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1 L. CONSORTINI, La Badia dei Santi Giusto e Clemente, Lucca 1915;ID., Osserva- zioni critiche sui santi Giusto e Clemente di Volterra, in risposta alla critica del mons. F. Lanzoni alle loro leggende, in «Rassegna Volterrana», II/2 (1925), pp. 75-91; M. MAR- CHETTI, Sacramentario della chiesa di Volterra. Note per lo studio di un manoscritto della Guernacciana di Volterra, in «Rassegna Volterrana», LIX-LX (1983-1984), pp. 1-90; De Sancti Ugonis actis liturgicis, a cura di M. BOCCI, Firenze, 1984. A. FURIESI, Le sante Atti- nia e Greciniana, vergini e martiri volterrane, Volterra 2003. Sui Santi Giusto e Clemente, si veda la documentazione raccolta in Acta Santorum, Iunii, I, Venetiis, pp. 437 e sgg.; S. FERRALI, I Santi Giusto e Clemente, in Bibliotheca Sanctorum, Voll. 12, Roma 1961-1969, VII, coll. 41-47; Bibliotheca Hagiographica Latina Antiquae et Mediae Latinitatis, ed. Socii Bollandiani, I, Bruxellis 1898-1899 [d’ora in poi BHL], p. 683, nn. 4606-4612. Dedicazioni e culto dei santi a Volterra nell’età precomunale e comunale tra istituzioni ecclesiastiche e civili ANDREA PUGLIA SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Dentro e fuori dalla città: S. Maria Assunta, i SS. Giusto e Clemente e S. Ottaviano nell’alto medioevo – 3. Il rinnovamento del culto di S. Giusto e S. Clemente, la fondazione dell’omonimo monastero e la ricerca dell’unità della Chiesa cittadina nel secolo XI – 4. Dal vescova- to di Ruggero al rinnovamento della vita ecclesiatica e liturgica cittadina: secolo XII – 5. L’arciprete Ugo e la nuova liturgia nella seconda metà del secolo XII – 6. Culto dei santi, Chiesa cittadina e Comune nel secolo XIII. 1. Premessa La storia dei culti cittadini di Volterra non ha mai avuto partico- lari attenzioni da parte degli specialisti, ad eccezione di alcuni pre- gevoli lavori di storici locali 1 . Personalmente, non ho la pretesa di sopperire a questa mancanza: l’obiettivo del presente lavoro, infatti, è circoscritto allo studio della relazione tra culto dei santi, dedica- zione delle chiese ed evoluzione politica e istituzionale della città tra alto e basso medievo, seguendo alcune linee di ricerca specifiche e gettando le basi per ulteriori possibili indagini. Le notizie sull’espansione del Cristianesimo a Volterra e sull’a- giografia locale nel Tardoantico sono molto limitate. Solo tra epoca longobarda e prima metà del secolo X compaiono nella documenta- zione pubblica e privata diverse chiese cittadine ed extraurbane, le cui intitolazioni forniscono un primo quadro delle scelte cultuali 005_Puglia ok. 29-06-2010 11:55 Pagina 205

Dedicazioni e culto dei santi a Volterra in età precomunale e comunale tra istituzioni ecclesiastiche e civili, in La santità nella Toscana medioevale (secoli XI-XV) tra città territori,

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1 L. CONSORTINI, La Badia dei Santi Giusto e Clemente, Lucca 1915;ID., Osserva-zioni critiche sui santi Giusto e Clemente di Volterra, in risposta alla critica del mons. F.Lanzoni alle loro leggende, in «Rassegna Volterrana», II/2 (1925), pp. 75-91; M. MAR-CHETTI, Sacramentario della chiesa di Volterra. Note per lo studio di un manoscritto dellaGuernacciana di Volterra, in «Rassegna Volterrana», LIX-LX (1983-1984), pp. 1-90; DeSancti Ugonis actis liturgicis, a cura di M. BOCCI, Firenze, 1984. A. FURIESI, Le sante Atti-nia e Greciniana, vergini e martiri volterrane, Volterra 2003. Sui Santi Giusto e Clemente,si veda la documentazione raccolta in Acta Santorum, Iunii, I, Venetiis, pp. 437 e sgg.; S.FERRALI, I Santi Giusto e Clemente, in Bibliotheca Sanctorum, Voll. 12, Roma 1961-1969,VII, coll. 41-47; Bibliotheca Hagiographica Latina Antiquae et Mediae Latinitatis, ed.Socii Bollandiani, I, Bruxellis 1898-1899 [d’ora in poi BHL], p. 683, nn. 4606-4612.

Dedicazioni e culto dei santi a Volterranell’età precomunale e comunale tra istituzioniecclesiastiche e civili

ANDREA PUGLIA

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Dentro e fuori dalla città: S. Maria Assunta, i SS.Giusto e Clemente e S. Ottaviano nell’alto medioevo – 3. Il rinnovamentodel culto di S. Giusto e S. Clemente, la fondazione dell’omonimo monasteroe la ricerca dell’unità della Chiesa cittadina nel secolo XI – 4. Dal vescova-to di Ruggero al rinnovamento della vita ecclesiatica e liturgica cittadina:secolo XII – 5. L’arciprete Ugo e la nuova liturgia nella seconda metà delsecolo XII – 6. Culto dei santi, Chiesa cittadina e Comune nel secolo XIII.

1. Premessa

La storia dei culti cittadini di Volterra non ha mai avuto partico-lari attenzioni da parte degli specialisti, ad eccezione di alcuni pre-gevoli lavori di storici locali1. Personalmente, non ho la pretesa disopperire a questa mancanza: l’obiettivo del presente lavoro, infatti,è circoscritto allo studio della relazione tra culto dei santi, dedica-zione delle chiese ed evoluzione politica e istituzionale della cittàtra alto e basso medievo, seguendo alcune linee di ricerca specifichee gettando le basi per ulteriori possibili indagini.

Le notizie sull’espansione del Cristianesimo a Volterra e sull’a-giografia locale nel Tardoantico sono molto limitate. Solo tra epocalongobarda e prima metà del secolo X compaiono nella documenta-zione pubblica e privata diverse chiese cittadine ed extraurbane, lecui intitolazioni forniscono un primo quadro delle scelte cultuali

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2 Regestum Volaterranum, a cura di F. SCHNEIDER, Roma 1907 (Regesta ChartarumItaliae, 1), [d’ora in poi RV], n. 4, p. 2 Chartae Latinae Antiquiores. Facsimile edition ofthe latin Charters, 2th series, ninth century, part LVIII, Italy XXX, Pisa Volterra, publis-hed by A. MASTRUZZO, Dietikon-Zürich, 2001, n. 20, pp. 104-105 (851), Archivio Muni-cipale di Volterra [d’ora in poi AMV], Fondo Badia, 980 giugno 18, regesto in RV, n. 63,p. 22 (980); Archivio Arcivescovile di Volterra [AAV], Diplomatico, secolo X, decade 7,n. 4, regesto in RV, n. 73, p. 24; Archivio Capitolare di Volterra [d’ora in poi ACV], Di-plomatico, n. 37, 989 marzo 10, regesto in RV, n. 75, p. 27; per S. Prospero, nel piviere diS. Giovanni e Santa Felicita di Villamagna (a circa dieci chilometri a Nord Ovest dellacittà), cfr. AMV, Fondo Badia, 918-929, publicato da A. FURIESI, Le pergamene più anti-che dell’archivio di Badia: note di toponomastica volterrana, in «Rassegna Volterrana»,LXXIII-LXXIV, 1996-1997, pp. 21-52, in part. doc. n. 1, p. 33 e ACV, Diplomatico, n.50, regesto in RV, n. 50, p. 17. Sulle strutture ecclesiastiche si veda in generale A. ALBER-TI, Volterra, in Archeologia urbana in Toscana. La città altomedievale, presentazione diS. Gelichi, Mantova 1999; CECCARELLI LEMUT, Le strutture del potere laico ed ecclesia-stico,cit., pp. 18-23; A. AUGENTI, La città: dalla tarda antichità all’età comunale, ibidem,pp. 25-29; su S. Maria si veda F. LESSI, La chiesa di S. Maria Assunta in Cielo di Volter-ra, in Chiese di Volterra, Firenze 2000, pp. 23-33; S. Giovanni: G. LEVI – I. MELCHIORRE,Il Battistero di S. Giovanni a Volterra, in «Rassegna Volterrana», nn. 42-43 (1977), pp.101-113.

volterrane. La prima chiesa nota, nell’epoca del re longobardo Cu-niperto (688-700) è intitolata a San Giusto (o forse, come si vedrà,ai Santi Giusto e Clemente); sono poi attestate: Santa Maria Assun-ta, l’ecclesia mater (821); S. Pietro di Camporise, presso l’attualePorta a Selci (851), la probabile sede del potere civile longobardo;S. Ottaviano, la chiesa della canonica cittadina (851); S. Silvestro(851); S. Vitale (980); S. Michele a Foro (987); S. Giovanni, la pie-ve battesimale urbana (989) e, nei pressi della città, S. Prospero2.Tra XI e XII secolo compaiono le chiese di S. Stefano, S. Alessan-dro extra civitatem, S. Giovanni di Orticasso, S. Marco, S. Giusto diMonte, oltre che la rifondazione in monastero della chiesa dei SS.Giusto e Clemente (1034). Nel secolo XII, inoltre, sono attestati iculti di Actiniana e Greciniana, del martire (forse africano) Vittore,e dalla fine del secolo XII, di Ugo vescovo di Volterra dal 1171 al1184 (che non ha chiese dedicate).

