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1. Premessa Mi propongo di avviare in questa sede un tentativo di analisi della produzione epigrafica di Roma anteriormente all’età imperiale 1 . Dico avviare, sia perché in effetti un’indagine del genere a tutt’oggi manca completamente, sia perché non si tratta di una ricerca esauribile nei limiti di un breve scritto. Inoltre gli strumenti necessari, o non ci sono o risultano bisognosi d’integrazioni 2 . Per il momento vorrei dunque limitarmi a considerare le sole iscrizioni lapidee, e queste essenzialmente per alcuni aspetti del lavoro officinale, rinviando ad altre occasioni l’esame del resto della produzione e | la considerazione di altri aspetti, pur fondamentali, come quelli costituiti dalle forme grafiche, dalla formazione del linguag- gio, dalla committenza e da altri ancora. Non ho bisogno di soffermarmi sulle ragioni per cui tutti ormai siamo convinti che, in un’iscrizione, il momento della realizzazione come ‘forma’ non sia meno importante di quello del suo concepimento come ‘contenuto’. La ‘forma’ di un monumento epigrafico non è soltanto il prodotto di una cultura tec- nologico-professionale bensì anche la manifestazione ultima delle strutture mentali e sociali che l’han- no determinata. Negli ultimi decenni tutto questo è stato detto ed illustrato molto bene da altri e non è necessario ripeterlo 3 . Come corollario di questa raggiunta convinzione, si è avuta tutta una fioritura di studi sulle officine epigrafiche, di singoli centri o di più ampi territori, che però non ha sostanzialmente toccato Roma, in * Acta colloqui epigraphici latini Helsingiae a. 1991 habiti (Commentationes Humanarum Litterarum, 104), Helsinki 1995, pp. 319-342. ** Per alleggerire le note, i testi epigrafici vi saranno in- dicati soltanto con il numero che hanno nell’Appendice. Quando non diversamente specificato, le date dovranno in- tendersi a.C. Nella raccolta del materiale sono stato aiutato dalle dott.sse M.L. Caldelli, C. Lo Giudice e C. Ricci, che ringrazio. 1 La ricerca rientra in un progetto di studio delle caratteri- stiche e degli sviluppi dell’epigrafia latina di età repubblicana non solo di Roma che intenderei portare avanti, con vari saggi d’indagine, nei prossimi anni. Si vedano intanto: Inscriptio- nes Latinae liberae rei publicae (a cura di S. PANCIERA), in Epigrafia. Actes du Colloque en mémoire de Attilio Degrassi (CEFR, 143), Rome 1991, pp. 241-491; Le iscrizioni votive latine, in Sc. Ant., 3-4 (Atti del Conv. Int. Anathema, 1989), 1989-90 [1991], pp. 905-914; L’evergetismo civico nelle iscri- zioni latine di età repubblicana, in Actes du X e Congrès Int. d’Epigr. Grecque et Latine (Nîmes 1992), in corso di stampa [Paris 1997, pp. 249-290]. 2 Manca, ad esempio, uno studio della paleografia delle iscrizioni urbane di età repubblicana comparabile a quello condotto da Joyce S. ed Arthur E. Gordon su un campio- ne di epigrafi datate tra Augusto e Nerva: Contributions to the Palaeography of Latin Inscriptions (Univ. Calif. Publ. Class. Arch., III, 3), Berkeley-Los Angeles 1957. Largamen- te incompleta, nonostante gli sforzi degli autori, resta la do- cumentazione fotografica resa comodamente disponibile da RITSCHL, Monumenta, DEGRASSI, Imagines, CIL, I 2 , Tavv. ed Epigrafia, cit. (nt. 1), tavv. I-XXIX. 3 Basterà rinviare a G.C. SUSINI, Il lapicida romano. In- troduzione all’epigrafia latina, Bologna 1966 (rist. Roma 1967; trad. ingl. a cura di E. BADIAN, The Roman Stonecut- ter, Oxford 1973); ID., Epigrafia romana, Roma 1982; ID., Le scritture esposte, in Lo spazio letterario di Roma antica, II, Roma 1989, pp. 271-306. Ampia bibliografia sul tema in ciascuno di questi contributi. I,2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA LE OFFICINE LAPIDARIE* <319> <320>

2 - La produzione epigrafica di Roma in età repubblicana. Le officine lapidarie

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1. Premessa

Mi propongo di avviare in questa sede un tentativo di analisi della produzione epigrafica di Roma anteriormente all’età imperiale1. Dico avviare, sia perché in effetti un’indagine del genere a tutt’oggi manca completamente, sia perché non si tratta di una ricerca esauribile nei limiti di un breve scritto. Inoltre gli strumenti necessari, o non ci sono o risultano bisognosi d’integrazioni2. Per il momento vorrei dunque limitarmi a considerare le sole iscrizioni lapidee, e queste essenzialmente per alcuni aspetti del lavoro officinale, rinviando ad altre occasioni l’esame del resto della produzione e | la considerazione di altri aspetti, pur fondamentali, come quelli costituiti dalle forme grafiche, dalla formazione del linguag-gio, dalla committenza e da altri ancora.

Non ho bisogno di soffermarmi sulle ragioni per cui tutti ormai siamo convinti che, in un’iscrizione, il momento della realizzazione come ‘forma’ non sia meno importante di quello del suo concepimento come ‘contenuto’. La ‘forma’ di un monumento epigrafico non è soltanto il prodotto di una cultura tec-nologico-professionale bensì anche la manifestazione ultima delle strutture mentali e sociali che l’han-no determinata. Negli ultimi decenni tutto questo è stato detto ed illustrato molto bene da altri e non è necessario ripeterlo3.

Come corollario di questa raggiunta convinzione, si è avuta tutta una fioritura di studi sulle officine epigrafiche, di singoli centri o di più ampi territori, che però non ha sostanzialmente toccato Roma, in

* Acta colloqui epigraphici latini Helsingiae a. 1991 habiti (Commentationes Humanarum Litterarum, 104), Helsinki 1995, pp. 319-342.** Per alleggerire le note, i testi epigrafici vi saranno in-dicati soltanto con il numero che hanno nell’Appendice. Quando non diversamente specificato, le date dovranno in-tendersi a.C. Nella raccolta del materiale sono stato aiutato dalle dott.sse M.L. Caldelli, C. Lo Giudice e C. Ricci, che ringrazio.1 La ricerca rientra in un progetto di studio delle caratteri-stiche e degli sviluppi dell’epigrafia latina di età repubblicana non solo di Roma che intenderei portare avanti, con vari saggi d’indagine, nei prossimi anni. Si vedano intanto: Inscriptio-nes Latinae liberae rei publicae (a cura di S. PANCIERA), in Epigrafia. Actes du Colloque en mémoire de Attilio Degrassi (CEFR, 143), Rome 1991, pp. 241-491; Le iscrizioni votive latine, in Sc. Ant., 3-4 (Atti del Conv. Int. Anathema, 1989), 1989-90 [1991], pp. 905-914; L’evergetismo civico nelle iscri-zioni latine di età repubblicana, in Actes du Xe Congrès Int.

d’Epigr. Grecque et Latine (Nîmes 1992), in corso di stampa [Paris 1997, pp. 249-290].2 Manca, ad esempio, uno studio della paleografia delle iscrizioni urbane di età repubblicana comparabile a quello condotto da Joyce S. ed Arthur E. Gordon su un campio-ne di epigrafi datate tra Augusto e Nerva: Contributions to the Palaeography of Latin Inscriptions (Univ. Calif. Publ. Class. Arch., III, 3), Berkeley-Los Angeles 1957. Largamen-te incompleta, nonostante gli sforzi degli autori, resta la do-cumentazione fotografica resa comodamente disponibile da RITSCHL, Monumenta, DEGRASSI, Imagines, CIL, I2, Tavv. ed Epigrafia, cit. (nt. 1), tavv. I-XXIX.3 Basterà rinviare a G.C. SUSINI, Il lapicida romano. In-troduzione all’epigrafia latina, Bologna 1966 (rist. Roma 1967; trad. ingl. a cura di E. BADIAN, The Roman Stonecut-ter, Oxford 1973); ID., Epigrafia romana, Roma 1982; ID., Le scritture esposte, in Lo spazio letterario di Roma antica, II, Roma 1989, pp. 271-306. Ampia bibliografia sul tema in ciascuno di questi contributi.

I,2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANALE OFFICINE LAPIDARIE*

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32 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

particolare non la Roma repubblicana4. Eppure è di per sè evidente l’importanza del tutto particolare che la posizione delle città viene ad assumere anche in questo contesto, se non altro per l’eccezionale rilevanza storica che le fu propria, per la verosimile capacità che dobbiamo riconoscerle di elaborare ed irradiare modelli epigrafici, nonché, infine, per la relativa abbondanza e varietà di documenti che ci mette a disposizione.

Raggrupperò le mie osservazioni intorno ad alcuni caposaldi.

2. La documentazione

Sommando alle iscrizioni raccolte in CIL, I2 le epigrafi edite negli ultimi anni5, e togliendone un certo numero che, sottoposte a controllo, si sono rivelate più evidentemente di età imperiale o comunque qui non pertinenti6, conosciamo poco meno di 1100 iscrizioni romane che possono esser fatte rimontare ad epoca preimperiale. Lapidee sono 627, delle quali un elevato numero è perduto, disperso, perma-nentemente o momentaneamente inaccessibile, comunque non disponibile per uno studio sull’originale o almeno su una buona riproduzione. Questa indagine è condotta dunque in buona parte sui 376 mo-numenti lapidei che ho potuto vedere7. Non tutta però, perché per certi aspetti, per i quali una visione diretta dell’epigrafe non era indispensabile (bastando la | trascrizione dei testi e le informazioni confluite nel CIL), è stato possibile utilizzare una base documentaria più larga.

Ad esempio per lo scaglionamento cronologico complessivo del materiale. Correndo qualche inevi-tabile rischio nelle datazioni, ritengo che le iscrizioni lapidee di Roma anteriori all’età imperiale possano essere suddivise come segue8:

Scaglioni cronologici Iscriz. note Iscriz. controllabili

secc. VI-Vsecc. IV-IIIsecc. II-I

122/36590/604

119/29346/356

Totali 627 376

La tabella mostra in maniera del tutto evidente l’assenza quasi totale, o rispettivamente la scarsità, della documentazione nei primi quattro secoli e l’impennata che si registra negli ultimi due; nell’ulti-mo, in particolare, al quale appartiene la maggioranza (550 circa) delle iscrizioni registrate nell’ultimo scaglione.

4 Per un elenco esemplificativo di siffatte ricerche: SUSINI, Epigrafia, cit. (nt. 3), p. 87; vd. anche l’appendice bibliogra-fica in I. CALABI LIMENTANI, Epigrafia Latina4, Milano 1991, pp. 407-451.5 Vd. Epigrafia, cit. (nt. 1), pp. 249-359 e p. 436. Stranamen-te omesse in CIL, I2: App. 141, 142. Aggiungere ora anche App. 122.6 Datazione o rifacimento in età imperiale: App. 165-177.

Non urbane: App. 178-182.7 Altri conto di poterli raggiungere nei prossimi anni. Paral-lelamente sto raccogliendo materiale fotografico per un sup-plemento a DEGRASSI, Imagines.8 L’oscillazione numerica negli ultimi due scaglioni è do-vuta a quattordici documenti di datazione incerta fra il III e il II sec.

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2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 33

Ci si può chiedere se questa situazione sia un riflesso percentualmente fedele della produzione epi-grafica su pietra nel periodo considerato o se essa debba essere imputata, particolarmente per il periodo più antico, a massicce distruzioni9 oltre che all’aleatorietà dei ritrovamenti. Io sarei propenso a credere che, nel VI-V sec., la produzione di iscrizioni lapidee a Roma sia stata realmente limitata e che un am-pliamento dell’uso non si sia avuto prima dei secc. IV-III. Naturalmente si sarà scritto anche in questo lungo periodo, ma, o privilegiando altri supporti (lignei, fittili, metallici), o scrivendo anche su pietre, ma a pennello10.

È un fatto che la stessa carenza si riscontra anche allargando lo sguardo da Roma al resto del ter-ritorio in cui si scriveva latino. Le iscrizioni lapidee che si conoscono come databili ai secc. VI-V non sono infatti più di tre 11.

Sicuramente del IV sec. non se ne conosce alcuna e soltanto a cavallo fra IV e III sec., si registra un incremento (una ventina di iscrizioni) sempre molto limitato però se si considera la vastità del terri-torio.

In sostanza l’epigrafia lapidea di Roma comincia ad avere un forte incremento | soltanto nel II sec. ed esplode nel I, dopo un impiego affatto sporadico nei secc. VI-V ed una contenuta crescita nei secc. IV-III.

3. I materiali

Materiali utilizzati per le iscrizioni romane anteriori all’età imperiale, per quanto risulta dallo spo-glio di CIL, I2 e delle altre pubblicazioni pertinenti sono, in ordine di frequenza: il lapis Tiburtinus (tra-vertino); il lapis Albanus (peperino); tufi di varia provenienza; calcari di varia provenienza, compreso il palombino; il lapis Gabinus (pietra sperone), il nenfro12. Ad essi è da aggiungere il marmo, il quale richiede però un discorso a parte che faremo tra poco.

Bisogna dire che non sempre è facile distinguere fra di loro i vari tipi di materiale, anche da parte di un occhio esperto. Valga l’esempio di alcuni sarcofagi degli Scipioni: quello di Scipione Barbato è considerato da taluno di nenfro, da altri di lapis Albanus, cioè di peperino13; quello di Publio Cornelio Scipione, flamine diale, per alcuni è di lapis Albanus, per altri di lapis Gabinus14; così quello di L. Cor-nelio Scipione figlio di Ispallo15.

Il fatto è che, essendo per lo più le superfici fortemente alterate, un fondato riconoscimento del materiale non è possibile senza un accurato esame litologico ed anche allora − mi dicono i geologi − qualche dubbio può restare. Un sistematico riesame del materiale delle iscrizioni urbane, in particolare

9 Ad esempio in occasione del sacco gallico.10 Come, ad esempio, su certi coperchi di sarcofago della tomba degli Scipioni (App. 2, 4). Non ne discende, come conseguenza, che le iscrizioni incise siano sempre posteriori a quelle dipinte.11 La base di cappellaccio del santuario di Mater Matuta a Satrico (App. 154), quella in tufo dell’Aniene del ponte dell’Acquoria a Tivoli (App. 153) e l’ara in peperino da Cor-colle (App. 156).12 In generale su questi materiali e la loro distribuzione nell’area laziale si veda: G. De ANGELIS DʼOSSAT, Sepolcro

degli Scipioni, in Bull. Comm. Arch. Roma, 64, 1936, pp. 37-53; ID., Le pietre dei cippi arcaici, ibid., 73, 1949-50 [1953], pp. 3-11; ID., Le pietre dei cippi arcaici, II, ibid., 75, 1953-55, pp. 173-184, con la bibliografia ivi citata.13 App. 2, 3. Nenfro: R. HERBIG, Die jüngetruskischen Steinsarkophage, Berlin 1952, p. 124 nt. 187; peperino: DE ANGELIS DʼOSSAT, Sepolcro, cit. (nt. 12), p. 49.14 App. 6. Lapis Albanus: CIL, I2 p. 380; lapis Gabinus: DE ANGELIS DʼOSSAT, Sepolcro, cit. (nt. 12), p. 52.15 App. 7. Lapis Albanus: CIL, I2 p. 380; lapis Gabinus: DE ANGELIS DʼOSSAT, Sepolcro, cit. (nt. 12), p. 52.

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34 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

delle più antiche, condotto con criteri scientifici, quale era auspicato già molti anni fa da Attilio Degras-si16, credo resti tuttora uno dei desiderata della nostra disciplina.

Gli incerti riconoscimenti, in aggiunta ad altri fattori, si riflettono nei tentativi di stabilire una cro-nologia nell’uso dei vari tipi di materiali lapidei a Roma. Prima di tutto si usarono certamente i vari tufi presenti nella città e nei dintorni e di questa materia è il cippo del Foro, la cui identificazione come tufo di Grotta Oscura, fu però già prudentemente sfumata dal De Angelis D’Ossat e dovrebbe essere, forse, ancora una volta verificata17. Quindi s’introduce nell’uso il lapis Albanus (peperino), la cui prima utilizzazione | epigrafica a Roma sembra aversi con il più antico sarcofago della tomba dei Cornelii, datato circa alla metà del IV sec.18. Allo stato attuale sembra seguire, tra la fine del IV e la prima metà del III sec., l’uso del palombino, impiegato per il secondo sarcofago della tomba dei Cornelii19 e, più in generale, delle pietre calcaree riscontrabile in tutte una serie di dediche20. Entra poi nell’uso il travertino, destinato a diventare il materiale preferito per i monumenti epigrafici della tarda età repubblicana ed usatissimo ancora in seguito, soprattutto nella prima età imperiale.

Quando si sia cominciato ad utilizzare questo materiale a Roma è in realtà controverso. Il Tenney Frank osservò che il travertino non sembrava essere stato scoperto e cavato a Tivoli che piuttosto tardi e che un suo uso epigrafico in concorrenza con il peperino non pareva aversi prima delle ultime decadi del II sec.21. L’affermazione fu ribadita dal Lugli entro il dibattito sulla datazione del santuario di Fortuna Primigenia a Preneste, dove il travertino è ampiamente utilizzato: questo materiale non sarebbe usato, nè a Tivoli nè altrove, prima degli ultimi decenni del II sec. e l’iscrizione più antica su travertino, una base con dedica ad Honos da Porta Collina22, si daterebbe per l’appunto verso il 12523. In realtà non sembra dubbio che quest’epigrafe sia notevolmente più antica, probabilmente ancora del III sec.24. È stato inol-tre osservato che travertini si trovano anche fuori di Tivoli, ad esempio a Preneste, dove certamente se ne fece uso epigrafico prima di quanto si sia postulato per Roma25. Di travertino e non di peperino sem-bra comunque la dedica posta da Lucio Mummio ad Ercole Vincitore dopo la conquista della Grecia26 ed intorno al 150 dovrebbe esser morta la Paulla Cornelia figlia di Gneo e moglie di Ispallo cos. 176,

16 L’epigrafia latina in Italia nell’ultimo ventennio ed i crite-ri del nuovo insegnamento. Prolusione al corso di epigrafia latina all’Università di Roma (29 nov. 1956), Padova 1957, p. 11 (Scritti vari di antichità, I, Roma 1962, p. 658).17 App. 1. Tufo giallo della Sabazia orientale: DE ANGELIS DʼOSSAT, Pietre, cit. (nt. 12), pp. 3-9.18 App. 105.19 App. 106.20 App. 109, 13, 19.21 T. FRANK, Roman Buildings of the Repubblic. An Attempt to Date them from their Materials (Pap. Monogr. Am. Ac. Rome, 3), Rome 1924, p. 32.22 App. 20.23 G. LUGLI, Il santuario della Fortuna Primigenia in Pre-neste e la sua datazione, in Rend. Ac. Linc., ser. 8, 9, 1954, p. 67; vd. anche ID., Tecnica edilizia romana, I, Roma 1957, p. 234.24 Vd. già DEGRASSI, Imagines, 77 (stranamente in CIL, I2 p. 862 ad nr. 31 si ripete, invece, ancora la datazione del Lugli). Tra il 292 e il 212 pone la costruzione del tempio di Honos

extra portam Collinam, al quale evidentemente l’iscrizione si riferisce, A. ZIOLKOWSKY, The Temples of Mid - Repubbli-can Rome and their Historical and Topographical Context, Roma 1992, p. 57.25 Sull’esistenza di travertini non di Tivoli e il loro preco-ce impiego: G. GULLINI, Ancora sul santuario della Fortuna Primigenia, in Arch. Class., 6, 1954, p. 140; A. DEGRASSI, Quando fu costruito il santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina, in Mem. Ac. Linc., ser. 8, 14, 1969, p. 126 (ID., Scritti vari di antichità, IV, Trieste 1971, p. 20); G. GULLINI, Tradizione e innovazione nelle fasi edilizie del santuario del-la Fortuna Primigenia tra il III e il I sec. a.C., in Urbanistica ed architettura dell’antica Preneste, Palestrina 1989, p. 72. Iscrizioni di Preneste su travertino probabilmente ancora del III sec. sono: App. 163, 164 (cfr. le pubblicazioni originali del Degrassi citate in CIL). Dell’inizio del II sec. è App. 152, posta da Quinzio Flaminino come console nel 192.26 Che sia di travertino è stato ribadito contro LUGLI, art. cit. (nt. 23) p. 67 nt. 1 da DE ANGELIS DʼOSSAT, vd. CIL, I2 p. 921 ad nr. 626.

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una parte iscritta del cui sepolcro è | stata considerata da tutti di travertino27. Almeno sporadicamente, il travertino sembrerebbe dunque utilizzato epigraficamente a Roma già a partire dal III sec. Quindi il suo uso sarebbe progressivamente cresciuto dalla metà del II sec., diventando trionfante dalla fine dello stesso secolo.

Restano da considerare il lapis Gabinus, o pietra sperone, il nenfro, ed i marmi. Del primo, non mol-to usato, troviamo le prime e sole attestazioni, se rettamente riconosciute, nella tomba degli Scipioni, nel passaggio dal primo al secondo quarto del II sec.28. Del nenfro, se non si considera l’attestazione, negata, per il sarcofago di Scipione Barbato29, conosciamo a Roma un solo caso di impiego epigrafico repubbli-cano, costituito da un’iscrizione d’ignota provenienza, verosimilmente databile nella prima metà del I sec.30. I marmi richiedono, come ho detto, un discorso a parte.

