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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Ingegneria e Architettura
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA CLINICA
Tesi di Laurea Magistrale in Metodi di Fisica Medica
TECNICHE DI ANALISI PER LA VALUTAZIONE DELLA ATROFIA CEREBRALE IN IMMAGINI MRI AD ALTA
RISOLUZIONE SPAZIALE
Laureando: Relatore:
Jacopo Piu prof. Renata Longo
Anno accademico 2015/2016
I
Dedico questo mio ultimo lavoro ai miei genitori
per essere stati un costante sostegno durante
questo lungo e difficile percorso
e alla mia dolce metà,
per aver camminato al mio fianco
dall’inizio alla fine.
II
III
1 SOMMARIO
SOMMARIO III
INTRODUZIONE VI
L’IMAGING E L’ALZHEIMER 1
1.1 LA MALATTIA DELL’ALZHEIMER 1
1.2 DIAGNOSI DELLA MALATTIA DELL’ALZHEIMER 3
1.3 LO STUDIO LONGITUDINALE 7
2 IMAGING DI RISONANZA MAGNETICA 11
2.1 CONTESTUALIZZAZIONE DEL PROBLEMA 11
2.2 RISOLUZIONE SPAZIALE E TEMPI DI ACQUISIZIONE 12
2.3 RAPPORTO SEGNALE/RUMORE 14
3 MATERIALI E METODI 17
3.1 STRUMENTAZIONE 17
3.1.1 TOMOGRAFO 17
3.1.2 SISTEMA DI CALCOLO 18
3.2 SEQUENZE DI ACQUISIZIONE 19
3.2.1 IL PROTOCOLLO MP-RAGE 19
3.2.2 PROTOCOLLO AD ALTA RISOLUZIONE (HR) 21
3.3 IL CALIBRATION OBJECT 23
3.4 ACQUISIZIONE DEI DATI 26
3.4.1 POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE 26
3.4.2 PROTOCOLLO RM ENCEFALO 27
3.5 SOFTWARE UTILIZZATI PER L’ANALISI DEI DATI MRI 30
4 ANALISI DEI DATI 34
IV
4.1 FASE DI PRE-PROCESSING 34
4.1.1 CONVERSIONE DELLE IMMAGINI DAL FORMATO DICOM A NIFTI 34
4.1.2 NORMALIZZAZIONE DELL’INTENSITÀ 35
4.1.3 CO-REGISTRAZIONE 40
4.2 SEGMENTAZIONE 47
5 RISULTATI 50
5.1 MISURA DELLA VARIABILITÀ DELLE IMMAGINI 50
6 CONCLUSIONI 56
7 APPENDICE A 59
7.1 PRINCIPI FISICI DELLA RISONANZA MAGNETICA 59
7.1.1 PROPRIETÀ MAGNETICHE DEL NUCLEO 59
7.1.2 TEMPI DI RILASSAMENTO 65
7.1.3 FORMAZIONE DELL’IMMAGINE 71
8 APPENDICE B: CODICI MATLAB 79
8.1 GETVALUES_HR_NII.M 79
8.2 NORMALIZZAZIONE HR.M 81
8.3 MASK_SPM.M 83
8.4 MASK_INTERSEZIONE_HR.M 84
8.5 INDICI_DI_CONFRONTO_HR.M 85
8.6 INDICI_DI_CONFRONTO_MPRAGE.M 86
9 INDICE DELLE FIGURE 87
10 BIBLIOGRAFIA 91
V
VI
1 INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, le tecniche di imaging del sistema nervoso centrale e del cervello in particolare,
hanno assunto un ruolo sempre più decisivo in ambito clinico, come strumenti in grado di per-
mettere la visualizzazione in vivo delle strutture neuro-anatomiche e di rilevarne cambiamenti
morfologici o funzionali, permettendo così la diagnosi e la prognosi di malattie cerebrali. Una del-
le tecniche di neuroimaging di maggior rilevanza, in questo contesto, è l’imaging di Risonanza
Magnetica Nucleare (RMN). Una delle attuali sfide più importanti nel campo della medicina è
proprio la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer (AD). Tale malattia provoca una atrofia
dei tessuti cerebrali, in particolare dei lobi temporali e dell’ippocampo; tale variazione morfologi-
ca può essere adottata come importante biomarker sensibile per identificare cambiamenti neuro-
patologici nelle persone potenzialmente a rischio genetico per l’AD, e per valutare l’efficacia di
trattamenti che rallentino o prevengano la progressione della malattia durante le fasi precliniche.
Per lo studio dell’evoluzione della malattia si è pensato di effettuare un’analisi longitudinale, più
dispendiosa in termini di tempo e di costi, ma che permette di studiare l’evoluzione del fenomeno
nello stesso soggetto.
L’obiettivo di questa tesi è quello di sviluppare gli strumenti software per uno studio clinico lon-
gitudinale allo scopo di investigare la sensibilità dell’imaging morfologico ad alta risoluzione per la
diagnosi precoce della malattia dell’Alzheimer. A questo scopo lo studio si è basato sul confronto
di immagini MR di 2 soggetti volontari acquisite in tempi diversi, in modo da valutare eventuali
variazioni morfologiche. Tutte le immagini analizzate sono state acquisite con un tomografo da
1.5 T in quanto la sua presenza è ubiquitaria nei reparti di risonanza magnetica; è di fatto conside-
rato ancora lo standard operazionale per l’imaging MR, in particolare per il neuroimaging.
Nel capitolo 1 viene descritta la malattia di Alzheimer e le sue conseguenze sul tessuto ce-
rebrale. Inoltre, vengono elencati gli esami per la diagnosi della malattia e qual è il contributo por-
tato dall’imaging di risonanza magnetica.
Nel capitolo 2, dopo una contestualizzazione globale del problema, vengono descritti i
principali fattori da tenere in considerazione per ottimizzare la qualità di un’immagine MR, in
particolare la risoluzione spaziale, i tempi di acquisizione e il rapporto segnale rumore.
Il capitolo 3 illustra la strumentazione utilizzata per questo lavoro di tesi. Contiene, in
particolare, una descrizione del tomografo e delle sequenze utilizzate per l’acquisizione delle im-
VII
magini, e la presentazione di un oggetto di calibrazione (calibration object) sviluppato durante un
lavoro precedente con l’obiettivo di ottenere un riferimento assoluto durante la fase di normaliz-
zazione descritta nel successivo capitolo. È presente, inoltre, una descrizione del calcolatore e dei
software utilizzati per l’analisi dei dati.
Nel capitolo 4 è presentata l’analisi dei dati. In particolare viene descritta la fase di pre-
processing in cui le immagini subiscono diversi trattamenti per raggiungere un buon grado di
omogeneità e rendere possibile il confronto tra le stesse. Questa fase è caratterizzata da tre punti
fondamentali: la conversione dei formati dei dati trattati, la normalizzazione delle intensità delle
immagini con l’utilizzo del calibration object, e la co-registrazione, ovvero l’allineamento, delle
immagini ripetute rispetto a quella di riferimento. Per ogni step, sono mostrati i tempi di elabora-
zione necessari.
Il capitolo 5 descrive gli indici di similitudine utilizzati per il confronto delle immagini e
discute i risultati ottenuti; indica, inoltre, come questi possono essere utilizzati come metodo di
misura della variabilità delle immagini.
VIII
L’imaging E L’Alzheimer La malattia dell’Alzheimer
1
1 L’IMAGING E L’ALZHEIMER
1.1 LA MALATTIA DELL’ALZHEIMER
La malattia di Alzheimer (1), detta anche morbo di Alzheimer, è la forma più comune di
demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età prese-
nile (oltre i 65 anni). La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e
neuropatologo tedesco Alois Alzheimer.
Nel 1901, il dottor Alois Alzheimer, interrogò una sua paziente di 51 anni. Le mostrò parecchi
oggetti e successivamente le domandò che cosa le era stato mostrato. Lei non poteva ricordare.
Inizialmente registrò il suo comportamento come “disordine da amnesia di scrittura”, ma la si-
gnora fu la prima paziente a cui venne diagnosticata quella che in seguito sarebbe stata cono-
sciuta come malattia di Alzheimer. Negli anni successivi vennero registrati in letteratura scienti-
fica undici altri casi simili; nel 1910 la patologia venne inserita per la prima volta dal grande psi-
chiatra tedesco Emil Kraepelin nel suo classico Manuale di Psichiatria, venendo da lui definita
come “malattia di Alzheimer”, o “demenza presenile”. Attualmente, le persone affette da que-
sta patologia a livello globale sono circa 36,5 milioni (600.000 in Italia) e il loro numero è inevi-
tabilmente destinato a crescere a causa del progressivo allungamento della vita media e
dell’aumento della quota di persone anziane. Secondo le stime ufficiali, nel 2050 i malati di Al-
zheimer nel mondo saranno circa 115 milioni (2).
Ad oggi, l’origine esatta della malattia non è nota. Da alcuni anni, si sa, però, che la sua insor-
genza è legata soprattutto all’accumulo, rispettivamente all’esterno e all’interno dei neuroni
presenti nel cervello, di due proteine particolari chiamate beta-amiloide e proteina Tau.
Entrambe queste sostanze esercitano un’azione tossica che determina una morte più rapida
delle cellule nervose, soprattutto di quelle presenti in aree cerebrali importanti per la memoria
(ippocampo e amigdala), interferendo con la capacità di acquisire e trattenere informazioni. Chi
ne soffre, quindi, fatica a ricordare eventi recenti e a imparare nuovi concetti (ad es. che cosa
ha mangiato il giorno prima o una frase letta o ascoltata da poche ore).
L’imaging E L’Alzheimer La malattia dell’Alzheimer
2
Con l’evolvere della malattia, memoria e apprendimento peggiorano progressivamente e la
neuro-degenerazione si ripercuote anche su altre zone del cervello da cui dipendono
l’orientamento spazio-temporale, il comportamento, l’umore, la capacità di comunicare ed ese-
guire tutte quelle operazioni complesse che risultano indispensabili per essere autonomi nella
vita quotidiana.
Il decorso della malattia è diviso in quattro fasi, con un progressivo deterioramento cognitivo e
funzionale:
Pre-demenza. I primi sintomi sono spesso erroneamente attribuiti all'invecchiamento o stress
(3). I test neuropsicologici dettagliati possono rivelare difficoltà cognitive lievi fino a otto anni
prima che una persona soddisfi i criteri clinici per la diagnosi di AD. I primi sintomi possono
influenzare molte attività di vita quotidiana. Uno dei sintomi più evidenti è la difficoltà a ricor-
dare i fatti appresi di recente e l'incapacità di acquisire nuove informazioni. Piccoli problemi
d'attenzione, di pianificare azioni, di pensiero astratto, o problemi con la memoria semantica
(memoria che collega la parola al suo significato) possono essere sintomatici delle prime fasi
dell'Alzheimer. L'apatia, che si osserva in questa fase, è il sintomo neuropsichiatrico più persi-
stente che permane per tutto il decorso della malattia. (4) I sintomi depressivi, irritabilità e la
scarsa consapevolezza delle difficoltà di memoria sono molto comuni. La fase preclinica della
malattia è stata chiamata "mild cognitive impairment" (MCI). Quest'ultima si trova spesso ad essere
una fase di transizione tra l'invecchiamento normale e la demenza. MCI può presentarsi con
una varietà di sintomi, e quando la perdita di memoria è il sintomo predominante è chiamato
"MCI amnesico" ed è spesso visto come una fase prodromica della malattia di Alzheimer. (5).
Fase iniziale. Nelle persone con AD la crescente compromissione di apprendimento e di
memoria alla fine porta ad una diagnosi definitiva. L'AD non colpisce allo stesso modo tutti i
tipi di memoria. Vecchi ricordi della vita personale (memoria episodica), le nozioni apprese
(memoria semantica), e la memoria implicita (la memoria del corpo su come fare le cose, come
l'utilizzo di una forchetta per mangiare) sono colpiti in misura minore rispetto a nozioni impa-
rate di recente (6). Questa fase è caratterizzata da disturbi linguistici, impoverimento del voca-
bolario e una diminuzione della scioltezza. Può essere presente una certa difficoltà d'esecuzio-
ne di attività come la scrittura, il disegno, il vestirsi, la coordinazione dei movimenti e la diffi-
coltà di pianificare movimenti complessi (aprassia).
L’imaging E L’Alzheimer Diagnosi della malattia dell’Alzheimer
3
Fase intermedia. I soggetti affetti da AD vedono la loro indipendenza sempre più ostacolata
a tal punto da non riuscire a svolgere le attività quotidiane. Le difficoltà linguistiche diventano
evidenti per via dell'afasia, che porta frequentemente a sostituire parole con altre errate nel
contesto (parafasie). La lettura e la scrittura vengono lentamente abbandonate. Le sequenze
motorie complesse diventano meno coordinate con il passare del tempo e aumenta il rischio di
cadute. In questa fase, i problemi di memoria peggiorano, e la persona può non riconoscere i
parenti stretti. La memoria a lungo termine, che in precedenza era intatta, diventa compromes-
sa. I cambiamenti comportamentali e neuropsichiatrici diventano più evidenti. I soggetti per-
dono anche la consapevolezza della propria malattia e i limiti che essa comporta (anosognosia).
Fase finale. Durante le fasi finali, il paziente è completamente dipendente dal "caregiver". Il
linguaggio è ridotto a semplici frasi o parole, anche singole, portando infine alla completa per-
dita della parola. Nonostante la perdita delle abilità linguistiche verbali, alcune persone spesso
possono ancora comprendere e restituire segnali emotivi. Anche se l'aggressività può ancora
essere presente, l'apatia e la stanchezza sono i sintomi più comuni. Le persone con malattia di
Alzheimer alla fine non saranno in grado di eseguire anche i compiti più semplici in modo in-
dipendente; la massa muscolare e la mobilità si deteriorano al punto in cui sono costretti a letto
e incapaci di nutrirsi. La causa della morte è di solito un fattore esterno, come un'infezione o
una polmonite.
1.2 DIAGNOSI DELLA MALATTIA DELL’ALZHEIMER
La durata media della malattia varia da 8 a 20 anni, in relazione all’età d’insorgenza e alla veloci-
tà del declino neurocognitivo e fisico globale. Quando si ipotizza la presenza di una possibile
malattia di Alzheimer, la diagnosi si basa inizialmente sulla valutazione di sintomi neurologici e
comportamentali legati a disturbi della memoria, del linguaggio e della percezione spaziale. Ad
oggi gli esami neuropsicologici sono l’unico criterio clinico riconosciuto per la diagnosi della
patologia. Tale esame consiste nel sottoporre il paziente ad una serie di test con lo scopo di ve-
rificare le capacità cognitive. Per quanto la neuropsicologia abbia una lunga tradizione e sia mi-
L’imaging E L’Alzheimer Diagnosi della malattia dell’Alzheimer
4
gliorata tantissimo nei metodi e nell’analisi dei dati, essa richiede un’interazione tra medico e
paziente diretta, che molto spesso è difficile rendere standard tra i diversi casi clinici.
Per stabilire dei criteri più oggettivi ed uniformi si ricorre spesso all’utilizzo di esami neurologi-
ci, tipicamente Tomografia ad Emissione di Positroni (PET, Positron Emission Tomography)
e la Risonanza Magnetica (RM). Attraverso lo studio di immagini RM è possibile visualizzare i
processi che comportano un’alterazione strutturale del tessuto nervoso dovuto all’atrofia cere-
brale tipica dei pazienti affetti da AD (Figura 1-1).
Figura 1-1 Confronto tra l’atrofia della corteccia cerebrale dovuta all’invecchiamento di un soggetto sano (sinistra) e uno malato di Alzheimer (destra)
Anche se per adesso non è stata trovata una cura efficace è possibile, in caso di una diagnosi
precoce, migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei malati. Studi sperimentali hanno eviden-
ziato che alcune zone del cervello sono colpite dall’atrofia anticipatamente e in maniera più
marcata rispetto ad altre, pertanto l’attenzione dei ricercatori si è concentrata su particolari aree
di maggiore interesse. Una di queste è la regione ippocampale (Figura 1-2), struttura cerebra-
le situata nella zona mediale del lobo temporale che svolge un ruolo importante nei meccani-
smi della memoria.
L’imaging E L’Alzheimer Diagnosi della malattia dell’Alzheimer
5
Figura 1-2: Lobo temporale e ippocampo
Attraverso lo studio di immagini cliniche morfologiche, principalmente risonanze magnetiche,
è possibile individuare l’eventuale atrofia della materia cerebrale. Pertanto è fondamentale rico-
noscere e delimitare le diverse strutture cerebrali in modo da poter effettuare delle analisi quali-
tative e quantitative.
Come già accennato, allo stato attuale delle conoscenze non esiste alcuna terapia in grado di
curare questa malattia. Quelle più diffuse sono sintomatiche, anche se si stanno sviluppando
farmaci che, somministrati nelle fasi iniziali o lievi, sono in grado di rallentare il peggioramento
della memoria e delle capacità cognitive dei pazienti. Molta attenzione, quindi, viene dedicata al
Mild Cognitive Impairment (MCI), un deterioramento cognitivo caratterizzato solo da lievi di-
sturbi della memoria o in altre sfere cognitive e può rappresentare uno stadio precoce della ma-
lattia. Poiché non tutti gli MCI sviluppano una demenza, si stanno effettuando molti studi per
cercare di capire quali persone sono a rischio (7).
Attraverso esami come la PET e la MRI è possibile rivelare, rispettivamente, deficit funzionali
nella corteccia associativa e atrofia ippocampale e temporo-parietale.
L’imaging E L’Alzheimer Diagnosi della malattia dell’Alzheimer
6
Figura 1-3: Confronto fra immagini funzionali dell'attività cerebrale di un soggetto sano (sinistra) e uno malato di Alzheimer (destra).
