghiera intensa e di carità operosa. La liturgia ci invita a diventare uomini nuovi in Cristo attraverso la grazia del battesimo, le cui promesse rinnoveremo nella veglia pasquale. Cristo Gesù ci accompagni e ci guidi nel cammino verso la risurrezione.
Il sacerdote si avvicina al braciere e con una candelina mette fuoco ai rami.
Sacerdote: Preghiamo. O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo
digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Per il nostro Signore, Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Assemblea: Amen. LITURGIA DELLA PAROLA
- Prima lettura: Gl 2,12‐18 - Salmo responsoriale: Sal 50, 3‐6. 12‐14.17
rit. Purificami, o Signore, sarò più bianco della neve. - Seconda lettura: 2 Cor 5,20‐6,2 - Canto al Vangelo:
Gloria e onore a te, Signore Gesù. Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltare la voce del Signore. Gloria e onore a te, Signore Gesù.
- Vangelo: Mt 6,1‐6.16‐18 - Omelia.
MOMENTO PENITENZIALE
BENEDIZIONE ED IMPOSIZIONE DELLE CENERI
Guida: Tre sentieri ci stanno davanti. Conducono tutti alla stessa meta. Tre parole antiche: preghiera, digiuno, elemosina. Sono parole che vengono da lontano, segrete chiavi di accesso verso una vita nuova. Preghiera, cioè deserto, ascolto, silenzio. Digiuno, cioè sobrietà, per tornare all’essenziale. Elemosina, cioè solidarietà e condivisione con il fratello.
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Sacerdote: Abbiamo bisogno di trovarti, o Dio. Più riceviamo nel silenzio della preghiera, più daremo nella vita. Abbiamo bisogno di silenzio, o Dio. L’importante non è ciò che diciamo, ma ciò che tu dici attraverso di noi. Tutte le nostre parole saranno vane se non vengono da Te. Resteremo certamente poveri finché non avremo scoperto le parole che danno la luce di Cristo. Resteremo ingenui, finché non avremo imparato che ci sono silenzi più ricchi dello spreco di parole. Resteremo degli inetti, finché non avremo compreso che, a mani giunte, si può agire meglio che agitando le mani. Abbiamo bisogno di trovarti, o Dio. (Helder CAMARA)
Guida: Con il gesto penitenziale che stiamo per compiere inizia visibilmente il nostro cammino quaresimale; dono di grazia della misericordia di Dio e tempo di conversione per giungere rinnovati alla Pasqua. Tre sono i momenti del rito che celebreremo fra poco: la richiesta di perdono, la benedizione e l’imposizione delle ceneri sul nostro capo. Qual è il senso di questo gesto? La cenere ricorda che siamo niente, siamo polvere, siamo creature; è simbolo di caducità e di penitenza. L’uscire dai nostri posti per ricevere le ceneri esprime la volontà di impegnarci in questi quaranta giorni nell’ascolto della Parola del Signore e nella conversione.
Sacerdote: Prima di ricevere il simbolo delle ceneri, chiediamo perdono a Dio per le nostre mancanze.
Silenzio
Sacerdote: Signore, tu ci hai resi figli e ci chiedi di condividere il tuo desiderio di comunione con te: ti chiediamo perdono per tutte le volte che non siamo riusciti a fare spazio a te, a riconoscerti Signore e protagonista della nostra vita, maestro e operatore di conversione. Signore, pietà.
Assemblea: Signore, pietà.
Sacerdote: Cristo, tu ci hai inseriti nella Chiesa e ci chiedi una totale unità con te e i fratelli: ti chiediamo perdono per quelle volte che non abbiamo respinto le tentazioni egoistiche che generano competizione, superbia, gelosia, presunzione, ma ci siamo lasciati sopraffare, dalla smania di possedere, di primeggiare, di schiacciare gli altri. Cristo, pietà.
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Assemblea: Cristo, pietà.
Sacerdote: Signore, tu ci chiami ad impegnarci insieme nella costruzione del tuo regno: ti chiediamo perdono per tutte le volte che non siamo stati segni visibili di amore e di accoglienza verso i fratelli nella loro fatica di credere, nel difficile risanamento delle ferite che portiamo in cuore e nel riconoscere l’originalità del dono che tu hai messo in ciascuno. Signore, pietà.