Dallo spoglio di CIL, I2 e delle pubblicazioni successive, più di 70 iscrizioni urbane di età repub-blicana risulterebbero incise su marmo. Credo tuttavia che il dato vada drasticamente ridimensionato per due ragioni. In primo luogo perché varie di queste iscrizioni, che penso siano state attribuite all’età repubblicana soprattutto per ragioni linguistiche, saranno da inquadrare piuttosto nella prima età impe-riale31. In secondo luogo, come già osservò il Degrassi, per l’uso che si fa di marmor e marmoreus, tanto in CIL quanto, e più, nelle sue fonti, come possibile equivalente di lapis e lapideus32.

È chiaro tuttavia che iscrizioni su marmo non mancarono; si tratta di vedere da quando. La più antica iscrizione urbana su marmo lunense, esplicitamente datata, appartiene al monumento sepolcrale di un frumentario in ignem inlatus nel terzo consolato di Pompeo, cioè nel 5233. Poiché lo sfruttamento delle cave sembra esser iniziato già prima della deduzione della colonia romana di Luna del 17734, non è escluso che un uso epigrafico sporadico di questo materiale si sia avuto anche prima, come pure di | marmi greci, utilizzati forse già nel II sec., certamente comunque nella prima metà del I, come è stato proposto anche per Ostia35. Nell’impossibilità di controllare alcuni documenti che si qualificano mar-morei ed antichi36, allo stato attuale le più antiche iscrizioni su marmo (greco) di Roma sembrano quelle rispettivamente su una basetta votiva del Palatino37 e su un’ara dei Musei Vaticani38, forse entrambe ancora del II sec.39. Al primo quarto del I sec. si è proposto di datare invece un frammento di epistilio in

27 App. 11. Possibili attestazioni abbastanza antiche del-l’uso epigrafico del travertino a Roma sono offerte anche da App. 51, 55, 57.28 App. 6, 7, cfr. sopra ntt. 14 e 15. Sulla frequente confu-sione tra lapis Albanus e lapis Gabinus: DE ANGELIS DʼOS-SAT, Pietre II, cit. (nt. 12), pp. 173-184.29 Vd. sopra nt. 13.30 App. 119.31 Infatti ne ho tolto senz’altro alcune dal novero delle repub-blicane: App. 170, 171, 172, 173, 174, 175, 177. Ma la lista si allungherà senz’altro man mano che sarà possibile vedere i documenti conservati. Sulla questione conto di tornare.32 In Bull. Comm. Arch. Roma, 67, 1939, pp. 171 sg., repli-cando ad un’osservazione di F. ALTHEIM (A History of Ro-man Religion, London 1938, p. 514 nt. 51) e in Riv. Filol. Istr. Class., n.s., 27, 1949, p. 289 (Scritti vari, IV, p. 241) a proposito di A.E. GORDON, Epigraphica, II: On Marble as a Criterium for Dating Repubblican Inscriptions (Univ. Calif. Publ. Class. Arch., 1: 5) Berkeley 1936, pp. 159-169. Un

esempio: CIL, I2 1228 (cippus marmoreus) cfr. p. 971 (cip-pus ex lapide Tiburtino).33 App. 111.34 T. MANNONI, Primi probabili impieghi del marmo lunense e il portus Lunae, in Quad. Stud. Lun., 10-12, 1985-87 (Atti del Conv. Studi Lunensi e prospettive sull’Occidente roma-no, 1985), pp. 395-397. Per M. BONAMICI, Il marmo lunense in epoca preromana, in Il marmo nella civiltà romana. La produzione e il commercio, Lucca 1989, pp. 83-113, l’inizio dello sfruttamento rimonterebbe al VI sec.35 App. 162.36 App. 45, 54, 56.37 App. 145.38 App. 42.39 Per la datazione della dedica del Palatino (App. 145), che non ho visto personalmente, rinvio alle considerazioni svolte dall’editore. App. 42 presenta due testi: uno relativo all’erezione dell’ara, l’altro della prima metà del I sec., rife-rentesi ad un suo restauro; notare, nel testo più antico, la P

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marmo (greco?, lunense?) conservante alcune lettere di accuratissima esecuzione ed una interpunzione quadrangolare del tipo a contorno inciso40.

Nella tabella che segue ricapitolo quelle che per ora, risultano essere le più antiche attestazioni, a Roma, dell’uso epigrafico dei singoli materiali esaminati:

tufi VI, fine

lapis Albanus IV, metà

pietre calcaree III, prima metà

lapis Tiburtinus III, metà

lapis Gabinus II, prima metà

marmo greco II, prima metà?

marmo lunense I, prima metà?

nenfro I, prima metà

4. I monumenti

Allo stato attuale delle nostre conoscenze, in origine alla scrittura su pietra non sembra essersi fatto ricorso a Roma se non per motivi sacri o sacro-prescrittivi. Di fatto, il più antico documento di tal genere che ci sia pervenuto, quello inciso sul cippo troncopiramidale del Foro, è una lex sacra41. Iscrizioni se-polcrali non si conoscono prima di quelle incise sul più antico sarcofago della tomba dei Corneli, della metà circa del IV sec.42.

Sarebbe possibile addebitare questo fenomeno ad una presunta perdita di gran parte della documen-tazione funeraria dei secoli VI e V. In effetti il cippo del Foro continua a restare l’unica iscrizione su pie-tra di Roma sino alla metà del sec. IV. Tuttavia due fatti inducono a riflettere. Il primo è che le scoperte mostrano esattamente la stessa situazione anche nel territorio circostante, ove tutte le iscrizioni latine su pietra fino alla metà od alla fine del IV sec. hanno il medesimo carattere sacro o sacro-prescrittivo e sono incise esclusivamente su are, basi di donario o cippi43, mentre le prime iscrizioni sepolcrali su pietra compaiono contemporaneamente soltanto tra IV e III sec. nelle tombe di Tuscolo e nella necropo-

molto aperta (ma non “a bandiera” come in CIL) e l’inter-punto del tipo ad incavo quadrangolare sulla cui comparsa un po’ prima della metà del II sec. a.C. vd. ora R. ZUCCA, Sui tipi di interpunzione nelle iscrizioni latine dall’età più anti-ca alla fine della Repubblica, in Misc. Gr. Rom., 18, 1994, pp. 133-135, 148 sg.40 App. 128. Sulla punteggiatura si veda ora anche il contributo di ZUCCA citato alla nt. prec.

41 App. 1 (in CIL, I2 pp. 853 sg., riepilogo delle diverse in-terpretazioni concordanti nel riconoscere la natura giuridico - sacrale dell’epigrafe).42 App. 105.43 Per le iscrizioni arcaiche di Satrico, Tivoli, Corcolle vd. App. 154, 153, 156. Aggiungere App. 147, 150, 157, vd. an-che 158-160.

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2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 37

li di Preneste44. Il secondo è che una conferma alla realtà archeologica che conosciamo sembra venire dalle stesse fonti letterarie le quali, per il periodo arcaico menzionano unicamente leges sacrae o d’altra natura, trattati e dediche45, cominciando a ricordare iscrizioni sepolcrali soltanto con le tombe di Cecilio Metello, di Atilio Calatino, degli Scipioni e di Nevio, cioè della seconda metà del III sec.46. Dunque non è inverosimile che i primi monumenti iscritti fabbricati dalle officine | lapidarie romane siano stati eminentemente cippi, are, basi di donario47. Per le leggi ed i trattati si sarà fatto ricorso di preferenza a tabulae lignee o anche di bronzo48, metallo sul quale, come mostra già la più antica lamina di Lavinio49, poterono essere incise anche dediche da applicare a basi lapidee.

Are e basi votive furono ininterrottamente prodotte anche in seguito e qualche esempio può dare un’idea tanto delle caratteristiche quanto dell’evoluzione di questi importanti supporti epigrafici.

Le are iscritte che conosciamo sono molto poche, una dozzina in tutto50, ed è notevole che in pratica tutte sono poste da magistrati o da quasi magistrati, mai da privati, cosicché si può dubitare che sia repub-blicano (marmo) o che possa realmente definirsi ara l’unico esempio (inverificabile) che farebbe eccezione, posto com’è a Bona Dea da un ex schiavo come scioglimento di voto per la libertà conseguita51.

44 Sui sepolcri tusculani dei Furii e dei Rabirii: App. 148. Sulla necropoli di Preneste: App. 149. Alla bibliografia citata in CIL aggiungere: P. PENSABENE, Sulla tipologia e il simboli-smo dei cippi funerari a pigna con corona di foglia d’acanto di Palestrina, in Arch. Class., 34, 1982, pp. 38-97.45 Leges sacrae: DION. HAL. 3, 36, 4 (di Anco Marcio, su tavole lignee); 4, 26, 5 cfr. FESTUS Gloss. Lat., 164 L (del tempio di Diana Aventinense di Servio Tullio, su stele di bronzo). Leges publicae: DION. HAL. 4, 43, 1 (di Servio Tul-lio, su tavole lignee ?); MACR. 1, 13, 21 (Lex Furia Pinaria del 472 o 432, in columna aerea); DION. HAL. 10, 32, 4 cfr. LIV. 3, 31 (lex Icilia de Aventino publicando del 456, su stele bronzea); LIV. 3, 57, 10; DIOD. SIC. 12, 26, 1 (leggi decemvirali, metà V sec., su tavole bronzee). Trattati: DION. HAL. 3, 33, 1 (di Tullio Ostilio con i Sabini, su stele), 4, 26, 4-5 (di Servio Tullio con i Latini, su stele bronzea), 4, 58, 4 (di Tarquinio il Superbo con Gabii); POLYB. 3, 22; 26, 1 (fra Roma e Cartagine nell’ultimo decennio del VI sec., su tavole bronzee); CIC. Balb., 23, 53; LIV. 2, 33, 9 cfr. DION. HAL. 6, 95, LIV. 2, 22, FESTUS Gloss. Lat., 276 L (foedus Cassianum del 493 a.C., su colonna bronzea); LIV. 4, 7, 10; DION. HAL. 11, 62 (foedus Ardeatinum del 444). Dediche: LIV. 7, 3, 5; DION. HAL. 5, 35, 3 (del tempio di Giove Ca-pitolino nell’ultimo decennio del VI sec. a.C.); ZOS. 2, 3, 3 (di Publio Valerio Publicola a Dite e Proserpina); CATO fr. 58 (Peter) (del Lucus Dianius presso il lago di Nemi, fine VI - inizio V sec.); DION. HAL. 1, 68, 1 (della statua dei Pe-nati sulla Velia); LIV. 2, 41, 10; PLIN. HN, 34, 15 (ex Cassia familia a Cerere, inizio del V sec.); DION. HAL. 9, 60, 8 (del tempio del Dius Fidius nel 466); LIV. 4, 20, 6-7; PROP. 4, 10 (di A. Cornelio Cosso a Giove Feretrio, del 437, 428 o 426, su corazza di lino), 6, 4, 2-3 (di Camillo a Giunone sul Campidoglio, a. 388); PLIN. HN, 33, 19 (di Cn. Flavio

a Concordia); LIV. 6, 29, 8-9 (di T. Quinzio Cincinnato sul Campidoglio, nel 380). Sole eccezioni al quadro sarebbero costituite dall’iscrizione per Osto Ostilio dopo la morte nel luogo più importante del foro (DION. HAL. 3, 1) e da quella, in caratteri greci, con le proprie imprese, posta da Romolo su una sua statua dedicando una quadriga di bronzo ad Efe-sto (DION. HAL. 2, 54, 2), ma è probabile che in entrambi i casi Dionigi si riferisca al cippo del Foro: C. AMPOLO, La storiografia su Roma arcaica e i documenti, in Tria corda. Scritti in onore di A. Momigliano, Como 1983, pp. 19-26; allo stesso articolo si rinvia anche per la problematica gene-rale sollecitata dalla presenza nella tradizione storiografica di questi documenti epigrafici arcaici.46 DION. HAL. 2, 6 (Cecilio Metello, cos. 251); CIC. Cato, 61; Finib., 2, 116; Tusc. 1, 13 (Atilio Calatino, cos. 258 e 254); Leg. 2, 57; SEN. Epist., 108, 33; VAL. MAX. 5, 3, 2 (Scipioni); GELL. 1, 24, 1-2 (Nevio).47 Sulla scarsità in genere nel Lazio della documentazione sepolcrale nei secc. VI e V entro la quale va interpretata an-che la scarsità delle iscrizioni sepolcrali: G. COLONNA, in La-pis Satricanus (Archeologische Studiën van het Nederlands Instituut te Rome, Scripta Minora, 5), s’ Gravenhage 1980, p. 68.48 Vd. nt. 46.49 App. 155, vd. anche 161.50 III s.: App. 12, 101, 102, 18; II sec.: App. 28, 39 (la da-tazione di quest’ara e della successiva è molto controversa: riepilogo della problematica in L’area sacra di Largo Argen-tina, I, Roma 1981, pp. 91-96; la collocazione di entrambe intorno al 175 mi sembra ancora la più valida), 104; II/I s.: 41, 42, 58, 112; I s.: 37, 48.51 App. 48. Potrebbe trattarsi piuttosto della base per un dono.

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38 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

Furono dapprima del tipo lateribus curvatis, con l’iscrizione incisa sulla faccia anteriore della cimasa52. Poi ve ne sono anche di rotonde con l’iscrizione disposta, o su due fasce essendo il corpo centrale occupato da rilievi53, o, sia pure per accumulo, sull’intero cilindro54. Conosciamo inoltre un’ara templare impostata su parallelepipedo a sviluppo orizzontale ed è quella, in peperino, trovata davanti al tempio C di largo Argentina, forse del 175: l’iscrizione su due righe, è addensata nella parte alta del dado55.

Più largamente rappresentate sono le basi di donario che si presentano prima nel tipo a parallelepi-pedo semplice disposto orizzontalmente56, oppure verticalmente57. Poi le basi s’articolano in zoccolo, dado e cimasa, sempre a sviluppo orizzontale58, o verticale59. Ve ne sono anche di cilindriche60. Un posto a parte occupano le basi destinate a | sostenere offerte dei generali vincitori tratte dalla preda bellica61, anch’esse tuttavia con analoga evoluzione da parallelepipedo semplice a sviluppo orizzontale62 e svilup-po verticale triplicemente articolato63. Ed egualmente a parte debbono essere considerate le grandi basi di donari collettivi come quello di almeno 20 m posto sul Campidoglio dai Popoli e dai Re Asiatici, con iscrizioni latine e greche dopo l’84, secondo la datazione più accreditata64.

Ho già detto che non conosciamo iscrizioni sepolcrali in pietra prima della metà del IV sec. Non è che poi diventino subito numerose. Tra IV sec. e metà abbondante del II sec., tutto ciò che abbiamo è la serie del tutto peculiare, sia dal punto di vista tipologico che da quello della committenza, dei sarcofagi dei Cornelii e degli Scipioni65.

Di un vero e proprio sviluppo di tipi monumentali sepolcrali lapidei prevedenti una componente epigrafica non si può parlare a Roma prima della seconda metà del II sec. Poi, nel giro di pochi decenni, si ha la diffusione di un tipo di sepolcri con iscrizioni incise sui blocchi stessi della facciata, da sole o in combinazione con ritratti scolpiti su altri blocchi66.

In effetti gli sviluppi che si riscontrano in questo tipo di epigrafia sono due. Da un lato si tende a far coincidere i limiti dell’iscrizione con quelli di uno dei blocchi o lastroni della facciata, il che costituisce premessa per una lavorazione separata dell’iscrizione rispetto al monumento ed alla nascita della targa applicata e non inserita, che però resta praticamente sconosciuta in età repubblicana; nel caso del sepol-cro di Sulpicio Galba si usa addirittura un blocco di materiale diverso67. Dall’altro, circa dall’età sillana, si tende a lavorare negli stessi blocchi immagini e iscrizioni68.

52 App. 102 (peperino), 39 (peperino), 112 (peperino), 37 (travertino, ma è restitutio forse dell’inizio del I sec., di ara anteriore).53 App. 58 (calcare). 54 App. 42 (marmo), vd. anche nt. 39.55 App. 104; per la dataz. vd. sopra nt. 50.56 App. 19, 122, 17, tutte in calcare.57 App. 23.58 App. 15.59 App. 18, 50, 29.60 App. 21, vd. anche 145.61 Su di esse vd. da ultimo G. ANGELI BERTINELLI, Un titulus inedito di M’. Acilio Glabrione da Luni, in Mél. Éc. Fr. Rome, Ant., 105, 1993, pp. 7-31.62 Ad es. App. 106 (per la conquista di Volsinii), 25 (per il trionfo sui Siculi).63 App. 26 (per il trionfo sugli Etoli).

64 App. 33. Sulla questione della data vd. anche, dopo L. MORETTI, in IGUR, I, 1968, pp. 15 sg., cfr. IV, 1990, p. 143, S. ELWYN, Interstate Kinship and Roman Foreign Policy, in Trans. Proc. Am. Philol. Ass., 123, 1993, p. 275.65 Per i sarcofagi dei Cornelii: App. 105, 106. Per i sarcofa-gi degli Scipioni, in partic., App. 2-7.66 Iscrizioni su blocchi, da sole: App. 46 (l’iscrizione era ripetuta anche sul lato destro), 99. Combinazione di iscrizio-ni su blocchi in tufo della facciata con ritratti su blocchi in travertino inseriti nella stessa: App. 100.67 App. 30 (travertino entro tufo). Titolare è comunemen-te ritenuto il console del 108; Castagnoli non escluderebbe quello del 144 (Mem. Am. Ac. Rome, 36, 1980, p. 39 = ID., Topografia antica, I, Roma 1993, p. 606). Un esempio più tardo d’inquadramento del testo nei limiti di un blocco: App. 130.68 Ad es. App. 62, 114, 117.

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2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 39

Inoltre nasce e si diffonde contemporaneamente un altro tipo di monumento sepolcrale lapideo iscritto di grande successo ed è il cippo, sia parallelepipedo69, sia, più comunemente, centinato70 – mai timpanato71 – con la parte bassa destinata all’infissione | nel terreno lasciata per lo più grezza, integra o trapassata da un foro circolare per il palo di stabilizzazione, fatto quest’ultimo che sembra diventare più comune verso la metà del I sec.72.

Sono praticamente mancanti quasi del tutto le stele, le are, i cinerari che costituiranno tanta parte della produzione di età imperiale73. Le stesse tabelle di colombario non fanno la loro comparsa, dubbia, che alla fine del periodo considerato74.

Per ragioni di spazio ed anche perché di minor interesse generale ometto qui di trattare dal punto di vista della tipologia monumentale le altre due principali categorie d’iscrizioni: delle onorarie o ce-lebrative, eminentemente su basi parallelepipede semplicissime75, e di quelle emananti da magistrati o quasi magistrati operanti a vantaggio della collettività, appaltando e compiendo lavori di pubblica utilità (strade, ponti, edifici), o definendo aree di rispetto (Tevere, campo Esquilino). Mi limito ad osservare che anche per queste categorie, se pure dalla realtà archeologica e dalle fonti letterarie la loro esistenza è fatta risalire almeno al III sec., la documentazione epigrafica resta comunque rara e difficilmente an-teriore agli ultimi decenni del II sec., facendo registrare un reale incremento soltanto nella prima metà del I sec.

5. Il campo epigrafico

Per la maggior parte dell’età repubblicana le officine lapidarie romane non hanno usato alcun ar-tificio per definire ed evidenziare, nei monumenti che producevano, uno spazio speciale destinato alla scrittura. Nel caso di cippi, basi, are, si sono limitate a scegliere una faccia su cui apporre un’iscrizione. Nel caso dei monumenti costituiti da più elementi (blocchi, lastre), la scritta fu eseguita per lo più dopo la realizzazione del monumento stesso, come è reso evidente dai casi, non infrequenti, in cui le lettere sono realizzate a cavallo delle commessure dei blocchi o delle lastre, evidentemente dopo la loro defi-nitiva messa in opera76.

Interessante il caso del sarcofago di Cornelio Scipione Ispano, morto poco prima del 130, la cui fronte era costituita da quattro lastre di peperino la cui sequenza, stabilita in officina, fu ricostituita nel sepolcro con l’aiuto dei numerali/contrassegni incisi allo scopo77. Orbene, l’iscrizione tiene conto non solo, almeno parzialmente, di questi numerali, ma anche, alla fine delle ultime due righe di una profonda scheggiatura | verosimilmente prodottasi proprio nel corso della messa in opera78. Anche in questo caso di prodotto prelavorato non è dunque escluso che l’iscrizione sia stata eseguita sul posto e non in offi-cina, con i risultati molto modesti che ognuno può vedere, nonostante l’alto livello della committenza, certo anche per la mancanza di una buona preparazione.

69 Ad es. App. 125.70 Ad es. App. 126, 118.71 Unica eccezione sarebbe App. 64, ritenuta già dal Mom-msen piuttosto di età imperiale (vd anche B.M. FELLETTI MAJ, La tradizione italica nell’arte romana, Roma 1977, p. 325 nt. 66).72 Es.: App. 121. Per due cippi con faccia superiore a bauletto o piana ed iscrizione cominciante su di essa: App. 94, 135.

73 Stele a ritratto: App. 144. Urne: App. 80, 93, 115.74 App. 79, 81.75 App. 31 (Silla), 103 (Pompeo).76 App. 6, 33, 35, 46, 60, 99, 100, 133.77 App. 10.78 Per i numerali si vd. in r. 1 tra Cn.f. e Scipio; per la scheg-giatura si considerino le spezzature delle parole esse ed ho-nor.