Uno dei problemi principali è la sovrapposizione dei sintomi e delle evidenze morfologiche
nella AD e nella demenza fronto-temporale. L’analisi sempre più dettagliata delle immagini è
quindi fondamentale nella diagnosi differenziale delle patologie neurologiche. La tipologia di
immagini acquisite dalle modality ha offerto la possibilità di ottenere informazioni quantitative
come volume, area o distanze; ha, inoltre, permesso la realizzazione di una rete multimediale di
condivisione delle immagini che amplia notevolmente le prospettive di diagnosi e di ricerca. In
questo contesto il neuroimaging, cioè lo studio e l’elaborazione delle immagini dell’apparato
cerebrale, è diventato una disciplina a sé stante.
Infatti, i problemi di identificazione, segmentazione e caratterizzazione automatica di regioni
clinicamente rilevanti nelle neuroimmagini sono formidabili.
Le peculiarità della regione celebrale e delle malattie ad essa connesse richiedono un costante e
oneroso ricorso all’analisi manuale ad opera di neuroradiologi esperti. L’impellenza di estende-
re la base dati e di migliorare il riconoscimento delle patologie ha reso necessario lo sviluppo di
strumenti ad hoc per l’analisi e il trattamento delle neuroimmagini. Si possono distinguere
principalmente due diverse tipologie di immagini: morfologiche e funzionali.
L’imaging E L’Alzheimer Lo studio longitudinale
7
Le prime forniscono informazioni sull’anatomia, permettono l’individuazione delle diverse re-
gioni e il riconoscimento di un tessuto sano da uno malato. Le seconde sono in grado di misu-
rare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l'attività e le speci-
fiche funzioni di determinate aree cerebrali. Questo lavoro si basa su immagini RM morfologi-
che in quanto valido strumento per la misurazione della progressione della malattia. Le MRI
cliniche sono immagini tridimensionali caratterizzate da un’elevata risoluzione (dell’ordine del
millimetro) che si basano sul fenomeno fisico della risonanza magnetica nucleare (Appendice A
Principi Fisici Della Risonanza Magnetica) dei nuclei di idrogeno contenuti principalmente nel-
le molecole d’acqua.
1.3 LO STUDIO LONGITUDINALE
L’imaging di Risonanza Magnetica è ormai parte integrante del processo di valutazione clinica
dei pazienti con sospetta malattia di Alzheimer. La letteratura medica considera l’atrofia di al-
cune strutture del lobo temporale come un valido marcatore diagnostico in fase di lieve altera-
zione cognitiva e l’imaging di RM è in grado di evidenziare le caratteristiche tipiche della pato-
logia.
La ricerca di nuovi biomarker dell’AD ha lo scopo di permettere una diagnosi quanto più pre-
coce possibile, quando la patologia è ancora asintomatica (8) e quindi segnare l’inizio di un
eventuale trattamento. In questo contesto, trova un ruolo l’analisi longitudinale delle immagini
RM dell’encefalo di soggetti a rischio di AD. Quest’analisi consiste nell’osservazione nel tempo
della degenerazione dei tessuti cerebrali, valutando l’atrofia su immagini di RM.
Nella pratica clinica i pazienti vengono classificati in tre gruppi: Sani (detti anche controlli),
Mild Cognitive Impairment (MCI) e soggetti affetti da demenza (AD). Chi appartiene al grup-
po MCI manifesta un deficit cognitivo lieve e rappresenta uno stato intermedio tra una situa-
zione di normali capacità cognitive e di demenza; tuttavia l’appartenenza a questo gruppo non
implica lo svilupparsi della demenza. Al gruppo AD appartengono tutti i soggetti affetti da ma-
lattia di Alzheimer con severi deficit cognitivi e funzionali. La Figura 1-4 mostra come alcuni
test di memoria e linguaggio siano sensibili in modo diverso nei differenti stadi della malattia e
L’imaging E L’Alzheimer Lo studio longitudinale
8
quindi la loro utilità per la diagnosi cambia a seconda dello stato di avanzamento della patolo-
gia.
Figura 1-4: Rappresentazione grafica della sensibilità dei test psicologici in funzione della progressione della patologia neurodegenerativa. Il grafico mostra come i test di memoria e di linguaggio siano sensibili ai diversi stadi della malattia. Quelli di memoria sono più sensibili durante la fase intermedia (1) arrivando in poco
tempo alla massima capacità di evidenziare deficit cognitivi (2) per poi stabilizzarsi, cioè perdere di sensibilità (3); l’altra curva rappresenta la parte dei test sul linguaggio che rimane poco sensibile ai primi sintomi della
malattia (4) per poi salire rapidamente nelle fasi avanzate dell’AD fino a raggiungere una pendenza massima (5) nella fase finale della patologia.
Uno degli obiettivi dell’analisi longitudinale per l’AD è quello di ricercare nuovi bio-
marker che siano in grado di discriminare i soggetti sani dai malati, già nella fase asintomatica
della malattia. La Figura 1-5, ottenuta tramite studi longitudinali e valutazioni statistiche, evi-
denzia le curve di sensibilità attese per alcuni indici morfologici. Si può osservare come alcuni
di questi indicatori siano sensibili al progredire della patologia già anni prima della comparsa
dei sintomi (9).
L’imaging E L’Alzheimer Lo studio longitudinale
9
Figura 1-5: Ipotesi della capacità discriminante dei marcatori morfologici e funzionali nei vari stadi della malattia di Alzheimer
Queste considerazioni indicano la possibilità di trovare un metodo, basato sui dati clinici e sulle
neuro immagini, in grado di fornire delle informazioni relative alla malattia di Alzheimer in
tempi antecedenti la comparsa dei sintomi.
L’imaging E L’Alzheimer Lo studio longitudinale
10
Imaging Di Risonanza Magnetica Contestualizzazione del problema
11
2 IMAGING DI RISONANZA MAGNETICA
2.1 CONTESTUALIZZAZIONE DEL PROBLEMA
L’ippocampo, è uno strato della corteccia cerebrale situato nella zona mediale del lobo
temporale e svolge una funzione importante nei meccanismi della memoria. Gli esseri umani,
come gli altri mammiferi, possiedono strutture ippocampali per ogni emisfero del cervello.
Come già accennato, è uno dei sistemi cerebrali colpiti per primi e in maniera più marcata dalla
AD e subisce, sin dall’esordio della malattia, modificazioni strutturali e funzionali. Da un’analisi
morfologica molto dettagliata è possibile, pertanto, rilevarne l’atrofia.
Il volume liberato dai neuroni danneggiati è occupato dal liquido cerebrospinale (CSF) che è
distinguibile dalla materia grigia attraverso una MRI. In queste immagini l’acqua, componente
principale del liquido cerebrospinale, risulta più scura della materia cellulare e per questo è fa-
cilmente riconoscibile. Così, attraverso la misura delle diverse intensità di grigio
dell’ippocampo e delle zone limitrofe, è possibile stimare l’eventuale grado di atrofia e confer-
mare l’ipotesi della diagnosi di AD.
Dal punto di vista anatomico, l’ippocampo è formato principalmente da materia grigia come le
strutture adiacenti e non è facilmente distinguibile dal tessuto circostante in un’immagine di
RM. Il riconoscimento e la classificazione delle aree cerebrali è quindi un problema complicato
dal punto di vista clinico. A occhio nudo, infatti, non tutte le sfumature di grigio sono apprez-
zabili, inoltre l’analisi manuale è molto lunga e non sempre a livello ospedaliero si hanno a di-
sposizione i tempi tecnici e le risorse necessarie.
L’elaborazione delle immagini permette di estrarre il maggior numero di informazioni possibili
dai dati morfologici rivelabili con una MRI e fornisce un valido aiuto nella diagnosi della AD.
A tal fine sono nate diverse collaborazioni internazionali e associazioni che studiano queste
tematiche con particolare interesse per le neuroimmagini in relazione alle problematiche legate
alla AD.
Imaging Di Risonanza Magnetica Risoluzione spaziale e tempi di acquisizione
12
Una delle più importanti è sicuramente la Alzheimer’s Diseas Neuroimaging Initiative
(ADNI) che dal 2004 si occupa dell’elaborazione delle neuroimmagini e della ricerca di nuovi
marker biologici della AD (10). L’obiettivo di questa collaborazione è lo studio longitudinale
dei dati dei pazienti affetti da AD e nella condizione di MCI in relazione a controlli soggetti al
naturale processo di invecchiamento, attraverso l’analisi di immagini PET, MRI ed esami clinici
per individuare l’insorgenza e la progressione di questi stati psicologici. La caratteristica princi-
pale dell’ADNI è che tutti i dati clinici relativi a immagini, esami biologici e neurofisiologici
sono a disposizione di tutti gli scienziati qualificati come risorsa comune per la ricerca. Questo
facilita notevolmente il confronto fra le diverse tecniche di analisi sviluppate e di conseguenza
permette alla comunità scientifica impegnata in questo settore un progresso più rapido e il rag-
giungimento di risultati migliori.
Un’altra importante collaborazione internazionale è la European Alzheimer’s Diseas Con-
sortium (EADC) fondata direttamente dalla Commissione Europea. L’obiettivo principale della
collaborazione è la differenziazione della diagnosi di AD, in particolar modo nel discriminarla
dalle altre forme di demenza.
L’analisi dettagliata delle caratteristiche morfologiche attraverso le MRI in grado di rivelare le
modificazioni strutturali dell’ippocampo rappresenta quindi un valido aiuto per la diagnosi e lo
studio della AD. Sulla spinta di queste organizzazione internazionali sono nate anche in Italia
diverse collaborazioni che studiano la malattia di Alzheimer attraverso l’elaborazione delle neu-
roimmagini.
2.2 RISOLUZIONE SPAZIALE E TEMPI DI ACQUISIZIONE
In risonanza magnetica l’abilità di risolvere, ovvero distinguere, due dettagli in un’immagine (ri-
soluzione) è detta “risoluzione spaziale”, ovverosia la capacità di riconoscere due oggetti come
distinti; tale capacità è funzione di alcune variabili, quali, per esempio, il rapporto segna-
le/rumore, la dimensione del voxel, lo spessore della fetta, le dimensioni della matrice
dell’immagine, per citarne alcuni. Quando in un’immagine si riescono a distinguere strutture
separate da 1 mm, l’immagine è detta ad alta risoluzione. (Figura 2-1). La risoluzione è inver-
Imaging Di Risonanza Magnetica Risoluzione spaziale e tempi di acquisizione
13
samente proporzionale alla distanza dei dettagli da distinguere. Esiste una relazione che inter-
corre tra risoluzione, FOV (field of view) e numero di pixel (N), di un’immagine. È infatti im-
possibile distinguere due dettagli localizzati, l’uno rispetto all’altro, a meno di FOV/N.
Figura 2-1: Confronto tra un'immagine a bassa risoluzione (sinistra) e una ad alta risoluzione (destra).
La tipologia di dati analizzati in questa tesi è composta da volumi cerebrali la cui componente
fondamentale, il voxel, è un elemento di volume che rappresenta un valore di intensità di segna-
le, la cui posizione nello spazio è identificata da tre indici. In pratica si ha a che fare con matrici
tridimensionali (i × j × k) costituite da elementi scalari nel caso di immagini a toni di grigio, e
da elementi vettoriali nel caso di immagini a colori. Le immagini di risonanza magnetica hanno
normalmente dimensioni da 256×256 pixel a 1024×1024 pixel per una profondità di 12
bit/pixel (4096 tonalità di grigio). Questo comporta una risoluzione spaziale intrinseca piutto-
sto bassa dell’ordine di grandezza di 1 mm, ma l'importanza di questo esame sta nel fatto di
poter discriminare, per esempio, tra un tessuto del fegato ed uno della milza (che rispetto ai
raggi X presentano la stessa trasparenza), oppure i tessuti sani dalle lesioni. I tempi di scansione
sono molto più lunghi rispetto alle altre tecniche radiologiche (un esame completo di risonanza
Imaging Di Risonanza Magnetica Rapporto Segnale/Rumore
14
magnetica può durare dai 30 ai 45 minuti), la risoluzione temporale è generalmente piuttosto
bassa (qualche immagine al secondo per le risoluzioni spaziali inferiori) con una diminuzione
del rapporto segnale/rumore.
In particolare, il nostro lavoro si è basato su un dataset composto da immagini le cui dimen-
sioni dipendono dalla sequenza di acquisizione utilizzata:
Le immagini ottenute con il protocollo MP-RAGE, trattato nel prossimo capitolo, hanno di-
mensioni pari a 256×256, per una profondità di 12 bit/pixel; la dimensione del singolo voxel è
pari a 0.94×0.94×1.20 𝑚𝑚3.
Le immagini ottenute con il protocollo ad Alta Risoluzione (HR), sviluppato per questo lavoro
e descritto nel capitolo successivo, hanno dimensioni pari a 448×448, per una profondità di 12
bit/pixel; le dimensioni del voxel in questo caso sono 0.58×0.58×0.59 𝑚𝑚3.
2.3 RAPPORTO SEGNALE/RUMORE
Il rapporto segnale/rumore (SNR) di un tessuto di un’immagine è il rapporto tra il valor medio
del segnale del tessuto e la deviazione standard del rumore nello sfondo dell’immagine. Il rap-
porto segnale-rumore può essere migliorato effettuando medie del segnale. Tale procedura
consiste nel raccogliere e fare la media di più immagini. I segnali sono presenti in ognuna delle
immagini mediate cosicché il loro contributo all'immagine risultante è additivo. Il rumore è ca-
suale e dunque non si aggiunge, ma inizia a scomparire gradatamente all'aumentare del numero
degli spettri mediati. L'aumento del rapporto segnale/rumore proveniente dalla media dei se-
gnali è proporzionale alla radice quadrata del numero delle immagini mediate (Nex).
SNR ∝ √Nex
Il numero Nex viene più comunemente chiamato numero di eccitazioni ed è uno dei parametri
che è possibile specificare in fase di acquisizione. All'aumentare del numero di eccitazioni au-
menta il tempo di acquisizione in maniera lineare.
Imaging Di Risonanza Magnetica Rapporto Segnale/Rumore
15
Figura 2-2: Sopra sono riportate due immagini di RM di una bottiglia d'acqua. Nell’immagine a destra il SNR è maggiore di un fattore 4 rispetto al SNR dell’immagine a sinistra.
In un’immagine la risoluzione dovrebbe essere la più alta possibile, così come il SNR Questi
due principi, entrambi importanti, sono difficilmente ottenibili contemporaneamente. Il pro-
blema principale è il tempo. Infatti, per ottenere un’elevata risoluzione spaziale servono matrici
elevate (e FOV contenuti) e quindi un tempo elevato di acquisizione. Anche per un rapporto
segnale/rumore elevato è necessario impiegare più tempo in acquisizione, perché è necessario
aumentare le medie. È dunque necessario trovare un compromesso tra la qualità desiderata
dell’immagine e il tempo che si ha a disposizione per effettuare l’esame.
Il rapporto segnale rumore è influenzato, quindi, dall’intensità del campo magnetico, dal tipo di
bobina, dalla dimensione del voxel, dal numero di ripetizioni di acquisizione, dal TR e TE, e
dalla larghezza di banda.
Imaging Di Risonanza Magnetica Rapporto Segnale/Rumore
16
Materiali E Metodi Strumentazione
17
3 MATERIALI E METODI
3.1 STRUMENTAZIONE
3.1.1 Tomografo
Tutte le immagini MRI di questa tesi sono state acquisite presso il reparto di radiologia
dell’Ospedale di Cattinara dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste. Il tomografo
utilizzato è il modello Achieva della Philips da 1.5T (Figura 3-1).
Le caratteristiche tecniche principali dello scanner sono:
Sistema Magnete:
Magnete da 1.5 T ultra compatto (lunghezza: 157 cm);
Bore di 60 cm;
Omogeneità ≤ 0.5 ppm quindi DSV (diameter spherical volume) 50x50x45 cm;
Massimo FOV (Field of View) 53 cm;
Set di gradienti:
Pulsar HP+ Gradients
Massima ampiezza 33 mT/m;
Massimo slew rate 80 mT/m/ms;
Radiofrequenza:
Bobine di RF con 16 canali standard in ricezione;
Sense Coil
Sense Factor fino a 16.
Materiali E Metodi Strumentazione
18
Figura 3-1: RM Philips Achieva 1.5 T
3.1.2 Sistema di calcolo
L’elaborazione delle immagini è stata effettuata con un calcolatore caratterizzato dalle seguenti
risorse:
• Sistema Operativo: Linux Mint 17.2 Cinnamon 64-bit, versione 2.6.13
• Processore: Intel Core i7-4790 CPU @ 3.60 GHz (× 4)
• RAM: 32 GB
• Hard Drives: 1200 GB
• Graphics Card: NVIDIA Corporation Device 13bb
Materiali E Metodi Sequenze di acquisizione
19
3.2 SEQUENZE DI ACQUISIZIONE
3.2.1 Il protocollo MP-RAGE
La sequenza MP-RAGE (Magnetization Prepared – RApid Gradient Echo) è una delle se-
quenze più utilizzate in imaging di RM per le acquisizioni strutturali dell’encefalo T1 pesate
(Figura 3-2). La sequenza è stata ottimizzata e scelta per un importante studio multicentrico
dall’ADNI (Alzheimer Disease Neuroimaging Initiative, ADNI). L’obiettivo principale
dell’ADNI è valutare come immagini MRI, PET, marker biologici e studi clinici e psicologici,
possano essere combinati per valutare la progressione della patologia allo stadio MCI.
Il termine MP (Magnetization Prepared) rappresenta un impulso di radiofrequenza (RF) soli-
tamente di 180° o 90° di preparazione, che viene applicato prima della sequenza vera e propria.
