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Il Nucleare e il vincolo delle scorie di Aldo Brondi e Giancarlo Ventura

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Lo smaltimento di rifiuti radioattivi, l'efficacia delle formazioni argillose come barriere contenitive e studio degli analoghi naturali.

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Page 1: Il Nucleare e il vincolo delle scorie di Aldo Brondi e Giancarlo Ventura

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Articolo pubblicato nel n° 1/2009 di Geologia dell’Ambiente

IL NUCLEARE E IL VINCOLO DELLE SCORIE Aldo Brondi

1, Giancarlo Ventura

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Introduzione L’andamento del mercato degli idrocarburi induce attualmente vari paesi alla revisione dei piani energetici basati fondamentalmente su tali fonti energetiche. Per il nucleare sembra si aprano nuove prospettive. Ipotesi odierne di riavvio del nucleare formulate nel nostro paese sono legittimate, almeno sul piano formale, perché non contraddicono gli esiti del referendum del 1987 che determinò l’adozione di una moratoria alla produzione elettronucleare e non di rinuncia definitiva all’uso di questa fonte d’energia. Un’interpretazione liquidatoria degli esiti del referendum pervase per contro anche le istituzioni pubbliche, la cui inerzia eluse la cogente conclusione consequenziale della chiusura del ciclo produttivo, cioè lo smantellamento degli impianti e la sistemazione definitiva dei rifiuti. Solo in tempi successivi la questione venne ripresa da parte di istituzioni non direttamente deputate al settore. Nella seconda metà degli anni novanta un primo problema fu sollevato dalla Regione Emilia Romagna in relazione alla centrale di Caorso. Nello stesso periodo la Protezione Civile problema intervenne sul tema della sicurezza degli impianti di custodia dei rifiuti nucleari, fatto che pose in evidenza la necessità stringente di dare esito almeno alla sistemazione definitiva dei rifiuti di seconda categoria (Tabella 1) anche se è ben più gravoso il problema dell’esistenza della terza categoria di rifiuti. L’esigenza di una sistemazione appropriata e definitiva di quest’ultima fu affrontata nei primi anni del nuovo secolo dal Ministero dell’Ambiente che, col ricorso all’impegno operativo della SOGIN, addivenne all’indicazione di un sito con caratteristiche geologiche genericamente favorevoli; successive complesse e prolungate azioni di caratterizzazione della situazione locale avrebbero validato o meno la prospettiva di una possibile futura costituzione di un deposito profondo. La candidatura del sito selezionato cadde per la pervicace opposizione delle popolazioni e delle istituzioni politiche locali. Nell’accezione comune i rifiuti radioattivi sono stati, anche in quell’occasione, etichettati con l’inquietante e da tempo invalso termine di “scorie” ed i depositi di “pattumiera nucleare”, epiteto peraltro assegnato a future strutture ad alta tecnologia. La consistenza del problema italiano Il problema italiano della gestione dei rifiuti nucleari risiede nella concomitanza dell’esistenza dei rifiuti stessi e del progressivo venir meno dei saperi a suo tempo maturati per dare soluzione definitiva all’esigenza della loro messa in sicurezza definitiva. Nella tabella sotto riportata sono indicate le tipologie e le prescrizioni per la gestione dei rifiuti radioattivi secondo la norma italiana di riferimento, ancora oggi costituita dalla Guida Tecnica n.26, predisposta dall’ENEA-Disp nel 1985 come strumento necessario per lo sviluppo del programma nucleare allora in sviluppo.

Categoria Caratteristiche dei rifiuti Trattamento Soluzioni di smaltimento

Ia cat.

Rifiuti radioattivi che richiedono tempi dell’ordine di mesi, sino ad un tempo massimo di alcuni anni, per decadere a concentrazioni di radioattività molto bassi indicati per legge, e quelli contenenti radionuclidi a lungo periodo di dimezzamento purché in concentrazioni inferiori a tali valori. Questi rifiuti hanno origine essenzialmente dagli impieghi medici e di ricerca scientifica.

