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1 Il colore perduto di Napoléon. L’unica edizione Home Video che uno spettatore comune può oggi vedere o addirittura acquistare di Napoléon (1927) di Abel Gance è quella, riprodotta nel DVD del mercato spagnolo 1 , che potremmo chiamare la “versione Coppola”: la versione cioè rieditata dal regista di Apocalypse Now che acquistò i diritti della versione restaurata da Kevin Brownlow nel 1981 e ne produsse una “personale” versione commerciale 2 . Se poi con un po’ di fortuna riuscissimo a reperire anche solo il nastro VHS (si veda il riferimento alla nota 1 per l’edizione) di quella che viene dichiarata essere la versione prodotta da Coppola, ci accorgeremmo con qualche perplessità che una prima parte del trittico finale, poco prima della marcia dell’ “armée d’Italie- che nell’edizione DVD è interamente colorato - viene riprodotto in bianco e nero. E ancora nell’edizione DVD, accanto ad un’apparente coerenza narrativa e tutto sommato stilistica (il risultato ad una prima visione appare fluido), ci ritroveremmo a leggere didascalie non solo montate senza una logica coerente e uniforme (infatti didascalie su riquadri si alternano a didascalie impresse direttamente sull’immagine), ma persino a didascalie scritte in lingue diverse, che passano disinvoltamente dal francese all’inglese e viceversa. Queste generiche considerazioni, che potrebbe formulare uno spettatore comune con un occhio allenato, rivelano gli errori più grossolani e evidenti del trattamento riservato alla prima delle versioni ricostruite da Kevin Brownlow (ci riferiamo alla ricostruzione del 1980, poi corrotta da Coppola), errori che però corrispondono a una parte assai ridotta dei problemi di natura filologica legati a un testo la cui vicenda editoriale è tra le più complesse della storia del cinema 3 . Per lo storico affrontare un qualsiasi aspetto di questo film significa far fronte a una mole di varianti testuali e “lezioni” differenti tali da rendere il percorso di indagine insidioso quanto una camminata sui carboni ardenti. Quante versioni di Napoléon 4 esistono? Quale materiale, quali frammenti scartare, e cosa tenere e scegliere di vedere o far vedere? E soprattutto su quale base posso valutare l’attendibilità di una data ricostruzione, o meglio ancora della selezione dei frammenti all’origine della ricostruzione? Su quale delle versioni scelgo di impostare una ricerca per esempio sul colore? Sono questioni queste che si può porre chiunque voglia vedere una versione fedele del film, ma anche lo specialista che si appresta a tentare una lettura critica del film. Kevin Brownlow - nel libro che ha documentato il processo di restauro di una delle versioni di cui sopra e che in parte ha anche ricostruito la cronologia di lavorazione del film con l’aiuto dello stesso Gance - ha tracciato un affresco avvincente e prezioso (se non altro per le testimonianze dello stesso Abel Gance) della complessa ramificazione che descrive la storia di questo film. Una delle fonti più utili per orientarsi in questa fitta rete di “versioni alternative” rimontate dallo stesso Gance, frammenti isolati, versioni 1 La durata del film di questa edizione Coppola-Brownlow DVD (ed. manga films®/ vértigo®) è di 222 min. contro i 240 min. della versione Coppola-Brownlow VHS statunitense (MCA Universal®). 2 Coppola acquistò i diritti della versione restaurata del film e ne produsse una versione commerciale apportando delle significative modifiche al corpus filmico modificando per esempio le didascalie e accorciando la lunghezza del film - e affidando a Carmine Coppola la scrittura della partitura di accompagnamento. 3 Per una chiaro quadro riassuntivo della storia testuale di Napoléon, rimandiamo all’articolo di S. Boraso, Cinergie n°5, settembre 2002. L’articolo ripercorre tutta la vicenda editoriale di Napoléon, tracciando una chiara mappa delle diverse versioni che nel corso del ‘900 sono state presentate al pubblico fino alle ultime ricostruzioni. Per una ricostruzione delle vicissitudini del film di Gance si veda anche Y. Tobin, Sur Napoléon d’Abel Gance, Positif n°256, giugno 1982. 4 In questo caso il titolo Napoléon non fa riferimento a nessuna edizione particolare, quanto al film ipotetico, ricostruibile.

Andrea Mariani, Il colore perduto di Napoléon [The Lost Color of Napoléon], in (eds.) Simone Venturini and Giulio Bursi, What Burns (Never) Returns. Lost and Found films, Campanotto,

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1

Il colore perduto di Napoléon.

L’unica edizione Home Video che uno spettatore comune può oggi vedere o addirittura acquistare

di Napoléon (1927) di Abel Gance è quella, riprodotta nel DVD del mercato spagnolo1, che

potremmo chiamare la “versione Coppola”: la versione cioè rieditata dal regista di Apocalypse Now

che acquistò i diritti della versione restaurata da Kevin Brownlow nel 1981 e ne produsse una

“personale” versione commerciale2. Se poi con un po’ di fortuna riuscissimo a reperire anche solo il

nastro VHS (si veda il riferimento alla nota 1 per l’edizione) di quella che viene dichiarata essere la

versione prodotta da Coppola, ci accorgeremmo con qualche perplessità che una prima parte del

trittico finale, poco prima della marcia dell’ “armée d’Italie” - che nell’edizione DVD è

interamente colorato - viene riprodotto in bianco e nero. E ancora nell’edizione DVD, accanto ad

un’apparente coerenza narrativa e tutto sommato stilistica (il risultato ad una prima visione appare

fluido), ci ritroveremmo a leggere didascalie non solo montate senza una logica coerente e uniforme

(infatti didascalie su riquadri si alternano a didascalie impresse direttamente sull’immagine), ma

persino a didascalie scritte in lingue diverse, che passano disinvoltamente dal francese all’inglese e

viceversa. Queste generiche considerazioni, che potrebbe formulare uno spettatore comune con un

occhio allenato, rivelano gli errori più grossolani e evidenti del trattamento riservato alla prima

delle versioni ricostruite da Kevin Brownlow (ci riferiamo alla ricostruzione del 1980, poi corrotta

da Coppola), errori che però corrispondono a una parte assai ridotta dei problemi di natura

filologica legati a un testo la cui vicenda editoriale è tra le più complesse della storia del cinema3.

Per lo storico affrontare un qualsiasi aspetto di questo film significa far fronte a una mole di varianti

testuali e “lezioni” differenti tali da rendere il percorso di indagine insidioso quanto una camminata

sui carboni ardenti. Quante versioni di Napoléon4 esistono? Quale materiale, quali frammenti

scartare, e cosa tenere e scegliere di vedere o far vedere? E soprattutto su quale base posso valutare

l’attendibilità di una data ricostruzione, o meglio ancora della selezione dei frammenti all’origine

della ricostruzione? Su quale delle versioni scelgo di impostare una ricerca per esempio sul colore?

