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Cr St 28 (2007) 541-607 «Acciò i vescovi latini siano ben informati di tutto»: la seconda edizione del De Synodo dioecesana di Benedetto XIV L’opera di Benedetto XIV dedicata ai sinodi diocesani è stata frutto di almeno trenta anni di esperienza di ricerca e di governo pastorale. Numerosi sono i riferimenti distribuiti nelle sue pagine alle situazioni incontrate dal segretario della congregazione del concilio Lambertini, dall’arcivescovo di Ancona e poi di Bologna ed infine dal pontefice. Non furono tenuti presenti solo i casi vissuti direttamente ma Lambertini ebbe sempre davanti il lavoro di ricerca e scavo sulle fonti del diritto, sulle decisioni delle congregazioni curiali e sulla letteratura scientifica. La riflessione su quanto accadeva e sui problemi che insorgevano era un filtro che Lambertini aveva sempre posto tra il caso concreto e la decisione finale che, nelle diverse responsabilità ricoperte, egli prendeva o contribuiva a prendere. In particolare, egli aveva l’abito di scrivere e comporre usando i suoi «libri, che ho sempre goduto di vedere prima di porre la penna in carta» 1 . La biblioteca personale di L. fu infatti lo strumento principale 1 La presente ricerca è stata resa possibile grazie al sostegno della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna per gli a.a. 2002-04 e completata grazie alla borsa concessa dalla Fondazione Luigi Firpo di Torino nel 2005; è il frutto di un dialogo costante con Giuseppe Alberigo, Elisabeth Garms-Cornides, Luciano Guerci, Alberto Melloni, Antonio Menniti Ippolito, Daniele Menozzi, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Mario Rosa, Giuseppe Ruggieri, che ringrazio per la generosità e il tempo dedicato e per le numerose e precise indicazioni offerte; limiti e inesattezze, che restano, sono da imputarsi solo a me. M. Rosa, Benedetto XIV, DBI VIII, Roma 1966, 393-408, in forma più sintetica in Dizionario del papato, Milano 1996, 168- 173; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI/1, Roma 1927, 4-462; sul De Synodo dioecesana, U. Mazzone, Oltre l’esperienza bolognese: un’idea di chiesa, il De Synodo dioecesana, in Prospero Lambertini pastore della sua città, pontefice della cristianità, a cura di A. Zanotti, Bologna 2004, 61-94; M. Fanti, Prospero Lambertini arcivescovo di Bologna (1731-1740), I, Cento 1981, 161-234, riedito nel vol. precedente, 35-72; il mio Lambertini a Bologna, 1731-1740, in Rivista di

“Acciò i vescovi latini siano ben informati di tutto”: la seconda edizione del De Synodo dioecesana di Benedetto XIV, «Cristianesimo nella storia» 28 (2007)/3, pp. 543-608

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Cr St 28 (2007) 541-607

«Acciò i vescovi latini siano ben informati di tutto»: la seconda edizione del De Synodo dioecesana di Benedetto XIV

L’opera di Benedetto XIV dedicata ai sinodi diocesani è stata

frutto di almeno trenta anni di esperienza di ricerca e di governo pastorale. Numerosi sono i riferimenti distribuiti nelle sue pagine alle situazioni incontrate dal segretario della congregazione del concilio Lambertini, dall’arcivescovo di Ancona e poi di Bologna ed infine dal pontefice. Non furono tenuti presenti solo i casi vissuti direttamente ma Lambertini ebbe sempre davanti il lavoro di ricerca e scavo sulle fonti del diritto, sulle decisioni delle congregazioni curiali e sulla letteratura scientifica. La riflessione su quanto accadeva e sui problemi che insorgevano era un filtro che Lambertini aveva sempre posto tra il caso concreto e la decisione finale che, nelle diverse responsabilità ricoperte, egli prendeva o contribuiva a prendere. In particolare, egli aveva l’abito di scrivere e comporre usando i suoi «libri, che ho sempre goduto di vedere prima di porre la penna in carta»1. La biblioteca personale di L. fu infatti lo strumento principale

1 La presente ricerca è stata resa possibile grazie al sostegno della Fondazione

Giovanni XXIII di Bologna per gli a.a. 2002-04 e completata grazie alla borsa concessa dalla Fondazione Luigi Firpo di Torino nel 2005; è il frutto di un dialogo costante con Giuseppe Alberigo, Elisabeth Garms-Cornides, Luciano Guerci, Alberto Melloni, Antonio Menniti Ippolito, Daniele Menozzi, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Mario Rosa, Giuseppe Ruggieri, che ringrazio per la generosità e il tempo dedicato e per le numerose e precise indicazioni offerte; limiti e inesattezze, che restano, sono da imputarsi solo a me. M. Rosa, Benedetto XIV, DBI VIII, Roma 1966, 393-408, in forma più sintetica in Dizionario del papato, Milano 1996, 168-173; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI/1, Roma 1927, 4-462; sul De Synodo dioecesana, U. Mazzone, Oltre l’esperienza bolognese: un’idea di chiesa, il De Synodo dioecesana, in Prospero Lambertini pastore della sua città, pontefice della cristianità, a cura di A. Zanotti, Bologna 2004, 61-94; M. Fanti, Prospero Lambertini arcivescovo di Bologna (1731-1740), I, Cento 1981, 161-234, riedito nel vol. precedente, 35-72; il mio Lambertini a Bologna, 1731-1740, in Rivista di

grazie al quale l’opera fu scritta. La triplice esperienza di lavoro della sua vita, decantata attraverso lo studio, si trova infatti stratificata nell’insieme dell’opera.2

La prima edizione del De Synodo dioecesana, annunciata il 20 aprile 1745 al capitolo e ai canonici della chiesa metropolitana di Bologna, uscì nel maggio 1748 a Roma, nella stamperia di Nicola e Marco Pagliarini.3 Essa ebbe una notevole diffusione e discreto successo editoriale, come mostrano le varie ristampe uscite nel giro di pochi anni.4 Le ragioni che indussero Benedetto XIV a rimettere

storia della chiesa in Italia 2 (2007) 415-459. Per ulteriori riferimenti bibliografici, mi permetto di rinviare ai miei lavori, L’episcopato bolognese di Prospero Lambertini 1731-1740. Rassegna bibliografica, in CrSt 25 (2004)/3, 929-946 e l’ultima parte del saggio I papi bolognesi e la città in Storia di Bologna. L’età moderna, a cura di A. Prosperi, Bologna 2008, in corso di stampa. Abbreviazioni usate: L. Prospero Lambertini; lib. Libro; n. numero e nn. numeri di paragrafo; c. capitolo, cc. capitoli; f. foglio, ff. fogli; n.n. non numerato; MBR: Magnum Bullarium Romanum Benedicti Papae XIV tt. I-II, Graz 1966 edizione anastatica dei tomi I-IV del Bullarium edito Romae rispettivamente 1746, 1749, 1753, 1757; COD: Conciliorium Oecumenicorum decreta, a cura di G. Alberigo et alii, Bologna 21973; Lettere di Benedetto XIV: Lettere di Benedetto XIV al card. De Tencin, a cura di E. Morelli, I-III, Roma 1955-1965-1984. Nelle trascrizioni è stata corretta la grafia dei nomi propri, ammodernata l’interpunzione, ridotte le maiuscole.

2 Lettera di Lambertini del 25 giugno 1740 inviata dal conclave al capitolo della metropolitana di Bologna, in cui definiva la situazione nella quale si trovava recluso da mesi un «carcere dispendioso, incomodo in cui non ho un’ora di bene, venendo ad ogni momento incaricato ora d’una cosa, ora d’un’altra che non sono di mio genio e di dover anche scrivere e comporre ma senza libri, che ho sempre goduto di vedere prima di porre la penna in carta», Archivio dell’arcidiocesi di Bologna, AAB, Archivio capitolare di S. Pietro, Cart. 10, fasc. 24, n. 2, originale con firma autografa (edita da Fanti, Prospero Lambertini arcivescovo di Bologna..., 216).

3 Cfr. F. Venturi, Settecento riformatore, II: La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti 1758-1774, Torino 1976, 26-28, per i due tipografi Paglierini e soprattutto su Nicola, di origine portoghese, legato agli ambienti ilustraciónisti, animatore di un circolo antigesuita romano, fu processato a Roma nel 1760, andò in prigione, condannato a sette anni di galera per avere stampato opere antigesuite, fu scagionato nel 1762 e divenne l’artefice del riavvicinamento tra Roma e Lisbona sotto il pontificato di Clemente XIV, negli anni settanta.

4 L’edizione, a spese dell’Accademia liturgica di Coimbra pare che dovrebbe essere la prima uscita nell’opera omnia in 12 voll. uscita Romae tra 1747 e ’48, per i fratelli Nicola e Marco Pagliani (Libri octo, nunc primum editi ad usum Academiae liturgicae Conimbricensis t. XII, 1748); seguì l’edizione Romae di Komarek sempre del 1748; l’edizione Ferrariae del 1753 edita da Giovanni Manfré. Nella lettera del 22 settembre ’45, Lettere di Benedetto XIV, I, 275, L. annunciava in uscita il trattato Del sacrificio della Messa (a cui aveva apportato numerose aggiunte e tradotto in latino); il trattato De canonizatione; entro la fine dell’anno in corso delle costituzioni del quinquennio; la traduzione latina delle Notificazioni

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mano all’opera praticamente subito dopo averla data alla stampe sono legate al modo di lavorare e studiare del pontefice. I numerosi riferimenti alle decisioni prese in qualità di arcivescovo di Bologna, la conoscenza delle risoluzioni dei casi della congregazione del concilio e delle decisioni della congregazione dei vescovi, infine la citazione della sua opera legislatrice e sistematizzatrice predisposta durante il pontificato aumentano notevolmente nel passaggio dalla edizione del 1748 alla successiva del 1755. In particolare però alcuni eventi e le sollecitazioni degli stessi vescovi costituirono spesso l’occasione concreta alla quale egli rispose sia con i suoi interventi magisteriali che con il De Synodo. Nella seconda edizione il trattato raddoppiò il numero di pagine, agli otto libri furono aggiunti alcune parti, a volte interi capitoli ed infine fu inserito nel libro finale del trattato una nuova parte dedicata alla relazione da presentarsi dal vescovo durante la periodica visita alle tombe degli Apostoli, testo che commenta una istruzione che l’allora perito Lambertini aveva composto per il concilio romano del 1725, aggiunta alle appendici delle decisioni.5 La revisione del trattato terminò nell’agosto ’54

«fatte quando eravamo in Bologna»; infine il De Synodo «imbastito da Noi quando eravamo in Bologna, e terminato e riempito nel tempo del Pontificato». Ai canonici di Bologna, 20 aprile ’45, Iam dudum MBR t. IV Appendix III-XIX cita il De Synodo p. X «composta da Noi in Bologna è stata da Noi medesimi riempita nel tempo del Pontificato, e che se piacerà a Dio, daremo alle stampe»; L. accennò alla collaborazione di padre E. de Azevedo, T. Bertone, Il governo della chiesa nel pensiero di Benedetto XIV (1740-1758), Roma 1977, 54 n. 16 (menzionata nel breve del 2 agosto ’47 ai canonici regolari di S. Agostino). Dato ancora come in corso di stampa nel marzo ’48, il De Synodo uscì nel maggio 1748, lettere a Tencin del 20 marzo ’48 e del 29 maggio: «Si fa attualmente in Roma a spese de’ Portoghesi una bella edizione in quarto grande di tutte le nostre opere, che saranno quattordici tomi. In questa settimana si è pubblicata la nostra opera, che molto veramente ci è costata, De Synodo Episcopali»; il 17 luglio annuncia l’invio di una copia al Tencin, Lettere di Benedetto XIV, Vol. II, rispettivamente p. 35, 54-55 e p. 65. Il 3 luglio ’48, L. scrive a Peggi che l’accademia di Coimbra aveva voluta fare una terza edizione del De canonizatione, con altre opere, tra cui il De Synodo dioecesana «per forza si è voluto che si stampi adesso, essendo materia separata dalle altre», F.X. Kraus, Briefe Benedicts XIV an den Canonicus Francesco Peggi in Bologna (1727-1758), Freiburg/Br.-Tübingen 1884, 50.

5 La stesura dell’indice ritardò l’uscita di qualche ulteriore mese. Lettera del 24 settembre 1755 a Tencin, Lettere di Benedetto XIV, Vol. III, 278, da Roma, «Circa la nostra opera de Synodo dioecesana, l’indice che abbiamo fatto fare, acciò sia accurato, come è necessario, ha ritardato per qualche mese il compimento della stampa. Ora per grazia di Dio anch’esso è terminato; e quanto prima uscirà l’opera». Il 15 ottobre 1755 il De Synodo fu mandato alla Sorbona tramite p. Bouget, ibid., 284. Alla nuova stesura collaborò Carlo Boschi, membro giovane dell’Accademia di storia ecclesiastica: nel 1740 si era distinto con la dissertazione

anche se solo nell’estate successiva fu stampato.6 Presenti nel Fondo Benedetto XIV donato dal pontefice

all’archivio dell’Istituto delle scienze di Bologna, i manoscritti originali contenenti gli interventi aggiuntivi in funzione della seconda edizione permettono di effettuare un confronto filologico tra l’edizioni del 1748 e quella del 1755. Tale confronto è l’oggetto del presente intervento che si limita a passare in rassegna i materiali e,

De apostolica B. Petri cathedra, molto apprezzato dal pontefice; Rosa, Benedetto XIV, 194-195; E. Garms-Cornides, Storia, politica e apologia in Benedetto XIV: alle radici della reazione cattolica, in Papes et papauté au XVIII siècle, VI colloque Franco-Italien, Société française d’étude du XVIII siècle, Université de Turin et de Savoie (Chambéry, 21-22 septembre 1995), a cura di P. Koeppel, Paris 1999, 145-162, in partic. p. 157 n. 42. Il fondo Benedetto XIV dato all’Istituto delle scienze poi Biblioteca Universitaria di Bologna (BUB) raccoglie i manoscritti per la seconda edizione: «Originali italiani delle aggiunte latine fatte all’opera De Synodo dioecesana dal sommo pontefice Benedetto XIV», «aggiunte all’Opera de Synodo Diocesana, consegnate tutte a monsignore Boschi», BUB t. 268 I, primo f. n.n. (la numerazione dei fasc. corrisponde al numero delle pagine della I ed. in cui andavano inserite le aggiunte dei mss). Per le appendici alle decisioni conciliari, L. Fiorani, Il concilio romano del 1725, Roma 1977, 274-279.

6 Benedetto XIV al canonico Peggi parla di una revisione in corso del De Synodo nella lettera del 31 agosto ’54 «non ostante le vere, insopportabili e non esagerate fatiche, quando ci resta un momento di tempo, l’impieghiamo per una nuova edizione della nostra Opera De Synodo Dioecesana, impinguandola di molte e molte notizie non così ovvie, e ciò per la gratitudine che professiamo alle Università specialmente di là de’ Monti, che tanto hanno gradito e gradiscono le nostre debolezze», Kraus, Briefe Benedicts XIV..., 107. Nella risposta del settembre ’54 di Peggi, ibid., 107-108, il canonico assicurava che «anche in Bologna si studiano gli aurei suoi libri, la preziosissima e ricercatissima opera Synodo Dioecesana fa comparsa maestosa nei nostri Tribunali, opera non solo importante ma a molti simpliciter necessaria»: una nuova edizione sarebbe stata gradita. Il 16 aprile 1755, Benedetto XIV scriveva che la revisione era terminata, Lettere di Benedetto XIV, Vol. III, Roma 1984, 236, «Chi leggendo le cose nostre, le compatisce, accrescerebbe senza dubbio la dose della compassione, se vedesse come si fa quello che si fa, non potendosi scrivere, o dettare due righe, che non vi sia un interrompimento o d’udienza, o d’ambasciate, o di lettere, o biglietti, o di molestissimi affari. Ora ristampiamo la nostra opera De Synodo con tali aggiunte, che renderanno la seconda edizione più copiosa del doppio della prima: e subito che sarà finita di stampare, il che dovrebbe essere fra pochi mesi, non lasciaremo di mandarne a lei un esemplare. L’opera è stata fatta col sottrarre al sonno ed alla quiete necessaria del corpo, quanto ragionevolmente toccava all’uno, ed all’altra». Nell’estate del ’55, nella lettera sull’uso della santa eucaristia per estinguere gli incendi, al vicario di Roma card. Giovanni Antonio Guadagni, Benedetto XIV citava il De Synodo dioecesana «dell’ultima edizione Romana, che ormai si può dir terminata, e che quanto prima sarà pubblicata», Archivio segreto Vaticano, ASV, Fondo Benedetto XIV 24, f. 377v e f. 385r, cfr. anche MBR t. IV p. 336; era citato precisamente il c. 15 n. 2 del lib. VII.

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recuperando le citazioni e gli inserimenti aggiuntivi, tenta di meglio comprendere la ratio della seconda edizione e i criteri ispiratori dell’opera nel suo complesso.7

Poco dopo il lascito deciso dal cardinale Filippo Maria Monti della sua biblioteca all’Istituto delle scienze di Bologna, Lambertini decise analogamente per la sua biblioteca personale che rappresentava il centro propulsore della sua attività di studioso e dei suoi interventi pubblici, del magistero episcopale e poi pontificio, delle pubblicazioni scientifiche:

«queste due biblioteche [la sua e quella di Del Monte] unite faranno una biblioteca, di cui, fuori di Roma, sarà difficile in Italia il ritrovare la compagnia»8.

Il 2 febbraio 1754 il papa scriveva a Bologna scusandosi per non potere consacrare personalmente la cattedrale ma il peso degli anni gli impediva di intraprendere il viaggio: pertanto comunicava le sue dimissioni dall’arcivescovado, tenuto dopo la sua elezione per altri tredici anni, e la scelta del nuovo arcivescovo nella persona del cardinale Malvezzi. Insieme al nuovo presule, il pontefice inviava a Bologna la sua biblioteca, più preziosa della sua stessa persona.9 In

7 C. Donati, La chiesa di Roma tra antico regime e riforme settecentesche (1675-

1760), in La chiesa e il potere politico dal medioevo all’età moderna, Storia d’Italia, Annali IX, a cura di G. Chittolini, G. Miccoli, Torino 1986, 754, confrontando brevemente l’edizione del 1748 e quella del 1755, invitava a realizzare una edizione critica di questo testo «capace di mettere in luce il significato di certe integrazioni e aggiunte in rapporto sia all’evoluzione della politica ecclesiastica di Benedetto XIV, sia all’azione dei vescovi negli anni intercorsi tra il primo progetto dell’opera sul sinodo e questa definitiva versione del 1755»; il presente contributo intende muoversi in questa direzione.

8 Lettera al card. Tencin del 5 dicembre 1753, Lettere di Benedetto XIV, III, 600-01. Decise di fare «altresì la nostra [biblioteca] quando non saremo più in grado di farne uso», e ibid., 111, del 23 gennaio 1754. P. Prodi, Carità e galateo: la figura di Papa Lambertini nelle lettere al marchese Paolo Magnani (1743-1748), in Benedetto XIV (Prospero Lambertini). Convegno internazionale di studi storici sotto il patrocinio dell’Arcidiocesi di Bologna, Cento 6-9 dicembre 1979, I, Cento 1981, 445-471, 465 cita alcune lettere di Benedetto XIV al marchese Paolo Magnani del 1745 in cui si sottolinea che «in Bologna non v’è, né mai, se dal passato è lecito arguire il futuro, vi sarà chi prenda la dirittura di prevalersi de’ libri». Sull’Istituto delle scienze, M. Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna 1990 e per le collezioni d’arte, L’Immagine del Settecento da Luigi Ferdinando Marsili a Benedetto XIV, a cura di D. Biagi Maino, Torino 2005.

9 E. Gualandi, Il Cardinale Filippo Maria Monti, Papa Benedetto XIV e la biblioteca

un’altra occasione, il papa espresse l’idea che vi fosse una equipollenza tra la sua persona (in specifico il suo corpo che avrebbe voluto fosse custodito dalla metropolitana di Bologna) e il suo archivio personale, nella consapevolezza culturale e storica del valore delle carte e della ricerca fondata sui documenti10. Egli stabilì di affidare all’Istituto delle scienze anche il proprio archivio, che raccoglieva la documentazione accumulata per cinquanta anni. La preoccupazione del successore Clemente XIII che l’Archivio segreto perdesse documenti inerenti al pontificato, impedirono che questo desiderio avesse piena esecuzione, come impedirono che la biblioteca personale di Benedetto XIV fosse interamente conservata a Bologna: una parte di essa non vi giunse mai o tornò a Roma poco dopo l’ingresso a Bologna11.

dell’Istituto delle Scienze di Bologna, in Studi e Memorie per la storia dell’Università di Bologna s. 2, 6 (1921) 57-103, 100. Si trattava di una biblioteca con opere rare e le migliori edizioni di vari paesi, tra cui 450 manoscritti, preziosi per la storia, la letteratura, l’arte e la paleografia (tra i quali il Codex diplomaticus Bononiensis, 44 volumi di copie degli archivi pontifici che il papa fece fare da Costantino Ruggieri, un ms della Divina Commedia della metà del XIV secolo).

10 Gualandi, Il Cardinale Filippo Maria Monti..., 100. 11 Una descrizione del fondo Benedetto XIV L. Miani, M.C. Bacchi, I fondi

manoscritti e le raccolte di incunaboli e cinquecentine della Biblioteca Universitaria come fonti per la storia della cultura rinascimentale, in Schede umanistiche. Bollettino informativo dell’Archivio umanistico rinascimentale bolognese, n. 3, Bologna 1989, 7-45. La vicenda delle carte private di Benedetto XIV e delle due selezioni operate prima da G.D. Ciampedi e poi da Garampi, è sintetizzata da L. Pásztor, Guida alle fonti per la storia dell’America Latina negli archivi della Santa Sede e negli archivi ecclesiastici d’Italia, Città del Vaticano 1970, 212-213 e da me approfondita in Documenti, archivi e memoria: Lambertini e il regno di Spagna, in Studia historica. Historia moderna (2007), in corso di pubblicazione. Anche una parte dai 25.000 volumi che componevano la biblioteca personale di Lambertini-Benedetto XIV, è rimasta nella Biblioteca Vaticana ma il catalogo manoscritto in 4 volumi permette di avere notizie bibliografiche sui libri presenti e su quelli restati alla Vaticana. La BUB conserva quattro cartoni degli «Originali italiani delle aggiunte latine», BUB t. 268 I-IV. Nel fondo Benedetto XIV in BUB vi sono numerosi cartoni contenenti schede bibliografiche e annotazioni tematiche ordinate seguendo le decisioni Tridentine, che raccolgono la legislazione papale successiva in applicazione, chiarificazione o anche modifica del Tridentino. Sulla base di questi interventi, che in alcuni casi sono autografi di Lambertini, è possibile rintracciare una consistente parte delle citazioni e degli interventi inseriti nel De Synodo. Forse presumendo che se il trasporto dei libri non fosse cominciato e finito prima della sua morte la biblioteca sarebbe rimasta a Roma, il papa ordinò il 6 settembre 1754 che il trasferimento iniziasse l’anno dopo e dispose l’apertura al pubblico della biblioteca, Lettere, Brevi, Chirografi, Bolle, ed apostoliche determinazioni prese da… Benedetto XIV… per la città di Bologna sua patria, III, Bologna 1756, 385; Gualandi, Il Cardinale Filippo Maria Monti...,

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Breve descrizione dell’edizione del 1748

Il De Synodo dioecesana nacque, si sviluppò e crebbe con la precisa intenzione di mostrare come

«i vescovi nelle loro istruzioni, ne’ loro mandamenti e ne’ loro sinodi devono attaccarsi al sodo, al deciso, e non inviluppare o sé o gli altri nelle questioni che per anche sono vigenti nelle scuole».12

Egli come vescovo si era proposto di celebrare un sinodo anche se, per varie ragioni, aveva rinunciato a realizzare immediatamente il suo progetto e aveva preferito rendere note la maggior parte delle decisioni nella forma dell’editto o dell’istruzione. Alla base del De Synodo vi era stata la consapevolezza della problematicità e, ciononostante, della necessità che i vescovi celebrino sinodi, la preoccupazione di evitare che gli atti sinodali fossero emendati dalle congregazioni romane e che dunque la prassi curiale rendesse pressoché impossibile una politica sinodale diocesana. L’opera si proponeva dichiaratamente di dare ai vescovi un fondamento certo ai loro interventi, ostentando la cristallina certezza che ciò sarebbe stato sufficiente per mettere i vescovi al riparo dalla rigida tutela delle congregazioni. Ma dietro questa motivazione, vista la mole di questioni che Lambertini raccomandava ai vescovi di non trattare, evitando le questioni dottrinali e giurisdizionali, tutti i nodi caldi, contestabili da parte delle chiese locali o da parte delle congregazioni curiali, consapevolmente, l’autore tarpava qualsiasi forma di creatività legislativa da parte dei vescovi13. Egli metteva così a disposizione dei vescovi la materia di cui si dovevano occupare i sinodi, in modo più agevole per la consultazione, radunando nel suo commentario libri e fonti altrimenti sparse, tra i testi dei Padri, atti e

94.