Eventuale conservazione in contenitori che garantiscono l’integrità nel tempo di deposito.

Temporanea conservazione in apposito deposito per un periodo di tempo sufficiente al decadimento radioattivo sino a valori inferiori a quelli indicati per lo smaltimento dei rifiuti convenzionali.

IIa cat.

Rifiuti che richiedono tempi variabili da qualche decina fino ad alcune centinaia di anni per raggiungere concentrazioni di radioattività dell’ordine di alcune centinaia di Bq/g (una decina di nCi/g) nonché quei rifiuti contenenti radionuclidi a vita molto lunga purché in concentrazioni di tale ordine.

Eventuale solidificazione dei rifiuti liquidi e inglobamento dei rifiuti in matrici solide.

Nei fondali oceanici (pratica non più ammessa; n.d.a) o su terraferma, in superficie o a piccole profondità, anche in miniere abbandonate, cavità rocciose naturali, ecc.

IIIa cat.

Rifiuti che non appartengono alle categorie precedenti. A questa categoria appartengono in particolare i rifiuti radioattivi che richiedono tempi dell’ordine di migliaia di anni ed oltre per decadere a concentrazioni di radioattività dell’ordine di alcune centinaia di Bq/g (una decina di nCi/g).

specifici processi di trattamento e condizionamento quali vetrificazione o altri processi sufficientemente provati.

Smaltimento in depositi geologici profondi. (La GT 26 non indica una precisa soluzione di smaltimento; n.d.a.)

Tabella 1 - Classificazione, caratteristiche e soluzioni di sistemazione dei rifiuti radioattivi secondo la normativa italiana (Guida Tecnica n. 26 dell’ENEA-Disp;1985).

1 Già responsabile del progetto ENEA “Smaltimento Geologico dei Rifiuti Radioattivi”.

2 SOGIN S.p.A.

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Le dimensioni quantitative e di carico radiologico dei rifiuti radioattivi italiani derivanti dalle pregresse attività nucleari sono di seguito riportate insieme a quelle dei rifiuti che continuano ad essere annualmente prodotti per le applicazioni non energetiche:

• Quantità dei rifiuti: - circa 55.000 m

3 di rifiuti radioattivi a bassa e media attività e a corta vita (II categoria);

- 8.500 m3 di rifiuti radioattivi ad alta attività e/o a lunga vita (III categoria);

- 300 t di combustibile nucleare esaurito (III categoria) o prodotti del suo riprocessamento; - 500 t/anno rifiuti radioattivi ospedalieri, industriali e di ricerca.

• Carico radiologico: - 2

a Categoria: 28000 Ci (1,04E+06 Bq) in rifiuti condizionati;

- 3a Categoria: 195000 Ci (7,22E+06 Bq)in rifiuti condizionati (media attività), circa 50 MCi (1,85E+09 Bq) Combustibile irraggiato e142 MCi (5,25E+09 Bq) di Rifiuti vetrificati.

Come evidenziato dalla figura 1 i diversi tempi di decadimento radioattivo impongono soluzioni differenziate d’isolamento. Rifiuti di bassa attività e vita breve possono essere isolati in strutture ingegneristiche superficiali che restano tuttavia in contiguità con la biosfera e con gli ambiti territoriali di presenza antropica. Depositi sub-superficiali possono assicurare l’isolamento per mezzo delle barriere naturali, limitando ruolo ed onere delle barriere artificiali. I rifiuti ad alta attività e vita lunga richiedono inevitabilmente l’isolamento totale dalla biosfera per lunghi tempi di decadimento (ordine di 100’000 anni). L’isolamento dalla biosfera è garantito dalla ubicazione in profondità dei depositi all’interno di formazioni geologiche impermeabili e in contesti di favorevoli processi geodinamici.

Figura 1 – Tipologia di depositi per l’isolamento dei rifiuti radioattivi di diversa categoria.