La sequenza MP-RAGE è composta da un impulso di preparazione di 180°, seguito da una se-
quenza FAST GRE, dopo un tempo pari a TI (tempo di inversione). Dopo l’impulso di 180°,
la magnetizzazione longitudinale inizia il suo recupero secondo il rilassamento T1 di ciascun
tessuto, così che nell’immagine risulterà un maggior contrasto tra i relativi tessuti. Le sequenze
di impulsi acquisite sono intervallate da un tempo pari a TR (tempo tra le eccitazioni) per evita-
re effetti di saturazione. Il processo in Figura 3-2 è ripetuto tante volte quanti sono i segmenti
di volume, facendo variare l’intensità del gradiente Gx di codifica di fase (Figura 3-3).
Figura 3-2: Schema della sequenza MP-RAGE
Materiali E Metodi Sequenze di acquisizione
20
Figura 3-3: Volume acquisito con una sequenza MP-RAGE
La Gradient Recalled Echo (GRE) è una sequenza che utilizza un gradiente di campo magneti-
co per generare l’echo (Figura 3-4). L’impulso applicato per l’eccitazione della fetta di tessuto è
minore di 90° (tipicamente tra 10° e 90°) e subito dopo gli spin perdono coerenza di fase. Il
segnale acquisito, detto echo, viene generato applicando una coppia di gradienti di codifica di
frequenza dalla polarità opposta.
Figura 3-4: Schema della sequenza GRE
Materiali E Metodi Sequenze di acquisizione
21
Il protocollo MP-RAGE proposto da ADNI ha un tempo di ripetizione Tr (tempo tra le ecci-
tazioni) di 8.5 ms, un tempo di echo TE di 4 ms, il tempo di inversione TI pari a 1123 ms (11)
e il TR è 2300 ms. Il FOV (field of view) è di 240 × 240 × 192 𝑚𝑚3.
Figura 3-5: Immagini sagittali baseline (sinistra) e repeat (destra) acquisite utilizzando il protocollo MP-
RAGE su cervello intero (dimensione dei voxel: 0.94 × 0.94 × 1.20 𝑚𝑚3)
3.2.2 Protocollo ad Alta Risoluzione (HR)
Il protocollo di acquisizione ad Alta Risoluzione (12) basato su una sequenza MP-RAGE, ha
maggior risoluzione spaziale rispetto alla sequenza proposta dall’ADNI ed un rapporto segnale
rumore minore rispetto al protocollo MP-RAGE. Ha un tempo di ripetizione Tr di 12.5 ms, un
tempo di echo TE di 5,9 ms. l’angolo di flip è di 8°, il TI è dell’ordine di 1 secondo e il tempo
di acquisizione è pari a 14 minuti.
Il protocollo HR fornisce immagini T1 pesate centrate su una regione ristretta del cervello, in
particolare il FOV è di 260 × 260 × 46.9 𝑚𝑚3, con voxel di dimensione 0.58 mm × 0.58 mm
e 0.59 mm di spessore nominale. Lo spessore di 0.59 mm è in realtà ottenuto per interpolazio-
ne nello spazio di Fourier dei dati acquisiti con uno spessore di 1.2 mm. Per compensare la for-
te riduzione del volume del voxel il segnale è mediato 2 volte (13).
Materiali E Metodi Sequenze di acquisizione
22
Il volume acquisito è solo una parte dell’encefalo e permette di contenere il tempo di acquisi-
zione mantenendo un rapporto segnale rumore accettabile (Figura 3-6).
Figura 3-6: Immagini trasversali baseline (sinistra) e repeat (destra) acquisite utilizzando il protocollo HR
(dimensione del voxel: 0.58 × 0.58 × 0.59 𝑚𝑚3)
Figura 3-7 Sezione sagittale 2D di una regione ippocampale estratta rispettivamente, a sinistra da un’immagine acquisita con protocollo MPRAGE e a destra da un’immagine acquisita con protocollo ad alta risoluzione. I dettagli anatomici sono distinguibili maggiormente nell’immagine a destra grazie all’alta risolu-
zione spaziale.
Materiali E Metodi Il Calibration Object
23
3.3 IL CALIBRATION OBJECT
Per poter effettuare confronti significativi tra immagini ripetute dello stesso soggetto è
necessario procedere alla normalizzazione dei toni di grigio (metodologia descritta in detta-
glio nel paragrafo 4.1.2). Questa procedura ha lo scopo di uniformare i valori dei livelli di grigio
delle immagini, in modo tale che vengano associati a tessuti simili gli stessi valori di intensità.
Le immagini MRI, infatti, non hanno riferimenti assoluti dei toni di grigio contrariamente a
quanto accade in CT con le unità Hounsfield. Quindi immagini ripetute di oggetti test o pa-
zienti mostrano importanti variazioni dell’intensità di segnale.
In questo lavoro di tesi le immagini analizzate sono state acquisite posizionando opportuna-
mente all’interno della bobina un elemento in plexiglass (Calibration Object, Figura 3-8) di
dimensioni 9 × 8 × 1 cm3, caratterizzato da 6 cavità interne in grado di contenere 2mL di di-
luizioni diverse di mezzo di contrasto, per avere 6 riferimenti assoluti sull’immagine (14).
Figura 3-8: L'oggetto Test utilizzato come riferimento assoluto per la fase di normalizzazione; nell’immagine a destra è mostrata la posizione del calibration object rispetto alla testa del paziente durante l’esame MR
all’encefalo.
L’oggetto è stato progettato e realizzato durante un lavoro precedente, valutando la necessità di
riuscire ad inserirlo all’interno del campo di vista delle immagini ad alta risoluzione.
I mezzi di contrasto (m.d.c) sono sostanze in grado di esaltare il contrasto delle componenti
anatomiche e funzionali di un apparato. Nello specifico, realizzando un incremento di contra-
sto si possono ottenere variazioni di concentrazione nei diversi tessuti, variazioni dell’opacità o
Materiali E Metodi Il Calibration Object
24
dell’intensità di segnale degli stessi tessuti, visualizzazioni di funzioni metaboliche, ecc. In riso-
nanza magnetica i m.d.c. influenzano i tempi di rilassamento T1 e T2. Il mezzo di contrasto
più utilizzato in RM è il Gadolinio, per le caratteristiche paramagnetiche del suo ione Gd3+.
Viene utilizzato in soluzione e complessato da legami ciclici poliamminopolicarbossilici, che
servono ad evitare la tossicità dello ione libero per l’organismo umano (15) (16). Le 6 cavità
sono state riempite con soluzioni di gadolinio, in un range compreso tra i 0.0004 ml/2ml di so-
luzione e 0.004 ml/2ml di soluzione, diluito in modo tale da ottenere segnali confrontabili con
i segnali dei tessuti dell’encefalo (13). La preparazione delle concentrazioni di gadolinio non è
stata fatta in un ambiente di laboratorio, pertanto a questi valori va associata un’incertezza del
5-10% (13). I valori delle soluzioni che simulano il segnale proveniente dall’encefalo hanno va-
lori compresi tra 2028.7, per il più intenso, e 271.9 per il meno intenso. L’intensità del segnale
misurata dalla cavità più a destra ha il valore più alto perché il suo tempo di rilassamento T1 è
inferiore rispetto a quello delle altre soluzioni utilizzate, viceversa, per quelle contenute nella
provetta più a sinistra si è ottenuto il valore più basso perché ha il tempo di rilassamento T1
più lungo. In tabella 3.2 sono riportati i valori medi e le deviazioni standard delle soluzioni del
Calibration Object misurati in una slice della sequenza HR di Figura 3-9.
Figura 3-9: Il Calibration Object acquisito mediante protocollo HR
Soluzione Media Deviazione Standard
1 271.9 12.6
2 407.3 22.9
Materiali E Metodi Il Calibration Object
25
3 535.7 37.7
4 744.9 50.8
5 1205.7 73
6 2028.7 108.2
Tabella 3-1 Valore medio e deviazione standard delle intensità di grigio del calibration object.
Possiamo notare che la deviazione standard ha valori compresi tra il 4.6% e il 7%, garantendo
una buona stima della media.
Utilizzando queste soluzioni si può coprire la gamma dei livelli di grigio che simulano il com-
portamento dell’encefalo. È importante sottolineare che il comportamento del gadolinio non è
lineare rispetto alla sua concentrazione (16).
Per accogliere il calibration object e tenerlo immobile durante la fase di acquisizione è stato co-
struito un supporto in materiale poliuretanico (Figura 3-10), il quale viene collocato all’interno
della bobina utilizzata per l’esame RM all’encefalo. Pertanto, è stato sviluppato ad hoc per la
bobina utilizzata presso il reparto di risonanza magnetica dell’ospedale di Cattinara.
Materiali E Metodi Acquisizione Dei Dati
26
Figura 3-10. Posizionamento del Calibration Object nel supporto che va collocato all’interno bobina per l’esame all’encefalo.
3.4 ACQUISIZIONE DEI DATI
Tutte le acquisizioni di MRI hanno avuto luogo nel reparto di radiologia dell’ospedale Cattinara
di Trieste.
3.4.1 Posizionamento Del Paziente
Il volontario, dopo aver indossato un camice, viene fatto distendere sul lettino in decubito su-
pino con accesso al gantry craniale, viene fatta assumere una posizione comoda per consentire
una agevole permanenza all’interno del tubo. Per aiutare il volontario ad evitare anche i più
piccoli movimenti, si posizionano anche dei cuscinetti contenitivi di gommapiuma. Vengono
dati al volontario dei tappi auricolari per proteggere le orecchie dai forti rumori provocati dalla
RM. Il cranio viene posizionato in modo che il piano orizzontale tedesco sia perpendicolare al
Materiali E Metodi Acquisizione Dei Dati
27
piano d’appoggio, l’intero cranio deve essere all’interno del campo di vista della bobina utilizza-
ta e la centratura viene effettuata a livello del Nasion.
Figura 3-11 Posizionamento del cranio all'interno della bobina
All’interno della bobina è stato preventivamente posizionato il calibration object.
Il volontario viene informato su come verrà condotto l’esame, e prima di essere introdotto nel
tunnel della RM gli verrà consegnato un campanello di allarme da usare in caso di necessità.
3.4.2 Protocollo RM Encefalo
L’obiettivo di questo lavoro è quello di sviluppare un sistema di analisi delle immagini in grado
di valutare variazioni morfologiche dovute all’atrofia cerebrale. Per determinare l’affidabilità
della tecnica ed escludere eventuali differenze dovute al riposizionamento del paziente, il se-
guente protocollo prevede due sedute di acquisizioni a distanza di alcuni minuti l’una dall’altra
con riposizionamento del paziente. È logico intuire che la variazione morfologica tra due im-
magini acquisite lo stesso giorno è nulla; la situazione è diversa nel caso in cui le immagini sia-
no acquisite a distanza di mesi o addirittura un anno. Infatti, in tal caso, sarà possibile riscon-
trare variazioni fisiologiche dovute ad esempio all’invecchiamento oppure patologie neurode-
generative come l’AD. Affinché la tecnica sia attendibile, è fondamentale riuscire a distinguere
le variazioni dovute al riposizionamento del paziente da quelle dovute ad una reale variazione
morfologica.
Materiali E Metodi Acquisizione Dei Dati
28
Per l’esecuzione dell’esame encefalico viene eseguita, inizialmente, una sequenza veloce T1 pe-
sata acquisita nei 3 piani dello spazio, sagittale, assiale e coronale, con una sola scansione
(SCOUT, Figura 3-12); attraverso tale sequenza di localizzazione è possibile decidere lo spes-
sore e l’orientamento dei piani di acquisizione. Si programma, a questo punto, l’acquisizione
MP-RAGE da 7 minuti e successivamente quella ad alta risoluzione HR da 14 minuti, senza
riposizionamento del paziente. Al termine dell’acquisizione ad alta risoluzione il paziente viene
spostato all’esterno della risonanza, per poi successivamente essere riposizionato per un se-
condo esame. In quest’ultimo, dopo la sequenza scout, viene effettuata direttamente
l’acquisizione ad alta risoluzione.
Figura 3-12: Sequenze SCOUT a bassa risoluzione. Rispettivamente da sinistra verso destra, sezione sagittale, assiale e coronale.
Il numero totale di slice acquisite con il protocollo MP-RAGE è di 160 sagittali, ognuna caratte-
rizzata da 256 × 256 pixel. Il volume anatomico è pertanto rappresentabile tramite una matrice
3D dalle dimensioni 256 × 256 × 160. Il singolo elemento, voxel, misura: 0.94mm × 0.94mm
× 1.2mm (Figura 3-13).
Materiali E Metodi Acquisizione Dei Dati
29
Figura 3-13: Immagine sagittale acquisita con protocollo MP-RAGE (slice 58). Sulla destra si può notare il calibration object utilizzato come riferimento esterno.
Per quanto riguarda il protocollo HR, le slice acquisite sono 80 assiali, ognuna delle quali è ca-
ratterizzata da 448 × 448 pixel. Il volume anatomico è quindi rappresentabile tramite una ma-
trice 3D dalle dimensioni 448 × 448 × 80. Il singolo elemento, voxel, misura: 0.58mm ×
0.58mm × 0.59mm (Figura 3-14).
Materiali E Metodi Software utilizzati per l’analisi dei dati MRI
30
Figura 3-14: Immagine assiale acquisita con protocollo HR (slice 70). Sotto l’encefalo è possibile distinguere le 6 cavità del calibration object utilizzato come riferimento esterno.
3.5 SOFTWARE UTILIZZATI PER L’ANALISI DEI DATI MRI
Per l’analisi delle immagini di risonanza magnetica, nel presente lavoro di tesi sono stati utiliz-
zati diversi software:
• FSL (Functional MRI of brain Software Library) [sito web]: Creato dal Gruppo Analisi,
FMRIB, Oxford, del Regno Unito. FSL è una libreria completa, open source, di stru-
menti di analisi per i dati fMRI, MRI e DTI Brain Imaging. Funziona su Apple e Linux
(Windows tramite una macchina virtuale). La maggior parte degli strumenti può essere
eseguita sia da linea di comando nel caso di Linux dalla shell che come GUI ("point-
and-click" interfacce grafiche utente). Per impostazione predefinita FSL utilizza il for-
mato immagine Nifti_GZ, cioè il file Nifti compresso (.nii, .nii.gz). È stato utilizzato, in
particolare, il tool FLIRT (Functional Linear Image Registration Tool) per la fase di registra-
zione lineare delle immagini.
Materiali E Metodi Software utilizzati per l’analisi dei dati MRI
31
• MATLAB (MATrix LABoratory): è un ambiente per il calcolo numerico e l’analisi sta-
tistica scritto in C, che comprende anche l’omonimo linguaggio di programmazione
creato dalla MathWorks. Matlab consente di manipolare matrici, funzioni e dati e di in-
terfacciarsi con altri programmi. Funziona su diversi sistemi operativi, tra cui Windows,
Mac OS, GNU/Linux e Unix. Utilizzato in particolare per la fase di normalizzazione
delle immagini e per il confronto delle stesse.
• MRIcron: è una piattaforma utilizzata per visualizzare immagini in formato NIFTI. Si
possono caricare molte slice del volume cerebrale acquisito, disegnare volumi di inte-
resse e generare rendering di volume. Offre anche lo strumento dcm2nii per convertire
le immagini DICOM in formato NIfTI1.
• IMAGEJ: ImageJ è software di elaborazione delle immagini, rilasciato nel pubblico
dominio, basato su Sun-Java; sviluppato dal National Institutes of Health degli Stati
Uniti. (17). ImageJ è stato progettato con una open architecture che prevede la possibilità
di avere estensioni tramite piccoli sottoprogrammi "plugin Java" e molte macro regi-
strabili. (18). Sono disponibili dei plugin "ad hoc" per l'acquisizione, l'analisi ed il pro-
cessamento delle immagini, che possono essere "stacks", cioè fettine impilate di una
sezione cubica (formati da voxel di dati a 8, 16 o 32 bit, caratterizzati da avere coordi-
nate topografiche tridimensionali) memorizzate come un unico file, che possono essere
in seguito evidenziate (ROI), trasformate, rigirate o deformate in base a diversi criteri.
• LONI pipeline: Loni pipeline (sito web)è un’applicazione workflow che consente agli
utenti di descrivere facilmente i loro file eseguibili in una interfaccia utente grafica. In-
vece di gestire manualmente i dati intermedi in uno script, il LONI Pipeline gestisce il
passaggio di dati tra programmi in maniera automatica. Con il LONI Pipeline, gli utenti
possono creare flussi di lavoro che sfruttano tutti i più grandi strumenti di neuroima-
ging a disposizione, in modo rapido.
1 Neuroimaging Informatics Technology Initiative. È un formato sviluppato da oltre un decennio per rimpiazzare
il formato Analyze 7.5. NIFTI incorpora in un solo file l’header e l’immagine, e ha apportato alcuni miglioramenti
rispetto al vecchio formato.
Materiali E Metodi Software utilizzati per l’analisi dei dati MRI
32
• SPM: (Statistical Parametric Mapping), è un software per l’analisi di dati di Risonanza
Magnetica, PET, EEC e MEC, distribuito per la prima volta nel 1991 dal Wellcome
Department of Imaging Neuroscience di Londra (19). La nascita di SPM è data
dall’esigenza di promuovere schemi comuni e collaborazioni fra i diversi laboratori di
neuroimaging. In questo lavoro di tesi il software è stato utilizzato per segmentare il
tessuto cerebrale dal tessuto osseo attraverso la funzione “segment”.
Materiali E Metodi Software utilizzati per l’analisi dei dati MRI
33
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
34
4 ANALISI DEI DATI
Per studiare l’evoluzione della malattia e quindi valutare il grado di atrofia cerebrale, si
propone in questo studio un’analisi longitudinale basata sul confronto di immagini di RM dello
stesso paziente acquisite in tempi successivi. In quest’ottica è stata sviluppata una procedura
semi-automatica di elaborazione di immagini RM, in grado di estrapolare dalle immagini in-
formazioni utili per l’analisi della patologia. La fase di elaborazione dei dati è, tuttavia, precedu-
ta da una fase di pre-processing in cui le immagini subiscono diversi trattamenti per raggiunge-
re un buon grado di omogeneità e rendere possibile il confronto tra le stesse.
