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7 INTRODUZIONE 1. Cenni storici alla discussione sulla relazione L’ordinamento ontologico stabilito da Aristotele prevedeva che la relazione fosse una categoria, una determinazione accidentale che di- cesse dell’ente la sua proprietà di “relativo”, ovvero di essere πρóς τι, in relazione ad un altro 1 . E dal momento che gli enti si relazionano tra di loro ciascuno in ragione delle sue proprietà inerenti, la relazione era l’unico predicamento a fondarsi, invece che direttamente nella sostan- za, in un altro accidente – come la qualità o la quantità; ed era pertan- to quello che tra tutti possedeva l’essere di grado più debole: I relativi meno di ogni altra cosa costituiscono una natura determinata o sostanza, e inoltre vengono dopo la qualità e la quantità (…) Il segno del fatto che il relativo non è affatto una sostanza né una cosa che esiste, è che esso solo non ha una forma di generazione e di distruzione e neppure di movimento che sia sua propria 2 . Le relazioni fondate nella potenza e nell’atto costituivano così i rapporti causali tra sostanze come il fuoco e ciò che da questo viene riscaldato. Le relazioni fondate nell’unità della qualità di due o più enti davano invece luogo ai rapporti di somiglianza; quelle fondate nell’unità della quantità ai rapporti di uguaglianza. E tuttavia Aristo- tele annoverò tra i relativi anche entità come l’oggetto di conoscenza, di misura o di pensiero, dei quali la categoria della relazione non si poteva considerare una proprietà inerente, dato che tali enti non sono in sé relativi; essi vengono piuttosto posti in relazione da un intelletto conoscente o misurante, e pertanto solo qualificati come tali 3 . 1 Aristoteles, Categ. c. 7, 6a, 36-37; c. 7, 8a, 31-32. 2 Aristoteles, Met, XIV, 1088 a I, 22. Traduzione italiana a cura di Carlo A. Viano, UTET, Torino 2005. 3 Aristoteles, Met. V, 1020 b I, 26-1021 b I, 11.

Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart, Mimesis, 2014

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INTRODUZIONE

1. Cenni storici alla discussione sulla relazione L’ordinamento ontologico stabilito da Aristotele prevedeva che la

relazione fosse una categoria, una determinazione accidentale che di-cesse dell’ente la sua proprietà di “relativo”, ovvero di essere πρóς τι, in relazione ad un altro1. E dal momento che gli enti si relazionano tra di loro ciascuno in ragione delle sue proprietà inerenti, la relazione era l’unico predicamento a fondarsi, invece che direttamente nella sostan-za, in un altro accidente – come la qualità o la quantità; ed era pertan-to quello che tra tutti possedeva l’essere di grado più debole:

I relativi meno di ogni altra cosa costituiscono una natura determinata

o sostanza, e inoltre vengono dopo la qualità e la quantità (…) Il segno del fatto che il relativo non è affatto una sostanza né una cosa che esiste, è che esso solo non ha una forma di generazione e di distruzione e neppure di movimento che sia sua propria2.

Le relazioni fondate nella potenza e nell’atto costituivano così i

rapporti causali tra sostanze come il fuoco e ciò che da questo viene riscaldato. Le relazioni fondate nell’unità della qualità di due o più enti davano invece luogo ai rapporti di somiglianza; quelle fondate nell’unità della quantità ai rapporti di uguaglianza. E tuttavia Aristo-tele annoverò tra i relativi anche entità come l’oggetto di conoscenza, di misura o di pensiero, dei quali la categoria della relazione non si poteva considerare una proprietà inerente, dato che tali enti non sono in sé relativi; essi vengono piuttosto posti in relazione da un intelletto conoscente o misurante, e pertanto solo qualificati come tali3.

1 Aristoteles, Categ. c. 7, 6a, 36-37; c. 7, 8a, 31-32. 2 Aristoteles, Met, XIV, 1088 a I, 22. Traduzione italiana a cura di Carlo A.

Viano, UTET, Torino 2005.3 Aristoteles, Met. V, 1020 b I, 26-1021 b I, 11.

8 Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart

Come lo stesso Eckhart tenne a precisare in una Quaestio4 in cui si discutevano esattamente i complicati e durevoli risvolti di questa implicita distinzione tra relazioni reali e relazioni puramente logi-che, Aristotele operava con il concetto di “relativo” e non ancora con quello di “relazione”.

Diverso fu infatti il discorso per i neoplatonici5, che affiancarono alla nozione di πρóς τι quella di σχέσις (relazione), ereditata dagli Stoici, e che formularono il rapporto tra “relazione” e “relativo” in modo più articolato e preciso. Mentre la dottrina stoica aveva asse-gnato al “relativo” carattere puramente denominativo, perchè consi-derava tutte le relazioni come il puro risultato dell’operazione com-parativa del pensiero, la lettura neoplatonica rivendicava la realtà dei relativi; i quali, sebbene privi di una materia loro propria e dun-que di un’esistenza sensibile, erano certo oggetto d’intellezione piuttosto che di percezione, ma non per questo meno reali: della so-miglianza tra Socrate e Platone l’occhio percepisce le rispettive qua-lità sensibili in virtù di cui i due soggetti si somigliano, e non inve-ce la relazione in sè; e tuttavia tale relazione di somiglianza è reale, nella misura in cui collega realmente tra di loro Socrate e Platone.