Le pagine che seguono non si occuperanno di tutte le chiese e deiculti fin qui presentati, ma seguiranno, studiandone le relazioni,quello della Vergine, dei SS. Giusto e Clemente, di S. Ottaviano e,nei paragrafi finali, quelli di S. Ugo e S. Vittore. La scelta deriva es-senzialmente da tre semplici considerazioni. La prima è di ordinepratico, in quanto quelli appena menzionati sono i culti più docu-mentati della città; le ultime due sono relative al campo politico eistituzionale: a quei santi, infatti, furono intitolate le chiese cittadi-

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3 L’edizione critica della Vita dei Santi Giusto e Clemente e lo studio della tradizio-ne manoscritta sono in preparazione da parte di Pierluigi Ricciardello, che ringrazio perle preziose informazioni che mi ha fornito. Sulla possibilità che la chiesa di S. Pietro fos-se sede della curtis regia longobarda cfr. M. L. CECCARELLI LEMUT, Le strutture del pote-re laico ed ecclesiastico, in Volterra da Ottone I all’età comunale, Siena 2001, pp. 12-23in part. p. 18.

4 Vita santorum Iusti et Clementi afrorum, in Biblioteca Medicea Laurenziana,Amiatino 2, cc. 164v-165v (incipit: «O quam perfectum et mirabilem», voce BHL, 4609) eVita santorum Iusti et Clementis afrorum, ibidem, cc. 165v-166v (incipit: «Sed et oratio-nem et vestigia», voce BHL 4610), in I testi agiografici latini nei codici della BibliotecaMedicea Laurenziana, a cura di R. E. GUGLIELMETTI, Firenze 2006, nn. 45-46, p. 173. Ilcodice è databile alla metà del secolo XI, per cui cfr. ibidem, p. 164. Secondo PierluigiLicciardello, che è in procinto di pubblicare le versioni BHL 4609-4610, il testo risalireb-be ad epoca longobarda.

5 Il testimone più antico di questa tradizione: Biblioteca Capitolare di Lucca, codiceC (cc. 161v-163v), databile alla fine del secolo XI o all’inizio del XII è legato all’ambien-te gregoriano e dei Canonici regolari di S. Frediano: C. L. BUCHANAN, Evidence of aScriptorium at the reformed Canonry of S, Frediano in Lucca, in «Scriptorium», 57(2003) pp. 3-26 (in particolare la bibliografia citata a nota 7). Necessitano, inoltre, di unesame più approfondito i codici P+ (secondo quarto del secolo XII), B (ultimo quarto delsecolo XII), D (ultimo quarto del secolo XII), G (inizio secolo XIII) della Biblioteca Ca-pitolare di Lucca, che contengono la Vita, probabilmente dipendente dal codice C: cfr. B.De Gaiffier, Catalogue de Passionaires de la Bibliotheque Capitulaire de Lucques, in«Subsidia Agiografica», 52 (1971), in part. pp. 90, 102, 114 e R. SAVIGNI, Episcopato esocietà cittadina a Lucca da Anselmo II (+ 1086) a Roberto (+ 1225), Lucca 1996, (Ac-cademia lucchese di scienze, lettere e arti. Studi e testi, XLIII), p. 317, nota 25. Dal codi-ce C dipende la Vita dei Santi Giusto e Clemente contenuta nel codice A 79 della Bibliote-ca Lateranense di Roma (primo quarto del secolo XII, di ambiente lucchese), per cui sivedano F. ERMINI, I Passionari Lateranensi, in Medioevo latino. Studi e ricerche. Istitutodi Filologia Romanza dell’Università di Roma, Studi e Testi, Modena 1938, pp. 97-108 eP. SUPINO MARTINI, Roma e l’area grafica romanesca (secoli X-XII), Alessandria 1987, p.49, nota 20; il Pluteo 20.3 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (primo quartodel secolo XII, la Vita si trova alle cc. 27-29v): I testi agiografici latini, cit., Firenze 2007,n.16, pp. 584-585; il codice 718 della Biblioteca Casanatense (secondo quarto del secoloXII), e il codice LI.8.2, inv. 6775 della Biblioteca Guarnacci di Volterra, dell’ultimo quar-

ne, sede dei poteri ecclesiastici principali della città, ed essi diven-nero patroni della civitas nel secolo XIII.

Un esempio del legame e dell’importanza dei culti appena men-zionati, e in particolare di quelli dei SS. Giusto e Clemente e S. Ot-taviano, è fornito dalla tradizione delle differenti versioni della Vitadi Giusto e Clemente, che, data la sua complessità, ha ancora biso-gno di un’analisi metodologicamente aggiornata3.

La versione più antica della Vita dei santi Giusto e Clemente,piuttosto breve, è contenuta nel codice della Biblioteca LaurenzianaAmiatino 24. La Vita più lunga e articolata, invece, scritta da talBlanderannus (o Blinderannus), è riportata da diversi codici lucche-si, fiorentini, romani e volterrani dei secoli XI e XII (BHL 6606)5.

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to del secolo XII, proveniente da area lucchese (come attesta una nota di possesso del se-colo XIII, a c. 1r., che menziona la fraternitas di S. Martino di Vellano, presso Pescia).

6 «Et ego quidem Blanderannus, Spiritu Sancto revelante, cognovi que dominusoperatus est per sanctos suos et que vera et probabilia sunt propria manu con/scripsi.Quicquid de vita et actibus sanctorum venerabilium perspicuum cognovi, diligenter et sa-tis lucide narrare curavi non scrupolose ut perypathetici, sed ut veri catholici et theologiex multis pauca perstrinximus, quasi quoddam antidotum conficiens pro ceteris speciebusmiscuimus sal et pro aromatibus herbarum flores non erubuimus carpere. Ideo hoc feci-mus ut religio si viri a parte intelligendo in alta mente reponant et melius perscrutandocredentes salvi fiant a sacerdotibus maxime qui sunt ministri Christi ad exemplandumvirtutum sit pro infinito munere conservatum. Unde legitur antiquorum bonorum vita inomnibus, nobis magistra fiat» (Biblioteca Guarnacci di Volterra, LI.8.2 [inv. 6775],c. 161 v, a e b).

7 Si veda per esempio il testo con incipit: «Igitur beatissimus vir Iustus atque Cle-mens vere germani fratres» (BHL 4608), per cui cfr. i codici, tutti riferibili al secolo XII,in Biblioteca Medicea Laurenziana, Edili 135, cc. 85v-87v; Conv. Soppr. 267, cc. 95v-97v; Conv. Soppr. 331, cc. 153r-155v; Pluteo 17.37, cc. 106r-107v; San Marco 562, cc.164r-167v: in I testi latini, cit., p. 65, p. 270, p. 370, p. 501, p. 775.

8 I testi latini, cit., p. 634; edito da A. DEGL’INNOCENTI, Un leggendario della Lau-renziana del secolo XIV, Firenze 1999. Occorre, peraltro, porre attenzione sul fatto chel’unica Vita nota di S. Ottaviano è attestata solo nel presente codice e risale, pertanto, alsecolo XIV.

9 Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo 35.9, cc. 39v-40v, pubblicato da CONSOR-TINI, La Badia dei Santi Giusto e Clemente, cit., doc. 1 pag. 97. Sul codice cfr.. I testilatini, cit., p. 737.

L’identità dell’autore e la data di composizione non sono note, mabasandosi su alcune indicazioni intratestuali è possibile ipotizzareche Blanderannus fosse un monaco o un chierico appartenenteall’abbazia dei Santi Giusto e Clemente di Volterra, vissuto nelsecolo XI6.

Oltre a quelle appena descritta, vi sono altre tradizioni della Vita(probabilmente posteriori), che presentano notevoli varianti rispettoalla prima7.

Altre leggende agiografiche, risalenti ai secoli XIII-XIV, testimo-niano invece una tradizione culturale largamente differente dalle Vi-tae più antiche dei santi Giusto e Clemente: per esempio, il codicedella Biblioteca Laurenziana, pluteo 20.6, databile alla prima metàdel secolo XIV, riporta la vita di S. Ottaviano, in cui sono citati, co-me compagni del santo, Giusto, Clemente e Felice, Cerbone e Re-golo, separatisi dai primi una volta giunti dall’Africa e rimasti nelterritorio di Populonia8.