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40 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

Dato questo modo di procedere non v’è, in genere, una sostanziale differenza nella trattazione della superficie fra campo scrittorio e resto del monumento. Il caso più frequente è che sia pettinata, come nel caso appena esaminato, mediante gradina o martellina; più raro che sia levigata. Spesso, ma non sempre, una differenza di lavorazione c’è, nei cippi, fra la parte destinata ad essere interrata (che può essere solo grossolanamente sbozzata) e quella destinata a rimanere in vista (in genere pettinata). Ci si può chiedere quando e in quale ambiente sia nata a Roma l’idea che l’epigrafe potesse essere in qualche modo ‘sepa-rata’ dal monumento ed ‘esaltata’ incorniciandola.

Ho richiamato sopra l’attenzione su un esempio (fornito dal sepolcro di Sulpicio Galba) di quello che giudicherei un primo passo in questa direzione: scrivendo su un monumento costituito da più bloc-chi, ci si preoccupa di far rientrare l’iscrizione esattamente nelle dimensioni di uno di essi cosicché, in qualche modo, è la stessa linea di contorno del blocco che assume, embrionalmente, la funzione di cornice.

L’effetto poteva essere accentuato, sia usando un blocco di materiale diverso (come nello stesso sepolcro), sia inserendo nel punto adatto un blocco di dimensioni maggiori (come nel sepolcro dei Sempronii79. Evidentemente su blocchi come questi l’iscrizione poteva essere già realizzata in officina e questo credo fosse il caso di buona parte almeno delle epigrafi destinate ai sepolcri a dado80.

In ogni caso l’impressione che si produceva era di qualcosa di separato ed inserito, e questa poteva essere ulteriormente amplificata con l’aggiunta di una cornice.

Nei monumenti epigrafici romani di età repubblicana non si possono contare, per quel che mi risul-ta, più di una trentina di esempi d’iscrizione corniciata81. Credo che nessuno sia anteriore al I sec., forse nemmeno all’età sillana. Si tratta esclusivamente di iscrizioni sepolcrali e, frequentemente, di lastroni da inserire in monumenti maggiori, il che corrisponde all’ipotesi genetica che si è appena accennata. Praticamente nessun monumento a se stante (base di donario o di statua, ara o cippo) presenta cornici. Apparentemente fanno eccezione due cippi del tipo con foro per il palo stabilizzatore | che possono esse-re però anche della prima età imperiale82 ed un cippo a colonnetta con la stessa incertezza cronologica83. Aggiungo un cippo parallelepipedo di travertino di grande interesse perché è l’unico in cui la cornice non si limiti a riquadrare la lastra o blocco, ma definisca uno spazio ridotto alla suo interno suggerendo qualcosa di misto fra la stele e l’edicola. Anche in questo caso però, come ben vide già il Priuli, si tratterà piuttosto di un monumento della prima età imperiale che della tarda repubblica84.

La cornice è in alcuni casi piatta, in altri modanata, probabilmente con priorità del secondo tipo sul primo85. Per un caso interessante richiamo ancora una volta il sepolcro di Bibulo dell’età sillana nel quale l’iscrizione è incisa sui blocchi della sommità del basamento (il resto è interrato), ma sulla facciata della cella sovrastante si vedono, scolpite a rilievo, due targhe a cornice modanata che sono anepigrafi, e che non si vede cos’altro dovessero contenere, nelle intenzioni, se non iscrizioni incise o dipinte86.

79 App. 88.80 Ad es. App. 130. 81 Sono probabilmente di più perché il CIL, nei vecchi fascicoli, omette per lo più di segnalare l’esistenza di una cornice e dunque questa risulta solo ad un controllo diretto non sempre possibile. Fino ad oggi mi risulta presente in App. 49, 65, 67, 68, 69, 70, 71, 74, 75, 76, 82, 84, 85, 89, 97, 110, 116, 123, 129, 131, 132, 134, 136, 137, 138, 139, 140, 142, 143, 146.

82 App. 138.83 App. 137.84 App. 134.85 Dei trentuno esempi elencati alla nt. 81, solo i seguenti quattro sono a cornice piatta: App. 74, 97, 116, 137, tutti databili tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero. La cornice piatta è caratteristica, fra l’altro, degli elogia del Foro di Augusto.86 App. 46.

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2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 41

Non conosco esempi di cornice suggerita con linee incise come sarà tanto comune nelle tabelle di colombario. In un solo caso viene suggerito, mediante l’abbassamento dello spazio di risulta, l’inseri-mento dell’iscrizione in una tavola ansata, peraltro priva di cornice. Tuttavia per il materiale (marmo), per la paleografia ed anche per il testo (metrico) non credo che si tratti, nonostante le varie forme arcaiz-zanti, di un documento d’età repubblicana87.

Per concludere su questo punto, l’idea di racchiudere l’iscrizione entro cornice non sembra nascere a Roma prima del I sec. a. C. Ne conosciamo i primi esempi in età sillana. L’uso cresce, peraltro limitato per lo più alle targhe sepolcrali, solo verso la metà del secolo. Di qui l’uso passa ai cippi sepolcrali. In altri ambiti non se ne conoscono esempi prima dell’età imperiale.

6. L’impaginazione

Vediamo da ultimo come si comportino le officine lapidarie urbane d’età repubblicana di fronte al problema dell’impaginazione, vale a dire quando si tratta di decidere come disporre un testo nella pagina costituita dal campo epigrafico prescelto, sia questo equivalente alla faccia di un monumento od a una parte definita di esso. L’impaginazione | è un’operazione complessa, nella quale entrano in gioco numerosi fattori, ed è dalla loro combinazione che potenzialmente dipende l’impatto visivo che l’iscri-zione avrà una volta ultimata. Essa può dunque essere assunta come indicatrice, da un lato delle capacità professionali presenti nelle singole botteghe, dall’altro, più in generale, degli orientamenti e degli accor-gimenti sviluppati nell’ambiente cui esse appartengono nei confronti della comunicazione epigrafica88.

Ci si limiterà qui a considerare soltanto alcuni di questi fattori ancora una volta con l’interesse par-ticolarmente rivolto a verificare quando e come certe esigenze (ed i corrispondenti espedienti tecnici tesi a soddisfarle) si manifestino nella produzione in esame.

Punto primo: il problema di un’ordinata presentazione orizzontale del testo e le linee di guida. Che questo problema non fosse particolarmente sentito in epoca arcaica è del tutto comprensibile se si considera che, in larga misura, esso non ha senso prima della geometrizzazione della scrittura e del suo inserimento in un sistema bilineare. Il processo che porta a questo risultato può essere seguito nella produzione dal VI al IV/III sec. e, di fatto, è solo alla metà del III sec. circa che incontriamo il primo esempio di linee guida accuratamente incise e lasciate visibili89.

Il sistema adottato è ancora imperfetto perché non prevede gli spazi interlineari, cosicché il lapici-da usa le righe, equidistanti, in parte come veri e propri binari (prima e ultima riga), in parte (riga inter-media) come semplice riferimento. Tecnica ancora molto primitiva e incerta mostra anche il secondo esempio che io conosca, databile forse alla fine del III sec.90. In esso, per le tre righe, sostanzialmente di egual altezza, incise sul corpo della base di donario, sono state tracciate in tutto tre linee guida, le prime due a distanza maggiore. Il lapicida ha poi usato le prime due per la prima riga, tenendosene equidistante, ed ha assunto la terza, da un lato come base per la seconda riga, dall’altro come riferi-mento per la terza.

87 App. 63. Una tabella ansata è stata incisa, verosimilmente qualche tempo dopo la costruzione, sulla facciata in tufo del sepolcro dei Clodii in via Statilia, datato intorno alla metà o nella prima metà del I sec.: nulla resta dell’iscrizione, se c’era (A.M. COLINI, in Capitolium, 18, 1943, p. 271 e p. 272

fig. 4).88 Sulla questione si veda qui stesso la relazione di A. Sarto-ri con ampia bibliografia precedente.89 App. 19.90 App. 22.

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42 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

Il ricorso a linee guida, anche se non visibili, deve essere presupposto, contemporaneamente o posteriormente a questi esempi91, sulla base del perfetto parallelismo orizzontale delle righe in varie altre iscrizioni e della regolarità della loro altezza. Tuttavia è chiaro che questi caratteri di orizzontalità e regolarità non si affermano subito come valori generalizzati. Lo mostrano le tante iscrizioni, anche importanti, in cui è evidente un’assoluta mancanza di riferimenti ancora nel II e nel I sec. La guida essenziale continua ad essere fornita dall’occhio piuttosto che dagli strumenti. Se mai si può dire che l’occhio diventa sempre più attento ed esigente. Comunque è soltanto alla metà del I sec. che il mate-riale disponibile per l’esame fornisce un esempio di preparazione dello | specchio per l’incisione così elaborata da prevedere linee guida a binario, interlinee, linee orizzontali e così via92. Ma siamo alla fine dell’età repubblicana ed il materiale usato è il marmo93.

Punto secondo: il problema della presentazione verticale del testo. Se si deve impaginare un testo di più righe non tarda ad imporsi l’esigenza dell’adozione di uno schema secondo cui ordinare gli attacchi delle righe e stabilire una relazione tra le stesse94.

Non è difficile vedere che in epigrafia latina le soluzioni adottate sono principalmente le seguenti tre:

I II III

Schema I: tutti gli attacchi di riga sono allineati in perpendicolare. Con i Gordon possiamo consi-derare rientranti in questo schema anche le iscrizioni che non lo seguano per quanto riguarda la prima e l’ultima riga, eventualmente centrate.

Schema II: in una disposizione che in generale prevede tutti gli attacchi di riga secondo una li-nea perpendicolare, alcuni fanno eccezione perché sporgono a sinistra di essa generando una struttura

91 È interessante osservare che anche fuori Roma i primi esempi noti di linee guida incise sono circa dello stesso periodo: App. 157 (Lavinium); 151 (Lindos). Per un altro esempio romano piuttosto antico: App. 6 (sarcofago di P. Cornelio Scipione, forse figlio dell’Africano). Sull’erronea convinzione di Hübner che le linee guida incise fossero se-gno di scarsa abilità ed accuratezza, per questo assenti dalle

epigrafi di buona età: GORDON − GORDON, Contributions, p. 158.92 App. 83.93 Altri esempi tardi di linee guida incise ho potuto riscon-trare in App. 44, 86, 87, 124.94 Buona impostazione del problema da parte di GORDON − GORDON, Contributions, pp. 151-156.

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2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 43

paragrafata. Anche in questo caso la prima e/o l’ultima riga possono sottrarsi allo schema e risultare centrate.

Schema III: disposizione speculare delle righe rispetto ad un asse mediano verticale. Possono esser fatte rientrare in questo schema anche quelle iscrizioni in cui la specularità di attacco e fine della righe non sia perfetta, ma sia comunque chiara la volontà di attuare questo tipo di ordinamento.

Naturalmente non tutta la produzione epigrafica è facilmente ripartibile fra queste tipologie. Ci sono casi in cui è applicato uno schema, ma con deroghe, motivate o no. | Altri in cui più schemi sono com-binati in una stessa iscrizione. Altri, in particolare quando si ha a che fare con iscrizioni brevi, in cui lo schema non è facilmente identificabile. Altri ancora palesemente mancanti di qualsiasi ordinamento.

È possibile, ciò nonostante, riconoscere nella produzione epigrafica urbana di età repubblicana qualche linea di tendenza comportamentale per quanto concerne l’ordinamento verticale? Scorrendo la documentazione fotografica raccolta (le trascrizioni tipografiche del CIL non sono sempre sufficiente-mente affidabili a questo riguardo) alcuni fatti risultano abbastanza chiaramente.

Lo schema I, ovvero quello con attacchi rigidamente su una verticale, è di gran lunga prevalente, sia nella variante in cui è fissato l’inizio di riga, ma resta libera la fine, sia in quella in cui le righe non solo cominciano, ma anche finiscono secondo una verticale. La sua fortuna non è tuttavia omogeneamente distribuita poiché la quasi totalità delle attestazioni è concentrata nel I sec., con qualche anticipazione nel II e nel III95.

Nelle iscrizioni più antiche è lo schema paragrafato, ovvero il II, che sembra il preferito, special-mente nella variante che vede la sola prima riga (eventualmente con il nome del dio, del dedicante o del defunto) sporgente a sinistra96. Esso continua ad essere usato anche nel II e nel I sec.97 però nettamente soverchiato dallo schema I.

Quanto allo schema III, ossia con asse centrale, se ne ha si qualche sporadica e anche discutibile attestazione nel III e nel II sec.98, ma è soltanto nel I sec. e specialmente nella seconda metà che se ne ri-scontra un uso sempre più frequente e consapevole, sia nelle iscrizioni onorarie, sia in quelle sepolcrali99 preparando l’esplosione e la predominanza assoluta che avrà nel I sec. d.C., cominciando la corrosione dello schema del I e profittando dell’esaurimento dello schema II, tranne in alcuni speciali documenti come le leges, gli acta e simili100.

Per inciso, indipendentemente dallo schema adottato, il campo epigrafico può essere trattato poi, sia come una pagina unica, sia come più pagine o colonne accostate, sia in parte a pagina piena, in parte a colonna. Quando fanno la loro prima comparsa epigrafica a Roma questi due ultimi tipi di trattamento? A prescindere da un dubbio caso costituito da un miliario del III sec.101, il più antico esempio che ne conosca è dato da una delle basi di donario a Fors Fortuna da Vigna Ceccarelli, che dovrebbe essere

95 Ne ho potuto verificare una novantina di casi. Per le anti-cipazioni nel III o II sec.: App. 13, 17, 25, 27.96 App. 5, 15, 19, 20, 106, 122.97 Trenta casi in tutto di cui sette sicuramente o possibilmen-te del II sec.: App. 6, 7, 10, 51, 53, 59, 61.98 Si tratta infatti sempre di iscrizioni molto brevi (2 o 3 righe) che potrebbero appartenere anche allo schema I con centratura della prima e/o dell’ultima: App. 22, 30, 39, 104, 112.99 Ventiquattro casi riscontrabili. Qualche esempio d’ambi-to onorario: App. 31 (Silla, realizzazione incerta), 103 (Pom-

peo, lo schema risulta discretamente rispettato qualora, come credo si debba, si restituisca il patronimico alla fine della r. 1). In ambito sepolcrale: App. 71, 77, 90, 110, 111, 113; vd. anche Epigrafia, cit. (nt. 1) passim.100 In cui la paragrafatura mantiene un particolare valo-re in collegamento con la divisione del testo in rubriche, capita e così via: W. RAIBBE, Zur Entwicklung von Alpha-betschrifts-Systemen. Is fecit cui prodest (Sitzungsberichte Heid. Akad. Wiss., Phil.-hist. Kl., 1991, 1), Heidelberg 1991, pp. 19-22.101 App. 13.

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ancora | del II sec.102: l’intestazione è a cavallo delle due colonne, non ben visibili, ma certe, del testo. Un altro bell’esempio è offerto dalla tabula d’età sillana con registrazione dell’appalto concernente un gruppo di vie urbane103: anche in questo caso, l’intestazione, in caratteri maggiori, correva sopra le colonne del testo104. Tutti gli altri esempi sono sepolcrali e del I sec., preferibilmente della metà o della seconda metà105. Si tratta dunque, allo stato attuale delle nostre conoscenze di un’innovazione officinale piuttosto tarda che non è escluso sia da mettere in rapporto con la contemporanea diffusione in Italia del volumen letterario per l’appunto accuratamente impaginato a colonne106.

Ma in epigrafia impaginare non significa soltanto organizzare un testo orizzontalmente o vertical-mente, significa anche operare in esso delle cesure che ne mettano in evidenza la struttura logica ed usa-re ogni opportuno artificio atto a farne risaltare la gerarchia interna. Questa almeno è una prassi consueta dell’età imperiale. Lo è anche in età repubblicana ed, eventualmente, da quando?

Per quanto concerne il problema dell’istituzione di un rapporto tra unità logiche ed unità visive (righe, gruppi di righe) all’interno di un’iscrizione, direi che un’acuta sensibilità si sia sviluppata molto per tempo. Lo si vede considerando da questo punto di vista la quindicina di iscrizioni sacre databili nel III sec. o poco oltre e sufficientemente conservate per un’analisi107. Organizzate su poche righe (da due a quattro), tutte senza distinzione pongono la massima cura per far coincidere unità visive e unità strut-turali (divinità, dedicante, sua eventuale qualifica, formula di offerta e consacrazione). Cura che risulta particolarmente evidente quando, essendo l’unità logica troppo lunga si preferisce continuare sul fianco o andare a capo a destra che venir meno al principio108.

Nel complesso, alle stesse conclusioni si perviene spostando l’indagine su un altro campione, quello costituito dai sarcofagi dei Cornelii e degli Scipioni, questi ultimi con testi più complessi e con la necessità aggiuntiva di evidenziare le unità metriche degli elogia109. Non manca qualche incertezza (in particolare nelle iscrizioni del figlio | e del nipote di Scipione Asiatico, entrambe della metà del II sec.)110, ma anche qui riscontriamo la stessa attenzione e addirittura gli stessi esiti che si sono appena visti. Sulla fronte, già consi-derata, del sarcofago di Scipione Ispano, a ben guardare la terza riga non è infatti propriamente tale, bensì la continuazione, allineata a destra, della seconda in cui si voleva riunito il cursus del personaggio111.

Un’ultima verifica condotta sul complesso del materiale: una delle peggiori violazioni che si possa fare alle norme dell’impaginazione epigrafica è costituita dalla divisione di parole su due righe. Dunque la maggiore o minore frequenza del fenomeno può di per sè essere assunta come indicatrice dell’atten-zione prestata a questo aspetto della presentazione del testo. Orbene, su 627 iscrizioni (per le perdute o invisibili ci si può valere in questo caso delle trascrizioni del CIL) ne ho trovato soltanto 34 che presen-

102 App. 151. Per la data vd. J. SCHEID, Romulus et ses frères (BEFAR, 275), Rome 1990, p. 151. 103 App. 43.104 A colonne affiancate si presentano anche le dediche dei Popoli Asiatici sulla base capitolina (sulla loro datazione vd. sopra nt. 64), ma si trattava di più testi distinti posti uno accanto all’altro e non di un testo in più colonne.105 Dallo spoglio risultano essere una diecina, ma non sono riuscito a controllarne che due: App. 69, 95. Un gruppo a parte è costituito dai testi in colonna perché sottostanti a ri-tratti, ad es.: App. 120, 127.106 G. CAVALLO, Gli usi della cultura scritta nel mondo ro-mano, in Princeps urbium. Cultura e vita sociale dell’Italia romana, Milano 1991, pp. 194-196, 199.

107 App. 12, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 38, 50, 122.108 App. 19 (patronimico del dedicante continuato in basso a destra), 122 (epiteto della divinità continuato sul lato de-stro), 16 (nome della divinità continuato sul lato destro).109 Cornelii: App. 105, 106; Scipioni: App. 2-11. Per l’inci-denza della natura metrica del testo sull’impaginazione si veda in part. App. 3 e 6 (divisione dei saturni), 10 (disti-ci elegiaci con rientranza del pentametro); su quest’ultimo uso, tipicamente romano (il nostro esempio è il più antico nell’epigrafia urbana): L. GAMBERALE, in Cultura e lingue classiche, 3, Roma 1993, p. 385.110 App. 8, 9.111 App. 10.

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tino questo fenomeno: tutte, tranne 1112 sono del I sec. ed appartengono nella grande maggioranza alla serie dei cippi, in particolare a quelli con margini allineati non solo a sinistra, ma anche a destra, dunque con maggior difficoltà d’impaginazione anche per la ristrettezza del campo.

Concluderemo che quella dell’inglobamento di un’unità logica in un’unità visiva fu sentita molto per tempo dall’epigrafia latina come un’esigenza essenziale del suo linguaggio, largamente rispettata, in quanto tale, sin dagli inizi della documentazione.

Opposto è il risultato che si consegue indagando sulle origini di un altro artificio essenziale del-l’impaginazione: la variazione, ovvero la gradazione del corpo delle lettere nelle singole righe secondo l’importanza delle varie parti di un’iscrizione.

Si constata infatti, primariamente, che tale artificio è totalmente sconosciuto nelle iscrizioni più an-tiche, in pratica sino a tutto il III sec. Un caso come quello della dedica a Marte di Claudio Marcello in cui dedit è scritto in caratteri nettamente maggiori non ha rapporto con questa prassi, ma è dovuto al fatto che il verbo sostituisce un originario vovit113. Casi a parte possono considerarsi anche quei più antichi sarcofagi degli Scipioni in cui il nome, ed eventualmente le cariche compaiono in caratteri maggiori, ma staccati e dipinti, non incisi, sul coperchio114.

Prime consapevoli gradazioni di corpi all’interno di un’iscrizione si hanno nella dedica a Vermino, forse del 175, nella ben nota dedica di Mummio, nel più volte ricordato sarcofago di Scipione Ispano (130 ca.)115. È dunque un artificio che comincia ad essere praticato abbastanza tardivamente.