Assemblea: Signore, pietà.
Sacerdote: Raccogliamoci, fratelli e sorelle carissimi, in umile preghiera, davanti a Dio nostro Padre, perché faccia scendere su di noi la sua benedizione e accolga l’atto penitenziale che stiamo per compiere.
Alcuni istanti di preghiera silenziosa.
Sacerdote: O Dio, che non vuoi la morte ma la conversione dei peccatori, ascolta benigno la nostra preghiera: benedici (†) queste ceneri, che stiamo per imporre sul nostro capo, riconoscendo che il nostro corpo tornerà in polvere; l’esercizio della penitenza quaresimale ci ottenga il perdono dei peccati e una vita rinnovata ad immagine del Signore risorto. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Assemblea: Amen.
Il sacerdote asperge le ceneri con l’acqua benedetta.
Guida: Accostiamoci con umiltà ai piedi dell’altare per ricevere le ceneri e chiniamo il capo in segno di pentimento per ricevere il dono dello Spirito che rinnova il nostro cuore.
Nel frattempo si esegue un canto. Terminato il rito dell’imposizione delle ceneri ha luogo la preghiera universale.
PREGHIERA UNIVERSALE
Sacerdote: Fratelli e sorelle, dopo aver ricevuto e accolto l’austero segno delle ceneri, apriamo il nostro cuore alla preghiera comune e universale e con filiale fiducia supplichiamo il Signore vivente, perché fecondi con il suo Spirito il cammino che la Chiesa ha iniziato.
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Lettore: Dio, la cui gloria è l’uomo vivente, guarda la Chiesa diffusa su tutta la terra, perché in questo tempo intensifichi il suo impegno ad essere segno dell’umanità riconciliata, disposta a servire ogni iniziativa in favore della vita, della giustizia e della pace.
Dio, che conosci l’umana fragilità, sostieni con la forza dello Spirito e della Parola tutti i cristiani che desiderano giungere alla Pasqua del Signore profondamente rinnovati nella loro vita personale e comunitaria.
Dio, che chiami ogni uomo alla vita di fede, apri i cuori dei catecumeni all’ascolto del tuo Figlio amato, perché confortati dalla sua Parola non temano di condividere con lui la via della croce per entrare nella gloria del suo regno.
Dio, sorgente della vita, concedi l’acqua viva della grazia a tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito; il tuo amore li consoli e li risollevi.
Dio, Padre della luce, apri il cuore e gli occhi di noi tutti e di quanti ricercano la verità, perché vediamo e riconosciamo colui che hai mandato ad illuminare le tenebre del mondo, Cristo Gesù.
O Signore, che sei misericordioso e pietoso, sai che a volte il nostro partecipare ai riti ha come scopo l’ammirazione del mondo; donaci in questa Quaresima che oggi ha inizio, un cuore puro e uno spirito saldo affinché abbiamo il coraggio di lacerare il cuore e non le vesti, e facendoci sinceri ambasciatori in Cristo diventiamo Suoi collaboratori nell’indire un’assemblea solenne che proclami la Tua lode.
Sacerdote: Dio dei nostri Padri, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che ti sei rivelato nel tuo Figlio Gesù, Principe della pace, conforta con il dono del Consolatore questa tua famiglia nel suo cammino di rinnovamento e ascolta con bontà la nostra supplica perché la pace, nella giustizia e nella verità, pervada la nostra terra. Per Cristo nostro Signore.
Assemblea: Amen.
La celebrazione continua “more solito” con i riti di offertorio.
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Celebrazione quaresimale
con “Adorazione della Croce”
Guida: Il mistero della passione di Cristo continua “nelle membra piagate del suo corpo che è la Chiesa”. Meditiamo le parole dell’apostolo Paolo: “Completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa”. Maria Santissima, regina della pace e signora dell’universo, stette presso la Croce del Figlio “addolorata” ma insieme “intrepida e fedele” offrendo la sua collaborazione all’opera della salvezza per dare compimento alle antiche profezie. Presso il Figlio che moriva sulla Croce la Beata Vergine si manifestò “cooperatrice della redenzione”, madre compassionevole associata al sacrificio del Figlio Sommo Sacerdote.
Canto (mariano) scelto dal repertorio parrocchiale.