12 Lettera del 22 settembre ’45, Lettere di Benedetto XIV Vol. I, 275. 13 Praefatio, in De Synodo dioecesana. Libri octo, XXIII-XXVIII, «secundum haec

parabamus Dioecesanam celebrare Synodum, certis tamen praefinitis rerum discutiendarum capitibus, praeter quae spatiari non liceret. Erant pleraque educta ex Edictis nostris, quae cupiebamus Synodali auctoritate rata, ac firma esse.» «Res, maximam partem, extra Synodi potestatem positas, quasque ipsi Nos saepe Romae rejeceramus, et a sacris Congregationibus improbatas, a summi Pontificibus reprehensas, atque emendatas, videramus». Sulla politica sinodale diocesana settecentesca, D. Menozzi, Prospettive sinodali nel Settecento, in CrSt 8 (1987) 115-146; anche Donati, La chiesa di Roma..., 747-748.

decisioni concili, storie ecclesiastiche. L’edizione del 1748 era formata da otto libri e si estendeva per

604 pagine con 45 pagine di indice delle cose notevoli. Gli otto libri di cui si componeva il trattato avevano una lunghezza ineguale ovvero il settimo raccoglieva settantadue capitoli per un totale complessivo di trecentotrenta pagine, dunque più della metà dell’opera. Una lettura dell’indice permette di cogliere in modo sintetico la vastità della materia raccolta dal pontefice che non riguardava solo il sinodo in quanto tale ma soprattutto i temi principali sui quali i vescovi erano chiamati a decidere, non necessariamente solo in un sinodo ma anche al di fuori del contesto sinodale. Il trattato inizia con una organica presentazione del sinodo dal punto di vista di chi poteva convocarlo e dei soggetti chiamati a parteciparvi, continua con indicazioni sulla cornice liturgica, sulla gestione e sulle modalità di conclusione dell’evento, analizza gli argomenti che costituiscono l’oggetto delle decisioni sinodali e soprattutto i temi che non dovevano essere affrontati. Erano così trattati i principali temi caldi della vita delle diocesi: i sacramenti, il vaglio delle pratiche locali, le modalità di rapporto con la Santa Sede e con l’autorità civile mentre era marginale il rapporto con gli ordini religiosi; consistente infine la cernita delle costituzioni emanate da sinodi celebrati recentemente: alcuni sinodi erano infatti valorizzati e presentati come un modello positivo, altri al contrario erano stati sottoposti a censura dall’autore.

Nel I libro (formato da sei cc.) erano affrontate le questioni storico-canonistiche: il nome di sinodo, utilità e potestà del sinodo, soffermandosi anche sui tempi e luoghi adatti per radunarlo. Nel II libro (formato da dieci cc.) erano raccolte le informazioni relative ai soggetti che possono e devono radunare un sinodo, partendo dal romano pontefice (che può radunare sinodi o spiegare e confermare sinodi diocesani e concili provinciali convocati da altri), e passando poi in rassegna l’intera gerarchia ecclesiastica: il cardinale vicario dell’Urbe, gli arcivescovi, i semplici vescovi, i vescovi aventi il privilegio del pallio, i vescovi titolari, i vicari generali, i vicari capitolari e apostolici, il prelato inferiore. Il III libro trattava dei soggetti chiamati al sinodo, dell’ordine dei posti a sedere, le vesti sacre proprie a ciascun grado14. Nel IV libro si trattava degli ufficiali 14 Il III libro, di 12 cc., si occupa di prelati regolari e secolari; abati, priori, guardiani di

conventi soggetti alla giurisdizione del vescovo e delegati della Sede apostolica; titolari di dignità e uffici, vicario generale e foraneo; canonici delle chiese cattedrali e

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e ministri che prestavano la loro opera nel sinodo o che sono scelti in esso per compiti da svolgere successivamente15. Nel V erano raccolte le cose relative alla gestione del sinodo16. Nel VI vi erano sei cc. dedicati all’insieme delle cose da stabilirsi; le modalità di scrittura delle costituzioni con stile di sermone; erano menzionate alcune particolarità utili in diocesi in cui vi fossero oblati, eremiti; greci o ebrei, eretici; casi di abusi connessi alla confessione (l’obbligo per il penitente di dare il nome del complice nel peccato).

Il libro VII, di settantadue cc., verteva sui contenuti propri del sinodo ma soprattutto sui temi da evitare. In questa parte l’autore sceglieva e correggeva le costituzioni sinodali. L’andamento dei capitoli può essere raggruppato in modo tematico. I primi tre cc. erano relativi alla questione, non ancora definita, della residenza di diritto divino e se i chierici beneficiari erano signori o amministratori dei frutti dei loro benefici; seguiva un c. che mostrava la necessità di astenersi dal definire la validità dei sacramenti in relazione all’intenzione del ministro. Si concentravano sui sacramenti ventuno capitoli: due erano sul battesimo17; quattro erano relativi alla cresima18; due erano dedicati alle questioni teologiche circa l’eucaristia che il sinodo doveva evitare19; tre affrontavano la

collegiate; parroci; titolari di benefici semplici e chierici della diocesi; frati cappellani della religione gerosolimitana con cura di anime e altri frati; beneficiari, cappellani e altri aggregati delle chiese lateranensi, protonotari, subcollettori degli spogli; laici. È descritto l’ordine per assegnare i posti a sedere, le vesti del vescovo che partecipa al sinodo, le pene per chi non accede al sinodo senza legittimo impedimento.

15 Gli 8 cc. erano dedicati a ufficiali di primo genere; giudici di liti; testi sinodali; giudici sinodali; giudici conservatori; esaminatori sinodali.

16 I 12 cc. trattavano di suppliche pubbliche, messe, allocuzioni, sermoni e acclamazioni; cose da leggere in sinodo e professione di fede; il voto; la riserva dei casi; la riserva di crimini atroci e gravi, in particolare relativi a regolari; il diritto cattedratico; elemosine delle messe e tassazione in sinodo; avvertimenti da darsi dai vescovi sulle elemosine della messa e vari abusi, la diminuzione degli oneri delle messe; il reddito del seminario; i moniti.

17 Erano fatti casi medici particolari, bambini assenti o espulsi dall’utero materno; battesimi sub conditione.

18 Era fatto il caso di un presbitero greco che conferisce il sacramento subito dopo il battesimo e del primo ministro del sacramento; se un presbitero può essere ministro straordinario della cresima e se spetti al solo pontefice il diritto di delegare un semplice sacerdote; era fatto il caso dei bambini che hanno ricevuto subito dopo il battesimo la confermazione; delle cautele necessarie per amministrare la confermazione ad un bambino da poco deceduto.

19 Si parlava della ostensione del Viatico in pericolo di morte, dei bambini in pericolo di vita; della comunione quotidiana e frequente.

penitenza-confessione20. Seguivano sette cc. dedicati a vari aspetti del sacramento della estrema unzione con particolare attenzione ai casi di vescovi latini nelle cui diocesi erano presenti sacerdoti di rito greco21. Tre cc. erano dedicati a varie cautele da avere in merito al sacramento dell’ordine sacro, per gli ordini minori e maggiori, in caso di irregolarità o di impedimenti canonici. Infine tre cc. si concentravano su varie cautele che i sinodi dovevano usare nel parlare del ministro del matrimonio e dei matrimoni clandestini.

I successivi cc. raccomandavano di evitare che attraverso le costituzioni sinodali fosse diminuita l’autorità e i diritti della sede apostolica. Ci si occupava degli impedimenti ai matrimoni secondo casi presentati in taluni sinodi gallicani; la facoltà di assolvere gli eretici; le pene per chierici colpevoli di crimini gravi; la materia giurisdizionale. Cinque cc. trattavano dell’uso e della citazione delle leggi civili nelle costituzioni sinodali con casi relativi a matrimoni clandestini, adulterio e concubinato, matrimonio tra padrino e figliastra, correzione delle leggi civile nel diritto canonico. Tre cc. erano concentrati su alcune controversie relative ai regolari e ai privilegi ad essi spettanti. Dieci cc. erano concentrati sulle censure e sulle materie pecuniarie: la censura latae sententiae, l’usura, i mutui e alcuni tipi di contratto.

Undici cc. (dal 54 al 64) raccoglievano argomenti molteplici e casi specifici volti a smentire le «note di troppa severità» di alcune costituzioni sinodali: erano citate alcune costituzioni emanate da Carlo Borromeo per la sua diocesi milanese o sinodi di Alatri e Würzburg, citando le novità che non andavano introdotte, inerenti per esempio costumi relativi al digiuno del sabato, novità che invece dovevano essere introdotte, perché recuperavano antichi canoni abrogati e caduti in disuso, in materie come la coabitazione di chierici con donne, le doti delle monache; il nutrimento dei bambini

20 L’opportunità di richiamare nelle s. il timore dell’inferno; quando un confessore era

complice con la penitente in peccati carnali; le dottrine di alcuni sinodi sulla confessione in articulo mortis ad un laico, anche ad una donna, in assenza di un sacerdote, diacono o suddiacono.

21 La materia del sacramento; la benedizione o unzione dei presbiteri greci; la forma del sacramento; le parti del corpo da ungere; il ministro nella chiesa latina e nella chiesa greca; il soggetto; il costume greco di ungere i sani; le disposizioni da prendersi da parte di vescovi latini nelle cui diocesi vi sono greci; l’età in cui i bambini possono ricevere il sacramento, casi di follia; dopo quanto tempo di malattia si deve impartire il sacramento; l’ordine per amministrare l’estrema unzione e sua reiterazione.

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abbandonati. Erano infine fatti altri casi niente affatto severi in materia di mores clericali, relativi alle vesti dei sacerdoti costituiti in sacris e possidenti di benefici, all’uso della parrucca o alla partecipazione a giochi, spettacoli, caccia, cori; infine era prescritta ai sacerdoti una continua lettura dei canoni penitenziali; interdette la raccomandazioni dei laici per i benefici. Erano ritenute eccessive la proibizione del tabacco prima dell’eucaristia e imporre di ascoltare la messa tutte le domeniche e festività nella propria parrocchia.

Gli ultimi otto cc. del settimo libro riguardano casi specifici di insussistenza di valore per le costituzioni sinodali che decidevano contro il diritto comune. Erano affrontati dubbi sull’opportunità di intervenire per aumentare con le costituzioni sinodali l’osservanza della disciplina ecclesiastica o eliminare gravi abusi22.

Nell’ottavo libro, Lambertini concludeva in cinque cc. affrontando l’uso del verbo Placet per approvare le costituzioni sinodali; le modalità di sottoscrizione del sinodo, la sua revisione e approvazione, la promulgazione e gli obblighi relativi alla sua osservanza; la cessazione della sua obbligatorietà.

1. L’edizione del 1755 e le tre fasi di revisione

La seconda edizione del De Synodo, uscita nel 1755, fu presentata da Benedetto XIV nella prefazione come un allargamento della prima.23 Egli sottolineò gli elementi di continuità rispetto a quanto 22 Quando togliere ai chierici il diritto clericale per mancato pieno rispetto delle

condizioni prescritte dal concilio di Trento; se un chierico possa indossare la veste clericale dopo averla dimessa; se il vescovo può conferire insieme ordini minori e suddiaconato alla stessa persona nello stesso giorno; se un officiante irregolare può ascendere agli ulteriori gradi dell’ordine; gli sponsalia e i matrimoni clandestini; se i vescovi hanno la facoltà di sospendere chierici dall’esercizio dell’ordine per un crimine occulto non provato nel foro esterno; se si possano alienare beni ecclesiastici senza l’assenso della sede apostolica; infine se sia lecito decidere in sinodo la quantità di reddito del patrimonio al cui titolo un candidato al sacerdozio possa essere ordinato.

23 BUB 268 II terzo fasc. n.n. ff. cuciti 1-7 n.n. in italiano, con inseriti all’interno quattro ff. n.n. in latino di mano diversa. La prefazione in italiano è pubblicata integralmente nella Appendice I al termine del presente intervento. È possibile che la prefazione sia stata scritta mentre ancora la revisione del trattato non era stata completamente terminata, probabilmente prima che fossero scritti i nuovi diciannove capitoli finali posti in coda all’ultimo libro del trattato, divenuto il XIII. Le edizioni del De Synodo dioecesana libri tredecim: Romae, 1755, Io. Generosus Salomoni; …libri tredicim in duos tomi distributi, Ferrariae, 1756 e 1760, Sumpt.

realizzato in precedenza: non era stata infatti mutata o corretta «cosa veruna inserita nelle prime stampe»; era però necessario suddividere la materia nel vasto libro VII, troppo ampio e farraginoso. Gli interventi apportati erano di due tipi: aggiunte che completavano e meglio fondavano quanto detto in precedenza, ma anche aggiunte di interi capitoli o paragrafi nuovi, con notizie «credute di molto rilievo». L. dichiarò in particolare di avere aggiunto altri riferimenti alle risoluzioni della congregazione del concilio, grazie all’immane lavoro di scavo archivistico sulle risoluzioni precedenti da lui stesso iniziato durante il periodo in cui ne era segretario. Tale lavoro, continuato dai successori di L. alla segreteria, è da lui ritenuto complementare alle aggiunte sulle opinioni e discussioni dei canonisti, che ampliavano ulteriormente l’edizione del 1748. Una parte delle risoluzioni della congregazione del concilio citate nel trattato ma inedite avrebbe potuto essere rintracciato nell’Archivio segreto grazie al riferimento al giorno, mese ed anno della causa. Egli infatti invitava il lettore a chiedere la risoluzione in forma originale al segretario della congregazione del concilio, se non si fosse fidato del suo filtro. Lo stesso dicasi per altre risoluzioni di diverse congregazioni curiali, citate da L. con il riferimento archivistico ai registri.

Il fatto che L. indicasse con precisione i registri inediti delle congregazioni romane per dare riscontro del fondamento delle proprie opinioni, induce a credere che l’interlocutore dell’opera non fossero più solo i vescovi ma piuttosto i membri delle congregazioni curiali che avevano maggiore possibilità di consultare l’Archivio segreto o di chiedere estratti di documenti. Lo stesso L., parlando della seconda edizione della sua opera sulle canonizzazioni dei santi, disse che le notizie aggiunte erano state «ricavate da questo Archivio Vaticano

Ioannij Manfré; Romae, 1767, typis Caroli Barbiellini; Romae, 1767, typis S. Michaelis ad Ripam apud Paulum Junchi haeredem Francisci Bizzarrini; Romae, 1783, ex typographia Jo. Baptistae Cannetti; Venetiis, 1787, typis Antonii Zattae & filiorum; Venetiis, 1792-1793, sumptibus Silvestri Gatti; Romae, 1806, ex typographia Sacrae Congregationis de propaganda fide. All’interno dell’opera omnia, Opera omnia in synopsim redacta ab Emmanuele de Azevedo, Romae-Venetiis, 1766, sum. J.G. Salomoni; Opera omnia in XV tomos, Bassano, 1767, sumptibus Remondini e Opera omnia ed. novissima, Venetiis, 1787, dello stesso libraio; Opera omnia XVIII tomos, al t. XI, Prati, 1839-56, Typographia Aldina; Synopsis operum omnium, Neapoli, 1853-1855, ex typographia Andreae Festa. Per molti di questi stampatori e librai, cfr. Venturi, Settecento riformatore, II, ad indicem.

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Segreto, a cui senza esser Papa non avressimo avuto l’accesso».24 Con la seconda edizione, L. si propose di rappresentare «compiutamente» l’insieme della materia su cui il vescovo delibera e legifera, indipendentemente dal fatto che il vescovo lo facesse all’interno del sinodo diocesano o al di fuori di esso nelle sue istruzioni e notificazioni al clero e al popolo. Una opera che, pensata per le chiese locali nella prima edizione, soprattutto per i vescovi ma anche per confessori e parroci, si andava tecnicizzando, destinandosi anche agli esperti che nella curia erano interlocutori di quei vescovi. Ma su questo si tornerà in seguito parlando di alcuni interventi specifici del pontefice.

Il progetto e la revisione della prima edizione ha seguito modalità di inserimento differenti riconducibili grosso modo a tre fasi successive di revisione: - le aggiunte e la revisione dell’impianto della prima edizione fino

al nuovo sesto capitolo dell’ultimo libro; in particolare il libro settimo subì un completo rimaneggiamento e la materia presente nell’edizione del 1748 rifluì in cinque nuovi libri. Questa prima revisione fu attuata negli anni 1750-52.

- Parecchio materiale di analisi degli usi liturgici della chiesa di rito orientale rimase in forma di bozza. Questa parte, pensata per essere raggruppata in cinque libri a partire dal nuovo quattordicesimo libro, fu stesa parzialmente nel 1753.

- Le ultime aggiunte furono fatte nel 1754 e si concentrarono sui capitoli dal 7 al 25 del libro XIII dedicati alla visita ad limina apostolorum. Essi costituiscono un trattato a se stante, annesso all’opera.

1.1. La prima revisione, 1750-52

La prima ipotesi di revisione, predisposta tra 1750 e 1752, seguì grosso modo un progetto preciso messo a fuoco poco dopo avere chiuso l’edizione del 1748. Rispetto al progetto pubblicato qui di seguito, alcune parti furono in realtà riviste più di quanto previsto inizialmente.25

«Nell’indice de’ libri e capitoli al lib. 2 num. 9 si lascino le sole parole de

24 Lettera di Benedetto XIV del 21 marzo 1742 al can. Peggi, da Roma, Kraus, Briefe

Benedicts XIV..., 6. 25 BUB t. 268 I secondo fasc. n.n. formato da tre ff. n.n.

vicario Capitolari, e si cassino l’altre; e si faccia un nuovo capitolo intitolato de Vicario Apostolico.

Al num. 11 si lascino le parole de Prelato inferiore. Al num. 12 del Vescovo latino che ha nella sua Diocesi etc. Nulla vi è da aggiungere nel libro terzo, quarto e quinto. E però [perciò]

si passa al sesto. Lib. 6 (sempre parlando dell’indice) pag. 223 dopo il cap. 5 si faccia un

nuovo capitolo sesto sopra la providenza da prendersi ne’ matrimoni fatti e da farsi in Olanda

Si faccia pure un capitolo settimo d’alcune altre providenze riguardanti etc.

E il presente capitolo sesto diventi capitolo ottavo.26 Subentra il libro settimo, il titolo del quale sia il presente: De his quae

cavenda sunt in Constitutionibus Synodalibus, et signanter quoad questiones nondum definitas, et praesertim Sacramenta respicientes Baptismatis, Confirmationis, Eucharistiae, et Paenitentiae.

Questo libro settimo deve esser composto di sedici capitoli. Il decimo quinto de’ quali deve esser quello Della forma condizionata nel Sagramento della Penitenza; ed il decimo sesto deve essere il presente decimo quinto De reprobatione doctrinae etc.

Si dee fare un nuovo libro ottavo, il titolo del quale deve essere il

seguente: De pertinentibus ad Sacramenta Extremae Unctionis, Ordinis, et Matrimonii.

Deve questo libro esser composto dei seguenti capitoli, cioè del XVI inclusive, sino al XXIX inclusive.

Libro nono. Il titolo del quale sia il seguente: De cavendis in Synodo quae auctoritati

et juribus Apostolicae Sedis praejudicium afferre possunt: necnon de necessitate abstinendi a decisione controversiae in materia jurisdictionis inter Potestatem Eccclesiasticam et Saecularem: de sobrio in Synodo usu Legum Civilium: & de non laedendis privilegiis Regularium

Questo libro deve esser composto de’ seguenti capitoli XXX inclusive sino al XLIII inclusive coll’inserzione de’ seguenti.

Dopo il presente XXXIV s’inseriscano gli altri che seguono: Capitolo Dell’offesa dell’autorità Pontificia nell’occasione della

dispensa de’ matrimoni etc. Capitolo Della lesione dei diritti Pontificij nell’unione etc. Capitolo Del modo con cui i Vescovi debbono contenersi colla Santa

Sede etc. E poi prosiegua, ma col suo nuovo ordine il capitolo XXXV sino al

capitolo XLIII inclusive. Libro decimo che dee comprendere il capitolo XLIV sino al capitolo LIII

26 Diventerà invece l’undicesimo c. del sesto libro.

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inclusive Il titolo di questo libro sia: De Censuris, de Usuris et Contractibus,

necnon de multis pecuniariis Libro undecimo che deve esser composto dal capitolo LIV sino al presente capitolo LXIV

a cui si deve aggiungere un nuovo capitolo, che è il seguente capitolo In cui si esenta dalla nota di troppa severità la Costituzione sinodale che proibisce alle donne etc.

Il titolo di questo libro sia De novitatis et severitatis nota in Constitutionibus Synodalibus evitanda: ubi multa de dictae notae falsitate aliquando Synodalibus Constitutionibus iniusta.

Libro duodecimo il titolo del quale sia il presente: De Constitutionum

Synodalium, quae Juri communi, & Apostolicis sanctionibus adversantur, insubsistentia.

Questo libro deve esser composto de’ capitoli LXV inclusive, sino al LXXII inclusive.

Ma dopo il presente capitolo LXVII si aggiunga il seguente capitolo, Nel quale, in confermazione del detto ne’ precedenti capitoli, si esamina etc.

Libro decimo terzo in cui e quanto al titolo e quanto ai capitoli si deve inserire quanto ora è

inserito nel libro ottavo, coll’aggiunta di un nuovo capitolo VI che deve intitolarsi: De Sacrorum Liminum visitatione».

I numerosi riferimenti ad opere stampate nel 1750-51 fanno presumere che la revisione sia cominciata in quegli stessi anni e forse anche prima27, come indica la citazione nel manoscritto dell’edizione Neapoli 1748 dei Medulla theologiae moralis di Alfonso de Liguori, che poi nel testo edito fu corretto nell’edizione del 175128. Per una revisione iniziata alla fine del 1749 farebbe propendere un riferimento presente in una delle prime schede manoscritte (poi corretta a mano) al tomo II del Bollario, che uscì nel 1749, dato ancora come in corso di pubblicazione29. La prima fase di revisione terminò

27 A favore di una revisione precedente il 1751 depone la menzione del II tomo «nostri

Bullarij» in attesa di pubblicazione, presente nel lib. II c. 11 n. 4, e l’indicazione della bolla edita, BUB t. 268 I fasc. 60; l’aggiunta tra parentesi di un riferimento al naufragio dei vescovi che andavano a Spalato al concilio provinciale, citato da Daniele Farlato, in un’opera edita nel 1750, BUB t. I fasc. 116, Lib. III, cap. XII, n. 3. Nella Biblioteca di Lambertini è presente l’opera Danielis Farlati, Illyricum Sacrum, Venetijs 1750, In fol. 199, BUB t. 425 II, f. 885 n. Nei primi fascicoli, redatti probabilmente per primi, viene aggiunta la citazione del trattato del Riganti edito a Roma nel 1751.