Effetti dilatori delle conflittualità tecnico-scientifica e sociale Le iniziative pubbliche sopra citate non sono state sufficienti per mantenere il livello delle competenze tecnico-scientifiche nel settore nucleare adeguato per affrontare con rapidità ed efficacia le operazioni di smantellamento degli impianti nucleari esistenti; in più ormai sempre più rari custodi dell’esperienza della progettazione e della gestione degli impianti nucleari non possono garantire un processo di avvio rapido di un nuovo programma di produzione energetica elettronucleare imperniato sulle capacità produttive ed organizzative del nostro Paese.

Per quanto riguarda i problemi legati alla realizzazione di depositi definitivi per i rifiuti radioattivi, è bene evidenziare che tali strutture sono in genere collocate in centri tecnologici che costituiscono per il territorio che li ospita un fattore di attrazione tecno-turistica a vasto raggio oltre che di ricerca, innovazione tecnologica e divulgazione scientifica. Valga per tutti l’esempio del deposito di La Aube, in Francia (Figura 2), realizzato peraltro nell’area di produzione dello champagne, dove è risultato evidente il fattore di promozione territoriale, e non di depressione. Si tratta in questo caso di un deposito superficiale di rifiuti di seconda categoria. Un deposito geologico di rifiuti della terza categoria rivestirà un ben maggiore interesse per la intrinseca maggiore complessità conoscitiva e tecnologica.

Figura 2 - Vista dall’alto del deposito superficiale di L’Aube (Francia)

DEPOSITO GEOLOGICO (alta attività)

PR

OF

ON

DIT

A’ D

A 2

00 A

1000 M

DEPOSITO SUPERFICIALE (bassa attivita’)