Convinti del valore ontologico e non solo linguistico-concettua-le della tavola categoriale, Porfirio6, Simplicio7, ma anche Ammo-nio8, Filopono9, Olimpiodoro10 ed Elia11, intesero la categoria della relazione come una forma realmente esistente in ciascun termine di

4 Eckhardus, Quaest. Par. n. 12, LW I,2, p. 467,29: “Philosophus numquam posuit talem distinctionem secundum dici et secundum esse. Ideo dico quod talis distinctio bene invenitur de relativis, sed non de relatione. Item falsum est quod relatio realis non possit fundari in substantia”.

5 Sulla dottrina neoplatonica della relazione cf. A. Conti, La teoria della re-lazione nei commentatori neoplatonici delle Categorie di Aristotele, in: Rivista critica di storia della filosofia 38 (1983), pp. 259-283.

6 Porphirius, In Cat. 15-8, Isagoge et in Aristotelis categorias, A. Busse, C.A.G. IV, 1 (Berlin 1887), p. 124.

7 Simplicius, In Cat. 6-8, In Aristotelis categorias commentarium, C. Kalb-fleisch, C.A.G. VIII (Berlin 1907), p. 161.

8 Ammonius, In Cat. 15-6, In Aristotelis categorias commentarius, A. Busse, C.A.G. IV, 4 (Berlin 1895), p. 66.

9 Philoponus, In Cat. 31-2, In Aristotelis categorias commentarium, A. Busse, C.A.G. XIII, 1 (Berlin 1898), p. 102.

10 Olympiodorus, In Cat. 30-1, Prolegomena et in categorias, A. Busse, C.A.G. XII, 1 (Berlin 1902), p. 97.

11 Eliae, In Cat. 34-206, in Porphyrii Isagogen et Aristotelis categorias com-mentaria, A. Busse, C.A.G. XVIII, 1 (Berlin 1900), p. 205.

Introduzione 9

rapporto, e in grado di riferire l’una all’altra due o più sostanze di-stinte12.

E tuttavia, l’unico commento tardo-antico alle Categorie ad esser conosciuto lungo tutto il medioevo fu quello di Boezio. Questi vei-colò nell’occidente cristiano gli strumenti linguistico-concettuali, attinti alla filosofia platonica e aristotelica, necessari per districarsi in un’indagine che si svolgeva nel contempo sul piano ontologico e gnoseologico: la distinzione tra relativum secundum dici e relativum secundum esse, giunta ai medievali attraverso il commento boezia-no, esprimeva la differenza tra termini detti relativi (come l’oggetto di scienza cui si relaziona il conoscente) e termini che sono invece relativi nel loro essere (come padre e figlio, i quali si richiamano re-ciprocamente e non sarebbero tali l’uno senza l’altro). Nondimeno il problema della relazione era anche teologico, perchè l’urgenza sco-lastica dell’accordo fra esegesi aristotelica e dottrina teologica ri-chiedeva una riconsiderazione della relazione come “accidente”, in-nanzitutto in vista della sua applicazione al mistero di un Dio uno e trino: l’opuscolo boeziano De trinitate, che indagava il dogma cri-stiano per mezzo delle categorie di sostanza e relazione, circolava diffusamente già nel IX secolo13.

12 Cf. A. Conti, op. cit., p. 275. 13 Le opere di logica, ivi compresi i commenti, iniziarono a circolare rego-

larmente solo in un secondo momento rispetto alle opere teologiche, che tuttavia segnarono, per il loro linguaggio tecnico, l’inizio dello sviluppo della logica nel medioevo. Gli Opuscula sacra e il De consolatione philo-sophie videro ampia diffusione già nel IX secolo. I commenti boeziani si diffusero all’inizio del X secolo, eccezion fatta per il commento alle Ca-tegorie di Aristotele. Quest’ultimo iniziò invece a circolare stabilmente solo nel secolo XI-prima metà del XII, insieme alle monografie (De syllo-gismis categoricis, Introductio ad syllogismos categoricos, De differenti-is topicis), a partire da Gerberto. Nell’XI secolo-inizi XII si assiste final-mente ad un uso generalizzato dei trattati della logica vetus e della Dialectica Boetii, non meno che alla rielaborazione delle opere boeziane, come quella da parte di Abelardo: in questo arco di tempo le monografie e i commenti boeziani costituirono i testi fondamentali della formazione filosofica. Per una descrizione dettagliata della diffusione delle opere di Boezio cf. L. Obertello, Severino Boezio, Accademia ligure di scienze e lettere, Genova 1974. Sull’eredità boeziana nell’universo linguistico-con-cettuale del medioevo cf. M. Grabmann, Die Geschichte der scholasti-schen Methode, nach den gedruckten und ungedruckten Quellen bearbei-tet von Martin Grabmann. Erster Band: Die scholastische Methode vom