Sacerdote: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: La pace, la carità e la fede da parte di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.
Assemblea: E con il tuo spirito.
INTRONIZZAZIONE DELLA CROCE Mentre l’assemblea esegue un canto adatto, dal fondo della chiesa viene portata la croce e posta ai piedi dell’altare.
Lettore: Dagli scritti di Sant’Agostino: Non a caso Cristo scelse un tal genere di morte: lo fece per essere maestro di quella larghezza, altezza, lunghezza e profondità di cui parla San Paolo (Ef 3, 14‐19). La larghezza è rappresentata dal legno trasversale: e raffigura le opere buone, perché su di esso sono inchiodate le mani. La lunghezza è rappresentata dal tronco stesso visibile fino a terra: esso dà il senso della stabilità e della perseveranza […]. L’altezza è rappresentata da quella parte della croce che si eleva al disopra del legno trasversale, cioè sopra il capo del crocifisso: essa indica la superna attesa di coloro che vivono nella santa
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speranza. E quella parte della croce che viene piantata e nascosta, sostenendo tutto il resto, sta a rappresentare la profondità della grazia gratuitamente offerta.
Sacerdote: Mettersi in preghiera davanti alla croce, per un cristiano, vuol dire avere il desiderio di assumere egli stesso la croce che adora. L’adorazione della croce non si può limitare ad un atto di culto devozionistico: il cristiano che si trova davanti alla sofferenza del suo Signore deve andare oltre le apparenze ed assumere su sé stesso la croce di Cristo rivivendola sulla sua pelle ogni giorno. Pregare sulla Croce vuol dire sceglierla; pregare sulla croce vuol dire andare oltre il semplice e statico idolo che questa può rappresentare e assumere la dimensione dinamica: contemplando la croce sono irrevocabilmente chiamato ad agire, ad offrire me stesso per gli altri come Gesù ha offerto se stesso per me.
Lettore: Leggiamo nel Vangelo di Marco (15, 33‐39): Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre del pomeriggio, Gesù gridò a gran voce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia. Uno corse ad inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna gli dava da bere, dicendo: Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Tempo di silenzio e preghiera personale. Canto scelto dal repertorio parrocchiale.
LITURGIA DELLA PAROLA Lettore: Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (8,31‐39) Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né
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principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. Parola di Dio.
Assemblea: Rendiamo Grazie a Dio.
Lettore 1: Accogli, Signore, la causa del giusto, sii attento al mio grido. Porgi l’orecchio alla mia preghiera: sulle mie labbra non c’è inganno. Venga da te la mia sentenza, i tuoi occhi vedano la giustizia.
Lettore 2: Saggia il mio cuore, scrutalo di notte, provami al fuoco, non troverai malizia. La mia bocca non si è resa colpevole, secondo l’agire degli uomini; seguendo la parola delle tue labbra, ho evitato i sentieri del violento. Sulle tue vie tieni saldi i miei passi, i miei piedi non vacilleranno. Lettore 1: Io t’invoco, mio Dio: dammi risposta; porgi l’orecchio, ascolta la mia voce, mostrami i prodigi del tuo amore: tu che salvi dai nemici chi si affida alla tua destra. Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali, di fronte agli empi che mi opprimono, i nemici che mi accerchiano.
Lettore 2: Essi hanno chiuso il loro cuore, le loro bocche parlano con arroganza. Eccoli, avanzano, mi circondano, puntano gli occhi per abbattermi; simili a un leone che brama la preda ,a un leoncello che si apposta in agguato.
Lettore 1: Sorgi, Signore, affrontalo, abbattilo; con la tua spada scampami dagli empi, con la tua mano, Signore, dal regno dei morti che non hanno più parte in questa vita. Sazia pure dei tuoi beni il loro ventre, se ne sazino anche i figli e ne avanzi per i loro bambini. Ma io per la giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza.
Acclamazione al Vangelo scelta dal repertorio parrocchiale.
Cristo si è fatto obbediente, fino alla morte di croce Per questo Dio lo esaltò su ogni altra creatura.
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Sacerdote: Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 19,25‐27 ) In quel tempo Stavano presso la Croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Parola del Signore.
Assemblea: Lode a Te, o Cristo.
Il sacerdote tiene un breve pensiero di omelia.