28 BUB t. 268 I fasc. 490 tra i cc. 54 e 55, che diventarono lib. XI c. 2 n. 17. 29 BUB t. 268 I fasc. 60, lib. III c. 10, prima del n. 5, sono cancellate le parole

presumibilmente prima del 1753 come indica il fatto che il terzo tomo del Bollario, uscito appunto nel 1753, fosse ancora dato per inedito nei manoscritti.30

Malgrado quanto inizialmente progettato, L. mise mano anche ai libri III e V. Inoltre, i capitoli 6-8 del nuovo libro VI, sulle costituzioni sinodali relative al sacrificio della messa proprie di alcune diocesi e superflue in altre, risultano aggiunte successivamente al rimaneggiamento del libro XI e prima delle aggiunte fatte nel libro XII.31 La revisione non partì infatti seguendo l’ordine della prima edizione ma furono redatti per primi il capitolo sulla visita dei sacri limini (lib. XIII c. 6); il capitolo sul vescovo latino che ha sacerdoti greci in diocesi (lib. II c. 12) e il capitolo sul vicario apostolico (lib. II c. 9). Il primo progetto di revisione terminava con il nuovo capitolo sesto del nuovo libro XIII. Il libro XIII, dedicato ad argomenti correlati ma esterni al sinodo, non venne ancora in questo primo stadio di revisione allargato molto come invece fu operato nell’ultima fase di revisione, anche se l’enfasi con la quale fu presentato l’ultimo nuovo capitolo sottolinea il valore che L. attribuiva alla visita ad limina: la visita infatti rappresentava una occasione

«di render conto al romano pontefice del pastorale officio e di tutte le cose che appartengono allo stato della loro chiesa, alla disciplina del clero e del popolo, e di quanto risguarda la salute delle anime»

ma anche perché, citando Prospero Fagnano, essa contiene «oltre la venerazione alle ceneri degli Apostoli, un atto di dovuta sommissione ed ubbidienza al Romano pontefice»32. Pur

«inserendo in secundum tomum nostri Bullarij propediem edendum» sostituite già nel ms con l’indicazione al Bollario edito. Alcune citazioni sono state riviste in seguito, come la Dissertazione dell’abate Ludovico Antonio Muratori indicata nell’ed. del 1751: il volume del Muratori è presente nella biblioteca di Lambertini in due edizioni, BUB t. 425 II, f. 896 l, Dissert. Sopra le Antichità italiane. Opera postuma data in luce da Gio. Frances. Soli Muratori, Milano 1751, in 4°, 225, e nella edizione Roma 1755, vol. In 8°, 225; Muratori è dato per defunto nel testo manoscritto (morì il 23 gennaio 1750).

30 BUB t. 268 I fasc. 220 (due copie mss), lib. VI c. 4 n. 2, scheda che cita la lettera all’assessore del Santo Uffizio, Pier Girolamo Guglielmi, del 15 dicembre 1751, in corso di pubblicazione nel III tomo del Bollario al n. 54.

31 BUB t. 268 I fasc. inserito tra i fasc. 505 e 543 intitolato «Capitolo d’alcune costituzioni sinodali, risguardanti il sagrifizio della messa, proprie per una Diocesi, e che nelle altre sono superflue» divenuto nella II edizione lib. VI c. 8.

32 BUB t. 268 I fasc. 604 «lib. VIII finito il capitolo 5», che nella II edizione è il lib.

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distinguendo la venerazione per le tombe degli Apostoli dalla sottomissione al papa, l’importanza della visita come strumento di comunicazione tra i vescovi e la curia è sottolineata fin dai primi provvedimenti del pontificato e dall’istituzione di una nuova congregazione curiale preposta alle risposte ai quesiti dei vescovi33. L’istituzione della congregazione della visita era infatti nata dalla sua esperienza curiale e divenne, fino alla sua morte, uno strumento di dialogo con i vescovi:

«Quando fui segretario del concilio notai che per la gran farragine degli affari si ritardavano le risposte alle relazioni che si trasmettevano dai vescovi dello stato delle loro chiese: elevati al sommo grado deputammo una congregazione unicamente destinata per rispondere alle dette relazioni, facendone come un’appendice di quella del concilio… Questa congregazione si è tenuta più volte avanti a noi: e Noi sino al giorno presente abbiamo lette le risposte alle relazioni vescovili, e non abbiamo trascurata fatica o attenzione per esaminare e risolvere i quesiti proposti, e suggerire i temperamenti opportuni pel felice governo della diocesi, la relazione della quale si esaminava».34

La istituzione di una congregazione ad hoc per rispondere ai vescovi era forse legata anche alla sollecitazione che Benedetto XIII-Orsini gli aveva rivolta durante il concilio romano del 1725, ricordando che

«essendo vescovo di Cesena aveva scritto due, o più lettere alla congregazione del concilio per negozi gravissimi, né mai aveva potuto aver risposta».35

Si apriva così lo spazio per fare del De Synodo uno strumento di dialogo e di mediazione tra i vescovi che scrivevano a Roma e la congregazione che ad essi rispondeva e, in definitiva, tra i vescovi e il papa stesso che all’interno di questa congregazione prendeva visione di temi e problemi a lui sottoposti da tutta la cattolicità e in cui selezionava i temi dei suoi interventi magisteriali.

XIII c. 6.

33 Cfr. la Quod sancta e la Decete romanum pontificem, del 23 novembre 1740, MBR t. I 19-23 e 24-26.

34 BUB t. 268 I fasc. 604, De Synodo lib. XIII c. 6 n. 11. 35 Fiorani, Il concilio romano..., p. 210 e n. 50, a cui L. rispose allora in modo

piuttosto piccato, «io non ero nato in quel tempo e come embrione non potevo rispondere».

1.2. La seconda revisione, per i vescovi latini che hanno nelle loro diocesi sacerdoti e fedeli di rito greco, 1753

Nel 1753 L. scrisse una parte mai pubblicata nel De Synodo che riguardava i vescovi latini che avessero nelle loro diocesi sacerdoti e fedeli di rito greco. Pensata fin dal 1750 quando mise mano alla prima revisione, la data di redazione del 1753 è confermata da alcuni riferimenti presenti nei predisposti interventi manoscritti36. Nel luglio 1751 Benedetto XIV chiese al canonico Garampi di effettuare varie ricerche nell’Archivio segreto su alcune questioni liturgiche e rituali relative ai greci, ricerche che l’allora archivista continuò ad effettuare fino all’agosto dell’anno successivo.37 Sulla base di scavi archivistici e di ricostruzione rituale, effettuati da vari collaboratori, L. diede corpo a una vasta revisione, i cui materiali preparatori non trovò spazio nell’edizione del 1755 forse anche perché il progetto iniziale cresceva mano a mano che veniva scritto. Di questa mancanza di sintesi lo stesso autore se ne rese conto: «Confessiamo» che alcune cose esposte non sono

36 BUB t. 268 I fasc. 218, revisione del c. 3 del libro VI «Ma di ciò che risguarda gli

errori de’ Greci e la cura che devono avere i vescovi latini che hanno Greci nelle loro diocesi si parlarà altrovere diffusamente». Per la datazione al 1753 si veda nel capitolo dedicato alle difficoltà legate all’addizione del Filioque nel Simbolo, il «riferimento all’opera di padre de Rubeis nella dissert. 2 de Addizione vocis Filioque ad Symbolum … stampata in quest’anno corrente 1753 in Venezia», BUB t. 268 I fasc. intitolato «Delle difficoltà eccitate contro l’addizione fatta al simbolo e risposta ad esse». Il Messale Mozarabo è citato in corso di stampa nella edizione di Roma, BUB t. 268 I fasc. intitolato «del sagramento dell’Eucaristia:::», n. 23.

37 ASV, Archivio della Prefettura, A/4, Diario, f. 16r: «N. S. nel detto mese di luglio mi diè incombenza di raccogliere notizie spettanti alle materie de’ Greci e loro riti, quali in varie volte gli portai, dovendo servire per un’aggiunta che stava allora lavorando su questa materia nel suo libro De Synodo» cfr. anche, D. Vanysacker, Les activités archivistiques et historiques de Giuseppe Garampi (1749-1772), in Bullettin de l’Institut historique belge de Rome 65 (1995) 148. Il 2 settembre ’51, Garampi consegnò a Benedetto XIV la «nota o memoria per le materie de’ Greci e fu copiata di fol. 2 e mezzo» poi gli consegnò le copie dei documenti; lo stesso fece il 25 agosto 1752, tra cui il breve di Leone X del 1514 per l’isola di Rodi «de ritibus Graecorum»; dubbi sui riti greci dell’arcivescovo di Messina del 1588 e la risposta del card. S. Severina del 1591, «se i greci sono tenuti a fare la professione di fede pubblicata da Gregorio XIII», o altre cose su battesimo ed estrema unzione; se dopo la consacrazione si possa dire una preghiera diversa o una formula deprecativa dell’assoluzione sacramentale; consegnò infine anche alcune schede sui ruteni che «siano costretti a transitare al rito latino». Ringrazio il prefetto dell’ASV, Sergio Pagano, della possibilità che mi ha concesso di consultare questo materiale.

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«adattabili agli Italo-Greci, ma abbiamo creduto, esser opportuno farne menzione, acciò i vescovi latini, nelle diocesi de’ quali essi hanno la loro abitazione, siano bene informati del tutto, per potere ne’ loro sinodi formar leggi, che vadano al riparo degli errori vigenti appresso i scismatici»38.

Il bisogno di mettere chiarezza nei rapporti tra il rito latino e rito greco indusse infatti Benedetto XIV ad affrontare organicamente le relazioni e le corrispondenze liturgiche tra la chiesa cattolico-latina e le chiese orientali unite a Roma. La volontà di chiarezza indusse L. ad entrare dettagliatamente nella liturgia della chiesa orientale, chiamata sempre con un singolare che accoglie e non omologa usi, tradizioni e posizioni teologiche plurali. Di tali pluralità Benedetto XIV percepì la componente unitaria non nel riconoscimento di un organico profilo spirituale o ecclesiologico ma nel rito. Egli infatti tenne conto dei copti, degli armeni e dei ruteni oltre che delle comunità greche presenti in Italia. Base e fondamento di questi approfondimenti furono i lavori di analisi della congregazione sopra la correzione dei libri ecclesiastici della chiesa orientale tenutasi a Roma negli anni quaranta del Settecento, alla quale Benedetto XIV partecipò personalmente ma anche quegli studi che il pontefice aveva personalmente seguito e favorito, come il lavoro di Pietro Pompilio Rodotà Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, che uscì a Roma con dedica per Benedetto XIV, nel 1758.39 Il materiale per il De Synodo, non riconosciuto come parte del trattato ma interpretato come opera a se stante sui sacramenti, fu pubblicato da Heiner nel 1904 ma questo materiale non fu più ricondotto al fondo personale di Benedetto XIV, recuperato da Giuseppe Garampi nel 1760 né riconosciuto come parte del trattato sul sinodo.40 38 BUB t. 268 II, il fasc. inizia: «della soddisfazione o sia penitenza che s’impone dal

confessore per i peccati commessi e della riserva dei casi». Cfr. anche BAV, Vat. Lat. 11861, ff. 60r-61v, «Prefazione ai libri seguenti sopra la materia degli Italo-Greci», trascritta nella Appendice III.

39 V. Peri, Chiesa latina e chiesa greca nell’Italia postridentina (1564-1596), in La chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo. Atti del convegno storico interecclesiale (Bari, 30 aprile-4 maggio 1969), I, Padova 1973, 271-2.

40 Opera inedita. Primum publicavit Franciscus Heiner, Friburgi Brisgoviae 1904, Pars III, 193-455, sulla base dei materiali in Archivio segreto, con un ordine che non corrisponde a quello elaborato nel 1753, con alcune significative varianti. Non se ne avverte G.. Mercati, Opere minori, III, che pubblica un Indice delle opere postume teologico-liturgiche di Benedetto XIV, Città del Vaticano 1937, 372-381, pensa che il recupero fosse avvenuto durante il pontificato di Pio VI nel 1786; menziona la collaborazione del gesuita Danzetta richiesto da Benedetto XIV di informazioni sui sacramenti presso i greci nel luglio 1752, ibid., 374-375.

I progettati interventi di L. furono di due diversi tipi: da un lato egli scrisse limitate aggiunte ai capitoli centrali del trattato, dedicati ai sacramenti. Si tratta infatti di alcuni paragrafi e di un capitolo relativo alle particolarità tollerabili o non tollerabili di liturgie orientali. Dall’altro, L. progettò di aggiungere un quattordicesimo libro (a cui sarebbero seguiti altri quattro nuovi libri) dedicato ai vescovi latini che hanno nelle loro diocesi greci, per affrontare organicamente la materia con rinvii ai capitoli precedenti ma anche per completare quanto detto. Si cercherà di dare conto sinteticamente di questo vasto progetto di revisione rimasto, in questa seconda fase, in forma di bozza, anche perché l’edizione di Heiner rende meno necessario entrare nel merito degli interventi. In questa sede si vuole evidenziare la loro connessione con l’insieme del trattato, pensati nel 1753 come parte integrante del De Synodo e in seguito, nel 1755-56 rielaborati per costituire una opera autonoma sui sacramenti nel rito orientale unito a Roma41.

Dovevano essere inseriti nei libri centrali del De Synodo il capitolo «Del rito del bicchiere di vino, che dal sacerdote si esibisce al marito ed alla moglie dopo contratto il matrimonio» 42 e i paragrafi «Della non reiterazione del battesimo»43; «Del Ministro»44; «Del sale»45.

Dovevano costituire nuovi libri del De Synodo, i trenta nuovi capitoli dedicati ai sacramenti, pensati come libro quattordicesimo46:

41 Secondo la testimonianza di Benedetto XIV al canonico Peggi, Kraus, Briefe

Benedicts XIV..., 115, gli restavano «due fatiche», di cui una «sopra i Sacramenti, l’amministrazione de’ quali nella Chiesa Orientale ha bisogno di nuova regole… o schiarimenti», citata anche da Heiner (Opera inedita, VIII). Nel 1756, a Peggi (Kraus, Briefe Benedicts XIV..., 120) il papa parlava di una lettera in preparazione «che avrà relazione collo stesso Eucologio, e che conterrà ciò che risguarda la materia e forma de’ Sacramenti nella Chiesa Orientale». Nella redazione pubblicata da Heiner, che comprende alcuni capitoli in più rispetto ai materiali del 1753, restano comunque evidenti tracce, di cui l’editore non sembra rendersi conto, del fatto che si tratti di una parte del De Synodo (cfr., Opera inedita, 362, «in questo stesso trattato nell’occasione di esporre il rito dell’amministrazione di questo sacramento nella chiesa latina», o p. 343, «questo stesso trattato del Sinodo»).

42 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da 8 paragrafi in 12 ff. n.n. 43 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da 12 ff. n.n. 44 BUB t. 268 I fasc. non rilegato formato da 8 ff. n.n. 45 BUB t. 268 I fasc. non rilegato formato da 12 ff. n.n. 46 BUB t. 268 I fasc. composto da 4 ff. n.n. posto immediatamente dopo il progetto

del libro XIV, in cui L. faceva il punto della revisione indicando le modifiche già apportate: «Robba già fatta: visita de’ SS. Limini, vescovo latino che ha nella sua diocesi sacerdoti e chierici greci; vicario apostolico»; «Non fatti: Del modo con cui

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«Libro decimo quarto Che qui finiva l’opera, o sia la prima stampa, che è stata anche arricchita

di nuove aggiunte e di nuovi capitoli che questa e i seguenti libri si aggiungono pe’ vescovi latini che hanno nelle loro diocesi sudditi greci, de’ quali debbono prendere providenza.

Che molte cose appartenenti ai greci si sono dette ne’ libri precedenti, mentre allora non v’era pensiero di trattare formalmente de’ greci: che ciò non si ripeterà presentemente ma che venendo occasione di parlarne, si farà una semplice relazione al già detto: che molte e molte cose, anzi le sostanziali, sono state dette e stabilite nella costituzione di Clemente VIII e nostra47: ma che, ciò non ostante, è bene ripeterle ed illustrarle anche con monumenti appartenenti ai greci orientali… Che a tratto a tratto si parlerà ancora della chiesa latina secondo il bisogno. Che in questi libri aggiunti si tratterà della professione di fede da farsi da’ Greci anche ne’ Sinodi, per sfuggire gli errori de’ scismatici

In un altro libro de’ sagramenti battesimo, cresima, eucaristia, estrema

unzione. Ed in un altro dell’ordine sacro, e matrimonio. In un altro delle superstizioni, e riti da proibirsi ai greci, e di quelli che

non si debbono loro contrastare In un altro della continuata propensione della Santa Sede verso di loro e

del transito dal rito greco al latino»

Benedetto XIV fece tre diverse ipotesi di indici assemblando e

debbono i vescovi contenersi colla S. Sede quando..: della lesione dei diritti pontifici nell’unione che si fa dai vescovi de’ benefizi al seminario; della forma condizionata del sagramento della penitenza dato a Mr. Boschi; Capitolo nel quale si discorre dell’offesa dell’autorità pontificia nell’occasione della dispensa de’ matrimoni che si contraggono fra una parte cattolica e l’altra eretica; Capitolo sopra la providenza da prendersi ne’ matrimonio fatti e da farsi in Olanda e ne’ paesi federati; Capitolo d’alcune altre providenze riguardanti i matrimoni che si fanno da’ cattolici ne’ paesi sottoposti a’ principi infedeli o eretici, o che si fanno § per i paesi ne’ quali ciò va succedendo. Cap. nel quale, in confermazione del detto ne’ precedenti capitoli, si esamina il caso de’ chierici che dopo aver ricevuta la prima tonsura e anche gli ordini minori non ascendono agli ordini maggiori, o ascesi agli ordini maggiori non ascendono al sacerdozio, se possono dal vescovo essere sforzati all’ascensione agli ordini superiori e con quale mezzo. Capitolo si esenta dalla nota di troppa severità la costituzione sinodale, che proibisce alle donne i vari ornamenti quando s’accostano ai sagramenti della confessione e dell’Eucaristia». Ciò potrebbe indicare che questa seconda parte fu predisposta quando ancora non era terminata la prima revisione dell’opera.

47 Il riferimento è alla istruzione di Clemente VIII, cfr. Peri, Chiesa latina e chiesa greca..., 271-469 e alla Etsi pastorali del maggio 1742, MBR t. I, 167-185.

componendo diversamente i trenta capitoli redatti e quelli mai scritti. Qui si pubblica una versione di tale indice nel quale non è sempre possibile distinguere come i capitoli potessero dividersi tra i cinque nuovi libri. Ad ogni modo, indipendentemente dalle diverse versioni, l’elenco dei singoli capitoli permette di valutare l’ampiezza di questa ipotesi di aggiunta che affronta le diversità rituali e teologiche tra la chiesa occidentale e quella orientale in materia dei sacramenti e di concezione della messa. Nell’indice, i capitoli che affrontano il problema del Filioque, pensati per essere parte di un primo libro, sono posti in fondo all’elenco. Si tratta certamente di una bozza per nuovi interventi finalizzati al De Synodo, come confermano numerosi riferimenti.48

«Libro terzo Degli altri due sagramenti Ordine e Matrimonio - C. I (i) della concordia fra la chiesa occidentale ed orientale in ciò che

risguarda il ministro della Sacra ordinazione - C. II (i) del ministro scismatico della sacra ordinazione: dottrina

teologica sopra l’ordinazione fatta da esso ed abuso in ciò dei Greci orientali49

- C. III (r) Del numero degli ordini secondo la chiesa occidentale, ed anche secondo l’orientale per alcuni secoli

- C. IV (r) Del numero degli ordini nella chiesa orientale, e come debbano contenersi in ciò i vescovi latini che hanno nelle sue diocesi italo-greci (IV i r)

- C. V (r) Della continenza annessa agli ordini sagri nella chiesa occidentale, mantenuta anche nella chiesa orientale per alcuni secoli

- C. VI (r) in cui si prosiegue la stessa materia - C. VII (i) Del titolo dell’ordinazione età, interstizi da osservarsi a tempo

della predetta sagra ordinazione - C. VIII (m) Del sacramento del matrimonio quanto all’indissolubilità

dello stesso. - C. IX (m) Dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale o sia

matrimonio consumato non ostante l’adulterio - C. X (m) Della condotta de’ padri del concilio di Trento sopra lo stesso

punto del preteso scioglimento del vincolo matrimoniale per l’adulterio - C. XI (r) Della monogamia appresso i greci e libertà di passare morta la

prima moglie alle seconde, terze e quarte nozze - C. XII (m) Della disparità del culto nella materia del matrimonio tanto

rispetto alla chiesa occidentale quanto rispetto alla chiesa orientale 48 BUB t. 268 I fasc. rilegato, «Ordine sacro»: «Capitolo del sagramento

dell’Ordine…», in riferimento alla costituzione del sacramento da parte di Cristo, «del che da Noi anche si è diffusamente discorso in questo stesso trattato de Synodo Dioecesana». Le lettere in corsivo presenti nel ms che raggruppano i capitoli, «r» potrebbe significare rito, «m» matrimonio, più difficile decodificare «i». Cfr. Appendice II.

49 Era stato pensato anche come terzo capitolo.

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- C. XIII (m) Della nullità del matrimonio contratto nella chiesa occidentale dopo l’ordine sagro e di ciò che debba dirsi d’un somigliante matrimonio contratto nella chiesa greca

- C. XIV (m) Dell’impedimento dell’età e dell’altro del grado ne’ matrimonj

- C. XV (m) Dell’errore, della condizione, del ratto, del matrimonio de’ figlie di famiglia senza consenso de’ genitori, e dell’assistenza del parroco ai matrimoni

- C. Del numero dei sagramenti ed in primo luogo del battesimo, della

forma del battesimo, della non reiterazione del battesimo, del ministro, del sale, dell’amministrazione del sacramento della confermazione e dell’altro dell’eucaristia congiunta al battesimo50

- C. incominciato: del sagramento della Penitenza e ministro d’essa51 - (r) Del sacramento della confermazione52 - (r) Della forma della confermazione - (r) Prosegue la materia del cap. precedente, ed altre cose s’inseriscono

riguardanti l’iterazione del sacramento della confermazione - (r) Del supplemento degli ordini tralasciati, quando qualcheduno

50 Questi cinque cc. erano forse parte del libro secondo. 51 Nell’indice questo c. risulta cancellato. 52 Potrebbe essere una prima stesura il fascicolo che inizia con «Che sino dal 1745

facemmo una istruzione pastorale in ordine al rito de copti che incomincia con Quamvis tempore indirizzata a Giusto Maraghi vicario generale in tutto l’Egitto ed al padre Giacomo a Cremisir dell’Ordine di S. Francesco della più stretta osservanza, prefetto della missione apostolica dell’Egitto ed agl’altri missionari della missione copti» che affronta alcune questioni relative al rapporto con i copti commesse «a cardinali, maestri in sacra teologia e dottori di diritto canonico…»; in tale lettera «fu concessa la facoltà di cresimare al prefetto delle missioni d’Egitto e ai suoi successori, sino a che in Egitto non vi sarà un vescovo cattolico per coloro che sono stati battezzati da sacerdoti latini; la predetta facoltà non vale per quelli che sono stati cresimati dopo avere ricevuto il battesimo da sacerdoti copti, non intendendo noi riprovare la predetta loro consuetudine tollerata dai predecessori. Per l’esercizio dell’ordine che si fa alle volte dagli ordinati in età purerile prima di maritarsi, due distinzioni: già nella prima istruzione pastorale fu stabilito doversi gl’ordinati in età infantile interrogarsi a dirittura o pel mezzo d’altri dal prefetto delle missioni, quando sono giunti all’anno decimo sesto della loro età, se vogliano o meno perseverare e se rispondono che non vogliono perseverare sia lecito contrarre matrimonio e non volendo che allora non sia permesso farlo.» Pertanto «diciamo e determiniamo che l’esercizio dell’ordine fatto prima dell’anno sedici non è atto, ed idoneo per indurre la ratifica dell’ordine, che fatto dopo l’interrogazione, che deve farsi giusto l’anno sedici importi la rattifica espressa dell’ordine, e che fatto dopo l’anno sedici, ancora non si fosse fatta l’interrogazione, importi una tacita ratifica dell’ordine escludente il matrimonio. Per dare o negare la dispensa a color che dopo avere ricevuto l’ordine e passato il sedicesimo anno sono stati ratificati nell’ordine contraggono matrimonio non si può dare una risposta generale ma occorre vedere caso per caso. Il dispensare dipende dalla circostanze.»

ordinato nel rito greco e ricevuti alcuni ordini nello stesso rito, passando per dispensa apostolica al rito latino, domanda gli altri ordini che non ha ricevuti

- (m) Della dispensa che alcune volte si chiede da’ greci orientali abiurando lo scisma, di ritenere la moglie che hanno presa dopo l’ordine sagro nella qual occasione si tratta ancora delle dispense chieste dai latini di prender moglie dopo l’ordine sagro, o dopo la professione regolare

- (m) Della dispensa o sia legittimazione de’ figli - (i) Della benedizione dopo il parto - (r) D’onde si desuma che non sia di rito latino ed un altro di rito greco e

se possa passarsi da un rito all’altro - (r) Della mescolanza dell’uno e dell’altro rito - (i) D’alcuni riti greci adottati dalle chiese latine - (r) Dell’obbligo degli ecclesiastici occidentali di recitare ogni giorno le

ore canoniche - (r) Del libro o sia volume di cui debbono prevalersi gli ecclesiastici

latini e greci adempiendo l’obbligo di recitare l’offizio divino o siano le ore canoniche

- (r) Dell’obbligo di recitare le ore canoniche nella chiesa orientale - (r) De’ libri sagri delle nazioni orientali e loro correzioni - (r) Del regime degl’italo-greci abitanti nelle diocesi de’ vescovi latini e

ad essi soggetti - Del sagrificio della messa e per chi possa applicarsi53 - Del luogo in cui dee celebrarsi la messa: dell’altare, pietra sacra,

ministro inserviente, ora in cui dee celebrarsi e sacri istrumenti ed indumenti - Del maggiore ingresso - Delle oblazioni o sieno ostie maggiori o minori che nella messa si

consacrano dai sacerdoti greci e dell’oblazione diagonale - Del numero delle messe nella chiesa latina e greca - Della messa che si celebra dai sacerdoti col vescovo o con altro

sacerdote celebrante: e delle altre messe che si celebrano da ciaschedun sacerdote separatamente l’uno dall’altro

- Della messa de’ presanficati - Del simbolo e della di lui recita nella messa e della parola Filioque - Del sistema stabilito dalla Santa Sede circa il simbolo da recitarsi colla

parola Filioque - Delle difficoltà eccitate contra l’addizione fatta al simbolo e risposta ad

esse - Del Trisagio ed aggiunte fatte ad esse - Della commemorazione del sommo pontefice nella messa - Della commemorazione nella messa del vescovo e dell’imperatore o sia

re»

I progettati nuovi libri fanno costante riferimento ai lavori della

53 Alcuni di questi cc. in indice furono redatti, cfr. in seguito. Un versione diversa di

indice prevedeva che alcuni di questi cc. fossero inseriti al grande capitolo sull’eucaristia.