10 Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart

Quando sopraggiunse la traduzione del commento di Simplicio ad opera di Guglielmo di Moerbeke, intorno agli anni 60 del XIII se-colo, il medioevo aveva insomma già assimilato la dottrina delle ca-tegorie e l’aveva elaborata sulla base delle nuove esigenze contem-poranee. Il terzo fra i modelli di relazione annoverati da Aristotele, quello tra conoscente e conosciuto, era stato definito relatio per ac-cidens, dal momento che qui solo uno dei due termini si presenta re-almente relazionato all’altro14; ed era così divenuto il paradigma tra-dizionale esplicativo della relazione tra l’uomo e Dio15, poiché ben si prestava ad esprimere le caratteristiche di un rapporto irreciproco, in cui cioè solo la creatura fungesse da sostrato reale di relazione. In Dio, il terminus ad di questo rapporto, la categoria della relazione non ha invece alcun fundamentum reale in cui originarsi, perchè la sua sostanza è priva di qualsiasi determinazione accidentale. Pro-prio come la pietra non ha alcuna relazione reale al geologo ma vie-ne posta in relazione con esso solo in quanto ne costituisce l’ogget-to di conoscenza, così Dio sarà riferibile all’uomo solo attraverso una relazione di ragione, puramente logica.

L’eccezionalità della categoria della relazione, ovvero la conco-mitanza dei due momenti, quali l’inerenza ad un termine (esse in) e la riferibilità a quello che le si contrappone (esse ad), era stata varia-mente interpretata. Tommaso d’Aquino aveva evitato di accentuare troppo la natura reale della relazione; egli attribuì a tutte le catego-rie un esse ed una ratio, che esprimevano rispettivamente la condi-

ihren ersten Anfängen in der Väterliteratur bis zum Beginn des 12. Jahrhunderts, Akademie Verlag, Berlin 1957.

14 Le relazioni per accidens si distinguevano dalle relazioni per se, ovvero quelle di somiglianza e uguaglianza, in cui i termini si riferiscono recipro-camente l’uno all’altro.

15 Cf. per esempio Thomas Aquinas, De pot. q. 7 a. 11: “Dicendum quod si-cut realis relatio consistit in ordine rei ad rem, ita relatio rationis consistit in ordine intellectuum; quod quidem dupliciter potest contingere: uno modo secundum quod iste ordo est adinventus per intellectum, et attribu-tus ei quod relative dicitur; (…) Quandoque vero accipit aliquid cum or-dine ad aliud, in quantum est terminus ordinis alterius ad ipsum, licet ip-sum non ordinetur ad aliud: sicut accipiendo scibile ut terminum ordinis scientiae ad ipsum; et sic cum quodam ordine ad scientiam, nomen scibi-lis relative significat; et est relatio rationis tantum. Et similiter aliqua no-mina relativa Deo attribuit intellectus noster, in quantum accipit Deum ut terminum relationum creaturarum ad ipsum; unde huiusmodi relationes sunt rationis tantum”.

Introduzione 11

zione reale propria di ogni accidente, data dall’inerenza, e il suo re-lativo modo di essere logico, astratto dall’intelletto durante la conoscenza. In conformità con la dottrina aristotelica, Tommaso sta-bilì che la relazione non avesse il suo fundamentum direttamente nella sostanza, ma in un altro accidente, ovvero nella proprietà in virtù di cui gli enti si rapportano (es. Socrate e Platone sono simili in virtù della bianchezza); e in questo egli individuò l’esse reale della relazione, che, tra tutti gli altri predicamenti, restava dunque quello di grado più debole, debilior esse inter omnia praedicamenta16. Il suo carattere di puro riferimento ad alterum rappresentava invece la ratio della relazione, il concetto astratto dall’intelletto. Se pur tenen-do conto dei necessari distinguo, il punto di vista di Tommaso può considerarsi rappresentativo di quello dei suoi contemporanei, di una fase cioè non ancora veramente critica della discussione intorno allo status della relazione.

Non fu certo casuale, d’altronde, la concomitanza che si verificò tra la riscoperta dei testi neoplatonici e l’acceso dibattito in cui fiorì il tema della relazione, a partire dalla seconda metà del XIII secolo; un dibattito la cui posta in gioco fu così alta che per qualcuno, come Durando di San Porziano, significò addirittura la censura da parte dell’ordine.