Lettore: La Croce è una nuova rivelazione di Dio. […] Per tutto Israele Dio era soprattutto Maestà e Giustizia. Veniva considerato come giudice, che ricompensa e punisce. Dio, di cui parla Gesù, è Dio che manda il proprio Figlio non “per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17). Egli è Dio dell’amore, il Padre che non retrocede davanti al sacrificio del Figlio per salvare l’uomo. 3. San Paolo, con lo sguardo fisso alla stessa rivelazione di Dio, ripete per due volte nella lettera agli Efesini “Per grazia... siete stati salvati” (Ef 2,5). “Per grazia... siete salvi mediante la fede” (Ef 2,8). Eppure questo Paolo, […] fino alla sua conversione fu l’uomo della Legge Antica. Sulla strada di Damasco gli si rivelò Cristo e da quel momento Paolo capì di Dio ciò che proclama: “...Dio, ricco di misericordia, per il grande amore col quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete salvati” (Ef 4,5). Che cosa è la Grazia? “È un dono di Dio”. Il dono che si spiega col suo Amore. Il dono è là dove è l’amore. E l’Amore si rivela mediante la Croce. […] L’Amore, che si rivela mediante la Croce, è proprio la Grazia. In essa si svela il più profondo Volto di Dio. Egli non è soltanto il giudice. È Dio di infinita maestà e di estrema giustizia. È Padre, che vuole che il mondo sia salvato; che capisca il significato della Croce. […] Con umiltà confessiamo le nostre colpe, le nostre negligenze, la nostra indifferenza nei confronti di questo Amore, che si è rivelato nella Croce. E contemporaneamente rinnoviamoci nello spirito con il grande desiderio della Vita, della Vita della Grazia, che eleva continuamente l’uomo, lo rinforza, lo impegna. Quella grazia che dà la piena dimensione alla nostra esistenza sulla terra. Così sia. (Beato Giovanni Paolo II)
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Sacerdote: Signore Gesù, che hai voluto essere innalzato da terra per attirarci a Te, abbi pietà di noi. Assemblea: Signore Pietà.
Sacerdote: Signore Gesù, che ci sottoponi al giudizio della tua croce, abbi pietà di noi. Assemblea: Cristo Pietà.
Sacerdote: Signore Gesù, che nell’acqua e nello Spirito ci hai rigenerato a tua immagine, abbi pietà di noi. Assemblea: Signore Pietà.
Sacerdote: Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.
Assemblea: Amen.
PREGHIERA DEI FEDELI
Sacerdote: Cristo, uomo dei dolori, porta sulla Croce i peccati e le sofferenze dell’umanità. Maria, associata alla sua passione, ci chiama ad unirci nella fede all’offerta redentrice del suo Figlio. Preghiamo insieme dicendo:
rit.: O Maria, madre di misericordia, intercedi per noi.
Lettore: Padre santo, che hai dato a Maria la grazia di essere discepola della Parola, ancora prima di essere madre del Verbo incarnato, dona alla comunità ecclesiale lo spirito dell’ascolto, per obbedire nella fede ad ogni cenno della tua volontà.
Ti preghiamo, Padre santo, per tutte le famiglie del mondo, perché di fronte al crocifisso chiedano la piena adesione alla volontà di Dio e si dispongano a compiere passi decisi e coraggiosi verso il compimento della loro vocazione che è amare ed il prossimo.
Tu che riveli la tua potenza soprattutto nella misericordia, fa’ che riconciliati con Te, diventiamo come Maria, dispensatori di perdono e di pace.
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Ti preghiamo per il nostro Paese e per tutti i popoli della terra, perché nel tuo Figlio nato da Maria e fatto nostro concittadino del mondo, riconoscano ed accolgano la vera pace e l’unica salvezza.