Sono questioni queste che si può porre chiunque voglia vedere una versione fedele del film, ma

anche lo specialista che si appresta a tentare una lettura critica del film. Kevin Brownlow - nel libro

che ha documentato il processo di restauro di una delle versioni di cui sopra e che in parte ha anche

ricostruito la cronologia di lavorazione del film con l’aiuto dello stesso Gance - ha tracciato un

affresco avvincente e prezioso (se non altro per le testimonianze dello stesso Abel Gance) della

complessa ramificazione che descrive la storia di questo film. Una delle fonti più utili per orientarsi

in questa fitta rete di “versioni alternative” rimontate dallo stesso Gance, frammenti isolati, versioni

1 La durata del film di questa edizione Coppola-Brownlow DVD (ed. manga films®/ vértigo®) è di 222 min. contro i 240

min. della versione Coppola-Brownlow VHS statunitense (MCA Universal®). 2 Coppola acquistò i diritti della versione restaurata del film e ne produsse una versione commerciale apportando delle

significative modifiche al corpus filmico – modificando per esempio le didascalie e accorciando la lunghezza del film - e affidando a Carmine Coppola la scrittura della partitura di accompagnamento. 3 Per una chiaro quadro riassuntivo della storia testuale di Napoléon, rimandiamo all’articolo di S. Boraso, Cinergie n°5,

settembre 2002. L’articolo ripercorre tutta la vicenda editoriale di Napoléon, tracciando una chiara mappa delle diverse versioni che nel corso del ‘900 sono state presentate al pubblico fino alle ultime ricostruzioni. Per una ricostruzione delle vicissitudini del film di Gance si veda anche Y. Tobin, Sur Napoléon d’Abel Gance, Positif n°256, giugno 1982. 4 In questo caso il titolo Napoléon non fa riferimento a nessuna edizione particolare, quanto al film ipotetico,

ricostruibile.

2

mutilate, ricostruzioni critiche incomplete è quella che sembrerebbe una sorta di diario redatto da

Jean Arroy5, allora giovane stagista sul set di Napoléon

6, che riporta alcune affermazioni di Gance,

poi trascritte da un giornalista e comparse su Paris Soir nel 1924: “il était un paroxysme dans son

époque, laquelle était aussi un paroxysme dans le temps”7.

Parafrasando questa interpretazione visionaria del personaggio di Napoleone, Roger Icart riprende

le parole di Gance e definisce la sua imponente opera come un Paroxysme cinématographique.

Questa definizione in effetti ben sintetizza la natura di un testo concepito fin dall’ inizio come

un’opera che eccedeva qualsiasi orientamento formale definitivo (è infatti un film che sul piano

tecnico intercetta cinema muto, cinema sonoro, fotografia in bianco e nero, fotografia a colori,

immagine a due dimensioni, immagine a tre dimensioni), qualsiasi forma testuale conclusa (il film

definitivo, completo, resta in ogni caso un’utopia: il progetto Napoléon resta fermo al primo dei

suoi ipotetici sei episodi, per cui anche la prima versione proiettata all’Opéra di Parigi nel 1927 è un

testo “parziale”) , e in fondo anche qualsiasi genere (grande affresco storico, film d’avventura, ma

anche cinema narrativo, cinema impressionista, spettacolo “mainstream” e “cinema puro”).

Se esteticamente un progetto come questo non può che affascinare, dal punto di vista del critico o

del restauratore tutto ciò non fa che rivelare la controversa evoluzione delle sue vicende. Se quindi

da una parte considerare un film che è stato un esempio di “parossismo cinematografico” significa

confrontarsi con un testo che ha portato lo sviluppo dell’arte cinematografica a tensioni poetiche e

tecniche del tutto nuove per l’epoca, per contro avvicinarsi a una sua “versione” significa altresì

affrontare l’evidenza di un’opera che ha perso irrimediabilmente parte della sua “forma originale”, a

causa dell’incuria di coloro che lo hanno avuto tra le mani, ma anche dell’inquietudine di un autore

che non ha mai smesso di ritoccare quell’ “originale”8 e che, durante “un parossismo” della sua

esistenza, ha persino distrutto parti di quel corpo “eccessivo”.

Considerare il colore in Napoléon significa quindi muoversi lungo il crocevia di queste

problematiche: da una parte cioè indagare uno degli sviluppi tecnici più complessi e affascinanti del

film, nonché emblematici della sua natura parossistica, dall’altra confrontarsi con la difficoltà di

orientarsi all’interno di un film che proprio per la sua natura parossistica è come “esploso” nel corso

degli anni, andando a definire progressivamente una nebulosa storia testuale. Per quanto riguarda la

ricerca estetica che sottende le sperimentazioni sul colore nel film di Gance, dobbiamo prendere

atto che le ricerche sull’immagine fotografica, come anche sul sonoro, rappresentano una costante

nel percorso stilistico, ma soprattutto tecnico del regista. Accanto alla sua invenzione più celebre, la

“Polyvisione”9 inaugurata con Napoléon e poi sperimentata e perfezionata anche in epoca

“televisiva”, il Fond Abel Gance della Bibliothéque National di Parigi raccoglie numerosi appunti e

quaderni che documentano una ricerca e una riflessione che ha attraversato tutta la sua carriera; per

esempio Gance ha dedicato almeno vent’anni della sua vita al perfezionamento e al brevetto di un

innovativo sistema di messa a fuoco, il “Pictographe”, a cui pensava dai tempi di Napoléon. Tra i

5 Jean Arroy, «En tournant Napoléon avec Abel Gance» conservato presso La Bibliothèque Nationale di Parigi,

dipartimento Arts du Spectacle (riferimento 4- RF- 88044). 6 D’ora in avanti col titolo Napoléon designeremo il film le cui riprese sono state effettuate fino al ottobre 1926,

altrimenti conosciuto come Napoléon vu par Abel Gance. 7 Il frammento a cui facciamo riferimento è anche riportato nel libro che raccoglie alcuni degli scritti di Abel Gance,

curato da Roger Icart, Un Soleil dans chaque image : Souvenirs d'Abel Gance , Cinémathèque française, Paris, 2002, pag.72 8 Allo stesso Gance dobbiamo veri e propri rifacimenti o versioni alternative (più che varianti d’autore) della versione

1927 come Napoléon Bonaparte del 1935 e Bonaparte et la Revolution del 1971, una sorta di sintesi della versione 1927 e 1935 come ci ricorda Roger Greenspun, New York Times, 16 Ottobre 1971. 9 Il sistema brevettato dallo stesso Gance che prevedeva la proiezione su tre schermi adiacenti di tre scene talvolta,

non sempre, consequenziali: una sorta di precursore del Cinemascope.