Le domande intorno alla relazione erano molteplici. I teologi s’interrogavano su quale fosse il fondamento della generazione divi-na, se cioè la potentia generandi risiedesse nella sostanza di Dio o piuttosto nella relazione, ovvero nel Padre. Era stato questo il parti-to scelto da Bonaventura17, seguito più tardi e per ragioni differenti

16 Thomas Aquinas, De pot. q. 7 a. 9 in co.: “Dicendum quod relatio ad Deum est aliqua res in creatura. Ad cuius evidentiam sciendum est, quod sicut dicit Commentator in XI Metaph., quia relatio est debilioris esse in-ter omnia praedicamenta, ideo putaverunt quidam eam esse ex secundis intellectibus”; S. C. Gent. 4 c. 14 n. 12: “Propter quod et relatio realiter substantiae adveniens et postremum et imperfectissimum esse habet: po-stremum quidem, quia non solum praeexigit esse substantiae, sed etiam esse aliorum accidentium, ex quibus causatur relatio, sicut unum in quan-titate causat aequalitatem, et unum in qualitate similitudinem; imperfec-tissimum autem, quia propria relationis ratio consistit in eo quod est ad al-terum, unde esse eius proprium, quod substantiae superaddit, non solum dependet ab esse substantiae, sed etiam ab esse alicuius exterioris”.

17 Bonaventura, Sent. I d. 7 a. un. q. 1 (Ad Claras Aquas 1882, 136a): “po-tentiae distinguuntur per actus: ergo si actus potentiae dicit quid, et poten-

12 Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart

da Enrico di Gand18, contro cui Eckhart19, seguendo (almeno in que-sto) Tommaso20, addusse numerose obiezioni.

D’interesse decisamente più filosofico era la domanda sulla diffe-renza della categoria della relazione ed il suo soggetto di riferimento: l’ipotesi dell’identità tra la relazione ed il suo fondamento portava con sé il rischio (che non sfuggì a Duns Scoto21) di postulare l’esistenza di sostanze che fossero in sé relative; fu proprio questa, d’altronde, l’o-pinione di Eckhart, il quale, sulla scia del suo maestro Alberto Magno, non riconobbe la necessità di distinguere realmente la relazione dal suo fondamento e anzi, in deroga alla dottrina aristotelica delle cate-gorie, giunse a dichiararla identica con la stessa sostanza. Diversa fu l’opinione di Tommaso di Sutton, il quale, facendo appello all’autori-tà degli antichi (Aristotele, ma anche Agostino, Avicenna e Averroè) sostenne la distinzione reale della relazione dal suo fondamento con-tro “alcuni che si esprimono diversamente”22.

E ci si interrogava, ancora, sul ruolo del primo e del secondo ter-mine del rapporto nella costituzione della relazione: il fundamentum

tia; et si dicit ad aliquid, tunc et potentia similiter. Sed constat quod gene-rare in divinis non dicit quid, sed ad aliquid”.

18 Henricus de Gandavo, Quodlibet III (Parisiis 1518, f. Lv): “ oportet igitur quod ex parte generantis in eo quo generat, quod est ratio generandi, duo concurrant: et ratio qua assimilat genitum generanti et ratio qua distinguit unum ab alio. Ita quod principalior sit ratio generandi ex parte eius qua di-stinguit quam qua assimilat. (…) Ratio autem qua distinguit, est paterna proprietas patris constitutiva”.

19 Cf. Eckhardus, Quaest. Par., LW I,2, p. 463.20 Thomas Aquinas, S. theol. I q. 41 a. 5.21 Nell’ambito dell’accesa polemica contro Enrico di Gand, Scoto sosteneva

che l’idea che una sostanza fosse in se stessa il riferimento ad un’altra mettesse in crisi il principio dell’autonomia degli enti, cf. Duns Scotus, Ord. I d. 3 (Opera Omnia, Civitas Vaticana 1950 et seq., III, p. 197). Sul-la discussione cf.: M. G. Henninger, Relations, Medieval Theories 1250-1325, Clarendon Press, Oxford 1989; Rolf Schönberger, Relation als Ver-gleich. Die Relationstheorie des Johannes Buridan im Kontext seines Denkens und der Scholastik, E. J. Brill, Leiden-New York-Koeln 1994; Jos Decorte, Modus or res: Scotus’ criticism of Henry of Ghent’s concep-tion of the reality of a real relation, in Via Scoti. Methodologica ad men-tem Joannis Duns Scoti, Atti del Congresso Scotistico Internazionale (Medioevo 1 Vol. II), Ed. Antonianum, Roma 1995.

22 Thomas de Sutona, Quodl. 2 q. 7, Quodlibeta, II Band, M. Schmaus (München 1969), p. 221: “Istud videntur auctores sentire de relatione in creaturis, scilicet qod differat realiter ab eo in quo fundatur, quamvis ali-qui aliter ponunt”.

Introduzione 13

sarà la sua causa reale (come aveva sostenuto Tommaso23, seguito da Egidio Romano24), o piuttosto il termine ad sarà non solo condi-zione, ma vera e propria causa formale del rapporto (come sostenne poi Eckhart)?

