«La storia del mondo è fatta di tante storie». Mondo classico e tradizione ebraica nella...

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Nel 1911 vedeva la luce il primo volume delle Storie della storia delmondo di Laura Orvieto:1 le storie Greche e barbare.2 Grazie a quellibro, ancora oggi ristampato, il nome dell’autrice sarebbe giunto fino ainostri giorni. Il testo affrontava peripezie e protagonisti della guerra diTroia, coinvolgendo il giovane pubblico con una esposizione semplice eimmediata, che favoriva l’identificazione del lettore con i due bambinidella cornice narrativa, sempre impazienti di ascoltare il seguito del rac-conto dalla voce della madre.

Il successo della scrittrice fu più che notevole, tanto che la sua famasuperò ben presto quella del marito Angiolo, poeta, giornalista e fon-datore del periodico culturale fiorentino «Il Marzocco». Le Storie (…)

CATERINA DEL VIVO

«La storia del mondo è fatta di tante storie»Mondo classico e tradizione ebraica

nella narrativa di Laura Orvieto

1 Su Laura Cantoni Orvieto, nata a Milano nel 1876 e scomparsa a Firenze nel 1953,ricordiamo il volume monografico di C. POESIO, Laura Orvieto, Firenze, Le Monnier 1971. Perla biografia della scrittrice si veda Fondo Orvieto. Serie I, Corrispondenza generale, lettere A-B, inventario a cura di C. Del Vivo, Firenze, Polistampa 1994, pp. 24-29, nonché L. ORVIETO,Storia di Angiolo e Laura, a cura di C. Del Vivo, premessa di G. Luti, Firenze, Olschki 2001(Quaderni della Fondazione Carlo Marchi, 11), e le pagine introduttive a: EAD., Viaggio mera-viglioso di Gianni nel paese delle parole, a cura di C. Del Vivo, premessa di G. Luti, Firenze,Olschki 2007 (Quaderni della Fondazione Carlo Marchi, 32). Una puntuale scheda biografica diLaura Orvieto compare anche nel Dizionario biografico delle donne lombarde 568-1968,Milano, Baldini & Castoldi 1995, pp. 259-260. Si veda inoltre C. GORI, Educare, a che cosa?,in Crisalidi. Emancipazioniste liberali in età giolittiana, Milano, Franco Angeli 2003, pp. 117-140 e, in particolare per la collaborazione di Laura a «Il Marzocco», EAD, Laura Orvieto: un’in-tellettuale del Novecento, «Genesis», Rivista della Società italiana delle storiche, III, 2, 2004,pp. 183-203. Sugli scritti di Laura rimasti inediti cfr. infine C. DEL VIVO, Altre ‘Storie delmondo’: gli inediti di ispirazione ebraica nell’archivio di Laura Orvieto, in Una mente colorata.Studi in onore di Attilio Mauro Caproni, promossi, raccolti, ordinati da P. Innocenti, curati daC. Cavallaro, Roma, Vecchierelli 2007, pp. 555-574.

2 L. ORVIETO, Storie della storia del mondo. Greche e barbare, Firenze, R. Bemporad efiglio editori 1911. Altri due volumi dedicati alla storia di Roma sarebbero seguiti a distanza dimolti anni: Storie della storia del mondo. Il natale di Roma, Firenze, R. Bemporad e figlio 1928,e Storie della storia del mondo. La forza di Roma, Firenze, R. Bemporad 1933.

Greche e barbare furono tradotte in numerose lingue: oltre che ininglese e francese, anche in spagnolo, olandese, cecoslovacco ed ebraico.Proprio le carte dell’archivio di Laura Orvieto,3 accanto a quelle dellacasa editrice Bemporad, offrono testimonianza della diffusione del-l’opera attraverso le documentazioni dei diritti d’autore inviate dal-l’editore per molti anni.4

Al volume ne seguirono altri, ispirati ancora al mondo romano edalla mitologia, sotto il comune titolo di collana: un percorso editorialeche, in una visione retrospettiva, sembra dunque identificare le Storiedella storia del mondo con la narrazione della tradizione classica occi-dentale, con un’unica eccezione costituita dal volume Beppe racconta laguerra.5

Viceversa, secondo il progetto originario della scrittrice, dichiaratonell’ultimo capitolo del primo volume per l’infanzia, Leo e Lia,6 le Sto-rie si ponevano l’obiettivo di trasmettere e illustrare ai più giovani tra-dizioni e vicende dell’umanità in senso più vario e più ampio, com-prendendo anche riferimenti e temi assai prossimi al mondo culturale

6 Caterina Del Vivo

3 Il Fondo Orvieto è conservato presso l’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux,donato da Adriana Guasconi Orvieto (nuora di Angiolo) nel 1978. Comprende oltre 30.000 let-tere indirizzate a «Il Marzocco» ed alla famiglia Orvieto, oltre a decine di scatole di carte pri-vate e di lavoro di Angiolo, Adolfo e Laura. Vi si trovano inoltre, come archivio aggregato, lecarte dello zio degli Orvieto, lo scrittore mantovano Alberto Cantoni (1841-1904), fratello dellamadre Amalia. Sulla raccolta documentaria cfr. M. ASSIRELLI – C. DEL VIVO, La donazioneOrvieto all’ Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, in «Il Marzocco». Carteggi e cro-nache fra Ottocento e Avanguardie. Atti del Seminario di Studi, a cura di C. Del Vivo, Firenze,Olschki 1985, pp. 369-378, nonché L’Archivio Orvieto, in Fondo Orvieto. Serie I, Corrispon-denza generale…, cit., pp. 35-40.

4 Per i documenti nell’archivio dell’editore Bemporad, raccolti presso la casa editriceGiunti, cfr. C. I. SALVIATI, «Sor Enrico». Ritratto di un grande editore, in Paggi e Bemporadeditori per la scuola. Libri per leggere, scrivere e far di conto, a cura di C. I. Salviati, Firenze,Giunti 2007, pp. 59-61.

5 Dal frontespizio si evince infatti che anche Beppe racconta la guerra, (Firenze, R. Bem-porad e figlio editori, 1925) faceva parte della collana Storie del mondo. Non si tratta di unaeccezione, ma anzi della conferma della varietà di argomenti che la collana doveva raccoglieresecondo le intenzioni originarie. Il volume narra alcune vicende della Prima guerra mondiale dalpunto di vista dell’autista di una facoltosa famiglia francese (l’ispirazione guardò senz’altro aiparenti Errera di Bruxelles, legati agli Oppenheim: cfr M. ERRERA BURLA, Une histoire juive,les Errera: parcours d’une assimilation, Bruxelles, Éditions Racine 2000). Destinato ad un pub-blico di adolescenti, Beppe racconta la guerra legò la sua fortuna al successo negli ambientisociali che appoggiavano l’ascesa del fascismo.

6 MRS. EL [L. ORVIETO], Leo e Lia. Storia di due bimbi italiani con una governanteinglese, Firenze, R. Bemporad e figlio 1909. Cfr. più oltre, nota 42.

ebraico. Le osservazioni censorie mosse ad alcune delle sue pagine e latiepida accoglienza editoriale alle sue proposte condussero la scrittricead allontanarsi dalle sue intenzioni ed a privilegiare il filone della storiadella Grecia e di Roma.

1. Il caso di Leo e Lia.

Nel 1929, a vent’anni esatti dalla pubblicazione, veniva decisa dal-l’editore Enrico Bemporad una nuova edizione di Leo e Lia. Storia didue bimbi italiani con una governante inglese, ispirata alle piccoleavventure e disavventure domestiche dei figli della scrittrice. Nella cor-rispondenza fra Laura Orvieto e l’editore Bemporad non si rivelano digrande interesse soltanto le testimonianze relative alla diffusione delleStorie della storia del mondo e degli altri volumi della scrittrice. Alcunelettere, che toccano specifici ed in apparenza marginali episodi, assu-mono un particolare significato nel contesto che intendiamo affrontare,tanto per i risvolti biografici che per quelli storico-letterari. Documen-tano infatti alcune difficoltà relative alla stampa, o ristampa, di certitesti: per cominciare, e inaspettatamente, proprio di Leo e Lia.

In una lettera dell’editore alla scrittrice si comunicano le caratteri-stiche del nuovo volume. Si specifica che la seconda edizione avrebbemantenuto una veste grafica simile alla precedente, pur cambiando l’il-lustratore, Marina Battigelli7 in sostituzione di Ugo Finozzi, il cui trattosofisticato e tagliente fu allora, forse, considerato meno idoneo perun’opera destinata all’infanzia. Quanto al testo, si domandava all’au-trice di fare una modifica: di sopprimere cioè «per ragioni di variogenere»8 un capitoletto del libro, intitolato Il re è ebreo?, relativo alladomanda posta da uno dei bimbi protagonisti alla madre; il capitolettoera anche illustrato, in apertura, con il disegno di due menorah, i tra-dizionali candelabri ebraici. Attenzione alle date: la lettera è del 12febbraio 1929, giorno successivo al Concordato fra Stato e Chiesa.

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7 Proposta da Laura Orvieto; inizialmente la scrittrice aveva fatto anche il nome di PieroBernardini (cfr. Archivio Storico Giunti, Firenze, Fondo Bemporad, Corrispondenza conautori, lettere di Laura Orvieto del gennaio-luglio 1928).

8 Lettera di «R. Bemporad & figlio editori» a L. Orvieto, Firenze 12 febbraio 1929, ACGV,Fondo Orvieto 5. 1. 9, edita integralmente in C. DEL VIVO, Il re è ebreo?, Asterischi, «Bollettinodell’Amicizia ebraico-cristiana», 3-4, 2003, p. 62.

Laura non è affatto d’accordo con quanto proposto. Negli archiviBemporad – Giunti si conserva, recentemente venuta alla luce, la rispo-sta della scrittrice del 21 febbraio, a conferma di una posizione netta chegià era possibile intuire dalla corrispondenza conservata nel FondoOrvieto. Scriveva dunque Laura:

Ella mi chiede di sopprimere in Leo e Lia il capitoletto intitolatoIl re è ebreo?. Ora penso che in omaggio ai signori dell’Indice ho sop-presso due capitoletti, ed era giusto perché quei capitoletti potevanooffendere qualche coscienza, ma nessun Indice ha trovato a ridire sulcapitoletto Il re è ebreo?. Non vedo dunque perché lo dovrei soppri-mere di mia (o di sua) iniziativa. Non le pare?9

La replica dell’editore, immediata, era firmata personalmente dal«Sor Enrico» Bemporad,10 in data 22 febbraio:

Mi permetto dunque di insistere circa il desiderio che Le hoespresso, convinto che il libro non perderà niente dei suoi pregi con lasoppressione del capitolo suddetto.

