Nihil infinitum est nisi Oceanus (Sen. suas. 1, 1): il mare nelle declamazioni latine

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Maia 67 (2/2015) 325-339

Nihil iNfiNituM est Nisi OceaNus (Sen. suas. 1, 1) il mare nelle declamazioni latine

Giuseppe la Bua

Imperscrutabile e ingannevole profunditas1; eterna oscurità; mostro vorace; ori-gine e sede di immania forme di primordiali specie viventi; e soprattutto spazio iner-te e infinito2, “altro” rispetto alle terre che racchiude: i simboli legati alla misteriosa immagine dell’Oceano sono ben noti agli studiosi della letteratura dell’età augustea e della prima età imperiale3. Alla riflessione geografico-naturalistica sull’essenza dell’Oceano4, infinita distesa marina, “cordone” dell’ecumene già a partire dai po-emi omerici e dall’epica greca arcaica5, si accompagna costantemente la visione, di carattere più propriamente etico-gnoseologico, dell’entità oceanica come personifi-cazione divina del terrifico potere della forze della natura: erede diretto del sovran-naturale Pontos greco, l’Oceano latino, divinità legata all’oltretomba6, è immensità sacra e inviolabile, priva di modus, vastità inaccessibile alla protervia umana.

1 Per il motivo dell’inganno dell’Oceano, legato al concetto di profunditas, rimando al saggio di P. Mantovanelli, Profundus. studio di un campo semantico dal latino arcaico al latino cristiano, Roma 1981, in part. pp. 25-26.

2 Sul concetto di “infinito” si veda R. Mondolfo, l’infinito nel pensiero dell’antichità classica, Firenze 1956.

3 Sulla visione dell’Oceano nella letteratura di età augustea e giulio-claudia utile A. Bajard, Quelques aspects de l’imaginaire romain de l’Océan, de césar aux flaviens, «Rev. Ét. Lat.» 76 (1998), pp. 177-191; si veda anche G. Panessa, s.v. Oceano in enciclopedia Virgiliana iii, Roma (1987), pp. 813-815. Sul mare nella poesia latina fondamentale risulta ancora lo studio di e. de Saint-Denis, le rôle de la mer dans la poésie latine, Paris 1935.

4 Per la descrizione della terra e dell’Oceano nella letteratura geografica latina il riferimento imme-diato è alla chorographia di Pomponio Mela (in part. i 1, 4 e iii 1), dove il globo terrestre è immaginato come un’immensa isola racchiusa dall’Oceano, secondo la dottrina eratostenica e posidoniana risalente a Talete e attestata nel De natura deorum di Cicerone (ii 165; cfr. anche Plin. nat. ii 242); si veda al riguar-do Pomponii Melae De chorographia libri tres, intr., ed. crit. e comm. a cura di P. Parroni, Roma 1984, pp. 180-181. Per l’esposizione macrobiana della dottrina oceanica ciceroniana nel somnium scipionis (13), cfr. le note a cura di M. Armisen-Marchetti (Macrobe, commentaire au songe de scipion, ii 2, Paris 2003, pp. 120-121), che richiama anche Plin. nat. ii 166; 172; Mart. Cap. vi 617; Isid. orig. xiii 15, 1.

5 il. xviii 607-8 e Ps.-Hes. 314-317; per l’immagine insulare della terra circondata dalla distesa oceanica in Omero e nella poesia greca arcaica cfr. J.S. Romn, the edges of the earth in ancient thought. Geography, exploration and fiction, Princeton 1992, pp. 11-13; D. Dueck, Geography in classical antiquity, Cambridge 2012 (sui mutamenti della visione della sfera terrestre in erodoto, secondo il quale il globo è circondato dal deserto oltre il quale si distende l’acqua oceanica, p. 37).

6 Sulla personificazione divina dell’Oceano (di origine esiodea) si vedano M.L. Foucher, sur l’ico- nographie du dieu Océan, «Caesarodunum» 10 (1975), pp. 48-52 e A. Paulian, le thème littéraire de l’Océan, ibi, pp. 53-58.

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nell’ampliamento territoriale e culturale che segue all’espansionismo romano a partire dalla tarda età repubblicana l’Oceano assume ben presto i caratteri di “bar-riera infrangibile del mondo umano”, porta e invalicabile limite dell’ecumene con-quistato dalle armi romane. In tale prospettiva la vittoria sul beluosus Oceano, con-fine simbolico del genus humanum, spazio concepito come alter rispetto al coeso orbis Romanus7, armonicamente dominato dalla pax augusta, rappresenta la consa-crazione dell’aspirazione imperiale all’immortalità. Come è stato opportunamente osservato, la progressiva assimilazione – e fusione – del concetto di orbis terrarum e imperium Romanum «genera la ricerca di un alter orbis da annettere all’impero romano affinché i confini di questo trascendessero addirittura i limiti in apparenza imposti dalla natura all’uomo»8. Sulle orme di Alessandro Magno, alla cui figura si ricollega ideologicamente l’immagine dell’imperator e princeps romano, a partire dalla mitica conquista della Britannia da parte di Cesare9, il tentativo di conqui-stare l’alius-alter orbis al di là dell’Oceano si configura come il punto più alto del processo di divinizzazione del potere universale di Roma. Cesare, e gli imperatori che ne hanno imitato/emulato le gesta, ha varcato e violato i confini del mondo e, come tale, è degno di essere equiparato alla divinità. L’Oceano è limes del mondo conosciuto: il superare – e quindi sottomettere – l’Oceano significa superare la pre-carietà e limitatezza dell’essere umano e, di conseguenza, rendere eterno il dominio di Roma, la cui origine divina è consacrata dall’atto stesso della fondazione.

La connotazione in termini divini delle imprese trans-oceaniche diviene, quindi, motivo cardine della propaganda imperiale. Come ben rileva Tandoi, «è il trionfo sull’Oceano che garantisce l’onnipotenza di un Cesare, significando che forze so-prannaturali si piegano all’imperator come a divinità maggiore, e perciò la vittoria sulle acque non poteva mancare nella leggenda di Cesare, di Augusto ad Azio, ma già di Pompeo e poi strepitosamente di Claudio in Britannia: insomma era impo-sta dallo schema semireligioso del monarca universale come pacator orbis, ormai paradigmatico dopo Azio della mistica degli imperatores giulio-claudi»10. Il supe-ramento dei confini dell’ecumene significa superiorità del princeps, deus praesens, sul “dio” Oceano11: la collocazione di una corona navale sulla domus Palatina a indicare la definitiva sottomissione dell’Oceano da parte di Claudio (Svet. claud.

7 F. Borca, Alius orbis. Percorsi letterari nell’altrove, «Atene e Roma» 43 (1998), pp. 21-39. 8 G. Zecchini, i confini occidentali dell’impero romano. la Britannia da cesare a claudio, in M.

Sordi (a cura di), il confine nel mondo classico, Milano 1987, pp. 250-271, in part. p. 252.9 Ampia è la bibliografia sul mito di Alessandro Magno nella storiografia e letteratura latina di età

tardo-repubblicana: mi limito a citare qui i classici O. Weippert, alexander-imitatio und römische Po-litik in republikanischer Zeit, Würzburg 1972 e P. Green, caesar and alexander. Aemulatio, imitatio, comparatio, «Am. Journ. Anc. Hist.» 3 (1978), pp. 1-26; si vedano anche L. Morawiecki, the Power conception of alexander the Great and of Gaius Julius caesar in the light of Numismatic sources, «eos» 63 (1975), pp. 99-127; Ch.B. Krebs, «Magni viri». caesar, alexander and Pompey in Cat. 11, «Philologus» 152/2 (2008), pp. 223-229. Sul mito di Alessandro in generale si veda ora e. Anson, alexander the Great. themes and issues, London 2013.