Se sul riconoscimento del carattere reale della relazione i filosofi sul finire del XIII secolo convenivano ancora tutto sommato all’u-nanimità, se pure ciascuno in forma e misura diversa, ci si avviava a discutere ora anche su questo punto; e si aprivano così irrimediabil-mente le porte ad una discussione sullo status dell’intelletto, che racchiudeva in sé i motivi per superare definitivamente quella con-cezione della relazione come proprietà inerente ad una sostanza: il ruolo dell’intelletto era davvero solo quello di prendere atto della re-altà sensibile? O era forse proprio l’intelletto a mettere in relazione gli enti tra di loro? O era possibile, ancora, che l’intelletto svolgesse nei confronti degli enti una funzione costitutiva? In cosa consisteva, insomma, la realtà della relazione, ammesso che di questa si potes-se veramente parlare?

Chiamando in sostegno la dottrina stoica, Giacomo da Viterbo non riconobbe alla relazione in sé alcuna consistenza, all’infuori di quella che le derivasse dall’operazione comparativa del pensiero, solum esse quoddam iudicium intellectus comparantis unam rem ad aliam25. Aureolo individuò nella realtà extramentale solo relazioni in potentia, la cui esistenza reale era condizionata dall’apprensione in actu da parte dell’intelletto conoscente26. Giovanni di Jandun re-

23 Thomas Aquinas, In Sent. I d. 2 q. 1 a. 5 expos. ad 2: “Relationes fundantur super aliquid quod est causa ipsarum in subjecto, sicut aequalitas supra quantitatem, ita et dominum supra potestatem”; IV d. 27 q. 1 a. 1 qc. 1 ad 3: “Relatio fundantur in aliquo sicut in causa, ut similitudo in qualitate”.

24 Aegidius Romanus, Quodl. 2 q. 5 ad 1, Quodlibeta (Louvain 1646), p. 61a,23: “cum dicitur, quod relatio non habet realitatem, nisi ex fundamen-to: hoc aut intelligatur causaliter: aut formaliter. Et, si causaliter, quod ve-rum sit, realitatem relationis fundari in realitate fundamenti, et ortum ha-beat ex illa realitate”.

25 Jacobi de Viterbio, q. 11 n. 345, Quaestiones de divinis praedicamentis V. 2, Eelcko Ypma O.S.A (Roma 1986), p. 14-15: “Sicut autem idem dicit, fuerunt quidam, scilicet Stoici, qui dixerunt relationem non esse hyposta-sim, id est non esse aliquid in rerum natura, neque aliquod ens reale prae-ter illud cui relatio attribuitur, sed solum esse quoddam iudicium intellec-tus comparantis unam rem ad aliam, verbi gratia ut ipse exemplificat secundum illorum opinionem”.

26 Petrus Aureoli, In Sent. I d. 31 a. 2 (E), Commentariorum in primum li-brum sententiarum auctore Petro Aureolo Verberio Ordinis Minorum Ar-

14 Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart

stò fervido difensore tanto della realtà della relazione quanto della distinzione di questa dal suo fondamento: nella quaestio “Utrum re-latio sit ens reale” affermava che tutte le relazioni fundate in entibus realibus sunt realia27; in quella successiva, “Utrum relatio realiter distinguatur a fundamento suo”, che le relazioni in creaturis sunt di-stincte a fundamento realiter28. Nel suo primo Commento alle Sen-tenze Durando di San Porziano giunse invece a considerare pura-mente logiche persino le relazioni di somiglianza e uguaglianza tra gli enti29; questa tesi fu giudicata contraria alla dottrina tomista e fu inserita nella lista di errori ‘contra Thomam’30. In seguito alle dispo-sizioni della commissione, Durando ammorbidì le sue posizioni: nella seconda redazione del suo commento la relazione è definita un modus habendi31; non una res, né al modo delle sostanze né al modo degli accidenti, ma soltanto il modo in cui le proprietà reali si trova-no nel soggetto32.

chiepiscopo: Ad Clementem VIII [I] I (Roma 1596), p. 713: “nec similitu-do, nec relatio aliqua est in rebus in actu, sed earum reductio in actum sit per aliquam apprehensionem. Si enim aequalitas esset res, sequeretur, quod reales numeralitates essent in uno subiecto (…) Si ergo qualibet sit res in actu, erit unus homo innumerabilibus realitatibus oneratus, similiter etiam facies hominis cum innumerabilibus realitatibus, quia quot sunt ho-mines, tot habebit reales dissimilitudines et difformitates in facie subiecti-ve. Similiter etiam si sunt novem albedines, erunt in qualibet novem simi-litudines ad novem albedines, et resultabant in universo nonaginta, et si fuerint centum albedines, necesse in actu poni decem millia realitates. Unde cum talis rerum infinitas omnino irrationalis sit, non debet in men-tem alicuius venire, quod similitudo et dissimilitudo sint in rebus, nisi in potentia”.

27 Iohannis de Ianduno, In Met. V q. 23 (K), Quaestiones in duodecim libros metaphysicae (Venedig 1553) p. 67.

28 Iohannis de Ianduno, In Met. V q. 24 (M), p. 68. 29 Durandus de San Porciano, In Sent. I d. 30 q. 2: “Quare patet quod funda-

mentum similitudinis et equalitatis quantum ad formalem rationem funda-menti est unitas speciei que est unitas rationis. Quare relationes super hoc fundate non sunt reales”.