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Una delle argomentazioni strumentalmente invocate contro l’utilizzo dell’energia nucleare riguarda la finora mancata realizzazione, interpretata come inesistenza di soluzioni, di depositi definitivi dei rifiuti di terza categoria. Si tenga però presente che i paesi che hanno maggiormente utilizzato il nucleare quali Stati Uniti, Francia, Finlandia, Canada e Germania stanno avviando la realizzazione di depositi geologici per rifiuti ad alta attività e vita lunga e lo fanno senza ritardi eccessivi. Rifiuti di questo tipo, tipicamente i combustibili esauriti, devono infatti essere necessariamente custoditi, una volta estratti dai reattori, per un tempo che ne permetta, a fini di manipolabilità, un sufficiente livello di decadimento termico e radioattivo. Si considerano in genere a questo fine sei decenni, giusto quelli che sono passati dall’entrata in funzione dei primissimi reattori. L’opposizione delle popolazioni ad ipotesi di ubicazione di depositi nel loro territorio è del tutto ingiustificata sul piano tecnico, ma del tutto comprensibile sul piano emotivo data la grave mancanza di vera informazione sull’argomento. Molto di più pesa però la deliberata disinformazione, inconsapevole o strumentale, ad opera di disinvolti divulgatori, sedicenti scienziati o cinici politici, in cerca di visibilità o di affermazione, magari elettorale. La conseguenza è che il problema, la cui soluzione potrebbe essere agevole in un clima di sano senso di responsabilità collettiva che travalichi appartenenze e schieramenti, è inevitabilmente destinato a permanere e a generare contenziosi. Appellarsi a futuribili tecniche di trasmutazione degli elementi radioattivi in altri stabili per risolvere il problema generale dei rifiuti è atteggiamento dilatorio, se non addirittura diversivo in quanto il processo potrà essere tutt’al più applicabile, in un futuro non prossimo, ai soli materiali nucleari più critici quali testate nucleari e combustibili. Pertanto, anche nel caso di una rapida applicazione a scala industriale, la trasmutazione non potrà mai affrancare dalla necessità di realizzare impianti di deposito definitivo dei rifiuti radioattivi né di seconda né di terza categoria. Alcuni raccomandano l’applicazione cogente del concetto di reversibilità dei depositi. La speranza dichiarata, ammesso che non si tratti di un alibi dilatorio, il rinvio di soluzioni già oggi possibili è quella di poter sottoporre i rifiuti a futuribili processi di trattamento per ridurne la pericolosità a mezzo di tecnologie ancora non esistenti. Si tratta di una linea assecondata o fortemente contrastata. La Francia prevede la reversibilità per un arco temporale di 300 anni. L’aggravio tecnologico ed economico è enorme; si delinea in più un improprio carico gestionale per le generazioni future e non viene assolutamente chiarito in attesa di che cosa o di quale migliore soluzione, rispetto allo smaltimento geologico così come attualmente concepito, sia stata intrapresa questa via. Tale scelta è probabilmente frutto di compromesso per poter superare ogni atteggiamento ed opinione d’ostacolo alla realizzazione del deposito. La Germania ha, al contrario, scelto la via opposta anche perché le tecnologie più avanzate accampate da chi propende per la reversibilità hanno appena raggiunto lo stadio di qualche successo sperimentale e la prospettiva di una maturazione in ambito tecnologico applicativo è quanto mai incerta se non addirittura opinabile La soluzione possibile dell’isolamento geologico Consenso internazionale sullo smaltimento geologico La sistemazione definitiva dei rifiuti è studiata da almeno quaranta anni in campo internazionale. La IAEA (International Atomic Energy Agency) dell’ONU con sede a Vienna, ha stabilito i principi tecnici ed etici cui deve conformarsi una gestione dei rifiuti radioattivi che sia accettabile. Uno dei principi etici fondamentali stabilisce che nessun carico gestionale e sanitario gravi sulle generazioni future che non abbiano fruito della disponibilità dell’energia nucleare. Lo smaltimento geologico permetterebbe fin da ora di rendere operativo questo principio. La Comunità Europea, oggi Unione Europea, conduce da oltre trenta anni ricerche circa l’affidabilità dello smaltimento geologico. In tale ambito la Comunità ha redatto, alla fine degli anni settanta, un “Catalogo Europeo” delle formazioni geologiche idonee allo smaltimento geologico, sale, granito e argilla, presenti nei territori degli allora Stati Membri. L’Italia, assieme al Belgio, fu impegnata con l’ENEA nello studio delle potenzialità delle formazioni argillose, Germania ed Olanda furono impegnate per il sale, Francia e Gran Bretagna per i graniti. Finalmente, nella seconda metà degli anni ottanta furono raggiunte, e formalmente accettate in Europa, conclusioni positive circa l’affidabilità delle barriere geologiche nell’assicurare l’isolamento dei rifiuti per i lunghi tempi necessari al decadimento della radioattività. Conclusioni fatte proprie anche dalle agenzie internazionali IAEA e NEA (Nuclear Energy Agency) dell’OCSE. Da allora, l’affinamento delle ricerche non ha fatto altro che confermare quelle conclusioni ed oggi alcuni stati, prime Francia e Germania, si apprestano a realizzazioni di grande rilevanza tecnica e finanziaria. La costruzione di un deposito profondo è attualmente avviata in Finlandia. Vincoli e potenzialità per lo smaltimento geologico In concreto, al di là dei clamori delle contestazioni, lo smaltimento geologico dei rifiuti di terza categoria si prospetta come soluzione affidabile e matura per la sistemazione definitiva, su vasta scala, dei rifiuti