4.1 FASE DI PRE-PROCESSING
La fase di pre-processing consta delle seguenti operazioni: Conversione dei file, Normalizza-
zione e Co-Registrazione.
4.1.1 Conversione delle immagini dal formato DICOM a NIfTI
Quando le immagini cerebrali MRI vengono acquisite, esse sono in formato DICOM2.
È necessario eseguire una conversione nel formato NIfTI, standard per le neuroimmagini, che
può essere utilizzato nei software di analisi di immagini MRI come FSL, SPM, MatLab o LO-
NI pipeline. Per la conversione è stato utilizzato il comando dcm2nii offerto da MRIcron.
(1) Lo standard DICOM: Digital Imaging and COmmunications in Medicine, definisce i criteri per la comunica-
zione, la visualizzazione, l’archiviazione e la stampa di informazioni di tipo biomedico quali ad esempio immagini
radiologiche. Un file DICOM oltre all’immagine vera e propria, include anche un “Header” che contiene tutte le
informazioni per esempio nome e cognome del paziente tipo di scansione etc.
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
35
4.1.2 Normalizzazione dell’intensità
Come già detto le immagini MRI non hanno riferimenti assoluti di toni di grigio in quanto
l’amplificazione del segnale viene ottimizzata per ciascuna acquisizione e dipende da molti fat-
tori tra cui il posizionamento del soggetto rispetto alla bobina. Per poter fare un accurato con-
fronto tra le immagini acquisite in sessioni diverse è necessario normalizzare i toni di grigio in
modo che volumi con lo stesso segnale intrinseco abbiano lo stesso livello di grigio.
Per ovviare questo problema, prima di inoltrarsi nell’analisi delle immagini, è fondamentale
procedere con la normalizzazione delle intensità dei toni di grigio. Si tratta di applicare una
procedura per uniformare i valori dei livelli di grigio in modo tale che in ogni immagine tali li-
velli siano associati agli stessi tessuti, ovvero ai voxel caratterizzati da stessa densità e tempi di
rilassamento (14). Per realizzare questa operazione sono stati applicati due metodi differenti:
una normalizzazione “interna” in cui il riferimento è una regione del tessuto cerebrale, e una
normalizzazione “esterna” in cui il riferimento è un oggetto esterno al paziente.
Per realizzare la normalizzazione interna si prende come riferimento la regione contenente il
corpo calloso del cervello. Questo metodo è stato utilizzato per normalizzare i toni di grigio
delle immagini acquisite con il protocollo MPRAGE.
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
36
Figura 4-1 Rappresentazione della regione utilizzata per la normalizzazione, il corpo calloso.
Questa regione risulta essere facile da segmentare in GM (gray matter), WM (white matter) e
CSF (Cerebrospinal fluid) e, grazie alle caratteristiche morfologiche delle strutture anatomiche
incluse, può essere facilmente registrata su qualsiasi immagine di destinazione. Dalla segmenta-
zione, all’interno della regione d’interesse, per ciascuno dei tre tessuti viene riportato il valor
medio ricavato dagli istogrammi delle intensità, che successivamente potrà essere utilizzato per
determinare la normalizzazione dell’immagine di destinazione (13).
Questa curva di normalizzazione non-lineare (spline) confronta le intensità dei tre tessuti (WM,
GM e CSF) dell’immagine da normalizzare e il template, ed estende poi la mappatura, attraver-
so la curva, agli altri livelli di grigio con valori compresi tra 0 e 1 (Figura 4-2) (13).
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
37
Figura 4-2 Esempio di funzione spline per la normalizzazione dei livelli di grigio
Questa procedura di normalizzazione dei toni di grigio non è applicabile alle immagini acquisi-
te con il protocollo ad alta risoluzione (HR) in quanto il corpo calloso non compare nel campo
di vista. Inoltre, questa metodica presenta delle criticità date dal fatto che i toni di grigio della
GM, WM e CSF dell’immagine acquista sono forzati ai toni di grigio dei corrispondenti tessuti
dell’immagine di riferimento. In questo modo vengono presi come riferimenti per la normaliz-
zazione alcune strutture anatomiche che possono essere soggette a dei cambiamenti fisiologici
con il trascorrere del tempo o con l’evolvere della malattia. Per superare queste criticità è stato
progettato e sviluppato il calibration object, descritto nel paragrafo 3.3 del precedente capitolo.
La presenza del calibration object nel campo di vista delle immagini acquisite è di fondamenta-
le importanza in quanto riferimento esterno al paziente utilizzato per la normalizzazione delle
intensità di grigio delle immagini acquisite con il protocollo HR.
Per la normalizzazione esterna abbiamo seguito, inizialmente, il seguente procedimento:
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
38
È stata misurata, per ogni slice dell’immagine HR, l’intensità di grigio di ogni diversa soluzione
contenuta nelle 6 cavità.
Successivamente, è stato calcolato il valor medio delle intensità misurate per ogni cavità. Sono
stati ottenuti quindi 6 valori, uno per ogni soluzione. La deviazione standard ottenuta era com-
presa nel range tra il 4.6 %-e il 5.3%, pertanto garantiva una buona stima della media.
A questo punto lo scopo era quello di ottenere una curva di calibrazione tale da riuscire ad
estendere la mappatura agli altri livelli di grigio e ottenere valori compresi tra 0 e 1, come nella
normalizzazione interna.
Per la costruzione della curva si è deciso di mappare il valore della soluzione 6 al valore 0.94 e
il valore della soluzione 1 al valore 0.14. Una volta trovata la retta che passa tra questi due pun-
ti, sono stati mappati i valori di intensità di tutte le altre soluzioni. In figura 4.3 è mostrata la
curva di calibrazione.
Figura 4-3 Curva di calibrazione. In ordinata si hanno i valori normalizzati (compresi tra 0 e 1) mentre in ascissa i valori dei toni di grigio dell'immagine (compresi tra 0 e 4096).
Come da Figura 4-4 è evidente il risultato della disomogeneità dell’impulso RF di eccitazione;
la stessa soluzione assume valori di intensità differenti in ogni slice, in particolare nelle prime
10 e nelle ultime 10.
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
39
Da qui l’esigenza di sviluppare un algoritmo per misurare i valori dei toni di grigio delle solu-
zioni contenute nel calibration object separatamente per ogni slice in modo semplice e automa-
tico, tale da poter essere utilizzato in ambiente clinico.
Figura 4-4 Intensità dei livelli di grigio in relazione al numero di slice
L’algoritmo (Appendice B: GetValues_HR_nii.m), scritto in linguaggio MatLab, restituisce il
valor medio e la deviazione standard delle sei soluzioni per ciascuna fetta, per il protocollo HR.
Questo calcolo viene effettuato tramite una segmentazione dell’immagine in base alla posizione
del calibration object nel piano immagine e in base all’area delle cavità contenenti le soluzioni.
Il nuovo algoritmo di normalizzazione (Appendice B: Normalizzazione HR.m) funziona nel
seguente modo:
1. Carica il file NIfTI contenente l’header e l’immagine di dimensione 448x448x80;
2. Estrapola l’immagine dall’header.
3. Recupera i valori di intensità del calibration object della slice in esame, grazie alla fun-
zione getvalues_HR_nii e genera una curva di normalizzazione specifica per la slice stes-
sa;
4. Applica la curva alla slice estendendo la mappatura a tutte le intensità dei toni di grigio.
5. Passa alla slice successiva; riparte dallo step 3 fino all’analisi dell’intera immagine.
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
40
6. Attraverso la funzione tagliaOT rimuove il calibration object dall’intero stack di imma-
gini in modo da ottimizzare la successiva fase di co-registrazione.
7. Assembla l’immagine normalizzata all’header e salva il file in formato NIfTI.
Il tempo medio di elaborazione è di circa 10 secondi.
4.1.3 Co-Registrazione
In ambito clinico/radiologico il medico, per effettuare una diagnosi, si serve di un’enorme ed
eterogenea quantità di informazioni. La possibilità di co-registrare correttamente volumi ana-
tomici acquisiti in tempi diversi è un passo fondamentale verso l’integrazione, e in certi casi la
fusione, di questa mole di dati. Il termine co-registrazione si riferisce al processo di stima di
una trasformazione spaziale ottimale che permetta di sovrapporre due o più immagini della
stessa scena prese in tempi diversi, da diversi punti di vista o con diversi sensori (20). In altri
termini, l’obiettivo degli algoritmi di co-registrazione è quello di determinare la trasformazione
spaziale che mappa i punti di un’immagine nei corrispondenti punti dell’immagine che voglia-
mo co-registrare. In generale, al di là dello specifico obiettivo perseguito nella particolare appli-
cazione, è possibile raggruppare i diversi algoritmi di co-registrazione in base alla modalità con
cui vengono acquisite le immagini di input. Pertanto, si hanno algoritmi ottimizzati per lavorare
su coppie di immagini raffiguranti la stessa scena ma acquisite:
• Da punti di vista differenti
• In tempi differenti
• Mediante differenti tipologie di sensori
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
41
Figura 4-5 Framework generale per la co-registrazione di due immagini
Per la diversità delle immagini che devono essere co-registrate e per le molteplici situazioni in
cui è richiesta la co-registrazione, non esiste un metodo universale applicabile in ogni circo-
stanza. Per cui, si è assistito all’affermarsi di diversi metodi, ciascuno efficiente in un ambito
specifico. Tali metodi, differiscono per alcune scelte fondamentali a livello architetturale e algo-
ritmico, pertanto è divenuta standard la suddivisione in sotto-problemi distinti della co-
registrazione:
• Stima della trasformazione;
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
42
• Misura della distanza (detta metrica) tra le immagini;
• Ottimizzazione;
• Interpolazione.
Tutti gli algoritmi di co-registrazione si distinguono tra loro per la particolare soluzione usata
per risolvere i quattro precedenti sotto-problemi. Tali scelte vengono operate a seguito della
particolare modalità di acquisizione della coppia di immagini, del tipo di rumore e
dell’accuratezza desiderata nella stima della trasformazione ottimale. In Figura 4-5 è schematiz-
zato il flusso algoritmico di un generico metodo di co-registrazione.
In letteratura ci si riferisce alle due immagini di input da co-registrare come immagine baseline R(x)
(o reference – quella che resta fissa) e immagine repeat T(x) (o template - quella mobile a cui si applica la tra-
sformazione). Il vettore x rappresenta una posizione nello spazio N-dimensionale delle immagini.
In generale N = 2, ma più frequentemente nel campo delle immagini mediche N = 3.
La metrica è una misura quantitativa che ci dice quanto bene l’immagine baseline è allineata con
l’immagine repeat trasformata. Questa misura forma il criterio quantitativo usato per la procedu-
ra di ottimizzazione sullo spazio di ricerca definito dai parametri della trasformazione.
L’interpolazione, infine, è usata per valutare l’intensità dei punti dell’immagine mobile nei punti
fuori griglia.
In base alle modalità con cui le due immagini di input vengono confrontate, è possibile classifi-
care gli algoritmi di co-registrazione in 4 principali categorie (20), (21), (22):
• Co-Registrazione manuale. In questo contesto, all’utente (ad esempio un radiologo) vie-
ne richiesto di allineare le immagini visivamente facendo uso di strumenti software di ima-
ge processing dotati di interfaccia grafica particolarmente sofisticata al punto da permettere
un’agevole manipolazione dei dati. Tale metodo ha dei limiti importanti; tra questi, il prin-
cipale riguarda l’accuratezza che dipende dall’esperienza dell’utente.
• Co-Registrazione landmark-based. È basata sui landmark (ovvero marcatori fissati a
priori); consiste, essenzialmente, nell’identificazione delle posizioni di punti corrispondenti
nelle due immagini e nella successiva determinazione della trasformazione che allinea le
coppie di questi punti. Esistono due tipi di marcatori: quelli interni e quelli esterni. Il pro-
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
43
cedimento per effettuare una co-registrazione landmark-based consta essenzialmente di
due passaggi:
1. identificazione e accoppiamento (manuale) del landmark (anatomici o esterni) nelle
immagini reference e template;
2. calcolo della trasformazione geometrica che minimizza la distanza tra le coordinate di
landmark.
• Co-registrazione surface-based. La co-registrazione surface-based coinvolge
l’estrazione di superfici degli oggetti (anatomici) delle immagini e la determinazione del-
le trasformazioni che minimizzano la distanza tra superfici corrispondenti.
• Co-Registrazione intensity-based. La co-registrazione basata sull’intensità delle im-
magini è forse quella più utilizzata in letteratura. Da un punto di vista statistico,
un’immagine può essere vista come una distribuzione di una variabile casuale
(l’intensità delle immagini). Tale metodo si basa sulla misura della similarità, o metrica,
delle immagini da allineare, e sull’ottimizzazione, ottenuta modificando i parametri del-
la trasformazione, di questa misura. La metrica, pertanto, va intesa come una generica
misura quantitativa che dice quanto bene le immagini, reference e template (trasforma-
ta), sono allineate.
4.1.3.1 Classi di Trasformazione per la Co-Registrazione
Una distinzione fondamentale tre le diverse tecniche di co-registrazione è quella fra tecniche
che fanno uso di trasformazioni basate su modelli rigidi (o trasformazione rigida) e quelle che,
invece, si basano su modelli deformabili (o trasformazione non-rigida). Il termine co-
registrazione non-rigida si riferisce ad una classe di metodi in cui le immagini hanno differenze
geometriche che non possono essere modellate da trasformazioni di similarità (rotazione, tra-
slazione e trasformazione di scala).
Una trasformazione può essere rigida, se mantiene invariate le lunghezze e gli angoli (isome-
tria), non-rigida se apporta delle deformazioni. La scelta della trasformazione per la co-
registrazione, dovrebbe essere dettata dalle presunte trasformazioni o dalle eventuali deforma-
zioni che ci sono tra le immagini, dai tipi di immagine che si stanno considerando e dal tipo di
accuratezza che si vuole ottenere. In molte tipologie di immagini mediche, il tipo di deforma-
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
44
zione non può essere trattata come trasformazione rigida. In generale questo può avvenire nei
seguenti casi:
1. Registrazione intra-paziente nel caso di acquisizioni effettuate in tempi differenti
con possibili cambiamenti morfologici nella parte su cui si esegue l’analisi; deformazio-
ni di questo tipo si hanno, per esempio, nel caso di variazioni dovute alla crescita, ad
interventi chirurgici o a processi degenerativi come nel caso dell’Alzheimer.
2. Registrazione inter-paziente: a causa delle naturali differenze anatomiche tra soggetti
diversi;
3. Registrazione finalizzata alla correzione di eventuali artefatti e distorsioni, sia nella
fusione delle immagini multi-modali sia nel mosaicing.
In una trasformazione rigida le coordinate trasformate sono le trasformazioni lineari delle
coordinate originali.
Modello rigido. Il modello di corpo rigido include solo le traslazioni e le rotazioni. Gli
oggetti non cambiano forma. La distanza tra due punti nell’immagine template viene preservata
dopo la trasformazione che la co-registra all’immagine reference.
Modello affine: il modello affine (23) include la traslazione, la rotazione e la scalatura.
Il parallelismo verrà preservato se linee diritte dell’immagine reference verranno mappate su
linee diritte nell’immagine template.
Chiaramente, l’ipotesi che la trasformazione ottimale sia rigida o affine è molto restrittiva e in
molti casi non è verificata (24).
4.1.3.2 Interpolazione
Quando all’immagine mobile si applica la trasformazione si rende necessario calcolare
l’intensità di quei punti che andranno fuori dalla griglia (Figura 4-6). Per fare ciò si utilizzerà un
interpolatore la cui scelta sarà fatta in base ai criteri di accuratezza e velocità. Come metodi di
interpolazione i più utilizzati sono il nearest neighbor, l’interpolazione lineare, l’interpolazione
Bspline, ecc.
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
45
Figura 4-6 Esempio 2D di mapping tra coordinate: il punto nell’immagine a sinistra sulla griglia va a finire in un punto fuori dalla griglia dell’immagine a destra. Questo richiede l’utilizzo dell’interpolazione
In questo lavoro, per la co-registrazione delle immagini, è stata utilizzata una pipeline automa-
tica implementata dal progetto MIND (Medical Imaging for Neurodegenerative Diseases)
dell’INFN di Genova.
Figura 4-7: LONI pipeline: attraverso tale workflow è possibile co-registrare le immagini acquisite con il proto-collo MPRAGE
Le immagini analizzate in questo studio sono immagini acquisite da 2 volontari in tempi diffe-
renti. Per questo motivo in tale pipeline, le immagini subiscono prima una trasformazione rigi-
Analisi Dei Dati Fase di Pre-Processing
46
da e successivamente una affine. L’algoritmo di co-registrazione utilizzato appartiene alla cate-
goria “intensity-based”, tant’è vero che le acquisizioni sono state preventivamente normalizzate.
Il tempo medio per la co-registrazione di un volume rispetto ad un altro di riferimento varia
dai 5 ai 7 minuti.
In Figura 4-8 è mostrata l’efficienza dell’algoritmo usato in questo lavoro di tesi. È rappresen-
tata un’immagine prima della co-registrazione, quindi nello spazio in cui è stata acquisita, e do-
po.
Figura 4-8 A sinistra è riportata l’immagine nello spazio in cui è stata acquisita. A destra il risultato dell’algoritmo di co-registrazione utilizzato in questo lavoro di tesi.
Analisi Dei Dati Segmentazione
47
4.2 SEGMENTAZIONE
L’evidenza clinica stabilisce che la malattia di Alzheimer colpisca dapprima in maniera marcata
le zone e le strutture del lobo temporale, rispetto alle altre strutture del cervello. Essendo lo
scopo ultimo della procedura semi-automatica la valutazione del livello di atrofia delle stesse
zone, è necessaria una segmentazione del tessuto cerebrale in modo da ottenere dei confronti
più accurati.