10 V. Tandoi, albinovano Pedone e la retorica giulio-claudia delle conquiste, in Id., scritti di filo-logia e di storia della cultura classica, i, Pisa 1992, pp. 509-585, in part. p. 559.

11 M. Clauss, Deus praesens. Der römische Kaiser als Gott, «Klio» 78/2 (1996), pp. 400-433.

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17, 3 atque inter hostilia spolia navalem coronam fastigio Palatinae domus iuxta civicam fixit, traiecti et quasi domiti Oceani insigne)12 e la parallela immagine dell’Oceano che si ritira di fronte al sovraumano potere dell’imperatore nella laus caesaris (anth. 419 Riese: ausoniis numquam tellus violata triumphis / icta tuo, caesar, fulmine procubuit / Oceanusque tuas ultra se respicit aras: / qui finis mun-do est, non erat imperio) ben esemplificano il “riconoscimento” delle virtù divine dell’imperatore da parte del dio marino pacificato. Simbolo cosmico, l’Oceano si presta bene a divenire manifestazione dei poteri divini dell’imperatore cosmocra-tor; giustamente è stato osservato che «les caractéristiques propres à l’imaginaire romain de l’Océan sont donc également attribuables à son association, sous-jacente ou explicite, avec des thèmes relevant de la propagande impériale, où le modèle héroïque cédait de plus en plus la place à la mystique de l’empereur-dieu»13.

L’approccio teologico alla vittoria oceanica non è disgiunto comunque dall’idea di conquista come violazione di un ordine originario, freno alla smodata ambizio-ne umana di dominio. Se conquista e superamento del confine oceanico significa progresso e conseguente sviluppo culturale14, la navigazione trans-oceanica e la sot-tomissione di un alter orbis appaiono nei termini di sacrilegio, distruzione e an-nullamento del mitico stato primordiale dell’età dell’oro. non solo si viola il mare “sacro” per eccellenza; ciò che è violato è l’ordine naturale imposto dalla divinità. A titolo esemplificativo, nella lunga epistola 94 Seneca dipinge il furor di Alessandro, spinto ad ignota dall’insana fame di gloria, nei termini di “violenza” nei confronti della natura: il travalicare l’Oceano e il sole significa annullamento delle mitiche imprese di ercole e Bacco ma soprattutto violazione della divinità suprema per ec-cellenza, la natura stessa (it tamen ultra Oceanum solemque, indignatur ab herculis liberique vestigiis victoriam flectere, ipsi naturae vim parat. Non ille ire vult, sed non potest stare, non aliter quam in praeceps deiecta pondera, quibus eundi finis est iacuisse 94, 63); ancora nell’epistola 119, 7 la condanna dell’impresa oceanica come protervo tentativo di perrumpere mundi claustra (Numquam parum est quod satis est, et numquam multum est quod satis non est. Post Dareum et indos pauper est alexander. Mentior? Quaerit quod suum faciat, scrutatur maria ignota, in Oceanum classes novas mittit et ipsa, ut ita dicam, mundi claustra perrumpit. Quod naturae satis est homini non est) si lega alla pressante esortazione a rispettare i limiti imposti

12 Cfr. G. Guastella (a cura di), Svetonio, l’imperatore claudio (Vite dei cesari v), Venezia 1999, p. 165: vanto di aver domato l’Oceano simile in Caligola; cfr. Svet. cal. 46 (sul quale si vedano D.W. Hurley, an historical and historiographical commentary on svetonius’ life of caligula, Atlanta 1993, pp. 168-169 e G. Guastella (a cura di), Svetonio. Vita di caligola, Roma 1992, pp. 252 ss.). Sui motivi propagandistici di Claudio, in continuità con quelli augustei, si vedano V. Tandoi, albino-vano Pedone, cit. e W. Trillmich, aspekte der “augustus-Nachfolge” des Kaisers claudius, in V.M. Strocka (Hrsg.), Die Regierungszeit des Kaisers claudius (41-54 n. chr.). umbruch oder episode?, Mainz 1994, pp. 69-89. Si veda anche D.W. Hurley (ed.), Svetonius, Divus claudius, Cambridge 2001, p. 138.

13 A. Bajard, Quelques aspects, cit., p. 191.14 Per il concetto di “espansione intellettuale” successivo alle conquiste trans-marine di Alessan-

dro, cfr. K. Geus, space and Geography, in A. erskine (ed.), a companion to the hellenistic World, Malden ma 2003, pp. 232-245; D. Dueck, Geography, cit., p. 39.

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dalla natura15. Si tratta naturalmente di un ben noto approccio moralistico alla na-vigazione trans-oceanica alessandrea, peculiare dell’interpretazione, non solo sene-cana, della topica dello ius dominandi e dell’audacia. In tale dinamica è sufficiente ricordare la tradizionale condanna della navigazione e del “primo viaggio”, fine di uno stato di perenne beatitudine, ben esemplificata nella nota ode oraziana 1, 316 e negli splendidi versi del secondo coro della Medea senecana (301-379)17, unita al fe-roce, ironico attacco all’ambizione umana al superamento degli stretti confini posti alla mens dalla natura, cifra distintiva, come ha ben rimarcato Vincenzo Tandoi, di una particolare impostazione geografico-retorica data a un problema di natura etica ampiamente dibattuto nella cultura letteraria latina18. Avremo modo di tornare su tali aspetti nel corso della discussione. Per il momento ciò che preme ribadire è il nesso indissolubile tra tematica oceanica e etica della dissennatezza umana, nesso ricco di suggestioni e di richiami a pressanti realtà politico-sociali.

Il topos oceanico – con la lettura moralistica della navigazione alessandrea – è ben attestato nei discorsi di scuola a cavallo fra la fine dell’età augustea e i primi decenni dell’età imperiale. Come è noto, la prima suasoria nella silloge curata da Seneca padre unisce la thesis filosofica an navigandum a temi tratti dalla tradizione storiografica sulla figura di Alessandro nonché dal dibattito sulla forma dell’ecu-mene e la natura dell’Oceano19. Il tema Deliberat alexander, an Oceanum naviget, oggetto di esercitazioni scolastiche già nella retorica di età repubblicana, come atte-sta l’autore della Rhetorica ad herennium iv 22, 31 (alexandro si vita data longior esset, trans Oceanum Macedonum transvolassent sarisae), doveva godere di una certa fortuna nelle aule declamatorie, come si evince da Quintiliano inst. iii 8, 16 (an alexander terras ultra Oceanum sit inventurus)20 e dalla presenza del motivo della navigazione trans-oceanica di Alessandro in un papiro di scuola di ii-iii se-colo d.C.21; ancora Quintiliano ci mostra che la discussione sulla forma ed essenza

15 Cfr. anche Sen. epist. 91, 17; 113, 29-30; nat. v 8, 10.16 R.G.M. nisbet - M. Hubbard, a commentary on horace. Odes Book i, Oxford 1970, pp. 40-45;

R. Mayer (ed.), Horace Odes Book 1, Cambridge 2012, pp. 74-80. Sull’uso metaletterario del motivo del “primo viaggio” della nave Argo (simbolismo legato all’evoluzione del genere epico) si veda S. Harrison, the Primal Voyage and the Ocean of epos. two aspects of Metapoetic imagery in catullus, Virgil and horace, «Dictynna» 4 (2007), pp. 1-17.