3

documenti che Gance ha rilasciato alla Bibliothéque National, a proposito del suo progetto

napoleonico, leggiamo inoltre che la questione del colore e le invenzioni fotografiche avrebbero

accompagnato ogni episodio della “saga”: il Pictographe (il cui brevetto venne depositato da Gance

nel 1942) sarebbe stato al centro del film Bonaparte en Égypte10

, ovvero il quarto episodio della

epopea napoleonica11

, previsto interamente a colori. Ma per Napoléon , la Prima epoca della sua

epopea, il colore rappresentava come il sonoro il sogno di un’arte totale, che avrebbe permesso non

solo la massima immedesimazione dello spettatore, ma addirittura:

« Faire du spectateur un acteur, le mêler á l’action, l’emporter dans le rythme des

images[…]le public ne devra pas être spectateur comme il l’a été jusqu’à présent, ce

qui lui laissait la faculté de résistance et de critique. Il devra être acteur comme il l’est

dans la vie, et au même titre que les acteurs du drame. Le propre de ma technique devra

opérer cette transformation psychologique[…] »12

.

Il colore e il sonoro in Napoléon rappresentano gli estremi di un sogno di arte totale che Gance non

smette di alimentare fino alla sua morte: gli elementi imprescindibili per il suo progetto estetico di

“incontestable adéquation du style à l’idée”13

, come Roger Icart ha di nuovo bene sintetizzato.

Gance perseguiva in questo modo la costante ricerca di una tensione tra la tecnica dell’arte - la sua

specificità mediatica - e il suo contenuto, la sua storia, il suo tessuto narrativo:

«Le cinéma et le drame dans le cinéma s’affrontent reglement face á face. Le cinéma

tuant l’histoire dramatique á chaque seconde[...]»14

Il mezzo cinematografico per Gance in qualche modo ancora in potenza, determinava la natura

drammatica del film. Il film si generava dal confronto/scontro tra le sue due nature, uno scontro che

però vedeva il cinema puro, vincere sul dramma ogni secondo. Questa idea di cinema non poteva

che forzare i vincoli tecnici dell’epoca di Gance. Ciò d’altra parte significa che, per quanto riguarda

il colore, i tentativi e le sperimentazioni pianificati per questo scopo furono numerosi e notevoli: ne

analizzeremo uno in particolare nel corso di questo saggio. Quando parliamo di sperimentazioni

facciamo riferimento a tecniche di colorazione che superino per qualità “realistica” i risultati

ottenuti per viraggio o imbibizione, le due principali classi di colorazione che la tecnica dell’epoca

permetteva di raggiungere con successo e tutto sommato, con costi contenuti.

* * *

La ricerca sul colore in Napoléon

Prima di entrare nello specifico di Napoléon dobbiamo però fare alcune considerazioni generali sul

colore nel cinema ad esso coevo: dobbiamo infatti ricordare in quale contesto queste

10

Si fa qui riferimento al materiale relativo al progetto Bonaparte en Égypte, tra i più completi dei progetti non conclusi dell’Epopea Napoleonica. Il materiale è datata tra il 1942 e il 1947, anno in cui era prevista l’uscita del film. Biblithéque Nationale di Parigi, Fond Abel Gance rif: 4°-COL-36/598. 11

L’ordine degli episodi della saga napoleonica è stato ricostruito sulla base dei documenti depositati presso il Fond Abel Gance, e rispetta la cronologia di produzione delle sceneggiature. 12

Nota manoscritta di Abel Gance riportata in Roger Icart, Abel Gance, ou le Prométhée foudroyé, Editions l'Age d'Homme, Lausanne, 1983, pag. 181 13

Roger Icart, Abel Gance, ou le Prométhée foudroyé, Editions l'Age d'Homme, Lausanne, 1983, pag.182 14

La Nota è stata decifrata a partire dalle pagine manoscritte ritrovate nei Carnets del regista, datate dicembre 1926: la data ci riporta cronologicamente alla fase finale delle riprese del primo Napoléon. Bibliothéque National di Parigi, dipartimento Arts du Spectacle, Fondo Abel Gance rif: 4°-COL-36/46 e 4°-COL-36/47.

4

sperimentazioni venivano condotte. Ogni qual volta ci prestiamo ad affrontate il tema del colore nel

cinema muto, per qualunque film si voglia studiare, sia colorato con sistemi additivi o sottrattivi, o

in Technicolor, è utile ricordare che generalmente - ossia per la maggior parte dei casi e in fondo

non possiamo escludere da questi neppure Napoléon – gli esperimenti venivano condotti in maniera

inevitabilmente pionieristica, quando non artigianale, e questo in parte ci permette di tratteggiare un

contesto in cui era arduo riuscire a stabilire uno standard tecnico: nell’epoca del film muto gli

esperimenti erano condotti spesso con l’intento di aggirare i brevetti, talvolta per superarli nella resa

realistica, altre volte semplicemente per raggiungere i risultati più soddisfacenti, senza dover

ricorrere al costoso Technicolor. Ma se durante la produzione e le riprese pochi erano gli standard

tecnici che venivano rispettati, questo si verificava puntualmente anche in fase di ri-produzione e

nella duplicazione delle copie: i tecnici spesso a loro volta apportavano piccole modifiche alle

sequenze ottenute, oppure molto più semplicemente rinunciavano a rispettare i risultati raggiunti in

fase di colorazione e duplicavano i fotogrammi in bianco e nero.

Riportiamo a questo proposito le chiare e sintetiche parole di Alfonso del Amo García, responsabile

dei laboratori della Filmoteca Española di Madrid:

«Al plantearse el estudio del color en una película realizada en cualquiera de los

sistemas aditivos o sustractivos ya mencionados, o en Technicolor o, incluso en algunos

aspectos, también al estudiar películas filmadas en sistemas modernos, es necesario

tener en cuenta que:

- Los sistemas de separaciones en blanco y negro, de filtros o de tintados y virados,

tuvieron un marcado carácter experimental y sus creadores y promotores los

sometieron a continuos cambios y mejoras.

- Por lo menos durante los años cuarenta, los motivos fundamentales para crear y

utilizar estos sistemas eran económicos. Todos eran procedimientos más baratos (o

industrialmente más accesibles para cada cinematografía) que el Technicolor y, por

ello, muchos de sus componentes eran fundamentalmente baratos y sustituibles.