Il software utilizzato per la segmentazione è SPM, che sfrutta un algoritmo completamente au-
tomatico e non utilizza nessun tipo di modello o atlante standard ma basa la sua elaborazione
solo sui dati in esame; risulta robusto e accurato e impiega all’incirca 50 secondi su un moder-
no calcolatore.
In questo lavoro di tesi è stata usata la versione SPM8 che consistente in funzioni, comandi,
file dati e sottoprogrammi esterni in C per MATLAB. All’avvio di MATLAB da Command
Window è possibile lanciare SPM e appariranno sullo schermo tre nuove finestre, relative al
menù di SPM, allo stato di avanzamento delle funzioni avviate e la finestra per la visualizzazio-
ne dei risultati. La procedura automatica di segmentazione, permette di vedere 5 diverse imma-
gini: materia grigia, materia bianca, fluido cerebrospinale, tessuto osseo e tessuto cartilagineo.
Una volta ottenute le 5 immagini, prima di procedere con la misura della variabilità del tessuto
cerebrale è necessario sommare la materia grigia alla materia bianca (Figura 4-9 Da sinistra ver-
so destra: materia grigia, materia bianca, overlay delle prime due.). Questo risultato è ottenuto
con l’algoritmo matlab “Mask_SPM.m” (Appendice B: Mask_SPM.m).
Figura 4-9 Da sinistra verso destra: materia grigia, materia bianca, overlay delle prime due.
Analisi Dei Dati Segmentazione
48
Una volta estratta la materia cerebrale dal tessuto osseo, è possibile calcolare gli indici di con-
fronto tra le immagini attraverso i seguenti algoritmi:
• Indici_Di_Confronto_MPRAGE.m per le immagini MPRAGE;
• Indici_di_confronto_HR.m per le immagini ad alta risoluzione (HR).
Come già accennato, il protocollo ad alta risoluzione acquisisce un volume parziale
dell’encefalo, inoltre tale regione può variare in modo significativo tra un esame e l’altro in base
all’esperienza dal radiologo che effettua l’operazione. Prima di procedere con il calcolo degli
indici di similitudine delle immagini ad alta risoluzione, è quindi necessario ricavare i soli punti
in comune tra le due immagini attraverso la loro intersezione. Tale operazione è stata effettuata
dal codice Mask_intersezione_HR.m illustrato in Appendice B.
Figura 4-10: la parte evidenziata in rosso rappresenta il volume parziale dell’encefalo acquisito con il protocollo ad alta risoluzione, rispettivamente, a febbraio 2016 (a sinistra) e a febbraio 2017 (a destra); si può notare
come questa porzione possa variare in modo significativo tra un esame e l’altro.
Analisi Dei Dati Segmentazione
49
Figura 4-11: l’immagine rappresenta una sovrapposizione del volume acquisito a febbraio 2017 su quello ac-quisito a febbraio 2016. L’area in rosso mostra i soli punti in comune tra le 2 acquisizioni.
I volumi delle acquisizioni HR presentati nelle figure 4-10 e 4-11 evidenziano un problema del
protocollo clinico; benché entrambi comprendano la regione dell’ippocampo sono stati posi-
zionati con criteri abbastanza diversi: in un caso la regione frontale è stata inclusa, nell’altro ca-
so è stato preferito l’allineamento con la struttura dell’ippocampo.
Sarà necessario in fase di stesura del protocollo clinico definitivo dare più precise indicazioni
sui criteri di posizionamento del volume HR.
Risultati Misura Della Variabilità Delle Immagini
50
5 RISULTATI
In generale uno studio longitudinale prevede l'acquisizione ed il confronto di due o più imma-
gini acquisite nel corso del tempo in modo da misurare cambiamenti statisticamente significati-
vi.
Gli strumenti di image processing presentati nel capitolo precedente sono stati quindi applicati
su immagini MP-RAGE e HR acquisite in sessioni successive su 2 volontari.
5.1 MISURA DELLA VARIABILITÀ DELLE IMMAGINI
Il confronto tra le immagini baseline (prima acquisizione) e repeat (immagini acquisite a distan-
za di tempo) è stato effettuato attraverso gli indici: PSNR, MSE, MAXERR, L2RAT.
• Peak Signal-to-Noise Ratio (PSNR) valuta la qualità di un’immagine ed è definito co-
me il rapporto tra la massima potenza del segnale e la massima potenza del rumore che
corrompe l’immagine. Più è alto il PSNR maggiore è la correlazione tra le immagini.
• Errore quadratico medio - Mean Squared Error (MSE) rappresenta la norma al quadra-
to della differenza tra la prima immagine e la seconda, diviso per il numero di elementi,
ed indica la discrepanza quadratica media fra i valori dei dati osservati ed i valori dei da-
ti stimati. Un MSE pari a 0 indica che la prima e la seconda immagine sono perfetta-
mente coincidenti.
• Maximum Error (MAXERR) è la massima deviazione quadratica della prima immagi-
ne rispetto alla seconda. Più è alto MAXERR maggiore sarà la differenza tra la baseline
e la repeat.
• Ratio of Squared Norms (L2RAT) è il rapporto tra la norma al quadrato della seconda
immagine (repeat) rispetto alla prima (baseline). Più è vicino ad 1, maggiore sarà la cor-
relazione tra le immagini.
Risultati Misura Della Variabilità Delle Immagini
51
Per quanto riguarda il confronto tra immagini MP-RAGE, come baseline è stata utilizzata la
MPR febbraio 2016, mentre le repeat sono quelle acquisite nelle sessioni successive di aprile
2016 e febbraio 2017 (acquisizione effettuata solo per il volontario 1).
Mentre per quanto concerne il confronto tra immagini HR, la baseline è la HR_1 febbraio
2016 e le immagini repeat, invece, sono:
• HR_2 febbraio 2016: acquisita alcuni minuti dopo la baseline con riposizio-
namento del volontario.
• HR_1 aprile 2016 e HR_2 aprile 2016: sono state acquisite a distanza di due
mesi dalla baseline (HR_1 e HR_2 sono state ottenute lo stesso giorno con ri-
posizionamento del volontario);
• HR_1 febbraio 2017 e HR_2 febbraio 2017: anche in questo caso HR_1 e
HR_2 sono state ottenute lo stesso giorno dopo riposizionamento del volonta-
rio, a distanza di un anno dalla baseline (immagini ottenute solo per il volonta-
rio).
Per quanto riguarda il volontario 1, i risultati ottenuti dal confronto delle immagini MPR sono
riportati nelle seguenti tabelle:
Risultati Misura Della Variabilità Delle Immagini
52
MPR febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
MPR aprile 2016 83.0 0.00033 0.49 1.04
Tabella 5-1 Indici di confronto tra due immagini acquisite con il protocollo MPRAGE a due mesi di distanza.
MPR febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
MPR febbraio 2017 80.7 0.00055 0.58 0.92
Tabella 5-2 Indici di confronto tra due immagini acquisite con il protocollo MPRAGE a distanza di un anno.
Prima di presentare i risultati ottenuti per le misure ripetute delle immagini HR (Tabella 5-6),
gli indici di confronto sono stati applicati ad immagini acquisite lo stesso giorno dopo il riposi-
zionamento del volontario (Tabella 5-3, Tabella 5-4, Tabella 5-5).
HR_1 febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 febbraio 2016 81.1 0.00051 0.48 0.98
Tabella 5-3 Indici di confronto tra due immagini acquisite durante la stessa sessione di febbraio 2016 con il protocollo HR dopo il riposizionamento del volontario.
Risultati Misura Della Variabilità Delle Immagini
53
HR_1 aprile 2016 (base-
line)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 aprile 2016 81.9 0.00042 0.58 1.06
Tabella 5-4 Indici di confronto tra due immagini acquisite durante la stessa sessione di aprile 2016 con il pro-tocollo HR dopo il riposizionamento del volontario.
HR_1 febbraio 2017
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 febbraio 2017 83.1 0.00031 0.46 1.15
Tabella 5-5 Indici di confronto tra due immagini acquisite durante la stessa sessione di febbraio 2017 con il protocollo HR dopo il riposizionamento del volontario.
HR_1 febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 febbraio 2016 81.1 0.00051 0.48 0.98
HR_1 aprile 2016 73.1 0.00321 0.77 0.98
HR_2 aprile 2016 74.6 0.00228 0.77 0.94
HR_1 febbraio 2017 71.8 0.00432 0.77 0.6
HR_2 febbraio 2017 72.3 0.0050 0.68 0.75
Tabella 5-6 Indici di confronto tra l’immagine baseline e le repeat, acquisite con il protocollo HR a distanza di tempo.
Risultati Misura Della Variabilità Delle Immagini
54
Per quanto riguarda il volontario 2, invece, i risultati ottenuti dal confronto delle immagini
MPR sono riportati di seguito (Tabella 5-7).
MPR febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
MPR aprile 2016 81.1 0.00050 0.59 1.09
Tabella 5-7 Indici di confronto tra due immagini acquisite con il protocollo MPRAGE a due mesi di distanza.
Mentre i risultati ottenuti per le misure ripetute delle immagini HR sono i seguenti: in Tabella
5-8 e Tabella 5-9 sono riportati i valori degli indici di confronto applicati alle immagini acquisi-
te lo stesso giorno, mentre in Tabella 5-10 sono rappresentate le misure effettuate tra la baseli-
ne e le immagini ripetute a distanza di tempo.
HR_1 febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 febbraio 2016 81.6 0.00045 0.52 0.89
Tabella 5-8 Indici di confronto tra due immagini acquisite durante la stessa sessione di febbraio 2016 con il protocollo HR dopo il riposizionamento del volontario.
HR_1 aprile 2016 (ba-
seline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 aprile 2016 87.2 0.00012 0.52 1.02
Tabella 5-9 Indici di confronto tra due immagini acquisite durante la stessa sessione di aprile 2016 con il pro-tocollo HR dopo il riposizionamento del volontario.
Risultati Misura Della Variabilità Delle Immagini
55
HR_1 febbraio 2016
(baseline)
PSNR MSE MAXERR L2RAT
HR_2 febbraio 2016 81.6 0.00045 0.52 0.89
HR_1 aprile 2016 78.7 0.00095 0.62 0.96
HR_2 aprile 2016 78.2 0.00098 0.60 0.98
Tabella 5-10 Indici di confronto tra l’immagine baseline e le repeat, acquisite con il protocollo HR a distanza di tempo.
Dai risultati ottenuti è possibile notare che gli indici di correlazione sono molto alti per le mi-
sure HR ripetute lo stesso giorno dopo riposizionamento del volontario. Tali indici sono con-
frontabili con quelli calcolati per misure ripetute nel tempo delle immagini MPRAGE.
Gli indici di confronto delle immagini HR ripetute nel tempo indicano invece una correlazione
sistematicamente più bassa rispetto alle acquisizioni ripetute lo stesso giorno, in particolare il
valore di tali indici è più basso e tale scostamento aumenta in funzione del tempo.
Il diverso andamento degli indici di correlazione nelle immagini MP-RAGE e HR acquisite a
distanza di mesi o di un anno può indicare una maggior sensibilità delle immagini HR a minime
variazioni morfologiche, possibile grazie alla miglior risoluzione spaziale.
Inoltre, è importante sottolineare che la co-registrazione delle immagini MPRAGE è più sem-
plice per via della presenza dell’intera scatola cranica, ma anche nei i casi di riposizionamento
di immagini HR la co-registrazione ha dato ottimi risultati. Come indicato nel precedente capi-
tolo pur essendo il protocollo di co-registrazione estremamente solido e affidabile una maggior
similarità dei volumi HR è da ricercare per massimizzare il volume cerebrale confrontato.
Conclusioni
56
6 CONCLUSIONI
Il presente lavoro di tesi aveva l’obiettivo di sviluppare gli strumenti software per uno studio
clinico longitudinale al fine di investigare la sensibilità dell’imaging morfologico ad alta risolu-
zione per la diagnosi precoce della malattia dell’Alzheimer. Lo studio è stato svolto a 1.5T con
l'obiettivo di studiare una modalità di indagine facilmente applicabile nei normali centri di dia-
gnostica per immagine.
Il problema centrale degli studi longitudinali è sviluppare una metodologia che permetta di
confrontare immagini dello stesso soggetto acquisite a distanza di diversi mesi (fino ad un an-
no), per valutare piccole modifiche anatomiche delle regioni cerebrali coinvolte nella atrofia
propria della malattia di Alzheimer (ippocampo e lobi temporali). Le immagini MRI non hanno
riferimenti assoluti dei toni di grigio, contrariamente a quanto accade in CT con le unità Houn-
sfield, e quindi il confronto quantitativo delle immagini, anche se acquisite con lo stesso scan-
ner e sullo stesso soggetto non può essere fatto in modo diretto.
In questa tesi è stato sviluppato, pertanto, un processo di normalizzazione dei toni di grigio
delle immagini attraverso il “calibration object”, oggetto utilizzato come riferimento assoluto in
quanto conserva nel tempo le proprie caratteristiche. Sono state effettuate misure ripetute nel
tempo di uno stesso volontario con i protocolli di acquisizione MPRAGE e HR.
In ogni studio longitudinale le immagini vanno riallineate prima di procedere a confronti quan-
titativi. Tale problema è cruciale nel caso degli studi dell’encefalo in quanto non viene mai ri-
posizionato esattamente nello stesso punto per via dei gradi di libertà offerti dal collo. Inoltre
nella sequenza HR solo una parte dell’encefalo viene acquisita e tale regione può variare in
modo significativo tra un esame e l’altro in base all’esperienza del radiologo coinvolto. È stato
quindi necessario sviluppare una procedura di allineamento adeguata alle immagini di questo
studio.
Per verificare i risultati ottenuti sono stati usati indici di confronto comunemente impiegati per
l’analisi delle immagini.
Conclusioni
57
Sono stati messi a confronto gli indici di similitudine delle immagini ripetute nell’ambito della
stessa sessione e quelli ottenuti confrontando immagini acquisite a distanza di mesi. Tutte le
coppie di immagini ripetute nella stessa sessione mostrano indici di similitudine alti e molto vi-
cini mentre le immagini ottenute a distanza di mesi mostrano valori degli indici di similitudine
leggermente più distanti, e tale scostamento aumenta con il numero di mesi intercorsi. Tali ri-
sultati sono coerenti con le attuali conoscenze relative all’invecchiamento cerebrale dei normali
per età superiore ai 50 anni.
Comparando gli indici di similitudine delle immagini HR con gli indici delle immagini MPRA-
GE, è stato possibile ipotizzare una miglior sensibilità del protocollo HR alle variazioni morfo-
logiche, nonostante la differenza volumetrica analizzata. È da notare che il volume investigato
con la sequenza HR seleziona una regione dell’encefalo in cui l’atrofia si sviluppa precocemen-
te.
Una più accurata analisi sarà possibile completando uno studio di fattibilità su un piccolo
gruppo di volontari. Gli sviluppi futuri prevedono l’implementazione di questa tecnica in uno
studio clinico longitudinale composto da pazienti affetti da AD e un gruppo di controllo. A tal
fine sarà necessario completare lo sviluppo fatto in questa tesi con una interfaccia user-friendly
in modo tale che il sistema di analisi possa essere installato su un PC presso l’unita di Risonan-
za Magnetica dell’ospedale di Cattinara e li utilizzato dal gruppo di ricerca.
Conclusioni
58
Appendice A
59
7 APPENDICE A
7.1 PRINCIPI FISICI DELLA RISONANZA MAGNETICA
La RM è un delle ultime tecniche di imaging diagnostico arrivate, e di tutte, è sicuramen-
te la più complessa e spettacolare. Essa tra origine dall’applicazione medica di un principio uti-
lizzato già da alcuni decenni per l’analisi chimico fisica di campioni “in vitro”. Successivamente
sono stati realizzati apparecchi capaci di effettuare queste misure su grandi volumi “in vivo”,
ricostruendo poi da questi dati delle immagini diagnostiche.
La RM rappresenta l’applicazione nel campo della diagnostica medica del principio della riso-
nanza magnetica nucleare, la cui scoperta risale al 1946: quando un atomo con un numero di-
spari di protoni e/o neutroni è posto in un campo magnetico, il suo nucleo si allinea in senso
parallelo o antiparallelo alla direzione delle linee di forza del campo stesso e ruota intorno al
proprio asse ad una frequenza specifica (frequenza di Larmor). Se viene fornita energia sotto
forma di onde radio (RF) sintonizzate sulla frequenza di Larmor, il nucleo assorbe questa ener-
gia e si pone in uno stato instabile. Dopo che l’impulso di RF è cessato il nucleo ritorna alla
condizione originaria emettendo a sua volta onde radio che possono essere captate e analizzate
dall’apparecchio.
7.1.1 Proprietà magnetiche del nucleo
Gli atomi di ogni elemento consistono in un guscio di elettroni e in un nucleo formato da di-
verse particelle, fra le quali i neutroni, dotate di massa e sprovvisti di carica, e i protoni, dotati
di massa e di carica elettrica. Ogni specie atomica è quindi individuata dal suo numero atomico
Z (numero di protoni) e dal suo numero di massa A (numero di protoni sommato al numero di
neutroni). I nuclei di numerosi atomi sono dotati di un rapido movimento di rotazione sul loro
asse, detto spin nucleare. Più precisamente, a seconda del rapporto numerico esistente fra
protoni e neutroni, lo spin può assumere, secondo le leggi della meccanica quantistica, valori
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
60
pari a zero, a numeri semi-interi (1/2, 3/2, etc.) o a numeri interi. Nel caso in cui sia Z che N
siano numeri pari, il valore di spin è zero e il nucleo non è dotato di rotazione sul proprio asse:
questo è quanto si verifica in circa 1/3 delle specie atomiche.