La richiesta fatta, si puntualizzava, era dettata da ragioni «sempli-cemente di natura commerciale». Con il nuovo indirizzo scolastico «infatto di religione», proseguiva Bemporad:

se Lei ci lascia quel capitolo, nessuna bibliotechina delle scuole ele-mentari in tutto il Regno acquisterà il Suo volumetto. Non per altraragione che questa. Quel capitolo rende noto a tutti che i protagonistisono israeliti, il che può fare piacere naturalmente ai protagonisti…ma non è commerciale.11

8 Caterina Del Vivo

9 Archivio Storico Giunti, Firenze, Fondo Bemporad, Corrispondenza con autori, LauraOrvieto a Enrico Bemporad, Firenze 21 febbraio 1929, ora parzialmente edita in C. I. SALVIATI,op. cit., p. 44.

10 Enrico Bemporad (1868-1944) fu un personaggio rilevante nel mondo editoriale toscanoper capacità e intraprendenza. Apparteneva alla Comunità ebraica fiorentina, ma aveva ancheaderito al fascismo ed era Vicepresidente della sezione locale dell’Istituto di cultura fascista: cfr.C. I. SALVIATI, op. cit., pp. 59-60 e A. MINERBI, La comunità ebraica di Firenze, in Razza efascismo: la persecuzione degli ebrei in Toscana (1938-1943), a cura di E. Collotti, Roma –Firenze, Carocci 1999, pp. 115-222, in particolare p. 120.

11 ACGV, Fondo Orvieto, 5. 1. 9, poi in C. DEL VIVO, Il re è ebreo?, cit., pp. 62-63.

La lettera di Laura del 21 febbraio comunica tuttavia anche altrenotizie, come si è visto: in particolare l’accenno ad una richiesta del-l’Indice cattolico che, si afferma, non aveva interferito sul capitoloIl re è ebreo?, ma aveva suggerito altre modifiche rispetto all’edi-zione del 1909. La pagina è esplicita: i capitoletti erano stati tolti «inomaggio ai signori dell’Indice», obiezione accolta da Laura, che siera rassegnata alla soppressione per non «offendere qualchecoscienza». Ci sembra opportuno ricordare che era proprio allora inpreparazione la nuova edizione dell’Indice dei libri proibiti, che saràpubblicato pochi mesi dopo.12

Era stato forse lo stesso Bemporad a pensare di sottoporre, permaggior tranquillità, Leo e Lia al parere dell’autorità vaticana?13 Nel-l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede non com-paiono tuttavia documentazioni inerenti a procedimenti relativi alvolume di Laura Orvieto, né nel 1909, né nel 1929: vi furono contatti pri-vati o inviti verbali? Si può pensare anche ad una sorta di dichiarazionepreventiva, precauzionale, di Enrico Bemporad in vista della ristampa.La casa editrice aveva tutto l’interesse di mantenere buoni rapporti conil fascismo (e dunque, soprattutto in quel momento, con la Chiesa cat-tolica), in obbedienza agli indirizzi di governo in materia scolastica.14 Èopportuno ricordare infatti che Bemporad aveva avuto una particolareespansione nel settore dello scolastico fino all’immediato dopoguerra, mada alcuni anni attraversava un momento di recessione,15 aggravato pro-

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12 Indice dei libri proibiti riveduto e pubblicato per ordine di Sua Santità Pio Papa X1,Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta 1929 (la precedente pubblicazione di un Indice era statol’ Indice leonino, che risaliva all’anno 1900). In calce alla prefazione (p. XXX) è annotato chel’edizione comprende tutti i libri proibiti «a tutto il mese di ottobre 1929».

13 Come si sa, secondo la norma cattolica, i libri inclusi nell’Indice non potevano essere lettio posseduti da cattolici, né stampati da tipografi cattolici o venduti da librai cattolici, pena lascomunica. La denuncia a Roma, in seguito alla quale prendeva avvio l’esame preliminare perdeterminare se l’opera doveva essere oggetto di un procedimento, poteva avvenire per diversevie, differenti fra loro. I divieti dei libri venivano pubblicati, ma non le assoluzioni, gli aggior-namenti ecc., che rimanevano segreti (cfr. H. WOLF, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proi-biti, Roma, Donzelli editore 2006, in particolare pp. 40–53). Soltanto recentemente sono statiresi accessibili gli incartamenti relativi, fino a tutto il pontificato di Pio XI. Si ringrazia Mons.Alejandro Cifres, Direttore dell’Archivio, per le cortese informazioni inerenti la ricerca.

14 Cfr. G. PEDULLÀ, Gli anni del fascismo: imprenditoria privata e intervento statale, inStoria del’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze, Giunti 1997, in par-ticolare pp. 346-352: la politica del governo era in effetti «particolarmente condizionante nel-l’area strategica del mercato scolastico» (ivi, p. 346).

prio in all’inizio dell’anno dalla legge che introduceva il testo scolasticounico per la scuola elementare, promulgata il 7 gennaio 1929. L’intentodi Bemporad divenne quindi quello di riconvertire il piano editorialeverso la narrativa per l’infanzia e l’adolescenza,16 e al tempo stesso dicurare la stampa e la distribuzione dei ‘libri di Stato’ nella zona asse-gnata dal governo a ciascuno dei maggiori editori:17 negli anni successiviavrebbe così goduto di ingenti facilitazioni statali per la concessioni dimutui bancari.18 Era una situazione che tuttavia restringeva progressi-vamente ogni autonomia decisionale della casa editrice.

Di fatto, nella ristampa del 1929 di Leo e Lia di Laura Orvieto,risultano effettivamente assenti due capitoli della prima edizione. Laquestione non riguardava, come per Il re è ebreo?, accenni testuali adelementi inerenti la religione ebraica; i motivi della richiesta sono tut-tavia intuibili se leggiamo le pagine censurate alla luce del particolaremomento della ristampa. Intitolati rispettivamente Come si nasce ecome si muore e Paradiso e inferno,19 i due capitoli affrontano il temadella nascita e della morte con l’abituale garbo e affabilità narrativa estilistica della Orvieto, ma anche con lucidità di pensiero e di esposi-zione, in termini che possiamo definire aconfessionali, nei quali oggipotremmo forse leggere una qualche forma di sincretismo. Terminiinnovatori per la formazione infantile del tempo, pienamente nove-centeschi, comunque apprezzabili per gli intenti educativi di ‘rassere-namento’ della mente del bambino a cui conducono le spiegazionimaterne. Da un lato, nel primo brano, e soprattutto nella parte con-clusiva, si propongono immagini di trasformazione successiva alla morteche, sia pure in tono favolistico, sembrano alludere a ipotesi di rein-carnazione, rinviando ad una sorta di panteismo di ispirazione orien-tale. Una sensibilità che ricorda gli orizzonti filosofico-religiosi coltivati

10 Caterina Del Vivo

15 In particolare sulla vicenda di Enrico Bemporad cfr. C. BETTI, L’editoria scolastica diBemporad, in Paggi e Bemporad editori per la scuola, cit., pp. 101-147, soprattutto pp. 124-134: l’editore, dopo la riforma Gentile che aveva messo in difficoltà l’intero sistema editorialescolastico, puntava soprattutto all’istruzione elementare.

16 Ivi, p. 138.17 Ibid.18 Cfr. G. PEDULLÀ, op. cit., e G. FABRE, L’Elenco. Censura fascista, editoria e autori

ebrei, Torino, Silvio Zamorani editore 1998, pp. 11-13: poté anche usufruire, negli anni Trenta,di un ingente sostegno IRI.

19 Qui riproposti in appendice, unitamente al capitolo Il re è ebreo?.

da Angiolo Orvieto negli anni successivi al ‘giro del mondo’ del 1898-1899,20 poi confluiti nel 1902 nelle poesie della raccolta Versol’Oriente,21 a conferma dello stretto legame di pensiero della coppia.Dall’altro, nel capitolo successivo, Laura propone l’identificazione del-l’Inferno con una condizione dello spirito, mentre assume l’immaginedel demonio come figura simbolica del male esistente nel mondo, solle-vando problematiche che né la Chiesa cattolica né il governo italianopotevano accettare di diffondere come letture scolastiche per l’infanzianel febbraio del 1929.

Torniamo infine all’altro capitolo di Leo e Lia, all’origine delloscambio epistolare sopra citato fra la scrittrice e il suo editore: la pro-testa di Laura fu accolta, e quel capitolo rimase: ci si limitò più sempli-cemente a cambiare il titolo da Il re è ebreo a Il Re e Leo. Fu introdottaanche l’iniziale maiuscola, prima assente, ogni volta che «il re» venivacitato nel testo: ma non sappiamo se si sia trattato di varianti propostedall’autrice, o più probabilmente dalla redazione editoriale.

I due episodi parlano chiaro: gli scritti di Laura Orvieto, anche inseguito ai suoi successi, erano osservati con attenzione dalla casa edi-trice già alla fine degli anni ’20. Da un lato, per verificarne il rispettodottrinale nei confronti del cattolicesimo; dall’altro, per scoraggiaretroppo espliciti riferimenti all’ebraismo dei protagonisti e dell’autrice,o comunque alla tradizione ebraica. La vicenda fa emergere qualcheinterrogativo più ampio nei confronti dell’opera di Laura Orvieto,domande che soltanto negli ultimi anni, grazie al riemergere di do-cumenti e testi letterari rimasti inediti, siamo in grado di affrontare. Si

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20 Angiolo intraprese il lungo viaggio partendo da Liverpool il 31 agosto 1898 e rientrando inItalia nella primavera successiva. Visitò la costa orientale ed occidentale degli Stati Uniti, il Giap-pone, l’India, il Medio Oriente. Particolarmente toccato dalla cultura indiana, buddista ed orien-tale in genere, compose numerosi versi, poi rivisti e pubblicati al ritorno in patria: cfr. M. ASSI-RELLI - C. DEL VIVO, Gli Orvieto: dalle prime riviste alla prima guerra mondiale, in «Il Mar-zocco». Carteggi e cronache fra Ottocento e Avanguardie (1887-1913), Atti del Seminario diStudi, cit., pp. 19-20, nonché il Catalogo della mostra omonima, «Il Marzocco». Carteggi e cro-nache fra Ottocento e Avanguardie (1887-1913), a cura di C. Del Vivo e M. Assirelli, Firenze, tip.Mori 1983, pp. 67-71. Sui contatti di Angiolo con lo spirito religioso orientale cfr. oggi G. OLIVERO,I fratelli Orvieto, Gozzano e l’India, «Levia Gravia», IX, 2007, pp. 277-288; sull’esperienzapoetica di Angiolo in quel periodo ed il rapporto con la cultura ebraica si veda anche C. DEL VIVO,L’approdo alle scritture: ispirazione e tradizione ebraica nella poesia di Angiolo Orvieto, «La Ras-segna della Letteratura italiana», s. IX, n. 2, luglio – dicembre 2002, pp. 482-498.