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radioattivi. Si tratta della sistemazione dei rifiuti in parti profonde di formazioni geologiche, capaci di isolarli a lungo termine dalla biosfera. Le aree idonee sono quelle nelle quali la situazione geodinamica, ovvero di evoluzione della crosta terrestre, è favorevole al mantenimento della condizione di isolamento ora citato. Quanto alle opinioni contrastanti circa l’affidabilità di questa forma di smaltimento dei rifiuti occorre discriminare fra chi sa perché ha fatto e chi sa per sentito dire e magari ha interesse a non far affermare le soluzioni più semplici ed efficaci e contrastare, attraverso l’”ipoteca delle scorie”, lo sviluppo del nuovo nucleare e lo smantellamento del vecchio. La sicurezza dei depositi dei rifiuti di terza categoria è generalmente concepita come conseguibile con l’applicazione del “concetto multibarriera”, basato sulla realizzazione di un sistema complementare di barriere artificiali e naturali. Queste ultime sono rappresentate dalle formazioni geologiche. In pratica, per questa tipologia di depositi, la funzione delle barriere ingegneristiche è indispensabile solo nella fase di gestione dei rifiuti fino alla chiusura del deposito, per archi temporali, quindi, alla scala dei decenni. Il loro scopo è fondamentalmente quello di garantire la sicurezza radiologica degli operatori e dell’ambiente. Le barriere naturali intervengono, nel lungo termine, per garantire l’isolamento oltre il tempo di degradazione delle barriere ingegneristiche. L’opinione corrente affida alle barriere artificiali il ruolo di contenimento per il periodo di maggiore pericolosità dei rifiuti, cioè quello iniziale, temporalmente esteso ben oltre il momento della sigillatura del deposito. Ma si tratta anche del momento nel quale più certo è il convincimento della capacità di tenuta delle formazioni geologiche in termini di “attualità”. Se così non fosse il sito esaminato dovrebbe essere a maggior ragione scartato per la prospettiva di un inadeguato ruolo di svolgimento di barriera da parte delle formazioni geologiche locali. A deposito sigillato non resta che fare affidamento sulla barriera geologica, certamente efficiente per tempi geologici in contrapposizione a quelli storici delle barriere artificiali. Gli esercizi e le modellazioni sulle capacità d’isolamento delle barriere naturali devono rispondere efficacemente alla valutazione delle condizioni di massima potenzialità di mobilità dei radionuclidi, cioè in soluzione liquida. Come risultato dei tanti studi sugli “analoghi” più avanti riportati, le barriere naturali hanno estesamente dimostrato di possedere la capacità di immobilizzare i radionuclidi dei rifiuti anche se presenti in questa condizione. Come ultima considerazione l’ubicazione di un deposito di rifiuti radioattivi deve essere ineludibilmente, nel lungo termine, “a perdita di memoria”. Dimostrazione delle capacità di barriera delle formazioni argillose Le argille sono