Inoltre sembra di poter dire che, a differenza del precedente, esso non diventò mai per tutta l’età repub-blicana, un carattere veramente costitutivo, una spiccata connotazione, del linguaggio epigrafico urbano. Lo dimostrano più fatti. In primo luogo il | non trovarlo praticamente usato, in vari casi in cui un suo deciso impiego sembrerebbe del tutto naturale e quasi richiesto, come, poniamo, nelle dediche di Fulvio Nobiliore e di Fannio, nell’iscrizione di Lutazio Catulo sul Tabularium ed in quella sul Fornice Fabiano116, o anche, più semplicemente, in tante iscrizioni sepolcrali in cui, contro ogni aspettativa, nessuna gerarchizzazione delle informazioni viene operata mediante una variazione dei corpi117. In secondo luogo considererei la discontinuità d’impiego che si nota anche in uno stesso monumento, come la base capitolina con le dediche dei Popoli Asiatici118. Infine vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che, anche quando l’artificio è usato, il suo impiego risulta per così dire poco convinto e le sue potenzialità appaiono scarsamente sfruttate. Ci si limita a scrivere in caratteri maggiori un’intestazione o un nome, oppure si riduce il corpo di qualche riga, magari commettendo anche qualche errore119. Ma, intanto, la variazione di altezza è per lo più assai mode-sta e quindi poco evidente, e poi non sono molti i casi in cui essa assume un ruolo veramente importante nella strutturazione della pagina epigrafica. Questo avverrà in maniera chiara soltanto in età imperiale.

Per non allungare ulteriormente questa indagine già troppo lunga, stralcio senz’altro, e rinvio ad altra sede, alcune considerazioni sul modus operandi delle officine urbane circa aspetti minori del-l’impaginazione120 e riguardo a modifiche in corso d’opera o ad opera finita (correzioni, cancellazioni, aggiunte e così via).

112 App. 14.113 App. 25.114 App. 2, 3, 4, 5.115 App. 39, 27, 10.116 App. 26, 29, 34, 36.117 Vd. ad es. Epigrafia, cit. (nt. 1), passim.118 App. 32 con 33.119 App. 98, 47, 72.

120 Sull’artificio di lasciare uno spazio bianco invece che ripetere il gentilizio in elenchi di titolari di un sepolcro di-sposti in colonna (a Roma ricorrente in App. 66, 73, 78, 91, 92, 96; vd. anche CIL, VI 15959 cfr. p. 3518; 34349; 38824), vd. C. ZACCARIA, Aspetti della produzione epigrafica fune-raria aquileiese fra la fine della Repubblica e gli inizi del Principato, in Aquileia repubblicana e imperiale (Ant. A. Adr., 35), Udine 1989, pp. 133-149.

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7. Conclusioni

Non mi avventuro a tirarne; sarebbero del resto premature poiché l’indagine è qui solo avviata ed il suo sviluppo prevede vari altri saggi come questo nonché una comparazione dei risultati raggiunti con quelli delle ricerche da condurre parallelamente sul materiale epigrafico di tutto il resto del mondo romano.

Un fatto mi sembra però che già da tempo risulti chiaro. La distinzione tradizionale tra epigrafia repubblicana, alto imperiale e tardo imperiale non è più sufficiente. All’interno di questa tripartizione, in sè validissima, occorre cercare, ed eventualmente individuare, altri momenti di svolta, ulteriori perio-dizzazioni. Ciò è particolarmente vero per il periodo repubblicano, forse il meno studiato, certamente il più appiattito. Ricerche come questa potrebbero servire allo scopo.

APPENDICE

Fornisco qui un elenco con numerazione progressiva dei documenti epigrafici repubblicani, o presunti tali, trattati nel testo. Esso è ripartito in quattro sezioni: nella I sono riuniti i documenti su cui principalmente si è fonda-to il discorso sulle officine urbane di età repubblicana; nella II sono indicati alcuni documenti epigrafici non urbani di età repubblicana addotti a confronto; nella III sono elencati altri documenti urbani espunti perché considerati non repubblicani o comunque non utilizzabili ai fini di questo lavoro; nella IV figurano infine alcuni documenti che, originarimente considerati urbani, sono stati poi riconosciuti di altra provenienza. Per ogni iscrizione si forni-scono le principali referenze bibliografiche, si indica se esiste una riproduzione a stampa o nell’archivio di CIL, VI presso il mio istituto (foto), si fornisce una datazione sicura o presuntiva, si segnala infine, mediante riferimento alle note, in quali parti del testo i documenti stessi sono trattati. Alla fine delle sezioni I e II i documenti sono rior-dinati cronologicamente.

Sezione I

CIL, I2

(1) 1 cfr. pp., 717, 739, 831, 853; DEGRASSI, Imagines 378 a-d; VI s., 2a m.; ntt. 17, 41.(2) 6 cfr. pp. 718, 859; DEGRASSI, Imagines 132; R. WACHTER, Altlateinische Inschriften, Bern 1987, pp.

301-342; A. La REGINA, in Italia, Milano 1989, p. 390; G. RADKE, in Rhein. Mus., 134, 1991, pp. 69-79; III s., 1a m., aa. 270/260 ca.; ntt. 10, 13, 65, 109, 114.

(3) 7 cfr. pp. 718, 859; DEGRASSI, Imagines 132; vd. nr. prec.; III s., 1a m., aa. 270/260 ca.; ntt. 13, 65, 109, 114.

(4) 8 cfr. p. 859; DEGRASSI, Imagines 133; III s., 2a m., a. 230 ca.; ntt. 10, 65, 109, 114.(5) 9 cfr. pp. 718, 831, 859; DEGRASSI, Imagines 133; E. HAMP, in Sprachen und Schriften (Festschr. J.

Untermann), Innsbruck 1993, pp. 157 sgg.; III s., 2a m., a. 230 ca.; ntt. 65, 6, 109, 114.(6) 10 cfr. pp. 718, 860; DEGRASSI, Imagines 134; II s., 1a m.; ntt. 14, 28, 65, 76, 91, 97, 109. (7) 11 cfr. p. 860; DEGRASSI, Imagines 135; II s., 1a m.; ntt. 15, 28, 65, 97, 109.(8) 12 cfr. p. 860; RITSCHL, Monumenta, tab. 40Gg, Dial. Arch., 6, 1972, fig. 14; foto; II s., 1a m., aa.

167/160 ca.; ntt. 109, 110.(9) 13 cfr. p. 860; DEGRASSI, Imagines 136; II s., m.; ntt. 109, 110. (10) 15 cfr. pp. 718, 860; DEGRASSI, Imagines 137; II s., 2a m., a. 130 ca.; ntt. 77, 97, 109, 111, 115.(11) 16 cfr. pp. 718, 860; DEGRASSI, Imagines 138; II s., m.; ntt. 27, 109.(12) 18 cfr. p. 861; III s.; ntt. 50, 107. (13) 22 cfr. pp. 718, 861; DEGRASSI, Imagines 187; III s., m.; ntt. 20, 95, 101.

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(14) 24 cfr. p. 861; foto; III s., 1a m.; nt. 112. (15) 26 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 21; III/II s.; ntt. 58, 107.(16) 27 cfr. p. 862; III/II s., nt. 107. (17) 28 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 22A; III/II s.; ntt. 56, 95, 107.(18) 29 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 22; III/II s.; ntt. 59, 107.(19) 30 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 63; III s., m.; ntt. 20, 56, 89, 96, 107, 108.(20) 31 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 77; III s., m.; ntt. 22, 24, 96, 107.(21) 32 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 109; III/II s.; ntt. 60, 107.(22) 33 cfr. p. 862; DEGRASSI, Imagines 110; III s., 2a m.; ntt. 90, 98, 107. (23) 607 cfr. p. 918; DEGRASSI, Imagines 59; III s. 2a m., a. 217; ntt. 57, 107. (24) 608 cfr. p. 918; III s., 2a m., a. 211; nt. 107. (25) 609 cfr. p. 918; DEGRASSI, Imagines 99; III s., 2a m., a. 211?; ntt. 62, 95, 107, 113. (26) 615 cfr. pp. 833, 919; DEGRASSI, Imagines 64; II s., 1a m., a. 187?; ntt. 63, 116. (27) 626 cfr. p. 921; DEGRASSI, Imagines 61; II s., m., a. 145 ca.; ntt. 26, 95, 115. (28) 656 cfr. p. 927; II s., 2a m.?; nt. 50. (29) 658 cfr. pp. 725, 927; DEGRASSI, Imagines 114; II s., 2a m., a. 122; ntt. 59, 116. (30) 695 cfr. p. 936; DEGRASSI, Imagines 150; II s., 2a m.; ntt. 67, 98. (31) 721 cfr. p. 940; DEGRASSI, Imagines 154; I s., 1a m., aa. 82/79 ca.; ntt. 75, 99. (32) 727 cfr. p. 942; DEGRASSI, Imagines 86; I s., 1a m.; nt. 118. (33) 730 cfr. p. 942; DEGRASSI, Imagines 89; I s., 1a m., dopo a. 84; ntt. 64, 76, 118. (34) 736 cfr. p. 943; DEGRASSI, Imagines 159; I s., 1a m., a. 78; nt. 116.(35) 751 cfr. p. 945; DEGRASSI, Imagines 167; I s., 1a m., a. 62; nt. 76.(36) 764 cfr. p. 947, tav. 28, fig. 2; I s., 1a m., a. 57?; nt. 117. (37) 801 cfr. pp. 727, 839, 953; DEGRASSI, Imagines 117; I s., 1a m.?; nt. 52. (38) 803 cfr. p. 954; III/II s.; nt. 107. (39) 804 cfr. pp. 727, 839, 954; DEGRASSI, Imagines 115; II s., 1a m., a. 175 ca.; ntt. 50, 52, 98, 115. (40) 805 cfr. p. 954; II/I s.; nt. 27. (41) 806 cfr. p. 954; II/I s.; nt. 50.(42) 807 cfr. p. 954; foto; II/I s.; ntt. 38, 39, 50, 54. (43) 809 cfr. pp. 839, 954; DEGRASSI, Imagines 196; I s., 1a m.; nt. 103.(44) 817 cfr. pp. 954 sg.; foto; I s., m.; nt. 93.(45) 820 cfr. p. 955; II/I s.; ntt. 36, 107.(46) 834 cfr. pp. 728, 957; DEGRASSI, Imagines 156; I s., 1a m.; ntt. 66, 76, 86. (47) 839 cfr. p. 957; DEGRASSI, Imagines 206 a; I s., 1a m.; nt. 119.(48) 972 cfr. p. 964; I s.?; ntt. 50, 51.(49) 974 cfr. p. 964, tav. 34, fig. 3; I s., 2a m.; nt. 81.(50) 976 cfr. p. 964 con foto; III/II s.; nt. 107.(51) 978 cfr. p. 964; DEGRASSI, Imagines 43; II s., 2a m.; ntt. 27, 59, 97. (52) 980 cfr. p. 964; DEGRASSI, Imagines 44; II s., 2a m.; nt. 102.(53) 981 cfr. p. 964; foto; II/I s.; nt. 97. (54) 983 cfr. p. 964; III/II s.?; nt. 36.(55) 991 cfr. p. 965; II s.?; nt. 27. (56) 993 cfr. p. 965; RITSCHL, Monumenta, tab. 1D; II/I s.; nt. 36. (57) 1000 cfr. p. 965; II s., m.?; nt. 27. (58) 1002 cfr. p. 965; RITSCHL, Monumenta, tab. 91A. Aa.b; G. LIPPOLD, Die Skulpturen des Vaticanischen

Museums, 3, 2, Berlin 1956, pp. 406 sg., nr. 50, tav. 170; foto; II/I s.; ntt. 50, 53.(59) 1003 cfr. pp. 965 sg.; DEGRASSI, Imagines 261; I s., m.; nt. 97. (60) 1203-1205 cfr. p. 970; DEGRASSI, Imagines 305; vd. anche P. CIANCIO ROSSETTO, Il sepolcro del fornaio

M. Virgilio Eurisace a Porta Maggiore, Roma 1973, tavv. XIV-XV, fig. 1-3; I s., 2a m.; nt. 76.

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48 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

(61) 1209 cfr. pp. 729, 970; DEGRASSI, Imagines 311; II/I s.; nt. 97.(62) 1221 cfr. p. 970; DEGRASSI, Imagines 303; I s., 1a m.; nt. 68. (63) 1222 cfr. p. 970; foto; I s., 2a m.; nt. 87.(64) 1228 cfr. p. 971; RITSCHL, Monumenta, tab. 92A; H. STUART JONES, The Sculptures of the Museo

Capitolino, Oxford 1912, p. 75, nr. 6, tav. 15; I s., 2a m.?; ntt. 32, 71.(65) 1249 cfr. p. 972; RITSCHL, Monumenta, tab. 91N, foto; I s., m., nt. 81. (66) 1252 cfr. p. 972; I s., m.; nt. 120.(67) 1263 cfr. p. 973; Epigraphica, 38, 1976, pp. 120-125, figg. 1-2; I s., 1a m.; nt. 81. (68) 1268 cfr. p. 974; DEGRASSI, Imagines 312; I s., 1a m.; nt. 81.(69) 1275 cfr. p. 974; foto; I s., m.; ntt. 81, 105.(70) 1277 cfr. p. 974; foto; I s., 2a m.; nt. 81. (71) 1286 cfr. p. 974; RITSCHL, Monumenta, tab. 89J, foto; I s., 2a m.; ntt. 81, 99. (72) 1289 cfr. p. 974; DEGRASSI, Imagines 304; I s., m.; nt. 119.(73) 1292 cfr. p. 975; I s., m.?; nt. 120.(74) 1299 cfr. p. 975; DEGRASSI, Imagines 308; I s., 2a m.?; ntt. 81, 85. (75) 1319 cfr. p. 976; foto; I s., m.; nt. 81.(76) 1329 cfr. p. 976; RITSCHL, Monumenta, 93A, foto; I s., m.; nt. 81.(77) 1338 cfr. p. 977; foto; I s., 2a m.; nt. 99. (78) 1343 cfr. p. 977; I s., m.?; nt. 120.(79) 1344 cfr. p. 977; I s., 2a m.; nt. 74.(80) 1354 cfr. p. 977; I s., 2a m.; nt. 73.(81) 1357 cfr. p. 978; I s., 2a. m.; nt. 74.(82) 1362 cfr. p. 978; foto; I s., m.; nt. 81.(83) 1365 cfr. p. 978; foto; I s., 2a m.; nt. 92.(84) 1370 cfr. p. 978; foto; I s., m.; nt. 81.(85) 1371 cfr. p. 978; foto; I s., 2a m.; nt. 81.(86) 1373 cfr. p. 979; foto; I s., 1a m.?, nt. 93.(87) 1375 cfr. p. 979; RITSCHL, Monumenta, 92c, foto; I s., 2a m.; nt. 93.(88) 1381 cfr. p. 979; NASH, Bildlex., 1134; I s., m.; nt. 79.(89) 1388 cfr. p. 980; foto; I s., 1a m.?, nt. 81.(90) 1393 cfr. p. 980; foto; I s., 2a m.; nt. 99.(91) 1398 cfr. p. 980; RITSCHL, Monumenta, tab. 93C; I s., m.?; nt. 120.(92) 1403 cfr. p. 980; I s., m.?; nt. 120.(93) 1406 cfr. p. 980; I s., 2a m.; nt. 73.(94) 1407 cfr. p. 980; foto; I s., 1a m.; nt. 72. (95) 1410 cfr. p. 980; foto; I s., m.?; nt. 105.(96) 1413 cfr. pp. 730, 840, 980; I s., m.; nt. 120.(97) 1418 cfr. p. 981; RITSCHL, Monumenta, tab. 92J; I sec., m.; ntt. 81, 85. (98) 2519 cfr. pp. 737, 844, 966; DEGRASSI, Imagines 298; I s., m.; nt. 119. (99) 2527 a cfr. p. 979; Capitolium, 18, 1943, p. 272, fig. 4; I s., 1a m.; nt. 66. (100) 2527 b cfr. p. 979; Capitolium 18, 1943, p. 272, fig. 4; I s., m.?; nt. 66.(101) 2675 fr. a cfr. p. 861; DEGRASSI, Imagines 62; III s.; ntt. 50, 52.(102) 2675 fr. b cfr. p. 861; Bull. Comm. Arch. Roma, 71, 1943/5, p. 60 fig. 3; L’area, cit. (nt. 50), tav. 30,

fig. 4; III s.; nt. 50.(103) 2710 cfr. p. 948; DEGRASSI, Imagines 163; I s., 1a m.; ntt. 75, 99. (104) 2711 cfr. p. 954; DEGRASSI, Imagines 60; L’area, cit. (nt. 50), tavv. 15, 3 e 31; II s., 1a m., a. 175

ca.; ntt. 50, 55, 98.(105) 2834 tav. 2, figg. 2-3; vd. anche G. PISANI SARTORIO − ST. QUILICI GIGLI, in Bull. Comm. Arch. Roma,

92, 1987-88 [1990], pp. 247-264, in part. pp. 252 sg. e 256; IV s., m.; ntt. 18, 65, 109.

<340>

2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 49

(106) 2835 tav. 3, fig. 6; vd. anche G. PISANI SARTORIO − ST. QUILICI GIGLI, in Bull. Comm. Arch. Roma, 92, 1987-88 [1990], pp. 247-264, in part. pp. 253 sgg.; IV-III s.; ntt. 19, 65, 96, 109.

(107) 2836 tav. 4, figg. 1-4; III s., 1a m., a. 264; nt. 62.(108) 2838 tav. 3, fig. 3; III s., m.; nt. 50.(109) 2839; DEGRASSI, Imagines 125; III s., 1a m.; nt. 20.(110) 2961 tav. 26, fig. 2; I s., 2a m.; ntt. 81, 99.(111) 2965; DEGRASSI, Imagines 400; I s., m., a. 52; ntt. 33, 81, 99.(112) 2976; DEGRASSI, Imagines 124; II/I s.; ntt. 50, 52, 98.(113) 2993; DEGRASSI, Imagines 209; I s., m.; nt. 99.(114) 2998 tav. 34, fig. 5; I s., 1a m.; nt. 68.(115) 2999 tav. 34, fig. 4; I s., 1a m.; nt. 73.(116) 3005 tav. 35, fig. 2; I s., 2a m.; ntt. 81, 85.(117) 3010 tav. 36, fig. 2; I s., m.; nt. 68.(118) 3011 tav. 137, fig. 3; I s., 1a m.; nt. 70.(119) 3011 a tav. 137, figg. 4-5; I sec., 1a m.; nt. 30.(120) 3016 a tav. 134, fig. 2; I s., m.; nt. 105.(121) 3023 tav. 39, figg. 1-2; I s., m.; nt. 72.

Arch. Laz.

(122) 11, 2, 1993, p. 37 con fig. 18 a p. 36; III s., 2a m.; ntt. 5, 56, 96, 107, 108.

Bull. Comm. Arch. Roma

(123) 1982-83, p. 155 nr. 103 con foto; I s., 2a m.; nt. 81.

Epigrafia. Actes du Colloque en mémoire de Attilio Degrassi (CEFR, 143), Rome 1991.

(124) p. 251 nr. 3, tav. 1, fig. 3; I s., m.; nt. 93.(125) pp. 251 sg. nr. 4, tav. 1, fig. 4; I s., 1a m.; nt. 69.(126) pp. 252 sg. nr. 6, tav. 2, fig. 2; II/I s.; nt. 70.(127) p. 263 nr. 25, tav. 7, fig. 3; I s., 1a m.; nt. 105.(128) pp. 264 sg. nr. 26, tav. 8, fig. 1; I s., 1a m.; nt. 40.(129) pp. 265 nr. 27, tav. 8, fig. 2; I s., 2a m.; nt. 81.(130) pp. 273-278 nr. 37, tav. 11, fig. 1; I s., 2a m.; nt. 67, 80.(131) pp. 280-282 nr. 40, tav. 11, fig. 4; I s., m.; nt. 81.(132) pp. 283 sg. nr. 42, tav. 12, fig. 2; I s., m.; nt. 81.(133) pp. 284-286 nr. 44, tav. 13, 1; I s., m.; nt. 76.(134) pp. 288-299 nr. 45, tav. 14, fig. 1-3; I s., 2a m.?; ntt. 81, 84.(135) pp. 313 sg. nr. 55, tav. 17, fig. 4; I s., m.?; nt. 72.(136) pp. 314 sg. nr. 56, tav. 18, fig. 1; I s., 2a m.; nt. 81. (137) pp. 320 sg. nr. 63, tav. 20, fig. 1; I s., 2a m.?; ntt. 81, 83, 85. (138) pp. 329 sg. nr. 70, tav. 22, fig. 2; I s., 2a m.; ntt. 81, 82. (139) pp. 347-349 nr. 87, tav. 26, fig. 2; I s., 2a m.?; ntt. 81, 82.(140) pp. 355 sg. nr. 97, tav. 28, fig. 2; I s., 1a m.; nt. 81.

ILLRP

(141) 419; DEGRASSI, Imagines 175; I s., m., a. 43; nt. 5.(142) 421; DEGRASSI, Imagines 176; I s., m., a. 43; ntt. 5, 81.

<341>

50 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

Il Lapidario Zeri di Mentana, I, Roma 1982

(143) pp. 7 sg. nr. 6, tav. 5, 1; I s., m.; nt. 81.

Museo Nazionale Romano, Le Sculture

(144) I, 3, Roma 1982, pp. 37 sg. con foto; I s., 1a m.; nt. 73.

Rend. Pont. Ac. Arch.

(145) 53-54, 1980-81-1981-82, pp. 283-295; II s., 1a m.?; ntt. 37, 60.

Tituli

(146) 6, Roma 1987, p. 92 nr. 32, tav. 36, fig. 1; I s., 2a m.?; nt. 81.