- Mediante estos sistemas no era posible reproducir completamente los auténticos

colores "naturales", lo que dejaba un amplio margen de actuación a los responsables

de cada película y del laboratorio para introducir modificaciones en el color, casi, en

cada copia»15

.

Riprendiamo alcune delle osservazioni puntuali di Del Amo García. In primo luogo quando

parliamo di colore e di conservazione del colore in film sperimentali come Napoléon, non

dobbiamo dimenticare che la principale difficoltà deriva dal contesto storico in cui queste

sperimentazioni venivano pianificate, un contesto che comprometteva la sopravvivenza dei loro

risultati fin dal momento della loro produzione. Il momento stesso dello sviluppo o della

duplicazione delle copie vedeva spesso i tecnici liberi di intervenire sui risultati ottenuti,

modificandone la resa o interrompendone la successione. Quello che Del Amo García ci ricorda,

soprattutto nell’ultima parte, ci dà un’idea precisa delle problematiche che dobbiamo aspettarci

quando affrontiamo la questione del colore in qualsiasi film dell’epoca del film muto; in qualche

modo stiamo cercando tracce di cromatismi la cui stessa riproducibilità è stata compromessa fin dal

principio; ha subito variazioni più o meno consistenti; è stata sostituita o semplicemente omessa nel

momento della duplicazione. Il trattamento stesso della pellicola nei laboratori, nel momento dello

sviluppo, era lasciato spesso alla discrezione degli operatori per migliorie, ritocchi o tagli; inoltre,

15

Alfonso del Amo García, Clasificar para Preservar, Cineteca Nacional de Mexico y Filmoteca Española, Madrid, 2006, pag. 33

5

se da una parte per motivi di natura economica si preferiva tentare nuove strade, magari più

artigianali piuttosto che ricorrere al costoso Technicolor, dall’altra per arginare l’introduzione di

invenzioni straniere – pensiamo a quelle veicolate da pellicole statunitensi - una sorta di

protezionismo legittimava la corsa alle sperimentazioni più libere, al fine di trovare nuove soluzioni

tecnologiche che potessero competere con la concorrenza straniera: è il caso, per esempio,

dell’Italia, ma in fondo anche Napoléon – che, ricordiamo, era una co-produzione internazionale -

viene prodotto durante un periodo di forti attenzioni protezionistiche del cinema francese16

.

Infine immaginiamo che queste piccole, ma anche sostanziali modifiche venissero apportate in fase

di riproduzione o duplicazione potenzialmente per ogni copia; in sostanza già il primo livello

generazionale del processo di “tradizione” del testo ci presenta un numero alquanto elevato di

incognite sulla fedeltà della riproduzione del colore. In questo senso qualsiasi approccio al film che

si proponga l’indagine su sequenze a colori, ci ricorda l’ambiguità e talvolta l’indeterminatezza

circa l’origine dei risultati conseguiti.

Considerare il contesto in cui, in particolare, è stato prodotto il film di cui ci occupiamo in questo

saggio, significa indagare un periodo cruciale per lo sviluppo delle sperimentazioni tecniche nel

cinema. Napoléon si colloca storicamente alla fine dell’epoca del muto, in quel cruciale 1927, a

pochi mesi dall’uscita del celebre Il Cantante Jazz di Alan Crosland. Napoléon quindi raccoglie sul

nascere tutte le tensioni di un’opera che si colloca alle soglie di un passaggio epocale. Come

accennato nei primi paragrafi di questo saggio, addentrarsi in un testo come Napoléon significa

trovarsi di fronte a un film che in qualche modo ha (parzialmente) sintetizzato lo stato dell’arte

cinematografica della sua epoca e lo ha portato a livelli “parossistici”. Gance d’altra parte si

rendeva conto che il successo commerciale del suo film , dopo i primi anni, avrebbe risentito

notevolmente delle sorprendenti innovazioni tecniche dei film futuri. Egli in qualche modo sembra

non accettare questa “tara congenita” (quei limiti tecnici che nel decennio successivo sarebbero stati

superati): la dimostrazione di questo ce la dà il fatto che, per esempio, girò nel 1925 molte sequenze

di Napoléon, chiedendo agli attori di recitare le battute rispettandone con precisione il movimento

labiale, anche se poi gli attori non venivano registrati17

. In sintesi, l’idea Ganciana della “lingua”

cinematografica lo ha portato - soprattutto e a partire da Napoléon - a tentare continue

sperimentazioni nella fotografia e nel sonoro, per raggiungere il sogno di una testualità che potesse

comunicare con tanta precisione quanto quella letteraria, anzi ancor più: superare i limiti del testo

scritto nel coinvolgere il lettore. Ma nello stesso tempo la consapevolezza della necessità di avere

un pubblico e rispondere alle sue esigenze sembra costituire l’altra faccia dell’epopea napoleonica

di Gance, nonché una concausa delle sue vicissitudini editoriali18

. Certamente per tutta la sua

carriera Gance non smette di inseguire un’idea di cinema che faccia dello spettatore un attore del

film, ma d’altra parte poi non è un caso che ad un certo punto della sua carriera scelga la televisione

per le sue nuove sperimentazioni tecniche: il nuovo medium stava diventando più vicino allo

spettatore medio di quanto non lo fosse il cinema. In ogni caso, a cavallo tra gli anni ’20 e i ’30,

Napoléon era l’opportunità decisiva per il raggiungimento di questa “El Dorado”.

Partendo da queste considerazioni possiamo impostare una riflessione su una ricognizione delle

sequenze a colori in Napoléon e sulle difficoltà di una conservazione fedele del colore nelle sue

diverse copie. L’ultimo restauro prodotto dalla Cinémathèque Française, è il risultato di una

16

Si rimanda alle pagine chiare di Richard Able nel saggio Les Anneés Folles in “Historia General del Cine”, VOL. 5, a cura di Manuel Palacio e Julio Perez Perucha, Catedra, Madrid, 2005 pag. 61 17

Nelly Kaplan, Napoléon, BFI publishing, Londra, 1994, pag.45 18

Napoléon Bonaparte del 1935 nasce proprio dal desiderio di dare una seconda opportunità di successo commerciale alla sua idea di film su Napoleone (non tanto quindi al film del 1927) in veste sonora e in una forma testuale molto più vicina al gusto del nuovo pubblico.

6

necessaria revisione dei precedenti restauri, soprattutto a causa del ritrovamento fortuito, da parte di

Bambi Ballard di una copia colorata e virata della versione del 1927 proiettata all’Opéra di Parigi.