17 Si vedano le note di commento a cura di C.D.n. Costa (Seneca, Medea, Oxford 1973, pp. 99-107); si veda anche H.M. Hine (ed. and comm.), Seneca, Medea, Warminster 2000, pp. 146-154. Importante G G. Biondi, il nefas argonautico. Mythos e logos nella Medea di seneca, Bologna 1984, pp. 87-141, e P.J. Davis, shifting song. the chorus in seneca’s tragedies, Hildesheim-Zürich-new York 1993, pp. 78-84.

18 V. Tandoi, albinovano Pedone, cit., p. 536 (per un attento esame della questione dell’audacia immorale nella letteratura augustea cfr. pp. 526-536).

19 Cfr. F. Citti, la declamazione greca in seneca il Vecchio, in L. Calboli Montefusco (ed.), Papers on Rhetoric viii. Declamation, Roma 2007, pp. 57-102, in part. pp. 89-92.

20 Sul tema di Alessandro nella retorica e nella declamazione antica si vedano T.S. Duncan, the alexander theme in Rhetoric, «Wash. Univ. Stud.» 9 (1922), pp. 315-335; L. Pernot, alexandre le Grande. les risques du pouvoir; textes philosophiques et rhétoriques, Paris 2013. Sui temi declama-tori in generale si veda R. Kohl, De scholasticarum declamationum argumentis ex historia petitis, diss. Paderbornae 1915.

21 Per il contenuto del P. Köln 6, 250 (2528.01 MP3) rimando a A. Stramaglia, amori impossibili, P.

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dell’Oceano, e parallelamente sull’esistenza di altri mondi al di là dell’Oceano, era argomento privilegiato nella pratica dello status qualitatis22.

La topica oceanica si prestava quindi agevolmente alla rielaborazione e manipo-lazione declamatoria, specchio dei preziosismi e virtuosismi stilistici dei nuovi re-tori, pallidi imitatori/emulatori dell’insuperato modello di virtus retorica rappresen-tato da Cicerone. Ma il trattamento declamatorio del motivo oceanico non sembra confinato al ruolo di semplice “display of rhetorical skills”. L’Oceano declamatorio diviene spunto per una meditazione ben più ampia sull’immoralità dell’audacia. È stato ampiamente dimostrato che, nonostante l’indubbio scollamento fra il fantasio-so universo declamatorio e la realtà storico-politica attuale23, i temi su cui si fondava il “rhetorical training” del giovane, nobile, oratore miravano a stimolare una rifles-sione su questioni di forte impatto sociale e culturale24, partecipando alla costruzione di una ben definita identità romana, riproposizione – e consolidamento – di valo-ri consacrati dal mos maiorum25. nella prima suasoria la rilettura della tradizione mitico-storiografica su Alessandro in una prospettiva per così dire “oceanica”, pur se condita da elementi di pura fantasia (l’avvertimento divino rivolto ad Alessandro in procinto di oltrepassare l’Oceano è chiara invenzione declamatoria)26, funziona

Köln 250, le raccolte proginnastiche e la tradizione retorica dell’amante di un ritratto, in B.-J. u. J.-P. Schröder (Hrsg.), studium Declamatorium. untersuchungen zu schulübungen und Prunkreden von der antike bis zur Neuzeit, München-Leipzig 2003, pp. 213-239.

22 Quint. inst. vii 2, 5: ea vero quae sunt praesentis temporis, si non argumentis, quae necesse est praecessisse, sed oculis deprehendenda sunt, non egent coniectura. [...] Nam et substantia eius sub oculos venit, ut non possit quaeri an sit, quo modo an ultra oceanum, nec quid sit nec quale sit sed quis sit; vii 4, 1: est autem qualitas alia de summo genere atque ea quidem non simplex. Nam et qualis sit cuiusque rei natura et quae forma quaeritur: an immortalis anima, an humana specie deus, et de magnitudine ac numero: quantus sol [et] an unus mundus. Quae omnia coniectura quidem colliguntur, quaestionem tamen habent in eo, qualia sint. 2. haec et in suasoriis aliquando tractari solent, ut, si caesar deliberet an Britanniam impugnet, quae sit Oceani natura, an Britannia insula (nam tum ignorabatur)...

23 D. van Mal-Maeder, la fiction des déclamations, Leiden-Boston 2007. 24 Per il rapporto fra contesto storico-politico ed esercizi declamatori, utili strumenti di condiziona-

mento dell’opinione pubblica, si veda e. Migliario, cultura politica e scuole di retorica a Roma in età augustea, in F. Gasti - e. Romano (a cura di), Retorica ed educazione delle élites nell’antica Roma. atti della vi Giornata Ghisleriana di filologia classica (Pavia, 4-5 aprile 2006), Como 2008, pp. 77-93.

25 Sulla declamazione come “promozione” di valori consacrati dalla tradizione rimando a R.A. Kaster, controlling Reason. Declamation in Rhetorical education at Rome, in Y.L. Too (ed.), education in Greek and Roman antiquity, Leiden 2001, p. 325; e. Gunderson, Declamation, Paternity, and Roman identity. authority and the Rhetorical self, Cambridge 2003 (che definisce la declamazione come luogo di «intellectual engagement where serious questions are elaborated in a pointedly frivolous context», p. 6). Si vedano anche M. Bloomer, a Preface to the history of Declamation. Whose speech? Whose his-tory?, in T. Habinek - A. Schiesaro (eds.), the Roman cultural Revolution, Cambridge 1997, pp. 199-215; Id., schooling in Persona. imagination and subordination in Roman education, «Class. Ant.»16 (1997), pp. 57-78; R. Cribiore, the Value of a Good education. libanius and Public authority, in P. Rousseau (ed.), a companion to late antiquity, Chirchester 2009, pp. 233-245; importante J. Connolly, Mastering corruption. constructions of identity in Roman Oratory, in S. Joshel - S. Murnaghan (eds.), Women and slaves in Greco-Roman culture. Differential equations, new York 1998, pp. 130-151.

26 e. Migliario, Retorica e storia. una lettura delle Suasoriae di seneca Padre, Bari 2007, pp. 51-83, in part. pp. 58 ss.; e. Berti, scholasticorum studia. seneca il Vecchio e la cultura retorica e let-

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da stimolo per la riflessione su motivi quali la prolatio imperii, le esplorazioni oce-aniche o l’etica del potere (e i suoi limiti)27. Ma in modo particolare la descrizione dell’Oceano e l’invito rivolto ad Alessandro a rinunciare all’impresa trans-oceanica fungono da monito contro gli eccessi cui spinge la follia umana. Senza voler accre-ditare la declamazione antica di un’improbabile vena mistico-filosofica, la suasoria insegna – e ricorda – all’aspirante retore il valore del modus e il rispetto della sacra-lità della natura.