21 A. ORVIETO, Verso l’Oriente: poesie, Milano, Treves 1902.

tratta di questioni trattate raramente, e soltanto in anni recenti,22

anche per la maggior parte degli altri scrittori italiani di origine ebraicache operavano negli ultimi lustri dell’Ottocento e nei primi del Nove-cento. Per la Orvieto le domande possono essere così formulate: Lauraaveva ipotizzato, concepito, abbozzato, o addirittura steso altre Storie,per la collana delle Storie della storia del mondo, accanto alla vicendadella Grecia e di Roma? E ancora: quale ruolo hanno avuto nei suoiscritti l’origine e la cultura ebraica, in particolare negli scritti perragazzi?

Oggi non è difficile rispondere. Oltre a vari abbozzi di testi incom-piuti, attualmente in corso di studio, erano rimaste infatti ineditevivente l’autrice, e sono state pubblicate solo recentemente, due operepraticamente concluse: la Storia di Angiolo e Laura e il Viaggio mera-viglioso di Gianni nel paese delle parole. La loro stesura è collocabileproprio nel decennio successivo alla ristampa di Leo e Lia, cioè intornoal 1930 per il Viaggio meraviglioso di Gianni, e fra il 1936 e il 1939 perla Storia di Angiolo e Laura. Tanto la Storia di Angiolo e Laura quantoil Viaggio meraviglioso di Gianni non avevano al loro centro specifichetematiche o vicende di ambito ebraico, tuttavia rinviavano più o menoesplicitamente all’ebraismo dell’autrice e dei protagonisti o alla cul-tura ebraica, che ne costituisce uno dei momenti ispiratori.23

12 Caterina Del Vivo

22 Sono stati studiati soprattutto casi specifici, relativi ad esempio alla cerchia dei colla-boratori alla rivista fiorentina «Solaria», particolarmente aperta a dimensioni europee edextraeuropee della letteratura. In termini generali si veda H. S. HUGHES, Prigionieri della spe-ranza. Alla ricerca dell’identità ebraica nella letteratura italiana contemporanea, Bologna,Il Mulino 1983 (ed. originale: Prisoners of Hope, Harvard University Press, 1983), dove siaffrontano gli autori citati, ricordando inoltre Svevo e Saba. Cfr. anche E. PELLEGRINI, Ebrai-smo ed europeismo nella Toscana degli anni Trenta, «Il Ponte», a. XXXVIII, n. 10, 31 ottobre1982, pp. 1017-1051, che mette a fuoco l’interesse del gruppo solariano per l’«inquietudine stra-niera» che incarnavano gli scrittori di origine ebraica. Per gli aspetti autobiografici cfr.A. CAVAGLION, L’autobiografia ebraica in Italia fra Otto e Novecento. Memoria di sé e memo-ria della famiglia: osservazioni preliminari, «Zakhor. Rivista di Storia degli Ebrei d’Italia»,1999, n. 3, pp. 171-177. Da ricordare inoltre gli studi specifici di Alberto Iori sull’opera del giàricordato zio di Angiolo Orvieto e prozio di Laura, Alberto Cantoni: A. IORI, Identità ebraicae sionismo nello scrittore Alberto Cantoni (1841-1904), con il testo di «Israele italiano», pre-fazione di C. Gallico e postfazione di W. Bergmann, Firenze, Giuntina 2004.

23 Un accenno alle difficoltà editoriali incontrate da Laura negli anni ’30 è anche in C. POE-SIO, op. cit., p. 33, quando si dà notizia della proposta da parte di una casa editrice «di stendereuna Storia d’Italia per bambini», proposta che Laura accetta con entusiasmo, ma alla quale poinon si dedicherà, ritenendo che l’opera non avrebbe visto mai la luce.

2. L’autobiografia inedita.

La Storia di Angiolo e Laura si pone per il lettore odierno sotto unduplice aspetto. Nello svolgersi della vicenda, come una sorta di micro-saga epica, incentrata non sulla mitologia classica o sull’epopea diRoma, ma su un percorso familiare; destinato più al mondo adulto chea quello infantile, si rivolgeva forse con particolare attenzione ai giovanidi origine ebraica. Ma rappresenta anche una insostituibile fonte bio-grafica e interpretativa dell’opera di Laura, quale unico testo in cui lascrittrice parli dichiaratamente di sé e della sua famiglia. Una analisidella Storia non può trascurare né l’aspetto ‘di genere’ dell’opera, né ilruolo della tradizione ebraica, tanto nella formazione dell’autrice,24

quanto nella sua espressione letteraria. Parlando di tradizione ebraica,si dovrà considerare anche la consapevolezza della scrittrice del proprioebraismo; un elemento spesso trascurato perché l’opera della Orvietonon sembrava offrire testimonianze significative in proposito. A corol-lario dei due aspetti, infine, non potremo sottovalutare il profondorapporto affettivo che unisce Laura al marito, un legame che non sol-tanto ha condotto a reciproche influenze sul piano culturale, ma anchea dichiarate collaborazioni letterarie, oppure a sodalizi più difficil-mente definibili nel momento della composizione narrativa o poetica.25

L’autobiografia si apre in tono novellistico, attinge alla tradizionenarrativa toscana, rielabora le caratteristiche stilistiche delle operepiù dichiaratamente dirette all’infanzia. Dai ritratti dello zio AlbertoCantoni, dei nonni o dei parenti fiorentini, si passa ai medaglioni diAngiolo e Adolfo bambini o dei cugini Treves. Ma con lo scorrere dellepagine, con il passar dei mesi, con i primi, striscianti provvedimenti

«La storia del mondo è fatta di tante storie» 13

24 La formazione di Laura si svolse privatamente, come per la maggior parte delle giovaninegli ultimi decenni dell’Ottocento; la sua cultura letteraria fu in buona parte autodidatta, alfianco dell’istitutrice Lily Marshall: cfr. L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, cit., pp. 67, 75.

25 Si tratta di un elemento sul quale avremo occasione di ritornare più avanti: Angiolo sipose in certo modo come ‘maestro’ riconosciuto al tempo dei primi approcci di Laura allascrittura, soprattutto per quanto concerneva la collaborazione di lei a «Il Marzocco» (per cuicfr. L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura cit., pp. 92-95, ma anche C. GORI, Laura Orvieto:un’intellettuale del Novecento, cit., qui in particolare pp. 190-191). In anni più tardi, in piùoccasioni, le carte testimoniano invece, più che una influenza univoca, una sorta di collabora-zione fra Laura ed Angiolo.

razziali culminati con le leggi del 1938, crescono in Laura delusione,sconforto, amarezza verso il proprio paese, quell’Italia da sempre con-siderata come unica patria. Così nei capitoli finali dell’autobiografia, difronte al montare dell’intolleranza e dell’ostilità dichiarata e irragio-nevole, la scrittrice grida con forza, in termini particolarmente dram-matici, il senso di appartenenza al mondo ed alla tradizione dei propriantenati, la consapevolezza della propria identità ebraica. Epopeadomestica nella quale la scrittrice propone le avventure quotidiane deiCantoni e degli Orvieto, storia minore che non dimentica le origini cul-turali dei protagonisti, in una sorte di controcanto, su diversa tonalità,alle vicende epiche del mondo classico, la Storia di Angiolo e Laura eraun testo improponibile per qualsiasi editore, nel 1939. Restò difattinel cassetto. Dopo la guerra e le persecuzioni, la scrittrice non ebbel’animo, probabilmente, di riprendere in mano, rifinire, far pubblicarequelle pagine, troppo cariche di amari ricordi. Mancarono forse ancheincoraggiamenti, negli anni di un dopoguerra che sembrava chiedere atutti l’oblio pudico del proprio passato individuale come condizionenecessaria per poter continuare a vivere.