In ordine cronologico

VI s., 2a m.: 1. - IV s., m.: 105. - IV/III s.: 106. - III s.: 12, 101, 102. - III s., 1a m.: 2, 3, 14, 107, 109. III

s., m.: 13, 19, 20, 108. - III s., 2a m.: 4, 5, 22, 23, 24, 25, 122. - III/II s.: 15, 16, 17, 18, 21, 38, 50, 54? - II

s.: 55? - II s., 1a m.: 6, 7, 8, 26, 39, 145? - II s., m.: 9, 11, 27, 57? - II s., 2a m.: 10, 28?, 29, 30, 51, 52. - II/I

s.: 40, 41, 42, 45, 53, 56, 58, 61, 112, 126. - I s.: 36, 48? - I s., 1a m.: 31, 32, 33, 34, 35, 37, 43, 46, 47, 62, 67, 68, 86?, 89?, 94, 99, 103, 104, 114, 115, 118, 119, 125, 127, 128, 140, 144. - I s., m.: 44, 59, 66, 69, 72, 73?, 75, 78, 82, 84, 88, 91?, 92, 95?, 96, 97, 98, 100, 111, 113, 117, 120, 121, 124, 131, 132, 133,135, 141, 142, 143. - I s., 2a m.: 49, 60, 63, 64?, 65, 70, 71, 74?, 77, 79, 80, 81, 83, 85, 87, 90, 93?, 110, 116, 123, 129, 130, 134, 136, 137, 138, 139, 146.

Sezione II

CIL, I2

(147) 39, cfr. pp. 718, 866; DEGRASSI, Imagines 91 a, b (Mons Albanus); IV/III s.; nt. 43.(148) 50-58 cfr. pp. 718, 831, 867; 2850-2854 vd. anche 2848, 2848 a, 2848 b, 2849 (Tusculum, sepolcri

dei Furii e dei Rabirii); IV-III s.; nt. 44.(149) 64-357; 1476; 2445=2483 cfr. pp. 718, 831, 868-875; vd. anche 2855-2863; Epigrafia, p. 364, nt.

104 (Praeneste, necropoli); inizio nel IV/III s.; nt. 44.(150) 401 cfr. pp. 720, 832, 833 (Luceria); IV s., 2a m.; nt. 43.(151) 404 con foto cfr. p. 884; DEGRASSI, Imagines 107 (Lindos); III s.; nt. 91.(152) 613 con foto cfr. p. 918; DEGRASSI, Imagines 139 (Praeneste); II s., 1a m.; nt. 25.(153) 2658 con foto cfr. pp. 831, 844, 858 (Tibur); VI s., 2a m.; ntt. 11, 43.(154) 2832a con facsimile (Satricum); VI s., 2a m.; ntt. 11, 43.(155) 2833 con facsimile (Lavinium); VI/V s.; nt. 49.(156) 2833a con facsimile (Corcolle); V s., 1a m.; ntt. 11, 43.(157) 2843; DEGRASSI, Imagines 3 (Lavinium); IV/III s.; ntt. 43, 91.(158) 2844; DEGRASSI, Imagines 6 (Lavinium); IV/III s.; nt. 43.(159) 2845; DEGRASSI, Imagines 4 (Lavinium); IV/III s.; nt. 43.(160) 2846; DEGRASSI, Imagines 5 (Lavinium); IV/III s.; nt. 43.(161) 2847; DEGRASSI, Imagines 379 a, b (Lavinium); IV/III s.; nt. 49.(162) 3026 tav. 39, fig. 5 (Ostia); I s., 1a m.; nt. 35.(163) 3047 tav. 44, fig. 3 (Praeneste); III s., 2a m.?; nt. 25.(164) 3048 tav. 45, fig. 1 (Praeneste); III s., 2a m.?; nt. 25.

<342>

2 - LA PRODUZIONE EPIGRAFICA DI ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA 51

In ordine cronologico

VI s., 2a m.: 153, 154. - VI/V s.: 155. - V s., 1a m.: 156. - IV s., 2a m.: 150. - IV/III s.: 147, 148, 149, 157, 158, 159, 160, 161. - III s.: 151. - III s., 2a m.: 163?, 164? - II s., 1a m.: 152. - I s., 1a m.: 162.

Sezione III

CIL, I2

(165) 2 cfr. pp. 717, 739, 831, 855; nt. 6.(166) 25 cfr. pp. 718, 739, 831, 861 sg.; I. CALABI LIMENTANI, Epigrafia latina4, Milano 1991, p. 238, nt.

51 con foto; nt. 66.(167) 745 cfr. p. 944; CALABI LIMENTANI, op. cit., p. 259, nr. 59 con foto; nt. 6.(168) 1229 cfr. p. 971; foto; nt. 6.(169) 1254 cfr. p. 972; foto; nt. 6.(170) 1267 cfr. p. 974; foto; nt. 6.(171) 1270 cfr. p. 974; foto; nt. 6.(172) 1279 in nt.; foto; nt. 6.(173) 1302 cfr. p. 975; foto; nt. 6.(174) 1304 cfr. p. 975; foto; nt. 6.(175) 1337 cfr. p. 977; foto; nt. 6.(176) 1400 cfr. p. 980; foto; nt. 6.(177) 1417 cfr. p. 981; foto; nt. 6.

Sezione IV

CIL, I2

(178) 797 cfr. p. 953; DEGRASSI, Imagines 173 (Ocriculum); nt. 6.(179) 837 cfr. p. 957; DEGRASSI, Imagines 185 (Lorium); nt. 6.(180) 992 cfr. p. 965; DEGRASSI, Imagines 103 (Antium?); nt. 6.(181) 1004 cfr. p. 966; DEGRASSI, Imagines 259 (Posta di Mesa); nt. 6.(182) 1412 cfr. p. 980 (Ateste); nt. 6.

NOTA COMPLEMENTARE – Una settantina di fotografie di iscrizioni urbane databili fra il III e la metà del I sec. a.C. è ora disponi-bile in Suppl. It. - Imagines, Roma (CIL, VI), 1, Roma 1999 e 2, Roma 2003, vd. p. 641 (indice delle datazioni); circa 250 foto di iscrizioni del Lazio databili tra il VII e la metà del I a.C. si trovano invece in Suppl. It. - Imagines, Latium Vetus 1, Roma 2005 (indice delle datazioni a pp. 850 sg.). – Sul lapis Gabinus: S. MUSCO - A. SALVATORI, in Indagini e rilievi nell’ottica della conservazione, Firenze 1991, pp. 31-34. – Qualche esempio di uso precoce del marmo fuori di Roma: architrave a fregio dorico da Lanuvio con dedica a Iuno Sispes (CIL, I2 1430): il pezzo è stato riesaminato da D. NONNIS che lo sta ripubblicando negli Atti della XIIIe Rencontre sur l’épigraphie du monde romain, Macerata 9-11 sett. 2005 (fine II a.C.). Base con dedica a Venere da Minturnae AE 1999, 420 (III-II sec. a.C.). – Sulla problematica riguardante i singoli monumenti considerati vd. Lex. Top. Urb. Rom., I-VI, Roma 1993-2000 e Lex. Top. Urb. Rom., Suburbium, di cui sono usciti tre (Roma 2001-2006) dei sei volumi previsti. – Le iscrizioni della tomba dei Corneli (CIL, I2 2834-2835) sono ora anche in CIL, VI 40892-40893. – Importante il restauro e la ricomposizione del monumento sepolcrale di Sulpicius Galba (CIL, I2 695), che ha portato, non solo ad appurare in via definitiva che era in tufo di Monteverde con iscrizione in travertino, ma anche a riconoscere una sua stretta analogia (struttura in tufo, iscrizione in travertino) con la distrutta tomba dei Rusticelii, anche le cui epigrafi (CIL, VI 11534-11535) andranno dunque inserite in CIL, I2: L. FERREA, in Bull. Comm. Arch. Roma, 99, 1998, pp. 51-72; meno persuasiva mi pare l’attribuzione del sepolcro al console del 144 invece che del 108 (vd. anche Journ. Rom. Stud., 93, 2003, p. 222 nt. 52). – Altri

52 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

esempi di deliberata continuazione sul fianco del supporto per evitare l’a capo sono offerti da una nuova basetta aquileiese con dediche Apollini e Herculi, edita in Aq. N., 67, 1996, coll. 198-201, con foto (AE 1996, 698). – Completamento di parola, con scrittura sopra o sotto il rigo e segno di richiamo, anche nella defixio AE 1988, 1146 che potrebbe essere di origine urbana ed è certamente di età tardo-repubblicana: p¢lÜa/ceat e nella sepolcrale AE 1988, 33: consti/tuit. – Per l’uso di lasciare uno spazio bianco nel caso di gentilizio ripetuto, alla lista di esempi data sopra in nt. 120 aggiungere, per Roma: CIL, VI 22540 cfr. Tituli, 8, 2001, p. 344 nr. 348 e Suppl. It. - Imagines, Roma (CIL, VI), 2, nr. 3273; 33154 cfr. Tituli, 8, 2001, p. 360 nr. 386; 37555; Tituli, 8, 2001, p. 181 nr. 91, tav. XX, fig. 4 (AE 2001, 307); p. 377 nr. 430, tav. LX, fig. 2; vd. anche, quantunque un po’ diverso, il caso segnalato da G.L. GREGORI, in Teminavit sepulcrum (Atti del IV Convegno di Studi Altinati, Venezia 2003), Roma 2005, p. 113 nr. 8; da altri luoghi: CIL, X 6163 (Formiae); AE 1996, 433 (Teanum Sidicinum). – Offre l’opportunità di confrontare il quadro romano con un orizzonte epigrafico diverso (Aquileia e la sua area d’influenza in età repubblicana): C. ZACCARIA, in Vigilia di romanizzazione, Roma 1999, pp. 193-210. – Sul problema di una scansione interna dell’epigrafia repubblicana vd. anche gli altri contributi di questa prima sezione.

Un’analisi dell’evergetismo civico nel mondo romano d’età repubblicana è già stata introdotta dalle relazioni di J.-L. FERRARY [De l’évergétisme hellénistique à l’évergétisme romain], pp. 199-225 e di C. VIRLOUVET, [L’apport des sources littéraires à l’étude de l’évergétisme à Rome et dans les cités d’Italie à la fin de la République], pp. 227-248. Venendo ora a trattare dei dati ricavabili dalla documentazione epigrafica latina di quest’epoca, sia consentita anche a me qualche premessa.

In modo speciale proprio nell’ambito degli studi sul mondo romano, la nozione di evergetismo civico, già di per sé dai contorni piuttosto vaghi, è stata di recente sottoposta ad un tale processo di allar-gamento da assumere un valore onnicomprensivo. Di fatto nella letteratura scientifica recente1, troviamo la qualifica di evergete attribuita, tanto al magistrato ed al privato cittadino che, senza averne l’obbligo, soccorre con le proprie sostanze una città, ovvero la sua cittadinanza, provvedendola del necessario o del superfluo, quanto a chi, senza far nulla di più, si fa carico di funzioni pubbliche poiché queste comportano quanto meno un dispiego di tempo, energie e prestigio. Evergete è detto sia il magistrato, romano o locale, che esegue lavori di pubblica utilità servendosi di denaro pubblico, o comunque non suo (ad esempio delle multe), sia il trionfatore che utilizza le manubiae per donativi | o per costruire edifici. Evergete è chi fa un dono qualsivoglia in un tempio o l’imperatore, non solo quando utilizza il patrimonio suo, o pubblico, a vantaggio di una comunità, ma anche quando semplicemente si degna di autorizzare la comunità stessa ad eseguire spese con propri fondi. E ancora tra gli evergeti è classificato tanto chi sia onorato in qualche modo da una comunità, nella presunzione che non vi possa essere onore senza evergesia passata o futura, quanto chi, trovandosi in posizione di governo o di responsabilità am-ministrativa, non maltratti eccessivamente i suoi soggetti o non li derubi troppo.

Può darsi che, in effetti, nel mondo romano, ognuna di queste figure e ciascuna delle azioni suindi-cate abbia potuto, almeno in determinati momenti, luoghi e circostanze, essere ritenuta e qualificata come evergetica. C’è da chiedersi tuttavia di quale utilità storica possa essere per noi una categoria così inde-

* Actes du Xe Congrès International d’Épigraphie Grecque et Latine (Nimes, 4-9 octobre 1992), édités par M. Christol et O. Masson, Paris 1997, pp. 249-290.1 In generale sull’evergetismo nel mondo romano si ve-dano, oltre a tutte le altre relazioni sul tema pubblicate in questi stessi atti: G. BODEI GIGLIONI, Lavori pubblici e occu-pazione nell’antichità classica, Bologna 1974; EAD., Lavori pubblici ed evergetismo privato, in Civiltà dei Romani. La città, il territorio, l’impero, Milano 1990; P. VEYNE, Le pain et le cirque. Sociologie historique d’un pluralisme politique, Paris 1976 e ID., in PH. ARIÈS – G. DUBY, La vita privata dall’Impero Romano all’anno Mille, Roma-Bari 1988, pp. 72-82; W. ECK, Senatorial Self Representation. Develop-ments in the Augustan Period, in Caesar Augustus. Seven

Aspects, Oxford 1984, pp. 129-167; P. LEVEAU, Richesses, investissements, dépenses. A la recherche des revenus des aristocraties municipales de l’antiquité, in L’origine des richesse dépensée dans la ville antique, Aix-en-Provence 1985, pp. 19-37; A. GIARDINA, Amor civicus. Formule ed im-magini dell’evergetismo romano nella tradizione epigrafica, in La terza età dell’epigrafia, Faenza 1988, pp. 67-85; R. DUNCAN JONES, Structure and Scale in the Roman Economy, Cambridge 1990, pp. 159-173; P. GARNSEY, The Generosity of Veyne, in Journ. Rom. Stud., 81, 1991, pp. 164-168. Per l’aiuto prestatomi nella raccolta del materiale bibliografico, nonché nella schedatura e nel trattamento mediante compu-ter delle fonti, ringrazio i Dott. David Nonnis, Silvia Orlandi ed Emanuela Zappata.

I,3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA*

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terminata. Analoghe perplessità si colgono anche in altre relazioni, come quelle di C. VIRLOUVET, cit., e di W. ECK [Der Euergetismus im Funktionszusammenhang der Kaiserzeitlichen Städte, pp. 305-331].

Del resto, la stessa suddivisione del tema per aree e periodi, elaborata dagli organizzatori del Con-gresso, costituisce un invito ad uscire dal generico ed a puntare, se non (operazione disperata) ad una riduzione del concetto in termini chiari ed univoci, per lo meno verso una sua articolazione e, quindi, verso un’analisi che non sia condotta su un miscuglio di situazioni del tutto eterogenee, bensì su insiemi chiaramente individuati, distinti e separatamente valutabili. Obiettivo di questa relazione è per l’appunto un’articolazione, almeno parziale, dei dati ricavabili dal complesso (e non da una parte soltanto, come in altri studi) della documentazione epigrafica latina disponibile per l’epoca considerata.

Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che, per quanto attuata su una base più larga, questa articolazione e la conseguente analisi possa, da sola, restituire un’immagine fedele dell’evergetismo civico romano in età repubblicana. Vi sono, in un’indagine del genere, limitazioni e debolezze che, anche se a tutti note, appare opportuno ricordare per dimensionare realisticamente le nostre attese sin dall’inizio.

V’è, in primo luogo, il limite derivante dalla settorializzazione dell’indagine, la quale, ovviamente, non può servirsi delle sole fonti epigrafiche. I dati emergenti dalla loro analisi andranno dunque posti a confronto, da un lato con quelli offerti dalle fonti letterarie, preziose anche sul piano interpretativo (ad esse è stata deliberatamente dedicata una relazione a parte), dall’altro con i risultati della più recente ricerca archeologica.

In secondo luogo, vi è il limite, sempre particolarmente sentito quando si ha a che fare con le iscri-zioni, della casualità ed incompletezza del loro ritrovamento. Un esempio per tutti: sappiamo che Labie-no constituerat | suaque pecunia exaedificaverat l’oppidum piceno di Cingulum. Ma neppure le recenti, accurate ricerche di G. Paci per i Supplementa Italica hanno potuto farci conoscere un solo frammento d’iscrizione relativo a questa estesa attività evergetica del legato di Cesare2.

Infine, un altro limite da ricordare è quello delle eventuali falsature introdotte nei dati da fatti di sovrarappresentazione o sottorappresentazione (si vedano qui anche le relazioni di L. MIGEOTTE [L’éver-gétisme des citoyens aux périodes classique et hellénistique, pp. 183-196] e W. ECK, cit.), come, ad esempio, dalla tendenza a dare maggior enfasi epigrafica al finanziamento privato, relativamente ecce-zionale, rispetto a quello pubblico, considerato normale.

Di conseguenza, quel che possiamo aspettarci di ricavare da un’analisi della documentazione epi-grafica non è tanto un’immagine fedele di quel che l’evergetismo realmente fu in età repubblicana, quan-to, piuttosto, di come esso appaia nello specchio, più o meno deformante, costituito da questo tipo di fonti. Ne otterremo, insomma, una serie di indicatori, non assoluti, ma relativi, da valutare caso per caso mettendoli a confronto con tutti gli altri dati in nostro possesso. Le tabelle che presenterò, ed il relativo commento, mireranno per l’appunto a far emergere almeno qualcuno di questi indicatori.

Ma va chiarito, anzitutto, come sia stato costituito il gruppo di documenti sul quale l’indagine è stata condotta. Dal corpus delle iscrizioni latine d’età repubblicana sin qui disponibili (costituito da CIL, I2 sino all’ultimo supplemento di Degrassi e Krummrey, con le sottrazioni ed aggiunte indicate in Epi-grafia. Actes du Colloque en mémoire de Attilio Degrassi, Roma 1991, e con alcune altre sottrazioni ed aggiunte suggerite da pubblicazioni successive) con riferimento all’evergetismo, inteso in un’accezione larga, ma non proprio onnicomprensiva, sono stati esercitati i seguenti prelievi:

1) tutte le iscrizioni relative ad opere pubbliche;

2 CAES. B. Civ., 1, 15, 2. Sul materiale epigrafico di Cingulum vd. ora G. PACI, in Suppl. It., 6, 1990, pp. 37-53.

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2) tutte le iscrizioni in onore di personaggi o collettività con benemerenze pubbliche in qualche modo valutabili;

3) tutte le iscrizioni di ogni altro tipo (sepolcrali e decreti in primis) nelle quali sia menzione di qualche benemerenza a carattere pubblico.

4) un’ampia scelta di iscrizioni relative ad offerte sacre con particolare riguardo a quelle poste da personaggi di rilievo e/o di entità apprezzabile, da qualsiasi parte provenienti.

Sono state escluse, invece: tutte le testimonianze concernenti onori tributati a personaggi di cui non si conoscano, direttamente o indirettamente, le benemerenze; tutti i documenti relativi ad atti di ever-getismo nei confronti di individui rientranti nelle cerchie ristrette delle parentele, dell’amicizia o | della clientela privata; tutte le dediche sacre, per lo più su basette di donario, dalle quali non traspaia più di un atto di pietà individuale o collettiva.

Per ragioni ormai largamente condivise, che è inutile ripetere (si vedano le relazioni di C. VIRLOU-VET, cit., e di G. ALFÖLDY [Euergetismus und Epigraphik in der Augusteischen Zeit, pp. 293-304]), si è inoltre ritenuto conveniente spostare il termine basso della raccolta dalla morte di Cesare all’inizio dell’età augustea.

I documenti così selezionati ammontano a 532. Di essi si fornisce in Appendice un elenco numerato progressivamente e ordinato per luogo e cronologia. Ogni riferimento alle fonti epigrafiche considerate sarà fatto d’ora in avanti mediante i soli numeri d’ordine di questo elenco.

Nella loro ripartizione cronologica, non sempre agevole, e nella stessa classificazione dei dati che essi offrono, si sono naturalmente corsi dei rischi. Confido tuttavia che gli eventuali errori compresi nelle tabelle di sintesi che qui di seguito si presentano (I-X) non siano tali da alterarne le indicazioni in maniera determinante.

Procediamo comunque ad un primo rapido esame di una parte di questi prospetti.La Tabella I si propone di consentire una prima valutazione del complesso della documentazione

raccolta, mostrandone la distribuzione areale e cronologica. In primo luogo non risultano documenti databili prima del III o, al massimo, prima della fine del IV sec. Il più antico sarebbe costituito dal-l’iscrizione delle mura della colonia latina di Luceria, dedotta nel 315/314, se questa (perduta) si ri-ferisse effettivamente a lavori eseguiti subito dopo la fondazione della città3. Alla prima metà del III sec. appartengono invece le due iscrizioni urbane, rispettivamente di un edile che provvede a locatio e probatio di un edificio a vantaggio dei Veliterni4 e del console M. Fulvius che, in occasione del trionfo de Volsiniensibus del 264, consacra parte della sua preda bellica nell’area sacra di S. Omobono5. Altre 23 epigrafi si collocano tra la metà circa e la fine del secolo6. Resta confermata | dunque anche per via epigrafica l’osservazione che, se anche non mancano nelle fonti allusioni a più antichi atti di everge-tismo in ambito latino, è soltanto nella prima metà o alla metà del III sec. che si verifica nei patrimoni delle élites quel cambiamento quantitativo e qualitativo che dell’evergetismo romano costituisce una delle precondizioni7.

3 249.4 1.5 2.6 Sono 9 di Roma (3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 55, 56), 3 di Lanuvium (103, 104, 105), 3 di Paestum (275, 276, 277) ed una cia-scuna di Setia (152), loc. inc. della Campania (236), Bene-ventum (323), Vicus Supinas (366), Cupra Montana (373),

Firmum Picenum (374), Fulginiae (397), Falerii Novi (423). Le testimonianze diventano 32 se si aggiungono anche quel-le di datazione incerta fra III e II sec.7 Si veda a questo proposito la relazione di C. VIRLOUVET, cit., che si rifà a sua volta ad una serie di studi di E. Gabba, raccolti in E. GABBA, Del buon uso della ricchezza, Milano 1988.