Prima di procedere a una sintetica analisi della prima suasoria, alcune brevi os-servazioni sulla presenza del mare e del motivo oceanico nella retorica latina di età repubblicana. Ampio è l’uso di metafore marine nella retorica e oratoria ciceronia-na28. elaine Fantham ha opportunamente focalizzato l’attenzione sul contesto po-litico che fa da sfondo alla rielaborazione ciceroniana della classica metafora della nave dello stato29; il motivo della tempestas rei publicae e l’immagine dell’orato-re-politico come gubernator s’integrano perfettamente nell’auto-rappresentazione dell’Arpinate come servator della nave della repubblica sbattuta dai flutti tempe-stosi della sovversione catilinaria e clodiana, come ben illustrano i capitoli centrali della pro sestio (45-46). Il mare ciceroniano, il gurges profondissimo di sest. 93 e Planc. 15, è simbolo poi della “profondità” della libido umana, rappresentata dalla nefanda – e illimitata, senza fondo – brama di potere dei nemici della stabilità dello stato, i praedones avidi il cui unico scopo è il sovvertimento, il naufragio, delle isti-tuzioni repubblicane. In tale assimilazione di negatività della profondità marina e negatività dell’animo umano30, appare centrale l’immagine ciceroniana del portus, associata alla tranquillità data dal rifugio negli studi liberali (fam. v 15, 3; vii 30, 2; ix 6, 4; att. iv 6, 2) nonché alla serenità che segue al ritiro dalla vita politica attiva (fam. xiii 66, 2; ad Brut. 13, 2; att. iii 19, 1; vi 13, 2); la pace del “mare” della filo-sofia si contrappone poi alla turbolenza del mare dell’oratoria politica, scopulosum atque infestum, in un noto passo del terzo libro del De oratore (haec autem, ut ex apennino fluminum, sic ex communi sapientiae iugo sunt doctrinarum facta divor-tia, ut philosophi tamquam in superum mare ionium defluerent, Graecum quoddam et portuosum, oratores autem in inferum hoc, tuscum et barbarum, scopulosum atque infestum laberentur, in quo etiam ipse ulixes errasset iii 69)31.

teraria della prima età imperiale, Pisa 2007, pp. 340-352 (sul ritratto declamatorio di Alessandro cfr. pp. 342-348).

27 Sulle allusioni alla realtà contemporanea nelle declamazioni si veda L. Pernot, il non-detto della declamazione greco-romana: discorso figurato, sottintesi e allusioni politiche, in L. Calboli Montefu-sco, Papers on Rhetoric viii. Declamation, cit., pp. 209-234.

28 Per la presenza di metafore marine nella corrispondenza ciceroniana rimando a S. Pittia, circu-lation maritime et transmission de l’information dans la correspondance de cicéron, in J. Andreau - C. Virlouvet (éds.), l’information et la mer dans le monde antique, Roma 2002, pp. 197-217.

29 e. Fantham, comparative studies in Republican latin imagery, Toronto 1972, in part. pp. 117-118 e 126-128; si veda. anche M. Bonjour, cicero Nauticus, in R. Chevallier (éd.), Présence de cicé-ron. hommage au R.P. testard, Paris 1984, pp. 9-19.

30 Cfr. P. Mantovanelli, Profundus, cit., pp. 69 ss.31 Cfr. quanto osserva D. Mankin (ed.), Cicero, De Oratore Book iii, Cambridge 2011 («Philoso-

phy and oratory likewise share a common source, but found separate outlets, the former in a sea of tranquillity (= the life of contemplation), the latter in troubled waters (= the active life). The water im-

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Per quel che riguarda più specificatamente l’Oceano, “cintura” dell’angusta parva insula terrestre nell’esposizione metafisica del somnium (13)32, l’oratoria ciceroniana ne offre un’immagine per così dire classica, con costante attenzione ai canonici aspetti dell’infinità, mostruosità, e soprattutto “alterità” rispetto all’orbis romano. nell’orazione De provinciis consularibus, pronunciata in Senato nell’e-state del 56 a.C. a supporto della proposta di mantenimento dell’imperium delle Gallie a Cesare, l’Oceano è visualizzato in ben tre casi come limite estremo e con-fine del mondo dominato e pacificato dalle armi romane (29; 31; 34); similmente nel panegirico di Pompeo, all’interno dell’appassionato discorso in favore della lex Manilia (33), alla virtus bellica dell’imperator si deve l’assenza di praedonum navis all’interno dei confini dell’ecumene delimitato dalla distesa oceanica. Appare evidente come al concetto di immensità e confine della sfera terrestre, sottomessa al potere romano, si congiunga l’idea dell’Oceano come “altro”, entità irraggiungibile e inconoscibile, inarrivabile anche per le divine virtù dei celebrati condottieri roma-ni. e “alterità” diventa facilmente “mostruosità”: il feroce attacco contro la voracità di Antonio nella seconda filippica (67: Quae charybdis tam vorax? charybdin dico? Quae si fuit, animal unum fuit: Oceanus, me dius fidius, vix videtur tot res tam dissipatas, tam distantibus in locis positas tam cito absorbere potuisse) utilizza iperbolicamente la metafora oceanica, nel parallelo Cariddi/Antonio, per indicare la straordinaria, disumana, “fame” del tribuno, insuperata anche dal vorace Oceano, mostruosa entità miticamente raffigurata nell’atto di divorare esseri e cose diverse e lontane fra loro33.

Torniamo alla prima suasoria di Seneca padre, in cui la simbologia oceanica fa da cornice alla riflessione sulla “moralità” del progetto trans-marino di Alessandro. Il principium (incompleto), probabilmente frutto della competenza linguistica del retore Arellio Fusco, mostra bene la fusione di tradizionali motivi del mito oceani-co e loci communes sulla follia della traversata alessandrea (Sen. suas. 1, 1)34:

... sinunt. cuicumque rei magnitudinem natura dederat, dedit et modum. Nihil infinitum est nisi Oceanus. aiunt fertiles in Oceano iacere terras ultraque Oceanum rursum alia litora, alium nasci orbem, nec usquam rerum naturam desinere sed semper inde, ubi desisse videa-tur, novam exsurgere. facile ista finguntur, quia Oceanus navigari non potest. satis sit hacte-nus alexandro vicisse, qua mundo lucere satis est. intra has terras caelum hercules meruit.

agery is familiar, but it is enlivened here with geographical and geological specifics, literary allusion, and interaction or assimilation, the use for the subjects of the comparison of language appropriate to the objects with which they are compared», p. 161).

32 Omnis enim terra quae colitur a vobis, angusta verticibus, lateribus latior, parva quaedam in-sula est, circumfusa illo mari quod atlanticum quod magnum quem Oceanum appellatis in terris, qui tamen tanto nomine quam sit parvus vides.

33 Sul passo rimando alle note di commento di J.T. Ramsey (Cicero, Philippics i-ii, Cambridge 2003, pp. 256-257), che pone l’accento sulla presenza della doppia iperbole Cariddi/Oceano, già osservata da Quint. inst. viii 6, 70; xii 10, 62; si veda anche R. Cristofoli, cicerone e la ii Filippica. circostanze, stile e ideologia di un’orazione mai pronunciata, Roma 2004, pp. 192-195.