Questa copia ha permesso non solo il ripristino dei titoli nel loro formato originale, ma –ciò che più

ci interessa in questo caso - la ricostruzione del colore secondo i procedimenti originari di

imbibizione chimica di copie in bianco e nero19

. Sulla base di queste informazioni anche la

ricostruzioni dei viraggi e imbibizioni è stata condotta nel rispetto filologico degli effetti che

sarebbero stati prodotti all’epoca. Ma la ricerca di ulteriori sequenze a colori per un film che ha

disperso i suoi frammenti in un numero elevatissimo di copie e varianti ci riporta alla necessità di

identificare tracce di colore perduto per esempio in frammenti duplicati in bianco e nero, oppure

semplicemente in copie che col passare del tempo hanno perso il colore originale, oppure in

frammenti di nitrato riprodotti tante volte da perdere nella complessa stratificazione del testo quei

cromatismi che probabilmente il negativo originale o il duplicato negativo avevano. Il passare del

tempo e la continua duplicazione dei materiali sono i principali nemici della conservazione del

colore nelle copie.

* * *

Una sequenza a colori in Napoléon Bonaparte20

del 1935

La ricerca del “colore perduto” richiede quindi inevitabilmente un’ispezione minuziosa delle

informazioni che il supporto del film ci dà. Probabilmente più dell’immagine in sé, le informazioni

del supporto di nitrato piuttosto che di acetato saranno determinanti per i fini della nostra ricerca.

Riporteremo qui di seguito l’esempio di un frammento, rinvenuto tra il materiale conservato presso

la Filmoteca Nacional di Madrid, di una sequenza che molto probabilmente avremmo visto a colori.

Attraverso l’osservazione del materiale proveremo a determinare se il frammento rinvenuto fosse in

origine colorato.

Tra il 1977 e il 1979 Abel Gance, probabilmente anche per dare un aiuto al suo giovane

appassionato amico Kevin Bronwlow, si dedica alla mappatura dei frantumi ancora dispersi della

sua opera napoleonica: scrive cioè a tutti i principali archivi filmici del mondo (in realtà tra i suoi

documenti abbiamo rinvenuto una lista di 38 archivi filmici sparsi tra Occidente e Oriente, che

Gance avrebbe voluto contattare per una mappatura completa delle copie di tutta la sua filmografia)

e raccoglie informazioni dettagliate sulle copie e i frammenti archiviati, complete di stato del

materiale e metraggio21

. Presso l’archivio della Filmoteca di Madrid per esempio abbiamo ritrovato

alcuni frammenti di quella che viene riconosciuta come la versione del 1935: l’edizione di

Napoléon, riveduta dalla stesso Gance con interventi tanto drastici, da far nascere in fondo un

nuovo film dalla materia “vulcanica” della versione 1927. Pur dedicandoci alla ricerca di frammenti

colorati della versione del 1927, non possiamo escludere dalla nostra ricerca alcuna copia o

versione del film che conservi frammenti girati nel 1927. La versione del 1935, corrotta a tal punto

da assumere l’identità di un altro film - che di fatto si chiamerà Napoléon Bonaparte e non più

Napoléon – include, accanto a sequenze girate ex-novo con gli stessi attori e col sonoro, sequenze

originali del 1927 perfettamente post-sincronizzate grazie al labiale corretto che Gance aveva

19

Rimandiamo all’articolo di S. Boraso, Cinergie n°5, settembre 2002. 20

Conosciuto anche col titolo di Napoléon vu et entendu par Abel Gance. 21

Ci riferiamo qui a tutta la documentazione disponibile presso il Fond Abel Gance della Bibliotheque National relativa ai rapporti di Abel Gance con le case di produzioni e alle copie dei film. Dipartimento Arts du Spectacle, Fond Abel Gance, Rif: 4°-COL-36/804.

7

espressamente richiesto nella recita delle battute durante le riprese nel 1925: una versione sonora,

dunque!

A titolo di esempio esamineremo in particolare un frammento che facciamo risalire ad una copia in

nitrato 35mm della versione sonorizzata del 1935. Si tratta di 500m della parte finale del film del

1935. Nell’ispezione del materiale ci soffermeremo su un frammento che ci ha colpito, prima di

tutto perché, all’interno di una stessa sequenza, ripresa nel medesimo spazio esterno, e rispettando

la continuità del momento narrativo, presenta una forte variazione della gamma dei grigi sui

fotogrammi [fig.1].

Fig. 1 / Selezione effettuata sulla copia nitrato 35:NI 0111 della Filmoteca Nacional di Madrid.

Dall’osservazione degli indizi rintracciabili su questo frammento, abbiamo prima di tutto la

possibilità di distinguere se si tratta di un frammento effettivamente girato nel 1927, oppure di un

frammento girato ex-novo nel 1935. Alcuni elementi della disposizione del quadro sulla pellicola ci

permettono di avanzare delle ipotesi: il quadro infatti risulta “tagliato” nella parte inferiore del

nastro, mentre nella parte superiore, appena sotto la perforazione, vediamo con chiarezza la forma

di un angolo arrotondato a destra come a sinistra. Con un semplice ingrandimento possiamo notarlo

facilmente [Fig. 2].

Fig. 2 / Ingrandimento di un fotogramma dalla sequenza in Fig. 1

8

Notiamo infatti un angolo retto sulla parte della banda sonora (sulla sinistra in Fig.2) e un angolo

tondo dalla parte opposta (sulla destra in Fig.2). Questo primo indizio ci permette di avanzare

qualche osservazione circa il motivo di tale asimmetria. Scomodiamo ancora una volta Alfonso del

Amo García che a questo proposito ci descrive una delle ipotesi più probabili:

“En la cinematografía muda, cada cámara tenía sus propias dimensiones de ventanilla

y el área de imagen filmada podía llegar a penetrar muy profundamente en la zona de

las perforaciones[...]La colocación del área de sonido junto a una de las bandas de

perforaciones, dentro del espacio reservado a la imagen, obligó a desplazarla

horizontalmente y a introducir un nuevo concepto en su definición: la distancia al

borde de referencia"22

.