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Nei due secoli successivi la documentazione aumenta progressivamente. Alle 26/35 testimonianze del III sec., si oppongono infatti le 124/200 del II e le 297 e più del I. Sviluppo normale, si dirà, e facil-mente attendibile, una volta che la diffusione della pratica dell’evergetismo in Italia e nelle province sia considerata un naturale portato dell’ampliamento della dominazione e della cultura romana. In effetti l’aumento delle testimonianze va in parallelo con l’allargamento del quadro geografico8 che, ancora limitato ad una piccola parte dell’Italia nel III sec., risulta notevolmente ampliato nel II, sia in Italia sia fuori di essa (Sicilia, Sardinia, Graecia - Insulae, Asia), ed ancor più nel I quando, oltre ad un infittirsi delle testimonianze in Italia, si registra un ulteriore ampliamento del quadro provinciale nel quale entra-no a far parte anche Hispania, Lusitania, Gallia Narbonensis, Noricum, Dalmatia ed Africa. Ma sarebbe un errore credere che il rapporto tra romanizzazione ed evergetismo, o almeno tra questa e le iscrizioni evergetiche, sia stato sempre di tipo per così dire immediato e quasi automatico. Anche nell’Italia or-mai unificata ed ampiamente romanizzata della fine della Repubblica vi sono aree in cui le iscrizioni di questo tipo risultano del tutto mancanti o sono presenti in numero ridottissimo. Si consideri la posizione di retroguardia, non solo di aree territorialmente e culturalmente eccentriche come i Bruttii (8 test.), o la Transpadana (1 test.), ma anche di regioni come l’Etruria e l’Aemilia, rispettivamente con sole 16 e 4 testimonianze. Per tutto il periodo considerato, l’epicentro del fenomeno è chiaramente localizzabile a Roma (59) e nel Latium (125). Con qualche ritardo e con notevole distacco seguono il Samnium (58) e la Campania (52). In una posizione mediocre si collocano tutte le altre aree che non siano già state ricordate9. Senza voler negare | un rapporto tra evergetismo e romanizzazione, si può dunque sospettare che quest’ultima (e l’eventuale correlata urbanizzazione) non sia di per sé sufficiente perché la pratica dell’evergetismo civico si affermi, ed occorra, invece, la concorrenza di altri fattori, economici e cul-turali, prima ancora che politici. Non è certamente un caso se la maggior concentrazione del fenomeno si ha nelle aree più produttrici ed aperte, direttamente od indirettamente, al commercio ed ai contatti con l’Oriente, la minore nelle aree, economicamente e culturalmente, più chiuse e conservative. Si osservi inoltre che l’enorme impennata che si registra nella documentazione passando dal II al I sec. dovuta cer-tamente, almeno in parte, da un lato all’intensa urbanizzazione dell’Italia in quest’epoca, dall’altro ad un maggior impiego della comunicazione epigrafica10, è anche chiaramente la conseguenza di un diverso modo di concepire l’uso delle ricchezze e di fare politica non solo a Roma, ma anche in ambito locale.

Con la Tabella II s’intende cominciar a trasporre l’analisi dal piano delle iscrizioni evergetiche nel loro complesso a quello dei vari fenomeni ch’esse documentano ed a quello di una loro prima articolazione.

8 Nella Tabella l’accorpamento delle testimonianze, sia in Italia, sia fuori, è stato fatto per aree sufficientemente omoge-nee. Un’immagine di dettaglio è facilmente ricavabile dal-l’Appendice ove, entro le aree prescelte, sono indicate anche le singole località interessate ed i relativi documenti.9 Importante considerare però anche la distribuzione del-le testimonianze al loro interno: ben 25 delle 30 iscrizio-ni restituite da Venetia - Histria provengono, ad esempio, da Aquileia e dal suo territorio. Sul materiale epigrafico di quest’area vd. G. BANDELLI, Per una storia della classe dirigente di Aquileia repubblicana, in Les “bourgeoisies” municipales italiennes aux IIe et Ier siècles av. J.-C., Paris-Naples 1983, pp. 175-203; ID., Le iscrizioni repubblicane, in I Musei di Aquileia (Ant. A. Adr., 24), Udine 1984, pp.

169-226; M. VERZÁR BASS, Contributo alla storia sociale di Aquileia repubblicana. La documentazione archeologica, in Les “bourgeoisies”, cit., pp. 205-215; EAD., Iscrizioni repubblicane. Considerazioni archeologiche e architettoni-che, in I Musei di Aquileia, cit., pp. 227-239. 10 Fenomeno che, peraltro, poté avere anch’esso sviluppi di-versi. Sul rapporto tra usi epigrafici e documentazione epigra-fica dell’evergetismo si vedano qui stesso le relazioni di CL. LEPELLEY [Évergétisme et épigraphie dans l’antiquité tardive: les provinces de langue latine, pp. 335-352]: e CH. ROUECHÉ [Benefactors in the Later Roman Period: the Eastern Empire, pp. 353-368] ed inoltre N. MACKIE, Urban Munificence and Growth of Urban Consciousness in Roman Spain, in The Ear-ly Roman Empire in the West, Oxford 1990, p. 182.

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3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA 57

11 a) 60, 74, 80, 90, 113, 122, 172, 202, 211, 217, 231, 234, 235, 238, 254, 367, 385, 386, 393, 417, 420, 441, 448, 471, 486; b) 60, 103, 146, 232, 281, 354, 375, 402; c) 70, 201, 238, 468; d) 62, 71, 72, 91, 92, 98-101, 243, 245, 249, 250, 253, 256, 258, 260, 264, 265, 268, 272, 274, 309, 329, 337, 358, 359-362, 410, 425, 453, 463, 468, 475, 481, 484, 492, 494, 521, 529, 530; e) 31, 92, 95, 238, 320, 325, 367, 415, 419.12 a) 271, 337; b) 27, 34, 95, 113, 142, 337, 340; c) 60, 95, 154, 158, 177, 207, 210, 212, 221, 233, 244, 262, 330, 337, 338, 340, 341, 420, 421, 433, 448, 450, 490; d) 18, 60, 72, 113, 211, 216, 217, 238, 244; e) 60, 146, 219, 220, 246, 259, 267, 273, 402, 505, 514, 516; f) 60, 111, 188, 192, 199-202, 217, 218, 224, 270, 310, 334, 342, 365, 372; g) 5, 28, 29, 33, 48, 89, 93, 96, 97, 156, 165, 178, 260, 300, 303, 306, 307, 338, 343, 351, 392, 404, 405, 427, 428, 430-432, 438, 439, 480, 511, 513; h) 60, 86-89, 94, 126, 128, 162, 167, 176, 182, 188, 190, 193-198, 200, 207, 210, 214, 217, 226, 232, 233, 260, 282, 319, 334, 336, 337, 341, 344, 345, 351, 352, 363, 372, 376, 388, 392, 394, 395, 397, 424, 437, 476, 486, 487, 489, 498, 509, 512, 532; i) 32, 50, 127, 129, 147, 148, 161, 169, 184-186, 190, 209, 222, 225, 228, 231, 237, 242, 247, 251, 255, 275, 277, 284, 289, 292, 293, 296, 315, 322, 332, 339, 349, 350, 357, 364, 366, 426, 435, 436, 451, 500.13 a) 4, 12, 14, 16, 17, 20, 47, 53, 65, 82-84, 107, 113, 114, 120, 125, 128, 130, 131, 133, 137, 138, 141, 144, 145, 152, 153, 155, 157, 160, 162, 170, 173, 174, 189, 210, 215, 257, 263, 269, 271, 283, 288, 297-299, 316, 317, 327, 335, 341, 347, 356, 370, 378, 380, 389, 396, 407, 409, 429, 443, 445, 446, 452, 455, 459, 460, 465, 467, 472, 473, 487, 496, 502,

507, 508, 518, 520, 525; b) 7, 9, 11, 13, 15, 16, 19, 23, 25, 30, 53, 58, 64, 75, 102, 117, 119, 139, 206, 223, 295, 304, 305, 326, 331, 333, 353, 369, 371, 377, 379, 382, 383, 390, 403, 406, 418, 440, 442, 455, 456, 458, 461, 462, 464, 477, 485, 497, 501, 510, 517; c) 2, 3, 6, 8, 10, 14, 46, 63, 65, 68, 85, 109, 118, 121, 132, 135, 144, 157, 164, 179, 180, 183, 210, 215, 239-241, 290, 301, 308, 311, 317, 323, 324, 333, 374, 378, 382, 391, 409, 469, 474, 477, 479, 487, 491, 501, 504, 518, 522; d) 55, 103, 104, 115, 116, 159, 236, 301, 317, 348, 373, 499; e) 17, 47, 66, 114, 175, 213, 283, 308, 382, 472; f) 22, 54, 56, 59, 73, 136, 163, 229, 230, 261, 286, 302, 355, 412, 416, 423, 434, 454, 493, 503.14 a) 81, 113; b) 128, 158, 210, 218, 227, 367.15 a) nessuna attestazione; b) 367, 384.16 a) nessuna attestazione; b) 113.17 a) 26, 57, 106, 109, 188, 192, 194-197, 200-202, 207, 479, 509; b) 239-241; c) 479. 18 35-45, 69, 77, 108, 187, 248, 252, 266, 314, 328, 368, 387, 398, 488, 515, 519, 527, 531.19 a) nessuna attestazione; b) 2-7, 9, 10, 14, 19, 23, 25, 27, 32-34, 48, 52, 54, 55, 68, 81, 96, 118, 147, 148, 152, 154, 155, 160, 178, 189, 300, 303, 306, 307, 343, 428, 430, 431, 438, 443, 457, 471, 480, 499, 520-525, 528; c) 1, 12, 18, 28, 29, 52, 56, 140, 151, 179, 180, 417, 470; d) 11, 13, 21, 22, 31, 69, 439, 490, 515, 530; e) 271; f) 8, 15, 30, 102.20 a) 74, 86-89, 119, 129, 145, 164, 166, 168, 186, 218, 232, 246, 250, 259, 261, 262, 315, 325, 334, 396, 402, 427, 449, 453, 475; b) 67, 157-159, 170, 171, 176, 216, 219, 220, 222-225, 243, 265, 309, 310, 319, 327, 338, 344, 393, 394, 400, 415; c) 70-72, 90-95, 98-101, 103-105, 112, 123, 142, 143,

L’attenzione è rivolta anzitutto alla tipologia degli interventi, entro i quali si distinguono in primo luogo, dagli altri, quelli finalizzati all’esecuzione di lavori pubblici [A]. Questi, a loro volta, sono suddi-visi in lavori per infrastrutture urbane e territoriali [A1]11, per edifici civili ed arredo urbano [A2]12, per edifici, doni o arredi sacri [A3]13.

Gli altri interventi [B] sono invece ripartiti nei cinque gruppi di sovvenzioni e doni [B1]14, distribu-zioni di denaro o esenzioni [B2]15, distribuzioni alimentarie [B3]16, spettacoli [B4]17, altro [B5]18.

È subito evidente il forte dislivello nella documentazione delle due forme di evergetismo: 516 atte-stazioni per A, 59 per B. Si cercherà d’interpretare questo dato più avanti, dopo aver passato rapidamen-te in rassegna le successive quattro tabelle che si sono approntate, pure sulle quali s’intende ritornare.

Nella Tabella III, il proposito è di evidenziare e suddividere in categorie quelli che sono gli autori degli atti evergetici.

Essi sono ripartiti anzitutto in tre gruppi, secondo che agiscano in veste pubblica [A], in veste privata [B], o appartengano a settori speciali della popolazione [C]. Quindi, come anche nella prece-dente tabella, ogni gruppo è eventualmente diviso in sottoripartizioni di primo livello che, in questo caso, sono le seguenti. Per quanto riguarda A: titolari di funzioni pubbliche dello Stato [A1]19, titolari di funzioni pubbliche cittadine, paganiche o vicane [A2]20, titolari di funzioni religiose o collegiali

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58 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

[A3]21, altri [A4]22. Per | quanto riguarda C: donne ingenue [C1]23, schiavi/-e [C2]24, liberti/-e [C3]25. Il gruppo B non ha ripartizioni di questo tipo. Anch’esso è però internamente frazionato, per consentirne un’analisi dettagliata26.

Il prospetto seguente (Tabella IV) considera invece, e suddivide, non più gli autori, ma i destina-tari, i beneficiari cioè, dell’atto evergetico, secondo che, per dichiarazioni sufficientemente esplicite, appartengano alla comunità stessa dell’evergete [A]27, siano rappresentati da una comunità o da singoli personaggi esterni [B]28, o rientrino nell’ambito del sacro (divinità, luoghi di culto) [C]29. Non mancano anche qui ulteriori frazionamenti.

Nella Tabella V gli interventi sono suddivisi secondo che la fonte del finanziamento sia espressa-mente indicata [A], e risulti essere di carattere | pubblico o semipubblico [A1]30, religioso [A2]31 o pri-vato [A3]32, oppure tale specificazione manchi e siano o meno presenti, in sua vece, alcune espressioni formulari tipiche [B]33.

163, 170, 175, 182, 183, 220, 223, 225, 227, 231, 253, 272, 274, 278, 350, 354, 355, 357, 375, 403, 440, 484, 486; d) 62, 64, 76, 80, 84, 125, 146, 149, 150, 161, 172, 173, 185, 217, 226, 234-236, 238-242, 244, 249, 251, 255, 256, 258, 260, 267, 279, 281, 282, 284, 313, 320, 336, 364, 372, 376, 385, 386, 388, 391, 399, 410, 419-421, 426, 429, 432, 433, 435, 436, 458, 463, 468, 479, 481, 489, 529; e) 63, 85, 124, 125, 137, 139, 149, 153, 156, 254, 273, 285, 323, 324, 358-360, 362, 363, 369, 377, 392-394, 397, 414, 485; f) 122, 126, 128, 133, 136, 165, 167, 221, 275-277, 288, 318, 321, 337, 366, 374, 375, 380, 442, 444, 463, 492; g) 16, 17, 26, 47, 57, 58; h) 111, 203, 247, 289, 295, 296, 301, 304, 311, 317, 335, 339, 341, 342, 349, 351-353, 355, 356, 373, 382, 389, 390, 434, 464, 466, 492, 532; i) 113; l) 60, 61, 82, 83, 120, 127, 132, 134, 135, 138, 141, 157, 174, 184, 228, 229, 245, 257, 263, 268, 280, 298, 302, 312, 322, 346, 361, 365, 378, 381, 395, 404, 405, 407, 408, 413, 437, 441, 456, 467, 473, 493-495. 21 a) 20, 46, 48, 59, 465; b) 65, 115, 121, 181, 188, 190, 193, 194, 196, 197, 199, 200-202, 204, 208, 209, 214, 215, 230, 233, 238, 379, 401, 422, 478, 501-504, 507, 509, 511-513.22 a) 77, 108, 248, 252, 266, 309, 314, 328-330, 367, 368, 384, 387, 398, 488, 490, 519, 531; b) 35-45, 75, 144, 293, 311, 411, 416, 423.23 a) 422; b) nessuna attestazione; c) 53, 114, 269, 270, 283, 370, 371, 445, 446.24 a) 73, 109, 205, 211, 331, 333, 416, 454, 455, 476, 487; b) nessuna attestazione; c) 299, 370, 409, 459, 474, 491, 500.25 a) 46, 49, 51, 65, 109, 162, 181, 191, 192, 194, 195, 198, 201, 203, 206, 208, 211-214, 230, 286, 290, 411, 416, 454, 455, 476, 478, 501, 502, 504-507, 509, 514, 526; b) 117, 491; c) 106, 107, 299, 412, 460-462, 477, 482, 483, 491, 496, 500, 510, 517.26 B.1a) 520; b) 169, 187; c) 470; d) 472; e) 78, 176, 177, 287, 305, 308, 316, 326, 347, 348, 383, 418, 424, 425, 451, 469, 482, 497, 498, 508, 527.

27 A.1. 81, 95, 113, 158, 177, 217, 218, 236, 244, 367, 384, 451, 507, 511, 514; A.2. 367; A.3. 384.28 B.1. 36, 37, 39-45, 69, 77, 96, 108, 118, 152, 155, 178-180, 187, 189, 248, 252, 266, 300, 303, 306, 307, 314, 328, 343, 368, 387, 398, 428, 430, 431, 438, 443, 480, 488, 499, 515, 522, 525, 527, 531; B.2. 35, 38, 519.29 C.1. 3, 4, 6, 7, 11, 15, 20, 22, 25, 51, 53, 54, 57, 59, 64, 66, 73, 75, 83, 107, 114, 117, 119, 120, 121, 135, 136, 139, 157, 159, 163, 164, 179, 180, 206, 207, 229, 230, 239-241, 257, 261, 286, 304, 305, 308, 311, 317, 324, 326, 331, 353, 371, 377, 391, 412, 416, 423, 434, 443, 445, 446, 454, 459-462, 464, 469, 472-474, 477, 479, 485, 491, 493, 496, 497, 501-503, 507, 508, 510, 518, 520, 522, 525; C.2. 2, 8-10, 12-14, 16, 17, 19, 23, 35-47, 49, 52, 55, 56, 58, 63, 65, 68, 76, 82, 84, 85, 102, 104, 106, 109, 115, 116, 118, 125, 132, 137, 140, 141, 145, 152, 153, 155, 174, 175, 181, 183, 189, 210, 213-215, 223, 236, 263, 269, 283, 288, 295, 297-299, 301, 302, 316, 323, 333, 335, 348, 355, 356, 369, 370, 373, 374, 378-380, 382, 383, 389, 390, 396, 403, 406, 409, 418, 429, 440, 442, 452, 455, 456, 458, 465, 467, 487, 499, 504,517; C.3. 30, 103, 327, 347.30 a) 47, 74, 80, 93, 157, 220, 225, 273, 304, 334, 432, 437; b) 212, 219, 239-241, 275, 358, 361; c) 12, 104, 105, 175, 277, 280, 285, 374, 413; d) 48, 85, 155, 179, 180, 189, 522; e) 319.31 a) 82, 83, 440, 456; b) 289, 297, 298; c) 20, 52, 61, 63, 111, 210, 213, 215.32 a) 53, 66, 79, 90, 106, 113, 116, 156, 158, 207, 213, 216-218, 229, 231, 233, 238, 244, 253, 268-270, 272, 274, 283, 286, 291, 302, 308, 310, 317, 330, 331, 333, 344, 352, 367, 370, 384, 391, 395, 396, 409, 421, 432, 433, 451, 459, 460, 464, 467, 469, 482-484, 490, 497, 507, 509; b) 46, 56, 164, 305, 412; c) 111, 162, 214, 268, 288, 301, 422; d) 385, 386.33 Per essere certi che la specificazione mancasse si sono prese in esame per questa sezione le sole iscrizioni integre.