Figura 7-1 : in un campione costituito da atomi dotati di spin, l’orientamento dei vettori magnetici dei singoli atomi è casuale nello spazio e la magnetizzazione è nulla (M=0). Emergendo il materiale in un campo magne-tico statico (B0), i vettori magnetici degli atomi si allineano secondo la direzione delle linee di forza del campo
esterno, con un verso parallelo o antiparallelo. Compare una magnetizzazione complessiva del campione (M) con vettore avente direzione e verso del campo magnetico esterno e intensità pari alla somma vettoriale dei momenti
magnetici dei singoli atomi.
Una conseguenza dello spin nucleare è l’esistenza di un momento angolare del nucleo (I),
dovuto alla presenza di una massa di rotazione. A sua volta, la rotazione dei protoni, determina
la comparsa di un momento magnetico nucleare, detto µ, anch’esso caratteristico di ciascun
atomo.
I nuclei dotati di spin possono quindi venir considerati come dei veri e propri dipoli magnetici,
provvisti di un asse e di un polo positivo e negativo: come tali si comportano se vengono im-
mersi in un campo magnetico esterno. Una caratteristica importante di ciascun nucleo è il rap-
porto fra il suo momento angolare I ed il suo momento giromagnetico µ. Questo valore è det-
to rapporto giromagnetico (γ = 1/ µ), ed è una costante propria di ogni atomo e ne determina
il comportamento in un campo magnetico. Esso risulta ovviamente nullo per i nuclei non dota-
ti di spin (I=0). Il valore di γ unitamente ad altre caratteristiche di meccanica quantistica per-
mette di prevedere quali specie atomiche siano più suscettibili ad interagire con un campo ma-
gnetico esterno fornendo un segnale utile in RM. Fra gli atomi dotati di un rapporto giroma-
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
61
gnetico particolarmente favorevole ai fini diagnostici il più importante è senza dubbio
l’idrogeno, il cui nucleo è costituito unicamente da un protone e la cui distribuzione negli orga-
nismi viventi è praticamente ubiquitaria.
I nuclei degli atomi di un campione posto all’interno di un campo magnetico statico (CMS)
non sono in realtà tutti allineati esattamente alla direzione delle linee di forza del campo stesso.
L’asse magnetico di ciascun nucleo tende a disporsi secondo la direzione del campo in maniera
oscillante; questa oscillazione si combina con il moto rotatorio dello spin nucleare dando origi-
ne a un movimento complesso di rotazione su una superficie conica avente come asse la dire-
zione del CMS. Questo movimento è detto precessione dei nuclei ed è molto simile al moto
di una trottola che oscilla intorno al proprio asse di rotazione per effetto del campo di gravità
della terra.
La velocità di questo movimento di precessione aumenta con l’aumentare dell’intensità del
campo magnetico statico e varia da atomo ad atomo a seconda del suo rapporto giromagnetico.
La relazione che lega queste grandezze è detta equazione di Larmor: essa è alla base di tutti il
fenomeno della RM ed è indispensabile comprenderne i caratteri:
⍵0 = 𝛾𝐵0
Ove:
⍵0 = velocità angolare di precessione
γ = rapporto giromagnetico
𝐵0 = intensità del campo magnetico esterno (CMS)
e poiché la velocità angolare ⍵ e la frequenza v di un movimento rotatorio sono legati dalla re-
lazione ⍵ = 2𝜋v sarà anche:
𝑣0 = 𝛾𝐵0
2𝜋
Ove:
𝑣0 = frequenza di precessione (frequenza di Larmor).
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
62
Di conseguenza, anche la frequenza di Larmor è una grandezza ben definita per ogni specie
atomica e per una data intensità di campo magnetico. Per l’idrogeno, e per un’intensità di cam-
po di 1 Tesla (T), la frequenza di Larmor si colloca nell’ambito delle radiofrequenze: 42.5756
MHz. Aumentando l’intensità di 𝐵0 cresce, proporzionalmente, anche quella del vettore 𝑀0
con conseguente aumento della quantità del segnale utile per le immagini RM.
La condizione indispensabile affinché si verifichi il fenomeno della risonanza magnetica è che
deve essere perturbata la condizione di equilibrio creata da 𝐵0. Si perturba il sistema per un
certo tempo δt con un impulso a radiofrequenza (RF) e se ne studia il ritorno allo stato di equi-
librio. A questo scopo viene inviata un’onda a RF specifica, cioè a frequenza uguale a quella di
precessione dei protoni di idrogeno. L’impulso a RF è un campo magnetico variabile 𝐵1 per-
pendicolare a 𝐵0 (statico), rotante intorno a quest’ultimo alla frequenza di Larmor. Se i nuclei
magnetizzati (allineati a 𝐵0) sono sottoposti brevemente ad un campo magnetico oscillante ad
una frequenza identica alla loro frequenza di rotazione intorno a 𝐵0 (frequenza di risonanza),
essi assorbono energia; in questo modo si produce un’eccitazione sul sistema protonico.
L’energia fornita al tessuto dall’impulso di eccitazione a radiofrequenza (RF) sarà tanto mag-
giore quanto più lunga è la durata dell’impulso stesso. I nuclei risentono della transizione ener-
getica, e quindi perdono il loro stato di equilibrio.
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
63
Figura 7-2 (a) viene mostrato il vettore di magnetizzazione del mezzo, scomposto nei tre assi cartesiani X, Y, Z. (b) l'impulso RF sommato al campo statico applicato, porta il vettore di magnetizzazione a massimizzare la
componente planare Mxy, annullando la componente longitudinale Mz.
L’impulso di eccitazione a RF ha due funzioni: fornire l’energia necessaria ai protoni per alli-
nearsi in modo perpendicolare alla direzione del campo statico 𝐵0 e riallineare le fasi di oscilla-
zione di precessione dei singoli protoni. Ciò che succede è che 𝐵1, causa l’inclinazione di Mz
(magnetizzazione netta), dalla posizione di riposo, parallela a 𝐵0, verso il piano xy (Figura 1.5)
di un certo angolo α, detto flip angle; il moto di Mz è costretto a seguire una traiettoria a spirale
intorno a 𝐵0. L’ampiezza del flip angle dipende dall’ampiezza di 𝐵1e dal tempo della sua appli-
cazione. Si ha infatti la seguente relazione:
α = γ α δt
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
64
Figura 7-3 Il fenomeno della risonanza: quando un campo magnetico a radiofrequenza alla frequenza di Lar-mor, si aggiunge al campo magnetico statico, la condizione di equilibrio viene perturbata e i protoni cominciano a ruotare intorno ad esso. La durata e l’ampiezza di B1 determinano l’angolo di rotazione della magnetizzazione
netta
Al cessare dell’impulso di eccitazione a RF, il sistema protonico si trova in una situazione di
non equilibrio, dovuta alla quantità di energia assorbita che genera instabilità e tendenza al ri-
pristino delle condizioni iniziali. All’eccitazione protonica segue quindi una fase durante la qua-
le gli spin tenderanno a liberarsi dell’energia in sovrappiù fino a tornare nella condizione inizia-
le che è assai più stabile e più probabile. Questo è noto come fenomeno di rilassamento. La
magnetizzazione Mz, quindi, ritorna nel suo stato di equilibrio attraverso un processo di deca-
dimento caratterizzato da andamento esponenziale. Ciò avviene attraverso due fenomeni di ri-
lassamento (tra spin e spin oppure tra spin e ambiente circostante, reticolo) che avvengono in
questa fase di ritorno verso la condizione di equilibrio. I fenomeni di rilassamento comportano
la liberazione dell’energia immagazzinata durante l’applicazione del 𝐵1; ciò produce il segnale
MR che si misura. La magnetizzazione trasversale, mentre torna all’equilibrio, induce un segna-
le nella bobina di ricezione. Il segnale presente ai capi della bobina durante il rilassamento vie-
ne detto Free Induction Decay (FID).
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
65
7.1.2 Tempi di rilassamento
7.1.2.1 Rilassamento spin-reticolo o longitudinale (T1)
È un fenomeno a mezzo del quale la magnetizzazione netta recupera il suo allineamento con la
direzione del campo statico B0. I nuclei ritornano al loro stato di equilibrio, restituendo al reti-
colo (ambiente circostante) l’energia acquisita dalla popolazione di spin durante gli impulsi di
eccitazione a radiofrequenza (Figura 1.7). Tale fenomeno di rilassamento avviene secondo pro-
cessi di recupero esponenziali caratterizzati da una costante di tempo T1, che determina la ve-
locità con cui la componente longitudinale del vettore magnetizzazione netta, Mz ritorna nella
condizione di equilibrio M0; l’equazione che descrive questo fenomeno in funzione del tempo
è:
𝑀𝑧(t) = 𝑀0(1 − 𝑒−𝑡
𝑇1⁄ )
Dove:
𝑀𝑧 (𝑡) = magnetizzazione presente al tempo t
𝑀0 = magnetizzazione iniziale (al termine dell’impulso)
𝑇1 = costante di tempo del rilassamento longitudinale
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
66
Figura 7-4 Incremento esponenziale della magnetizzazione longitudinale (ordinate) in funzione del tempo (ascisse). A seconda dell’istante di misura (TE) e dell’andamento della curva varia la possibilità di differenzia-
re in maniera efficace le diverse componenti tissutali
7.1.2.2 rilassamento spin-spin o trasversale (T2)
Consiste nella progressiva perdita di coerenza del sistema di spin, poiché ciascuno precede a
frequenza leggermente diversa da ⍵0 = 𝛾𝐵0 a causa della presenza di variazioni locali del
campo magnetico statico. Ciascun protone è immerso in un campo magnetico risultante che
non è 𝐵0, perché ciascuno risente del piccolo campo magnetico generato da tutte le csriche in
movimento che gli stanno vicine. L’interazione tra gli spin causa la precessione dei momenti
magnetici nucleari a velocità diverse (non più tutte in fase con velocità ⍵0). La perdita di coe-
renza di fase (defasamento), dovuta appunto alle interazioni spin-spin provoca un decadimento
esponenziale della magnetizzazione trasversale con costante di tempo T2. Questo è il processo
attraverso il quale la componente 𝑀𝑥𝑦 decade esponenzialmente verso il suo valore nullo di
equilibrio; è caratterizzato dalla costante di tempo T2, che è una misura del tempo necessario
alla perdita di coerenza del sistema di spin e determina quindi la velocità di decadimento del
segnale (Figura 7-5). L’equazione che descrive questo fenomeno in funzione del tempo è:
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
67
𝑀𝑥𝑦(t) = 𝑀𝑥𝑦(0)(𝑒−𝑡
𝑇2∗⁄)
Dove:
𝑀𝑥𝑦(𝑡)= magnetizzazione residua al tempo t
𝑀𝑥𝑦(0) = magnetizzazione iniziale (al termine dell’impulso)
𝑇2∗ = costante di tempo del rilassamento trasversale, dipendente sia dalle proprietà intrinseche
del materiale, sia dalle disomogeneità del campo magnetico esterno. Per cui, essendo un para-
metro di misura non affidabile, è necessario scorporare le componenti esterne del segnale de-
terminate dalla disomogeneità del campo, utilizzando speciali sequenze di eccitazione e raccolta
dei segnali di risonanza.
1
𝑇2∗ =
1
𝑇2+
1
𝛾𝛥𝐵0
Dove:
𝑇2 = contributo dovuto alle interazioni molecolari
𝛾𝛥𝐵0 = contributo dovuto alla disomogeneità del campo magnetico statico.
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
68
Figura 7-5: Decremento esponenziale della magnetizzazione trasversale (ordinate) in funzione del tempo (ascis-se). A seconda dell’istante di misura (TE) varia la possibilità di differenziare in maniera efficace le diverse
componenti tissutali.
Questi due parametri, 𝑇1 𝑒 𝑇2, possono venire misurati separatamente dall’apparecchio e corri-
spondono a realtà fisiche differenti, la cui comprensione è indispensabile per penetrare nel si-
gnificato delle immagini RM.
L’intensità del segnale di rilassamento dipende, oltre che dal 𝑇1 e dal 𝑇2 dei tessuti esaminati,
anche dal loro contenuto in nuclei di idrogeno, cioè in protoni risonanti. Questo parametro,
detto densità protonica (ρ) è in realtà la base e il presupposto indispensabile perché possa
prodursi il segnale di risonanza magnetica dell’idrogeno, che è quello misurato in RM clinica.
A titolo informativo, la Tabella 7-1 riporta i valori tipici per i tessuti cerebrali, nell'ipotesi in cui
l'intensità di 𝐵0sia pari a 1.5T:
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
69
Tipo di tessuto T1(ms) T2(ms)
Materia grigia 920 100
Materia bianca 780 90
CSF 4200-4500 2100-2300
Tabella 7-1 Valori di T1 e T2 per tessuti cerebrali a 1.5 Tesla
Questi parametri, T1, T2 e ρ, dipendono dal tipo di tessuto che circonda i protoni.
È evidente che, variando il tempo di ripetizione degli impulsi a radiofrequenza, TR e il tempo
d’eco TE, il contrasto tra tessuti aventi un T1 o un T2 lunghi o corti può essere cambiato radi-
calmente. Generalmente le immagini MRI si basano sulla variazione, da un tessuto all'altro, di
uno di questi valori o di una loro somma pesata. Impostando quindi in maniera opportuna i
parametri di misura del segnale MR, ovvero, tempo di ripetizione TR (tempo che intercorre tra
un impulso RF e il successivo), tempo di eco TE (tempo che intercorre tra l'impulso di eccita-
zione RF e l'istante in cui il segnale eco acquisito ha ampiezza massima) e filp angle α, si pos-
sono generare diversi tipi di sequenze ed ottenere diverse tipologie di immagine (Figura 7-6):
1. Immagini T1-pesate: sono ottenute impostando brevi TR (<750 ms) e brevi TE
(<40 ms) in sequenze spin-echo (SE) o gradient-echo (GRE). Grazie al TR molto
breve, è possibile ottenere acquisizioni molto veloci che permettono di avere im-
magini ad alta risoluzione (Figura 7-6.b).
2. Immagini T2-pesate: sono ottenute impostando lunghi TR (>1500 ms) e lunghi TE
(>75 ms) in sequenze SE, mentre in sequenze GRE possono essere ottenute con
un valore di flip angle α<40° impostando tempi di eco nell'ordine dei 30ms (Figura
7-6a).
3. Immagini ρ-pesate: sono ottenute impostando lunghi TR (>1500 ms) e brevi TE
(<40 ms) (Figura 7-6c)
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
70
Figura 7-6: Scansioni RM di encefalo secondo lo stesso piano assiale, con sequenze “pesate”, rispettivamente a) T2, b) T1 e c) in densità protonica. L’immagine in T2 si riconosce facilmente per il colore bianco del liquor e per l’inversione del contrasto fra sostanza grigia e bianca. L’immagine in T1 appare più aderente alla realtà
anatomica e rispetta la caratteristica gradazione di contrasti fra sostanza grigia e bianca. L’immagine in densità protonica ricorda l’immagine in T1per il colore scuro del liquor, ma si differenzia per il minor contrasto e per
una lieve inversione del rapporto fra sostanza grigia e bianca.
Quello che si misura nell'MRI è il segnale Free Induction Decay, o FID; tale segnale può essere
rilevato utilizzando una bobina ad induzione elettromagnetica (la stessa usata per applicare 𝐵1)
come antenna per captare le variazioni temporali di Mz, una volta che l'impulso a RF è stato
applicato.
Infatti, durante il riallineamento di Mz nella direzione di 𝐵0, Mxy tende a zero e si osserva una
variazione del flusso concatenato alla bobina rilevabile sotto forma di tensione elettrica ai capi
della stessa (Figura 7-7); dalla forma e dall'ampiezza di tale tensione è possibile misurare T1 e
T2, consentendo quindi di ottenere informazioni sulle caratteristiche chimico-fisiche del tessu-
to di cui gli spin esaminati appartengono. La misura del FID, quindi, dipende dai tre parametri
T1, T2, ρ, e in base al tipo di sequenza utilizzata si può enfatizzare l’uno o l’altro parametro.
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
71
Figura 7-7 La scomparsa della componente Mxy a causa del rilassamento spin-spin e alle disomogeneità del
campo statico 𝐵0, generano il segnale FID che segue l’inviluppo dell’esponenziale decrescente con costante di
tempo 𝑇2∗. Il segnale FID si concatena con la bobina di ricezione e produce il segnale MRI.
7.1.3 Formazione dell’immagine
Alla base di qualunque tecnica di imaging sta la possibilità di distinguere il segnale che proviene
dai diversi volumetti elementari (voxel). Nella tecnica NMR il segnale è sotto forma di onde
elettromagnetiche di frequenza 63 Mhz (magnete da 1.5 T) o 126 Mhz (magnete 3T). A questa
frequenza corrisponde una lunghezza d’onda di 4.76 m o di 2.38 m. A questa lunghezza d’onda
non è possibile distinguere il segnale che proviene da voxel vicini solo qualche millimetro o
frazioni di millimetro. Perciò la radiofrequenza viene ricevuta (e trasmessa) sempre da tutto il
volume interno al magnete. Ciò che differenzia i vari voxel (e quindi permette la formazione
dell’immagine) è il diverso campo magnetico in cui sono immersi che determinerà differenti
frequenze di risonanza.
I campi gradienti permettono di variare il campo magnetico lungo i tre assi spaziali in modo
controllato e sono quindi indispensabili per ottenere delle immagini. Nelle sequenze per ima-
ging, quindi, oltre agli impulsi a RF (90° e 180°) si applicano anche i gradienti. I gradienti per-
mettono da un lato, l'eccitazione selettiva di una sezione (slice) da esaminare, e dall'altro la lo-
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
72
calizzazione spaziale degli impulsi di ritorno, per dedurre dal segnale, la zona della slice in cui
questo e stato prodotto.
Figura 7-8 Sistema gradienti. Sono evidenziate le tre bobine di gradiente: Slice Selection Gradient, frequency encoding gradient, phase encoding gradient.