La Storia di Angiolo e Laura costituisce tuttavia anche la testimo-nianza più puntuale del percorso che condusse Laura a farsi scrittriceper l’infanzia. Negli anni dell’adolescenza la passione per la letturaera stata coltivata con accanimento, come occasione di libertà neimomenti difficili. Fin dall’adolescenza:

leggeva furiosamente versi italiani e inglesi, e qualunque libro le capi-tasse sotto mano; studiava poeti e prosatori, e soprattutto studiava emeditava la Divina Commedia, alla quale rimase fedele per tutta lavita; era senza saperlo una romantica, e più che romantica una appas-sionata di altezze. […] era per quei tempi, così senza parere, unaribelle.26

Accanto all’amore per i libri, e probabilmente dietro la suggestionee l’incitamento di alcune di quelle stesse letture, Laura coltivava ildesiderio di operare nel mondo, di essere utile agli altri:

14 Caterina Del Vivo

26 L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, cit., p. 61.

Voleva studiare, voleva far qualcosa nel mondo, non volevalasciare di sé quel cotal vestigio, «qual fummo in aere ed in acqua laspuma», di cui le aveva parlato il suo Dante. Voleva essere utile, farqualcosa; che cosa, non sapeva. Per esempio andare a Londra e rige-nerare i quartieri poveri: essere per gli slums di Londra un Angeloliberatore magari vestito di bianco se non con le ali. Leggeva Dickense questa idea le era venuta probabilmente da quella lettura.27

Non voleva che il tempo passasse per lei come acqua fra le dita(e allora perché lasciarle leggere Ruskin il quale le aveva detto che iltempo della giovinezza è il più bello, e «lavorate finché aveteluce»?).28

Ambizioni e sogni che sarebbero rimasti in buona parte allo statodi progetti. I tempi – siamo negli anni ’90 dell’Ottocento – richiede-vano alle donne un’intraprendenza, una volontà di rottura assai mag-giori di quella ‘ribellione’ dal tono assai domestico di cui si parlanelle pagine autobiografiche. Tuttavia alcune iniziative, alcuni contattivi erano stati. Operava da tempo in quegli anni a Milano, dove eranata e viveva Laura, la pedagogista e scrittrice per l’infanzia RosaErrera,29 che rappresenterà per lei una delle prime figure femminili diriferimento.30 Nell’impossibilità di rivolgersi direttamente ai bambinidei doposcuola, Laura si troverà a riflettere sulla propria intrinsecacapacità di trasmettere storie, di raccontarle agli altri. Alla fine deglianni Trenta rievocava nelle pagine autobiografiche i successi allorariscossi in famiglia:

Stare coi bambini era la sua passione; e loro le volevano bene per-ché lei raccontava tante storie lunghe lunghe lunghe lunghe che nonfinivano mai e li incantavano: storie che deliziavano anche lei quandole inventava lì per lì: e credeva di inventare intrecci e fantasie nuove

«La storia del mondo è fatta di tante storie» 15

27 Ivi, pp. 61-62.28 Ivi, p. 62.29 Rosa Errera (Venezia 1864 - Milano 1946) aveva frequentato a Firenze l’Istituto supe-

riore di magistero, sotto la guida di Enrico Nencioni; fu quindi insegnante di lettere nellescuole medie, a Firenze e successivamente a Milano. Avrebbe pubblicato opere didattiche epedagogiche, e numerose antologie e libri di lettura.

30 Cfr. Storia di Angiolo e Laura, cit., p. 63.

mentre probabilmente erano messe insieme con gli elementi di quelleinnumerevoli leggende e storie di fate e maghi che lei tanto amava, chevecchie donne le avevano quando era bambina raccontato, e cheancora volentieri leggeva.31

Accanto alla capacità naturale di riunire i più piccoli attorno a sé,di incuriosirli catturando la loro attenzione con la propria abilità affa-bulatoria, comincia a farsi strada un elemento nuovo, che porterà a col-legare le due passioni giovanili, il piacere di leggere e raccontar storie e,in contemporanea, il desiderio di istaurare un contatto positivo conl’infanzia. Anche in una lettera degli anni Venti, indirizzata a LuigiTonelli, Laura ricorda quei momenti:

Ecco, ho sempre, da quando mi posso ricordare, raccontato sto-rie di bambini; […] le storie sono state le gioie della mia infanzia, edevo forse a quella gioia il piacere che ho sempre provato poi nelraccontare io storie ai bambini, illudendomi che provassero quello cheavevo provato io. 32

Questa disposizione alla ‘trasmissione narrativa’ tuttavia, pur con-servando un innegabile valore socio-educativo, si sarebbe espressasoltanto nell’ambito della comunicazione orale se Laura, sposandoAngiolo, non fosse entrata in contatto con il mondo culturale fiorentinoe soprattutto con il mondo de «Il Marzocco». L’idea che Laura volevasviluppare, quel suo desiderio di rendersi utile, quella sorta di attivi-smo sociale, avevano trovato un ostacolo nell’atteggiamento della fami-glia di origine; il matrimonio con Angiolo Orvieto e la possibilità dilasciare la casa paterna rappresenteranno per lei, come per moltealtre giovani, la sognata possibilità di emancipazione. Anche a Firenze,tuttavia, non era facile conciliare le antiche aspirazioni con la quoti-dianità della vita coniugale e della cura dei figli: il compromesso riso-lutore, prodigo di frutti per il futuro, sarà offerto sotto la forma di unacollaborazione redazionale alle rubriche del «Marzocco». A differenza

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31 Ivi, p. 62.32 Lettera di Laura Orvieto a Luigi Tonelli, s. d. ma posteriore almeno al 1920, ACGV,

F.Or. 5.2.1, citata in C. GORI, Crisalidi, Milano, Franco Angeli 2003, p. 117.

di altre scrittrici – come Amelia Rosselli,33 l’amica di sempre34 – Laurasi mostra inizialmente, nelle descrizioni che ha lasciato di sé, incerta,esitante nel dedicarsi allo scrivere. Un timore di inadeguatezza? Scri-vere, per Laura giovinetta, non era un rifugio quando si annoiava o sisentiva scontenta o triste; non lo era stato come lo erano state altrecose, soprattutto il leggere:

studiava pittura, e per passione leggeva poeti e scrittori appena nonfosse richiesta di fare qualcos’altro: questo qualcos’altro lo sbrigava alpiù presto e tornava ai suoi poeti prediletti e agli scrittori che amava.35

La parola scritta come mezzo di comunicazione e di espressione,come artigianato e come arte, nasce dunque grazie ai contatti con la rivi-sta fiorentina. Si sviluppa con quella sorta di gavetta che Angiolo laincoraggia a intraprendere, un ottimo apprendistato tecnico per ilfuturo stile semplice, conciso e diretto, che Laura adotterà nei libridestinati all’infanzia:

[Angiolo] Incoraggiò Laura a scrivere: la promosse, anzi, a mar-ginalista del «Marzocco». I marginali del Marzocco erano brevi rias-sunti di articoli pubblicati su riviste straniere o locali o ignorate, chefossero meritevoli di segnalazione, e venivano stampati nella terza oquarta pagina, dopo gli articoli originali. Sotto la penna di Angiolo unmarginale si componeva rapidamente, senza quasi una cancellatura.Cominciò, Angiolo, a permettere a Laura di tentare i più facili. [… ]Era un lavoro che li univa, e metteva un nuovo legame fra i due,fatto di comprensione e di simpatia da parte di Angiolo, e di ricono-scenza viva da parte di Laura […].36

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33 Amalia Pincherle Rosselli (1870-1954), detta Amelia, madre di Carlo e Nello Rosselli,nonché di Aldo, scomparso nella prima guerra mondiale. Laura dedicherà varie pagine alla loroamicizia: cfr. Storia di Angiolo e Laura, cit., pp. 108-110.

34 Che dichiarò più volte di sentir vivo dentro di sé, fino dalla prima giovinezza, il deside-rio di esprimersi attraverso la scrittura: cfr. soprattutto l’Introduzione di M. Calloni a A.ROSSELLI, Memorie, a cura di M. Calloni, Bologna, Il Mulino 2001.

35 L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, cit., p. 63.36 Ivi, p. 93. La collaborazione di Laura al periodico si svilupperà, nel corso di pochi anni,

anche con contributi e articoli più complessi. Ma si vedano anche, già nel 1905, gli interventi col-legati ai libri per ragazzi o agli studi dei giovanetti.

3. La saga d’ispirazione classica.

Con il volume Leo e Lia siamo già al secondo lustro del Novecento; idue figli degli Orvieto, Leonfrancesco e Annalia, hanno raggiunto l’etàdelle favole. Così, come il ‘tirocinio di scrittura’ sperimentato presso il«Marzocco» indirizza Laura dalla comunicazione orale verso la formascritta, l’esperienza diretta della narrazione, invenzione e rielabora-zione di fiabe e racconti ai propri figli condurrà alla composizione dellamaggior parte dei libri della scrittrice. Nelle sue pagine saranno proiet-tate tanto l’esperienza del narrare ‘storie’ in famiglia – gli episodi dome-stici che costituiscono lo sfondo e la cornice del racconto – quanto levicende legate alla tradizione popolare e letteraria. Talvolta il primo ele-mento, l’aspetto domestico e autobiografico, è predominante: Leo e Lia37

ne è l’esempio più evidente. In altri casi le vicende tratte dalla tradizioneculturale, dalla storia, dalla letteratura prevalgono: le Storie della Sto-ria del mondo,38 ma anche Principesse bambini e bestie,39 sono due testi-monianze di questa diversa scelta narrativa.

Laura si rivolge direttamente ai bambini che avrebbero letto, o forseascoltato dalla viva voce di un familiare le sue storie. Lo si evince anchedall’adozione di uno stile narrativo particolare, diverso da quello usatosul periodico, che possiamo paragonare alle varie, modulate tonalità divoce che le madri assumono con i figli, tanto piccolissimi che più gran-dicelli: timbri quasi ‘infantili’, di norma non usati nelle relazioni inter-personali. Uno stile che sarà tipico di tutti i libri destinati ai ragazzi maanche, in termini meno definiti, dei primi capitoli dell’autobiografiapostuma.

Scrivere per l’infanzia, per i ragazzi, costituisce per le donne dell’i-nizio del Novecento una delle espressioni più significative della nuovaidentità che, anche come scrittrici, stanno con fatica conquistando. Sidefiniscono ambiti e territori nei quali operare, spesso ad iniziare daquanto è più vicino al mondo femminile e si conosce meglio, in cui si è piùsicuri di riuscire e dove forse attendono minori critiche. È un modo per

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37 MRS. EL [L. ORVIETO], Leo e Lia…, cit.38 Consideriamo qui tanto le Storie della storia del mondo. Greche e barbare (1911),

quanto i successivi Il Natale di Roma e La forza di Roma (rispettivamente 1928 e 1933).39 L. ORVIETO, Principesse, bambini e bestie, Firenze, R. Bemporad e figlio 1914.

acquistare progressivamente sicurezza e fiducia nelle proprie possibilità:comunicare con i più giovani rientra a pieno titolo in questo ambito‘tradizionalmente’ femminile. Al tempo stesso il rapporto con l’infanziae l’adolescenza difficilmente esclude la funzione didattica: anche perLaura il fine educativo ed etico si rivelerà inscindibile dalla narrazione,accompagnandosi spesso a quella fiducia nell’avvenire e nel progressoumano che è indispensabile comunicare alle future generazioni. Basticitare pochi esempi, tratti dalla Storia delle storie del mondo. Greche ebarbare o dallo stesso Viaggio meraviglioso di Gianni per averne pienaconferma:

«Che cosa importa esser forti e sapienti? [affermò Era] Quello cheimporta è comandare a molti uomini, possedere molti paesi, esserestraordinariamente ricchi». «A me pare che Era non abbia detto unacosa vera», osservò Leo. «Anche a me» disse la mamma. «Anche ame», ripeté la Lia. 40

«Non si deve vendicarsi» osservò Leo. «Noi non si deve vendicarsiperché noi sappiamo che vendicarsi è una cosa molto brutta. Ma alloragli uomini non lo sapevano. Allora gli uomini erano peggiori di noi».41

Gianni capì un’altra cosa, più importante di tutte le proposizioniappositive e di tutte le proposizioni attributive del mondo messeinsieme. Capì cioè, che quando arriviamo a godere dei successi deglialtri invece di invidiarli – e la cosa non è sempre così facile comesembra – allora tutta la nostra vita diventa più luminosa e più felice.42

Nel momento formativo si inserisce anche il ruolo di genere. Lauranon dimentica il problema di una educazione al femminile, da intendersiqui non in termini rivoluzionari, ma nemmeno tradizionali: si trattadella maniera più idonea per rendere anche una giovane donna consa-pevole e fiduciosa delle proprie possibilità.43 È un elemento che possiamo

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40 L. ORVIETO, Storia delle storie del mondo. Greche e barbare, cit., p. 26.41 Ivi, p. 5142 Cfr. Viaggio meraviglioso di Gianni…, cit., p. 128.43 Si veda soprattutto A. BUTTAFUOCO, Cronache femminili. Temi e movimenti della stampa

emancipazioniosta dall’Unità al fascismo, Siena 1988, e EAD., L’educazione delle donne. Scuolee modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento, Milano, Franco Angeli 1988.

rintracciare già in Leo e Lia. Le piccole vicende narrate, spesso diver-tenti, contengono sempre una loro morale, talvolta decisamente inno-vativa per quel momento storico: si pensi all’introduzione dell’idea diun’educazione ‘paritetica’ per maschi e femmine, quando si narra delpremio promesso a Leo per la ‘sparecchiatura della tavola’, o dell’ac-quisto di tenaglie e martello per Lia, dono scelto dal fratello ma ‘con-diviso’ dalla famiglia.44

Le Storie (…) Greche e barbare rappresentano nell’attività narra-tiva di Laura il passo successivo, più ambizioso e strutturato. Costitui-scono infatti il primo tomo di quella serie di «storie del mondo» di cuil’ultima pagina di Leo e Lia, come abbiamo anticipato, preannunciavala varietà storica e culturale. Alla richiesta del piccolo Leo di raccon-targli la storia del mondo, la mamma aveva risposto:

La storia del mondo è fatta di tante storie, e sono tutte belle. Manon te le posso raccontare ora: sei troppo piccino. Te le dirò quandosarai più grande: quando avrai almeno sei anni.45

Nelle Storie (…) Greche e barbare la vicenda, pur dilatata nellospazio e nel tempo, resta inserita nella realtà domestica, assunta comecornice e futuro elemento di collegamento fra tutti i volumi della collana.È all’interno dell’ambiente quotidiano del bambino, un mondo che se nefa custode e salvaguardia verso l’esterno, che si affacciano gli eventisospesi fra il mito e la Storia, trasmessi verbalmente dalla madre ai figli.Parola scritta e comunicazione orale si fondono, con l’uso del classicoespediente della narrazione nella narrazione: forse proprio per questo ilvolume riesce a interessare ancora oggi i giovanissimi lettori, per i qualiè pressoché immediato identificarsi con i due ‘ascoltatori’ interni e cat-turarne l’attenzione, vincendo in comunicazione su altre e più recentiopere sull’argomento. Difatti le pagine della Orvieto risultano ancora piùgradite ai bambini se vengono lette a voce alta da un adulto: quando dun-que, come già accennato, sono raccontate nel rispetto dell’originale ispi-razione dell’autrice. La lettura ad alta voce porta allora verso l’identi-

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44 MRS. EL [L. ORVIETO], Leo e Lia, cit., pp. 89-90. Per l’esame particolare di questi ele-menti cfr. C. GORI, Crisalidi, cit., p. 117 sgg.

45 L. ORVIETO, Leo e Lia, cit. (ed. 1909), p. 160.

ficazione non solo degli ascoltatori, ma anche dell’io narrante interno – lamamma – con il suo omologo – narratore dei giorni di oggi.

Le opere che proseguivano idealmente il tema delle Storie (…) Gre-che e barbare, cioè Il natale di Roma del 1928, e La forza di Roma del1933, si imposero facilmente sulla scia della fortuna di pubblico dellaprima raccolta: aderivano infatti a temi più che ben accetti nel climapolitico editoriale del momento, che incoraggiava percorsi didatticilegati all’intero arco della storia romana. Furono infatti subito benaccolti da Bemporad: sul margine di un biglietto della scrittrice del1932, che comunicava di essere «di nuovo46 tornata alla Storia romana,e precisamente alla fine della repubblica», il Sor Enrico annotava a lapis«Giulio Cesare ci vorrebbe!».47 Eppure Laura, anche nel testo del 1933dedicato all’Impero, dall’argomento così in linea con gli obiettivi deinuovi programmi di educazione, volle lasciare una sorta di rinvio alleproprie origini, un autoritratto in icona, nascosto fra la folla rappre-sentata, alla maniera delle antiche pitture. Fra i figuranti de La forza diRoma, indicati in apertura come «persone inventate» (e contrapposti daLaura ai «personaggi storici del libro»), fu inserito un «Mordecai,medico ebreo», uno schiavo medico che, sia pure in un ruolo marginaleed in sordina, entra in scena già nel primo capitolo: «Era questi un gio-vane piccolo e bruno, di colorito olivastro, colle labbra grosse, la barbanerissima, gli occhi scuri penetranti e scintillanti».48 Una presenza noncasuale, alla luce della sensibilità della scrittrice in quel periodo.

Mentre anche in l’Italia il Governo si appresta ad emanare le leggirazziali, Laura portava a termine un nuovo volume di storie, ispiratoancora al mondo classico ed in particolare alla mitologia. Ma la situa-zione già precipitava per Bemporad, ormai allontanato dalla presidenzadella casa editrice.49 Edite nel 1937 per Mondadori, divenuto in pochianni l’editore italiano di maggior successo, le Storie di bambini moltoantichi non furono di fatto distribuite, rimanendo pressoché scono-sciute. L’epopea degli dei, raccontati nella loro infanzia, veniva affron-

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46 Per il senso dell’affermazione si veda qui di seguito il paragrafo n.4.47 Archivio Storico Giunti, Firenze, Fondo Bemporad, Corrispondenza con autori, Laura

Orvieto a Enrico Bemporad Firenze, 20 giugno 1932.48 L. ORVIETO, Storie della storia del mondo. La forza di Roma, cit., p. 3.49 C. BETTI, op. cit., p. 146: gli successero Giovanni Gentile, nel 1935, quindi Ugo Ojetti.

tata con taglio ironico e ‘irriverente’: gli dèi bambini, protagonisti dellacostruzione mitologica, sono rappresentati con tutti i difetti e i capriccidei bambini umani e si pongono come un divertente esempio da nonseguire per i giovani lettori, che possono rendersi conto di quanto certicomportamenti siano insopportabili, anche se a esserne autori sono deipiccoli numi. Il volume, che costituiva una sorta di antefatto della nar-razione dell’epopea della Grecia e di Roma, raggiungeva così un livellomolto vicino al primo volume delle Storie della storia del mondo, per lafelicità narrativa e la freschezza dei contenuti, nonché per il contri-buto delle delicate ma incisive illustrazioni di Piero Bernardini.

4. Nel mondo delle parole.

La fantasia di Laura tuttavia aveva concepito per il mondo infantileanche altre vicende, di diversa ambientazione: come il Viaggio meravi-glioso di Gianni nel paese delle parole,50 rimasto inedito nell’archivioOrvieto. Il dattiloscritto era stato proposto all’editore nel marzo 1930:51

Bemporad chiese all’autrice una compartecipazione del 50% alle spese,se non coperte dalle vendite dopo un anno. Mancano ulteriori testimo-nianze scritte: ma la proposta fu lasciata cadere, e il testo dunque nonfu giudicato sufficientemente accattivante per il giovane pubblico.

Nel Viaggio meraviglioso di Gianni elementi ispirati dalle letturedella favolistica nordeuropea, prediletti da Laura fin dalla prima giovi-nezza, vengono ad unirsi con lo spirito visionario e fiabesco della tradi-zione narrativa ebraica. Ne scaturisce la creazione di un mondo di esse-rini fantastici,52 talvolta antropomorfi, sempre fortemente simbolici, chesi pongono come ‘rappresentazioni’ del pensiero in senso stretto.53 L’o-

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50 L. ORVIETO, Viaggio meraviglioso di Gianni nel paese delle parole, a cura di C. Del Vivo,premessa di G. Luti, Firenze, Olschki 2007. Per le caratteristiche del testo si veda in particolarela Nota a p. XXIII-XXV.

51 Minuta di E. Bemporad a L. Orvieto, 20 marzo 1930, Archivio Storico Giunti, Firenze,Fondo Bemporad, Corrispondenza con autori.

52 Laura si serve talvolta anche di piccoli schizzi estemporanei che illustrano il dattiloscritto,che in alcuni casi sembrano alludere anche alla microscrittura ornamentale ebraica (cfr. glischizzi nel testo originale in ACGV, F. Or. 5. 8. 3, per altro ora riprodotti nell’edizione Olschki).