30 Cf. J. Koch, Die Magister-Jahre des Durandus de S. Porciano O.P. und der Konflikt mit seinem Orden, in: Kleine Schriften II (Storia e letteratura 128), Roma 1973, p. 82.

31 Durandus de S. Portiano, Sent. I d. 33 q. 1, ed. Venetiis 1571, repr. Köln 2007, p. 934,330: “relatio proprie est modus habendi essentia”.

32 Durandus de S. Portiano, Sent. I d. 30 q. 1, p. 878,226: “Relinquetur ergo quod, ex quo realitas relationis non est precise realitas sui fundamenti nec precise realitas extremi nec realitas utriusque simul formaliter et quiddita-

Introduzione 15

Nei confronti di questa dottrina Eckhart dirigeva una decisa pole-mica durante il suo secondo magistero a Parigi33. Il suo confratello Durando, magister anche lui in quegli stessi anni, si muoveva in una direzione opposta a quella di Eckhart; una direzione che certamente non attribuiva all’intelletto alcun carattere fondativo né tantomeno riconosceva alle operazioni intellettive alcun grado di sostanzialità.

La dottrina della relazione di Eckhart mostrava distintamente quel carattere intellettualista che connotava il pensiero degli eredi di Al-berto Magno: essa percorreva una via alternativa tanto alle tesi reali-ste di coloro che perduravano nel ritenere la relazione una res dal ca-rattere accidentale (come Duns Scoto); quanto alle tesi di coloro che si avviavano verso la considerazione logica delle relazioni (come Du-rando di San Porziano). Eckhart difese la realtà della relazione, ma nient’affatto la sua natura d’accidente; e affermò che la relazione era identica con il suo fondamento, ma certo non intese l’identità come il risultato d’una considerazione logica. Egli stabilì che ciascuna rela-zione si fondasse direttamente nella sostanza degli enti; i quali sono il risultato dell’attività di un Intelletto fondativo, ch’è Dio stesso.

2. Sulla necessità di uno studio sulla dottrina della relazione di

Meister Eckhart

Dico ergo quod relatio, quamvis dicatur minime ens, tamen aeque primum genus praedicamenti sicut ipsa substantia. Hoc enim ipsum nomen primi indicat.

Meister Eckhart34

Chi conosce la biografia di Meister Eckhart35 non si stupirà di non

trovare nella sua opera alcun trattato specifico sul tema della relazio-

tive, quod ipsa sit realitas habitudinis medie realiter differens ab utroque vel ipsa non est aliqua realitas secundum se”.

33 Cf. infra cap. 3 p. 49. 34 Eckhardus, in Exod. n. 54, LW II, p. 59, 12-14.35 Sulla vita e le opere di Meister Eckhart cf. K. Ruh, Meister Eckhart. The-

ologe, Mystiker, Prediger, C. H. Beck, München 1985, trad it. Meister Eckhart. Teologo, predicatore, mistico, a cura di M. Vannini, Morcelliana, Brescia 1989; L. Sturlese, Eckhart, Tauler, Suso. Filosofi e mistici nella Germania medievale, Le Lettere, Firenze 2010; K. Flasch, Meister Eck-hart, Philosoph des Christentums, C. H. Beck, München 2010; A. Becca-risi, Eckhart, Carocci, Roma 2012.

16 Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart

ne: il luogo tradizionale della discussione teologica sulla relazione, il Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, che Eckhart dovette comporre intorno al 129436, non ci è pervenuto. Dell’ambizioso pro-getto di sistematizzazione della metafisica eckhartiana, l’Opus tripar-titum, ci sono giunti i Prologi e una buona parte dell’Opus expositio-num, che contiene i commenti alle auctoritates bibliche; l’Opus propositionum e l’Opus quaestionum, che avrebbero verosimilmente offerto l’occasione per discutere le questioni teologiche nei termini del linguaggio dotto dell’accademia37, non sono mai stati scritti38.

E d’altra parte i momenti di riflessione sul concetto di relatio nella sua opera esegetica non sono molto numerosi: Eckhart vi dedicò il Sermo 1 in Eccli. 2439, il quale, insieme con la Quaestio parisiensis I (che riporta un breve ma significativo riferimento alla relazione40), è

36 Eckhart è attestato quale lector sententiarum della facoltà teologica nella predica pasquale che egli tenne a Parigi nel 18 aprile 1294 (Sermo pascha-lis, LW V, p. 136). Il lector sententiarum rappresentava già un elevato in-carico nella carriera universitaria: presupponeva lo studio delle Arti e il baccalaureato nella facoltà teologica. Il compito del lettorato teologico consisteva nel commentare le Sentenze, vale a dire il tradizionale manua-le accademico di teologia, i Libri quatuor Sentententiarum di Pietro Lom-bardo: quanto ne risultava, il Commento alle Sentenze, costituiva di nor-ma la prima opera importante di un professore di teologia. Quello di Eckhart non ci è pervenuto, ma possediamo la Collatio in libros Senten-tiarum: questa è la prima parte del Principium, che doveva precedere un corso di lezioni, e doveva esporne l’oggetto.