La discriminazione spaziale è effettuata attivando opportunamente i tre gradienti (lungo x, y, z),
così da ottenere tre tipi di codifica, lungo le tre direzioni spaziali: eccitazione selettiva, codifica
di frequenza e codifica di fase.
La tecnica di eccitazione selettiva è il metodo grazie al quale l’eccitazione di RM, e dunque il
segnale ricevuto, è limitata ad una fetta scelta in un campione o in un paziente; per questo tale
codifica è anche detta selezione della fetta. Una bobina, detta bobina di selezione, aggiunge al
campo magnetico statico B0 un ulteriore campo, la cui intensità varia linearmente in rapporto
alla distanza dalla bobina che lo emette. Insieme all’ impulso a 90° viene applicato, il gradiente
detto “Slice Selection Gradient” lungo l’asse z, cioè in direzione perpendicolare alla fetta desi-
derata, come è mostrato in Figura 7-9.
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
73
Siccome le frequenze di precessione dipendono dal campo magnetico, anche esse varieranno
con la distanza dalla bobina. L’effetto dell’attivazione contemporanea del gradiente e
dell’impulso RF (ad una determinata frequenza) è dunque quello di eccitare solo i protoni che
compiono moto di precessione a quella frequenza e si trovano ad una certa distanza dalla bo-
bina. Quindi vengono eccitati tutti i protoni all’interno della fetta selezionata.
In questo modo avviene la selezione di una slice corrispondente ad una data distanza dalla bo-
bina. Variando la frequenza dell'impulso RF si può via via coprire tutto il range delle frequenze
di precessione e così si ottiene un'immagine di tutto il volume desiderato, divisa in slices che
possono essere prese in ogni direzione: trasversali, sagittali, oblique.
È possibile anche modificare lo spessore delle slices, variando il campo emesso dalla bobina di
selezione.
Figura 7-9 Eccitazione selettiva di una fetta.
La codifica di frequenza sfrutta la proprietà che la frequenza di risonanza nella RM è diretta-
mente proporzionale all’intensità del campo magnetico. Quando applichiamo un gradiente (ad
esempio lungo x) abbiamo una frequenza di risonanza che è funzione della posizione lungo la
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
74
direzione del gradiente. Il gradiente di codifica di frequenza (frequency encoding gradient o
gradiente di lettura), viene attivato durante la fase di acquisizione del segnale RM.
Conoscendo l’intensità del gradiente Gx, dalle informazioni frequenziali del segnale acquisito,
si può risalire alla posizione dell’oggetto lungo la direzione del gradiente del campo. Tale ope-
razione è effettuata mediante un’analisi in frequenza del segnale.
La terza discriminazione spaziale è detta codifica di fase. È così chiamata perché in questo caso
vengono valutati i cambiamenti di fase della precessione dei protoni durante l’attivazione del
gradiente (phase encoding
gradient o gradiente di codi-
fica di fase). La direzione del-
la codifica di fase è perpendi-
colare alla direzione della co-
difica di frequenza. Se ad
esempio viene applicato un
impulso a 90° ad una colon-
na di spin seguito da un gra-
diente di codifica di fase, gli
spin precedono a differenti
velocità (frequenze) defasando-
si gli uni rispetto agli altri
(Figura 7-10). Quando il gra-
diente viene spento, gli spin
sentono lo stesso campo magnetico B0 e quindi tornano a precedere tutti alla stessa frequenza
mantenendo però uno sfasamento (dovuto alla precedente attivazione del gradiente di fase) la
cui entità dipende dalla posizione lungo la direzione di codifica di fase.
Per la formazione dell’immagine RM il gradiente di codifica di fase è attivato e disattivato più
volte, variando opportunamente ogni volta la sua ampiezza.
Riassumendo, la successione di attivazione e disattivazione dei gradienti (sequenza) per la codi-
fica spaziale, che permette la formazione dell’immagine RM, consiste in:
Figura 7-10 Se ad esempio viene applicato un impulso a 90° ad una colonna di spin seguito da un gradiente di codifica di fase, gli spin precedono a differen-
ti velocità (frequenze) defasandosi gli uni rispetto agli altri all’interno della slice selezionata dal gradiente di selezione della fetta
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
75
1. Selezione di una fetta ed eccitazione selettiva degli spin (Figura 7-11.Errore. L'origine rifer-
imento non è stata trovata.a). Il gradiente di selezione della fetta fa sì che i diversi protoni
precedano a diverse frequenze cosicché solo i protoni che giacciono in una fetta e che prece-
dono ad una specifica frequenza, risento-
no dell’impulso RF avente frequenza w0;
2. Attivazione di un gradiente di codifica
di fase tra l’impulso di eccitazione RF e il
periodo di lettura (Figura 7-11.Errore. L
'origine riferimento non è stata trova-
ta.b). Immediatamente dopo la disattiva-
zione dell’impulso RF e del gradiente di
selezione fetta, viene attivato per un bre-
vissimo tempo il gradiente di fase, in
modo tale che le frequenze di precessio-
ne dei protoni (e dunque le relative fasi)
lungo la direzione del gradiente siano di-
verse tra loro; il gradiente di fase viene
poi disattivato, per cui tutti i protoni ri-
tornano a precedere alla frequenza inizia-
le, ma restano tra loro sfasati in modo di-
verso lungo la direzione del gradiente di
fase. L’informazione spaziale nella dire-
zione della codifica di fase può essere ri-
solta se vengono acquisiti molti segnali
RM, in cui l’ampiezza del gradiente di fa-
se viene modificata (da valori positivi di
ampiezza massimi, via via a valori minori, fino a raggiungere valori negativi e minimi negativi);
3. Attivazione di un gradiente di lettura durante il quale è raccolto il segnale RM (Figura 7-11.c).
Ciascun segnale è acquisito mentre questo è a forma di eco, durante l’attivazione del gradiente
Figura 7-11(a) Selezione di una fetta ad eccitazione selettiva; (b) Attivazione del gradiente di codifica di fase tra l’impulso di eccita-zione e il periodo di lettura; (c) Attivazione del gradiente di lettura
durante il quale è raccolto il segnale FID
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
76
di lettura (o di codifica di frequenza), cosicché si crea una distribuzione di diverse frequenze
lungo la direzione del gradiente stesso.
Al fine di ottenere l’immagine, questa sequenza è ripetuta più volte, variando ogni volta
l’ampiezza del gradiente di fase.
Per separare i segnali provenienti dai diversi voxel, si utilizza l'analisi di Fourier, cosi da ogni
singola onda vengono estratte le varie frequenze, corrispondenti alle varie posizioni. Lo spazio
che così si ottiene e detto k-spazio, e contiene una rappresentazione bidimensionale di tutte le
posizioni della slice così ricostruita. Il tempo trascorso tra l'erogazione dell'impulso e il picco di
segnale eco e detto tempo eco (Echo Time, TE). I segnali echo sono acquisiti sotto gradiente
(frequency encoding). Ogni volta che si ripete la sequenza (dopo un tempo TR), si acquisisce
un nuovo echo avendo però applicato un gradiente di codifica di fase diverso. Alla fine del
procedimento risulta riempito tutto il k-spazio. Un’immagine di risonanza magnetica è riferita
ad una regione dello spazio. La sua trasformata di Fourier è relativa allo spazio k (fig.).
Nell’imaging di risonanza magnetica lo spazio k equivale allo spazio definito dalle direzioni di
codifica di fase e frequenza. Quindi una volta ottenuto lo spazio k, si esegue una trasformata di
Fourier bidimensionale e si ottiene l’immagine.
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
77
Figura 7-12
Appendice A Principi Fisici Della Risonanza Magnetica
78
APPENDICE B: CODICI MATLAB GetValues_HR_nii.m
79
8 APPENDICE B: CODICI MATLAB
8.1 GETVALUES_HR_NII.M
function [voi_means, means, v_std, centroids] = getva-
lues_HR_nii (imagine.nii, posizione_oggetto, y_inizio,y_fine)
TH_AREA_MIN = 25;
TH_AREA_MAX = 100;
y1=y_inizio;
y2=y_fine;
se = strel('disk',1);
larghezza_oggetto = posizione_oggetto; % per HR 55-70
[aa, bb, cc]=size(imagine);
inputlist=cc;
m=aa;
n=bb;
IMMAGINE_3D=zeros(larghezza_oggetto, n, inputlist-y2-
y1,'int16');
for i=1+y1:inputlist-y2
im_or = rot90(imagine(:,:,i));
IMMAGINE_3D(:,:,i-y1) = im_or(m-
larghezza_oggetto+1:m,:);
end
voi=uint16(zeros(size(IMMAGINE_3D)));
for i=1+y1:inputlist-y2
im_or=uint16(IMMAGINE_3D(:,:,i-y1));
im = medfilt2(im_or,[7 7]);
th = edge(im,'canny');
th = bwareaopen(th, TH_AREA_MIN);
th1 = bwareaopen(th, TH_AREA_MAX);
th = th - th1;
th1 = imfill(th);
th = th1 - th;
th = imerode(th,se);
APPENDICE B: CODICI MATLAB GetValues_HR_nii.m
80
im_or = im_or.*uint16(th);
voi(:,:,i-y1) = im_or;
end;
[a, b, c]=size(voi);
for i= 1:c
voi_m = voi(:,:,i);
th_m = (voi_m > 0);
[lbl, num ] = bwlabel(th_m);
for k=1:num
im_tmp = double(voi_m) .* double((lbl == k));
im_tmp(im_tmp == 0) = NaN;
voi_means(i,k) = nanmean(im_tmp(:));
%voi_std(i,k) = nanstd(im_tmp(:));
end
end
means = median(double(voi_means),1);
v_std = std(double(voi_means),0,1);
voi_m = median(double(voi),3);
th_m = (voi_m > 0);
[lbl, num ] = bwlabel(th_m);
reg = regionprops (lbl, 'Centroid');
figure, imshow(voi_m,[]);
centroids = cat(1, reg.Centroid);
for j=1:num
hold on
%plot(centroids(j,1), centroids(j,2), 'b*')
text(centroids(j,1), centroids(j,2),[num2str(j, '%d') ' -
' num2str(means(j),'%0.2f')],...
'HorizontalAlignment','center',...
'Color',[1 0 0],...
'FontSize',10);
hold off
end
APPENDICE B: CODICI MATLAB Normalizzazione HR.m
81
8.2 NORMALIZZAZIONE HR.M
clear all;
close all;
clc;
addpath('.\');
format long;
dim_inizio=0;
dim_fine=0;
Path=’immagine input';
Path_2=’immagine output’;
posizione_OT = 70;
info_struct = load_untouch_nii(Path);
Matrice=info_struct.img;
Matrice = Matrice.*info_struct.hdr.dime.scl_slope + in-
fo_struct.hdr.dime.scl_inter;
[m1,m2,c1] = getva-
lues_HR_nii(Matrice,posizione_OT,dim_inizio,dim_fine);
[a, b, c]=size(Matrice);
for ii=1:c-dim_inizio-dim_fine
xx=double(linspace(0,4095,4096));
X=double([0,m1(ii,1),m1(ii,2),m1(ii,3),m1(ii,4),m1(ii,5),m1(ii
,6)]);
Y=double([0,0.125,0.205,0.26,0.35,0.58,0.95]);
curva(ii,:)=double(interp1(X,Y,xx,'linear','extrap'));
for f=1:length(curva(ii,:))
if curva(ii,f)>1;
curva(ii,f)=1;
end
end
plot(X,Y,'o',xx,curva(ii,:),'-');
grid on
end
Matrice_new=zeros(a,b,c);
for i=1+dim_inizio:c-dim_fine
im_or = Matrice(:,:,i);
B=double(im_or);
hbox=interp1(xx,curva(i-dim_inizio,:),B(:),'linear');
im_norm=reshape(hbox,size(B));
Matrice_new(:,:,i)=im_norm;
APPENDICE B: CODICI MATLAB Normalizzazione HR.m
82
end
Matrice_new=double(Matrice_new);
[new_image] = tagliaOT(Matrice_new, posizione_OT);
temp=info_struct;
temp.hdr.dime.scl_slope=1;
temp.hdr.dime.scl_inter=0;
temp.hdr.dime.datatype=16;
temp.hdr.dime.bitpix=32;
temp.img=new_image;
save_untouch_nii(temp,Path_2);
APPENDICE B: CODICI MATLAB Mask_SPM.m
83
8.3 MASK_SPM.M
format long;
info_struct_1 = load_untouch_nii('directory_Img_1.nii');
info_struct_2 = load_untouch_nii('directory_Img_2.nii');
Matrice_1=info_struct_1.img;
Matrice_2=info_struct_2.img;
Matrice_1=double((Matrice_1~=0));
Matrice_2=double((Matrice_2~=0));
Matrice=Matrice_1+Matrice_2;
[a, b, c]=size(Matrice);
SE = strel('disk', 1, 8);
for i=1:c
Matrice(:,:,i)=(imdilate(Matrice(:,:,i),SE));
end
Matrice=double((Matrice~=0));
info_struct_1.img=Matrice;
save_untouch_nii(info_struct_1,’directory_mask.nii);
APPENDICE B: CODICI MATLAB Mask_intersezione_HR.m
84
8.4 MASK_INTERSEZIONE_HR.M
format long;
info_struct_1 = load_untouch_nii(‘immagine_baseline.nii’);
info_struct_2 = load_untouch_nii('immagine_repeat.nii');
Matrice_1=info_struct_1.img;
Matrice_2=info_struct_2.img;
Matrice_1=double((Matrice_1~=0));
Matrice_2=double((Matrice_2~=0));
Matrice=Matrice_1.*Matrice_2;
[a, b, c]=size(Matrice);
SE = strel('disk', 1, 8);
for i=1:c
Matrice(:,:,i)=imerode((imdilate(Matrice(:,:,i),SE)),SE);
end
Matrice=double((Matrice~=0));
info_struct_1.img=Matrice;
save_untouch_nii(info_struct_1,'mask_HR_intersezione.nii');
APPENDICE B: CODICI MATLAB Indici_di_confronto_HR.m
85
8.5 INDICI_DI_CONFRONTO_HR.M
close all;
clear all;
clc
addpath('.\');
format long;
info_struct_1 = load_untouch_nii(‘directory_img1');
info_struct_2 = load_untouch_nii('directory_img2');
info_struct_3 = load_untouch_nii(directory
“mask_HR_intersezione”');
info_struct_4 = load_untouch_nii(directory “Mask”');
Mask = double(info_struct_3.img);
Mask_2 = double(info_struct_4.img);
Matrice_1 = double(info_struct_1.img);
Matrice_2 = double(info_struct_2.img);
Matrice_1=Matrice_1.*Mask.*Mask_2;
Matrice_2=Matrice_2.*Mask.*Mask_2;
[PSNR,MSE,MAXERR, L2RAT] = measerr(Matrice_1,Matrice_2);
NCC = xcorr(Matrice_1(:),Matrice_2(:),0,'coeff');
disp('PSNR=');
disp(PSNR);
disp('MSE=');
disp(MSE);
disp('MAXERR=');
disp(MAXERR);
disp('L2RAT=');
disp(L2RAT);
APPENDICE B: CODICI MATLAB Indici_Di_Confronto_MPRAGE.m
86
8.6 INDICI_DI_CONFRONTO_MPRAGE.M
close all;
clear all;
clc
addpath('.\');
format long;
info_struct_1 = load_untouch_nii(‘MPRAGE_baseline.nii');
info_struct_2 = load_untouch_nii(‘MPRAGE_repeat_co-
registrata.nii');
info_struct_3 = load_untouch_nii(‘Mask.nii');
Mask = double(info_struct_3.img);
Matrice_1 = double(info_struct_1.img);
Matrice_2 = double(info_struct_2.img);
Matrice_1=Matrice_1.*Mask;
Matrice_2=Matrice_2.*Mask;
[PSNR,MSE,MAXERR, L2RAT] = measerr(Matrice_1,Matrice_2);
NCC = xcorr(Matrice_1(:),Matrice_2(:),0,'coeff');
disp('PSNR=');
disp(PSNR);
disp('MSE=');
disp(MSE);
disp('MAXERR=');
disp(MAXERR);
disp('L2RAT=');
disp(L2RAT);
Indice Delle Figure
87
9 INDICE DELLE FIGURE
FIGURA 1-1 CONFRONTO TRA L’ATROFIA DELLA CORTECCIA CEREBRALE DOVUTA ALL’INVECCHIAMENTO DI UN SOGGETTO SANO
(SINISTRA) E UNO MALATO DI ALZHEIMER (DESTRA) ........................................................................................................ 4
FIGURA 1-2: LOBO TEMPORALE E IPPOCAMPO .......................................................................................................................... 5
FIGURA 1-3: CONFRONTO FRA IMMAGINI FUNZIONALI DELL'ATTIVITÀ CEREBRALE DI UN SOGGETTO SANO (SINISTRA) E UNO MALATO
DI ALZHEIMER (DESTRA). ........................................................................................................................................... 6
FIGURA 1-4: RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA SENSIBILITÀ DEI TEST PSICOLOGICI IN FUNZIONE DELLA PROGRESSIONE DELLA
PATOLOGIA NEURODEGENERATIVA. IL GRAFICO MOSTRA COME I TEST DI MEMORIA E DI LINGUAGGIO SIANO SENSIBILI AI
DIVERSI STADI DELLA MALATTIA. QUELLI DI MEMORIA SONO PIÙ SENSIBILI DURANTE LA FASE INTERMEDIA (1) ARRIVANDO IN
POCO TEMPO ALLA MASSIMA CAPACITÀ DI EVIDENZIARE DEFICIT COGNITIVI (2) PER POI STABILIZZARSI, CIOÈ PERDERE DI
SENSIBILITÀ (3); L’ALTRA CURVA RAPPRESENTA LA PARTE DEI TEST SUL LINGUAGGIO CHE RIMANE POCO SENSIBILE AI PRIMI
SINTOMI DELLA MALATTIA (4) PER POI SALIRE RAPIDAMENTE NELLE FASI AVANZATE DELL’AD FINO A RAGGIUNGERE UNA
PENDENZA MASSIMA (5) NELLA FASE FINALE DELLA PATOLOGIA. ........................................................................................ 8