Un’ulteriore versione della Vita, in cui Giusto è presentato comeprotovescovo di Volterra, è contenuta in un manoscritto della Bi-blioteca Laurenziana di Firenze, databile al terzo decennio del seco-lo XIV9.

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10 Per questa seconda ipotesi cfr. §. 4.11 Il diploma dell’821 di Ludovico II per il vescovo Grippo è edito da A. FANTA,

Unedirte Diplome II. Mit Einem Excursus uber die Urkunden Ludwigs II. fur MonteAmiata, in «Mitteillungen des Instituts fur Osterrechische Geschichtsforschung, V(1884), pp. 378-415, n. 2, p. 381; l’intitolazione a S. Giusto viene ripetuta nel diplomadell’845 di Lotario I per il vescovo Andrea: Monumenta Germanie Historica [d’ora in poiMGH], Diplomata Karolinorum, III: Lotharii I et Lotharii II diplomata, a cura di Th.Schieffer, Berlin-Zurich 1966, n. 93, pp. 228-229. Entrambi i documenti, però, sono co-pie del secolo XII e potrebbero essere quindi interpolati e modificati. I più antichi riferi-menti (851, 882); alla festa di S. Maria Assunta in Chartae Latinae Antiquiores cit. n. 17,pp. 91-92 e 20, pp. 104-105.

Non mi occuperò in questa sede delle relazioni tra le varie Vitae,che potranno essere comprese solo con l’analisi di tutta la tradizione.Bisognerà, però, porre l’attenzione sulla versione che istituisce unlegame tra tutti i principali santi venerati nel Sud della Toscana findall’altomedioevo, e in particolare mette in relazione i tre santi pro-tagonisti della vita cultuale volterrana, afferenti principalmente a dueistituzioni ecclesiastiche: Ottaviano per la canonica, Giusto e Cle-mente per il principale ente monastico legato al vescovato. L’unionedelle due vicende in un’unica storia (che prevede anche la presenzadi altri santi del Sud della Toscana) fu l’esito di una rielaborazione,posteriore alla Vita scritta da Blanderrannus, su cui si possono avan-zare almeno due ipotesi: la prima porrebbe la redazione dopo la tras-lazione delle reliquie dei Santi Giusto e Clemente nella cattedrale e,probabilmente, dopo la riforma della canonica nella seconda metàdel secolo XII; la seconda, sostenuta dalla datazione dei codici cheriportano la versione, collocherebbe la rielaborazione della tradizio-ne agiografica nel tardo secolo XIII o nei primi decenni del XIV10.

Si seguiranno, ora, i due culti, dei SS. Giusto e Clemente e di S.Ottaviano, separatamente, presentando anche gli altri principali cul-ti cittadini di Volterra e analizzandone le relazioni con i primi.

2. Dentro e fuori dalla città: S. Maria Assunta,i SS. Giusto e Clemente e S. Ottaviano nell’alto medioevo

La più antica notizia sull’intitolazione della chiesa vescovile ri-sale ad un diploma di Ludovico il Pio, del 821, che menzionando unprecedente diploma di Carlo Magno per il vescovo Pietro I, indicacome contitolari della chiesa S. Maria e S. Giusto. Per ciò che con-cerne la Vergine, si sa che la dedicazione si riferisce a S. Maria As-sunta, festeggiata il 15 agosto11.

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12 A. AUGENTI - M. MUNZI, Scrivere la città. Le epigrafi tardoantiche e medievali diVolterra (secoli IV-XIV), Firenze 1997, p. 27; edizione dell’epigrafe, ibidem, p. 44. Sull’i-scrizione e sul vescovo Gaudenziano cfr. ANCHE M. L. CECCARELLI LEMUT, Cronotassidei vescovi di Volterra dalle origini all’inizio del secolo XIII, in Pisa e la Toscana occi-dentale nel medioevo. A C. Violante nei suoi 70 anni, Pisa 1991 (Piccola Biblioteca Gi-sem, 1), pp. 23-58, in part. p. 26 e nota 14.

13 «Fideles[...] fecerunt tugurium supra santorum corpora et coopertorium ante ho-stium monumenti» (Biblioteca Guarnacci di Volterra, LI.8.2, cit., c. 118v, col. b).

14 «Interea iudex civitatis Antonie, nomine Alachis, dum vidit mirabilia que Deus

L’intitolazione a S. Giusto, riprendeva quella di un altro edificio,situato nel suburbio cittadino, fuori dalle mura etrusche, la cui piùantica testimonianza epigrafica risale all’epoca del re Cuniperto(epigrafe tuttora conservata in Duomo, la cui autenticità non parepoter essere messa in discussione). L’iscrizione testimonia l’inter-vento di un gastaldo di Volterra, di nome Alachis, nell’opera di rin-novamento della chiesa di S. Giusto (o forse del solo altare), sotto ilgoverno vescovile di Gaudenziano12.

Tale notizia acquista un rilievo particolare, se considerata in rela-zione alla Vita scritta da Blanderranus. Quest’ultima, infatti, dopoaver narrato dell’opposizione dei due santi ai Vandali (che da dueanni assediavano la città) e della sconfitta degli invasori, insiemeagli ultimi germi dell’eresia ariana a Volterra, afferma che Giusto eClemente, a seguito della decisione di andare a Roma (versioni po-steriori della Vita sosterranno che tale viaggio era condotto per rice-vere l’ordinazione vescovile), una volta usciti dalla città, scoprironoche un luogo suburbano isolato era infestato dai serpenti. Allora idue, liberando la zona dai pericolosi ospiti, vi stabilirono la loro se-de, segnalando con l’incisione di una pietra precisamente il punto incui prescrissero di porre il loro sepolcro. Dopo la loro morte, moltipellegrini, attirati dai miracoli che i due santi elargivano a chi visi-tava le loro tombe («monumentum»), portarono in dono in quel luo-go molti oggetti prezioni e –fatto degno di nota- si preoccuparonodi apportare miglioramenti strutturali ai sepolcri13.

La Vita di Blanderranus, quindi, fa riferimento ad una strutturasepolcrale, costruita e migliorata in una ampio arco di tempo da par-te dei fedeli, ma non menziona espressamente un edificio ecclesia-stico edificato all’indomani della morte dei due santi (come inveceraccontano altre versioni). Infatti, secondo Blanderannus fu il ga-staldo Alachis a volere la costruzione della chiesa nel luogo dellasepoltura di Giusto e Clemente, e il vescovo senese Mauro (proba-bilmente intervenuto a fianco di Gaudenziano) fu colui che consa-crò l’edificio religioso14.

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per merita sanctorum ostenderat, construxit ecclesiam ad honorem et laudem Dei suprasanctorum corpora Iusti et Clementis. Quapropter Maurus senensis episcopus dedicaviteam. Postmodum vero innumerabiles virtutes ibi facte sunt quas longum est scribere sicuncta eorum facta in membranis volumus ponere» (ibidem, c. 119r).

15 FERRALI, I santi Giusto e Clemente, cit., coll. 43-44.16 A. AUGENTI, Scrivere la città, cit., p. 24.17 R. SAVIGNI, Episcopato e società cittadina a Lucca da Anselmo II (+ 1086) a Ro-

berto (+ 1225), Lucca 1996, (Accademia lucchese di scienze, lettere e arti. Studi e testi,XLIII), pp. 318-321.

Altre versioni della Vita, invece, parlano di due chiese costruitesulle rispettive sepolture, forse con riferimento a due distinte cap-pelle originarie, su cui probabilmente fu edificata la definitiva chie-sa, situata a Nord della città nel luogo che era detto Pratomarzio,dove nella prima metà del secolo XI fu edificato il monastero intito-lato ai due santi15.

Secondo recenti indagini archeologiche, è molto probabile che inepoca tardoantica la chiesa (o le chiese) fosse stata realmente co-struita, in quanto si accorda perfettamente con l’uso dell’area a sco-po sepolcrale, attestata dalle fonti archeologiche. Si può concludere,pertanto, che in epoca tardo-longobarda le antiche strutture ecclesia-stiche fossero state ricostruite in forme monumentali dal gastaldoAlachis. Quest’ultimo, seguendo una tendenza attestata in altri terri-tori toscani (Lucca, Siena e Chiusi), contribuì alla ristrutturazione emonumentalizzazione di un precedente luogo di culto, associato adarea cimiteriale16.

Le Vite dei due santi testimoniano, altresì, la volontà degli agio-grafi di costruire, fin nei particolari, la fama di Giusto e Clementecome difensori dello spazio urbano e nello stesso tempo come por-tatori del Cristianesimo e simboli della vittoria sull’Arianesimo, po-nendo di fatto il problema del patrocinio della chiesa cittadina vol-terrana. I testi, però, non fanno esplicito riferimento al patrociniodei due santi sulla città, che è invece da essi abbandonata, seguendouna tendenza eremitica, per stabilirsi nelle sue vicinanze, simbolica-mente liberate dal male (i serpenti). In disparte, da un luogo isolatoi due avrebbero potuto difendere lo spazio urbano, sia in vita chedopo la morte, attraverso l’istituzione del loro sepolcro. La patronadella chiesa episcopale e della città di Volterra fu, infatti, la Vergine,che semmai condivise il ruolo patronale con i due santi, generando,quindi, come a Lucca, una triade patronale, che sarà riproposta inepoca comunale17.