Durante l’epoca del film muto, la mancanza di uno standard preciso determinava il fatto che il

fotogramma potesse estendersi nello spazio della pellicola senza vincoli particolari, rispettando solo

un teorico millimetro di separazione dagli altri fotogrammi o addirittura poteva non esistere

distanza tra un fotogramma e l’altro: tutto dipendeva dalla macchina da presa che effettuava le

riprese. Questa logica valeva anche per la distanza dalle perforazioni, per cui il fotogramma poteva

allinearsi direttamente con il bordo delle perforazioni. La collocazione della banda del sonoro

implica inevitabilmente una standardizzazione del formato della pellicola e una riduzione della

dimensione e dell’aspetto del fotogramma, affinché le proporzioni venissero rispettate. In caso di

sequenze girate durante l’epoca del muto e successivamente rimontate e sonorizzate,

inevitabilmente assisteremmo alla perdita di una porzione della superficie dell’immagine

originariamente “muta” in corrispondenza della banda del sonoro, mentre il fotogramma girato nel

rispetto delle proporzioni definite dall’introduzione della banda del sonoro, verrebbe proiettato nella

sua interezza. A questo punto osserviamo su questo particolare frammento alcuni indizi eloquenti: il

fotogramma che si estende fin quasi la linea delle perforazioni (sul lato destro del fotogramma in

Fig.2), la distanza minima rispettata tra i fotogrammi e la mancanza di una porzione dell’immagine

in corrispondenza della banda del sonoro (sul lato sinistro del fotogramma in Fig.2). Da questi soli

indizi potremmo già sostenere di avere sotto gli occhi fotogrammi ricavati da copie della versione

del 1927. Naturalmente esistono altri indizi che ci permettono di comprovare la nostra ipotesi e che

ritroveremmo proseguendo la nostra ispezione del materiale anche in altri punti della copia,

soprattutto nei punti di passaggio tra fotogrammi dell’epoca del muto e fotogrammi girati ex-novo

nel 1934; ma già con questo piccolo frammento abbiamo avuto modo di riflettere su quali indizi ci

possono essere utili nella ricerca delle sequenze a colori di Napoléon in copie bianco e nero o in

versioni fortemente rimanipolate come quella sonora del 1935 e quella del 1971.

L’ispezione completa del materiale della copia 35:NI 0111 della Filmoteca ci ha portato alla

ricostruzione genealogica della copia conservata. Si tratta di una copia che viene archiviata alla fine

di un percorso di duplicazioni e copie tanto lungo da portare alla perdita di qualsiasi traccia di

colore sul fotogramma: una copia che abbiamo stimato essere almeno di sesta generazione. La

reiterata riproduzione del materiale ha compromesso inevitabilmente l’aspetto originale delle

sequenze sia per l’usura del materiale che di volta in volta veniva copiato, sia perché con ogni

22

Alfonso del Amo García, Clasificar para Preservar, Cineteca Nacional de Mexico y Filmoteca Española, Madrid, 2006, pag. 65

9

probabilità la versione 1935 e la duplicazione delle relative copie non prevedeva il rispetto dei

colori originali: come evinciamo dalla principale letteratura disponibile su Napoléon, ai fotogrammi

del 1927 venivano accostati fotogrammi girati ex-novo, che quindi non avrebbero rispettato le

caratteristiche peculiari delle immagini originali del 1927. Nonostante ciò, la visione diretta dei

fotogrammi sulla pellicola ci permette di notare alcune decisive incoerenze: se osserviamo infatti il

frammento selezionato in Fig.1, notiamo che tutti e sette i fotogrammi selezionati presentano un

campo militare (si tratterebbe delle sequenze girate nel 1926 a Tolone, per le scene dell’assedio e la

Campagna d’Italia); i primi quattro fotogrammi da sinistra ritraggono il campo militare al calar del

sole: lo riconosciamo per la potente fonte del riverbero della luce del sole sul mare, dietro la collina

dell’accampamento; la gamma dei grigi e la luce diffusa nella scena ci permette di dedurre che la

sequenza sia stata girata a luce naturale durante il giorno, probabilmente al calar del sole. Gli ultimi

tre fotogrammi del frammento selezionato mostrano invece dei caratteri cromatici decisamente

diversi: anche in questi ultimi fotogrammi ritroviamo le tende bianche dell’accampamento, ma

sebbene i fotogrammi vengano giuntati in perfetta continuità, senza una sostanziale interruzione o

alcun fotogramma intermedio, non possiamo che notare la diversa disposizione delle tende rispetto

ai quattro fotogrammi precedenti: come se mancasse un frammento di questa “semi-panoramica”.

La sostanziale differenza che colpisce riguarda altresì la variazione cromatica del grigio del cielo, a

cui si aggiunge un corpo circolare “pallido” sullo sfondo grigio scuro: quella che sembrerebbe

essere la luna. Nel libro di Kevin Brownlow dedicato alla realizzazione del film del 1927, si legge

chiaramente che allestire un set per delle riprese notturne era estremamente complesso. Non che

questo abbia fermato Gance, che infatti girò in notturna alcune sequenze della battaglia di Tolone,

ma in questo caso saremmo più propensi ad avvalorare l’ipotesi di un vero e proprio “effetto notte”:

«In America era ormai invalsa l’abitudine di girare le scene notturne alla luce del

giorno e quindi virarle in blu. I francesi chiamavano questo procedimento Nuit

américaine, ma facevano esattamente la stessa cosa. Gance era ricorso all’effetto notte

per molte delle scene girate in Corsica. Ma la battaglia (si tratta dell’assedio di Tolone

- Ndr) doveva essere girata nel buio per riprodurre le condizioni in cui si era verificata:

di notte, sotto una pioggia e un vento implacabili»23

.

Quello che dunque ci si potrebbe aspettare da questi ultimi fotogrammi “scuri” è l’originaria

presenza di un viraggio o al limite di un’imbibizione. Purtroppo un materiale ripetutamente

duplicato e copiato perde molte delle informazioni utili per una definizione del tipo di colorazione.

Uno degli elementi che potrebbero aiutarci a identificare un’eventuale imbibizione piuttosto che un

viraggio, è la presenza di cromatismi sulla superficie trasparente della pellicola, in corrispondenza

del fotogramma colorato. In caso di imbibizioni infatti la tinta copriva anche la superficie

trasparente delle perforazioni; il viraggio diversamente interessava la sola area del quadro

dell’immagine. Anche dopo alcuni ingrandimenti e dopo uno studio attento del fotogramma non

abbiamo rinvenuto tracce residuali sul materiale trasparente, in corrispondenza dei fotogrammi

colorati. Questo potrebbe quindi indurci a dedurre che si sarebbe trattato di viraggio. Ma in questo

caso solo la verifica sul corrispondente materiale originale potrebbe confermare o smentire la nostra

ipotesi. In ogni caso, come abbiamo visto, pur non avendo scelto di visionare materiale di prima

generazione, quindi vicino al negativo originale o al duplicato negativo di generazioni prossime

23

Kevin Brownlow, Come Gance ha realizzato Napoléon, Il Castoro, Milano, 2002, pag.112

10

all’originale, è comunque possibile ricavare indizi utili ad una riflessione critica sul testo di

Napoléon in generale e sulla questione del colore in particolare.