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congregazione per la correzione dei libri della chiesa orientale, iniziata durante il pontificato di Benedetto XIV54 ma anche ad alcuni sinodi celebrati nei decenni precedenti all’interno di alcune chiese orientali: il sinodo provinciale ruteno di Zamoscia (oggi Zamość in Polonia) del 1720, presieduto dal nunzio Geronimo Grimaldi, arcivescovo di Emessa (poi cardinale di Clemente XII), i sinodi melchiti e maroniti di Monte Libano del 1736, presieduto dall’ablegato Giuseppe S. Assemani. Frequenti i riferimenti ad alcune lettere e costituzioni di Benedetto XIV, come la Etsi pastoralis del 6 maggio 1742 e Imposto Nobis del 29 marzo 175155. Tra le fonti più antiche di questi recenti provvedimenti, Benedetto XIV riconobbe valore imprescindibile al decreto di Eugenio IV sugli armeni, all’istruzione di Clemente VIII per gli italo-greci (la Perbrevis instructio) e, infine, alle decisioni della congregazione istituita da Urbano VIII per i greci.

Le ragioni del mancato inserimento potrebbero essere legate alla preferenza accordata alla terza vasta parte aggiunta, relativa alla relazione per la visita ad limina. Forse anche si preferì non allargare troppo il trattato. Sta di fatto che, quali che siano state le ragioni di questa scelta, tutti i capitoli predisposti durante il 1753 vennero alla fine esclusi dall’edizione definitiva.

1.3. La terza revisione: i 19 capitoli finali del libro XIII dedicati alla relazione sullo stato della chiesa, 1754

La terza revisione aggiunse gli ultimi diciannove capitoli del libro XIII (dal 7 al 25) dedicati alla relazione da presentarsi durante la visita ad limina. Questa parte è stata predisposta durante il 1754, come risulta dai numerosi riferimenti presenti nei manoscritti. Il riferimento più tardo è quello alla Quod Provinciale Concilium pubblicata nell’agosto ’54.56 54 Sono citate le sessioni del 23 aprile 1743; 5 settembre ’45; primo maggio e 26

giugno ’46; 29 marzo ’47; 7 gennaio ’48; 26 gennaio e 13 luglio ’49. 55 MBR t. I n. 57, 167-185 e t. III n. 43, 359-363. 56 Confermano la redazione di questa parte tra gennaio e agosto 1754: la citazione

della vita del cardinale Valier, ristampata «quest’anno» a Venezia 1754, cfr. le due redazioni del c. 10, BUB tt. 268 III e 268 II, «C. in cui prosiegue la materia sopra il terzo capo della relazione dello stato della chiesa». Nel c. 15, 268 III, «C. de’ postulati che risguardano altri ajuti, che alle volte chiedono i vescovi per poter ben servire le loro chiese; ed anche di alcune decorazioni, delle quali fanno istanza, per renderla più illustre», ff. 26r-35v e 47r-65r, L. si riferiva al concistoro del 22 luglio 1754. Nel c. 18 n. 6, 268 III, è citato il Commentario del cardinale Tomasi il cui

Dei capitoli finali del trattato L. fece due stesure, apportando numerose integrazioni e variazioni di suo pugno. I capitoli 13, 14, 15 e 16 dell’edizione del 1755 risultano rimaneggiati più volte, da una prima versione composta da due capitoli fino alla versione definitiva formata da quattro.57

La base dei capitoli dal 7 al 12 è la istruzione predisposta da Lambertini quando, in qualità di perito di Benedetto XIII, partecipò del sinodo romano del 1725. L’istruzione fu redatta da Lambertini in polemica con quanto predisposto da una congregazione ad hoc che, all’insaputa della congregazione del concilio e forse in aperta polemica con essa, aveva iniziato a preporre una istruzione. Nel corso dei tumultuosi dibattiti del concilio romano del 1725, dopo un intervento del card. Antonio Felice Zondadari, il prefetto Origo e lo stesso Lambertini, erano venuti a conoscenza che la istruzione era stata ultimata e presentata a Benedetto XIII per l’approvazione. Lambertini chiese di prenderne visione e, stando a quello che lui stesso disse, la redasse ex novo.58 L’istruzione guidava i vescovi nella

tomo settimo fu pubblicato a Roma «in quest’anno 1754». Il c. 22 n. 9, 268 III, f. 16v, fasc. intitolato «C. d’un postulato proposto sopra un matrimonio contratto nella Transilvania, fra due Calvinisti, convertendosi uno d’essi alla Santa Fede, ed abiurando l’eresia», cita «la risposta al postulato sopradetto, che fu data il 20 maggio di quest’anno 1754». Nel successivo c. 23 n. 11, 268 III, fasc. intitolato «C. de’ postulati che appartengono all’interessenza del Parroco al matrimonio: e de’ matrimonj di coscienza», si trova «Celebre fu l’anno passato 1753 la causa Carthaginien. Matrimonii…»; infine sono citate la Pastoralis regiminis sollicitudo del 15 luglio ’54 (nel lib. XIII, c. 15 nn. 18 e 20) e la Quod Provinciale Concilium del primo agosto (nel c. 20 nn. 9-16), MBR t. IV, 219-220 e 221-223.

57 BUB t. 268 II ff. inseriti n.n. Per evitare inutili confusioni si trascrive «num.» con n. e «volum.» con vol.: «Cap. XIII Questo capo ha 24 numeri. Incomincia nel vol. B dalla pag. 1 sino alla pag. 33 a tergo. Cap. XIV Questo capo ha 14 numeri. Incomincia nel Vol. A dalla pag. 2 sino alla 25 a terg. Cap. XV Questo capo ha 19 numeri. Incomincia il n. 1 nel vol. A alla pag. 26 e continua il n. 5 sino alla pag. 35 a tergo. Indi si ripiglia il n. 6 dalla pag. 47 e continua fino al n. 19 alla pag. 68 a tergo. Cap. XVI. Questo capo ha 16 numeri. Incomincia il n. 1 nel vol. A dalla pag. 36 e continua il n. 5 sino alla pag. 46. Indi si ripiglia il n. 6 sino al n. 16 dalla pag. 33 del vol. B sino alla pag. 50.» I volumi A e B sono la prima stesura dei capitoli dal 13 al 16 del lib. XIII, BUB t. 268 II Volume B ff. 1r-65r (cc. 13 e 15 della redazione finale) e t. 268 III Volume A ff. 1r-62r.

58 Biblioteca Classense di Ravenna, t. 352 Diario del concilio romano celebrato in S. Giovanni Laterano l’anno MDCCXXV sotto il pontificato di Papa Benedetto XIII, descritto da Alessandro Formagliari Primicerio della Metropolitana di Bologna, il quale vi fu presente come Procuratore dell’Emo e Rev.mo sig.re Cardinale Jacopo Boncompagni vescovo di Albano arcivescovo di Bologna, ff. 42r-v, per le accuse del card. Zondadari contro i ministri della congregazione del concilio che facevano «disordini», e gli interventi del card. Origo e di Lambertini che «parlarono alto,

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redazione materiale e sostanziale della relazione che essi presentavano alla congregazione del concilio al momento della periodica visita ad limina.

Questa terza ed ultima revisione della prima edizione, a detta di Lambertini, era frutto delle querele e dei casi concreti che il pontefice aveva dovuto direttamente trattare nel rispondere alle relazioni dei vescovi o per il tramite della congregazione per la visita da lui istituita.59 In particolare il c. 19 era stato scritto per rispondere compiutamente alla domanda posta dal vicario apostolico di Algeri su come debbano essere amministrati i sacramenti in caso di peste; il c. 20 era legato alle domande poste dai vescovi in Albania e il c. 22 ai quesiti posti dai vescovi di Transilvania.60 I nuovi diciotto capitoli tornano, in alcuni casi, su argomenti trattati in precedenza dall’autore (soprattutto sui sacramenti e su alcuni problemi di rapporti all’interno delle diocesi tra vescovo e capitolo della cattedrale), accentuando l’andamento circolare del trattato e le riprese interne. Inoltre questa ultima parte recupera numerosi interventi del Lambertini papa e sembra rispondere più direttamente alla necessità di dare informazione e pubblicità alle leggi e disposizioni emanate da Benedetto XIV nell’ultimo decennio di governo.

I materiali preparatori alla edizione del 1755 offrono lo spunto per alcune prime considerazioni in merito alla ratio della revisione e alle modalità di lavoro di Lambertini. Inoltre, entrando nel dettaglio di alcuni interventi per l’edizione del 1755, è possibile evidenziare i criteri ispiratori dell’opera nel suo complesso61.

2. La revisione per la seconda edizione

opponendosi» (ibid., f. 43r), alla notizia di una istruzione pronta e presentata al papa senza partecipazione della congregazione del concilio, nella congregazione particolare, formata dai cardinali Belluga e Tolomei e dal segretario Cosmo Raffaele Girolami (segretario anche della congregazione delle indulgenze), Lambertini avrebbe esclamato: «E che? Disse egli diffidano forse l’Eminenze loro della nostra condotta? Si procede pure con le debite regole e cautele», ibid., f. 43v.

59 Il materiale preparatorio delle aggiunte al libro XIII, BUB t. 268 due fasc. rilegati, cc. 7-15; tt. 268 III e 268 IV raccolgono la prima stesura dei nuovi cc. 7-25.

60 Nella Appendice IV si pubblica il titolo originario dei capitoli con una descrizione sommaria del materiale preparatorio.

61 Sul riequilibrio rappresentato dal 1750 nella chiesa cattolica, M. Rosa, Le chiese cristiane a metà secolo, in Settecento religioso. Politica della Ragione e religione, Venezia 1999, 111-114.

La continuità tra le due edizioni, sottolineata da L. nella seconda prefazione, è confermata dal confronto sistematico tra le due opere. Da questo confronto emerge che l’autore non sconfessò nessuna riga di quanto precedentemente scritto. I piccoli tagli sono infatti funzionali ad un migliore raccordo tra quanto era stato scritto e stampato nel 1748 e le aggiunge successive.

Quanto agli interventi aggiuntivi, possono essere fatti tre tipi di distinzioni: - un primo tipo di aggiunte che potremmo definire di

aggiornamento bibliografico o di correzione di sviste e imprecisioni rimaste nella edizione precedente;

- un secondo tipo di inserimenti furono completamenti parziali che non incidono sull’impianto del capitolo; in particolare, si può osservare che aumentarono le autocitazioni e i richiami alla legislazione dell’episcopato bolognese o agli interventi del pontificato. Sono aggiunte anche numerose sentenze emanate dalle congregazione del concilio, dei vescovi e dell’Inquisizione e interventi legislativi dei pontefici precedenti;62

- un terzo tipo di interventi aggiunsero parti completamente nuove relative ai nodi lasciati aperti dal concilio di Trento: il rapporto intrattenuto con il vescovo da parte degli ordini religiosi; l’autonomia dei religiosi nella diocesi; la comunicazione tra vescovi e curia e la spartizione degli ambiti di competenza tra le congregazioni romane che sovrintendevano al governo diocesano (congregazioni dei vescovi e regolari; del concilio e concistoriale); la definizione delle funzioni, dei poteri del vescovo e dei limiti di questo potere in materia di visita, benefici, esenzioni, clero e canonici, monasteri femminili. Nel processo di revisione si verificò un cambiamento

d’interlocutore. In modo esplicito, Benedetto XIV non si rivolse solo ai vescovi ma anche ai membri delle congregazioni romane. Innanzitutto egli introdusse, per dare riscontro del fondamento delle opinioni sostenute nell’opera, precisi riferimenti ai registri inediti delle congregazioni, accessibili ai membri delle congregazioni più

62 Istruzioni e regole per la sua città e diocesi di Bologna, Bologna 1739; Lettere

circolari dell’Em. Card. Prospero Lambertini alli Signori Curati, Bologna 1738; Raccolta di alcune notificazioni, editti, ed istruzioni per il buon governo della sua diocesi, I-V, Bologna 1733-1735-1737-1740; cfr. il mio lavoro Lambertini a Bologna, 1731-1740, in Rivista di storia della chiesa in Italia (2008)/1, in corso di pubblicazione.

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che ai vescovi. Inoltre, nella parte dedicata alla relazione e ai postulati in essa presentati dai vescovi durante la vista ad limina, L. intese chiarire le competenze della congregazione del concilio rispetto a quelle questioni che invece avrebbero dovuto essere indirizzate ad altri organismi curiali63. L’allargamento dei destinatari dell’opera è un passaggio che viene rafforzato dall’aumento dei materiali, temi e questioni presenti nella seconda edizione che devono costituire il contenuto del sinodo. Più che mai dopo la revisione degli anni cinquanta, infatti, l’opera raccolse non solo la materia che poteva costituire l’oggetto del sinodo ma tutta quella su cui il vescovo deliberava e legiferava, indipendentemente dalla sede e dalla modalità scelte per farlo. L. arcivescovo a Bologna aveva rinviato la celebrazione di un sinodo a dopo la fine della visita pastorale, anche se poi il sinodo non fu celebrato. Egli però legiferò o anche solo comunicò con il suo clero attraverso istruzioni, lettere, notificazioni, editti. In coerenza con il richiamo alla prudenza presente come leitmotiv in tutto il De Synodo, L. aveva dichiarato che la convocazione sinodale era fruttuosa ma non «omnino et absolute necessaria»64. Al vescovo era dunque lasciata la valutazione prudente dell’opportunità di deliberare le proprie decisioni all’interno di un’assemblea, del momento in cui era opportuno celebrare il sinodo o, in alternativa, pubblicare le risoluzioni al di fuori di esso, anche in adunanze informali e non costrette alle rigide formalità di una celebrazione sinodale65. Prospero Lambertini aveva evitato la convocazione del clero bolognese per discutere di questioni relative alle immunità clericali, «non potendo assicurarmi di trecento, e più cervelli, che sarebbero venuti all’assemblea»66. Al problema dell’uso

63 Per esempio nel libro XIII c. 13, BUB t. 268 III fasc. B. f. 34r, relativo ai postulati

presentati dai vescovi sulle loro persone, L. raccomanda che le risposte date dalla congregazione del concilio siano fatte in modo che «dati postulati non si promuovano più, o, promuovendosi, si abbia in pronto la risposta, e la risposta sicura».

64 De Synodo lib. I c. 2 n. 5. 65 In questo senso assume significato anche lo slittamento semantico da «constituere»

a «edicere» presente tra il titolo del c. 71 del libro VII dell’ed. 1748 e il c. 8 del libro XIII dell’ed. 1755 relativo alle circostanze in cui un vescovo potrebbe presumere di potere «constituere» o «edicere» contro il diritto comune.

66 ASV, Segr. Stato, Cardinali 91A, ff. 385r-386r, lettera del 20 gennaio 1736, da L. al card. Firrao: l’assemblea del clero sarebbe stata necessaria per imporre una nuova gabella per l’entrata dei carri in città; nel chirografo la segreteria di stato aveva indicato che l’aumento era avvenuto «con il consenso del clero», ma L. suggerì di modificarlo dicendo «che valga la mia informazione anche per il

corretto dello strumento sinodale si deve aggiungere la preferenza per un procedimento consensuale nel definire alcune regole comuni e condivise per la gestione della pastorale diocesana e per permettere al clero di incontrarsi, confrontarsi ed, eventualmente, dissentire. Consessi con il clero cittadino o congregazioni con i responsabili della pastorale diocesana, vicari foranei e vicario generale, furono tenuti con una certa frequenza, soprattutto dopo avere verificato che alcuni abusi non si sradicavano a colpi di «nudi» editti.67

L’aumentata presenza di citazioni tratte dalla legislazione dei pontifici precedenti e delle delibere delle congregazioni curiali rendevano servizio ai vescovi, dando loro modo di conoscere, nella forma più fruibile possibile, l’opera che si andava facendo a Roma di sistemazione legislativa e permetteva al personale della curia di avere un prontuario dei principali interventi selezionati secondo criteri tematici. Si è detto più volte che L. scelse di pubblicare materiali inediti e fonti presenti negli archivi delle congregazioni. Esempio di questo caso sono le citazioni delle regole dettate il 5 e 6 gennaio 1731 da Clemente XII in forma di breve date alla congregazione concistoriale e alla segreteria dei brevi sulle modalità di nomina dei vescovi in terra di Germania per il problema del cumulo dei vescovadi, non essendo mai stati stampati

«noi crediamo bene inserirli qui, perché non se ne perda la memoria e acciò siano puntualmente eseguiti […] se non a torre affatto, almeno a sminuire l’esorbitante multiplicità de’ vescovadi nella Germania in una sola persona».68

La conoscenza delle fonti del diritto attraverso il De Synodo permetteva di realizzare uno dei principi cardine del pensiero giuridico del pontefice: partire da una precisa conoscenza delle precedenti normative per ridurre «nuovi» interventi legislativi; inoltre i vescovi, pur dovendo conoscere le regole generali anche per casi assenti dalle realtà locali, non dovevano legiferare in abstracto ma sempre e solo per regolare situazioni esistenti.69 Le stesse grandi

consenso del clero». Il tema dei privilegi del clero, caldo nell’episcopato del predecessore, fu da L. felicemente risolto con accordi con il Senato bolognese, cfr. il mio Lambertini a Bologna citato.

67 Sulle congregazioni con il clero o con i soli vicari generali e foranei, ivi. 68 BUB t. 268 II, fasc. «Della relazione … secondo capo …», De Synodo, lib. XIII c.

8 nn. 8-9. 69 Anche BUB t. 268 I fasc. intitolato «cap. VI», (nell’ed. 1755, lib. VI c. 6 n. 1): «Ma

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costituzioni lambertiniane erano state collettori di delibere precedenti, a volte di portata più limitata o indirizzate a chiese nazionali, che Benedetto XIV aveva allargato all’intera cattolicità per razionalizzare e introdurre elementi di maggiore omogeneità. Ma anche là dove gli interventi si rivolgevano a singoli episcopati nazionali per regolare situazioni particolari, egli li proponeva nel De Synodo all’attenzione della chiesa cattolica per la completezza dello scavo e per l’importanza dei temi trattati, come la lettera enciclica del 24 giugno 1751 al primate, arcivescovo e vescovi di Polonia «in cui si riassume la materia di tutto ciò, che è proibito agli ebrei ne’ paesi de’ cristiani» o ancora la lettera scritta all’assessore del Santo Uffizio, mons. Pier Girolamo Guglielmi, del 15 dicembre 1751, «sopra le offerte fatte dai neofiti ebrei de’ loro figli e parenti alla santa cristiana fede» per ottenere il battesimo.70

Una riflessione maggiore richiede l’aumentata presenza di lettere e encicliche di Benedetto XIV e di riferimenti agli atti di governo del periodo bolognese. Vi sono infatti alcuni temi sui quali L. ritornò più volte nel corso della sua vita e che ricompaiono nelle sue opere poiché egli si mantenne in costante dialogo con se stesso e con i propri interventi. Nella maggior parte dei casi Lambertini reagiva a

perché può pur troppo succedere che di simili cose la notizia non arrivi a tutti, avendo Noi ora preso l’assunto d’additare alcune cose, che i Vescovi, a’ quali appartengono, possono lodevolmente inserire ne’ loro Sinodi, il che lodevolmente non si farebbe dagli altri a’ quali non appartengono…». 268 I fasc. 228, stesso c. n. 3, «avvertendosi però essere stato detto, non convenire, che il Prelato metta nel suo Sinodo quelle costituzioni Apostoliche, che appartengono ad alcuni vizj che non sono introdotti, né v’è apparenza, che siano per introdursi nella sua diocesi, ma non già, ch’esso non debba aver contezza delle medesime, per esser pronto a prevalersene, ed a farle eseguire, quando mai gli accessi in esse proibiti o s’introducessero, o vi fosse pericolo che fossero per introdursi nella sua Diocesi. Oltre il caso poc’anzi smemorato del Confessore che cerca dal penitente il nome del complice, sembra a proposito l’altro de’ Matrimoni che si fanno dagli eunuchi e spadoni, qui utroque teste carent. Il Pontefice Sisto V nella sua costituzione che incomincia Cum frequenter, dichiarò nulli ed invalidi, e come tali sono oggidì riconosciuti comunemente dagli autori… Nelle Diocesi nelle quali mai si è pensato, né mai si pensa a simili matrimoni, sarebbe forse mal fatto, se ne’ Sinodi s’inserisse la detta Costituzione. Non sarebbe mal fatto, anzi sarebbe ben fatto, e forse necessario, che il vescovo per tutto ciò che mai potesse succedere, abbia notizia della predetta costituzione sistina».

70 BUB t. 268 I fasc. 220, due copie mss, lib. VI c. 4 n. 2; la lettera enciclica all’episcopato di Polonia, n. 49, t. III MPR, 390-394; la lettera a mons. Pier Girolamo Guglielmi, stampata a Roma nel dicembre 1751 e nel Bollario, ibid., n. 54, 417-442; cfr. i materiali preparatori, ASV, Fondo Benedetto XIV t. 20, ff. 276r-307r.

quanto accadeva concretamente: i suoi studi infatti non erano condotti in astratto ma sulla base delle sollecitazioni concrete che gli arrivavano dall’esterno o da richieste direttamente rivolte a lui in base al ruolo ricoperto in quel momento. Il De Synodo mostra in filigrana la sua struttura organizzata in modo coerente e tematico, per rendere chiara e comprensibile l’esposizione delle posizioni divergenti e la discussione dei teologi. L. selezionava in modo tematico le fonti giuridiche, gli interventi magisteriali e dei teologi, i canoni di concili e sinodi. Le sollecitazioni esterne lo inducevano ad approfondire e ritornare su alcuni percorsi di ricerca e orientavano il suo scavo sulle fonti del diritto. Se la continuità caratterizza la riflessione di L. a partire dagli anni romani, passando per il periodo di governo pastorale fino al pontificato, concentrandosi sulla seconda edizione del De Synodo alcuni temi furono particolarmente rafforzati.71

Nella edizione del 1755, Lambertini precisava alcune questioni scottanti rispetto alle quali lo spazio di attribuzione di temi ed argomenti al sommo pontefice e alle congregazioni romane sembrava aumentare rispetto al 1748. Egli conferma e rafforza una concezione della Chiesa cattolico-romana innestata sul tronco del concilio Tridentino. Si veda il caso del tema della residenza dei cardinali vescovi delle sei chiese suburbicarie o di diocesi contigue a Roma. Pur non volendo prendere partito a favore della residenza «de jure divino» o per la sua riduzione a «ecclesiastica istituzione», Lambertini si limitò a conferire al pontefice non la possibilità di interpretare la legge divina ai casi concreti. Una posizione la sua, dunque, moderata e sfumata che affidava il caso alla interpretazione del sommo pontefice e alla sua libertà di adattare alcune norme alle necessità e alle circostanze e che, per questa via, evitava di prendere partito per una responsabilità oggettiva conferita agli uomini di chiesa nell’esercizio del governo pastorale.72 Come pontefice non aveva 71 Sottolinea la continuità nel pensiero di Benedetto XIV per la riflessione sul

battesimo dei bambini ebrei, M. Caffiero, Benedetto XIV e gli ebrei. Un parere del consultore Lambertini al Sant’Uffizio, in Religione cultura e politica nell’Europa dell’età moderna: studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di M.A. Visceglia, M. Verga, C. Ossola, Firenze 2003, 379-390.