53 Viene immediato il rinvio a scritti coevi di altri autori ebrei: ad Arturo Loria ed al tagliofantastico del suo bestiario in poesia, ad esempio.

pera, che Laura intendeva annoverare anch’essa fra le Storie del mondo,come testimonia il titolo di collana sul frontespizio autografo, non rac-conta un mito ma l’esperienza personale di un giovinetto verso unaforma di conoscenza peculiare dell’essere umano: la rappresentazionedella realtà circostante attraverso il linguaggio. Il Viaggio meravigliosodi Gianni porta il sottotitolo autografo di fantasia grammaticale: è dun-que un testo in cui, guardando alla tradizione ebraica, la comunica-zione della regola sceglie la via della narrazione, la messa in pratica delprecetto vuole essere resa più semplice dai modi di trasmissione, il rac-conto si pone come una sorta di percorso iniziatico al servizio dellaconoscenza, e mentre crea immagini suggerisce e prescrive. È la paroladunque la vera protagonista del libro, la cui funzione poietica viene viavia rivelandosi. La parola che nella cultura ebraica non designa sol-tanto la realtà, ma la delinea, ponendosi come tramite fra il pensiero e ilmondo. La parola che entra a far parte dell’oggetto stesso e ne significail ruolo, che assume un valore non soltanto intellettuale, ma morale.54

Scorriamo il Viaggio: il paese visitato da Gianni è abitato da stranecreature, così come – guardando alla letteratura – quello di Alice nel-l’opera di Lewis Carrol. Anche la guida di Gianni nel mondo delle paroleè un personaggio particolare, per quanto forse più saggio del conigliobianco: verbo Essere. Anche Gianni arriverà nel suo paese dormendo,per vivere un sogno che spalanca porte e scenari sconosciuti e si fa viainiziatica, e dal quale si sveglierà soltanto alla fine della storia. Tuttavianel Viaggio meraviglioso di Laura Orvieto il sonno e l’approdo oniricoacquistano un significato di più evidente portata educativa. Il sonno èbuio, è silenzio: per raggiungere la conoscenza data dalla ‘parola’ sirende necessario il passaggio attraverso il silenzio; il silenzio allora, diper sé negativo, si fa condizione positiva determinando l’emergere dellacapacità di espressione. Il sonno sale a livello di coscienza, si esprimeattraverso immagini; nel racconto di Laura, destinato ai giovanetti, l’a-spetto, che altrove potrebbe essere definito ‘misterico’, assume una con-

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54 Come ha scritto Sergio Quinzio, citando Benjamin, «l’atto della creazione ha inizio conl’onnipotenza creatrice della lingua, e alla fine la lingua s’incorpora, per così dire, l’oggettocreato, lo nomina. Essa è quindi ciò che crea e ciò che compie, è il verbo e il nome… Mediantela parola l’uomo è unito con la lingua delle cose» (S. QUINZIO, Radici ebraiche del Moderno,Milano, Adelphi 1990, p. 161: dove si rinvia anche allo scritto di W. Benjamin, Sulla lingua ingenerale e sulla lingua dell’uomo).

notazione favolistica e magica, che si manifesta anche con gli strumentitecnologici che il Novecento mette a disposizione. Per rappresentare gliaspetti incantati della vicenda, perché non utilizzare quanto di megliooffre una delle straordinarie innovazioni di quegli anni, il cinema?

Si fece a un tratto buio nella stanza. Chi aveva spento la luce? poinel buio apparve un rettangolo biancheggiante, proprio come unoschermo di cinematografo. Gianni era tutt’occhi.55

Così, con l’espediente dello schermo, si avvia una fiaba che vedràinizialmente il protagonista nella veste di spettatore. Poche pagine: benpresto si interrompe ogni cesura, e i personaggi di celluloide potrannoprima dialogare, poi direttamente interagire con Gianni. Rinominato‘Uno che pensa’ dai suoi nuovi amici, Gianni potrà incamminarsi senzaulteriori espedienti narrativi nella sua piccola vicenda dantesca eseguirà il maestro ‘Verbo Essere’, sua guida nell’avventura, parteci-pando a tutti gli eventi di quel mondo invisibile e parallelo, il mondo dellinguaggio. Un mondo

nel quale tutto era fatto di parole, e bastava esprimere un desiderionella forma giusta perché la cosa desiderata si potesse subito avere.56

Paesaggi e personaggi fantastici, immagini accompagnate da musi-che, da fruscii, da una sorta di ‘effetti speciali’ (parole fatte d’acqua,piante che si sviluppano sotto gli occhi del protagonista …) che richia-mano tanto alle letture dei classici per l’infanzia prediletti da Laura,quanto a memorie dell’esperienza futurista: la stessa scrittrice non si eradefinita, nella Storia di Angiolo e Laura: «un poco futurista anzi tempoe ribelle…»?57

Al di là dell’illustrazione favolistica delle straordinarie proprietàdelle ‘parti del discorso’, Laura rivela nella storia di Gianni tutta la suaattenzione per il mondo del logos, la parola intesa come realtà, parte vivadell’esistenza umana. Qui l’Orvieto si differenzia ancor più dal gruppodelle altre scrittrici per l’infanzia del suo tempo, facendo proprio un

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55 Cfr. L. ORVIETO, Viaggio meraviglioso di Gianni, cit., p. 11.56 Ivi, p. 99.57 L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, cit., p. 78.

tema così particolare ed al tempo stesso così aderente alla propria cul-tura d’origine. Anche per questo, considerati gli stretti legami affettivi,emotivi, professionali, intercorsi fra Laura e Angiolo Orvieto in tutta laloro esistenza, l’idea del Viaggio meraviglioso di Gianni del paese delleparole, forse anche una sua prima stesura, può collocarsi intorno al1920. Non soltanto perché nella vicenda Gianni viene considerato comeun ipotetico terzo figlio, venuto al mondo a distanza di sette anni dal pri-mogenito Leonfrancesco, nato nel 1900; ma anche perché in quel periodoAngiolo, colpito dalle prime grosse delusioni politiche e civili, si dedica inmodo continuativo allo studio del linguaggio e delle lingue, dell’ebraicoin particolare. Ne parla proprio la Storia di Angiolo e Laura:

si rifugiò nei libri, inventò il lavoro delle sette lingue, leggendo ognigiorno belle e alte pagine nelle sette lingue che più o meno conosceva:italiano, francese, tedesco, inglese, greco, latino, ebraico. In ebraicoleggeva la Bibbia.58

Come ci dice il Viaggio meraviglioso di Gianni, l’espressione lin-guistica del pensiero rappresenta sempre una crescita, un beneficioimmenso per gli uomini, una forma di liberazione. Sotto la guida di‘Verbo Essere’ Gianni ne sperimenterà il dramma dell’assenza:

Siamo nei sotterranei del pensiero, e però tu non devi meravi-gliarti se qui i pensieri non son formati come fuori alla luce del sole,ma son piuttosto come incubi e larve e animali notturni. Sentiamo checi sono, che si agitano e vivono, ma non hanno una vita piena e com-pleta come quelli che godono la luce del sole. Gianni assentiva contutte le sue forze, ma non gli riusciva di dirlo. «Ma non lasciartiopprimere troppo», aggiunse Verbo Essere. «Era necessario che tuavessi anche questa esperienza, ma non durerà molto. Fra poco, fatticoraggio, vedrai qualche cosa».59

Capiva la terribilità del tormento di chi ha tutte le cose dentro ese le deve tenere per l’incapacità di esprimerle, e capiva anche ilbeneficio immenso che la parola è per gli uomini.60

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58 Ivi, p. 128.59 L. ORVIETO, Viaggio meraviglioso di Gianni, cit., p. 142.60 Ivi, pp. 143-144.

5. Abbozzi e tracce su tema ebraico

«Era un lavoro che li univa»,61 quello dello scrivere. Fra le carteinedite troviamo anche alcuni abbozzi per i quali diventa difficile attri-buire la paternità: è così per alcune tracce di libretti d’opera di mano diLaura, che risalgono probabilmente al periodo in cui Angiolo si dedi-cava al melodramma, fra il 1901 e il 1907, collaborando con GiacomoOrefice, Alberto Franchetti ed altri musicisti.62 Lo sarà anche, moltianni dopo, per i tanti foglietti di appunti, prose e versi, stesi fra il 1943e il 1944, durante i momenti più difficili della guerra, trascorsi dallacoppia nell’ospizio di S. Carlo diretto dal cappuccino Padre Massimo,a Borgo S. Lorenzo.63

Ma troviamo traccia di collaborazioni anche in altri momenti. NelFondo Orvieto restano alcuni capitoli di un manoscritto inedito e incom-piuto di Laura, dal titolo Leone Da Rimini, ed una Traccia generale

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61 Ivi, pp. 93.62 Cfr. M. MANZOTTI, La collaborazione di Angiolo Orvieto con il maestro Giacomo Ore-

fice, in «Il Marzocco». Carteggi e cronache fra Ottocento e Avanguardie. Atti del Seminario diStudi, cit., pp. 333-363. In alcuni casi potrebbe nascere il dubbio che, come era antica abitu-dine, il ruolo femminile fosse soprattutto quello di una sorta di amanuense, magari sotto det-tatura del marito o del fratello (penso a Maria Pascoli, ma anche a Giulietta, sorella dello scrit-tore Alberto Cantoni): nel caso di Laura tuttavia, oltre al diverso profilo del soggetto, è di aiutolo stile narrativo, così peculiare e facilmente riconoscibile. Esempi espliciti di collaborazionesono talvolta classificati sotto il titolo «A quattro mani», presente su alcuni fascicoli d’archivio,nei quali si rintracciano stesure autografe dell’una e dell’altro.

63 Oltre a questa documentazione, avara di riferimenti di cronaca e rivolta semmai aicomuni ricordi, la presenza a S. Carlo dei coniugi Orvieto è documentata da alcuni accenni nellacorrispondenza di Domenico Del Campana, ministro del Terz’Ordine francescano, allo stessoPadre Massimo: «Le persone di cui si tratta [Angiolo e Laura Orvieto] sono ineccepibili sotto tuttii rapporti, pensano da sé al vitto etc. Io non posso darne che buone informazioni. Quanto a com-binar l’affare questo non posso deciderlo io. Se Lei ritiene di fare quell’opera di carità la faccia,se ha motivi di non farla è liberissimo. Dal momento che per ammettere vecchi in casa non ha maiinterpellato alcuno, non credo conveniente ch’Ella per questo caso, abbandoni l’uso introdotto.Quindi faccia Lei. Non so neppure se sia prudente il parlarne agli altri. Veda e faccia Lei» (Let-tera da S. Godenzo, 8 dicembre 1943, Archivio del Convento dei Padri Cappuccini, Borgo S.Lorenzo); due anni dopo, con bonaria ironia: «P.S. Due giorni fa vidi i due vecchi Orvieto, sem-pre riconoscenti per P. Massimo, del quale ci si trovò d’accordo nel dire il maggior male possi-bile» (Lettera del 12 aprile 1946, ibid.; si ringrazia Giorgio Giovannini per la preziosa comuni-cazione). Angiolo e Laura rimasero presso Padre Massimo dal dicembre 1943 all’ottobre 1944:Borgo S. Lorenzo, a nord di Firenze, fu liberata soltanto il 10 settembre. Nel 1956 fu inauguratanel convento un’ampia Galleria a vetri, donata dallo stesso Orvieto in memoria della moglie edella figlia Annalia, scomparse pochi anni prima, come ricorda una lapide allora apposta.

della vicenda che si intendeva narrare, autografa della scrittrice.64 Inalcune pagine è riconoscibile tuttavia anche la grafia di Angiolo: pocherighe, un foglietto inserito con aggiunte o puntualizzazioni. La pre-senza maschile interverrà ad esempio nella descrizione specifica dinorme e ritualità ebraiche, a integrazione del lavoro della scrittrice.Dalle pagine autografe, come dallo schema narrativo, un elementoemerge prepotente: Laura non intendeva fare dell’ebraismo un temamarginale, ma il fulcro stesso della narrazione. Il progetto si pone comeuna sorta di romanzo – anzi di romanzo popolare – di ambiente ebraico,qualcosa di assolutamente nuovo nella produzione narrativa italianadell’epoca, che vede un precedente forse soltanto nel racconto Israeleitaliano di Alberto Cantoni.65 Per niente intimorita dall’ affrontare iltema in quanto ebrea e in quanto donna, Laura imposterà la narra-zione, indirizzata ad un pubblico di lettori non eruditi ma adulti,secondo uno stile semplice e diretto.