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18 Sulla fondazione del monastero cfr. infra.19 CECCARELLI, Cronotassi, cit., p. 30. Il Liber ordinis della chiesa di Volterra (1161),

per cui cfr. infra §.4, pone la traslazione nell’anno 820, sotto il vescovo Andrea. In quel-l’anno però era vescovo Pietro, mentre Andrea appare nelle fonti dall’850, ibidm, cit.,p. 30). La citazione tra virgolette è tratta da EADEM, Le strutture del potere, cit., p. 19. Sul-la chiesa di S. Ottaviano in Colline, fino al secolo XI nel pieviere di Treschi, poi in quellodi S. Giovanni della Nera (presso l’omonimo castello) cfr. S. MORI, Pievi della diocesivolterrana antica dalle origini alla Visita Apostolica (1576). Una griglia per la ricerca(II), in «Rassegna Volterrana», 68 (1992), pp. 3-103, in part. pp. 21-22.

La Vita di Blanderannus evidenzia anche la stretta relazione delculto dei due santi con il potere pubblico civile della città, in epocalongobarda, durante il regno di Cuniperto (688-700) e proponel’idea di una stretta collaborazione tra istituzioni ecclesiastiche e ci-vili. Nell’epoca in cui fu scritta la Vita (probabilmente dopo il 1034)veniva così ribadita la stretta relazione tra vescovato, culto dei santiGiusto e Clemente e potere civile cittadino, che sia all’epoca di Ala-chis, sia in quella del vescovo Gunfredo, fondatore del monasterodei SS. Giusto e Clemente nel 1034, si era espresso nella rifondazio-ne e monumentalizzazione di una precedente sede ecclesiastica18.

Nel contesto appena delineato, si inserisce un altro culto cittadi-no, quello di S. Ottaviano, che come si è avuto modo di porre inevidenza, alcune tradizioni agiografiche mettono in relazione conquello dei due confessori. Il diploma di Ludovico II dell’851 men-ziona per la prima volta la chiesa cittadina di S. Ottaviano, attestan-do l’avvenuta traslazione del corpo del santo dalla chiesa omonimain Colline alla chiesa vescovile di Volterra, «traslazione verosimil-mente connessa con la nascita del collegio canonicale», intitolatoappunto a S. Ottaviano, al quale fu dedicata la chiesa dei canoniciaccanto a quella vescovile e attestata nella documentazione dall’ini-zio del secolo X19 .

Dall’epoca tardoantica agli inizi del secolo X, si configura unasituazione cultuale caratterizzata, quindi, da tre culti distinti, in rela-zione a tre differenti sedi ecclesiastiche: quello di S. Maria Assuntaper il vescovato, dei SS. Giusto e Clemente, per la chiesa extramu-raria più antica, avente evidenti legami con il potere civile della cit-tà, e quello di S. Ottaviano, legato alla nascita della canonica e pro-babilmente alla sua autonomia rispetto al vescovato. Questa situa-zione subì una complessa evoluzione nel secolo XI, allorché il ve-scovato volterrano attribuì un nuovo ruolo al culto dei SS. Giusto eClemente.

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20 AMV, Fondo Badia, 1030. La data riportata dal documento non si accorda conl’indicazione del diciottesimo anno di episcopato di Gunfredo, che posticiperebbe la da-tazione al 1034. Tale data deve ritenersi la più probabile; per una più approfondita argo-mentazione rimando al mio lavoro in corso di pubblicazione Chiesa, potere pubblico esocietà laica a Volterra nei secoli X-XII; si vedano, però, anche le argomentazioni di M.CAVALLINI, Vescovi volterrani fino al 1100. Esame del Regestum Volaterranum, con Ap-pendice di documenti trascurati da F. Schneider, in «Rassegna Volterrana», 36-39,(1969-1972), pp. 3-83, in part. p. 31, che data il documento al 1034.

3. Il rinnovamento del culto di S. Giusto e S. Clemente,la fondazione dell’omonimo monastero e la ricercadell’unità della Chiesa cittadina nel secolo XI

Nella prima metà del secolo XI la Chiesa volterrana e il culto deiSanti Giusto e Clemente furono protagonisti di un significativo rin-novamento, testimoniato dalla redazione della leggenda agiograficada parte di Blanderannus e dalla fondazione del monastero dedicatoai due santi. Al 1034 risale, infatti, la principale fondazione mona-stica volterrana, operata dal vescovo Gunfredo nel luogo dove sor-geva la chiesa (o le chiese) dei Santi Giusto e Clemente, senza mu-tarne la dedicazione: l’atto che ne tramanda la memoria narra ric-chissimi e importanti particolari. Il vescovo, infatti, con la ferula inmano istituì solennemente un monastero sulle precedenti chiese(«ecclesias») intitolate ai Santi Giusto e Clemente situate fuori dallemura etrusche di Volterra, concedendo terre e decime ad esse spet-tanti «pristinis temporibus» (sottintendendo, così, che negli ultimitempi erano state sottratte). La cerimonia si compì di fronte a tutti i«diversi ordines» della chiesa cittadina, «presbiteri, diaconi et infe-riorum clericorum ordines»20.

È evidente il significato simbolico e politico, oltre che giuridico,della decreti pagina: il ritorno a un tempo antico, in cui i due santierano una realtà spirituale importante per la civitas, nonché destina-tari di «terre et decime», di fronte al clero unito (sebbene gerarchica-mente distinto in «ordines»), le cui autografe sottoscrizioni doveva-no contribuire, per diretta affermazione del vescovo, a una «maiorsecuritas». Era l’immagine dell’accordo in seno alla chiesa volterra-na, rinata sotto l’egida del rinnovato culto dei santi Giusto e Clemen-te, risanatori di una realtà carica di contrasti.

La concessione di Gunfredo è un capolavoro di linguaggio politi-co. In essa sono contenute, oltre ad una nutrita lista di proprietà dellanuova fondazione, una serie di informazioni sulla vita politica e isti-tuzionale di Volterra e l’espressione della volontà vescovile di rinno-

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21 A. PUGLIA, La marca di Tuscia tra X e XI secolo. Impero, società locale e ammi-nistrazione marchionale negli anni 970-1027, Pisa 2003, pp. 47-53.

22 M. L. CECCARELLI, I rapporti tra vescovo e città a Volterra fino alla metà dell’XIsecolo, in Vescovo e città nell’altomedioevo: quadri generali e realtà toscane, Atti delconvegno internazionale di studi, Pistoia, 16-17 maggio 1998, Pistoia 2001, pp. 133-178,in part. pp. 149-150. Il vescovo nel settembre del 1019 fu a Strasburgo con l’imperatore:MGH, Costitutiones et acta imperatorum et regum, a cura di L. Weiland, Hannover 1893(rist. anast. 1963), vol. I, p. 63.

23 Un esempio significativo di ciò è il livello vescovile per il chierico e canonico Al-berto della fu Inghitia, che insieme al fratello Pietro diacono fu uno membri principalidella canonica di S. Ottaviano e detentore di vasti interessi fondiari in Valdera. Su di lui ediscendenti: AMV, Fondo Badia, 1031, 1034, 1058.

24 AMV, Diplomatico Badia, 1039-1046. Per un esame più approfondito del docu-mento rimando al mio Chiesa, potere pubblico, cit.

25 PUGLIA, Potere marchionale, amministrazione del territorio e società locale inTuscia dalla morte di Ugo di Tuscia a Guelfo VI di Boviera (1001-1160), tesi di dottora-to, Università Statale di Milano, XV ciclo, p. 96.

vamento di essa e di rappresentazione in chiave gerarchica della chie-sa cittadina. Il richiamo all’unità e la rivalutazione dei due santi veni-vano a sanare un distacco tra i due enti ecclesiastici principali, la ca-nonica e il vescovato, in atto fin dagli inizi del secolo X e aggravatodalla morte del marchese Ugo (il maggior donatore alla canonica)21.

Il vescovo Gunfredo (1016-1039), di origine novarese legato agliimperatori Enrico II (che lo definisce suo «fidelis») e Corrado II (dicui aveva presenziato all’incoronazione imperiale), intese interveni-re solennemente e definitivamente contro la possibile degenerazio-ne del conflitto tra gli enti ecclesiastici cittadini22. Dal 1034 l’atteg-giamento del presule nei confronti del capitolo appare mutato e idocumenti ci offrono l’immagine di una ritrovata unità in città enella sua Chiesa23.