72 Il caso è discusso nel lib. VII c. 1 n. 7, BUB t. 268 I fasc. n.n. tra 229 e 257, poiché i vescovi cardinali di Ostia, Porto e S. Rufina, Sabina, Albano, Palestrina e Frascati o di diocesi vicine e contigue a Roma, non risiedono «ma sono in Roma adibiti al servizio del sommo pontefice e della Santa Sede, ancorché qualche volta vadano a far la visita, come altrove vedrassi, e stando lontano per lo più dalla diocesi per dispensa pontificia, ciò dà a divedere, che l’obbligo della residenza, non è di Divino precetto, ma di ecclesiastica istituzione. A Noi non correrebbe verun obbligo di

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modificato lo statuto dottrinale della residenza ma aveva rafforzato in pratica la necessaria osservanza di questo precetto, come fece nel 1746 con un provvedimento rivolto all’episcopato napoletano ma di valore decisamente più ampio o come fece un anno dopo con il rinnovo della urbaniana congregazione preposta alla verifica della residenza.73

Si veda ancora la correzione apportata da L. all’opinione espressa in precedenza nel De Missae sacrificio (c. 6 parte V) in cui raccomandava ai vescovi di seguire la prassi locale e la pratica vigente nel luogo per decidere se dare la comunione ai condannati a morte. La sua opinione personale riteneva più «conforme alla pietà cristiana il dare» la comunione «ai condannati a morte, anche per grave delitto, quando la domandino e siano disposti a riceverla» ma in seguito egli aveva preso visione della lettera di Pio V al nunzio in Spagna e quella che prima era solo una sua personale valutazione diventava ora un compito per i vescovi chiamati ad

«introdurre nella diocesi la disciplina di dare l’Eucarestia ai condannati a morte ed anche di inserirla ne’ suoi sinodi, e ciò per l’autorità del gran

dover rispondere a quest’argomento, non avendo verun impegno o per l’una, o per l’altra sentenza: ma, perché poc’anzi abbiamo asserito, essere la più comune sentenza dopo il Concilio di Trento quella che vuole, essere la residenza de Jure divino, risponderemo, risiedere i cardinali vescovi suburbicari in Roma per assistere al Sommo Pontefice agli affari della Chiesa universale, mantener essi l’obbligo della residenza, se non materiale, almeno formale, soddisfarsi da essi con molta facilità alla residenza formale per la vicinanza delle loro diocesi alla città di Roma, sapervi e vedervi tutto ciò dal Romano Pontefice, che tacitamente li dispensa dalla residenza materiale, non già sciogliendo il vincolo della Legge divina, ma interpretando, che la Legge divina, attesa le circostanze, non obbliga nel caso di cui si tratta». L. conosceva anche il parere di Bellarmino per Clemente VIII, citato nel De Synodo oltre che conservato nella sua biblioteca; sul contesto del memoriale di Bellarmino, K. Jaitner, De officio primario summi pontificis. Eine Denkschrift Kardinal Bellarmins für Papst Clemens VIII. (Sept.-Okt. 1600), in Römische Kurie. Kirchliche Finanzen. Vatikanisches Archiv. Studien zu Ehren von H. Hoberg, hg. v. E. Gatz, Roma 1979, I, 377-403; mi permetto di rinviare anche al mio Clemente VIII e il Sacro Collegio, 1592-1605. Meccanismi istituzionali e accentramento di governo, Stuttgart 2004, 226-230.

73 Ad universale Christianae reipubblicae statum, MBR t. II, 128-138 del 3 settembre 1746; ASV, Fondo Benedetto XIV t. 8, ff. 1-40v e ff. 41-57v, rinnovava la istituzione di Urbano VIII del 1634. In modo analogo, Benedetto XIV chiese ai vescovi di non prendere posizione nei sinodi sulla disputa sui ministri del matrimonio, malgrado la sua preferenza per gli sposi ministri, De Synodo, lib. VIII c. 13.

Pontefice san Pio V»74.

Benedetto XIV attribuiva pertanto al romano pontefice una funzione essenziale avendo sulle spalle la sollecitudine per tutte le chiese: i pontefici dovevano mettere in opera «colle opportune provvidenze tutti gli aiuti che hanno potuto ai vescovi che sono ricorsi alla Sede Apostolica come Maestra e Centro dell’unità»75. Prova di «questa verità» erano le lettere, decretali e costituzioni, bolle e brevi dei sommi pontefici che riempiono le biblioteche e l’Archivio vaticano. A questo deposito lo stesso Benedetto XIV aveva fatto costantemente riferimento nelle sue decisioni prese «non di nostro capo, ma avendo sempre avanti gli occhi quanto dai nostri Predecessori è stato stabilito» in quanto era «un grave e irrefragabile argomento della sollecitudine della Santa Sede nel fare quanto può per indirizzare le anime nella strada del Paradiso». Che i pontefici avocassero a sé talune decisioni era dovuto anche alla non ottemperanza da parte dei vescovi delle indicazioni precedenti. A tale categoria era ascritto, ad esempio, il privilegio per l’esenzione dei chierici di rito greco dalla giurisdizione del vescovo latino e la loro soggezione immediata al romano pontefice, decisione giustificata da Benedetto XIV con gli scompigli derivanti dalla non osservanza da parte dei vescovi dei precetti contenuti nella istruzione di Clemente VIII sugli italo-greci.76 Vi erano degli ambiti poi in cui il vescovo non poteva legiferare da solo anche se spinto dai bisogni della sua chiesa perché essi erano settori comuni a tutte le chiese. Era il caso, citato tramite la decisione del 31 gennaio 1682 della congregazione del concilio quando era segretario Prospero Fagnano, del rifiuto di approvazione per il decreto sinodale dell’arcivescovo di Palermo in cui era stato prolungato il tempo pasquale per ottemperare all’obbligo della comunione pasquale per la grandezza della diocesi e la penuria di ministri. Il decreto sinodale, vagliato dalla congregazione del concilio, era stato rifiutato «ut Archiepiscopus uteretur iure suo» L. però non si peritava di chiosare il suo predecessore, aggiungendo una formula per certi versi ambigua, per altri rispetti più aperta della negativa risposta del Fagnano:

74 BUB t. 268 I fasc. 278, lib. VII c. 11 n. 3. 75 De Synodo lib. XIII c. 17 n. 9. 76 De Synodo lib. II c. 12 n. 6. La Instructio di Clemente VIII, Peri, Chiesa latina e

chiesa greca, 271-469.

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«ma non saremmo stati di opinione contraria e avremmo pensato che simili costituzioni sinodali non sarebbero valide senza l’approvazione apostolica».77

Pertanto il problema non era la impropria fuoriuscita dai limiti del diritto vescovile ma quello di prendere una decisione che ampliava i limiti stabiliti dal diritto in vigore, sebbene per giusta causa, senza il consenso della Santa Sede. Al contrario, con una previa richiesta di approvazione, i vescovi potevano, dunque, legiferare, ampliando non con «soverchio rigore» ma con «eccessiva condiscendenza» taluni limiti78.

Si veda anche il caso della delicata questione dei matrimoni tra una parte cattolica e una eretica. Lambertini chiariva ai vescovi del regno di Polonia le condizioni stringenti per dispensare, in quali casi e secondo quali condizioni era possibile ottenere una dispensa matrimoniale. In questo caso, i vescovi erano chiamati a svolgere una funzione di controllo di tipo notarile, più che a decidere con autonomia nei loro sinodi, per «preservare l’autorità apostolica e non mai di facilitare le dispense apostoliche ne’ matrimoni fra gli eretici e i cattolici».79

77 BUB t. 268 I fasc. 563, lib. VII c. 6 n. 10; tradotto «Nos tamen in similibus casibus

aliter judicandum putavissemus, nec hujusmodi Synodales Constitutiones sine approbatione Apostolica vim ullam obtinere consuissemus; cum non decernant, quod est a Jure praetermissum, sed contra Jus limites amplient ab ipso Jure praefinitos», BUB t. 268 I fasc. 563, De Synodo lib. XII c. 6 n. 10, correggendo peraltro un giudizio molto più netto presente nella ed. del 1748, «verum ejusmodi synodalis constitutio, si ederetur, corrigenda foret».

78 Va però precisato che L. arcivescovo stabilì una indiretta estensione del periodo in cui era possibile ottemperare all’obbligo della comunione pasquale a Bologna: secondo il Lateranense IV era il periodo tra la domenica delle palme all’ottava di Pasqua, ma la pubblicazione dei contumaci sarebbe stata fatta il 18 settembre, dando in pratica la possibilità di ottemperare fino alla festa della natività della Beata Vergine, l’8 settembre, Notificazione IV del 23 agosto 1735, Raccolta di alcune notificazioni, t. III, 36-48, questa scelta «è un passo che merita d’esser qualificato non di soverchio rigore ma d’eccessiva condiscendenza», ibid., 43; il tema è ripreso nella Notificazione XIV con altre precisazioni, ibid., 158-168.

79 BUB t. 268 I fasc. 377, De Synodo c. 3 lib. IX nn. 1-6, era possibile dispensare escluso «il pericolo della perversione nel fedele» avendo assicurazione «che la santa religione sarà anche preservata ne figli, o maschi o femmine, che siano per nascere dal matrimonio, assuntosi dal cattolico il pegno di procurare la conversione dell’eretico colle maniere che crederà opportune, ed espedienti, concorrendovi di più una grave e pubblica causa»; L. citava la costituzione Magnae nobis, n. 51, MBR t. II, 413-417, «in cui vengono additate le regole della buona disciplina pe’ casi ne quali si fanno istanze per simili dispense».

Al vescovo restavano margini di intervento e di libertà e il continuo ricorso a Roma poteva diventare una conferma di questi margini, poiché le congregazioni svolgevano una parallela azione di razionalizzazione. Uno dei principali obiettivi della legislazione episcopale in diocesi era, per esempio, la razionalizzazione e la verifica delle devozioni e dei costumi religiosi locali. L. propose nel corso del suo trattato vari esempi a cui i vescovi potevano ispirarsi per l’opera di razionalizzazione e indirizzo delle credenze popolari. Trattando della forma condizionata del battesimo, L. aggiunse un caso di battesimo dato a bambini morti analizzato e deciso dalla congregazione del Santo Uffizio. La pratica, alimentata dai padri premostratensi nel santuario di Ursberg (in Svezia), prevedeva che i corpi dei bambini morti fossero esposti ad una immagine sacra e se vi erano segni di una loro risurrezione anche solo temporanea venivano battezzati sub conditione «si vivus es»80. Nel 1750 Eusebio Amort aveva presentato al papa una dettagliata relazione su questa pratica a seguito della quale «fu ordinato che simile usanza si togliesse di mezzo» in quanto erano stati dati solo segni «probabili di resuscitazione» mentre per conferire il battesimo e parlare di miracolo occorrevano «segni evidenti» e prove «più chiare, limpide e perfettamente concludenti». Richiamando la sua opera sulla canonizzazione dei santi, egli invitava i vescovi (ma forse anche i membri delle congregazioni) a distinguere i veri segni miracolosi dai falsi:

«Noi letti i segni che si dicono apparire ne’ corpi de’ fanciulli, in sequela de’ quali si dà loro ne’ predetti santuari il Battesimo sub conditione, non vi abbiamo ritrovato le strida, gli ejulati, che per altro sono tanto naturali ai fanciulli, e che sarebbero un segno di gran rilievo nel punto della resuscitazione, e meno esposto all’impostura ed all’inganno».81

Il punto non era dunque quello di negare l’importanza del

80 BUB t. 268 I fasc. 258, De Synodo lib. VII c. 6 nn. 10-12. Il caso più noto era

analizzato dalla congregazione del Sant’Ufficio il giorno 27 aprile 1729 e confermato in congregazioni successive, del 29 dicembre, 20 febbraio 1737, 30 gennaio 1738, 3 e 6 giugno 1744 e l’11 maggio 1751. A. Prosperi, Dare l’anima. Storia di un infanticidio, Torino 2005, 175-217, sul battesimo e p. 208 per il caso di Ursberg.

81 Per l’atteggiamento di L. verso miracoli, visioni, apparizioni, M. Rosa, Mistica visionaria e «regolata devozione», in Settecento religioso, 48-58. La relazione di Amort, citata da Prosperi, Dare l’anima, 213.

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battesimo come via necessaria e imprescindibile alla salvezza, che L. aveva ben presente nel momento in cui giustificava la decisione della nonna neofita di «offrire», cioè dare a battesimo i nipotini, contro la volontà dei genitori ebrei, ma quello di non legittimare pratiche superstiziose e finti miracolismi.82

Ogni intervento legislativo del vescovo doveva comunque tenere conto delle condizioni storiche e di contesto in cui si inseriva. Per questo L., nell’esposizione dei casi, faceva largo ricorso ad argomentazioni storiche e alla necessità che ogni normativa fosse fondata su un lavoro di ricostruzione e selezione delle fonti, soprattutto quando si trattava di materie controverse, come le indulgenze. Mettere mano alle indulgenze «viene da molti creduto un grande azzardo», perché se da un lato si scorge la «necessità di implorare il rimedio», dall’altra si teme

«che scoprendosi l’insussistenza delle indulgenze… [il fedele] s’inquieti, si scandalizzi, e prenda occasione di mormorare contra chi ha in mano le redini del governo ecclesiastico».

Ciononostante L. chiedeva un saggio lavoro di verifica per evitare che al popolo fossero date consolazioni spirituali insussistenti.83 Mano ancora più felice ha L. nell’interpretare la disposizione del concilio di Trento sulle ordinazioni a titolo di patrimonio o di pensione, usando del lavoro di scavo storico dello Sforza Pallavicini84. L., che pure raccomandava di applicare rigorose restrizioni alle indiscriminate ordinazioni del clero, sottolineava che il vescovo si doveva sempre adattare alla necessità ed utilità della sua chiesa più che fare leggi in astratto. Il concilio, che aveva dibattuto questo punto consapevole dei rischi possibili, aveva lasciato aperta la porta ad un numero eccedente di ordinandi, per dare ai vescovi delle 82 Cfr. qui nota 69. Sulle posizioni dottrinali di Lambertini per le offerte di bambini

ebrei, M. Caffiero Battesimi forzati : storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Roma 2004, 278-280.

83 BUB t. 268 III Vol. A, De Synodo c. 18, «de’ postulati in ordine alle indulgenze ed osservanza delle feste»: se nella ricognizione delle indulgenze che il vescovo fa nella sua diocesi ne trova alcune che crede apocrife, «non lasci di esporle nella relazione dello stato della chiesa con le ragioni che glielo fanno credere» ed è a carico della congregazione del concilio rimetterne l’esame alla congregazione delle indulgenze, a cui Clemente XII diede facoltà di verifica con In ipsis Pontificatus del 1669: si dava al popolo «motivo vero di spirituale consolazione» chiedendo al pontefice di surrogare le indulgenze apocrife con indulgenze vere e canoniche.

84 BUB t. 268 I fasc. 490 tra cc. 54 e 55, De Synodo lib. XI c. 2 nn. 1-15.

diocesi con pochi benefici la possibilità di avere abbastanza clero per soddisfare i bisogni spirituali del popolo. I padri tridentini presero

«il savio temperamento di non escludere il titolo del patrimonio o delle pensione ma di ridurlo a quei soli che il vescovo giudica debbano assumerlo per necessità o per comodità della sua chiesa».

Pertanto:

«Novatore dunque improvvido sarebbe quel vescovo che nelle sue costituzioni sinodali togliesse affatto di mezzo il titolo del patrimonio o della pensione: ma savio esecutore della mente del concilio dovrebbe dirsi quel vescovo che dando un’occhiata al numero de’ benefizi della sua diocesi … al numero de’ sacri ministri che sono necessari … per ajuto de’ parrochi, per amministrare nelle chiese il sacramento della penitenza non meno pe’ secolari, che per le monache…, di qui poi prendesse la misura per ordinare, in difetto di benefizio, alcuni a titolo di patrimonio ed altri a titolo di pensione...».

Si trattava per i vescovi di non spingersi mai oltre quanto definito dal concilio di Trento, evitando di compromettersi sul piano dottrinale, ma anche ricavandosi spazi di libertà negli interstizi lasciati indefiniti dal concilio e adattando le proprie decisioni di governo alle necessità particolari della chiesa locale.

Il suggerimento che ripetutamente L. dava ai vescovi era sempre quello di conoscere le fonti del diritto e di porle nel loro preciso contesto storico. Da tale conoscenza L. faceva scaturire la soluzione al dilemma, secondo lui solo apparente, tra tradizione e novità. Una fiducia incrollabile nella autorità della chiesa lo induceva a scavare nel contesto dei provvedimenti normativi dei suoi predecessori sul trono di Pietro per trovare le ragioni concrete di novità solo apparenti rispetto «alla severa e antica disciplina»: esse erano modi per «accomodarsi con una discreta risoluzione alle circostanze de’ tempi».85 In altri casi egli invece si sforzava di dimostrare la

85 Tra i numerosi casi si veda quello sulla penitenza leggere prevista per chi uccide

uno scomunicato, in cui L. interpreta e contestualizza la decretale di Urbano II, riportata negli Annales dal cardinale Baronio, anno 1089, e da Graziano, canone Excommunicatorum 23 quaest. 5, BUB t. 268 I fasc. 533, De Synodo lib. XI c. 11 nn. 8 e 9: la normativa era legato al contesto delle faide tra parenti diffuse nella metà dell’XI secolo, rispetto alle quali era stata prevista la pena della scomunica per chi rompeva le «paci di Dio» e da qui era scaturita la decretale di Urbano II che alleggeriva le pene. In essa non voleva estendere «la sua disposizione a chi

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continuità di alcune istituzioni apparentemente «nuove» presentando «tanti monumenti di tanti secoli prima»: così fece per l’iniziativa di Sisto V di istituire la vista ad limina, passando in rassegna numerose fonti per conferire una attendibile copertura tradizionale e tracciare le origini alla decisione sistina la cui sola novità sarebbe stata la frequenza e le determinazione di interlocutori curiali per i vescovi. Ne derivava una giustificazione piena, in linea con la tradizione più antica della Chiesa, per la visita e la relazione, «essendo l’una e l’altra una sequela del Primato del Romano pontefice in tutta la Chiesa».86

Non tutti i casi però potevano essere limpidamente risolti avocando alla Santa Sede la decisione finale. L’ambito in cui le dinamiche ecclesiali si sovrapponevano – e si opponevano – erano i privilegi dei religiosi. Si faranno alcuni esempi concreti per mostrare come nel tessuto del discorso L. tenti di trovare un punto di equilibrio. Il primo caso è la interpretazione della Sess. 25 de regularibus, c. 3 del concilio di Trento. Tale decisione conciliare era stata posta a fondamento del fatto che, nelle diocesi ultramontane, fosse sufficiente la licenza del vescovo per erigere nuovi monasteri, senza autorizzazione da parte del pontefice.87 Tale interpretazione era stata rafforzata dalla costituzione Instaurandae regularis disciplinae di Innocenzo X che restringeva l’autorità della Santa Sede all’Italia e alle isole adiacenti88. L. invece sottolineava fortemente come Trento non avesse inteso recare pregiudizio alla precedente autorità apostolica ma ha «voluto che, oltre la medesima, intervenisse ancora l’autorità e licenza del vescovo locale», creando dunque una situazione di duplice blindatura per l’apertura e l’erezione di nuovi conventi. Un altro caso di equilibrio tra istanze opposte lo troviamo nella giurisdizione sui monasteri femminili. Pur raccomandando ai

ammazza qualunque scomunicato, come taluni hanno malamente preteso, tanto basta per dimostrare non aver esso abbandonata la severa antica disciplina contro gli omicidi, ma essersi accomodato con una discreta risoluzione alle circostanze de’ tempi che l’esigevano, per levare il grande inconveniente di chi nelle guerre private rompeva la tregua del Signore».

86 BUB t. 268 I fasc. 604, De Synodo lib. XIII c. 6. 87 BUB t. 268 I fasc. 387 e 394, De Synodo lib. IX c. 1 n. 9. Su questa sessione, BUB

t. 508 Ad S. Concilium Tridentinum nempe a Sessione IV ad XXV Adnotationes: ff. 119r-120r, sess. 25 c. 3 de regul. «qui regularium numerus in singulis conventibus, et monasterijs recipiendus sit»; ff. 120v-122r «de non erigendis novis Conventibus absque licentia episcopi»; cfr. COD, 777.

88 MBR t. IV, Lugduni 1692, costituzione «super extintione et soppressione parvorum conventuum» del 1652, 281-283.

vescovi di non ledere nei loro sinodi i privilegi dei regolari, per non arrecare pregiudizio all’autorità della Santa Sede che li aveva conferiti, L. chiariva le modalità e tempi del controllo dei vescovi sulle monache, a completamento o correzione di quanto fatto o trascurato dal superiore regolare. In particolare l’ordinario era il custode della clausura e a lui spettava il dare licenza per i trasferimenti o le uscite delle monache dai monasteri. Era comunque sempre sotto l’autorità del vescovo, oltre che del superiore regolare, la decisione di permettere l’uscita delle monache dai monasteri esenti nei casi gravi come incendi, peste o lebbra «e ciò per l’autorità comunicatagli [al vescovo] dalla Santa Sede». Il fondamento di questa autorità stava nel c. 5 della Sess. 25 de regularibus del concilio di Trento e nella costituzione di Pio V Decori et honestati. Questa, in particolare, stabilì che «essendo le monache astrette ad uscire» nei tre casi citati, non «basti la licenza del prelato regolare, ma richiedasi ancora quella del vescovo»89. Ma queste norme si potevano applicare anche in altri casi, purché gravi ed «equipollenti a quelli espressi da Pio V», per esempio se le monache dovessero essere allontanate da un monastero per i loro cattivi costumi «potendo questo capo uguagliarsi all’altro del morbo contagioso». Lambertini, dunque, tendeva a rafforzare una sorta di doppia giurisdizione sui monasteri femminili, sovrapponendo e non opponendo la competenza dell’ordinario e del superiore regolare che aveva giurisdizione su di essi.

Anche le precisazioni relativi alla confessione delle monache rientra in una tendenza al leggero rafforzamento degli ambiti di intervento e supervisione del vescovo (De Synodo lib. IX c. 15). Sui monasteri femminili si esercitava una sorta di doppia giurisdizione a compensazione reciproca tra superiore regolare e ordinario del luogo.90 La regola di offrire «alle monache a loro sottoposte, due o tre

89 BUB t. 268 I fasc. 427, De Synodo lib. IX c. 15; anche BUB t. 508 Ad S. Concilium

Tridentinum nempe a Sessione IV ad XXV Adnotationes ff. 125r-131v, Sess. 25 c. 5, per la costituzione di Pio V rubricata «de clausura monalium»; COD, 777-778.

90 BUB t. 268 I fasc. 427, i pontefici stabilirono, per rilevanti motivi, la disciplina che, sebbene i superiori regolari diano ai loro sudditi regolari, senza licenza e approvazione del vescovo, la facoltà di ricevere le confessioni e d’assolvere i compagni regolari, non possano però senza «l’intelligenza ed approvazione del vescovo, deputare confessori ordinari e straordinari alle monache dell’ordine benché a loro sottoposte»; era valida la sola eccezione dei regni spagnoli, secondo il breve di Urbano VIII «che nulla toglie alla norma nel rimanente del mondo cattolico ove non vi sono brevi sospensivi».