* * *

Gli esperimenti di Segundo de Chomón

La versione restaurata nel 2001 sulla scorta del materiale rinvenuto da Bambi Ballard, ha permesso

di rivedere grazie ad un’attenta ricostruzione i colori ottenuti per imbibizione e per viraggio nella

versione del film del 1927. Un’opera come Napoléon però ci riserva altre sorprese sul fronte del

colore. La produzione del film contava al suo interno un numero assai elevato di collaboratori e

tecnici di tutta Europa che intervennero nel film in momenti diversi della sua travagliata storia. Uno

dei contributi più interessanti e oggetto di “controversie storiografiche”, è quello portato dal regista

e truccatore aragonese Segundo de Chomón che, ormai al termine di una carriera non lunghissima

ma assai prolifica (Juan Gabriel Tharrats intitola il libro a lui dedicato Los 500 films de Segundo de

Chomón) si unisce ai tecnici di Napoléon nell’Agosto del 1926, alla fine delle riprese del film. La

natura del suo contributo è tuttora oggetto di studio, complicata dalla difficoltà di definire la

paternità di determinati trucchi in un contesto produttivo come quello di Napoléon. A questo

proposito i documenti più utili che i principali storici di De Chomón hanno rinvenuto (Augustin

Sanchez Vidal e Juan Gabriel Tharrats) sono alcune lettere scritte dallo stesso Chomón e indirizzate

al collega svizzero Ernest Zollinger, l’ingegnere svizzero che con lui collaborò alla messa a punto

nel 1923 nel metodo di colorazione in bicromia “Chomon-Zollinger”. Le lettere che risalgono

all’Agosto e al Settembre del 1926, attestano prima di tutto la presenza di De Chomón sul set di

Napoléon a Tolone, e cosa ancora più interessante riconducono al regista Aragonese gli

esperimenti sulla colorazione condotti per le sequenze dell’assedio di Tolone. Leggiamo infatti sul

documento datato 12 Settembre 1926:

“He estado en toulon, donde he rodado para Abel Gance con un procedimiento en

color para el que hacen ensayos. Se trata del sistema Keller-Dorian. Es muy

complicado y de malo resultados, pero disponen de dinero, pues en tre años han

gastado ocho miliones de francos. He hecho las tomas durante el mes de

agosto[...]Ahora debo ayudar en el revelado de los negativos y trasformarlos en

positivos, ya que no es posible la reproduccion”.

Se ci soffermiamo su questo frammento della lettera del Settembre 1926, ricaviamo essenzialmente

due informazioni decisive: la prima è che de Chomón stava sperimentando delle riprese a colori per

Gance, a partire dal metodo Keller-Dorian; la seconda informazione altrettanto importante ci

informa della difficoltà di riprodurre le scene riprese. L’ultima frase in particolare deve essere

interpretata con molta attenzione, iniziamo col tradurla dal catalano: “adesso devo dare una mano

per lo sviluppo dei negativi e trasformarli in positivi, dal momento che non è possibile la

riproduzione” (traduzione del redattore). La lettera di Chomón prosegue in questi termini:

“Tenìa que volver a la Keller-Dorian para cuidar de los revelados, pero Abel Gance

necesitaba operadores durante su estancia en Toulon. He ido allì, y eso me ha

permitido conocer todo el proceso. Me alegro porque puedo ver lo que hacen los otros

y ya le enviarè muestras y mas informacion del procedimiento. Las patentes estan

desfasadas, pero persisten en hacer ensayos para la reproduccion de los originales, lo

11

que es muy dificil y complicado. Hasta ahora solo proyectan el original. Le escribarè

mas por extenso dentro de unos dias”24

.

Chomón si trasferì a Tolone, dove venne a conoscenze del completo procedimento a colore che

stavano sperimentando, ed è interessante notare come sia lo stesso Chomón a riferire che proprio in

virtù delle sperimentazioni i brevetti fino ad allora conservati venivano superati, per l’esattezza

afferma che i brevetti erano “sfasati”: anche in questo caso è difficile decifrare queste parole, capire

che significato avessero all’epoca e a cosa si riferissero, nonostante in prima battuta sembrino molto

semplici e chiare. A certificare il suo trasferimento esiste una contratto di cessione firmato dalla

Société du film en couleurs – Keller Dorian che “concede” a Segundo de Chomón, in quel periodo

sotto contratto presso la suddetta società, un permesso temporaneo per poter lavorare sotto la

direzione di Abel Gance: il documento porta la data del 9 agosto 192625

. In qualità di tecnico della

società Keller Dorian, Chomón era quindi figura di riferimento per la definizione della tecnica

necessaria per la colorazione.

Accanto a imbibizioni e viraggi questo procedimento rappresentava una delle sperimentazioni (a

quanto ci è dato sapere l’unica) sul colore che occupò i tecnici di Gance durante l’ultimo periodo

della lavorazione del film. A questo procedimento si sommava la volontà di girare alcune sequenze

secondo uno dei primi procedimenti in 3-D conosciuto come Cinéglyphe o Cinegliphe26

. Quindi

sequenze a colori in tre dimensioni. Dunque alle difficoltà intrinseche del procedimento Keller-

Dorian si sommavano quelle del 3D: in effetti è lo stesso Chomón ad ammettere che nonostante le

riprese siano state effettuate, lo sviluppo e la proiezione del materiale girato erano estremamente

difficoltosi.

Il metodo Keller-Dorian era un procedimento di colorazione additiva che si basava sull’uso di un

reticolo ottico lenticolare. Il procedimento Keller-Dorian prevedeva infatti l’uso di una pellicola

Pancromatica vale a dire una pellicola la cui sensibilità si estendeva fino alla gamma del rosso,

mentre la pellicola Ortocromatica, con cui vennero realizzate quasi tutte le riprese di Napoléon, non

superava la gamma del blu. Sul supporto, ovvero sulla parte anteriore della pellicola, veniva

stampato un reticolo ottico regolare formato da elementi lenticolari [Fig.3]. Davanti all’obiettivo

della macchina da presa si collocava un filtro singolo, diviso in tre bande parallele, corrispondenti ai

colori fondamentali blu, verde e rosso: un filtro che funzionava come “analizzatore” dei colori

originali. Ogni elemento lenticolare impressionava l’intera immagine attraverso le tre linee

corrispondenti alle bande del filtro. L’immagine filtrata da ogni elemento poi veniva proiettata

sull’emulsione.