Sacerdote: Rinnoviamo ogni nostra lode a Dio e ogni nostra domanda con la preghiera che Gesù ci ha insegnato:
Tutti: Padre nostro, …
Sacerdote: Torneremo sempre ai piedi di questa morte: il crocifisso è la nostra vita. Mai più cancelleremo questo monte dal nostro orizzonte: qui si erge davanti a noi la regalità della Parola che svela il Padre nel suo morire. Fissando gli occhi in questa morte accolta per amore la vita ci fiorisce in mano, perché corre il nome di Dio nel sangue sparso dell’unico puro Agnello. È qui la Pasqua: lo crediamo mentre ancora la fatica ci fa gemere. Tu solo sei il Signore: le tue mani segnate dai chiodi per sempre accoglieranno; i tuoi piedi feriti per sempre faranno strada; le tue labbra amare di aceto per sempre parleranno di vita e il tuo corpo sfigurato per sempre si ergerà sulla morte. É Pasqua: tutto è compiuto, tutto è dato. Noi conosciamo il volto dell’Altissimo.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: Il Signore sia con voi.
Assemblea: E con il tuo Spirito.
Sacerdote: Dio, che nella passione del suo Figlio ci ha manifestato la grandezza del suo amore, vi faccia gustare la gioia dello Spirito nell’umile servizio dei fratelli.
Assemblea: Amen.
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Sacerdote: Cristo Signore, che ci ha salvati con la sua Croce dalla morte eterna, vi conceda la vita senza fine.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: Voi che seguite Cristo umiliato e sofferente, possiate aver parte alla sua resurrezione.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.
Assemblea: Amen.
Sacerdote: Sull’esempio di Maria, glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace.
Assemblea: Rendiamo grazie a Dio.
Un canto, scelto dal repertorio parrocchiale, conclude la celebrazione.
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CONTRIBUTO per L’ANIMAZIONE
LITURGICA DOMENICALE e FESTIVA
Mercoledì delle Ceneri
13 febbraio 2013
Idea guida per l’animazione COSPARGIAMO IL NOSTRO CAPO DI CENERE NELLA CERTEZZA CHE
VERREMO “LAVATI” DALL’INFINITA MISERICORDIA DI DIO. Intenzioni di preghiera
O Signore, che sei misericordioso e pietoso, sai che a volte il nostro partecipare ai riti ha come scopo l’ammirazione del mondo; donaci in questa Quaresima che oggi ha inizio, un cuore puro e uno spirito saldo affinché abbiamo il coraggio di lacerare il cuore e non le vesti, e facendoci sinceri ambasciatori in Cristo diventiamo Suoi collaboratori nell’indire un’assemblea solenne che proclami la Tua lode. Per la quaresima di carità
O Signore, ricco di misericordia, insegnaci ad avere per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa lo sguardo attento della madre protesa a soccorrere e custodire i suoi figli e perdonaci per ogni volta che li abbiamo dimenticati o abbiamo lasciato che l’elemosina surrogasse il dono di noi stessi.
I Domenica di Quaresima
17 febbraio 2013
Idea guida per l’animazione SICURI ALL’OMBRA DELL’ALTISSIMO, NON POSSIAMO PERMETTERE DI
LASCIARCI VINCERE DALLE TENTAZIONI. Intenzione di preghiera
O Padre, che con mano potente e braccio teso custodisci le vie di chi invoca il Tuo nome, concedici la forza per non cedere ai corteggiamenti del denaro, del potere e dell’orgoglio, ma rendi i nostri cuori docili alla Tua
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giustizia e le nostre bocche al servizio della Tua lode, nella speranza di gustare la dolcezza delle tue promesse. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. Dona loro, attraverso la nostra vita, testimoni del tuo Vangelo, che fermi nell’amore e perseveranti nelle tentazioni, possano condurli all’incontro con Te.
II Domenica di Quaresima
24 febbraio 2013
Idea guida per l’animazione SVEGLIAMOCI DAL NOSTRO TORPORE PER LASCIARCI SCONVOLGERE
DALLA GLORIA. Intenzione di preghiera
Signore Gesù, che sul Monte hai fatto pregustare a Pietro, Giovanni e Giacomo il dolore della Tua salita a Gerusalemme ma anche la gloria della Tua Risurrezione, concedi a noi che troppe volte siamo oppressi dal sonno, di non cercare soltanto le cose della terra, perché anche il nostro volto cambi di aspetto e diventiamo gioia e corona dei nostri fratelli amatissimi. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. La novità del tuo Vangelo, annunciato dai nostri missionari, ridesti nei cuori il desiderio di seguirti, perché possano manifestare la tua gloria tra coloro che vivono nell’oscurità del peccato e dell’indifferenza.