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volte l’anno, il confessore straordinario» di altro ordine regolare o secolare, conferma la compensazione che c’è tra ordinario e superiore regolare chiamando il primo a deputare il confessore straordinario se il secondo manca all’impegno. L. in questo caso citava la decisione di Innocenzo XIII,

«dopo un lungo esame fatto in una congregazione particolare, di cui in minoribus fummo segretario, sopra alcune provvidenze da prendersi per regola della disciplina nei Regni delle Spagne»91,

la quale disposizione grazie alle conferme di Benedetto XIII con la Apostolici ministerii e dello stesso Benedetto XIV con la Pastoralis curae, non poteva «essere impedita da qualsivoglia appellazione» ed era stata estesa a tutta la cattolicità92. Il controllo del vescovo era un modo per sovrintendere al monopolio esercitato dai religiosi sul sacramento della confessione, soprattutto quando il penitente era membro del clero. L’ordinario del luogo, in questo caso preciso, anche se aveva già sottoposto ad apposito esame ogni confessore operante in diocesi, doveva dare una espressa approvazione che prevedeva che il confessore di un chierico avesse cognizione di casi morali specifici e scaborosi, connessi ad abusi specifici in materia di mores e di sacramenti. Senza tale approvazione, estesa da Benedetto XIV anche ai vicari apostolici con le facoltà quibus ordinarii in suis civitatibus et dioecesibus utuntur, restava proibito ai regolari ricevere le confessioni dei sacerdoti secolari93. La centralità della confessione

91 Trento sess. 25 c. 10 de regularibus, COD, ***. 92 BUB t. 508 ff. 134r-v «de extraordinario confessario bis aut ter in anno monalibus

offerendo»; per la stesura da parte di L. della bolla di Innocenzo XIII, BUB t. 1063 I, Memorie per la vita di Benedetto XIV, fasc. 5. Pastoralis curae, 5 agosto 1748, MPR t. II, 471-481. Il significato dell’Apostolici ministerii, cfr. il mio Documenti, archivi e memoria.

93 BUB t. 268 I fasc. 433, De Synodo lib. IX c. 16, seguendo l’interpretazione del concilio di Trento e delle costituzioni apostoliche che Lambertini aveva già dato nella Istruzione XIX per la diocesi di Bologna, in Raccolta di alcune notificazioni, t. IV, 227-239. Benedetto XIV presentava in seguito il caso dei regolari che pretendevano di potere confessare i sacerdoti secolari senza l’approvazione dei vicari apostolici nel regno di Inghilterra. Innocenzo XI nel 1688 aveva deputato per l’Inghilterra tre vicari apostolici col carattere di vescovi in partibus e «Contro di loro si eccitò una controversia da parte dei missionari regolari di potere confessare i secolari» senza l’approvazione dei vicari «sì perché non erano ordinari, rigorosamente parlando, sì perché il concilio di Trento e le costituzioni apostoliche parlano de’ vescovo ordinari de’ luoghi, e finalmente perché né tempi precedenti con annuenza ancora de’ Sommi Pontefici e specialmente d’Urbano VIII, i

nella cura delle anime era infatti confermata dalle scelte che Benedetto XIV aveva compiuto durante il pontificato, che rafforzavano il controllo del vescovo sia attraverso la richiesta di una apposita licenza per predicare e confessare in diocesi, sia tramite la diretta e personale partecipazione dell’ordinario all’esame dei confessori.94

La pastorale nelle diocesi risulta fondata, secondo la visione che emerge nel De Synodo, sulla centralità della vita sacramentale e garantita dalla sorveglianza del vescovo. Il cardine attorno al quale girava la vita della diocesi era la figura moderatrice del vescovo che controllava un clero diocesano opportunamente formato nella scienza e nella pietà, regolava le controversie relative ai religiosi e stabiliva la sua autorità sui monasteri femminili. Le questioni lasciate aperte dal concilio di Trento necessitavano di interventi da parte del vescovo nella direzione della razionalità e della moderazione. Nella controversia relativa alla «moltitudine» degli ordinandi rispetto ai benefici curati e semplici, il vescovo aveva l’obbligo di attenersi al dettato conciliare che prevedeva di calcolare il numero degli ordinandi in modo proporzionale ai benefici curati, adattando questa prescrizione alle necessità della sua diocesi. Pertanto se le necessità della diocesi lo prevedevano, il vescovo poteva ordinare a titolo di patrimonio o pensione, ascrivendo poi i nuovi chierici al servizio di qualche chiesa come aiuto ai parroci per l’insegnamento e l’istruzione del popolo.95 Il problema era però soprattutto la responsabilità del vescovo nella scelta e selezione del clero: sia che avvenisse attraverso l’istituzione del seminario oppure, se la diocesi non poteva sopportarne il peso, attraverso altre forme, egli doveva curare la formazione teologica dei chierici e valutarne moralità e devozioni

missionari regolari avevano confessato i secolari senza l’approvazione del superiore ecclesiastico, benché decorato col titolo di vescovo in partibus; fu d’uopo trattare della materia in varie congregazioni di Roma, nelle quali essendosi considerato, che i vicari apostolici erano stati spediti e si spedivano colle facoltà quibus ordinarii in suis civitatibus et dioecesibus utuntur, che da quanto era seguito in alcune circostanze non poteva dedursi argomento pel futuro variante le circostanze, fu più volte risoluto non potere i missionari regolari ricevere le confessioni de’ secolari senza l’approvazione de’ vicari apostolici, essendo i soggetti ad essi in concernentibus curam animarum, et sacramentorum administrationem: e queste risoluzioni furono confermate» da Innocenzo XII, il 5 novembre 1696, e dallo stesso Benedetto XIV, il 2 settembre 1745.

94 Firmandis, 6 novembre 1744, MBR t. I, 432-440; la minuta ASV, Fondo Benedetto XIV t. 6, ff. 126r-141v.

95 BUB t. 268 I fasc. 490, De Synodo lib. XI c. 2.

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anche con limitati periodi di convivenza che facilitassero la creazione di un effettivo rapporto tra il vescovo e il clero. La scelta e il controllo stretto sulle ordinazioni sacerdotali era al cuore delle precipue responsabilità dei vescovi ed era il tema, dal forte valore programmatico, di tutti i primi documenti emanati da L. vescovo e papa.96

Nel rapporto tra il clero e il popolo, il sacramento della confessione rappresentava il centro della cura delle anime ma mentre Benedetto XIV conferiva il potere di controllo su questo settore al vescovo, ne sottolineava soprattutto il valore interiore e «medicinale» più che giuridico e «tribunalizio»97. Si faccia il caso delle controversie teologiche sull’eucaristia. Dopo avere parlato del viatico per i condannati a morte, L. presentava l’aspra controversia sulla comunione per i peccatori occulti o manifesti per «dare qualche lume ai vescovi ne’ loro sinodi».98 Egli infatti distingueva i peccatori occulti da quelli pubblici e manifesti: ai secondi si doveva anche pubblicamente negare l’eucaristia, così come quando

«il peccatore occulto domanda in occulto l’Eucaristia, essa gli sia negata, ancorché il Sacerdote, che gliela dovrebbe amministrare, sia informato del suo peccato per la strada della confessione sacramentale».

Se invece un peccatore occulto «domanda in pubblico l’eucaristia, se il sacerdote può occultamente ammonirlo che s’astenga dalla sacra mensa, lo può fare», «ma se il peccatore occulto si presenta, ciò non ostante, e domanda l’Eucaristia, non può ad esso negarsi» perché il peccatore non ha davanti a Dio

«il jus di domandare l’Eucaristia, ha però jus di non essere pubblicamente infamato, il che seguirebbe se in pubblico gli fosse negata l’Eucaristia, quando esso era preparato per riceverla».

Benedetto XIV infatti riteneva che il rispetto per il sacramento dell’Eucaristia dovesse venire dopo la necessità di tenere lontana dal sacramento della confessione «l’odiosità» essendo 96 Il II editto per Bologna dell’aprile 1732, in Raccolta di alcune notificazioni, vol. I,

9-14; la prima enciclica, Ubi primum, dicembre 1740, MBR t. I, 4-8. 97 A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino

1996, la seconda parte, 213-548, in partic. 476-484, per la distanza tra la confessione nel Cinquecento e gli sviluppi successivi.

98 BUB t. 268 I fasc. n.n. tra 278 e 294, De Synodo lib. VII c. 11 nn. 3-8.

«il sigillo della confessione talmente stretto, che il confessore che sa il delitto dal penitente unicamente per la strada della confessione, non può fuori della confessione parlare con esso del delitto, se non ne ottiene da lui un’espressa licenza».99

Non si trattava infatti di una gerarchia di importanza ma di una valutazione di opportunità nel contesto della cura delle anime che doveva favorire il più possibile il passaggio attraverso la confessione per accedere all’eucaristia, indicando, in tal modo, la strada al peccatore verso la salvezza, «non essendovi laccio che non si possa rompere quando con vero cuore si ricorra all’aiuto di Dio»100.

Il De Synodo nella seconda edizione rafforza dunque un modello di vita pastorale nella diocesi e anche un modello di pastore già presente nel trattato fin dal 1748. Benedetto XIV mutua l’impianto e le priorità dalle scelte di fine Seicento dei papi Innocenzo XI e Innocenzo XII in cui possono essere trovate le radici di un disegno riformatore che ha però caratteri propri.101 Innanzitutto, pastore nella chiesa è il sommo pontefice chiamato a decidere per tutta la chiesa ma anche, più semplicemente, a confermare i vescovi con l’opera delle congregazioni e con il governo della diocesi di Roma.102 Ma pastori sono soprattutto a diverso titolo i vescovi, i parroci e anche i confessori. Declinando le differenti responsabilità che i soggetti

99 Su questo L. richiamava le opportune considerazioni di Z.B. Van-Espen, Ius

Ecclesiasticum universum, Lovanij 1700, Vol. III, fol. 335, volume conservato nella sua biblioteca, BUB t. 425 I f. 443 b, e t. 425 IV f. 229v. Sul sigillismo confessionale vi erano state sue ripetute condanne per la violazione del segreto, A. Prosperi, L’Inquisizione Romana. Letture e ricerche, Roma 2003, 413-434, discussione ripresta nel mio Documenti, archivi e memoria.

100 Citaz. dalla notificazione sul precetto pasquale, Raccolta di alcune notificazioni, t. III, 47, cfr. qui nota 77.

101 Cfr. il progetto complessivo offerto da M. Turrini, La riforma del clero secolare durante il pontificato di Innocenzo XII, in Riforme, religione e politica durante il pontificato di Innocenzo XII (1691-1700). Atti del Convegno di Studio (Lecce 11-13 dicembre 1991), a cura di B. Pellegrino, Galatina 1994, 249-274.

102 È il caso del problema degli eccessi negli abiti delle donne che si accostano ai sacramenti della confessione e dell’eucaristia, De Synodo lib. IX c. 12, BUB t. 268 I fasc. lib. VII c. nuovo dopo il c. 64. L’editto pubblicato dal cardinale Vicario di Roma di Innocenzo XI, confermato da Clemente XI, del 5 luglio 1713, poteva liberare i vescovi «dalla censura di soverchia severità» quando nei sinodi fanno simili proibizioni per le donne che mancano della dovuta modestia nelle vesti e espongono le spalle o il petto. Ma questa posizione era suffragata anche da altre autorità come il I concilio provinciale di Carlo Borromeo, altri sinodi e concili italiani tra cui il sinodo di Foligno del 1722 di Battistelli, approvato e vagliato dalla congregazione del concilio con L. segretario.

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ecclesiali avevano nel contesto dello svolgimento della loro missione, Benedetto XIV insiste sul concetto del pastore prudente, studioso del diritto canonico e della teologia morale, dedito al proprio ministero con attenzione per il concreto e senso della misura. Un vescovo che è presente in diocesi e che entra in rapporto con gli ordinandi, le monache, il clero, che amministra personalmente l’eucaristia e il battesimo, che ascolta la confessione, visita i malati, conferisce la cresima, presenzia e partecipa alla prima comunione dei fanciulli. Un vescovo che il De Synodo, inevitabilmente, coglie soprattutto nei suoi aspetti di legislatore ma la cui vena normativa è costantemente indirizzata a guidare il clero curato e riscoprire lui stesso il valore cristiano del servizio e la dedizione senza riserve alla cura delle anime.

Si prenda il caso affrontato nel capitolo 19 dell’ultimo libro del De Synodo, ove Lambertini discuteva dell’amministrazione dei sacramenti in «tempo di peste» ovvero in condizioni eccezionali nelle quali, come diceva il Muratori, «non bisogna misurare coi riti del tempo placido quelli che possono convenire alla necessità de’ tempi miseri e stravaganti»103. Dopo avere ribadito che curati e vescovi serano costretti a mantenere la residenza materiale e formale anche in caso di peste e gravi pericoli per assistere spiritualmente e materialmente il popolo affidato loro, presentava l’esempio illuminante di Carlo Borromeo la cui eroica carità non implicava però l’obbligo a una sequela letterale. Vi era infatti una precisa graduatoria dei sacramenti che i curati erano chiamati a conferire al popolo a partire dal battesimo e dalla confessione, fino alla cresima e all’eucaristia. La cresima, anche se il modello di Borromeo incitava i vescovi a conferirla personalmente, non «è assolutamente necessaria per l’eterna salute» mentre battesimo e confessione, implicando il pericolo di perdere la salvezza eterna, dovevano essere conferiti anche a pericolo della propria vita. Come sempre dando precise indicazioni sulle autorità fondative del suo discorso, L. sente la necessità di discutere il valore normativo del V concilio provinciale di Milano celebrato da Carlo Borromeo: malgrado la forte opposizione, il concilio aveva ricevuto l’approvazione della Santa

103 BUB t. 268 III fasc. intitolato «d’un postulato proposto sopra l’obbligo

dell’amministrazione de’ Sacramenti ai Fedeli appestati nel tempo della peste …», De Synodo lib. XIII c. 19. L. citava il Trattato della peste, I ed. Mutinae, lib. III c. 4 L. A. Muratori, (Del governo della peste e delle maniere di guardarsene … diviso in politico, medico et ecclesiastico).

Sede, ciononostante la sua autorità non oltrepassava i confini della provincia ecclesiastica di Milano ed era «non in vi coactiva, ma in vi directiva» così come l’esempio di Carlo Borromeo era effetto di perfezione cristiana e non di obbligo. Dunque ogni vescovo doveva astenersi, nei sinodi, dall’obbligare i parroci a conferire personalmente l’eucaristia e l’estrema unzione, anche se Borromeo lo aveva fatto, ma tale obbligo era piuttosto legato alle circostanze. Il parroco, infatti, obbligato a dare personalmente i sacramenti anche agli appestati, poteva applicare tutti i rimedi e le cautele che riducessero la possibilità di contagio e poteva rifiutarsi se, con la sua morte, nessun altro avesse potuto conferire i sacramenti ai parrocchiani. Ma la centralità della confessione nell’economia individuale della salvezza, di cui si parlava sopra, imponeva, anche in circostanze straordinarie come una pestilenza, obblighi precisi e pochi «sconti». La grande responsabilità che cadeva sul confessore lo costringeva ad un ascolto integrale della confessione per conferire l’assoluzione solo al termine, malgrado il fondato timore di infettarsi con un contatto prolungato con l’infermo. Infatti se non si fosse ascoltata tutta la confessione, il confessore non avrebbe conosciuto interamente lo stato della coscienza, né adempiuto il proprio ministero

«essendo esso il medico dell’anima, e siccome il medico del corpo mancarebbe al proprio dovere se ordinasse all’ammalato qualche rimedio senza essersi precedentemente informato del di lui stato, così dee dirsi che manca alla propria obbligazione il medico dell’anima, allora che assolve il penitente senza aver prima intesa l’intera confessione de’ peccati».104

Proprio il valore centrale del sacramento in funzione dell’eterna salute, obbligava a scegliere l’opinione che esigeva il rimedio più sicuro e implicava nel confessore una abnegazione estrema: anche se il penitente poteva mancare all’integrità della confessione, se temeva di contrarre contagio, il confessore non poteva tralasciare di ascoltare in tempo di peste l’intera confessione di chi fosse disposto a farla. La medicina sacramentale era somministrata attraverso minuziosità e borromaico rigore.105

Si è già detto sopra come L. insistesse sulla necessità di non fare

104 Ibid., n. 18. 105 Prosperi, Tribunali della coscienza, 504, per la discussione sulla confessione degli

appestati fatta per iscritto e tramite altra persona.

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nuove leggi. È una attenzione che egli vorrebbe presente sia a livello di legislazione del pontefice sia a livello di legislazione del vescovo, anche se per differenti ragioni. Si propongono due casi per mostrare come procede l’argomentazione. Il primo caso è un problema relativo all’ordine gerosolimitano che L. ebbe per le mani, come consultore del Santo Uffizio, durante il pontificato di Clemente XI e pone l’alternativa tra il dispensare o il fare nuove leggi per sanare un abuso. Il capitolo in cui si inserisce questa nuova parte era quello delle raccomandazioni ai vescovi di non sostenere nelle loro costituzioni sinodali cose contrarie allo jus comune e alle costituzioni apostoliche, onde evitare che esse non ricevessero conferma. Egli infatti riteneva che la Santa Sede avesse «l’autorità di derogare ad ogni legge ecclesiastica positiva» ma

«occorrendo qualche caso particolare, e concorrendo gravi e rilevanti cause, essa dispensa lasciando nel suo rigore la legge negli altri casi, volendo il papa essere, quanto può, mantenitor dei sacri canoni, delle costituzioni dei suoi predecessori ed anche delle massime stabilite da’ gravi teologi ed uomini di sapere e di merito».106

La prudenza del pontefice consisteva nel «rimediare al male con un proporzionato rimedio»: nelle collazioni delle commende e priorati dell’ordine di Malta intervenivano alle volte preghiere, patti e donativi e il papa fu richiesto di dichiarare che i patti e i regali erano simoniaci. Nel parere scritto per Clemente XI, fondato sull’opinione dei teologi, L. sostenne che i benefizi ecclesiastici manuali, come le commende dell’ordine, non erano benefici soggetti al reato di simonia, pertanto si doveva sì prendere

«forte misura per levare l’abuso, essendo cosa troppo scandalosa […] ma però senza stabilire che le commende siano benefizi ecclesiastici, che siano soggetti di simonia e che i contravvenenti siano puniti come rei di simonia».

Clemente XI si astenne infatti dal qualificare le commende benefici ma, basandosi sugli statuti della religione confermati dall’autorità apostolica, chiese di giurare che le commende fossero ottenute senza patti e regali (come vogliono le leggi ecclesiastiche e

106 BUB t. 268 I fasc. 559, De Synodo lib. XII c. 5 nn. 14-18. Il caso fu discusso l’11

febbraio 1719 e definito da Clemente XI nel breve Inclytum Ordinem diretto al granmaestro.

del secolo), dichiarando nulle tutte le collazioni ottenute con patti, annullando qualunque pretesto d’antico possesso e di buona fede, sottopose i contravvenenti a tutte le pene imposte dai canoni e dagli statuti dell’ordine.

Il secondo caso con cui L. mostrava ai vescovi l’inopportunità di legiferare ex nihilo era relativo al reato della sollecitatio ad turpia, «delitto pur troppo il più frequente e che più spesso d’ogni altro succede e va succedendo nelle confessioni». Il reato della sollecitazione era uno dei temi più delicati che un vescovo dovesse affrontare in sinodo, sia perché esso coinvolgeva i confessori nell’ambito del proprio esercizio sacramentale, sia perché vi era l’obbligo per la persona sollecitata, normalmente una donna, di denunziare il sacerdote sollecitante. Benedetto XIV affrontava il problema dell’obbligo per la persona sollecitata di ammonire il sacerdote sollecitante prima di denunziarlo, per dimostrare come non ogni abuso richiedesse nuove leggi e che anzi fosse prudente astenersi dal farlo poiché le leggi ecclesiastiche non potevano entrare completamente nei casi concreti. Dopo avere ricordato che la denunzia doveva essere fatta o al tribunale dell’Inquisizione o al tribunale vescovile, come lui stesso aveva sostenuto nella bolla Sacramentum Poenitentiae107, invitava a «lasciando le cose come sono» e permettere ai direttori spirituali di valutare di volta in volta e indirizzare le persone nel modo più giusto,

«essendosi trovato che in alcune circostanze la cosa era nociva e in altre era giovevole, […] succedendo pur troppo più volte in pratica, che la persona sollecitata non mai s’indurrebbe a denunziare il sollecitante, se non avesse la libertà di preventivamente ammonirlo».

Era chiaro che in simile materia «il tutto debba dipendere, non già dagli Editti e costituzioni, ma dalla prudenza dei Direttori spiritua-li»108. Questo era dunque il modo di risolvere una questione che tanto aveva occupato confessori, inquisitori e vescovi – e li avrebbe occupati anche in futuro – questione che metteva sotto accusa il clero, disonorava le donne, contrapponeva diverse istanze ecclesiastiche. Da 107 Primo giugno 1741, MBR t. I, 50-54. 108 BUB t. 268 I fasc. 229, De Synodo lib. VI c. 11, nn. 4-14 (citaz. da n. 14). Il reato

di sollecitatio, visto in chiave storica, Prosperi, Tribunali della coscienza, 508-519; in partic. p. 538 n. 36, la lettera del 1737 di L. all’arcivescovo di Pisa, in cui proponeva di cercare testimoni per la donna evitando di disonorarla o di svelare il segreto.

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qui poi bene si intende perché L. affidasse ai vescovi-pastori il grave compito di scegliere i confessori in diocesi, poiché a questi ultimi spettavano gravi ed importanti responsabilità in cui il vescovo-legislatore non poteva entrare se non in modo indiretto.

Se il vescovo doveva valutare prudentemente l’opportunità e gli argomenti sui quali esprimersi nei sinodi e imparare a tenere «la via di mezzo tra il rigore e la rilassatezza»109, era importante che evitasse di entrare troppo nel dettaglio, per lasciare ai confessori la libertà di decidere nei casi concreti. I confessori erano, per esempio, chiamati a valutare l’opportunità di assolvere i candidati al sacerdozio macchiati di peccato mortale ed eventualmente differire la loro ordinazione e assoluzione. Si trattava di declinare concretamente la norma prevista da Trento nella Sess. 23 de ref. cc. 11, 13 e 14 su un settore che L. considerava centralissimo nella vita della Chiesa, cioè la selezione del clero curato110. Rispetto alla antica consuetudine, dal secolo XI era invalsa la nuova disciplina di non escludere dal sacramento dell’ordine persone che si fossero macchiate da colpe purché esse fossero occulte e vi fossero prove di sincero pentimento. Il confessore aveva però la responsabilità di valutare il pentimento e l’opportunità che il penitente fosse comunque promosso (il sacramento dell’ordine «per riceversi degnamente, non richiede se non lo stato della grazia»), se dare l’assoluzione, se negarla o differirla, infine verificare se il pentimento fosse finto, dubbio o incerto: il penitente non era in grado di ricevere l’ordine se non voleva dare qualche preventivo «esperimento delle sue diligenze per sradicare l’abito cattivo»; se persisteva nel volere ricevere l’ordine si rendeva indegno di ricevere l’assoluzione come indisposto; ma si poteva comunque dare un’assoluzione piena e immediata se il confessore «avesse valide congetture» di una grazia straordinaria di compunzione data Dio.111 Il 109 BUB t. 268 I fasc. 377, De Synodo lib. VII c. 15, n. 7, «Noi in questa ed altre simili

controversie non prendiamo partito, e crediamo così doversi fare anche da’ vescovi ne’ loro sinodi».

110 BUB t. 268 I fasc. 490 tra i cc. 54 e 55, De Synodo lib. XI nuovo c. 2 nn. 17-18; cfr. BUB t. 508 ff. 76v-77r «de regularibus et saecularibus ante legitimam aetatem nec sine esamine promovendis ad Ordines»; la sess. XXIII de ref., cc. 11, 13 e 15, COD, 748-749.

111 La ragione della prudenza era legato al fatto che se il penitente fosse ricaduto nel peccato dopo l’ordine, la ricaduta «sarebbe più grave e più abominevole»: per questo il confessore «deve esigere dal penitente qualche cosa di più che non esigerebbe, se non fosse per ascendere all’ordine sacro, differendo perciò l’assoluzione ed esigendo nuovi esperimenti della vera e sincera conversione». Il caso, discusso perché costituiva un esempio completo, era capitato in alcune città

pericolo dell’infamia, da cui doveva essere tenuto lontano un peccatore che chiedesse l’Eucaristia in stato di grave peccato, non era impedimento per conferire in modo affrettato l’ordine ai candidati al sacerdozio. Al confessore-direttore dell’anima spettava la grave responsabilità di amministrare nel contempo il giudizio ma anche la medicina di Dio, per non tradire il suo ministero e anche il penitente a lui affidato, alla cui guarigione un rimedio poteva essere più giovevole di un altro. Al confessore spettava di entrare nell’intimità dell’anima per distinguere tra finzione e realtà e in tale compito delicato il vescovo poteva accompagnarlo ma non dirigere dettagliatamente. Il vescovo prudente doveva per questo lasciare ai confessori, da lui accuratamente selezionati, interi ambiti di decisione e riservare a sé solo la definizione delle regole generali, stabilite sulla base di una conoscenza della realtà della diocesi frutto anche della visita pastorale.