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a) 1, 16, 17, 21, 27, 32, 60, 62, 70, 71, 84, 86-89, 91, 92, 98-101, 114, 122, 128, 138, 142, 144, 159-161, 165, 167, 170, 172, 173, 181, 184-186, 190, 193-197, 199-200, 201, 209, 211, 221-224, 226, 232, 234, 235, 237, 246, 247, 256, 259, 261, 262, 264, 267, 282, 284, 287, 295, 296, 299, 309, 320, 322, 325, 329, 335-342, 349-350, 351, 353, 354, 356, 359, 360, 362, 365, 372, 375, 376, 380, 389, 390, 392, 402, 404, 405, 410, 415, 418, 419, 424, 427, 429, 435, 436, 442, 453, 463, 472, 473, 475-479, 481, 487, 489, 492, 496, 503, 516, 529, 530, 532; b) 13, 18, 19, 22, 25, 26, 28, 30, 57, 60, 109, 117, 124, 144, 176, 192, 194-197, 200, 201, 236, 249, 254, 260, 271, 357, 363, 397, 425, 443, 452, 470, 472, 473, 486, 498, 501, 502, 521, 523, 524, 528; c) 3, 4, 6, 54, 64, 65, 68, 81, 95, 112, 115, 118, 125, 177, 230, 276, 303, 311, 326, 371, 416, 423, 443, 454, 455, 461, 462, 474, 480, 485, 513, 525; d) 14, 75, 137, 153, 323, 324, 477; e) 8, 11, 15, 23, 50, 51, 55, 58, 96, 123, 139, 141, 147, 151, 163, 166, 171, 176, 182, 183, 191, 192, 198, 206, 242, 245, 279, 281, 292, 300, 306, 307, 315, 318, 321, 327, 343, 348, 366, 369, 373, 379, 393, 394, 400, 401, 403, 406, 411, 417, 431, 434, 438, 439, 444, 445, 446, 457, 458, 465, 466, 491, 500, 504, 506, 508, 510-512, 514, 517, 518, 526.34 Sulla natura delle manubiae: F. BONA, Sul concetto di manubiae e sulla responsabilità del magistrato in ordine alla preda, in Stud. Doc. Hist. Iur., 26, 1960, pp. 106-113; I. SHATZMAN, The Roman Generals’ Auctority over Booty, in Historia, 21, 1972, pp. 177-205; L. PIETILÄ-CASTRÉN, Magnifi-centia publica. The Victory Monuments of the Roman Gener-als in the Era of the Punic Wars (Comm. Hum. Litt., 84), Hel-sinki 1987, pp. 15-17, 24 sg.; BODEI GIGLIONI, Lavori pubblici ed evergetismo, cit. (nt. 1), p. 101; VIRLOUVET, cit. Vd. ora anche M. ABERSON, Temples votifs et butin de guerre dans la Rome républicaine, Rome 1994]. Sull’aes multaticium e le modalità del suo impiego: E. DE RUGGIERO, in Diz. Epigr., I, 1895, pp. 313 sg. e nt. sg.35 Ho inteso che la pecunia che i magistrati locali devono e lege in ludos aut in monumento consumere (219, Pompeii)

sia da considerare pubblica per confronto con i vv. 34-38 della lex mun. Tarentini (CIL, I2 590 cfr. pp. 833, 915) ove, in un contesto perfettamente analogo, si precisa che il dena-ro stesso è ottenuto con la comminazione di multe. Di con-seguenza, pro ludeis (358 e 361, Telesia) non indica a mio avviso che i magistrati fossero tenuti a versare una specie di summa honoraria a questo scopo, ma che gli stessi ave-vano esercitato il diritto di scelta tra ludi e monumentum, restando immutato il finanziamento (diversamente altri, tra cui M. CÉBEILLAC-GERVASONI, L’évergétisme des magistrats du Latium et de la Campanie des Gracques à Auguste à tra-vers les témoignages épigraphiques, in Mél. Éc. Fr. Rome, Ant., 102, 1990, pp. 700-704 e EAD., Les travaux publics à la fin de la république dans le Latium et la Campanie du Nord. La place de la classe dirigeante et des familles de notables, in Cah. Centr. Glotz., 2, 1991, pp. 24 sg.; dif-ferente la situazione prospettata nella lex col. Ursonensis [per cui vd. sotto, nt. 40] e in CIL, III 12042 = ILS 7210). Anche de leged (275, Paestum) richiama i casi suesposti e sembra escludere l’impiego di pecunia privata. Per de mu-nere gladiatorio vd. sotto, nt. 44. I monumenti offerti dai magistrati aquileiesi de doneis (456 e 440) sono intesi da M.J. STRAZZULLA, Edilizia templare e programmi decorativi in età repubblicana, in La città nell’Italia Settentrionale in età romana, Trieste-Roma 1990, p. 299 “come frutto di un impegno collettivo nei confronti della divinità”; penserei in-vece ad una realizzazione resa possibile dalla conversione in denaro di doni offerti ad un luogo sacro (vd. lex aedis Furfensis, CIL, I2 756 cfr. pp. 727, 839, 946, rr. 7-11). Non credo infine che abbiano a che fare con la summa honora-ria (del resto mai ricordata in iscrizioni repubblicane, e da considerare pecunia publica una volta versata nelle casse cittadine), bensì con elargizioni volontarie, gli atti evergetici compiuti honoris causa (217, 218, 367) che intendo in onore della comunità che ha conferito la carica; nello steso senso, mi pare, anche C. ZACCARIA, Testimonianze epigrafiche rela-tive all’edilizia pubblica nei centri urbani delle regiones X

Si tocca qui un punto particolarmente importante e delicato, sia perché, come già si è accennato, troppo spesso non si è prestata sufficiente attenzione al problema, centralissimo, dei diversi fondi con cui sono finanziati gli atti di evergetismo o presunti tali, sia perché, oggettivamente, la natura stessa delle fonti di finanziamento non è sempre esente da ambiguità. Ad esempio si potrebbe discutere sul carattere pubblico privato (od anche sacro) delle manubiae [A1d; vd. nt. 30]. Se, analogamente all’aes multati-cium, ho preferito includerle nella categoria del finanziamento pubblico o semipubblico, e non di quello privato, è perché, come rilevato anche dalla Virlouvet nella sua relazione, nonostante si tratti di ric-chezze formalmente a completa disposizione del generale (ma non mancano condizionamenti sociali e religiosi), esse non sono tratte comunque dal suo patrimonio privato34. Ci sono anche altre ambiguità se pure di minor portata35. L’articolazione dei vari insiemi | delle tabelle fornisce in ogni caso la possibilità <258>

60 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

di tenere distinta l’incidenza delle singole componenti. Per la stessa ragione sono state registrate a parte, ed accuratamente tenute distinte anche le espressioni formulari del gruppo B sulla cui utilizzabilità per determinare la fonte di finanziamento, non altrimenti indicata, torneremo più avanti.

Infine nella Tabella VI, l’ultima di questo primo gruppo, si considerano i casi in cui gli interventi evergetici risultano esplicitamente autorizzati dal senato romano36 o da quello locale37.

Data così una sommaria presentazione di queste prime tabelle, con le quali si è inteso estrarre dalla massa indistinta della documentazione alcuni aspetti rilevanti dell’evergetismo, proponendone anche delle articolazioni interne, converrà ritornare su di esse, o meglio sulle ultime cinque, per un loro ul-teriore esame e per vedere se dal confronto di ciascuna con le altre e con nuovi parametri (cronologici in particolare) sia possibile ricavare un orientamento su qualcuna almeno fra le molte questioni che il fenomeno evergetico pone.

Tabella II: tipologia degli interventi. È ben noto che Cicerone istituisce una graduatoria di pregio morale tra le varie forme di evergetismo, situando al primo posto le spese per le opere di pubblica utilità, come quelle della | nostra categoria A1, al secondo le opere più legate a fini propagandistici, come buona parte di ciò che è incluso sotto A2 (o anche, per ciò che attiene ai nuovi templi, in A3), all’ultimo le spese di carattere effimero, come quelle riunite nella categoria B38. Possiamo chiederci in che rapporto stia la nostra documentazione, ossia la prassi epigraficamente documentata, con questa teoria ciceroniana delle impensae meliores.

Nella documentazione letteraria, e per quanto concerne Roma, la Virlouvet ha osservato che le frequenze si presentano in ordine inverso, per cui vengono prima i giochi e le feste, poi le distribuzioni, infine le opere pubbliche. Di questo fenomeno ha anche proposto una spiegazione osservando che, da un lato la città, disponendo di ricchi fondi propri, non necessitava di molti interventi evergetici con impe-gno di fondi privati nel campo delle opere pubbliche, e che dall’altro questi rimasero a lungo al di sopra delle possibilità personali dei singoli39.

e XI in età imperiale, in Le città dell’Italia Settentrionale, cit., p. 134. Sulla pecunia sacra: BODEI GIGLIONI, Pecunia fanatica. L’incidenza economica dei templi laziali, in Riv. Stor. Ital., 89, 1977, pp. 33-76 (rist. in Studi su Praeneste, Perugia 1978, pp. 3-46), 1977. 36 A. 11, 15-17, 19, 23, 25, 27, 32, 34, 49, 54.37 B. 60, 62, 63, 70, 72, 74, 75, 80, 82-84, 91, 92, 98-101, 117, 122, 123, 126, 130, 138, 145, 146, 155, 157, 159, 161, 162, 165, 167, 170, 172, 173, 181, 182, 184-186, 212, 214, 219, 220, 222-226, 232, 234, 235, 237-241, 246, 247, 250, 255, 256, 261-263, 267, 269, 270, 273, 279, 281, 282, 284, 288, 289, 296, 302, 304, 309, 310, 321, 322, 325, 327, 329, 337-342, 345, 349-351, 354-356, 358-360, 362, 365, 369, 372, 373, 375, 380-382, 385, 386, 389, 395, 401, 402, 404, 405, 410, 415, 417, 419, 421, 427, 437, 441, 453, 463, 464, 467, 468, 473, 486.38 CIC. Off., 2, 60: Atque etiam illae impensae meliores: muri, navalia, portus, aquarum ductus omniaque, quae ad usum rei publicae pertinent. Quamquam, quod praesens tamquam in manum datur, iucundius est; tamen haec in po-

sterum gratiora. Theatra, porticus, nova templa verecundius reprehendo propter Pompeium, sed doctissimi non probant. 2, 55-56: omnino duo sunt genera largorum, quorum alteri prodigi, alteri liberales: prodigi qui epulis et viscerationibus et gladiatorum muneribus, ludorum venationumque appa-ratu pecunias profundunt in eas res, quarum memoriam aut brevem aut nullam omnino sint relicturi, liberales autem, qui suis facultatibus aut captos a praedonibus redimunt aut aes alienum suscipiunt amicorum aut in filiarum collocatione adiuvant aut opitulantur in re vel quaerenda vel augenda. Per una valutazione di questi brani si rinvia a: R. MORLINO, Cicerone e l’edilizia pubblica: De officiis, II, 60, in Athe-naeum, n.s., 62, 1984, pp. 620-634; GABBA, op. cit. (nt. 7); M. SALVATORE, Cicerone, un politico parsimonioso, in Dicti studiosus, Urbino 1990, pp. 57-100; VIRLOUVET [cit., supra].39 Sulla classificazione delle manubiae e dell’aes multati-cium come denaro pubblico o semipubblico, comunque non privato, si veda sopra con nt. 34. Sulla particolare situazione di città come Roma si veda anche la relazione di L. MIGEOT-TE [cit., supra].

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3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA 61

40 Attestazioni epigrafiche dei ludi si hanno già sul finire del II sec. Il loro numero non faccia pensare però ad un’ampia area di diffusione: delle 16 che ci sono pervenute, ben 12 sono do-vute ai magistri Campani (sulla posizione di questi magistri: J.-M. FLAMBARD, Les collèges et les élites locales à l’époque républicaine d’après l’exemple de Capoue, in Les “bourgeoi-sies”, cit. (nt. 9), pp. 75-89 ed ora G. DʼISANTO, Capua roma-na. Ricerche di prosopografia e storia sociale (Vetera, 9), p. 19); delle altre quattro, 2 vengono da Roma (126 e 57), 1 da Lanuvium (106) e una da Carthago Nova (479). Vd. inoltre le testimonianze raccolte in nt. 35, con riferimento anche alla lex mun. Tarentini che autorizza il magistrato ad usare per i ludi parte del denaro di certe multe. Nella lex col. Ursonensis (CIL, I2 594 cfr. pp. 724, 833, 916) a duoviri ed edili è fatto obbligo di offrire munus ludosve in parte a proprie spese.41 Non va presa in considerazione perché di età augustea e non repubblicana l’iscrizione CIL, I2 1578 cfr. p. 1009, da Sinuessa, in cui si parla di distribuzione di mulsum et crustum. Testimonianze molto indirette, nella supposizione che fossero distribuite agli elettori piene di cibi o bevande, possono considerarsi invece le due coppette con iscrizioni propagandistiche per Catone e Catilina da me pubblicate e riprese in AE 1979, 63-64 (omesse invece in CIL, I2).42 113. CIL, I2 1578 cfr. p. 1009, ove si parla di una cena of-ferta colonis Senuisanis et Papieis, va esclusa per le ragioni

addotte alla nt. prec.43 Da ultimo, la prima via è seguita, ad esempio, da V. RO-SENBERGER, Bella et expeditiones. Die antike Terminologie der Kriege Roms (HABES, 12), Stuttgart 1992, pp. 173 sgg. e da G. WESCH-KLEIN, Funus publicum (HABES, 14), Stuttgart 1993, pp. 77, 128-130, la seconda da F. ZEVI che sulla data ed il significato dell’iscrizione è tornato più volte (vd. in parti-colare P. Lucilius Gamala Senior e i “Quattro tempietti” di Ostia, in Mél. Éc. Fr. Rome, Ant., 85, 1973, pp. 555-581). Tra le singolarità di quest’iscrizione, se riferita all’età repubbli-cana, si noti anche la adlectio gratuita, implicante il normale pagamento di una summa, laddove né il pagamento né l’eso-nero dallo stesso sono altrimenti attestati.44 Per quanto riguarda i munera gladiatoria, espunta l’iscri-zione CIL, I2 1578 (vd. nt. 41), restano soltanto come testi-monianza indiretta le tre basi canosine 239; 240 e 241 de-stinate a reggere offerte sacre che alcuni magistrati cittadini dicono di fare de munere gladiatorio, quale che sia il signi-ficato da attribuire a questa espressione (vd. da ultimo M. BUONOCORE, Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente Romano, III. Regiones Italiae II-V, Sicilia, Sardinia et Corsica, Roma 1992, pp. 43-45); evidentemente contemporanee, sono tutte da attribuire all’estrema età repubblicana. Sul munus ludosve della lex Ursonensis vd. sopra, nt. 40. 45 In questo gruppo d’iscrizioni abbiamo le prime testimo-

Nella nostra documentazione epigrafica, nella stragrande maggioranza fornita dall’Italia, la situa-zione si presenta molto diversamente poiché gli interventi di carattere effimero [da B1 a B4; vd. ntt. 14-17], non solo vi compaiono invece in proporzione nettamente minoritaria rispetto ai lavori pubblici [in particolare A1-A2; vd. ntt. 11-12], ma vi sono scarsissimamente rappresentati in assoluto, eccezion fatta per i ludi [B4; vd. nt. 17].

L’opposizione risulta ancor più chiara se considerata diacronicamente con l’ausilio della nuova Ta-bella VII. Mentre è evidente che, per quanto riguarda i lavori, tanto dell’edilizia civile [II.A1 e II.A2; vd. ntt. 11-12], quanto di quella religiosa [II.A3; vd. nt. 13] esiste una tradizione evergetica epigraficamente attestata che rimonta almeno al III sec. e conosce un notevole sviluppo tra la metà del II e la metà del I, i pochissimi interventi effimeri, ludi esclusi [B1-B3; vd. ntt. 14-16]40, si collocano tutti verso la fine del periodo | considerato e, in più di un caso, assai dubitativamente perché la datazione dei documenti è incerta ed una loro appartenenza all’età imperiale non è esclusa.

Particolarmente rimarchevole la sostanziale mancanza di attestazioni non solo di distribuzioni di denaro [B2a], ma anche alimentarie [B3]41 poiché l’unica testimonianza di banchetti, registrata in B3b, è data dalla discussa iscrizione ostiense di P. Lucilius Gamala42, di cui, o, come è stato fatto anche re-centemente, si mette in dubbio l’appartenenza all’età repubblicana (almeno, direi, nella redazione che ci è stata trasmessa), o si deve in ogni caso riconoscere e giustificare l’assoluta eccezionalità43.

Notevole è anche il sostanziale silenzio delle iscrizioni su qualsiasi tipo d’intrattenimento che non siano i ludi [B4; vd. nt. 17]44 ed il fatto che a partire dal I sec. esse comincino a considerare ed a trattare come evergetiche, non solo le attività che recano vantaggi materiali alla città, ma anche alcune manife-stazioni di protezione e benevolenza [B5; vd. nt. 18]45. Ciò sembra | avvenire prima in ambito greco od

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asiatico46 e diffondersi poi anche in Occidente se alla fine dell’età repubblicana, come pare, un perso-naggio di rango senatorio può essere fatto patrono ed onorato ad Interamna Nahars, quod eius opera universum municipium ex summis periculeis et difficultatibus expeditum et conservatum est47.

Tabella III: gli evergeti. In ambito greco un mutamento fondamentale è stato riconosciuto nel pas-saggio, alla metà circa del II sec., da un evergetismo esprimentesi soprattutto attraverso l’esercizio di pubblici uffici ad una generosità che, sempre più sganciata dalle cariche, sfugge per ciò stesso al con-trollo civico, assumendo caratteri ostentatori e modificando le basi stesse della vita cittadina48. Che cosa risulta a questo riguardo dalla documentazione epigrafica latina? Dalla tabella in esame appare subito evidente che, se anche non si può parlare in assoluto di un monopolio dell’evergetismo da parte dei titolari delle funzioni pubbliche, civili o religiose, la partecipazione privata al fenomeno è nettamente minoritaria. Contro gli 81 titolari di funzioni pubbliche dello Stato [A1; vd. nt. 19], i 290 detentori di funzioni pubbliche, cittadine, paganiche o vicane [A2; vd. nt. 20], i 40 personaggi investiti di funzioni religiose o collegiali [A3; vd. nt. 21] ed i 37 casi in cui risultano agire patroni o gruppi in modo imperso-nale [A4; vd. nt. 22] (in tutto 448 attestazioni), sono in tutto soltanto 26 gli evergeti privati, coloro cioè che compiono interventi evergetici apparentemente senza ricoprire alcuna carica [B1; vd. nt. 26].

Né, come risulta dalla nuova Tabella VIII che analizza gli evergeti da un punto di vista cronologico, si registra mai nell’epigrafia latina di età repubblicana una decisa svolta in senso privatistico. Con il mon-do greco c’è una qualche coincidenza per quanto riguarda l’inizio del fenomeno (da collocare sostanzial-mente nella seconda metà del II sec., verso la fine) [III.B1; vd. nt. 26], non invece per quanto riguarda il suo sviluppo. Anche alla fine del II e nel I sec. le iscrizioni evergetiche continuano a promanare, nella loro grande maggioranza, da personaggi che rivestono cariche pubbliche [III.A1-III.A4; | vd. ntt. 19-22]49, mentre i privati occupano una posizione molto limitata anche se crescente [III.B1; vd. nt. 26]50.

nianze esplicite od implicite di patronato e, se alcune di que-ste fanno riferimento a specifici interventi materiali, altre associano il patronato a più generiche benemerenze (virtutis beneficique ergo) o lo considerano un’evergesia in se stesso.46 Per la documentazione epigrafica greca concernente cittadini romani, si rinvia alla relazione di J.-L. FERRARY [cit., supra]. Per quella latina si vedano, oltre alla serie di dediche bilingui al popolo romano poste a Roma dai popo-li asiatici benivolentiae beneficique causa (o con analoghe motivazioni), le iscrizioni poste rispettivamente: a Delo da-gli Italici, forse a Mario (a. 99), [virtut]is beneficique ergo (515); dai Meliei forse a C. Fabius Hadrianus, praet. 84, beneficii ergo (519); dai Mysei ad un legatus pro praeto-re, quod eos bello Mithrida[ti]s (a. 73) conservavit, virtutis ergo (69).47 398. Sul personaggio: L. SENSI, in Tituli, 5, 1982, pp. 248, 260. Si veda anche l’iscrizione calena (187), forse riferibile ad un amico di Cicerone se non a suo figlio, che onora il personaggio quod is de r(e) p(ublica) saepe numero bene meritus esset merereturq(ue) e la tessera hospitalis concessa ad un cittadino romano in età cesariana dagli abitanti di Cu-rubis (531) eius studio, beneficieis [--- devincti?].48 Contro VEYNE, op. cit. (nt. 1), PH. GAUTHIER, Les cités

grecques et leurs bienfaiteurs (IVe-Ier siècle avant J.-C.). Contribution à l’histoire des institutions (Bull. Corr. Hell., Suppl. 12), Athènes-Paris 1985, pp. 1-6, 72 sgg. e, in questo volume, la relazione MIGEOTTE [cit., supra].49 Il dato è da confrontare con quello ricavato dalle fonti letterarie concernenti Roma in età repubblicana: “plus du tiers des conduites dites évergétiques émanant en fait de magistrats dans l’exercice de leur magistrature” (relazione VIRLOUVET).50 Problematica l’interpretazione dell’iscrizione dal territo-rio di Ortucchio (348), che l’editore colloca ancora nel III o II sec., in cui tre personaggi non qualificati (membri di una confraternita?) compiono un’offerta menzionando un ma-gister in carica. In seguito, non ricorda l’esercizio di magi-strature (peraltro possibili) in associazione agli atti evergeti-ci l’iscrizione da Aletrium di Betilieno Varo (60) che fu fatto censore due volte solo dopo le sue benemerenze e neppure quella da Corchiano di C. Egnatius che prata faciunda coi-ravit (424). Nell’ambito del sacro, si veda la dedica reatina ad Ercole di L. Munius (305). Sul fenomeno dell’interven-to nell’attività evergetica di persone senza funzioni precise come indicatore di una svolta importante si vedano le rela-zioni MIGEOTTE ed ALFÖLDY [citt., supra].

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3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA 63

Parallelamente pervengono all’evergetismo, come nel mondo greco, anche gruppi che, a rigore, non fanno parte del corpo civico o si collocano ai suoi margini, come le donne, gli schiavi, i liberti [III.C1-III.C3; vd. ntt. 23-25]. Anche in questi si riproduce però, sia pure in scala diversa, il fenomeno sopra osservato e su 83 attestazioni complessive che riguardano queste categorie, ancora una volta la mag-gioranza non appartiene a persone prive di qualifica [III.C1c-C2c-C3c; vd. ntt. 23-25]51, bensì a titolari di funzioni, in questo caso sacerdotali o collegiali [III.C1a-C2a-C3a; vd. ntt. 23-25]. L’incidenza sul complesso resta comunque assai modesta.

Altra osservazione, resa possibile dalla Tabella IX, che mette a confronto gli evergeti con la tipolo-gia dei loro interventi, è che, mentre l’attività dei personaggi che rivestono funzioni pubbliche [III.A1-III.A4; vd. ntt. 19-22] si esplica attraverso una vasta gamma d’interventi evergetici che riguardano tanto l’ambito civile [II.A1-II.A2; vd. ntt. 11-12] quanto quello religioso [II.A3; vd. nt. 13], l’attività dei pri-vati ingenui [III.B1; vd. nt. 26] come anche quella delle donne e degli schiavi [III.C1-C2; vd. ntt. 23-24] è prevalentemente | concentrata nell’area del sacro [II.A3; vd. nt. 13] (più variata quella dei liberti).

Tabella IV: i beneficiari. Una questione che si pone parallelamente a quella del monopolio o meno dell’evergetismo da parte dei magistrati è se i cives siano o meno i destinatari esclusivi dello stesso. Consideriamo la sezione A. Per solito il destinatario di un atto di evergetismo civico è, nelle iscrizioni, implicito e si deve intendere come il complesso dei cives che costituiscono la comunità di cui l’evergete stesso fa parte. Le epigrafi in cui la destinazione è indicata espressamente confermano questa interpre-tazione [A1; vd. nt. 27]52.