34 Per il testo di Seneca retore seguo l’edizione a cura di L. Håkanson, Leipzig 1989; importante ora il commento a cura di S. Feddern (Hrsg.), Die suasorien des älteren seneca, Berlin-Boston 2013, pp. 149-224.

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stat immotum mare et quasi deficientis in suo fine naturae pigra moles; novae ac terribiles figurae, magna etiam Oceano portenta, quae profunda ista vastitas nutrit; confusa lux alta caligine et interceptus tenebris dies; ipsum vero grave et defixum mare et aut nulla aut ignota sidera. tua est, alexander, rerum natura; post omnia Oceanus, post Oceanum nihil.

Al modus, peculiarità di ogni elemento naturale, pur nella sua magnitudo, si contrappone l’infinità dell’Oceano, la cui inconoscibilità pone le basi per la crea-zione di un universo fantastico, insieme di mondi e creature misteriose e diverse. L’immaginazione umana, costantemente protesa alla ricerca – e conquista – dell’al-ter, trova nell’Oceano, non navigabile e quindi non definibile, il punto di partenza per la formazione di un mondo “altro”, cui proiettare i propri desideri di eternità. In tale prospettiva si spiega il sovrannaturale disegno di Alessandro di assoggettare l’immobile moles del pigro, tenebroso, Oceano, la cui profunda vastitas è nutri-mento per novae ac terribiles figurae di esseri marini; Alessandro ha vinto tutto ciò che lucet sulla terra e aspira ora a ciò che sta al di fuori dell’umana conoscibilità; ma, come ribadisce la conclusiva sententia del declamatore, post Oceanum nihil.

Se proseguiamo nella lettura della suasoria, al di là della pedissequa ripetizione di ben noti simboli legati all’immagine oceanica, appare comune l’approccio, per così dire gnoseologico, dei retori al tema della navigazione alessandrea. Pressoché invariabile è la modalità argomentativa. Alla drammatica descriptio della vastità inaccessibile dell’Oceano si unisce l’invito, in forma di vera e propria dissuasio, all’uomo Alessandro a non concupiscere ciò che nescit: i confini del mondo cono-sciuto e dell’impero conquistato dal condottiero macedone coincidono e tentare l’immensità oceanica significa violare ciò che la natura ha volutamente sottratto alla vista dell’uomo. Significativo in tal senso il trattamento della quaestio da parte del retore Moschio (1, 2):

moschi. tempus est alexandrum cum orbe et cum sole desinere. Quod noveram, vici; nunc concupisco quod nescio. Quae tam ferae gentes fuerunt, quae non alexandrum posito genu adorarint? Qui tam horridi montes, quorum non iuga victor miles calcaverit? ultra liberi patris tropaea constitimus. Non quaerimus orbem sed amittimus. immensum et humanae intemptatum experientiae pelagus, totius orbis vinculum terrarumque custodia, inagitata remigio vastistas; litora modo saeviente fluctu inquieta, modo fugiente deserta; taetra ca-ligo fluctus premit, et nescio qui, quod humanis natura subduxit oculis, aeterna nox obruit.

L’immensità e vastità del pelagus oceanico, e analogamente la ferocia e crudeltà dei voraci, tetri, flutti marini, funge da limite alla ricerca di altri mondi: vinculum to-tius orbis, l’Oceano chiude l’orizzonte ai vani sogni umani di immortalità. In tale ot-tica il ricorso al tradizionale locus de fortuna suona come invito alla moderatio, virtù principe dell’uomo dotato di magnum pectus35; il retore Albucio Silo, «a declaimer fond of philosophizing»36, richiama il limite naturale posto alla grandezza, in termini

35 Sull’uso del locus de fortuna nella declamazione latina cfr. S.F. Bonner, Roman Declamation in the late Republic and early empire, Liverpool 1949, pp. 61-3; in generale sulla presenza del tema della instabilità della fortuna nella letteratura latina si veda I. Kajanto, fortuna, AnRW ii.17.1 (1981), pp. 502-558, in part. pp. 521-553.

36 J. Fairweather, seneca the elder, Cambridge 1981, p. 135; sullo stile di Albucio pp. 290-291.

nihil infinitum est nisi Oceanus 333

“polibiani” che ricordano da vicino la spiegazione senecana del declino dell’oratoria in contr. i praef. 7 e l’esortazione a Marcia ad accettare la morte come punto finale della parabola della vita umana nella consolatio di Seneca filosofo 23, 3 (1, 3):

albuci sili. terrae quoque suum finem habent et ipsius mundi aliquis occasus est. Nihil infinitum est. Modum magnitudini facere debes, quoniam fortuna non facit. Magni pecto-ris est inter secunda moderatio. eundem fortuna victoriae tuae quem naturae finem facit: imperium tuum cludit Oceanus. O quantum magnitudo tua rerum quoque naturam super-gressa est: alexander orbi magnus est, alexandro orbis angustus est. aliquis etiam magni-tudini modus est; non procedit ultra spatia sua caelum; maria intra terminos suos agitantur. Quidquid ad summum pervenit, incremento non reliquit locum. Non magis quicquam ultra alexandrum novimus quam ultra Oceanum.

La successiva descriptio del retore Fabiano rielabora con maggiori virtuosismi il motivo dell’insania Oceani, terribile conventus di mostri marini, distesa sacra, circonferenza dell’ecumene, aggiungendo interessanti riferimenti allo sviluppo di una vera e propria “scienza” oceanografica. Conoscitori delle leggi che regolano i fenomeni naturali, i geografi e astrologi della prima età imperiale, illi [...] quibus nulla pars ignota mundi est, dibattono sull’essenza ed estensione dell’Oceano, in-certi sulla sua “circolarità” e sull’esistenza di ignis o spiritus al di là della cintura marina: significativo il livello stilistico del trattamento del tema da parte di Fabia-no, «a competent imitator of the more eccentric side of Fuscus’ art»37, attento all’u-so di raffinatezze semantiche (caligo, conventus, siderum meatus, spiramenta) e di elaborate sententiae, quasi a emulare l’altezza – e oscurità – dottrinale dei trattati scientifici sulla natura dell’universo (1, 4)38:

fabiani. Quid? ista toto pelago infusa caligo navigantem tibi videtur admittere, quae pro-spicientem quoque excludit? Non haec india est nec ferarum terribilis ille conventus. im-manes propone beluas, aspice, quibus procellis <Oceanus> fluctibusque saeviat, quas ad litora undas agat. tantus ventorum concursus, tanta convulsi funditus maris insania est. nulla praesens navigantibus statio est, nihil salutare, nihil notum. Rudis et imperfecta natu-ra penitus recessit. ista maria ne illi quidem petierunt, qui fugiebant alexandrum. sacrum quiddam terris natura circumfudit Oceanum. illi, qui iam siderum collegerunt meatus et annuas hiemis atque aestatis vices ad certam legem redegerunt, quibus nulla pars ignota mundi est, de Oceano tamen dubitant, utrumne terras velut vinculum circumfluat an in suum colligatur orbem et in hos per quos navigatur sinus quasi spiramenta quaedam ma-gnitudinis exaestuet; ignem post se, cuius alimentum ipse sit, habeat an spiritum.