Anche per Laura, come per Angiolo per la stesura de Il Vento diSiòn,66 vi fu dunque un momento in cui si rinnovò la consapevolezzadelle proprie radici. Quanto può stupire ancor più è la data che, concaratteri autografi, troviamo annotata in apertura del primo fascicolettodi Leone Da Rimini: «Cominciato mercoldì 16 ottobre 1907». Unappunto che ci costringe a riconsiderare molti aspetti della personalitàe dell’ispirazione della scrittrice, un senso di appartenenza alle proprieradici più che mai vivo già all’inizio del secolo. Leone Da Rimini sirivolge a un pubblico di lettori adulti, abbiamo detto. Non mancano tut-tavia, fra le pagine rimaste inedite, alcuni abbozzi di novelle o rac-conti di ispirazione ebraica indirizzate ai più piccoli. Altre ‘storie delmondo’, dove Laura non rinuncia a farsi portavoce di un intento edu-cativo e morale. Così è per la novella Il sabato e il banchiere, anch’essanon finita, che ci fa piacere riproporre, per la parte rimasta, in appen-dice, accanto ai capitoli di Leo e Lia espunti o oggetto di osservazioninell’edizione del 1929.

«La storia del mondo è fatta di tante storie» 27

64 Il manoscritto è raccolto in fascicoletti, in parte cuciti, conservati nel Fondo Orvieto del-l’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux. Sul testo è in corso un lavoro di edizione acura di chi scrive. Il primo a rintracciare l’inedito fu a suo tempo Gaio Sciloni, durante le suericerche sugli scrittori ebrei nel periodo postunitario.

65 Sul quale cfr. soprattutto A. IORI, Identità ebraica…, cit.66 A. ORVIETO, Il Vento di Siòn. Canzoniere d’un ebreo fiorentino del Cinquecento, Firenze,

Casa editrice Israel 1928.

APPENDICE

I

Da: MRS. EL [Laura Orvieto], Leo e Lia. Storia di due bimbi italiani conuna governante inglese, Firenze, R. Bemporad e figlio 1909: Come si nasce ecome si muore, Paradiso e Inferno, Il re è ebreo?67

Come si nasce e come si muore

Leo sapeva benissimo come si nasce. Sapeva che le mucche fanno i vitel-lini, le capre i caprettini e le pecore gli agnellini, e una volta aveva riso moltoquando la bimba del contadino gli aveva detto (ma credo che lo dicesse perchiasso) che gli agnelli nascono dalle mucche!

Un’altra volta un bimbo aveva domandato a Leo se la sua mamma l’avevatrovato in un cavolo o in un fiore, e Leo aveva risposto: «Ma ché! La mammami ha trovato dentro di lei!».

Leo sapeva dunque benissimo come si nasce. Ma non sapeva dove si vadopo morti, e aveva una gran paura.

La bimba dei contadini gli aveva detto che si va a Trespiano, e gli avevaanche detto che i bimbi cattivi vanno all’Inferno.

Leo aveva risposto che non ci credeva, e che i bimbi devono esser buoninon per la paura dell’Inferno, ma percHé la mamma sia contenta, e perchéesser buoni è una bella cosa. Ma era rimasto male lo stesso, perché non sapevache cosa fosse Trespiano, e credeva che fosse un posto molto brutto e triste.

Dove si va dopo morti? e che cos’è Trespiano?Leo ci pensava molto, ma non domandava nulla alla mamma.Era proprio sciocchino, perché la mamma gli spiegava tutte le cose che lei

sapeva, e quando non le sapeva andava a cercarle nei libri, e quando neilibri non si potevano trovare, diceva a Leo: «Questa cosa non la sa nessuno».

Finalmente, dopo molto pensare, Leo si decise, e un giorno, che andavacon la mamma a Firenze, le domandò dove si va dopo morti.

«Si va nei fiori, negli uccelli e nelle piante», aveva risposto la mamma.«E anche nei cavalli?» aveva domandato Leo, già tutto consolato.«Sicuro, anche nei cavalli. Quando una persona muore, diventa erba, e il

cavallo la mangia, e l’erba diventa cavallo».

28 Caterina Del Vivo

67 I primi due capitoli (rispettivamente pp. 51 e 55 dell’edizione 1909) furono tolti nellaristampa del 1929, del terzo (p. 91 della stessa edizione) fu chiesta la soppressione, ma rimase.

Leo era tutto contento, perché i cavalli gli piacevano molto, anche piùdelle persone; ma volle sapere ancora che cosa fosse Trespiano. La mamma glispiegò che Trespiano è una collina tutta piena di fiori, dove si portano i mortiper metterli sotto terra e farli diventare erbe, uccelli e cavalli, e gli promise cheun giorno o l’altro l’avrebbe mandato lassù a fare una passeggiata.

Leo ci andò infatti con la Lia e Miss Pear; vide a Trespiano tanti fiori etanta erba, sentì tanti uccelini che cantavano: e da allora in poi quandosapeva che qualcuno era morto, se lo immaginava subito cambiato nell’ala diun uccello o nella criniera di un cavallo.

Paradiso e Inferno

C’è il Paradiso?» domandò un giorno Leo alla sua mamma. I bimbi deicontadini dicono che c’è e che è in cielo, ma io non lo vedo!

«Non lo puoi vedere, ma lo puoi sentire. Quando sei buono, non ti pareche il mondo sia pieno di luce e le piante e i fiori e il giardino e i balocchi e latua stanza siano tutti tanto belli? Quando sei un caro omino e la mamma te lodice, non pare di essere in cielo? Allora sei in Paradiso!»

Leo pensò un poco, guardò il cielo azzurro e i fiori del giardino, guardò lasua stanza tuta celeste, e disse:

«Sì, è vero. Ma l’Inferno? I bimbi dei contadini dicono che c’è e che i cat-tivi ci vanno dentro, e tu invece mi hai detto che l’Inferno non c’è!»

«I bimbi dei contadini – rispose la mamma – ti avevano raccontato chel’Inferno è un gran buco pieno di fuoco dove stanno i diavoli, e io ti ho dettoche quel buco non c’è.

Ma c’è un’altra specie d’Inferno.Quando sei cattivo, e vai in un cantuccio della stanza a piangere, oppure

ti butti per terra col naso schiacciato contro il pavimento, non ti pare allorache tutto sia brutto e cattivo? Non vedi più nulla delle cose belle che ci sono nelmondo perché piangi troppo, senti solo le lagrime sulla faccia, e qualche cosadentro che è brutta, brutta!»

«Che cos’è quella cosa di dentro?» domandò Leo.«È la cattiveria che ti fa piangere e fare i capricci»Leo pensò un altro poco, e si rammentò che la mattina aveva pianto molto

perché miss Pear voleva che mangiasse il pane senza marmellata. E allora,mentre piangeva, miss Pear, che era tanto buona, gli era sembrata tanto cat-tiva. E pensò che la mamma aveva ragione.

«Dunque il Paradiso c’è e l’Inferno c’è, ma i diavoli ci sono o non ci sono?»«Quando sei andato in Galleria non hai mai visto un diavolo dipinto?»

chiese la mamma.

«La storia del mondo è fatta di tante storie» 29

30 Caterina Del Vivo

«Io? Io no», disse Leo.«Te ne farò vedere uno la prima volta che ci andiamo. Per fare un diavolo,

i pittori dipingono un omino tutto nero, con due occhi rossi, la coda lunga ecerte unghiacce alle mani e ai piedi come quelle di Pierino Porcospino».

«E perché i pittori dipingono i diavoli a quel modo?»«A questo mondo – disse la mamma – ci sono delle cose molto belle, ma ce

ne sono anche di molto brutte. Si vedono qualche volta delle persone ubriacheper la strada…»

«Lo so», disse Leo.«Si vedono delle altre persone che si picchiano…»Leo non disse nulla, ma diventò rosso.«Si sa che altre persone rubano… Se un pittore dovesse dipingere tutte le

cose brutte che ci sono nel mondo, perderebbe troppo tempo, e non finirebbemai! Invece dipinge una figura così brutta, che quanti la vedono capisconosubito che quella vuol dire tutte le cose cattive».

«Come il canino nero che miss Pear mi vede sulle spalle quando faccio icapricci?»

«Proprio»«Fammi vedere un diavolo, mamma», pregò Leo.La mamma disegnò alla meglio un diavolino tutto nero, ma a Leo parve

quasi bellino, e certamente troppo bello perché si potesse pensare, guardan-dolo, a tutte le brute cose che sono in questo mondo.

Il re è ebreo?