III Domenica Quaresima
3 marzo 2013
Idea guida per l’animazione STANDO ATTENTI A NON “CADERE” NELLA MORMORAZIONE,
SPERIMENTIAMO, IN PIEDI, LA PAZIENZA DI DIO. Intenzione di preghiera
O Padre, più volte nel corso della nostra vita sperimentiamo quanto sei lento all’ira e grande nell’amore e continuamente Ti chiediamo di non tagliarci, di avere pazienza e Tu ci circondi di bontà e misericordia; donaci di abbandonare ogni forma di superficialità ed essere gli uni per gli altri
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“roveti ardenti”, tutti poggiati sulla roccia spirituale che è Cristo, per dirigere i nostri passi sulla strada che porta a Te. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. L’incontro con il tuo amore paziente e misericordioso, testimoniato con la nostra vita, trasformi le strade della vendetta e del castigo in sentieri di giustizia e perdono.
IV Domenica di Quaresima
10 marzo 2013
Idea guida per l’animazione COME IL FIGLIOL PRODIGO LASCIAMOCI CORRERE INCONTRO E
TRAVOLGERE DALL’ABBRACCIO DEL PADRE CHE NON VEDE L’ORA DI PERDONARE. Intenzione di preghiera
O Signore, che liberi da ogni paura e salvi da tutte le angosce, donaci di capire il grande mistero del Tuo amore che ci ha riconciliati con Te mediante Cristo, e quando perdiamo la strada e ci sentiamo in un paese lontano concedici il coraggio per alzarci e tornare da Te, sicuri che verremo accolti non come servi da punire ma come figli che mai hai smesso di amare. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. Il calore del tuo abbraccio benedicente giunga attraverso la nostra vicinanza e apra i cuori di ciascuno a riconoscerti come Padre e a sentirci fratelli in Cristo.
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V Domenica di Quaresima
17 marzo 2013
Idea guida per l’animazione NON RICORDIAMO PIÙ LE COSE ANTICHE MA LASCIAMOCI
CONQUISTARE DALLA NOVITÀ DELL’AMORE DI GESÙ. Intenzione di preghiera
O Padre, che apri una strada nel mare e immetti fiumi nella steppa, troppe volte siamo noi a tirare la “prima pietra” per giudicare i nostri fratelli, incuranti del nostro stato di miseri peccatori; ristabilisci la nostra sorte perché scegliamo come giustizia quella che viene dalla fede per lasciarci conquistare da Cristo Gesù e correre insieme a Lui verso la mèta, verso il premio che Tu ci chiami a ricevere. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. La gioia dell’incontro con Te, rinnovi la vita delle nostre comunità civili ed ecclesiali perché, conquistati dal tuo amore, possiamo, insieme, abbandonare le cose antiche e aprirci alla tua presenza vivificante.
Domenica delle Palme
24 marzo 2013
Idea guida per l’animazione STENDIAMO I NOSTRI MANTELLI AL PASSAGGIO DI CRISTO E
ACCOMPAGNIAMOLO VERSO L’ALTEZZA DELLA CROCE. Intenzione di preghiera
Signore Gesù, anche quest’anno siamo commossi nel salire insieme a Te verso Gerusalemme, coscienti che sulla croce vieni svuotato di Te stesso per riempire noi del Tuo amore; donaci l’umiltà della fede perché capiamo che l’essere Cristiani non è una facile discesa verso il basso ma un pellegrinaggio in salita al Tuo fianco che non si ferma all’altezza della Croce, ma ci conduce al Padre. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa, perché uniti nell’acclamarti nostro redentore e possiamo ricevere da te il dono della perseveranza nella fede per seguirti attraverso la croce sino alla resurrezione.
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Messa del Crisma
27 marzo 2013
Idea guida per l’animazione CONSACRATI DALLO SPIRITO, DIVENTIAMO PORTATORI DEL LIETO
ANNUNCIO. Intenzione di preghiera
Padre buono, ci hai donato l’olio di letizia, segno della tua bontà, che ci accompagna dal Battesimo fino all’incontro con Te e ci ha reso popolo di sacerdoti; concedici di diventare fedeli annunciatori del Tuo messaggio per consolare tutti gli afflitti e indossare la veste di lode invece di uno spirito mesto, una corona invece della cenere, affinché i fratelli che incontriamo possano riconoscere nella nostra gioia la stirpe benedetta dal Signore. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. Lo Spirito effuso nel Battesimo, abiti in loro e ne consacri la vita di ogni giorno,rendendoli luminosi testimoni del tuo amore.