24

Entrambi i frammenti della lettera di Segundo de Chomon sono raccolti in: Augustin Sanchez Vidal, El cine de Chomón, Zaragoza, Caja de Ahorros de la Inmaculada, 1992 pag. 219 25

Anche questo documento viene riportato nel libro di SÁNCHEZ VIDAL, Agustín, El cine de Chomón, Zaragoza, Caja de Ahorros de la Inmaculada, 1992 26

Ce ne parla ancora S. Borasco nel suo articolo su Cinergie n° 5 , settembre 2002. Ma anche Kevin Brownlow in Come Gance ha realizzato Napoleon, Il Castoro, Milano 2002 accenna alle sequenze Keller-Dorian con il 3D, pag 140. Inoltre a Madrid poco prima della prima di Napoléon, nel febbraio 1927, vennero proiettati due film che prevedevano sequenze in Cinegliphe: Miguelita e La Ocasìon. Di entrambi i film, prodotti nel 1927, la paternità ci risulta tuttora sconosciuta. Ne annuncia le proiezioni il numero di Febbraio 1927 del periodico spagnolo ABC.

12

L’impressione di ciascun elemento lenticolare però risentiva delle minime variazioni di assetto della

macchina da presa: questo significa che di frequente l’immagine impressionata in ciascun elemento

eccedeva i bordi del proprio spazio lenticolare andando ad invadere le impressioni adiacenti: il

fotogramma risultante dalla sintesi degli elementi era quindi spesso di scarsa o pessima qualità27

.

Anche in fase di sviluppo il procedimento riservava risultati poco soddisfacenti a causa della scarsa

nitidezza della resa. In questo senso è perfettamente

comprensibile la difficoltà dichiarata da De Chomón

nelle lettere a Zollinger, difficoltà che lascerebbero

presagire la perdita definitiva di queste sequenze a

colori, se non altro perché con tutta probabilità non

vennero neppure stampate: i problemi sarebbero sorti

certamente in fase di proiezione, ma anche il tentativo di

stampare direttamente i negativi ottenuti evitando lo

sviluppo si rivelava assai complesso.

Abbiamo quindi la certezza che sequenze a colori girate

con il procedimento Keller-Dorian sono state

effettivamente prodotte tra l’Agosto e il Settembre del

1926, in corrispondenza delle scene dell’assedio di

Tolone; a queste sequenze sperimentali si

sovrapponevano inoltre i tentativi altrettanto sperimentali

di ripresa in tre dimensioni, mediante il modello

Cinéglyphé: gli esperimenti non furono un completo

aborto come invece sembra riportare Roger Icart a

proposito di alcuni esperimenti condotti precedentemente da Gance sul Cinéglyphe, in

corrispondenza delle scene girate a Brienne (l’infanzia di Napoleone)28

; le lettere di De Chomón

infatti certificato la riuscita delle riprese, mentre riconoscono le difficoltà incontrate nello sviluppo

e nella stampa dei risultati ottenuti. In seguito nel 1955 Gance confermerà a Roger Icart di aver

girato sequenze di questo tipo:

«Abel Gance nous (Roger Icart – Ndr) a affirmé, en 1955, sans qu’il soit possible

jusqu’à present de le confirmer, avoir tourné par la suite en couleur-relief le « Départ

de l’armée d’Italie ». Il aurait abandonée à regret ce procédé par crainte de nuire à la

dramaturgie et à l’esthétique de son film »29

.

Le lettere di Segundo de Chomón indirizzate e Ernst Zollinger rappresentano la prova di questi

esperimenti. La presunta scomparsa delle sequenze a colori Keller-Dorian e Cinéglyphe se da una

parte potrebbe essere motivata dalla scarsità dei risultati ottenuti, dall’altra si spiegherebbe con una

precisa scelta estetica di Abel Gance, che preferì a quanto pare rinunciare a queste sequenze per

paura che danneggiassero l’effetto drammatico dei trittici finali. Quest’ultima osservazione che ci

27

Per una spiegazione dettagliata riportante le equazioni di riferimento per il procedimento si veda Tecnica del cine en color, Josè Luis Fernandez Encinas, pag. 95, edizione digitale della Filmoteca Española di Madrid, Madrid, 2006 (a partire dall’edizione del Patronato de Publicaciones de la Escuela Especial de Ingenieros Industriales, Madrid, 1949): l’osservazione delle equazioni alla base del procedimento permette di comprendere l’estrema sensibilità del reticolo a variazioni millimetriche dell’assetto della macchina da presa, nel momento dell’impressione. 28

Roger Icart, Abel Gance, ou le Prométhée foudroyé, Editions l'Age d'Homme, Lausanne, 1983, pag. 184, 185 29

Ibidem pag. 184-185

Fig. 3 / Ingrandimento del reticolo lenticolare del sistema Keller Dorian. Al centro un esempio della tripartizione in fasce del singolo elemento lenticolare.

13

ricorda Icart, dimostrerebbe però indirettamente l’esistenza di sequenze che sarebbero state poi

scartate solo in sede di montaggio.

Non ci è ancora dato sapere se in qualche luogo esistano ulteriori tracce fisiche di quelle sequenze a

colori. Né sappiamo a quali piani corrispondessero o quali scene rappresentassero. In ogni caso la

ricerca sul colore di questo film ci chiede di ridiscutere ogni ricostruzione fatta o ogni versione o

edizione presentata come attendibile, nella misura in cui l’esistenza di sequenze ancora disperse ci

invita ad uno sguardo “entomologico” su tutto il materiale esistente, e quindi inevitabilmente ad una

recensio completa e rinnovata dei frammenti esistenti. La prolifica filiazione dei testimoni di

Napoléon’27, nonché le sue principali versioni alternative (Napoléon Bonaparte e Bonaparte et la

Revolution) e le sue ultime ricostruzioni diventano in questo contesto di ricerca campi di indagine

egualmente interessanti.

Gli esperimenti sul colore, l’appuntamento mancato col sonoro, la Polyvisione: sono i vertici di

riferimento da cui parte quella ricerca linguistica che Gance ha perseguito lungo tutta la sua carriera

e che Napoléon, più di ogni altro suo film, ha tentato di contenere, finendo col divenire, nella forma

esplosa della sua testualità, il simbolo di quella sua particolare purezza linguistica che in fondo non

è sopravvissuta alla Storia del cinema, alla sua industria e al suo stesso autore. Ma che

probabilmente ha determinato considerevolmente le traiettorie di una tecnica che si stava allora

consolidando.