risultate, dal complesso delle ricerche effettuate nel mondo, la formazione barriera principe. Le rocce argillose sono infatti dotate di una permeabilità estremamente bassa e possiedono una elevatissima capacità di cattura delle sostanze disciolte nelle acque sotterranee, incluse quelle radioattive.La loro capacità di cattura del radiocesio è praticamente totale. I loro caratteri chimico-fisici sono capaci di dar luogo a fasi stabili, non solubili e non veicolabili per via idrica, di uranio, plutonio, elementi transuranici e svariati altri radioelementi. In pratica le formazioni geologiche argillose costituiscono una barriera di contrasto, molto efficace, sia del flusso idrico che della mobilità chimica delle sostanze, costituendo, con questa capacità, i due pilastri fondamentali per la sicurezza dei depositi di rifiuti radioattivi a vita lunga. Le argille potrebbero al limite essere utilizzate come unico contenitore, geologico, diretto dei rifiuti rendendo ridondante qualsiasi altra “barriera” realizzata nel condizionamento e immagazzinamento dei manufatti radioattivi. Allo stesso modo, la formazione argillosa, può realizzare una barriera protettiva isolante di altri corpi geologici eventualmente utilizzati per il contenimento dei rifiuti, ad esempio sale e granito. L’Italia dispone di grandissimi volumi in profondità e in superficie di formazioni argillose e di un buon numero di ottime situazioni di formazioni saline protette da argille. Di recente era stato selezionato, come già accennato, un sito “promettente” per la realizzazione di un deposito definitivo, nel quale un’associazione sale-argilla, a profondità adeguata ed in una condizione geodinamica favorevole, giustificava indagini di approfondimento per definirne una candidatura come sito nazionale. La mancanza di consenso socio-politico locale e l’opposizione aprioristica e strumentale hanno determinato un “caso” il cui accadimento ha impedito la prosecuzione di un itinerario tecnico-scientifico corretto e in linea con le prassi internazionalmente consolidate per la scelta dei siti da verificare. La dimostrazione della sicurezza di lungo periodo dei depositi ha comportato anche una grande quantità di studi basati su sperimentazione diretta in ambienti geologici di superficie o nei laboratori in profondità. Si è tentata l’estrapolazione dei dati sperimentali verso il futuro, anche per centinaia di migliaia o addirittura milioni d’anni, mediante modelli fisico-matematici. I modelli non possono costituire però una solida base d’appoggio per dimostrare le conseguenze dell’evoluzione sulle condizioni di sicurezza del deposito. I modelli riguardano infatti i dati analitici di volumi rocciosi e di tempi sperimentali comunque fuori scala rispetto a quelli in gioco nel caso dello smaltimento geologico. La modellistica, come ampiamente dimostrato nelle applicazioni nel settore, introduce molti elementi soggettivi che, nelle scale temporali d’applicazione, portano a rendere inattendibili i risultati.