Tra 1042 e 1044 va collocata l’edicti pagina del vescovo Guido(1044-1061) con la quale veniva rinnovata la donazione al monaste-ro dei santi Giusto e Clemente, rimasto «incultus [...] et inordina-tus», come a segnare un ulteriore rinnovamento rappresentato dalnuovo vescovo, pur nel solco di una tradizione precedente24. La do-nazione questa volta era però fatta per il suffragio dell’anima delpapa Benedetto, dell’imperatore Corrado e del figlio Enrico (III),nonché «pro salute et remedio animarum ducum seu marchionumTuscie», formula quest’ultima che si ritrova in alcuni atti fiorentinie fiesolani direttamente connessi con la dominazione canossana inTuscia25.

Il vescovo si richiamava così all’eredità ideologica di Gunfredo,rimarcando l’unità della chiesa sotto l’egida dei Santi Giusto e Cle-

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26 AMV, Diplomatico Badia, 1039-1046.27 Cfr. per esempio i documenti regestati in RV, nn. 121-129, pp. 45-47. Per una più

ampia discussione sui documenti citati rimando al mio Chiesa, potere pubblico e societàlaica a Volterra, cit. §.2.

28 ACV, Diplomatico, n. 70, regesto in RV, n.127, p. 46; AAV, Secolo XI, decade V,n. 3, 1048 febbraio 8, regesto in CAVALLINI, Vescovi volterrani fino al 1100, cit., n. 33,p. 53.

29 ACV, Diplomatico, n. 77, edito da L. A. MURATORI, Antiquitates Italicae MediiEvi, t. III, V, VI, Mediolani 1740 (rist. anast. Bologna 1965), V, p. 215: dopo la donazio-ne episcopale delle corti di S. Agata e di S. Ottaviano, l’atto fu sottoscritto, oltre che dalpresule cittadino, da un arcidiacono (Ugo), un arciprete (Farolfo), due preti (Pietro e Cri-stiano), quattro diaconi, un preposito e un cantore.

mente, con alcune importanti variazioni: l’ubicazione del monastero«infra plebe S. Ioanni», cioè nel pieviere della città; la menzionedell’unità del clero «totius episcopatus» e non solo cittadino; l’e-splicito riferimento alla tutela del potere pubblico sia regio che mar-chionale sulla chiesa26.

Tutta la documentazione volterrana fino al 1064 (primo anno incui è attestato il successore di Guido) permette di valutare l’azionedel presule come una lenta ricomposizione del patrimonio ecclesia-stico, nominalmente sotto l’egida del potere pubblico, ma sempreattenta ad acquisire i diritti e i beni derivanti dalle crisi patrimonialidelle antiche famiglie comitali27.

Sono, inoltre, testimoniati altri processi in atto, che andavano dipari passo con analoghi in altre zone della Tuscia. Ci riferiamo, in-nanzitutto, alla regolazione della vita ecclesiastica cittadina e la pro-mozione della vita canonicale, sia in relazione alla canonica cittadi-na (il vescovo in un atto del 22 giugno 1061 agisce «una insimul ca-nonacis»), sia a quella, fondata nel 1048, di S. Maria di Paurano28.

Con il vescovato di Ermanno (1064-1073), il processo avviatonegli anni precedenti ebbe un’accellerazione. Il 6 agosto 1073, in-fatti, il presule in un «sinodale concilio», prendendo atto che leprincipali cariche ecclesiastiche cittadine erano state ottenute ille-galmente («archidiaconatum, preposituram, et reliquos ordines hac-tenus usurpatos, ac male [...] dispositos»), dispose che gli «ordines»ritornassero all’unità («ad unum redeant»), e conducessero vita re-golare («regulariter vivent»). Inoltre, per sanzionare l’unita del cle-ro cittadino, il presule stabilì che in caso di morte di qualche eccle-siastico, il sostituto avrebbe dovuto essere eletto da una personascelta di comune accordo dai «fratres» componenti i vari ordini ri-uniti collegialmente29.

L’atto dovette probabilmente sopperire ad una crisi veramente

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30 Vita s. Ihoanni Gualberti auctore Andrea abbate Strumensi, a cura di F. BAETH-GEN, in MGH, Scriptores, XXX, p. 1093; G. MICCOLI, Pietro Igneo. Studi sull’età grego-riana, Roma 1960 (ISIME, 40-41), p. 15, nota 1, pp. 27-28, nota 1.

31 Register Gregorii VII, ed. E. Caspar, Berlin 1955, vol. I e II, in MGH, Epistole se-lectae in usum scholarum, II, V.3, pp. 350-351.

32 SAVIGNI, Episcopato e società, cit., pp. 36-37.33 Die Urkunden und Briefe der Markgräfin Mathilde von Tuscien, a cura di E. Goez

e W. Goez, in MGH, Laienfürsten- und Dynasten-Urkunden der Kaiserzeit, II, Hannove-rae 1998, n. 17, pp. 76-78.

presente all’interno della chiesa, e testimoniata dalla risposta diGiovanni Gualberto alla richiesta di consiglio da parte di Ermannocon una lettera esortante i canonici alla vita comune e alla lotta allasimonia30. L’origine di essa va forse ricercata nella fine dell’equili-brio instaurato da Guido e nella reazione di una parte dei canonici aipropositi di riforma della vita canonicale in senso di «vita comune»e di riforma dell’elezione dei membri del capitolo. L’estrema vici-nanza di Ermanno ai marchesi di Tuscia, sostenitori nel 1073 dell’e-lezione papale di Gregorio VII, non fece che aumentare i motivi dititubanza di alcuni esponenti del capitolo.

La morte di Ermanno, avvenuta con tutta probabilità nei primimesi del 1077, provocò addirittura l’intervento di Gregorio VII, cheil 6 settembre 1077 si appellò ai vescovi di Firenze e di Siena affin-ché promuovessero l’elezione a vescovo di Volterra dell’arciprete diMantova Bonoiso, con una «generalis electio [...] ab omnibus», euna volta eletto gliene comunicassero le disposizioni, con un decreto«cleri et populi», affinché si potesse procedere a una immediata con-sacrazione31. La premura del papa non era ingiustificata, perché, conogni probabilità, egli era a conoscenza dei dissidi all’interno dellachiesa volterrana, che rischiavano di rendere maggiormente difficol-tosa l’azione papale in Tuscia. Già dall’anno precedente, infatti,Gregorio VII si era trovato a dover fronteggiare una opposizioneestrememente tenace di una parte della chiesa cittadina lucchese32.In questo contesto, l’indicazione dell’arciprete della chiesa di Man-tova come possibile vescovo volterrano fu un tentativo di imporreuna persona vicina a Matilde di Canossa, la principale alleata del pa-pa nella questione lucchese. La strategia di Gregorio VII, pur facen-do leva su un ecclesiastico esterno, era attenta a prendere in conside-razione il contesto locale. Matilde, infatti, due anni prima era inter-venuta «in comitatu et territurio» di Volterra in una questione ine-rente la canonica, allorché un membro di essa, l’arciprete Ferolfo,si appellò per ottenere il bando imperiale sui beni canonicali33. La

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34 Ivi, n. 24, pp. 93-94.35 Edito da A. F. GIACHI, Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Vol-

terra, Volterra, Cecina, Firenze 1887 (2° ed.), pp. 446-447.

richiesta e il conseguente placito, da un lato confermano una situa-zione molto fluida e incerta nella chiesa cittadina, dall’altro rivelanole iniziative della marchesa dirette a mantenere gli equilibri politicie patrimoniali all’interno della chiesa volterrana.

La questione della chiesa cittadina, però, non fu di facile soluzio-ne. Le indicazioni di Gregorio VII rimasero inascoltate se nel 1078la sede vescovile era ancora vacante. Infatti, in una causa giudizia-ria riunita di fronte a Matilde, l’avvocato vescovile Ildebrando chie-se ed ottenne la conferma dei diritti e beni di tre pievi, pertinentiagli iura del vescovato, senza menzionare il vescovo34. L’interventomarchionale, però, rivela un esito comunque positivo per la causapapale: benché il mantovano Boiso non fosse diventato vescovo diVolterra, Matilde di Canossa entrò a pieno titolo nella tutela delvescovato e del capitolo e riuscì così momentaneamente a preserva-re l’unità della Chiesa cittadina.

Solo nel 1080, quando cominciavano a profilarsi guai istituziona-li e politici per la Marca e per le forze gregoriane in Tuscia, com-parve il nuovo vescovo Pietro (1080-1099) sulla cattedra volterra-na. Le indicazioni di Gregorio VII erano state disattese, in quanto ilnuovo presule era probabilmente di estrazione locale, membro delcapitolo e frutto di una mediazione tutta interna alla chiesa volterra-na. Di lui non sappiamo lo schieramento negli anni che videro lacrisi dell’autorità matildica e gregoriana. L’unico argomento utiliz-zabile è la totale mancanza di documentazione tra 1080 e primi anniNovanta, che fa pensare a una forte dialettica interna alla città e aduna conseguente crisi politica e istituzionale, come a Pisa e a Lucca.Non è forse un caso che il nome di Pietro ricompaia nella documen-tazione il 30 luglio 1099, ovvero poco meno di un anno dopo la ri-presa del potere di Matilde in Tuscia, e in una conferma della dona-zione dei precedenti vescovi (con aggiunta di altri beni derivanti da«beneficia» vescovili a laici) al monastero dei santi Giusto e Cle-mente. Il presule era attorniato dai «presbiteri, diaconi et inferioresordines» della chiesa di S. Maria di Volterra: la ricomposizione del-l’antica unità35.