37 Dell’Opus propositionum conosciamo il piano generale, esposto nel Pro-logo, e l’esempio di una tesi, ampiamente trattata: “Esse est deus”; dove-va contenere più di mille tesi filosofiche in quattordici trattati. In questa parte iniziale dovevano essere trattati i concetti metafisici fondamentali. Nell’Opus quaestionum, la seconda parte, dovevano essere discusse alcu-ne questioni teologiche, disposte così come si presentano nella Summa theologiae di Tommaso, sebbene, Eckhart annuncia, sarebbero state trat-tate solo alcune di queste, e a seconda dell’occasione offerta dal discorso.

38 L. Sturlese, Un nuovo manoscritto delle opere latine di Eckhart e il suo si-gnificato per la ricostruzione del testo e della storia dell’Opus triparti-tum, in: Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie 32 (1985), 145-154; id., Meister Eckhart in der Bibliotheca Amploniana. Neues zur Datierung des Opus tripartitum, in: Die Bibliotheca Amploniana, hrsg. von A. Speer, Berlin-New York 1995 (Miscellanea Mediaevalia 23), 434-446, ora in: L. Sturlese, Homo divinus. Philosophische Projekte in Deutschland zwischen Meister Eckhart und Heinrich Seuse, Stuttgard 2007, 95-106.

39 Eckhardus, In Eccl., LW II, p. 231. 40 Eckhardus, Quaest. Par. n. 4, LW V, p. 40,12.

Introduzione 17

rappresentativo di una fase del pensiero di Eckhart profondamente se-gnata dall’interesse per i temi dell’intelletto; la relazione si colloca esattamente in questo contesto. In Expositio libri Exodi41, nell’ambito della riflessione sulle categorie aristoteliche, Eckhart presenta la pri-ma e forse la più dettagliata definizione dello status ontologico del predicamento della relazione che si ritrova nella sua opera. In Exposi-tio sancti evangelii secundum Iohannem vien fatto riferimento espli-cito al concetto di ‘relatio’ in sette esposizioni42, di cui nessuna è pro-priamente una trattazione della nostra categoria; e tuttavia questi luoghi si rivelano particolarmente significativi, perché la relazione traduce qui la generazione intellettuale dell’immagine, ad un tempo ontologica e gnoseologica: la relazione di filiazione.

Nel suo studio teso a dimostrare la priorità della relazione di uni-vocità nel pensiero di Eckhart, Burkhard Mojsisch notava che il concetto di relazione non è solo un nodo centrale del pensiero eckhartiano, ma il suo stesso fondamento43; eppure, esso rimane ap-parentemente un tema piuttosto marginale, al punto che anche i po-chi riferimenti espliciti al concetto di relatio, accompagnati spesso dal richiamo alla tradizionale lettura agostiniano-boeziana delle re-lazioni divine, rischiano di essere scambiati per semplici espressio-ni convenzionali, attinte al patrimonio scolastico comune44.

È questo, probabilmente, il motivo per cui Mark G. Henninger non ricordava il nome di Meister Eckhart nel suo studio sulla discus-sione medioevale intorno alla relazione45.

Kurt Flasch ha invece richiamato più volte l’attenzione sulla teoria eckhartiana: già nel 1979 rifletteva sulla lettura eckhartiana della rela-zione e la interpretava come “inasprimento della dottrina di Teodori-co di Freiberg” e “aperta polemica contro Tommaso d’Aquino”46; e

41 Eckhardus, In Exod. n. 27, LW II, p. 32,1.42 “In principio erat verbum”, In Ioh. n. 34, LW III, p. 27,15; n. 43, LW III,

p. 36,5; “Deum nemo vidit unquam…”, In Ioh. n. 197, LW III, p. 157,3; “Quem misit deus, verba loquitur”, In Ioh. n. 360, LW III, p. 305,4; “Mea doctrina non est mea…”, In Ioh. n. 425, LW III, p. 360,9; “Si me sciretis, forsitan et patrem meum sciretis”, In Ioh. n. 446, LW III, p. 382,5; “Non vos me elegistis, sed ego elegi vos…”, In Ioh. n. 647, LW III, p. 562,4.

43 B. Mojsisch, Analogie, Univozität und Einheit, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983, p. 18-19.

44 R. Schönberger, Op. cit., p. 119.45 M. G. Henninger, Op. cit.46 K. Flasch, Kennt die mittelalterliche Philosophie die Konstitutive Funkti-

on des menschlichen Denkens? Eine Untersuchung zu Dietrich von Frei-

18 Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart

nel suo ultimo studio su Meister Eckhart ribadiva che le posizioni del maestro tedesco intorno alla relazione erano piuttosto singolari e cer-tamente antitomiste, poiché mai Tommaso avrebbe sostenuto che la relazione avesse la sua origine nell’anima e che proprio per questo fosse un predicamento reale47.