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Gli Analoghi Naturali nella dimostrazione della capacità di barriera delle argille Ma come si può dimostrare che le formazioni geologiche di un sito siano adeguate per garantire nei secoli e nei millenni l’isolamento della radioattività ? L’enorme quantità di studi condotti nel mondo ha portato a riconoscere gli “analoghi naturali” come fattore dimostrativo della capacità di isolamento geologico a lungo termine. Gli analoghi naturali sono quelle testimonianze riconoscibili oggi nell’ambiente naturale e che sono conseguenti allo sviluppo, in tempi passati anche lunghissimi, di processi fisici, chimici e geochimici simili a quelli comportati da una possibile evoluzione futura di un sistema geologico ospitante un deposito di rifiuti radioattivi. Gli analoghi naturali possono rientrare essenzialmente in due categorie. Quelli che riproducono il comportamento nell’ambiente di determinati radionuclidi, specialmente di quelli non esistenti in natura. Quelli che riproducono i processi di possibile destabilizzazione della capacità d’isolamento che possono avvenire a carico della formazione geologica ospite. Il vantaggio del metodo analogico consiste nel fatto che è possibile validare il concetto di smaltimento geologico utilizzando i risultati della “sperimentazione” già svolta dalla natura. Il comportamento di un deposito soggetto nei tempi lunghi a sollecitazioni potenzialmente destabilizzanti è già arguibile con l’osservazione in natura degli effetti di processi che abbiano interessato per tempi lunghissimi volumi rocciosi surclassanti quelli in gioco nel caso dei depositi di rifiuti. Lo sforzo che deve essere fatto è solo quello, decisamente agevole, della lettura di tali processi naturali e dei loro esiti, degli analoghi, cioè. La limitatezza dello spazio consentito da una sede quale la presente, permette solo la citazione di qualcuno degli analoghi naturali più significativi riportati nella immensa letteratura prodotta. La mobilità dei radionuclidi nei sistemi geologici è ben riprodotta nel caso del plutonio e degli altri prodotti della fissione nucleare generati dal reattore naturale di Oklo nel Gabon, divenuto critico due miliardi di anni fa. Si tratta del caso particolarissimo in cui processi naturali hanno concentrato negli interstizi delle rocce, quantità di uranio 235 sufficienti per innescare la reazione nucleare. Il plutonio allora prodotto è stato precocemente imprigionato in alcuni minerali tipici delle argille, le cloriti, di formazione contemporanea a quella della reazione. Ma quel che è più significativo è che l’uranio in soluzione nelle acque che impregnavano le rocce, e prodotto nella reazione, è subito precipitato come sale già in prossimità del reattore per la condizione riducente vigente nelle rocce ospiti. Si tratta di una barriera geochimica che è addirittura alla base della formazione dei giacimenti di uranio e costituente un carattere chimico-fisico generalizzato, per la costante presenza di sostanze organiche, delle formazioni argillose. Relativamente al comportamento geochimico, il plutonio ha nell’uranio un perfetto analogo naturale. Il plutonio eventualmente sfuggito alle barriere artificiali di contenimento in un deposito di rifiuti radioattivi precipiterebbe al primo contatto con la formazione argillosa ospite senza neppur minimamente interessare, e tanto meno attraversare, le centinaia di metri della stessa roccia interposte tra il deposito e l’ambiente superficiale. Lo stesso avviene, per un processo diverso, per un altro dei radionuclidi rilevanti delle scorie radioattive, il radio cesio 137, che viene immediatamente catturato per assorbimento all’interno del reticolo cristallino dei minerali argillosi. A simili processi di annullamento della mobilità vanno soggetti i più importanti radionuclidi dei rifiuti ed i diversi fattori fisici di precipitazione o di cattura sono decisamente vicarianti. Ad esempio l’uranio mobilizzato per ossidazione nelle argille superficiali è risultato contestualmente catturato dai minerali argillosi per la capacità di assorbimento propria degli stessi. Gli Analoghi Naturali studiati in Italia Il contributo italiano allo studio degli analoghi sulle argille effettuati in Europa è stato importantissimo e, a distanza di un ventennio, ne vengono tuttora ripresi i risultati. L’Italia ha nei fatti svolto un ruolo di battistrada nello studio degli analoghi naturali. Tutte le osservazioni hanno dimostrato che le capacità di barriera idrologica e geochimica delle argille rimangono inalterate nella massa della formazione fino a pochi metri dalla superficie del suolo. L’eliminazione delle masse rocciose superficiali causata dall’erosione determina una riduzione del carico litostatico con conseguente decompressione delle masse litoidi sottostanti. La conseguenza è la generazione di sistemi di fratture che, nel caso delle argille, si estendono solo per una decina di metri in profondità. Osservazioni in sotterraneo hanno dimostrato l’inesistenza di acqua libera nelle argille già a solo qualche metro di distanza dalla superficie topografica, proprio in corrispondenza della profondità di estensione verso il basso delle fratture ora citate. L’analogo naturale, che ben testimonia la capacità d’isolamento delle argille, è dato dall’eccezionale stato di conservazione della foresta fossile di Dunarobba, sepolta a pochi metri di profondità, che attesta la capacità di protezione di un piccolo spessore di argille per centinaia di millenni nei riguardi di un materiale, labile come il legno, contro l’estrema aggressività degli agenti esogeni ossidanti.