Il fine principale del De Synodo era permettere ai vescovi di legiferare fondandosi «sul solido», inserendo nei loro statuti la risposta alle necessità concrete del governo vagliate dalla autorità della Santa Sede, che operava un filtro sulla molteplicità delle fonti del diritto, valorizzava alcune soluzioni, lasciava cadere percorsi che non erano più adatti alle circostanze del tempo. Su tutto il resto, L. intendeva lasciare aperte e indecise le controversie dottrinali vive nelle scuole dei teologi, da affrontare eventualmente come «aggiornamento» del clero nelle conferenze dei casi morali.112 Prudenza, moderazione, buon senso, capacità di comprendere i casi concreti e spirito di adattamento alle reali necessità della propria chiesa era quanto L. chiedeva ai vescovi di mostrare nei loro sinodi diocesani. Forse proprio queste doti lo indussero a rinviare la progettata celebrazione di un sinodo a Bologna.113 Più difficilmente

d’Italia. Se l’ordinando peccava e si confessava negli esercizi che precedono di poco l’ordinazione, vi era il pericolo dell’infamia se non veniva ordinato ma il confessore aveva il compito di fare capire all’ordinando che «l’eterna salute precede qualsiasi mondano rispetto, ma che non vi è veruna infamia nel dire e confessare di volere meglio pensare alla risoluzione che lo porta ad un tenore di vita che porta seco pesi più gravi e che dee mantenersi fintantoché sarà in questo mondo».

112 Una discussione lasciata aperta era quella sulla forma condizionata della penitenza, BUB t. 268 I fasc. 563, De Synodo lib. XII c. 6 n. 12. Le conferenze morali erano state suggerite da Innocenzo XIII e ribadite da Benedetto XIII nel sinodo romano del 1725, Rosa, Tra cristianesimo e Lumi, 192.

113 Sul progetto di sinodo, cfr. la prefazione al De Synodo, XXVII-XXVIII; BUB t. 1063 I Memorie per la vita di Benedetto XIV, Busta I pars secunda B, c. 4; rinvio

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spiegabile la mancata ottemperanza dell’obbligo della visita ad limina che nei nove anni del suo episcopato avrebbe dovuto essere compiuta almeno due volte. Non solo Benedetto XIV aggiunse un trattato sulla visita al De Synodo, segno evidente del significato che questo atto di «dovuta sottomissione» al romano pontefice rivestiva nella concezione dei rapporti tra vescovi e Santa Sede, ma egli, che aveva preso possesso della chiesa di Bologna come vescovo che si inseriva nel solco della tradizione dei predecessori e non come «novatore»114, aveva l’esempio del card. Boncompagni che, nei suoi quaranta anni di governo, aveva presentato undici relazioni durante la visita delle tombe degli apostoli.115 Se forse ragioni di prudenza spinsero Lambertini a rinviare la celebrazione del sinodo, motivi concreti anche di ordine economico gli imposero di chiedere una proroga all’obbligo di recarsi a Roma nel 1735 in quanto

«oppresso da quattromila scudi di pensione, correndo un anno in cui mi è convenuto comprare il grano per mantenere i villani e seminare, ed essendo pur troppo imminente il pericolo del male delle bestie bovine»;

egli inoltre sottolineò la stretta relazione tra la visita pastorale e la

anche al mio Lambertini a Bologna, 455-59.

114 Copia di lettera di Lambertini del 25 aprile 1731, da Roma, al vicario capitolare Achille Felice Pellegrini, AAB, Archivio capitolare della metropolitana, Cart. 54, Sede vacante di Bologna dal 1731 al 1731, vol. 2, n. 130 (edita da Fanti, Prospero Lambertini, 212): L. aveva saputo di un mutamento della già proclamata processione di S. Donato stabilito dal vicario, «Ella avrà creduta così ed avrà pensato di far bene e però non condanno la sua intenzione ma nello stesso tempo devo dirle che, se io fossi stato vicario capitolare, non avrei fatto altrettanto e se l’avessi fatto l’avrei corretto […] assicurandola che il successore non viene con animo di disfare il fatto dall’antecessore o di lasciarsi pregiudicare in un minimo iota, e che dopo avere per tanti anni servito le congregazioni di Roma dovrebbe avere qualche pratica del governo ecclesiastico».

115 U. Mazzone, La visita e l’azione pastorale di Giacomo Boncompagni, arcivescovo di Bologna (1690-1731), in CrSt 4 (1983) 343-366; non solo manca la relazione in ASV, Fondo della congregazione dei vescovi ma in AAB, Fondo Visite pastorali vol. 43 f. 85r-v e f. 87r, si trovano copie del tempo di lettere del card. Lambertini al card. Origo, prefetto della congregazione del concilio: il 25 ottobre 1735, L. chiese la dispensa per rinviare la visita, ricevendo una proroga di un anno, spedita il 9 novembre 1735; il 15 novembre 1738 fu presentata una analoga richiesta dal procuratore di L. Giovanni Pelagalli, nell’udienza del 26 novembre 1738, «Sanctissiumus annuit» e il 13 dicembre fu dato l’atto di proroga. Ancora nel 1754, al momento della nomina di Malvezzi, L. ricordava il peso da lui sostenuto per le pensioni che gravavano la mensa bolognese, Lettere di Benedetto XIV al card. De Tencin, Vol. III, 99, 12 dicembre ’53 e 108-109, 9 gennaio 1754.

visita ad limina

«non ostante il continuo moto avuto da me in questi quattro anni, ho bensì finita la visita della diocesi, ho fatta parte di quella della città ma me ne resta molta da fare e però [perciò] non sono in grado di potere per anche trasmettere la relazione dello stato della chiesa».

Nella seconda richiesta di proroga, presentata nel 1738, Lambertini subordinava la visita ad limina alla prossima celebrazione di un sinodo diocesano allorquando, completata la visita pastorale, sarebbe stato finalmente possibile presentare una relazione completa dello stato della chiesa:

«In super obsequentissime rogo E.V., ut mihi a Sanctitate Sua pariter impetrare non gravetur novam dilationem transmittendi statum huius Ecclesiae usque quo per me celebrata fuerit Synodus Dioecesana, eo enim tempore exactionem et pleniorem huius Archi-Diocesis relationem instituere potero».

Una breve considerazione si impone sul dato teorico e sulla modalità concreta che il vescovo L. ebbe di gestire e prendersi spazi di libertà rispetto al quadro normativo. Nel libro primo, c. 6 n. 5, L. discusse la posizione di alcuni teologi sulla frequenza con la quale si doveva radunare il sinodo in rapporto alle prescrizioni del Tridentino. In esso erano richiamate le indicazioni, ad esempio, di Monacelli che suggeriva di concludere la visita pastorale prima di celebrare un sinodo, indicazioni che, stando alle motivazioni addotte nelle due richieste di proroghe, L. sembrerebbe condividere116. Egli invece nel De Synodo (fin dall’ed. del 1748) criticò simili posizioni di privati dottori patentemente contro la lettera del concilio, esecrò il comportamento dei vescovi che, senza giusta e motivata causa ma per sola trascuratezza, erano negligenti nei confronti di questa prescrizione – passibile, ricordava L., della pena della sospensione dall’incarico – ed infine, ricordando la sua esperienza a Bologna, concludeva che sempre il vescovo doveva attenersi alle norme, declinandole nel concreto delle necessità della diocesi, perciò, di fronte ad evidenti e importanti cause, poteva prendersi la libertà di rinviare la celebrazione di un sinodo. Il sinodo era inutile come

116 F. Monacelli, Formulario legali practico, 1709, cfr. Menozzi, Prospettive sinodali

nel ’700..., 117.

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strumento per fare nuove costituzioni ma necessario, invece, di fronte alla odierna «morum corruptela», per rinsaldare e fare rivivere le antiche leggi. Da qui si può prendere spunto per suggerire una possibile chiave di lettura dell’opera. Il De Synodo permetteva ai vescovi di avere cognizione delle leggi che regolavano i diversi ambiti di governo della diocesi e, in tal modo, dare loro l’esatta percezione di quali siano gli spazi ad essi riservati e di quali i limiti da non varcare o entro i quali svolgere una pura funzione notarile. Ad ogni modo, il vescovo, evitando di produrre nuove leggi ma facendo rivivere la più antica e genuina tradizione della chiesa locale, poteva e doveva assumersi la responsabilità delle sue decisioni che avrebbero potuto richiedere, talvolta, una motivata non ottemperanza della lettera delle leggi, per realizzare più pienamente e nel modo più adatto alle circostanze concrete il proprio munus pastorale.

Nel passaggio tra ’48 e ’55, il De Synodo dioecesana ampliò i settori in cui i vescovi dovevano astenersi dal decidere, ritagliò un campo d’azione nella selezione e governo dei chierici, nell’amministrazione dei sacramenti, nel controllo dei monasteri femminili e, in modo più parziale, sui religiosi, affidando ai vescovi la competenza di legiferare solo su alcune questioni pastorali e disciplinari. In particolare aumentavano gli ambiti e gli argomenti sui quali il vescovo doveva astenersi dal prendere posizione, crescendo forse la consapevolezza da parte sua della delicatezza di molti nodi e della difficoltà di una azione positiva nel locale, come nel centro romano, frutto di una decisione se non sinodale almeno partecipata. Una lezione questa che L. aveva assimilato grazie al suo impegno curiale negli anni venti e, in particolare, grazie al fallimento pratico del sinodo romano del 1725. Prendendo come punti di riferimento la seconda Istruzione per la diocesi di Bologna, la prima enciclica del pontificato Ubi primum e il De Synodo del 1755, la figura del vescovo si caratterizzava in modo crescente per quei connotati di «teologia pratica» e buon senso pastorale che delimitavano i confini della sua iniziativa nella chiesa del Settecento117. Soprattutto, mi pare, si evidenzia la personale opzione di papa Lambertini, posto di fronte

117 Secondo la definizione di C. Donati, Vescovi e diocesi d’Italia dall’età post-

tridentina alla caduta dell’antico regime, in Clero e società nell’Italia moderna, a cura di M. Rosa, Roma-Bari 1992, 372. La presenza nella Ubi primum del modello del sinodo romano del 1725, basato su residenza, visita pastorale, predicazione e, infine, celebrazione dei sinodi, era stato notato da Fiorani, Il concilio romano..., 111.

all’alternativa tra fedeltà alla tradizione tridentina e apertura ai contraddittori stimoli della sua età, per radicare la vita diocesana della Chiesa in un cattolicesimo papale e gerarchico, unica e sola garanzia per l’impegno dei vescovi.

Il De Synodo espresse una opzione precisa rispetto al modello di «buon vescovo» che circolava nella letteratura canonistico-pastorale del primo Settecento118: esclusa la dimensione spirituale, negata la componente contemplativa o ascetica, esclusi interventi autonomi e creativi in ambito teologico, il trattato si ancorava saldamente al dato giuridico come il solo che, nella sua positività, era in grado di dare ai vescovi una base ai propri interventi. L’operato del vescovo era ancorato al dato oggettivo della norma o della consuetudine, vagliata alla luce delle necessità concrete, in una precisa gerarchia degli interventi possibili, senza eccessi rigoristi, moralisti o antilassisti119. Verrebbe da vedere in questa opzione una presa di distanza rispetto al modello del vescovo proposto Benedetto XIII di cui era comunque recuperata una moderata linea rigorista che si riallacciava alle riforme di Innocenzo XI e di Innocenzo XII.120 L’esperienza confusa, convulsa, piena di tensioni non risolte del concilio della provincia dei Roma del 1725 deve essere stato, per gli aspetti di preparazione e di gestione, un antimodello per Lambertini se, come risulta dalle fonti normative per la diocesi, l’arcivescovo di Bologna spese nove anni a pensare un sinodo che non celebrò mai perché non ancora abbastanza preparato.

Un dato che emerge con chiarezza dall’opera nella sua seconda edizione: la posizione suggerita ai vescovi nei riguardi di tutti gli aspetti controversi, in particolare in materia di giurisdizione ecclesiastica e di privilegi personali, locali e fiscali del clero, era quella della rinuncia in nome di un «bene pubblico» oltre per ampliare lo spazio del governo pastorale, concepito come separato ma

118 L. Billanovich, Gregorio Barbarico fra antichi e nuovi modelli episcopali, in

Ricerche di storia sociale e religiosa 52 (1997) 7-30; 119 Cfr. gli interventi «rigoristi» di carattere moralistico di Crispino, G. De Rosa,

Giuseppe Crispino e la trattatistica sul buon vescovo, in Ricerche di storia sociale e religiosa 9 (1976) 171-213 (poi anche in Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Bari 1978, 103-143).

120 Per il legame tra Gregorio Barbarico, Giuseppe Crispini e l’Orsini, i citati interventi di Billanovich e De Rosa; per la proposta di papa Orsini rinvio al mio lavoro Liturgia e Parola di Dio nel concilio della provincia di Roma (1725), in CrSt, di prossima pubblicazione. Per le riforme di fine Seicento, Turrini, La riforma del clero secolare..., 249-274.

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collegato al governo civile. Su questo punto Lambertini prese le distanze in modo esplicito da una prassi e da una teoria largamente praticate, in perfetta coerenza con le scelte operate durante l’episcopato bolognese o in ambito concordatario durante il pontificato.121 L’edizione del 1755 fu dedicata all’imperatrice Maria Teresa, con un richiamo all’interesse e alla responsabilità che l’ambito religioso rivestiva per i governanti: la felicità dei sudditi, di cui la salus era parte, era l’obiettivo di una distinta ma convergente azione del governo civile e del governo spirituale, in un disegno di necessaria armonia tra Regnum e Sacerdotioum.122

Per essere vescovi occorreva avere perizia giuridica, conoscenza dei canoni e dei decreti conciliari, le decisioni delle congregazioni romane, mentre Sacra scrittura e teologia restavano sullo sfondo.123 Lambertini non insisteva nemmeno su aspetti per così dire «sacerdotali» della figura del vescovo, come la predicazione personale, mentre rafforzò la dipendenza dalla fontalità sacramentale del vescovo di tutti coloro che impartivano o celebravano i sacramenti nella diocesi, guidato da una concezione pastorale del munus episcopale per la salvezza di ogni singola anima124. Scelse dunque di analizzare e descrivere gli aspetti di diritto amministrativo ecclesiastico insiti nella funzione episcopale: per questo si concentrò sul sinodo diocesano – evitando il collegiale concilio provinciale o i controversi concili generali e/o ecumenici – inteso come momento

121 Lambertini a Bologna, 1731-1740 e Documenti, archivi e memoria: Lambertini e il

regno di Spagna citati; per lo scarto da un modello imperante, M. Turrini, Penitenza e devozione. L’episcopato del card. Marcello Crescenzi a Ferrara (1746-1768), Brescia 1989, in partic. le conclusive pp. 255-261.

122 Solo l’ed. Salomoni ha la dedica a Maria Teresa d’Austria, alle a-a2 seguite da otto ff. n.n. a1v-a2r; la dedica, che ricordava la comune fatica per giungere all’accordo per il patriarcato di Aquileia, non fu più reiterata nelle ed. successive ancora vivente Benedetto XIV. Cita la lettera 51 di Ambrogio all’imperaotre Teodosio «etsi in praeliis felicissime egeris, etsi in aliis quoque laudabilis, tamen apex quorum operum pietas semper fuit», conclude con «Quod quidam quoties rogabimus, toties nos pro Austriacorum Regnorum felicitate, pro bonarum artium incremento, pro Catholicae Religionis bono rogasse, omnes, qui recte sentiunt, existimabunt».

123 G.B. De Luca, Il vescovo pratico overo discorsi familiari nell’ore oziose de giorni canicolari dell’anno 1674, Roma s.d. e la ricostruzione complessiva di A. Menniti Ippolito, Il governo dei papi nell’età moderna. Carriere, gerarchie, organizzazione curiale, Roma 2007, 90-99.

124 Un aspetto che ha tratti in comune con Gregorio Barbarico, cfr. Billanovich, Gregorio Barbarico..., 20-24, pur restando la distanza che segnalavo sopra anche e soprattutto in termini teologici sul «diritto divino» della residenza.

legislativo di giurisdizione limitata che interveniva, per necessità e per scelta, sulla sola dimensione pastorale. Il monarcato del vescovo si esplicitava nel sinodo in modo univoco mentre con maggiore difficoltà l’autore avrebbe potuto disciplinare uno strumento collegiale come un concilio provinciale o generale che implicavano una relazione con altri vescovi o con il pontefice romano. Nello spazio legislativo occupato dal sinodo e da strumenti normativi equivalenti, al vescovo era consigliata e mostrata tutta l’utilità di un’azione moderata, fondata su una giurisprudenza e una normative che Lambertini si sforzò di sintetizzare, riducendo i margini di incertezza e di ambiguità, concentrando le scelte pastorali qualitativamente più pregnanti su tre ambiti precisi: cernita e formazione culturale del clero, in particolare curati e confessori; razionalizzazione delle pratiche, purificazione della liturgia, concentrazione della vita religiosa laicale sui sacramenti; ferrea regolamentazione dei terreni di scontro e incontro dei corpi ecclesiastici tra loro e della chiesa locale con i corpi civili. Su ogni singolo problema dibattuto, si sforzò di presentare un aggiornato status quaestionis e di ordinare e gararchizzare le fonti normative attraverso una ratio giuridica che dava alla sede romana una funzione dirimente; la conferma delle intuizioni locali e la loro eventuale estensione alla chiesa universale; la chiarificazione di singoli punti oscuri. Da qui dunque una piena riconferma del primato romano, in cui sommo pontefice e congregazioni curiali si identificavano in un reciproco rispecchiamento, primato fondato su ragioni di autorità per la storica preminenza apostolica, su motivazioni razionali, quali la superiorità e lucidità degli usi normativi, su ragioni sacramentali, come il potere di concedere e moltiplicare la grazia, sciogliendo gli ostacoli che si frapponevano ad essa.

Maria Teresa Fattori,

Istituto per le scienze religiose – Bologna

Appendice I

«Questa è la prefazione da noi posta in fronte di quest’Opera de synodo dioecesana, pubblicata l’anno 1748 colle stampe romane; e questa stessa prefazione si ritrova in tutte le altre susseguenti edizioni sin ora fatte. Dopo ciò, avendo noi avuti sicuri rincontri [sic] del gradimento, con cui sono state ricevute queste nostre fatiche, non ostanti le cure incessanti e spinose del Pontificato, ci siamo ingegnati d’andare a tratto a tratto rubando qualche

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poco di tempo, ritirandoci nella nostra Biblioteca, e dando di mano non solo ai libri, ma anche a molte fatiche fatte da noi, quando in minoribus eravamo adoprati dai Sommi Pontefici nostri Predecessori e Benefattori, e comandati a dare il nostro parere ora in voce, ed ora in carta: e con questa scorta invitati a fare una nova edizione dell’Opera con quelle aggiunte che avessimo credute necessarie, ad opportune, ci siamo ingegnati di soddisfare i requirenti. Il benigno Lettore sarà quello che darà giudizio della presente edizione, e delle aggiunte: e saressimo sicuri del benigno accoglimento di ciascheduno, se ciascheduno che leggerà, fosse stato presente, quando noi scrivevamo e dettavamo; imperocché avrebbe veduto gl’interrompimenti, la necessità di tralasciare quanto si era scritto, o dettato, per riassumerlo [inserito dopo] alle volte molte ore dopo, altre volte giorni interi, e qualche volta settimane e mesi, aspettando miglior [fin qui] tempo, e congiunture meno imbarazzanti. Per dire poi qualche cosa di questa nuova edizione, diremo, non aver noi avuta occasione di mutare o correggere cosa veruna inserita nelle prime stampe. Essendoci bensì sembrato, che nella prima edizione il Libro settimo dell’Opera fosse più amplo del dovere, si è fatta una nuova divisione delle materie in più Libri. Secondo le opportunità che sin sono presentate, vi sono andate intrecciando alcune addizioni ne’ luoghi propri per confermare il già detto nella prima edizione [poi cancellato] e senza alterare lo scritto, non si è tralasciato di fare alcune addizioni: e vi sono fatti molti ed importanti capitoli nuovi, che non sono nelle prime edizioni, per arricchire la presente, con quelle notizie che abbiamo credute di molto rilievo. Non meno nella prima edizione dell’Opera, che nella presente, si ritrovano molte e molte risoluzioni specialmente della Congregazione del Concilio, allegate ora in un modo, ora in un altro: ad acciò chi legga, non resti esposto a veruna confusione, crediamo bene d’avvertirlo, aver Noi, quando eravamo Segretario della detta Congregazione, introdotta l’usanza d’inserire ne’ fogli che si stampano dal Segretario, le precedenti risoluzioni della Congregazione, che potevano servire per risolvere il caso che si proponeva, ed anche le autorità de’ più insigni canonisti, che potevano contribuire allo stesso intento. I nostri successori hanno seguitato lo stesso metodo, e queste nostre e loro fatiche si ritrovano unite in alcuni Tomi stampati col titolo Thesaurus resolutionum Sacrae Congregationis Concilii. I primi quattro tomi sono nostri; gli altri de’ nostri successori. E quando nell’Opera nostra presente de Synodo dioecesana si vedono allegate le risoluzioni riferite nel Tesoro, che se ne vuole accertare, è d’uopo, che dia mano all’opera predetta intitolata Tesoro. Vi sono poi molte e molte altre risoluzioni allegate col giorno, mese, ed anno, in cui sono state fatte, coll’indicare ancora il Libro, e la pagina del libro, ove si ritrovano: ed in ordine a queste risoluzioni diremo aver noi per dieci e più anni come segretario avuti nelle mani i Registri della Congregazione, e l’Archivio della medesima, avere speso gran tempo nel leggere e notare, ad avere con non ordinaria fatica estratte dai Registri e dall’Archivio tutte quelle cose che abbiamo credute necessarie, e degne d’essere sapute: e queste sono le risoluzioni, come abbiamo detto, indicate col giorno, mese, ed anno in cui sono state fatte, coll’indicazione del Libro da cui sono state estratte, e della pagina dello stesso; in tal maniera che chi vorrà accertarsene, resta illuminato di ciò che dovrà fare: [fino al punto aggiunto] che è lo stesso che dire, dovrà ricorrere al Segretario della Congregazione, se vuole in forma autentica la risoluzione, che facilmente otterrà, indicando il luogo ed il Libro, da cui

dovrà estrarvi, giusta l’ammonizione del celebre autore Prospero Fagnano, prefissa alla testa delle sue Opere; quando però non avesse per noi quella bontà, che noi e tutti gli altri abbiamo per lo stesso Fagnano, a cui, per essere stato segretario della Congregazione, ed avere avuti in mano i Registri, si dà da noi, e da tutti gli altri ogni credenza, senza far altra indagine, o ricerca. Nell’Opera pure presente si allegano altre varie risoluzioni d’altre Congregazioni: e queste pure sono state da noi rincontrate ne’ loro Registri. Nelle nuove aggiunte abbiamo seguitato l’antico nostro metodo di non dar per deciso quello che non è stato deciso, di non ingiuriare veruno, ancorché la sua opinione non sia conforme alla nostra; essendo bene persuasi, che ciò disdice all’uomo onesto e Cristiano, e che si può dire tutta la sua ragione senza ingiuriare o disprezzare veruno. L’Opera è stata da noi imbastita, e quasi compiuta, quando eravamo Cardinale, e reggevamo la Chiesa di Bologna, come di sopra si è detto. L’abbiamo poi ripulita nel tempo del Pontificato, e nello stesso tempo ultimamente vi abbiamo fatte le aggiunte. In tutto ciò in cui non v’è precedente decisione, fatta o da nostri Predecessori, o da Noi medesimi nel nostro Bollario, o altrove, ed in tutte le altre cose, che non sono corroborate colla pubblica autorità della Chiesa, non intendiamo di far leggi nuove: ma la nostra intenzione è stata, ed è, d’esporre il nostro sentimento, corroborandolo con quelle autorità e con quelle ragioni, che abbiamo credute opportune per l’intento; e volentieri abbracciamo il sentimento del celebre Melchiorre Cano nel lib. 6 de Locij Theologicis al cap. 8 nella risposta al nono argomento, ove così scrive dei Libri, che si stampano dai Papi: «Cum edunt Libros de re qualibet Romani Pontifices, sententiam suam ut homines alii docti exprimunt, non tamquam Ecclesiae Judices de Fide pronunciant». Il nostro gran Predecessore Innocenzo IV, compose i suoi Commentarj sopra le Decretali nel tempo del suo Pontificato: “Trahens moram Lugduni, post Concilium ibi celebratum, composuit Apparatum super Decretalibus” come attesta Tommaso Diplovatatio nella vita del detto Pontefice prefissa ai detti Commenti sopra le Decretali. Né Innocenzo certamente ha mai preteso, che quanto scriveva, si dovesse avere come punto decisivo, essendosi contentato, che da altri fosse impugnato, quanto esso, scrivendo come dottore privato, aveva asserito, come si può vedere nella di lui citata Vita, e molto meglio ne’ Libri degli altri Canonisti, che tante e tante volte si sono presi la libertà di recedere da quanto Innocenzo aveva ne’ suoi Commenti insegnato.»