In un recente articolo Rupert Mayer rilevava invece la prossimità della teoria della relazione di Eckhart a quella di Tommaso e una di-stanza dalla dottrina di Teodorico48, nella misura in cui Eckhart e Tommaso concordano nel considerare la relazione un respectus pura-mente formale, portato cioè alla luce dall’anima, mentre il fundamen-tum in re si costituisce come sostrato materiale della relazione; la di-stanza tra la dottrina di Eckhart e quella di Teodorico consisterebbe invece nel fatto che, mentre Teodorico individua la causa della rela-zione nel soggetto, Eckhart fa derivare la relazione completamente dal terminus che le si contrappone, ovvero dall’oggetto.

E d’altronde Rolf Schönberger rilevava la difficoltà di un’analisi esauriente della teoria della relazione di Eckhart49. Il problema risiede innanzitutto nella situazione paradossale che caratterizza questa dot-trina, che si presenta come il cuore del pensiero eckhartiano, ed è tut-tavia così raramente tematizzata in modo esplicito dal suo autore. In secondo luogo, la sua stessa coerenza interna si rivela problematica: se infatti nella Quaestio parisiensis I Eckhart aveva individuato l’ori-gine della relazione nell’anima, avrebbe poi successivamente svilup-pato la sua posizione in una direzione diversa e più affine a quella di Tommaso, sostenendo la realtà delle categorie aristoteliche negli enti extra animam50.

L’interpretazione della dottrina eckhartiana della relazione non si è rivelata, insomma, affatto agevole.

Le Quaestiones parisienses degli anni 1313/131451 or ora editate, il cui tema centrale di discussione è proprio la categoria della relazione,

berg, in Kant Studien 63, 1972, p. 182-206.47 K. Flasch, Meister Eckhart, Philosoph des Christentums, C. H. Beck,

München 2010, p. 115-116.48 R. J. Mayer, Meister Eckharts erste Quaestio Parisiensis oder: Wie kann

Gottes Vernehmen das fundamentum seines Seins sein?, in: Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie 54 (2007), pp. 430-463.

49 R. Schönberger, Op. cit., p. 117.50 Id. p. 119.51 Die lateinischen Werke, Bd. I,2, Lief. 7-9: Liber parabolarum Genesis.

Opera Parisiensia, hrsg. von L. Sturlese, Stuttgart 2011.

Introduzione 19

assumono allora per questa ricerca tanto più rilievo, innanzitutto per-chè evidenziano l’attenzione del maestro tedesco verso un tema estre-mamente attuale e dibattuto negli ambienti accademici in quegli anni: Eckhart rispose infatti in queste Questioni a tutte quelle domande in-torno alla relazione, che gli erano certamente note anche prima ch’e-gli decidesse di discuterne a Parigi, ma su cui non aveva ancora preso alcuna posizione esplicita52; nondimeno esse consentono di far luce su una dottrina che, se pure non delimitata entro i confini di un trattato specifico, pervade il pensiero eckhartiano nei suoi punti cruciali, tan-to sul piano teologico quanto su quello gnoseologico.

Questo studio si propone pertanto di analizzare la nozione di re-

lazione che il Maestro tedesco tracciò nella sua opera esegetica e nelle questioni parigine; l’indagine si è svolta, dunque, attraverso la lettura di quei luoghi cruciali di discussione disseminati nei suoi scritti latini, rimandando per il momento la considerazione delle conseguenze morali ed etiche espresse nella sua opera tedesca.

L’analisi sistematica di quei luoghi ha rivelato che egli non utilizzò mai il termine ‘relazione’ in modo casuale, né tantomeno vi si riferì menzionando semplicemente formule scolastiche di patrimonio co-mune; la categoria della relazione occupò invece nella metafisica di Eckhart un posto ben preciso, ed egli vi si richiamò sempre con preci-sa cognizione di causa, ovvero ben consapevole della sua portata all’interno del dibattito scolastico del suo tempo. E soprattutto ha ri-velato la coerenza di una teoria in cui sin dall’inizio la categoria della relazione non era definita come accidente, come proprietà di una so-stanza, ma rappresentava l’attività costitutiva dell’Intelletto.

Eckhart riconobbe che la relazionalità non appartiene alla realtà cosale, ma è il carattere proprio dell’Intelletto; che l’unità non può essere una proprietà dell’ente sensibile, ma è una condizione che ri-sulta da un processo relazionale, la cui origine è l’Intelletto. Per que-sta ragione la relazione – proprio la categoria che si dice minime ens – doveva rappresentare nella sua metafisica l’elemento costitutivo della sostanza. La condizione di questo status eccezionale rispetto agli altri predicamenti risiedeva esattamente nel suo essere priva di sostanzialità. La relazione non deriva, infatti, dalla sostanza, ma le rimane esterna; essa è, in sé, il puro riferimento ad alterum.

52 Eckhart vi accenna in In Eccli. n. 11, LW II, p. 241, 2.