Le vicende di cui fu protagonista la chiesa volterrana nell’arcotemporale che va dalla fondazione del monastero dei Santi Giusto eClemente (1034) all’episcopato di Pietro, costituiscono, con ogni

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36 Esemplare è il caso di Uberto del fu Bello, facente parte di una famiglia aristocra-tica detentrice di beni nel castello di Sambra, che il 17 settembre 1088 donò a S. Giustouna fornace e altri beni a Patrignone. Il 8 luglio 1099 si apprende che egli aveva detenutonegli anni precedenti dei beni «ex parte Sancte Marie ecclesie volterrane» situati nel pi-viere di Casalia e nel castello di Castellione, poi ceduti a tali Uberto Truffo e Manso delfu Corrado, che a loro volta nel 1099 li avevano ceduti al priore di S. Giusto. Si noti chequest’atto è sottoscritto dal vescovo Pietro, e risulta la sua prima testimonianza dopo il1080: AMV, Fondo Badia, 1088 settembre 11; 1099 luglio 8.

37 BUCHANAN, Evidence of a Scriptorium, cit., pp. 15-18.

probabilità, il contesto politico in cui fu redatto il nucleo principaledella Vita di Giusto e Clemente da parte di Blanderannus. Il testo,infatti, si pone in stretta relazione con la continua ricerca di accordoall’interno della Chiesa cittadina, promossa attraverso il rinnova-mento del culto dei due confessori da parte del vescovato e con l’i-stituzione del cenobio dedicato a quei santi come polo di conver-genza e di tutela dei beni delle famiglie aristocratiche della citta edel territorio legate al vescovato per la tutela dei propri beni: ruoloassunto per tutto il secolo XI36.

È significativo, in questo contesto, che il primo codice che con-serva la Vita di Giusto e Clemente sia il codice C della BibliotecaCapitolare di Lucca, risalente agli anni Ottanta del secolo XI, instretta relazione con la riforma gregoriana, il rinnovamento della vi-ta comune canonicale, e la conseguente reazione contro l’imperato-re Enrico IV e l’antipapa Cadalo37.

4. Dal vescovato di Ruggero al rinnovamento della vitaecclesiatica e liturgica cittadina: secolo XII

Il secolo XII, fin dal suo esordio, fu un’epoca di ulteriore riorga-nizzazione della vita religiosa e della politica vescovile nei confron-ti di laici ed ecclesiastici, di evoluzione istituzionale del potere ec-clesiastico e civile, e di nuova elaborazione e produzione di testiagiografici e liturgici, che si concluse con una generale ristruttura-zione della vita liturgica e cultuale della città e del territorio.

Il successore del vescovo Pietro, Ruggero (1103-1132), della ca-sata comitale dei Gisalbertini, conti palatini di Bergamo, legati aMatilde di Canossa (la quale probabilmente ne sostenne l’elezione),seppe raccogliere l’eredità dei predecessori e reinterpretarla in sen-so tutto nuovo, sfruttando il periodo di declino della marchesa diTuscia e probabilmente guardando anche verso Pisa, città di cui dal

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38 CECCARELLI, Cronotassi cit., pp. 42-43.39 AMV, Fondo Badia, 1106 novembre 12, regesto in RV, n. 141, pp. 50-51.40 ACV, Diplomatico, n. 98, regesto in M. CAVALLINI - M. BOCCI, Vescovi volterrani

fino al 1100. Esame del Regestum Volaterranum con appendice di pergamene trascurateda Feodor Schneider. Supplemento. Introduzione e revisione di Mario Bocci, in «Rasse-gna Volterrana», 58 (1982), pp. 23-112, n. 12, p. 58.

1120 occupò la cattedra vescovile38. Dal lato dell’organizzazioneecclesiastica Ruggero compì passi importantissimi: come i prede-cessori, fu l’artefice di un’ampia donazione al monastero dei SS.Giusto e Clemente nel 1106, differente, però, dalle precedenti.Innanzitutto, essa fu fatta «consentiente clero», espressione chemostra non solo la presenza della parte clericale, ma la sua direttainfluenza sul dispositivo. Le sottoscrizioni poi non erano solo di ca-nonici, ma anche di laici. Il rinnovato impegno vescovile all’unitàecclesiastica è ben testimoniato sia dalle donazioni del vescovo alcapitolo, sia dal possessivo «mei» che il vescovo utilizza in un suodiploma in riferimento ai canonici39.

Se si scorrono i documenti riguardanti la canonica si otterràun’immagine chiara del significato dell’azione del vescovo, fin dalprimo momento contraddistinta da una duplice aspirazione: da un la-to dimostrarsi conciliante nei confronti dei canonici, consentendo lo-ro uno sviluppo patrimoniale autonomo, dall’altro, però, imporre lapresenza vescovile nelle transazioni e nel rinnovamento del capitolo.

D’altra parte è un fatto che le donazioni di importanti quote di di-ritti, corti e castelli alla canonica di S. Ottaviano comincino dal1105, verosimilmente dopo un riassetto del capitolo e di tutta lachiesa volterrana da parte del vescovo, che coinvolse anche il mona-stero dei Santi Giusto e Clemente. Il 29 dicembre 1105, infatti, l’a-bate di quel cenobio, Alberto, con il consenso di Ruggero «episco-pus domui Sancte Marie» concesse alcuni beni nei pressi della cittàa Pagano «presbiter et primicerius» della canonica di S. Ottaviano«que est domo S. Marie». La sottoscrizione del vescovo, dell’abate edi tutti i canonici e di alcuni laici di grande rilevanza della città e delterritorio (Ranieri del fu Rustico, Drudo del fu Ildebrando, AnsaldoUgone e Benno del fu Ugo, Truffa del fu Corrado, Ugo del fu Bru-no) sono l’immagine della ritrovata e consolidata unità della chiesa edei laici della civitas, che poteva dar luogo ad una nuova gestionedel patrimonio fondiario e al controllo dei castelli in atto fin dal se-colo X e che ebbe importanti sviluppi con i successori di Ruggero40.

Questi ultimi proseguirono in gran parte la politica ecclesiastica

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41 FURIESI, Le sante Attinia e Greciniana, cit., pp. 17-20. Un’iscrizione su un’urnafuneraria etrusca del IV secolo, reimpiegata, riferisce l’inventio delle reliquie di S. Cle-mente al pontificato di Innocenzo II, nel 1140, e la loro collocazione nel Duomo: AUGEN-TI, Scrivere la città, cit., p. 55: «hic requiescit corpus Beati Clementis. Et inventum estsub temporibus Innocentii Papae II, MCXL». Si veda anche Acta Sanctorum, Iunii, I, Ve-netiis 1741, p. 449, e III Venetiis 1743, p. 38.

42 A. FORTUNIO, Vita et miracula sanctorum Christi confessorum Iusti, et Clementis.Nunc nuper in lucem edita. Quibus inferitur vita, atque martyrium s. Reguli archiepisco-pi. Vita s. Octauiani confessoris necnon accedunt gesta nonnulla, ac martyrium s. Romuliepiscopi et sociorum, Florentie [1568], anche in Acta Sanctorum, I, Iunii, cit., pp. 441-445. Cfr. BHL, 4611.

43 Cfr. CECCARELLI, Cronotassi, cit., pp. 45-46.

del predecessore, facendo evolvere ulteriormente gli aspetti cultura-li della vita religiosa cittadina. Sotto il vescovato di Adimaro(1137-1146), per esempio, furono rinvenuti i resti delle Sante marti-ri Attinia e Greciniana (traslati dal monastero di S. Giusto alla chie-sa cittadina di S. Salvatore il 6 giugno 1140), e i resti del corpo diSan Clemente41.

Il testo più significativo di questo periodo, però, sono i cosiddettiMiracula Sancti Iusti et Clementi, che ci sono giunti solo nella ver-sione cinquecentesca fornita da Agostino Fortunio (e ripresa poi daiBollandisti), la quale, probabilmente, riunì diversi testi di epochedifferenti (secoli XII-XIII) in una sola, rielaborata, versione42. Al dilà del fatto che i Miracula hanno bisogno di un’approfondita analisi,sia dal punto di vista del contenuto, sia da quello della tradizione, daalcuni riferimenti interni si può ragionevolmente desumere, però,che il nucleo centrale sia stato scritto tra gli anni del vescovo Cre-scenzio (1133-1137)43 e la riforma della canonica e della liturgia del1161 (per cui cfr. infra).