BUB, Ms 268 II terzo fasc. n.n. ff. cuciti 1-7 n.n. in italiano.

Appendice II

Sono trascritti i titoli dei trenta capitoli nuovi predisposti nel 1753 nel corso del secondo intervento di revisione. Essi sono stati raccolti in modo tematico.

Sul sacramento dell’Eucaristia L. scrisse cinque cc. o più probabilmente cinque parti di uno stesso c.:

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C. del sagramento dell’Eucaristia, istituzione, materia, forma e ministro del sacramento ed altra cosa appartenente all’amministrazione d’esso

I Della dottrina della chiesa romana circa le predette cose II Della dottrina della chiesa greca circa il sagramento dell’Eucaristia e

materia d’esso, e per ora del pane III Della materia del sacramento, cioè del vino in ciò che riguarda la

chiesa greca IV Della forma del sacramento dell’Eucaristia secondo la chiesa greca V Dell’obbligo de’ Greci di ricevere il Sagramento dell’Eucaristia: di

quelli ai quali si amministra e di varie altre cose appartenenti allo stesso sagramento125

Un capitolo è intitolato «C. Del luogo in cui dee celebrarsi la messa: dell’Altare, Pietra sacra, Ministro inserviente, ora in cui dee celebrarsi, e sacri istrumenti ed indumenti»126.

Lambertini redasse due cc. dedicati all’ordine:

C. del sagramento dell’Ordine e sua materia e forma appresso i greci C. del sagramento dell’Ordine e sua materia e forma appresso i latini, e

dissensioni sopra ciò coi Greci127

Sei capitoli sono dedicati alla messa:128

Capitolo del sacrificio della messa, e per chi possa applicarsi129 C. del Maggiore ingresso130 C. della messa che si celebra dai Sacerdoti col vescovo, o con altro

sacerdote celebrante: e delle altre Messe che si celebrano da ciaschedun sacerdote separatamente l’uno dall’altro131 125 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «Eucaristia» e «Capitolo del Sagramento

dell’Eucaristia…» è scritto in 87 ff. n.n. Un altro indice prevedeva che le cinque parti sull’Eucaristia fossero un primo c. a cui dovevano seguire i cc. relativi al «maggiore ingresso»; «alla messa che si celebra dai sacerdoti con il vescovo…»; alla «messa dei presantificati»; alle «oblazioni o ostie…»; al «numero delle messe…».

126 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da 11 paragrafi scritti in 32 ff. n.n. 127 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «Ordine sacro» di 42 ff. n.n che raccoglie il

«C. del sagramento dell’Ordine…», formato da 10 paragrafi, e il c. successivo, anch’esso di 10 paragrafi.

128 Raccolti negli ultimi fasc. del BUB t. 268 I e nei primi del t. 268 II. 129 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da sedici paragrafi e 48 ff. scritti n.n. 130 BUB t. 268 I rilegato intitolato «Maggiore ingresso» formato da 8 paragrafi e

composto da 18 ff. scritti n.n. con molti rifacimenti e interventi di mano di Benedetto XIV.

131 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da 60 ff. n.n., raccoglie i due «C. della messa che si celebra…» con due sottotitoli cancellati «e della messa dei Presantificati» e «numero delle messe», è formato da 9 paragrafi distribuiti in 26 ff. n.n.

C. della messa de’ Presantificati132 C. delle oblazioni, o siano Ostie, maggiori e minori che nella messa si

consacrano dai sacerdoti greci: e dell’obblazione diagonale133 C. del numero delle messe nella chiesa latina e greca134

Fanno parte di un unico fascicolo dedicato alla «Eucaristia» sia quattro cc. intitolati «Del simbolo del Trisagio» sia i successivi due «Delle commemorazioni nella messa»:

C. del simbolo e della di lui recita nella messa e della parole Filioque135 C. del sistema stabilito dalla Santa Sede circa il simbolo da recitarsi colla

parola Filioque136 C. delle difficoltà eccitate contro l’addizione fatta al simbolo e risposta

ad esse137 C. del Trisagio ed aggiunte fatte ad esso138

Il titolo «Delle commemorazioni nella messa» raggruppa due cc.:

C. della commemorazione del Romano pontefice nella messa139 C. della commemorazione nella messa del vescovo e dell’imperatore o

sia Re140

Pur essendo assenti nell’indice, furono redatti cinque cc. su la

132 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «C. della messa de’ Presantificati» formato da

16 paragrafi in 41 ff. scritti n.n., con molti rifacimenti e cancellature. 133 Il sottotitolo precedente cancellato era «e della limosina delle messe appresso di

loro», BUB t. 268 I fasc. rilegato, formato da 15 paragrafi in 32 ff. n.n. parzialmente rifatti e cancellati.

134 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «C. della messa che si celebra…» a cui segue il c. «Del numero delle Messe»: questo ultimo è formato da 12 paragrafi e composto da 36 ff. scritti n.n. con molti rifacimenti e interventi di mano di Benedetto XIV.

135 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da 16 paragrafi e scritto in 28 ff. n.n. ma con molte parti cancellate.

136 BUB t. 268 I fasc. rilegato formato da 6 paragrafi e scritto in 16 ff. n.n. 137 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «C. delle difficoltà…», con un sottotitolo

cancellato «definizione della controversia e sistema stabilito dalla Sede Apostolica» formato da 8 paragrafi e scritto in 24 ff. n.n., i quattro paragrafi finali sono cancellati.

138 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «C. del Trisagio…» formato da 11 paragrafi e scritto in 26 ff. n.n.

139 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «Delle commemorazioni…» formato da 14 paragrafi e scritto in 38 ff. n.n.

140 BUB t. 268 I fasc. rilegato intitolato «Della commemorazione nella messa…» formato da 12 paragrafi e scritto in 32 ff. n.n.

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«Penitenza». Essi presentano numerosi interventi autografi di Benedetto XIV:

C. del sacramento della Penitenza, materia d’esso e delle due parti dello stesso, contrizione e confessione141

C. della forma del sagramento della Penitenza142 C. del ministro del sagramento della Penitenza e del di lui obbligo a

conservare il segreto143 C. dell’obbligo di confessarsi, modo rispettoso che dee tenere il penitente

quando si confessa e della simultanea confessione del marito e della moglie allo stesso confessore144

C. della soddisfazione o sia penitenza che s’impone dal confessore per i peccati commessi e della riserva dei casi145

Nel fasc. dedicato alla «Estrema unzione», sono stati redatti tre capitoli che presentano interventi manoscritti di Benedetto XIV:

C. del sagramento dell’Estrema unzione, materia e forma dello stesso, e ministro appresso i latini ed appresso i greci146

C. della difficoltà da taluni eccitate contro la disciplina de’ greci nell’amministrazione del sacramento dell’estrema unzione, e risposta ad esse

C. dell’abuso de’ greci d’amministrare il sagramento dell’estrema unzione anche ai sani

Appendice III

«Prefazione ai libri seguenti sopra la materia degli Italo-Greci Questo nostro Trattato de Synodo diocesana stampato l’anno 1746 aveva

il suo termine nel Libro de caeteris ad Diocesana synodum pertinentibus. Vedendosi poi fatta premurosa istanza per la ristampa del detto Trattato, ed avendo Noi creduto bene il farvi alcune addizioni, quando dalle incessanti

141 Primo fasc. rilegato del BUB t. 268 II diviso in 9 paragrafi e scritto su 20 ff. n.n. 142 Secondo fasc. rilegato del BUB t. 268 II diviso in 16 paragrafi e scritto su 32 ff.

n.n. 143 Terzo fasc. rilegato del BUB t. 268 II diviso in 15 paragrafi e scritto su 36 ff. n.n.;

il sottotitolo cancellato era «e del Sigillo del Segreto». 144 Quarto fasc. rilegato del BUB t. 268 II diviso in 10 paragrafi e scritto su 24 ff. n.n.,

una parte di questo c. è poi stata posta nel c. «Della soddisfazione». 145 Quinto fasc. rilegato del BUB t. 268 II diviso in 7 paragrafi e scritto su 16 ff. n.n. 146 Sesto fasc. rilegato del BUB t. 268 II che raccoglie insieme tutti i c. sull’estrema

unzione: sono numerati i ff. 1-29 e n.n. i successivi 48 ff.; il primo c. è diviso in 10 paragrafi e scritto per i primi 28 ff. numerati r-v; il secondo c. occupa 32 ff. n.n ed è diviso in 12 paragrafi; il terzo c. è formato da 10 paragrafi e si estende per 18 ff. n.n.

cure del pontificato ci fosse stato permesso il poter unire alcune nostre carte d’Annotazioni e passare benché alla sfuggita, qualche ora nella nostra privata Biblioteca, non solamente ci è riuscito di poter porre a’ suoi luoghi le nuove addizioni, aggiungendo ancora al trattato già stampato non pochi nuovi capitoli (il che ha cagionata qualche varietà anche nel numero de’ Capitoli e de’ libri della prima stampa del trattato); ma altresì di poter comporre il presente ed i susseguenti libri, che appartengono agl’Italo-Greci. Il motivo poi di comporre questi nuovi libri, è derivato dall’avere già noi, nella prima edizione del trattato, più volte parlato de’ Greci orientali e degli Italo-Greci; aver anche pienamente dimostrato chi sia quel vescovo greco che dee fare le ordinazioni degl’Italo-Greci; chi sia quel vescovo latino alla di cui giurisdizione sono, quanto al loro regime sottoposti gl’Italo-Greci laici, ecclesiastici secolari e regolari; e potere il vescovo latino che ha nella sua diocesi i Greci in essa abitanti, fare con essi un sinodo diocesano o pure chiamargli al sinodo che esso fa pe’ suoi latini, facendo in esso le costituzioni sopra i Greci, alla puntuale osservanza delle quali essi sono obbligati e questo è quello che dopo aver noi parlato del clero latino, ci ha portato nell’impegno d’esporre ancora quanto risguarda il clero greco, e quanto in ordine a questo clero greco può stabilirsi dal vescovo latino nel suo sinodo. Non negheremo aver il nostro predecessore Clemente VIII pubblicata una sua savia istruzione sopra gl’Italo-Greci. Non negheremo il merito della medesima stampata nel Bollario romano al tomo III tra quelle del detto pontefice la 34. Diremo di più, aver noi ampliata la detta istruzione ne’ primi anni del nostro pontificato, come può vedersi nella Costituzione 57 del tomo I del nostro Bollario. Diremo, esser anche informati che l’Istruzione del pontefice Clemente VIII non solo comprese gl’Italo-Greci, cioè che sono nati in Italia o nelle isole adiacenti, ma ancora quelli che d’Oriente vengono ad abitare nelle Diocesi de’ Vescovi latini, ove è loro permesso il poter abitare; e che l’Istruzione non è semplicemente consultiva ma precettiva: come fu, dopo aver ben discussa la materia, risolto dalla congregazione del Sant’Offizio sotto il giorno 5 novembre 1705. Lo stesso diremo della nostra costituzione: come Noi ci spiegammo in una nostra lettera scritta a monsignor arcivescovo di Messina sotto il giorno 14 ottobre 1747 rispondendo ad una interrogazione fattasi su questo proposito dal detto prelato. Ma tutto ciò non ha potuto farci ritirare dall’intraprendere questa nuova fatica, in cui stando sempre fissi nello stabilito dall’Istruzione di Clemente VIII e nella nostra costituzione, le anderemo illustrando con altre notizie e riflessioni, inserendovi ancora molte cose, delle quali non si è parlato nell’Istruzione e nella costituzione. Secondo l’opportunità, non si tralascerà d’inserire notizie che risguardano i Greci orientali, ed altre che sono proprie della chiesa latina, ma che possono dar norma alle altre cose che risguardano i Greci orientali. Nel nostre precedente Trattato abbiamo inseriti vari punti o de’ Greci Orientali o degl’Italo-Greci il che non avessimo fatto se quando componemmo il Trattato, avessimo avuto il pensiero di dar un luogo a parte agl’Italo-Greci. Ma al fatto non v’è rimedio: e lo sconvolgere il Trattato già terminato e stampato, avrebbe facilmente incorsa la taccia di confusione, che noi ci siamo ingegnati di sempre evitare. Per non incorrere però l’altra taccia di ripetere il già detto, quando verrà l’occasione di rammemorare quanto da Noi è stato scritto rispetto ai greci ne’ precedenti libri, lo faremo semplicemente riferendosi ad essi.»

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Vat. Lat. 11861, ff. 60r-61v

Appendice IV

Sono qui di seguito pubblicati i titoli originali dei diciotto nuovi cc. aggiunti al libro XIII, con una sintetica presentazione dei loro contenuti. - c. 7, «Della relazione dello stato della chiesa, di cui si è discorso

nel c. precedente, e del primo punto della medesima»: esso è dedicato ai privilegi e alle prerogative del vescovado, oltre che alla descrizione dei confini della diocesi che ogni vescovo deve allegare alla prima relazione dello stato della chiesa147;

- c. 8, «Della relazione dello stato della chiesa, e secondo capo della medesima»: verte sulla residenza e sui limiti posti ai privilegi in relazione alla titolarità di uno o più episcopati per cardinali, vescovi in terra di Germania, cappellani maggiori; sugli obblighi di vescovi non soggetti a nessun metropolitano di intervenire ad un concilio provinciale; impedimenti che ostano all’esercizio dell’ufficio vescovile148;

- c. 9, «Della relazione dello stato della chiesa e terzo capo della medesima»: dedicato alle lamentele contro capitoli e canonici, parroci e altri ecclesiastici del clero secolare che non eseguono la volontà del vescovo; sul concorso scritto al quale sottoporre i candidati ad un beneficio in cura di anime149;

- c. 10, «in cui prosegue la materia sopra il terzo capo della relazione dello stato della chiesa»: verte sui disordini osservati dai vescovi senza loro colpa e ai quali non sanno porre rimedi, casi di sacerdoti che esercitano la medicina, la chirurgia, che studiano diritto civile; richiesta dei parroci di ottenere la coadiutori con futura successione o fare rassegne ad favorem certae personae; se la scelta del coadiutore cade su un nipote del coadiuto o del rassegnatario150;

147 BUB t. 268 III fasc. A rilegato, con la prima versione ms.; cita la Super specula del

31 gennaio 1754. 148 BUB t. 268 II fasc. intitolato come il c. e 268 III: i paragrafi 2-12 sono stati scritti

successivamente ai nn. 13-25. 149 BUB t. 268 II fasc. intitolato come il c. e 268 III fasc. c. 9, numerosi inserimenti di

mano del pontefice, il n. 20 rifatto. 150 BUB t. 268 II e 268 III fasc. intitolato come il c. 10; sono stati rifatti più volte i

paragrafi nn. 7, 26, 30 e 31.

- c. 11, «del quarto capo della relazione dello stato della Chiesa»: dedicato ai regolari che vivono fuori dal chiostro perché ricusano la loro professione di fede, o hanno commesso delitti, o fuggono; rapporti con l’ordinario del luogo in cui i regolari si trovano151;

- c. 12, « del quinto capo della relazione dello stato della Chiesa»: dedicato alla monache, alla loro professione di fede in relazione all’anno di noviziato, al matrimonio o agli sponsalia; problemi successivi alla professione delle monache; se il confessore straordinario non è concesso dal superiore; uso dei beni comuni e degli assegnamenti personali; necessità di uscire dal chiostro152;

- c. 13, «de’ postulati che appartengono all’ingresso de’ vescovi nelle loro chiese e nell’assumere il governo delle medesime»: si tratta dei patti giurati prima dell’elezione ad un vescovado tra candidato e capitolo e, per analogia, delle capitolazioni elettorali dei cardinali in conclave153;

- c. 14, «de’ postulati che appartengono ai vescovi dopo aver assunto il governo delle loro chiese, per poterlo adempire colla dovuta puntualità; e particolarmente del postulato per avere un coadiutore, o pure un vescovo suffraganeo»: è auspicata la capacità della congregazione del concilio di mediare su tali richieste che non le competono facendosene interprete presso il sommo pontefice e la congregazione concistoriale; sono visti i requisiti necessari perché tali richieste vengano accolte154;

151 BUB t. 268 III fasc. intitolato come il c., interventi di mano di Benedetto XIV ai

nn. 26, 30 e 31, la stesura definitiva in t. 268 II. 152 BUB t. 268 II fasc. intitolato come il capitolo. 153 BUB t. 268 II Volume B, ff. 1r-33v, il titolo cancellato era «d’alcuni postulati alle

volte proposti dai vescovi nelle relazioni dello stato delle loro chiese per quiete della propria coscienza»; facevano parte di questo c. nella prima stesura i nn. 25-35 divenuti 6-16 del c. 15 e i nn. 36-44 divenuti i primi otto paragrafi del c. 14 (una redazione precedente del c. t. 268 IV). Pastoralis regiminis sollicitudo, 15 luglio 1754, MBR t. IV, 219-220.

154 BUB t. 268 III Volume A. ff. 2r-26r, ff. 1r-2r, cancellate ipotesi di c. 13 «della relazione dello stato della chiesa sopra i paragrafi VI. VII. VIII. IX dell’istruzione» dedicato ai seminari, alle chiese e luoghi pii, al costume dei popoli, ad altri postulati. Una versione precedente del c. 13 è conservata nel 268 IV. L. afferma che nessuno di questi postulati appartiene alla congregazione del concilio ma al sommo pontefice «ma il rispondere seccamente al postulante, che ricorra al chi spetta, e che il ricorso dee farsi al Sommo pontefice, che suol rimettere queste cose alla congregazione concistoriale, per intendere il di lei consiglio, è una cosa che sembra un poco dura», ibid., ff. 2v-3r. Egli suggerisce di chiarire i requisiti necessari per ottenere ciò e in tal caso suggerisce di presentare la richiesta tramite il prefetto o segretario della congregazione al sommo pontefice che ne commette

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- c. 15, «de’ postulati che risguardano altri aiuti, che alle volte chiedono i vescovi per poter ben servire le loro chiese; ed anche di alcune decorazioni, delle quali fanno istanza, per renderla più illustre»: le richieste dei vescovi, presentate impropriamente alla congregazione del concilio, di potere concedere ad altri la facoltà di cresimare, di consacrare le chiese; le controversie tra vescovi suffraganei e metropolitani quando la Santa Sede concede ai primi l’uso del pallio155;

- c. 16, «de’ postulati che alle volte nelle relazioni si promuovo dai vescovi di poter rinunziare il vescovado, e di essere trasferito ad un altro: e di alcune controversie eccitate, e sciolte dalla congregazione nell’occasione delle dette traslazioni»: il c. inizia con l’analisi del «piccolo trattato» De officio primario summi pontificis del cardinale Bellarmino per Clemente VIII sulla rinuncia ad un episcopato conservando una pensione sulla mensa; continua trattando dei frutti della chiesa nel tempo della vacanza o in caso di traslazione del vescovo ad altra sede156;

- c. 17, «De postulati che riguardano la rimozione d’alcuni scandali dalla diocesi»: relativo a ordalie, carnevale, duelli157;

- c. 18, «de’ postulati in ordine alle indulgenze ed osservanza delle feste»: dedicato alla analisi storica e alla cernita delle devozioni e indulgenze158;

- c. 19, «d’un postulato proposto sopra l’obbligo dell’amministrazione de’ sacramenti ai fedeli appestati nel tempo della peste: e del modo con cui debbono nel detto tempo amministrarsi i sacramenti»: verte sulla residenza materiale e formale di curati e vescovi in caso di peste e gravi pericoli per assistere spiritualmente e materialmente il popolo e soprattutto sull’amministrare dei sacramenti battesimo, confessione,

l’esame alla congregazione concistoriale.

155 BUB t. 268 III Volume A. ff. 26r-35v e 47r-65r a cui deve aggiungere il ms 268 II «Seguito C. XV n. 6 sino al n. 16 dai ff. 33v del vol. B sino al f. 50r», i cc. 13-15 erano stati pensati come due c. poi divisi diversamente inseguito; la redazione precedente del c. 13, t. 268 IV.

156 BUB t. 268 III Volume A. ff. 36r-46r, la parte finale del c. 16 si trova nel ms 268 II Volume B ff. 33v-50r originariamente chiamato c. 15. Il paragrafo 12 fu aggiunto successivamente alla stesura di questo c., esso contiene un riferimento alla lettera apostolica di Benedetto XIV del 26 gennaio 1753, aggiunto quando la seconda edizione era già stata tradotta in latino, prima della stampa.

157 BUB t. 268 III fasc. intitolato come il c. 158 BUB t. 268 III fasc. intitolato come il c.; t. 268 IV versione precedente in cui i cc.

17, 18 e 20 erano insieme.

eucaristia e cresima 159; - c. 20, XX «de’ postulati che appartengono ai cristiani sottoposti al

dominio del Turco»: limiti e modalità di osservanza delle leggi ecclesiastiche che proibiscono di aiutare indirettamente i turchi (trasportando armi e truppe); di farsi chiamare con nome turco per non pagare la tassa che i non turchi devono al Sultano; di informare l’autorità turca dell’avvenuta conversione al cristianesimo anche «a costo della vita»160. Il capitolo 22 è stato redatto prima del 21 e con la premessa

«pensavamo di non dover più discorrere del sagramento del matrimonio, avendone discorso molto ne’ libri precedenti: ma siamo necessitati a rientrarvi, per alcuni postulati promossi nelle relazioni dello stato delle chiese di Transilvania»161.

- c. 21, «d’un postulato proposto sopra i matrimoni contratti nel tempo dell’infedeltà da quelli che poi si convertono alla Santa Fede»: se un vincolo matrimoniale si debba sciogliere se uno dei due infedeli si converte alla vera religione; poligamia162;

- c. 22, «d’un postulato proposto sopra un matrimonio contratto nella Transilvania, fra due calvinisti, convertendosi uno d’essi alla Santa Fede, ed abiurando l’eresia»: affronta le condizioni di validità o nullità di un matrimonio contratto tra calvinisti dopo che un coniuge si converte al cattolicesimo163;

- c. 23, «de’ postulati che appartengono all’interessenza del parroco al matrimonio: e de’ matrimonj di coscienza»164;

- c. 24, «d’alcuni postulati circa la materia beneficiale»: verte sui concorsi per benefici curati e le spedizione in dataria; sulle rassegne e permute di benefici; infine sulla disciplina escludente i parenti del parroco dal ricevere i benefici165.

159 BUB t. 268 III con titolo cancellato «de’ postulati dottrinali, che alle volte sono

stati proposti nelle relazioni de’ vescovi». Una versione precedente in t. 268 IV; il n. 28 è stato aggiunto successivamente, in latino.

160 BUB t. 268 III fasc. intitolato come il c. 161 BUB t. 268 III fasc. con fogli numerati 1r-41v cui seguono altri 42 ff. n.n. che

raccoglie i cc. 22, 21, 23 in questo ordine. Una versione precedente t. 268 IV. 162 BUB t. 268 III ff. 26r-41v e 11r-v ff. n.n. e 268 IV fasc. intitolato come il c. 163 BUB t. 268 III fasc. intitolato come il c. ff. 1r-26r e 268 IV. 164 BUB t. 268 III e 268 IV fasc. intitolati come il c.; per dirimere questioni di validità

o nullità matrimoniali L. si riferì a varie costituzioni, in partic. la Pastor bonus, 13 apriel 1744, MBR t. I, 319-330.

165 BUB t. 268 III fasc. intitolato come il c.

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- c. 25, «della facoltà, che più volte si domanda dai vescovi nella relazione dello stato della loro chiesa, di poter ridurre i legati delle messe»166: regole per ridurre le messe e adempiere correttamente «i pesi»; accettazione di altre elemosine dopo la riduzione dei legati.

166 BUB t. 268 III, inizialmente finiva con il n. 33 e a cui furono aggiunti i nn. 34-35.