Leo era andato al tempio col suo babbo, e lì aveva trovato il nonno che gliaveva dato la benedizione mettendogli una mano sul capo e cantando. Eragiorno di festa; nel tempio c’era molta gente, e l’organo sonava. Leo stavamolto attento ma non capiva nulla. Perché c’era tutta quella gente? Che cosafaceva? Che cosa diceva? Leo sapeva bene di essere ebreo: il babbo e lamamma glie l’avevano detto molte volte. Ma non sapeva che cosa volesse direessere ebreo. E quando fu tornato a casa, dopo aver detto alla mamma che ilnonno gli aveva dato una combinazione68 molto forte, le domandò:

«Il babbo è ebreo?»«Sicuro», rispose la mamma«Ma no, perché è fiorentino!»

68 Nell’edizione del 1929 sarà inserita fra parentesi la spiegazione: «lui voleva dire bene-dizione».

Allora la mamma spiegò a Leo che una persona può benissimo essereebrea e fiorentina come un’altra ebrea e milanese e un’altra ebrea e tedesca,per esempio.

«Ma allora tutta la gente del mondo è ebrea?»«No, no; ci sono anche i cattolici, i protestanti, i maomettani, i buddisti,

gli scintoisti e tanti altri. A Dio si può pensare in molti modi, non ti pare? Tuttiquelli che pensano a Dio nello stesso modo si uniscono insieme e si chiamanoebrei, o cattolici, o protestanti, o maomettani, o buddisti…»

Leo aveva capito abbastanza bene.«E il re è ebreo? – domandò subito».Il re era per Leo un personaggio straordinario, che pensava e faceva tutto

bene; e siccome il nonno, la nonna, il babbo e la mamma erano ebrei, così a luipareva che anche il re dovesse essere ebreo. Non fu punto contento dunquequando la mamma gli disse che il re non è ebreo ma è cattolico come molti diquelli che parlano italiano; e rimase male sentendo che il re non pensava a Diocome il suo babbo e il suo nonno. Ma la mamma gli disse ancora che Dio è lostesso per tutti gli uomini, anche se gli uomini pensano a lui in maniere diffe-renti; e Leo allora fu contento.

II

Da: L. ORVIETO, I racconti del sabato, pagine manoscritte conservatenel Fondo Orvieto.

Il sabato e il banchiere69

C’era una volta un uomo, un ebreo. Si chiamava Ben-Ascer ed era moltoricco, e aveva dodici figlioli. 6 maschi e sei femmine. Il maggiore dei suoifiglioli aveva dodici anni, e l’ultimo aveva due mesi. Ben Ascer era un buon

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69 Laura Orvieto, I racconti del sabato. Il sabato e il banchiere, abbozzo autografo di unracconto inedito di ispirazione ebraica destinato all’infanzia, mutilo e non datato, steso su 9carte di piccolo formato, usate solo sul recto, ACGV, F. Or. 5. 7. 3, fascicoletto interno 7. Laredazione è accompagnata da due copie dattiloscritte, più tarde, del medesimo testo, posteriorialla morte di Laura. Una è introdotta dalle parole (attribuibili ad Angiolo): «Da I racconti delSabato, libro che Laura Orvieto aveva pensato di scrivere ma non scrisse, abbiamo trovato trale carte di lei, dopo la sua morte questa novella, incompiuta anch’essa, intitolata Il sabato delbanchiere [sic]». Il testo qui proposto è tratto dalla redazione autografa di Laura; sono statesegnalate soltanto le più macroscopiche varianti e correzioni autografe.

uomo, voleva un gran bene ai suoi dodici figli, e lavorava molto. Lavoravatutto il giorno, lavorava sempre. Da piccolo gli avevano insegnato che i buoniebrei non lavorano di sabato: il sabato è per gli ebrei un giorno speciale, nelquale devono pensare a Dio e non ai quattrini, alle cose dello spirito e non aquelle del guadagno. Ben Ascer aveva imparato queste cose, e da piccolo,quando era un povero diavolo che lavorava per mangiare, aveva semprerispettato il sabato, e70 il Sabato era per lui un giorno benedetto e felice. Leg-geva la sua bibbia, leggeva i suoi libri prediletti, leggeva e pensava dalla mat-tina alla sera. Gli pareva, il sabato, di salire dal suo mondo solito in un altromondo dove i quattrini non esistevano e dove vivevano le anime liberate daicorpi. Era povero, ma non ci pensava, tanto più che qualche soldo riuscivasempre a metterlo da parte, e con quei soldi messi da parte si comperava i librida leggere il sabato. Poi, a poco a poco,71 Ben Ascer era diventato ricco e ban-chiere. Da Principio non lo sapeva nemmeno, che cosa volesse dire fare il ban-chiere. Era fattorino in una banca, e correva di qua e di là facendo commis-sioni. Nessuno dei fattorini della banca faceva le commissioni così esatte comeBen Ascer, il quale aveva imparato, dai libri che leggeva, che tutto è impor-tante nel mondo, anche la cosa più piccola, e tutto deve essere eseguito conamore. Ben Ascer faceva il fattorino con amore, e tutti gli volevano bene e tuttisi fidavano di lui. Vedendo la sua diligenza, gli davano commissioni sempre piùimportanti, che Ben Ascer eseguiva con la solita esattezza e puntualità.Imparò a conoscere la Borsa: una specie di mercato dove si riuniscono i ban-chieri e i loro rappresentanti e i loro commissionari. Imparò a capire checosa72 siano i valori di Borsa. Da principio non lo capiva. Non capiva comecerti fogli scritti potessero valere tanti quattrini: poi capì che erano una spe-cie di ricevute. Uno dà cento lire a una società che vuol fabbricare una fer-rovia nell’Italia meridionale: la società gli consegna un foglio di carta nelquale è scritto che lui ha dato le cento lire: quel foglio di carta gli rappresentadunque cento lire. Se la società fa buoni affari e guadagna molto, quel fogliodi carta può col tempo valere più di cento lire: se fa cattivi affari può coltempo valerne meno: e quel foglio di cento lire si può vendere, e il proprieta-rio vendendolo può guadagnare o perdere. Ben Ascer imparò a conoscere lebuone società che fanno guadagnare e le cattive che fanno perdere, e sic-come era intelligente poté presto diventare banchiere, ossia negoziante diquel fogli di carta che si chiamano valori. Non era ormai più il ragazzi povero

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70 Seguiva: «in quel giorno sospendeva ogni lavoro materiale», poi cassato.71 Corretto su «diventato grande».72 Seguiva «come si fanno gli affari in Borsa», poi espunto.

che mangiava pane solo per comperarsi i libri coi denari del companatico: eraun uomo importante, che teneva sotto di sé molti impiegati e fattorini, avevauna casa bella e una moglie elegante.

Se non che, per arrivare più presto a diventare un uomo ricco, Ben Ascerdovete rinunciare a qualche cosa. Non volendo rinunciare a guadagnare il piùpossibile, sacrificò la grande ricchezza della sua infanzia, e cioè il suo carosabato. Se la festa degli ebrei fosse stata la domenica, avrebbe potuto facil-mente conservarla, ma siccome era il sabato, e i non ebrei di sabato lavorano,così ci voleva molta forza per conservarlo. Ben Ascer non aveva molta forza enon conservò il suo sabato. Lo perdette piano piano, cominciando73 prima aleggere lettere d’affari senza scriverne, poi a scriverle e poi a non far altro cheaffari, tutto il sabato. Pensava ancora a Dio, ma poco, gli pareva più impor-tante diventare ricco. E così diventò ricco, e a Dio pensava sempre meno e agliaffari sempre, e sposò una bella moglie, ed ebbe dodici figli.

Ben Ascer era dunque ricco, lavorava molto e non pensava a Dio. Lavo-rava per sé e per i suoi figli, perché ai suoi figli voleva molto bene, e facevaistruire i suoi figli in modo che imparassero molto per poter diventare semprepiù ricchi. Al sabato nessuno ci pensava e a Dio nemmeno. Ben Ascer avevacarrozze e automobili, una bella casa e molti servitori. Era passato il tempo nelquale rinunciava al pane per comperare libri! Adesso aveva libri quantovoleva, ma non li leggeva mai: non aveva tempo! Ben Ascer non era felice comeda piccolo, quando il suo sabato gli pareva un tesoro, ma adesso gli parevanotesori le carrozze, le automobili, le cose che possedeva e i titoli che comperavae vendeva. Dava denari per i poveri, qualche volta, perché si rammentava chela sua bibbia raccomandava di dare molto ai poveri, ma ne dava il meno pos-sibile. Quasi tutta la vita la impiegava negli affari, e al banco parlava d’affari,in automobile parlava d’affari e a casa parlava d’affari. I suoi dodici figli sen-tendo sempre parlare di quattrini, s’immaginarono che i quattrini fossero lacosa più importante del mondo. I maschi studiavano volentieri, per farsi unaposizione che potesse farli diventare sempre più ricchi, e le bambine pensa-vano che avrebbero sposato dei ricchi signori, e avrebbero avuto anche lorocavalli, carrozze e automobili.

E così fu. Le bambine diventarono ragazze e sposarono dei ricchi signori.Non si occuparono di sapere se gli uomini che sposavano erano buono i cattivi,ma solamente se potevano avere mobili e carrozze. Tutte sei sposarono dunquedei ricchi signori. Cioè sbaglio. Solamente cinque sposarono dei ricchi signori.La sesta no. Ma della sesta parleremo dopo.

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73 «Lo… cominciando» corretto su «Da principio gli dispiacque molto», cassato.

E i sei figli diventarono sei ricchi signori. Cioè sbaglio. Solamente cinquesposarono dei ricchi signori.74 Il sesto no. Ma del sesto parleremo dopo. Par-liamone anzi subito. Il sesto bambino e la sesta bambina furono affidati auna governante che pensava a Dio: la bella moglie di Ben Ascer era troppooccupata coi suoi magnifici automobili i suoi magnifici vestiti e i suoi magnificigioielli per pensare a Dio, e la governante ebrea, che non aveva vestiti négioielli troppo di lusso, e andava nell’automobile solo quando doveva accom-pagnare i signorini, trovava il tempo di pensare a Dio. Ci pensava sempre:quando lavorava e quando si divertiva, e quando era sola e quando era incompagnia. E siccome lei ci pensava, così il più piccolo dei figli e la più piccoladelle figlie di Ben Ascer presero l’abitudine di pensarci anche loro. La gover-nante, che era inglese, diceva al bambino e alla bambina.75

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74 Così il testo: nella redazione, stesa di getto, è evidente un equivoco con le figlie.75 Qui, a metà foglio, termina il testo residuo.