Gli episodi principali narrati nei ventotto Miracula, oltre checonfermare la datazione proposta, evidenziano il clima culturale epolitico in cui furono generati. È posto in evidenza, innanzitutto, ilfatto che il vescovo Crescenzio, successore di Ruggero, agisse dicomune accordo con i canonici della cattedrale («venerabili canoni-corum corona illum concomitante»); sono poi menzionati alcuni ari-stocratici del territorio, legati al vescovato da rapporti feudo vassal-latici, e viene fatto spesso riferimento all’espansione della chiesavolterrana nella diocesi, a vicende e luoghi della città di Pisa e diLucca, nonché al mondo della navigazione. Se a tutto ciò si assom-ma la menzione del marchese Corrado, e quindi del potere pubblicoin Toscana, si potrà più facilmente comprendere come i Miracula ri-specchino una particolare epoca della chiesa volterrana, caratteriz-

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44 Cfr. nota 42.45 Biblioteca Guarnacci di Volterra, L. 4.17 (inv. 5789), edito in De Sancti Hugonis

actis liturgicis, trascrizioni a cura di mons. M. Bocci, Firenze 1984 (Documenti dellachiesa volterrana, 1), pp. 29-229, in particolare per le chiese: S. Michele a Foro: ibidem,p. 139, p. 141; S. Stefano: ibidem, p. 56, p. 142, S. Giovanni iuxta domum: ibidem,p. 142, S. Alessandro extra civitatem: ibidem, p. 142, S. Giovanni di Orticasso: ibidem,p. 14, S. Marco: ibidem, p. 142, S. Giusto di Monte: ibidem, p. 142, Santi Giusto e Cle-mente «ubi corpora eorum requiescunt»: ibidem, p. 143.

46 CECCARELLI, Cronotassi, cit., p. 51.

zata dall’espansione territoriale, dalla strutturazione delle istituzionie dai rapporti con Pisa e Lucca44.

Tutti questi dati possono essere letti come una nuova articolazio-ne della vita religiosa cittadina, resa ancora più complessa per la po-litica di espansione del vescovato e per la difficile gestione delle di-verse tensioni esistenti all’interno della Chiesa. Queste ultimeesplosero all’epoca del vescovo Galgano (1150-1168), all’indomanidello scisma tra Onorio e il papa ortodosso Alessandro III. Proprioquesti contrasti, che portarono all’uccisione del vescovo, furono ri-solti all’interno del capitolo con la rigenerazione di un culto altome-dievale, quello di S. Ottaviano, e della vita religiosa cittadina, cheebbe come effetto un generale progresso della cultura liturgica apartire dagli anni Sessanta del secolo XII.

5. L’arciprete Ugo e la nuova liturgia nella seconda metàdel secolo XII

La svolta più rilevante ed evidente nella vita religiosa e liturgicadel periodo comunale può, a buon diritto, essere posta all’inizio de-gli anni Sessanta del secolo XII, ad opera di un arciprete della cano-nica di S. Ottaviano: Ugo. Tale radicale rinnovamento, testimoniatoda un eccezionale e complesso testo liturgico, redatto dallo stessoUgo, ebbe i suoi effetti principali nella precisa organizzazione dellaliturgia della città, nella definizione delle chiese principali, nell’arti-colazione degli ordines della chiesa volterrana, oltre che nella deter-minazione del calendario liturgico della diocesi45.

Mario Bocci nella prefazione all’edizione, da lui stesso curata,del Liber de ordine officiorum dell’arciprete sostiene che Ugo sareb-be da identificare con l’omonimo vescovo, attivo a Volterra dal 1171al’8 settembre 1184, giorno della sua morte46. La documentazione,però, pur lasciando largo margine alle ipotesi, non può essere letta

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47 Pubblicato in De Sanctis Ugonis, cit., appendice, pp. 329-343. Documentazionesull’arciprete Ugo in RV, nn.178, 182, 202, 203, 204, 205, 217, 300, su cui CECCARELLI,Cronotassi cit., p. 51, nota 108.

48 Probabilmente aveva a disposizione vario materiale: bibbie, antifonari, evangeli-stari, sacramentari (con messali e benedizionari), calendari, passionari, martirologi, san-torali, «expositiones», libri contenenti testi di Ambrogio, Agostino e S. Gerolamo, libri dicanones, ordinari romani e lateranensi (di S. Frediano), ma soprattutto un grande mate-riale locale di ordine consuetudinario («sicut ego vidi et audivi et a fratribus meis acce-pi»), sul quale egli operò una selezione: «semper consuetudo cum ratione et auctoritatepreponenda est consuetudini, que est absque ratione et auctoritate» (De Sanctis Ugonis,cit., p. 48).

49 Cfr. Appendice I.50 Appendice II.

nel senso sopra esposto. Infatti, benché un canonicus Ugo fosse atti-vo dal 1150, sotto l’episcopato di Galgano, l’archipresbiter Ugo fuin carica dal 1151 fino, con certezza, al 1190, quindi anche durantel’episcopato di Ugo, il futuro santo. L’arciprete rivestì un ruolo diprimo piano nella Chiesa volterrana e nel Capitolo, e sostenne lostesso vescovo Ugo, come mostra, oltre che la documentazione dellaseconda metà del secolo XII, anche un testimoniale dei primi annidel Duecento redatto in occasione di una lite tra i canonici e il ve-scovo Ildebrando (1185-1211), che pretendeva il diritto di elezionedel collegio canonicale47.

Il documento mostra l’archipresbiter Ugo (probabilmente ancoravivo nel momento della resa delle testimonianze), nel 1179, trattarecon il papa Alessandro III, e tra il 1181 e il 1185 sanare la crisi delcapitolo attraverso la nomina di quattro nuovi canonici, agendo per-fettamente in accordo con il vescovo Ugo, al quale spettò la confer-ma degli eletti e l’ordinazione sacerdotale di alcuni di essi «quo-niam laici erant». Tutto fa pensare che una personalità del generepossa essere stata l’autore del testo che fissò per iscritto la liturgiadella chiesa volterrana, corroborandola con una acuta riflessione suitesti patristici e sapienziali, oltre che sugli Ordines romani e latera-nensi, come si desume dalle numerose affermazioni relative al me-todo compositivo contenute nel Liber48. Per il rinnovo della liturgiaUgo fece arrivare in città anche libri liturgici esterni: un dato super-stite potrebbe essere il messale conservato nella Biblioteca Guar-nacci, cui è premesso un calendario-obituario, che mostra la relazio-ne del codice con l’ambiente pisano e, probabilmente, lucchese49. Ilcalendario, pertanto, costituì sicuramente una base per la definizio-ne del santorale volterrano, la cui articolazione e definizione occu-pano un posto rilevante all’interno del Liber ordinis50.

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51 CECCARELLI, Cronotassi, cit., pp. 47-48, e nota 99.52 De Sancti Hugonis, cit., p. 194.

La nuova liturgia, che in molti punti metteva in evidenza le pecu-liarità volterrane, si inscrisse, con tutta probabilità, in un generaletentativo di dare stabilità alla chiesa cittadina, in un momento trava-gliato della sua storia. Infatti, dopo lo scisma del 1159, quando siandavano formando le adesioni al partito dell’imperatore e dell’an-tipapa, il vescovo Galgano era già probabilmente in una posizionedi ambiguità politica che dovette preoccupare non poco le alte ge-rarchie ecclesiastiche. Ancora il 6 novembre del 1160, il vescovomanteneva un atteggiamento favorevole consacrando, insieme al-l’arcivescovo di Pisa Villano e al vescovo di Firenze Giulio, la chie-sa di Casole d’Elsa. Non è forse un caso che il Liber dell’arcipreteUgo sia databile all’11 settembre del 1161, quando probabilmente leintenzioni di Galgano di passare dalla parte dell’antipapa comincia-vano a manifestarsi51.

Tale interpretazione è sostenuta anche dalla lettura del capitolodel Liber inerente alla festività di S. Ottaviano, cui era intitolata lacanonica della ecclesia mater, dove era conservato il corpo del san-to. Nella parte finale del capitolo è espressamente menzionata la da-ta della redazione del testo (11 settembre 1161), cui segue la peri-frasi «presidente Alessandro in ecclesia romana», la menzione diFederico come imperatore e quella di Ottaviano (l’antipapa) comescismatico ed eretico52.

L’arciprete fornì la sua interpretazione dei fondamenti della sta-bilità della Chiesa cittadina e, conseguentemente, della civitas. Su-bito prima della data, infatti, Ugo narra la traslazione del beato Ot-taviano a Volterra nell’820 quando era vescovo il «religiosissimus»Andrea, che «presidebat» la città, insieme a tutto il clero e al «popu-lus». A trecento anni di distanza, le condizioni per l’unità del clero edel popolo – sembra affermare Ugo, pur non menzionando Galgano–, dovevano essere le medesime: solo l’ortodossia, ovvero il soste-gno ad Alessandro III (per il cui pontificato è utilizzato lo stessoverbo, «presidere», che Ugo utilizzò per il vescovo Andrea) potevagarantire l’unità cittadina. In questo contesto Ugo non diede un giu-dizio totalmente negativo sull’imperatore Federico I, che appare co-me uno strumento manovrato dall’antipapa alla continua ricerca del«papatum», attraverso la violenza e il ricorso all’appoggio da partedella regia «potestas», invece che attraverso la via della «iustitia».