Soltanto nel lapis Aesinensis, che si colloca a cavallo tra Repubblica e Impero, privilegi a parte sono riconosciuti a decurioni ed a magistrati con le loro famiglie [A2; App. nr. 367]. E soltanto in rari casi, anch’essi tutti della fine della Repubblica, a godere dei benefici è ammessa anche gente estranea al corpo civico come incolae, adventores, hospites [A3]53. Donne bambini e schiavi non sono mai menzionati.

È noto che l’evergetismo civico pagano differisce profondamente, nelle motivazioni e negli obietti-vi, dalla carità cristiana54. La documentazione epigrafica d’età repubblicana ribadisce questa differenza.

51 Fa eccezione, all’interno, il gruppo delle donne ingenue che si presentano per lo più senza qualifica (9 su 10), ma che, evidentemente, appartengono in genere ad uno strato sociale alto; fra le prime attestazioni evergetiche di questo gruppo femminile ricordiamo quelle di: Octavia, moglie di Gamala, che ad Ostia portic(um) poliend(am) et sedilia faciun(da) et culinam tegend(am) D(eae) B(onae) curavit (114); Publicia, moglie di un Cornelius, che a Roma aedem valvasque fe-cit eademque expolivit aramque sacram Hercole restitu(it) (53); Maxima Nasia, che offre ad Apollo il thesaurus di Morrovalle vicino a Cluentum (371); Ausia Rufa che ex d. d. circ(a) lucum macer(iam) et murum et ianu(as) d(e) s(ua) p(ecunia) f(acienda) c(uravit) a Cosilinum (269). Pressoché inesistenti i liberti senza qualifica: un’aidem Larum è curata a Corfinium da due liberti che però saranno probabilmente dei magistri (299), come pure il por(ti)tor che ad Aquileia si occupa di un edificio sacro a Minerva (460); un altro liber-to signa et aram faciun[dam] coiravit et eisdem dedic[avit] a Carthago Nova alla fine della Repubblica (477). Per gli schiavi senza qualifica sono da ricordare: la dedica ad Escu-

lapio di un altare di bronzo del peso di 100 libbre a S. Nicco-lò Gerrei (474), l’offerta di pinnas et austia in un sacello di Minerva presso Aquileia (459), la partecipazione finanziaria (o solo materiale?) all’esecuzione di un compitum di Cluana da parte di un [P]ilonicus Octavi L(uci) servus, Praenestinus (370), il Priapum et templum offerti d(e) s(uo) pecul(io) a Pisaurum (409). 52 In esse risultano come destinatari il populus, i coloni, il municipium, il vicus o anche le tribus come l’insieme dei cives.53 Tutte queste categorie sono ammesse a gratuita lavatio in perpetuom insieme con i coloni ed i municipes da un pa-trono di Interamnia Praetuttiorum (384; vd. CENERINI, Ever-getismo ed epigrafia: lavationem in perpetuom, in Riv. Stor. Ant. (Bol.), 17-18, 1987-88, pp. 199-209). Parallelamente a Valentia, nella Narbonese, onorano il patrono della città, non solo i coloni, ma anche gli incolae (488).54 GIARDINA, art. cit. (nt. 1) e, qui stesso, la relazione di Y. DUVAL e L. PIETRI [Évergétisme et épigraphie dans l’Occi-dent chrétien (IVe-VIe s.), pp. 371-396].

<263>

64 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

Si deve peraltro notare che in essa non risulta ancora quell’insistenza sulla struttura gerarchica interna della comunità, quell’assillante presa di distanza sociale che sarà caratteristica, invece, dell’evergetismo dell’età imperiale.

Si dà anche il caso che i beneficiari non siano concittadini dell’evergete o che, comunque, quest’ul-timo, se anche legato in qualche modo alla città che benefica, agisca ormai al di fuori di essa. Così è per un certo numero di doni e di interventi edilizi fatti de manubiis o de praeda in varie città d’Italia e talora anche in provincia [V.A1d; vd. nt. 30]55. Si tratta di prassi concentrate soprattutto nel III e nel II sec. Nel I, un potente si comporta da evergete nei | confronti di una comunità diversa dalla sua soprattutto assumendone il patronato o comunque agendo a vantaggio e protezione della stessa [IV.B1; vd. nt. 28]56. Per un analogo atteggiamento lo stesso populus Romanus nel suo complesso può essere salutato come evergete da popoli e da re asiatici, in iscrizioni bilingui poste a Roma57.

Un discorso a parte richiederebbe l’evergetismo esercitato mediante l’offerta di edifici, arredi, doni a carattere sacro. La complessità del tema e le difficoltà di valutazione che esso presenta invitano però a rinviarlo ad altra sede58.

Tabella V: il finanziamento. Un interrogativo chiave è che parte abbia avuto l’evergetismo nella vita della città e, dentro a questo, che parte abbia avuto l’evergetismo compiuto con fondi privati rispetto a quello compiuto con fondi pubblici o semipubblici.

Se latamente intesa come insieme d’iniziative a vantaggio della comunità dei cives, non è dubbio che l’attività evergetica abbia avuto, per quantità e qualità d’interventi, un ruolo importante nella storia delle città romane d’età repubblicana. Quanto al resto, qualcuno potrebbe sostenere che, nel caso di uso di fondi pubblici, non si dovrebbe nemmeno parlare di evergetismo; ma, come si è accennato sopra, la questione non è liquidabile così semplicemente59. Importa piuttosto distinguere.

Così la tabella, già sopra brevemente illustrata, isola dapprima le iscrizioni che contengono dati espliciti sull’origine dei fondi e le divide nelle tre categorie del finanziamento pubblico o semipubblico [A1; vd. nt. 30], religioso [A2; vd. nt. 31] e privato [A3; vd. nt. 32]. I totali rispettivi delle testimonian-ze raccolte sono 37, 15, 77. Se si sommano i totali di A1 ed A2 (entrambi relativi a finanziamenti non

55 La serie più nota è quella costituita dai tituli Mummiani (per l’ipotesi che anche il tempio di Esculapio a Fregelle sia dovuto a Mummio: F. COARELLI, I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma 1987, pp. 23-33). Attività di magistra-ti o eminenti personalità in città d’Italia è nota sin dal 179; raccolta di testimonianze in: E. GABBA, Urbanizzazione e rin-novamenti urbanistici nell’Italia centro-meridionale del I sec. a.C., in Stud. Class. Or., 21, 1972, pp. 100, 104; M. TORELLI, Edilizia pubblica in Italia centrale, in Les “bourgeoisies”, cit. (nt. 9), pp. 244 sg.; H. JOUFFROY, Les constructions publiques en Italie et dans l’Afrique romaine, Strasbourg 1986, pp. 36 sg., 40 sg.; M. TORELLI, in P. GROS − M. TORELLI, Storia dell’ur-banistica. Il mondo romano, Bari-Roma 1988, pp. 155 sgg.; G. CAMODECA, L’età romana, in Storia del Mezzogiorno, I, 2, Napoli 1991, pp. 56-60. Si veda anche lo studio di M.G. ANGE-LI BERTINELLI, in stampa in Mél. Éc. Fr. Rome, Ant., 105, 1993, [pp. 7-31], II s., 1a m., a proposito di una nuova iscrizione lunense di M’. Acilius C.f. Glabrio (430).56 Fuori d’Italia si vedano però le concrete donazioni di

Pompeo, Cesare, Appio Claudio Pulcro, Cicerone e di altri registrate nella relazione FERRARY, cit.57 35, 36, 38-41, 43-45.58 Anche la scelta dei documenti da prendere in esame ri-sulta assai problematica perché non è agevole individuare nella gran massa delle iscrizioni sacre quelle connesse ad atti di qualche significato evergetico. Per questo è stato qui considerato, ad esempio, il gran numero di basette di dona-rio del santuario della Fortuna Primigenia. Per l’opinione che le stesse offerte dei sovrani nei santuari greci siano da considerare atti di pietà religiosa, solo incidentalmente giovevoli anche agli uomini e quindi da non considerare evergetiche, si veda la relazione di A. GIOVANNINI [Offran-des et donations des souverains aux sanctuaires grecs, pp. 175-181].59 Atto evergetico può essere considerato, ad esempio, non solo dare del proprio, ma anche pilotare l’uso dei fondi pub-blici in una direzione piuttosto che in un’altra.

<264>

3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA 65

privati) e si oppone il risultato al totale di A3, si ottiene un rapporto pubblico/privato (52 a 77) che è abbastanza equilibrato, pur con una certa prevalenza del privato sul pubblico.

Ma restano ancora 291 attestazioni di atti evergetici, maggiori o minori, in cui la fonte del finanziamento non è indicata [B; vd. nt. 33]. Visto il loro preponderante numero, è evidente che il nostro orientamento di fronte ai problemi suesposti non potrà che dipendere dalla loro interpretazio-ne. All’interno di questo gruppo, un criterio di differenziazione è introdotto dalle diverse espressioni verbali (peraltro in numerosi casi mancanti) [a-e], che gli evergeti impiegano per qualificare i loro interventi. È noto che, per solito, il tipo faciundum/reficiundum curavit/locavit [Ba] viene collegato al finanziamento pubblico, il tipo fecit/refecit e simili [Bb] al finanziamento privato60. Si desiderereb-be una conferma della sostanziale validità di questa ipotesi interpretativa poiché non mancano casi contrastanti in cui, ad esempio, faciundum curavit si trova combinato con pecunia sua invece che con pecunia publica61.

Io vorrei proporre un suo controllo ed, insieme, un’interpretazione di tutti i dati raccolti sotto B mediante l’utilizzazione della Tabella VI, ove sono registrati i casi in cui le iscrizioni dichiarano che all’intervento evergetico si è provveduto previa autorizzazione, rispettivamente del senato romano o del senato locale [vd. ntt. 36-37]. Si consideri dunque il nostro ultimo prospetto, la Tabella X, in cui i dati del finanziamento e dell’autorizzazione risultano messi a confronto fra loro. Questa consente di stabilire in primo luogo che rapporto intercorra tra autorizzazione senatoria ed atti sicuramente eseguiti, rispet-tivamente pecunia publica e pecunia privata. Su 12 atti evergetici eseguiti pecunia publica [V.A1a; vd. nt. 30], ben 8 (66%) ricordano un’autorizzazione senatoria62. Per quelli pecunia privata [V.A3a; vd. nt. 32] abbiamo 9 autorizzazioni63 su 60 (15%).

Se passiamo alla sezione B (fonte di finanziamento non indicata) la situazione si presenta come segue: su 135 attestazioni del tipo faciundum curavit e simili [a; vd. nt. 33] le autorizzazioni senatorie sono 7764 (57%); su 43 | casi del tipo fecit e simili [b; vd. nt. 33] le autorizzazioni sono 565 (12%). Sarà pura coincidenza che il tipo faciundum curavit presenti approssimativamente la stessa percentuale degli atti eseguiti pecunia publica e il tipo fecit di quelli eseguiti pecunia privata? Forse no. Verifichiamo il rapporto anche nell’altro gruppo consistente, quello in cui nessuna espressione verbale è data: 73 casi [e; vd. nt. 33], 13 autorizzazioni66 (56%). È di nuovo approssimativamente quello dell’evergesia pecunia privata.

60 Vd., ad esempio, M. CORBIER, De Volsinii à Sentinum. Cura aquae et évergétisme municipal de l’eau en Italie, in Rev. Étud. Lat., 62, 1984, pp. 236-274 e E. FRÉZOULS, Ever-gétisme et construction publique en Italie du Nord (Xe et XIe régions), in La città nell’Italia Settentrionale, cit. (nt. 35), pp. 179 sg.61 Casi del tipo faciundum curavit con pecunia sua: 79; 90; 213; 216-218; 229; 233; 244; 253; 268-270; 272; 274; 283; 286; 310; 317; 344; 391; 409; 467; 482; 484; 490; 497. Non ci sono casi del tipo fecit con pecunia publica. Nell’iscrizio-ne di Betilieno da Alatri (60), menzionante lavori eseguiti senza dubbio pecunia sua (CORBIER, art. cit. (nt. 60), p. 250), notare la compresenza di fecit e faciundum curavit, che si trova anche in 144, 188, 194-197, 200, 201, 229, 472 e 509; vd. anche 53, in cui un originario fecit è stato sostituito con

faciundum curavit.62 74, 80, 157, 220, 225, 273, 304, 437 (senato locale).63 238, 269, 270, 302, 310, 395, 421, 464, 467 (senato lo-cale).64 16, 17, 27, 32 (senato romano); 60, 62, 70, 84, 91, 92, 98, 99, 100, 101, 122, 138, 159, 161, 165, 167, 170, 172, 173, 181, 184-186, 222-224, 226, 232, 234, 235, 237, 246, 247, 256, 261, 262, 267, 282, 284, 296, 309, 322, 325, 329, 337-342, 349-351, 354, 356, 359, 360, 362, 365, 372, 375, 380, 389, 402, 404, 405, 410, 415, 419, 427, 453, 463, 473 (senato locale).65 19, 25 (senato romano); 60, 117, 473, 486 (senato lo-cale).66 11, 15, 23 (senato romano); 123, 182, 279, 281, 321, 327, 369, 373, 401, 417 (senato locale).

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66 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

Provando ad attribuire al finanziamento pubblico o semipubblico i casi registrati sotto A1, A2 e Ba ed al finanziamento privato tutti gli altri67, otteniamo di nuovo un rapporto pubblico/privato abbastanza equilibrato: 187 a 233, con lo stesso leggero sbilancio a vantaggio del privato.

Tuttavia sarebbe probabilmente erroneo concludere che, nell’evergetismo civico di età repubblica-na, finanziamento pubblico e privato abbiano avuto peso equivalente, o che addirittura il privato abbia avuto la prevalenza sul pubblico. Per più ragioni.

Par evidente in primo luogo che, da quando, sul finire del II sec., cominciò ad entrare nell’uso epi-grafico la distinzione fra pubblico e privato68, la specificazione più soggetta a cadere nell’uso non sia stata la seconda (sua pecunia) bensì la prima (pecunia publica). Secondo i dati raccolti, e l’interpretazio-ne che se ne è proposta, risulterebbero invece più numerosi i casi in cui si sarebbe omesso d’indicare il finanziamento privato (156) che non quello pubblico (135). È probabile, dunque, che parecchi atti ever-getici eseguiti con denaro pubblico siano stati considerati tanto normali da non meritare un’iscrizione.

In secondo luogo va considerato che ad un pari numero d’interventi non corrisponde necessaria-mente un pari impegno finanziario. Nel novero degli atti evergetici privati è compresa, per esempio, una cospicua serie di offerte sacre di valore presumibilmente modesto.

In conclusione, vi è motivo di ritenere che, anche in età repubblicana, l’evergetismo in senso ri-stretto, cioè quello compiuto con | fondi privati, non abbia svolto che una funzione di rincalzo rispetto a quello compiuto con fondi pubblici o semipubblici69. Variazioni, anche sensibili, in questo rapporto furono certamente possibili in particolari momenti e circostanze. Sarebbe interessante, ad esempio, uno studio comparativo di come si presenti l’evergetismo civico in un medesimo momento storico, rispetti-vamente in città di vecchia e di nuova fondazione.

Ma questa e varie altre ricerche di dettaglio, impossibili qui, devono essere rinviate ad altra sede70.

67 Il che non significa che tutti i documenti considerati sia-no effettivamente da dividere in questo modo. Si ipotizza piuttosto che, qualora il criterio generale di ripartizione sia valido, le singole eccezioni nei due gruppi finiscano per bi-lanciarsi.68 Tra le più antiche attestazioni di pecunia publica nelle nostre iscrizioni sembrano essere quelle offerte da 93, 220, 225, 273; per sua pecunia o simili vd. 90, 156, 207, 370, 459, 460, 469, 482, 507, 509.69 Ad analoghe conclusioni si perviene, rispettivamente per l’età tardoellenistica e imperiale, nelle relazioni MIGEOTTE ed ECK [citt. supra].70 Si veda intanto il quadro presentato da altri per Roma: F. COARELLI, Public Buildings in Rome between the Second Punic War and Sulla, in Pap. Brit. Sch. Rome, 45, 1977, pp. 1-23; P. GROS, Architecture et société à Rome et en Italie cen-tro-méridionale aux derniers siècles de la République (Coll. Latomus, 156), Bruxelles 1978; PIETILÄ – CASTRÉN, op. cit. (nt. 34); A. ZIOLKOWSKI, The Temples of Mid-Republican Rome and their Historical and Topographical Context, Roma 1992. Italia: E. GABBA, Considerazioni politiche ed economiche sul-lo sviluppo urbano in Italia nei secoli II e I a.C., in Helleni-smus in Mittelitalien, Göttingen 1976, pp. 315-326; JOUFFROY,

op. cit. (nt. 55); TORELLI, op. cit. (nt. 55); T.P. WISEMAN, Le grotte di Catullo. Una villa romana ed i suoi proprietari, Bre-scia 1990. Italia Centrale: GABBA, art. cit. (nt. 55); GROS, op. cit., supra; TORELLI, art. cit. (nt. 55). Latium et Campania: BODEI GIGLIONI, art. cit. (nt. 34); CÉBEILLAC-GERVASONI, Ever-gétisme, cit. (nt. 35), e ID., Travaux, cit. (nt. 35); F. COARELLI, I santuari del Lazio tra i Gracchi e le guerre civili, in Les “bourgeoisies”, cit. (nt. 9), ID., op. cit. (nt. 55); FLAMBARD, art. cit. (nt. 40). Samnium: A. LA REGINA, I Sanniti, in Ita-lia omnium terrarum parens, Milano 1989, pp. 301-432; J.R. PATTERSON, Settlement, City and Elite in Samnium and Lycia, in City and Country in the Ancient World, London 1991, pp. 146-165; La romanisation du Samnium aux IIe et Ier siècles av. J.-C., Naples 1991. Italia meridionale: GABBA, art. cit. (nt. 55); CAMODECA, art. cit. (nt. 55); GROS, op. cit., supra. Italia settentrionale: BANDELLI, Storia, cit. (nt. 9); ID., Iscrizioni, cit. (nt. 9) (Aquileia); M. DENTI, I Romani a Nord del Po. Archeo-logia e cultura in età repubblicana ed augustea, Milano 1991, pp. 17-30; ID., Ellenismo e romanizzazione nella X regio. La scultura delle élites locali dall’età repubblicana ai Giulio-Claudii, Roma 1991, pp. 323-336; FREZOULS, art. cit. (nt. 60); STRAZZULLA, art. cit. (nt. 35); VERZÁR BASS, artt. citt. (nt. 9); ZACCARIA, art. cit. (nt. 35).

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3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA 67

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68 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTIA

. Lavori pubbliciiscrizioni

B. Altri interventi

iscrizioniA

.1. Infrastrutture urbane e territorialiB.1. Sovvenzioni e doni

a) vie e pavimentazioni

25a) sovvenzioni straordinarie, forniture gratuite

2b) acque

8b) edifici, terreni

6c) cloache

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B.2. Distribuzioni di denaro ed esenzioni

f) non specificabile0

a) distribuzioni di denaro e servizi0

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b) esenzioni da pagamento

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.2. Edifici civili ed arredo urbanoa) fora

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b) curiae, tabularia, aeraria, tribunalia7

a) cibi o bevande0

c) basilicae, porticus, criptae23

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17B.4. Spettacoli

g) arcus, statuae33

a) ludi16

h) altro57

b) munera

3i) non specificabile

42c) pom

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totale20

A.3. Edifici, doni, arredi sacri

B.5. Altro

a) edifici e strutture connesse82

patrocinio ed altre forme d’aiuto m

orale28

b) arae e thesauroi51

c) statue, basi, colonne isolate50

d) doni e arredi vari12

e) altro10

f) non specificabile20

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3 - L’EVERGETISMO CIVICO NELLE ISCRIZIONI LATINE D’ETÀ REPUBBLICANA 69

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730

83

III.

GL

I E

VE

RG

ET

I

70 I - AB INITIO REI PUBLICAE LIBERAE AD AETATEM AUGUSTI

V. I

L F

IN

AN

ZIA

ME

NT

O

A. La com

unità civile e le sue articolazioniiscrizioni

A.1. com

plesso dei cittadini15

A.2. m

agistrati e decurioni1

A.3. incolae, adventores, hospites

1totale

17

B. Comunità e personaggi esterni

iscrizioni

B.1. comunità

47B.2. personaggi

3totale

50

C. Divinità

iscrizioni

C.1. casi in cui il nome è indicato

90C.2. casi in cui il nom

e non è indicato109

C.3. casi dubbi4

totale203

IV

. I B

EN

EF

IC

IA

RI

iscrizioni

A. del senato rom

ano12

B. del senato locale133

totale145

VI. L

’AU

TO

RIZ

ZA

ZIO

NE

A.1. Pubblica o sem

ipubblicaiscrizioni

a) pecunia publica12

b) pecunia de lege, pro ludis, de munere gladiatorio

8c) aere m

ultaticio9

d) de manubeis, de praeda, aere M

artio7

e) de opereis1

totale37

A.2. Religiosa

iscrizioni

a) pecunia sacra, de doneis 4

b) pecunia fani, pecunia luci3

c) pecunia dei8

tota

le15

A.3. Privata

iscrizioni

a) sua pecunia e simili, da sola o con altro

60b) decim

a facta5

c) aere conlato7

d) ex pecunia sociorum2

totale74

B. Fonte non indicataiscrizioni

a) tipo faciundum / reficiundum

curavit / locavit135

b) tipo fecit, refecit e simili

43c) tipo dedit

32d) tipo dedicavit

7e) nessuna form

ula73

totale290