La divisio, introdotta dal retore Cestio Pio in forma di riflessione sulla necessità di modulare il trattamento dei discorsi deliberativi in base al destinatario39, propone all’attenzione la questione, particolarmente rilevante nel dibattito critico sull’eti- ca della regalità nei primi decenni dell’età imperiale, della cosiddetta insolentia regis (1, 5):

37 ibi, p. 271.38 Sullo stile del retore Fabiano, riflesso dello «standard sententious style of the early imperial

schools» cfr. ibi, pp. 271-273. 39 ibi, pp. 54 e 284.

334 Giuseppe la Bua

divisio. aiebat cestius hoc genus suasoriarum aliter declamandum, <cum magis adulan-dum> esset quam suadendum. Non eodem modo in libera civitate dicendam sententiam quo apud reges, quibus etiam quae prosunt ita tamen, ut delectent, suadenda sunt. et inter reges ipsos esse discrimen: quosdam minus aut magis veritatem pati; alexandrum ex iis esse, quos superbissimos et supra mortalis animi modum inflatos accepimus. Denique, ut alia di-mittantur argumenta, ipsa suasoria insolentiam eius coarguit: orbis illum suus non capit...

Scopo della suasoria è attaccare, coarguere, la superbia e tracotanza del re, cui non va risparmiata comunque una diplomatica, ironica, forma di adulazione. Cestio si dilunga sull’importanza del “giusto” atteggiamento nei confronti del sovrano, la cui veneratio non deve assolutamente tradire alcuna forma di irrisio: exempla tratti dall’epistolografia ciceroniana (Cic. fam. xv 19, 4)40 e dal repertorio storico-mitografico, digressioni, quasi fabellae, che impreziosiscono e “addolciscono” la performance oratoria (1, 7)41, contribuiscono a determinare il tono da “political pamphlet” della suasoria, bell’esempio di integrazione della classica laus principis in un contesto di carattere etico e etno-paradossografico, in cui l’esortazione alla moderazione del princeps nella buona fortuna si piega a divenire meditazione sulla inviolabilità della natura e sulla non navigabilità dell’Oceano.

Alle lodi di Alessandro segue, quindi, la discussione sulla prima quaestio (an Oceanus navigandus sit), sviluppata intorno al concetto di natura inviolabile e sa-cra della distesa marina e al consueto locus de fortuna; la seconda quaestio (an Oceanus navigari possit) tratta il tradizionale tema della difficoltà – e pericolosità – della navigazione transoceanica secondo modalità gnoseologiche, nei termini cioè di assenza di conoscenza di un’entità naturale, all’interno e al di là della quale (in Oceano aut trans Oceanum) non esistono terre abitabili (1, 9-10):

fabianus philosophus primam fecit quaestionem eandem; etiamsi navigari posset Ocea- nus, navigandum non esse. at rationem aliam primam fecit: modum imponendum esse re-bus secundis. hic dixit sententiam: illa demum est magna felicitas, quae arbitrio suo consti-tit. Dixit deinde locum de varietate fortunae, et, cum descripsisset nihil esse stabile, omnia fluitare et incertis motibus modo attolli, modo deprimi, absorberi terras et maria siccari, montes subsidere, deinde exempla regum ex fastigio suo devolutorum, adiecit: “sine potius rerum naturam quam fortunam tuam deficere”. 10. secundam quoque quaestionem aliter tractavit; divisit enim illam sic, ut primum negaret ullas in Oceano aut trans Oceanum esse terras habitabiles. Deinde: si essent, perveniri tamen ad illas non posse. hic difficultatem navigationis, ignoti maris naturam non patientem navigationis, novissime: ut posset perve-niri, tanti tamen non esse. hic dixit incerta peti, certa deseri: descituras gentes, si alexan-drum rerum naturae terminos supergressum enotuisset.

40 Sen. suas. 1, 5: eleganter in c. cassi epistula quadam ad M. ciceronem missa positum: multum iocatur de stultitia cn. Pompei adulescentis, qui in hispania contraxit exercitum et ad Mundam acie victus est. deinde ait: “nos quidem illum deridemus, sed timeo, ne ille nos gladio ajntimukthrivsh/”. Sull’epistola di replica di Cassio a Cicerone cfr. le brevi note di commento a cura di D.R. Shackleton Bailey (Cicero, epistulae ad familiares, ii, Cambridge 1977, pp. 381-382).

41 Per l’uso degli exempla nella declamazione latina (e per una sintetica discussione della teoria dell’exemplum nella retorica antica) si veda M.G.M. Van der Poel, the use of exempla in Roman Declamation, «Rhetorica» 27/3 (2009), pp. 332-353.

nihil infinitum est nisi Oceanus 335

L’Oceano navigandum non est: anche se fosse possibile percorrere la distesa oceanica, la gloria di Alessandro ha già superato i limiti naturali (satis gloriae quae- situm) e complures causae devono indurre il re alla moderazione (1, 8). Come mo-stra ancora Fabiano, la variabilità della fortuna impone modum rebus secundis: nulla di ciò che è terreno è stabile e gli exempla regum ex fastigio suo devolutorum dimostrano l’ineluttabilità del destino umano. Lasciando da parte i toni semplici-stici, talora banali, che contraddistinguono le diverse descriptiones dell’Oceano, indizio di stile corrotto e “decadente”, come osserva successivamente lo stesso Seneca (1,12; 13), la suasoria appare come un conglomerato di loci classici sulla natura dell’Oceano, portato di una lunga e consolidata tradizione, all’interno di una generale cornice moralistica, in cui il mare – e la figura di Alessandro – sembrano assumere una funzione didattico-parenetica, come “ricordo” cioè dell’inviolabilità delle leggi universali e divine stabilite dalla natura. esemplificativa di tale uso etico della materia oceanica è la lunga, vigorosa e patetica, descrizione della spedizione di Germanico da parte di Albinovano Pedone, ventitré esametri ricchi di spiritus, connotati da un vivo senso della natura (1, 15):

Iam pridem post terga diem solemque relictumiamque vident noti se extorres finibus orbis,per non concessas audaces ire tenebrasHesperii metas extremaque litora mundi.nunc illum, pigris immania monstra sub undisqui ferat, Oceanum, qui saevas undique pristisaequoreosque canes, ratibus consurgere prensis– accumulat fragor ipse metus –, iam sidere limonavigia et rapido desertam flamine classem,seque feris credunt per inertia fata marinisiam non felici laniandos sorte relinqui.Atque aliquis prora caecum sublimis ab altaaera pugnaci luctatus rumpere visu,ut nihil erepto valuit dinoscere mundo,obstructo talis effundit pectore voces:“quo ferimur? Fugit ipse dies orbemque relictumultima perpetuis claudit natura tenebris.Anne alio positas ultra sub cardine gentesatque alium bellis intactum quaerimus orbem?Di revocant rerumque vetant cognoscere finemmortales oculos. Aliena quid aequora remiset sacras violamus aquas divumque quietasturbamus sedes?”