Giovedì Santo
(Messa in Coena Domini)
28 marzo 2013
Idea guida per l’animazione SCONCERTATI DA UN DIO CHE CI LAVA I PIEDI, PRENDIAMO DA LUI
ESEMPIO PER SERVIRE CON AMORE I NOSTRI FRATELLI. Intenzione di preghiera
Signore Gesù, che per amore nostro Ti sei spogliato della Tua gloria divina e Ti sei cinto delle vesti del servo, donaci l’umiltà e il coraggio della bontà perché lavandoci i piedi gli uni con gli altri siamo purificati dall’Amore e osiamo alzare il calice della salvezza, per diventare degni di essere un giorno ammessi all’eterno banchetto nuziale. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per i nostri fratelli albanesi della Diocesi di Sapa. Alla tua scuola, possiamo metterci al servizio gli uni degli altri e testimoniare “il farsi servo” ad un mondo che esalta i forti e rifiuta i deboli e i sofferenti.
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Venerdì Santo
(Passione del Signore)
29 marzo 2013
Idea guida per l’animazione CRISTO TRASFORMA LA CROCE DA STRUMENTO DI MORTE A SIMBOLO
DI UN AMORE SENZA PARAGONI. Intenzione di preghiera
O Signore, anche a noi rivolgi la domanda: “Chi cercate?” ma siamo rimasti senza parole perché Ti vediamo disprezzato e reietto dagli uomini e questa ingiusta sentenza non smette mai di turbarci; aiutaci a comprendere che noi tutti eravamo sperduti come un gregge, e che hai offerto Te stesso in sacrificio di riparazione, addossandoti le nostre iniquità cosicché reso perfetto sei divenuto causa della nostra Salvezza e con la Tua croce hai congiunto la nostra povertà alla Tua grandezza. Per la quaresima di carità
O Signore, ti preghiamo per coloro che abitano in terra d’Albania. Rendici fratelli nella sofferenza, solidali sotto la croce, capaci di riconoscerti fonte dell’amore e ricevere da Te la vita senza fine.
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Indice L’itinerario diocesano annuale 1 La quarta tappa. La fede provata 3
Introduzione 3
a. La mappa del nostro cammino 3 b. L’itinerario della Quaresima di Carità 4 c. Descrizione dei moduli 5
1. Primo modulo. La meta del nostro cammino (Lc 9,28‐36) 7
a. Approfondimento esegetico 7 b. Il filo rosso 10 c. I giovani 11 d. Le coppie 13 e. Carità e testimonianza 14 f. Spunti per attività 15 g. Momento celebrativo : Adorazione Eucaristica 16
2. Secondo modulo. La direzione giusta (Lc 13,1‐9) 20
a. Approfondimento esegetico 20 b. Il filo rosso 22 c. I giovani 24 d. Le coppie 25 e. Carità e testimonianza 26 f. Spunti per attività 27 g. Momento celebrativo : Via Crucis 30
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3. Terzo modulo.
Dio si com‐muove, si muove con noi (Lc 15,1‐3.11‐32) 32 a. Approfondimento esegetico 33 b. Il filo rosso 35 c. I giovani 37 d. Le coppie 38 e. Carità e testimonianza 39 f. Spunti per attività 41 g. Momento celebrativo :
Celebrazione Penitenziale per la Quaresima 44
4. Quarto modulo. La possibilità di ricominciare (Gv 8,1‐11) 52
a. Approfondimento esegetico 52 b. Il filo rosso 54 c. I giovani 56 d. Le coppie 57 e. Carità e testimonianza 58 f. Spunti per attività 60 g. Momento celebrativo :
Esame di Coscienza Comunitario 62 Proposta di celebrazione per il Mercoledì delle Ceneri 64 Celebrazione Quaresimale con “Adorazione della Croce” 70 Contributo per l’Animazione Domenicale e Festiva 77
Appunti
Finito di stampare nel mese di Febbraio 2013
UfficioComunicazioniSociali - 339.36.93.135