FIGURA 1-5: IPOTESI DELLA CAPACITÀ DISCRIMINANTE DEI MARCATORI MORFOLOGICI E FUNZIONALI NEI VARI STADI DELLA
MALATTIA DI ALZHEIMER ........................................................................................................................................... 9
FIGURA 2-1: CONFRONTO TRA UN'IMMAGINE A BASSA RISOLUZIONE (SINISTRA) E UNA AD ALTA RISOLUZIONE (DESTRA). ...................... 13
FIGURA 2-2: SOPRA SONO RIPORTATE DUE IMMAGINI DI RM DI UNA BOTTIGLIA D'ACQUA. NELL’IMMAGINE A DESTRA IL SNR È
MAGGIORE DI UN FATTORE 4 RISPETTO AL SNR DELL’IMMAGINE A SINISTRA. ..................................................................... 15
FIGURA 3-1: RM PHILIPS ACHIEVA 1.5 T .............................................................................................................................. 18
FIGURA 3-2: SCHEMA DELLA SEQUENZA MP-RAGE ................................................................................................................ 19
FIGURA 3-3: VOLUME ACQUISITO CON UNA SEQUENZA MP-RAGE ............................................................................................ 20
FIGURA 3-4: SCHEMA DELLA SEQUENZA GRE ......................................................................................................................... 20
FIGURA 3-5: IMMAGINI SAGITTALI BASELINE (SINISTRA) E REPEAT (DESTRA) ACQUISITE UTILIZZANDO IL PROTOCOLLO MP-RAGE SU
CERVELLO INTERO (DIMENSIONE DEI VOXEL: 0.94 × 0.94 × 1.20 MM^3) ........................................................................ 21
FIGURA 3-6: IMMAGINI TRASVERSALI BASELINE (SINISTRA) E REPEAT (DESTRA) ACQUISITE UTILIZZANDO IL PROTOCOLLO HR
(DIMENSIONE DEL VOXEL: 0.58 × 0.58 × 0.5 MM^3) .................................................................................................. 22
FIGURA 3-7 SEZIONE SAGITTALE 2D DI UNA REGIONE IPPOCAMPALE ESTRATTA RISPETTIVAMENTE, A SINISTRA DA UN’IMMAGINE
ACQUISITA CON PROTOCOLLO MPRAGE E A DESTRA DA UN’IMMAGINE ACQUISITA CON PROTOCOLLO AD ALTA
RISOLUZIONE. I DETTAGLI ANATOMICI SONO DISTINGUIBILI MAGGIORMENTE NELL’IMMAGINE A DESTRA GRAZIE ALL’ALTA
RISOLUZIONE SPAZIALE. ........................................................................................................................................... 22
FIGURA 3-8: L'OGGETTO TEST UTILIZZATO COME RIFERIMENTO ASSOLUTO PER LA FASE DI NORMALIZZAZIONE ..................................... 23
Indice Delle Figure
88
FIGURA 3-9: IL CALIBRATION OBJECT ACQUISITO MEDIANTE PROTOCOLLO HR .............................................................................. 24
TABELLA 3-1 VALORE MEDIO E DEVIAZIONE STANDARD DELLE INTENSITÀ DI GRIGIO DEL CALIBRATION OBJECT. ..................................... 25
FIGURA 3-10. POSIZIONAMENTO DEL CALIBRATION OBJECT NEL SUPPORTO CHE VA COLLOCATO ALL’INTERNO BOBINA PER L’ESAME
ALL’ENCEFALO. ...................................................................................................................................................... 26
FIGURA 3-11 POSIZIONAMENTO DEL CRANIO ALL'INTERNO DELLA BOBINA .................................................................................... 27
FIGURA 3-12: SEQUENZE SCOUT A BASSA RISOLUZIONE. RISPETTIVAMENTE DA SINISTRA VERSO DESTRA, SEZIONE SAGITTALE,
ASSIALE E CORONALE. .............................................................................................................................................. 28
FIGURA 3-13: IMMAGINE SAGITTALE ACQUISITA CON PROTOCOLLO MP-RAGE (SLICE 58). SULLA DESTRA SI PUÒ NOTARE IL
CALIBRATION OBJECT UTILIZZATO COME RIFERIMENTO ESTERNO. ...................................................................................... 29
FIGURA 3-14: IMMAGINE ASSIALE ACQUISITA CON PROTOCOLLO HR (SLICE 70). SOTTO L’ENCEFALO È POSSIBILE DISTINGUERE LE 6
CAVITÀ DEL CALIBRATION OBJECT UTILIZZATO COME RIFERIMENTO ESTERNO. ...................................................................... 30
FIGURA 4-1 RAPPRESENTAZIONE DELLA REGIONE UTILIZZATA PER LA NORMALIZZAZIONE, IL CORPO CALLOSO. ...................................... 36
FIGURA 4-2 ESEMPIO DI FUNZIONE SPLINE PER LA NORMALIZZAZIONE DEI LIVELLI DI GRIGIO ............................................................. 37
FIGURA 4-3 CURVA DI CALIBRAZIONE. IN ORDINATA SI HANNO I VALORI NORMALIZZATI (COMPRESI TRA 0 E 1) MENTRE IN ASCISSA I
VALORI DEI TONI DI GRIGIO DELL'IMMAGINE (COMPRESI TRA 0 E 4096). ........................................................................... 38
FIGURA 4-4 INTENSITÀ DEI LIVELLI DI GRIGIO IN RELAZIONE AL NUMERO DI SLICE ............................................................................ 39
FIGURA 4-5 FRAMEWORK GENERALE PER LA CO-REGISTRAZIONE DI DUE IMMAGINI ........................................................................ 41
FIGURA 4-6 ESEMPIO 2D DI MAPPING TRA COORDINATE: IL PUNTO NELL’IMMAGINE A SINISTRA SULLA GRIGLIA VA A FINIRE IN UN
PUNTO FUORI DALLA GRIGLIA DELL’IMMAGINE A DESTRA. QUESTO RICHIEDE L’UTILIZZO DELL’INTERPOLAZIONE ......................... 45
FIGURA 4-7: LONI PIPELINE: ATTRAVERSO TALE WORKFLOW È POSSIBILE CO-REGISTRARE LE IMMAGINI ACQUISITE CON IL
PROTOCOLLO MPRAGE .......................................................................................................................................... 45
FIGURA 4-8 A SINISTRA È RIPORTATA L’IMMAGINE NELLO SPAZIO IN CUI È STATA ACQUISITA. PER CONFRONTARE PIÙ SOGGETTI
OCCORRE ESEGUIRE UNA CO-REGISTRAZIONE PER RIPORTARE TUTTI I VOLUMI CEREBRALI AD UNO SPAZIO COMUNE. A
DESTRA IL RISULTATO DELL’ALGORITMO DI CO-REGISTRAZIONE UTILIZZATO IN QUESTO LAVORO DI TESI. ................................... 46
FIGURA 4-9 DA SINISTRA VERSO DESTRA: MATERIA GRIGIA, MATERIA BIANCA, OVERLAY DELLE PRIME DUE. ......................................... 47
TABELLA 5-1 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE CON IL PROTOCOLLO MPRAGE A DUE MESI DI DISTANZA. ................ 52
TABELLA 5-2 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE CON IL PROTOCOLLO MPRAGE A DISTANZA DI UN ANNO. ................ 52
TABELLA 5-3 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE DURANTE LA STESSA SESSIONE DI FEBBRAIO 2016 CON IL
PROTOCOLLO HR DOPO IL RIPOSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE. ......................................................................................... 52
TABELLA 5-4 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE DURANTE LA STESSA SESSIONE DI APRILE 2016 CON IL
PROTOCOLLO HR DOPO IL RIPOSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE. ......................................................................................... 53
TABELLA 5-5 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE DURANTE LA STESSA SESSIONE DI FEBBRAIO 2017 CON IL
PROTOCOLLO HR DOPO IL RIPOSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE. ......................................................................................... 53
Indice Delle Figure
89
TABELLA 5-6 INDICI DI CONFRONTO TRA L’IMMAGINE BASELINE E LE REPEAT, ACQUISITE CON IL PROTOCOLLO HR A DISTANZA DI
TEMPO. ............................................................................................................................................................... 53
TABELLA 5-7 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE CON IL PROTOCOLLO MPRAGE A DUE MESI DI DISTANZA. ............... 54
TABELLA 5-8 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE DURANTE LA STESSA SESSIONE DI FEBBRAIO 2016 CON IL
PROTOCOLLO HR DOPO IL RIPOSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE. ........................................................................................ 54
TABELLA 5-9 INDICI DI CONFRONTO TRA DUE IMMAGINI ACQUISITE DURANTE LA STESSA SESSIONE DI APRILE 2016 CON IL
PROTOCOLLO HR DOPO IL RIPOSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE. ........................................................................................ 54
TABELLA 5-10 INDICI DI CONFRONTO TRA L’IMMAGINE BASELINE E LE REPEAT, ACQUISITE CON IL PROTOCOLLO HR A DISTANZA DI
TEMPO. ............................................................................................................................................................... 55
FIGURA 7-1 : IN UN CAMPIONE COSTITUITO DA ATOMI DOTATI DI SPIN, L’ORIENTAMENTO DEI VETTORI MAGNETICI DEI SINGOLI
ATOMI È CASUALE NELLO SPAZIO E LA MAGNETIZZAZIONE È NULLA (M=0). EMERGENDO IL MATERIALE IN UN CAMPO
MAGNETICO STATICO (B0), I VETTORI MAGNETICI DEGLI ATOMI SI ALLINEANO SECONDO LA DIREZIONE DELLE LINEE DI FORZA
DEL CAMPO ESTERNO, CON UN VERSO PARALLELO O ANTIPARALLELO. COMPARE UNA MAGNETIZZAZIONE COMPLESSIVA DEL
CAMPIONE (M) CON VETTORE AVENTE DIREZIONE E VERSO DEL CAMPO MAGNETICO ESTERNO E INTENSITÀ PARI ALLA
SOMMA VETTORIALE DEI MOMENTI MAGNETICI DEI SINGOLI ATOMI. ................................................................................. 60
FIGURA 7-2 (A) VIENE MOSTRATO IL VETTORE DI MAGNETIZZAZIONE DEL MEZZO, SCOMPOSTO NEI TRE ASSI CARTESIANI X, Y, Z. (B)
L'IMPULSO RF SOMMATO AL CAMPO STATICO APPLICATO, PORTA IL VETTORE DI MAGNETIZZAZIONE A MASSIMIZZARE LA
COMPONENTE PLANARE MXY, ANNULLANDO LA COMPONENTE LONGITUDINALE MZ. .......................................................... 63
FIGURA 7-3 IL FENOMENO DELLA RISONANZA: QUANDO UN CAMPO MAGNETICO A RADIOFREQUENZA ALLA FREQUENZA DI LARMOR,
SI AGGIUNGE AL CAMPO MAGNETICO STATICO, LA CONDIZIONE DI EQUILIBRIO VIENE PERTURBATA E I PROTONI COMINCIANO
A RUOTARE INTORNO AD ESSO. LA DURATA E L’AMPIEZZA DI B1 DETERMINANO L’ANGOLO DI ROTAZIONE DELLA
MAGNETIZZAZIONE NETTA ....................................................................................................................................... 64
FIGURA 7-4 INCREMENTO ESPONENZIALE DELLA MAGNETIZZAZIONE LONGITUDINALE (ORDINATE) IN FUNZIONE DEL TEMPO
(ASCISSE). A SECONDA DELL’ISTANTE DI MISURA (TE) E DELL’ANDAMENTO DELLA CURVA VARIA LA POSSIBILITÀ DI
DIFFERENZIARE IN MANIERA EFFICACE LE DIVERSE COMPONENTI TISSUTALI ......................................................................... 66
FIGURA 7-5: DECREMENTO ESPONENZIALE DELLA MAGNETIZZAZIONE TRASVERSALE (ORDINATE) IN FUNZIONE DEL TEMPO (ASCISSE).
A SECONDA DELL’ISTANTE DI MISURA (TE) VARIA LA POSSIBILITÀ DI DIFFERENZIARE IN MANIERA EFFICACE LE DIVERSE
COMPONENTI TISSUTALI. ......................................................................................................................................... 68
TABELLA 7-1 VALORI DI T1 E T2 PER TESSUTI CEREBRALI A 1.5 TESLA ......................................................................................... 69
FIGURA 7-6: SCANSIONI RM DI ENCEFALO SECONDO LO STESSO PIANO ASSIALE, CON SEQUENZE “PESATE”, RISPETTIVAMENTE A) T2,
B) T1 E C) IN DENSITÀ PROTONICA. L’IMMAGINE IN T2 SI RICONOSCE FACILMENTE PER IL COLORE BIANCO DEL LIQUOR E PER
L’INVERSIONE DEL CONTRASTO FRA SOSTANZA GRIGIA E BIANCA. L’IMMAGINE IN T1 APPARE PIÙ ADERENTE ALLA REALTÀ
ANATOMICA E RISPETTA LA CARATTERISTICA GRADAZIONE DI CONTRASTI FRA SOSTANZA GRIGIA E BIANCA. L’IMMAGINE IN
Indice Delle Figure
90
DENSITÀ PROTONICA RICORDA L’IMMAGINE IN T1PER IL COLORE SCURO DEL LIQUOR, MA SI DIFFERENZIA PER IL MINOR
CONTRASTO E PER UNA LIEVE INVERSIONE DEL RAPPORTO FRA SOSTANZA GRIGIA E BIANCA. ................................................... 70
FIGURA 7-7 LA SCOMPARSA DELLA COMPONENTE MXY A CAUSA DEL RILASSAMENTO SPIN-SPIN E ALLE DISOMOGENEITÀ DEL CAMPO
STATICO 𝐵0, GENERANO IL SEGNALE FID CHE SEGUE L’INVILUPPO DELL’ESPONENZIALE DECRESCENTE CON COSTANTE DI
TEMPO 𝑇2 ∗. IL SEGNALE FID SI CONCATENA CON LA BOBINA DI RICEZIONE E PRODUCE IL SEGNALE MRI. ............................... 71
FIGURA 7-8 SISTEMA GRADIENTI. SONO EVIDENZIATE LE TRE BOBINE DI GRADIENTE: SLICE SELECTION GRADIENT, FREQUENCY
ENCODING GRADIENT, PHASE ENCODING GRADIENT ....................................................................................................... 72
FIGURA 7-9 ECCITAZIONE SELETTIVA DI UNA FETTA. ................................................................................................................. 73
FIGURA 7-10 SE AD ESEMPIO VIENE APPLICATO UN IMPULSO A 90° AD UNA COLONNA DI SPIN SEGUITO DA UN GRADIENTE DI
CODIFICA DI FASE, GLI SPIN PRECEDONO A DIFFERENTI VELOCITÀ (FREQUENZE) DEFASANDOSI GLI UNI RISPETTO AGLI ALTRI
ALL’INTERNO DELLA SLICE SELEZIONATA DAL GRADIENTE DI SELEZIONE DELLA FETTA ............................................................. 74
FIGURA 7-11(A) SELEZIONE DI UNA FETTA AD ECCITAZIONE SELETTIVA; (B) ATTIVAZIONE DEL GRADIENTE DI CODIFICA DI FASE TRA
L’IMPULSO DI ECCITAZIONE E IL PERIODO DI LETTURA; (C) ATTIVAZIONE DEL GRADIENTE DI LETTURA DURANTE IL QUALE È
RACCOLTO IL SEGNALE FID ....................................................................................................................................... 75
FIGURA 7-12 ................................................................................................................................................................... 77
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McClelland, J., and Hill, D. 2, 2004, Vol. 9.
93
Ringraziamenti
Eccomi giunto alla fine di questa tesi e di questi fantastici anni di Università, nei quali credo di
essere maturato professionalmente e soprattutto personalmente. Vorrei, con queste ultime ri-
ghe, ringraziare tutte le persone che hanno creduto in me e che mi hanno sempre sostenuto sia
nei momenti di difficoltà sia in quelli felici e spensierati.
Desidero innanzitutto ringraziare la Professoressa Renata Longo, relatrice del mio lavoro, che
grazie alle sue lezioni ha permesso di affascinarmi a questi argomenti. Vorrei ringraziarla anche
per la sua disponibilità, per i tanti consigli, per tutto il tempo dedicato alla mia tesi e per avermi
concesso questa occasione formativa in un contesto fortemente motivante.
Un ringraziamento speciale ad Alban Grucka per il suo immenso supporto tecnico e morale
durante tutto il lavoro.
I migliori ringraziamenti vanno alla mia famiglia, in particolare ai miei genitori Bruna e Angelo
e mio fratello Matteo, per il sostegno economico, per l’affetto dimostratomi e per avermi forni-
to tutti i mezzi per completare questo percorso. Dedico a loro questo mio ultimo lavoro in se-
gno di riconoscimento per gli sforzi sostenuti, non solo finanziari.
Un caloroso ringraziamento a Carla che con amore, pazienza e fiducia mi ha sempre supporta-
to e sopportato in ogni momento, soprattutto in quelli più difficili; grazie per tutto ciò che hai
fatto e che fai per me.
Un ringraziamento va ai miei amici Alessio, Martina, Nizzi, Puli, Aurelia, Jacopo; Alessia, Ma-
tilde, Sara, Nicola P, Elisabetta, Marco T., Davide e Nicola A, che in un modo o nell’altro,
hanno condiviso con me questi anni di gioie e sacrifici. Probabilmente le nostre strade ci porte-
ranno altrove, ma il ricordo di un periodo importante della nostra vita resterà per sempre.
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