Come ha ben dimostrato Vincenzo Tandoi, il frammento offre un’immagine pos-sente della ribellione della natura di fronte all’inarrestabile brama di conoscenza – e dominio – dell’uomo42. La rabbia del mare, pigris, immobile, distesa senza venti,

42 V. Tandoi, albinovano Pedone, cit., pp. 509-510. Si veda anche e. Berti, scholasticorum stu- dia, cit., pp. 354-358; per un’analisi stilistica e linguistica di questo frammento si rimanda a e. Court-

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è ben espressa dal verbo consurgere (v. 7), a indicare il sollevarsi delle onde ocea-niche e l’improvvisa, spaventosa, apparizione di mostruose forme animali; in toni enfatici e patetici di stampo lucaneo, limpido esempio di stile “sublime”, Pedone descrive il fallimento della spedizione di Germanico verso il mare del nord nei ter-mini di violazione della sacralità immota della natura43. L’Oceano punisce l’auda- cia dei marinai di Germanico, che hanno osato ire per non concessas tenebras (v. 3) e superare gli estremi confini del mondo conosciuto; le drammatiche, angosciose, parole del marinaio atterrito dalla tempesta oceanica (vv. 16-23) dissuadono dal quaerere nuovi mondi e dal violare le sacre e quiete acque del mare, limite ultimo e invalicabile alla nefasta sete di conoscenza dell’uomo.

La dissuasio del marinaio di Pedone (probabilmente preceduta da una adhorta-tio di Germanico alle truppe) ben s’inserisce nel repertorio retorico relativo al trat-tamento del tema dell’audacia in una prospettiva geografica oltremondana. Quae-stio tradizionale nelle scuole, legata naturalmente alla satira diatribica, il dibattito sull’audacia, riflesso di un tema di forte rilevanza politico-sociale quale l’amplia-mento dei confini dell’impero, si ripropone, nel testo di Pedone, come critica verso la vana speranza umana di immortalità, contro cui si scaglia la potenza della natura offesa. In tal senso il frammento epico si allinea a ben più noti testi sull’immoralità e dissennatezza umana, quali il già citato coro senecano della Medea, la parodica invettiva petroniana, inserita nel lungo carme esametrico di eumolpo sulla guerra civile (119, 1-66)44 o la tirata giovenaliana contro la follia della navigazione e l’ava-rizia nella quattordicesima satira (275-302)45; rileggendo in negativo la tradizionale celebrazione della virtus del condottiero romano, teso alla prolatio imperii, Pedone eleva la spedizione trans-marina di Germanico a simbolo della violenza umana nei confronti della divinità, personificata qui nell’Oceano, barriera alla smodata ambizione umana, esortando quindi, attraverso le parole del marinaio-filosofo, al rispetto delle leggi eterne della natura.

Letto in un’ottica esclusivamente storico-politica, il frammento di Pedone trova un significativo parallelo nella già menzionata laus caesaris (anth. 419-426 Riese = 417-424 SB), lungo frammento epigrammatico attribuito a Seneca filosofo, dove la celebrazione della conquista dell’Oceano e dell’alter orbis da parte di Claudio si

ney, the fragmentary latin Poets, Oxford 1993, pp. 315-319; S. Feddern, Die suasorien, cit., pp. 214-224.

43 Per la spedizione di Germanico dell’anno 16 d.C. cfr. Tac. ann. ii 23-4; alla spedizione di Druso nel 12 d. C. (non Germanico), sulla base di Cassio Dione LIV 32, 2-3, pensa H. Labuske, Die Römer am Kimbernkap, «Klio» 71 (1989), pp. 138-145, in part. pp. 142-143.

44 Sul passo si vedano le note di G. Schmeling (a commentary on the satyrica of Petronius, with the collaboration of A. Setaioli, Oxford 2011, pp. 454-456).

45 Per un’analisi del passo rimando a quanto osserva e. Courtney, a commentary on the Satires of Juvenal, London 1980, pp. 561-589. Sulla topica dell’avarizia in Giovenale si veda S.H. Braund, Beyond anger. a study of Juvenal’s third Book of satires, Cambridge 1988, pp. 191-193; G. Highet, Juvenal the satirist. a study, Oxford 1954, pp. 145-8. Importante S. Morton Braund, Declamation and contestation in satire, in M. Plaza (ed.), Oxford Readings in classical studies. Persius and Juve-nal, Oxford 2009, pp. 450-468; F. Bellandi, intellettuali e insegnanti nella satira 7 di Giovenale, in R. Ferri - F. Bellandi (a cura di), aspetti della scuola nel mondo romano, Amsterdam 2007, pp. 115-144.

nihil infinitum est nisi Oceanus 337

immette all’interno di una generale, tradizionale, lode dell’imperatore come novel-lo Alessandro46. «A deliberate imitation of Seneca in the panegyrical tradition»47, l’epigramma descrive la “ritirata” dell’Oceano di fronte alla vittoria di Claudio nei termini di una resa incondizionata delle forze della natura: l’Oceano terga dedit (anth. 425 Riese) e la semota Britannia, circondata e difesa dalla distesa oceanica, ha ormai posto il collo sotto il giogo delle armi romane (anth. 426 Riese).

Ma al tono propagandistico che si accompagna alla raggiunta identificazione dei limiti del mondo con i limiti dell’impero, resa possibile dalla sottomissione dell’ostile Oceano e dalla conquista delle mitiche isole britanniche (celebrata nei termini di acquisizione di un nuovo orbis)48, non sembra del tutto estranea una sottile, velata, critica verso i progetti di espansione territoriale di Claudio. Come ha ben visto Breitenbach49, alcuni raffronti lessicali con la tragedia pseudo-senecana Octavia (26-30: teque extinxit, miserande pater, / modo cui totus paruit orbis / ul-tra Oceanum / cuique Britanni terga dedere / ducibus nostris ante ignoti / iurisque sui)50 e con la parodica naenia per Claudio nell’apocolocyntosis (12, 2, 13-14: ille Britannos ultra noti / litora ponti subiecit), dove ricompare anche la personifica-zione dell’Oceano tremante di fronte ai nova iura (12, 2, 17-18: iussit et ipsum nova Romanae / iura securis tremere Oceanum)51, suggeriscono la presenza di una “seconda voce”, espressione di quell’ironica ambiguità che caratterizza l’atteggia-mento dell’anonimo imitatore di Seneca nei confronti del potere imperiale. In una prospettiva simile, il frammento epigrammatico, in combinazione con l’epico rac-conto di Pedone, rispecchia i toni del dibattito intorno alla natura del potere e i suoi limiti che connota larga parte della letteratura di età imperiale. L’ampliamento dei

46 Per una fine interpretazione dell’epigramma si veda V. Tandoi, il trionfo di claudio sulla Bri-tannia e il suo cantore (Anth. Lat. 419-426 Riese), in Id., scritti di filologia e di storia della cultura classica, i, Pisa 1992, pp. 449-508; importante anche A. Breitenbach, Kommentar zu den Pseudo-seneca-epigrammen der anthologia Vossiana (Anthologiarum Latinarum Parerga, 2), Hildesheim 2009 (sulla laus cfr. pp. 271-307); Id., Die Pseudo-seneca epigramme der anthologia Vossiana. ein Gedichtbuch aus mittleren Kaiserzeit, Hildesheim-Zürich-new York 2010.

47 A.A. Barrett, the Laus Caesaris. its history and its Place in latin literature, «Latomus» 59 (2000), pp. 596-606, in part. p. 603.

48 Cfr. Serv. buc. 1, 66: divisos] quia olim iuncta fuit orbi terrarium Britannia: est enim insula re- posita in Oceano septentrionali: et a poetis alter orbis terrarium dicitur.

49 A. Breitenbach, ein lobpreis aus Korsika? Überlegungen zu epigrammen auf den Britannien-sieg des claudius (Anth. Lat. 419-426 Riese), «Philologus» 153/2 (2009), pp. 255-277.