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Figura 3 - La foresta fossile di Dunarobba. La foresta si sviluppò al margine del vecchio lago tiberino durante il Villafranchiano. L’età è di circa 1.500.000 anni. I tronchi residui, costituiti da legno che appare come fresco, mantengono l’originaria posizione di vita. La foresta, benché prossima alla superficie topografica, è stata preservata per il costante ed assoluto isolamento dalle acque meteoriche, superficiali e di falda assicurato dalle argille. Le argille hanno agito sul doppio piano dell’isolamento idraulico dei tronchi e del mantenimento delle condizioni anaerobiche. La figura mette in evidenza la compenetrazione dell’argilla negli interstizi del tronco qui rappresentato. La conservazione, in condizioni di freschezza, di un materiale deperibile come il legno, indizia l’argilla anche come un possibile materiale di isolamento diretto di manufatti incomparabilmente meno aggredibili come il vetro ed anche i cementi usati per il condizionamento dei rifiuti.

Un analogo naturale che dimostra, a scale esorbitanti di dimensioni, tempo e temperature, ciò che può accadere nel caso dello smaltimento geologico in argille di rifiuti ad alta attività emittenti calore (fig. 4). Si tratta di un

vulcano abortito, il cui magma, percorse le centinaia-migliaia di metri del sottostante basamento roccioso, si è intruso in formazioni argillose che, permettendone l’espansione, ne ha esaurito l’energia e lo ha “incistato”. Fluidi geotermici alla pressione di quaranta-sessanta atmosfere ed alla temperatura di oltre duecento gradi non hanno potuto, nei millenni, attraversare i corpi argillosi e salgono verso la superficie soltanto aggirandoli.

Figura 4 - Dimostrazione della capacità d’isolamento delle argille anche a fronte di sollecitazioni estreme. Schema che illustra in sezione un bacino sedimentario colmato da argille in cui si è intruso magma con temperatura di circa 1000 °C. Le argille ospiti vengono modificate solo per alcuni metri alla periferia del magma intruso. Le argille sono impermeabili anche ai fluidi geotermici che possono raggiungere la superficie solo aggirando il deposito argilloso.

La plasticità delle argille ha sempre garantito l’autosigillazione di fratture e

faglie anche in zone distensive. Piccoli frammenti di argilla, esposti all’aggressione fisica e chimica dell’ambiente superficiale, dimostrano di continuare a possedere i caratteri geochimici che determinano la capacità di fissaggio di uranio e cesio. Le concentrazioni di uranio e torio riscontrate nelle argille sono le stesse di quelle acquisite nell’originario ambiente di deposizione sul fondo marino. La persistenza delle concentrazioni indicate, all’interno di tali rocce andate sottoposte nel tempo a numerosi processi di litificazione, sollevamento, fagliazione ed erosione ne attesta la capacità di mantenimento dei caratteri fisico-chimici e mineralogici originali, che garantiscono l’immobilizzazione permanente degli elementi acquisiti. In definitiva, un deposito di rifiuti contenuto in argilla fruisce della protezione efficace della roccia ospite fino a che questa non sia ridotta ad un sottile strato di copertura. Tale condizione può verificarsi, per un deposito, solo in casi di sollevamento regionale con susseguente erosione ed avvicinamento alla superficie topografica. In questo caso negativo, la sicurezza del deposito dipende dalla velocità del sollevamento regionale in rapporto alla durata del decadimento dei rifiuti. Infatti niente succede se nel tempo intercorso i

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rifiuti sono decaduti. Nel caso di stabilità geodinamica niente altera le condizioni di sicurezza accertate nella fase di caratterizzazione. In caso di subsidenza, cioè di abbassamento regionale, la condizione di sicurezza del deposito viene aumentata. Conclusioni

Quale tema fondamentale, per una prospettiva di accettazione sociale del rilancio di attività nel settore nucleare, inclusa la costituzione prioritaria dei depositi di rifiuti radioattivi, emerge la necessità di una appropriata informazione del pubblico. Esiste un principio internazionalmente ancora solido che ogni paese debba risolvere i propri problemi di smaltimento dei rifiuti nucleari all’interno dei propri confini. Al momento non si profilano condizioni di facile superamento delle pregiudiziali avverse al rilancio del nucleare in Italia motivate da una pretesa inesistenza di forme praticabili di smaltimento. In conclusione, lo smaltimento geologico rappresenta una via certa per la messa in sicurezza dei rifiuti a lungo tempo di decadimento. Buonissime possibilità tecniche esistono, per la realizzazione di depositi di smaltimento geologico, anche nel nostro paese. L’informazione qualificata emerge come una condizione ineludibile per condurre la dialettica su questo tema nell’alveo della correttezza. I portatori di disinformazione, per ignoranza, per deliberata strumentalizzazione o per deformazione ideologica potranno essere identificati e da tutti riconosciuti come tali. Ai politici spetta l’espressione della volontà e la capacità di trovare modi e mezzi per rendere le iniziative attinenti lo smaltimento dei rifiuti radioattivi socialmente percorribili.