50 Cfr. R. Ferri (ed.), Octavia. a Play attributed to seneca, Cambridge 2003, pp. 132-133.51 Sulla menzione dell’Oceano come allargamento delle dimensioni del successo di Claudio, im-

magine cristallizzata nell’ambito della celebrazione dell’impresa britannica, si veda A. Bonandini, il contrasto menippeo. Prosimetro, citazioni e commutazione di codice nell’Apocolocyntosis di seneca, Trento 2010, pp. 444-445 (che osserva anche come «la personificazione dell’Oceano, in combinazio-ne con le immagini dei data colla catenis e della Romana securis, tramuta il concetto astratto della conquista della Britannia nell’immagine della sfilata dei prigionieri»); per il gioco anfibologico in tremere nova iura e l’elemento parodico cfr. p. 445. Interessante il parallelo con l’Oratio claudii de iure honorum Gallis dando (Fontes Iuris Romani Anteiustiniani i2, nr. 43: col. i, lin. 37-40: iam si narrem bella, a quibus coeperint maiores nostri, et quo processerimus, vereor ne nimio insolentior esse videar et quaesisse iactationem gloriae prolati imperi ultra oceanum); si veda M. von Albrecht, Meister römischer Prosa von cato bis apuleius. interpretationen, Heidelberg 1971, pp. 164-189.

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confini dell’impero e la lungamente agognata assimilazione orbis-imperium sem-brano trovare la loro realizzazione nella trionfale impresa trans-oceanica di Clau-dio; ma il varcare l’Oceano – e superare i confini della mens humana – non può non configurarsi come atto di hybris e, in tal senso, anche la conquista dell’alter orbis impone una riflessione sulla necessità di rispettare il modus posto dalla natura al folle disegno umano di assoggettare e dominare la divinità.

Giungiamo rapidamente alla conclusione. L’approccio etno-paradossografico al problema della prolatio imperii e la “rilettura” moralistica della navigazione trans-marina di Alessandro – e dei suoi emulatori Germanico e Claudio –, nel dibattito declamatorio, nell’epica descrizione di Pedone, e nella pseudo-senecana laus ri-spettivamente, si intrecciano a formare un quadro di forte pathos, in cui l’Oceano, esplicitamente o velatamente, funziona da simbolo del sacro limite posto alla cadu-cità umana: retorica e genere epico-epigrammatico cooperano nel tracciare i confini dell’orbis terrarum, identificato con l’orbis Romanus, immenso ma non illimitato, definito comunque dalla sacra cintura dell’immobile distesa oceanica.

La pratica declamatoria, esemplata nella prima suasoria, ben illustra, quindi, la presenza del topos oceanico come stimolo alla meditazione, per quanto in modalità lontane dalla diatriba filosofica del giovane Seneca, sulla variabilità della sorte, sull’etica del potere, e sulla limitatezza della natura umana. L’Oceano retorico è limes sacro del mondo conosciuto. Come ben dimostra il Panegirico di eumenio per la ricostruzione delle scuole di Autun (Pan. lat. 9 [4], 20 Videat praeterea in illis porticibus iuventus et cotidie spectet omnes terras et cuncta maria et quidquid invictissimi principes urbium gentium nationum aut pietate restituunt aut virtute devincunt aut terrore devinciunt. siquidem illic, ut ipse vidisti, credo, instruendae pueritiae causa, quo manifestius oculis discerentur quae difficilius percipiuntur auditu, omnium cum nominibus suis locorum situs spatia intervallia descripta sunt, quidquid ubique fluminum oritur et conditur, quacumque se litorum sinus flectunt, qua vel ambitu cingit orbem vel impetus inrumpit Oceanus)52, le mappe geografiche poste nei portici della restaurata scuola di retorica offrono un’immagine del mondo “armonizzato” e pacificato sotto il dominio dei tetrarchi, delimitato dal confine oceanico; nella creazione di una memoria storico-geografica, essenziale nel proces-so di formazione del nobile, giovane, rampollo romano, futuro membro della classe dirigente, il senso di unità ecumenica prodotto dalla visione dell’orbis Romanus viene rinsaldato dalla conoscenza del limite posto dalla natura alle divine imprese degli imperatori. La nozione dei luoghi che hanno visto e testimoniato il potere delle armi romane non è infatti separata dalla consapevolezza che, pur nella sua grandezza, l’orbis pacificato da Roma ha un limite; l’immagine del mondo funge da strumento educativo, richiamando – e istruendo – la mente dei giovani studenti di retorica alla conoscenza e al rispetto dei naturali confini dell’ecumene.

Alla scuola di retorica gli studenti non apprendevano solo l’arte della parola e del virtuosismo linguistico; imparavano anche l’arte della “saggezza”, di quella

52 Per un’analisi del Panegirico rimando a C.e.V. nixon - B.S. Rodgers, in Praise of later Roman emperors. the Panegyrici latini, Berkeley 1994, pp. 145-177; G. La Bua, Patronage and education

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saggezza, tutta Romana, che consisteva nell’“inner self-contentment” e nel rispetto del modus. Come dimostra l’approccio, talora ambiguo, di Seneca nei confronti del viaggio, il saggio, o l’aspirante tale, non trova nel viaggio la via verso la sapientia53. Allo stesso modo, il giovane retore non trova nella navigazione trans-oceanica e nella violazione del modus la via verso l’acquisizione degli strumenti essenziali al conseguimento della sapientia idonea all’arte di governo. Attraverso la manipola-zione del tema retorico del viaggio di Alessandro, del locus de fortuna, e del motivo oceanico il retore ricorda a sé – e ai suoi compagni – il valore della moderazione e il rispetto dei limiti imposti all’ars dominandi.

abstract: The imagery of Ocean is well exploited in Roman historiography and rhetoric from the late Republic onwards. notably, in the Augustan age and under the reign of Claudius, victory over sea monsters, in emulation of Alexander’s superhuman deeds, is perceived as crucial to the process of deification of the imperator. This paper explores the manipulation of the theme of Ocean in the declamation of the early imperial period. The main focus is on the use of the myth of Alexander in Seneca the elder’s first suasoria, where the moralistic reading of Alexander’s trans-oceanic expedition sounds like an invitation, in “pedagogical” terms, to respect the modus imposed on human ambition by natural law. The analysis of the poetic description of Germanicus’ expedition by Albinovanus Pedo (Sen. suas. 1, 15), in conjunction with the pseudo-Senecan laus caesaris (anth. 419-426 Riese), corroborates a moralistic interpretation of the notion of prolatio imperii. The imperial control over natural forces, exemplified by Claudius’ triumphalist self-presentation as a “second” Alexander, is ironically regarded as a violation of the boundaries of human knowledge.

Keywords: Ocean, World space, The myth of Alexander, Human impiety, natural order, Roman rhetoric and historiography, Cicero, Seneca the elder, anthologia latina, Imperial propaganda.

in third-century Gaul. eumenius’ Panegyric for the Restoration of the schools, «Journ. Late Ant.» 3/2 (2010), pp. 300-315.

53 S. Montiglio, should the aspiring Wise Man travel? a conflict in seneca’s thought, «Am. Journ. Phil.» 127/4 (2006), pp. 553-586.

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