Proprio il riferimento alla «iustitia» serve a comprendere il giudi-

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53 CECCARELLI, Cronotassi, cit., p. 48.54 A. MASTRUZZO, Volterra, Biblioteca Comunale Guarnacci, LXI.8.7 (1), in Le Bib-

bie Atlantiche. Il libro delle Scritture tra monumentalità e rappresentazione, a cura diM. MANIACI e G. OROFINO, Milano 2000 pp. 310-312.

zio così negativo sull’antipapa menzionandone il nome Ottaviano,nel passo dedicato al santo principale della chiesa volterrana, cheproprio quel nome portava: l’ideale di «iustitia» espressa dal santo enon la «violentia» dell’antipapa avrebbero dovuto essere di esem-pio, a prescindere dalla loro omonimia, che diventava anzi motivoper evidenziare l’enorme differenza che intercorreva tra i due.

Le intenzioni dell’arciprete probabilmente non andarono a buonfine, almeno sotto l’episcopato di Galgano: il vescovo venne uccisotra 1168 e 1170. Solo con il successore, Ugo, la città ritornò com-pletamente all’ortodossia53.

All’ultimo quarto del secolo XII, dopo la riforma dell’arcipreteUgo, e la conseguente redazione del Liber ordinis del 1161, e l’epi-scopato dell’omonimo vescovo, santificato a meno di dieci anni dal-la sua morte, devono essere ascritte le più importanti novità liturgi-che e culturali volterrane. A questo periodo appartenne la parte piùrilevante della importazione e produzione libraria cittadina, cometestimoniano i Passionari 6776 e 6777 della Biblioteca Guarnacci,la grande Bibbia Atlantica conservata nella stessa biblioteca e altricodici, più atti all’uso (messali, breviari), che testimoniano però ilgrande fervore produttivo dell’ambiente della cattedrale, del capito-lo e del monastero di S. Giusto, ambiente culturale dal quale prove-niva, probabilmente, anche l’Alberto scriptor, che vergò parte dellagrande Bibbia Atlantica di Calci54.

All’alba del secolo XIII, la città aveva, ormai, una consolidatatradizione agiografica e un’articolata organizzazione liturgica checaratterizzarono il nuovo periodo, in cui accanto al potere del ve-scovo, stava crescendo ed evolvendo quello del Comune cittadino.

6. Culto dei santi, Chiesa cittadina e Comunenel secolo XIII

L’episcopato di Ugo (1171-1184) segnò una cesura cronologicarilevante per la storia della chiesa volterrana, in quanto caratterizza-to da attriti politici interni alla città. Il periodo, che dal punto di vi-sta culturale fu uno dei più floridi del medioevo volterrano, coincise

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55 M. CAVALLINI, Il vescovo Ildebrando, in «Rassegna Volterrana», XVII (1947),pp. 1-24; CECCARELLI, Cronotassi, cit., pp. 51-54.

con una battuta di arresto dell’espansione episcopale nel contado econ le prime frizioni tra il vescovato e le istituzioni comunali, in viadi organizzazione e definizione formale.

Se si tiene presente che già nel 1191 il vescovo Ugo appare comesanto, si può ragionevolmente supporre che alla sua beatificazioneabbia concorso il nuovo vescovo Ildebrando della famiglia comita-le dei Pannocchieschi (detentori di vasti beni nella diocesi, che pri-ma del vescovo Ugo avevano avuto contrasti con il vescovato), chepur essendo un fautore imperiale, proponeva, di fronte al nascenteComune, alle altre città della Tuscia, e alla nobiltà del territorio, unnuovo modello episcopale, in netto contrasto con i precedenti, cheerano stati causa di crisi interne e territoriali55. Il culto di S. Ugo ela conseguente proposta di un modello agiografico episcopale, benpresente nella cultura e nella società volterrana, furono i primi stru-menti ideologici con cui il vescovo costruì la sua azione contrastivanei confronti del ceto dirigente comunale.

Il vescovo Ugo, infatti, era idealmente una figura capace di supe-rare i dissensi interni alla città, di pacificare gli animi e di proporreun’immagine di Chiesa unita e solidale con le istituzioni cittadine,coordinata da una liturgia e una organizzazione interna consolidatae originale rispetto alle altre chiese (pisana e lucchese), con le qualipure aveva un forte legame ideologico e politico. Il governo di Ilde-brando coincise, però, con violenti scontri politici con il Comune, acausa sia del controllo politico e sia della gestione delle risorse del-la città e del territorio.

Nei primi anni del Duecento il panorama cultuale volterrano, do-po la riforma liturgica del 1161, si era ulteriormente arricchito. Leprincipali istituzioni cittadine, sia il vescovato che il Comune, con-tinuavano però, a richiamarsi ai tre differenti culti che avevano ca-ratterizzato i secoli precedenti: ai SS. Giusto e Clemente il grandecenobio extraurbano, che godeva ormai di una vasta autonomia pa-trimoniale, a S. Ottaviano la canonica e a S. Maria.

Gli statuti cittadini, però, testimoniano un’evoluzione di questasituazione verso un’integrazione di tutti i culti nel Comune: se nel1224, quando ancora divampava una accesa lotta tra il vescovo Pa-gano e il Comune (fino all’accordo del 1225), gli statuti cittadininon fanno riferimento ad alcun culto, negli statuti del 1230, oltreche un chiaro accenno alla necessità dell’unione della civitas con la

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56 AMV, Fondo G nera 2, c. 1r: «In nomine patris et filii et spiritu sancti amen. Adhonorem Dei et Beate Marie Virginis et omnium Sanctorum et Sanctarum Dei et ab hono-rem et utilitatem Vulterrani comunis eiusque districtus, hec sunt constitutiones Vulterranecivitatis. Quia ubique terrarum ubi cristianitatis religio colitur ecclesia est capud et fun-damentum cuiuscumque civitatis et loci igitur ad honorem dei eiusque matris et beatorumIusti et Octaviani Vulterre civitatis patronorum et omnium Sanctorum et Sanctarum dei etad honorem etiam et utilitatem Vulterrani comunis, eiusque districtus, in primis de con-stitutionibus et utilitatibus ecclesiasticis et religione fidei ordinemus» (ripetuto in neglistatuti G 4bis [1240-1242] e G 8 [1251]). Sugli Statuti cfr. A. PUGLIA, Gli statuti di Vol-terra della prima metà del Duecento: analisi preliminari per un’edizione, in «Quadernodel Laboratorio Volterrano», X, Pisa 2007, pp. ???.

57 AMV, Fondo G nera 9, c. 1r: « In nomine patris et filii et spiritus sancti amen. Adhonorem Dei omnipotentis et beatissime Marie virginis et Sancti Iohannis Baptiste etsanctorum apostolorum Petri et Pauli et Sancti Victoris martiris et Beatorum OctavianiIusti et Clementis confessorum Vulterrane civitatis patronorum et omnium sanctorum etsanctarum Dei et ad honorem et utilitate […] Vulterre comunis et districtus eius, hee suntconstitutiones Vulterre civitatis». Il corpo di Vittore giaceva nella cattedrale fin dal seco-lo XII, come attesta il Liber ordinis ecclesie Vulterrane : De Sanctis Ugonis, cit., p. 215.Sull’avvento del governo popolare a Volterra cfr. A. PUGLIA, Mutamenti politici e legisla-zione a Volterra negli anni Cinquanta e Sessanta del Duecento: il governo del Popolo, in«Laboratorio Universitario Volterrano. Quaderno XI», (2006-2007), pp. 193-198.

58 L’intestazione del lodo (non più reperibile negli archivi volterrani, né tantomeno aFirenze), è pubblicata da L. A. CECINA, Memorie istoriche della città di Volterra, Pisa1758 (rist. anast. Bologna 1975), p. 67, n. 2.

59 FERRALI, I santi Giusto e Clemente, cit., col. 46.

propria Chiesa, compaiono come «Vulterrane civitatis patroni» laVergine, i Santi Giusto e Clemente e S. Ottaviano56.

Nella seconda metà del Duecento, in coincidenza con l’influenzapolitica fiorentina in città e con il cambiamento del governo in sen-so popolare, ai precedenti culti si assommarono quelli di S. Giovan-ni Battista (il patrono di Firenze), degli Apostoli Pietro e Paolo e delmartire Vittore, il cui culto era già presente a Volterra nella secondametà del secolo XII57.

Questo assetto cultuale rimase invariato fino al Trecento. Nel di-cembre 1278, nel lodo tra parte guelfa e ghibellina in Volterra, simenzionarono espressamente come santi cittadini la Madonna, iSanti Giusto e Clemente, S. Ottaviano e S. Vittore58. Nel primo de-cennio del Trecento inoltre, è noto che il comune commissionò a Ti-no di Camaino (forse nel suo periodo pisano alla metà degli anniDieci) i busti dei Santi Giusto, Clemente, Ottaviano e Vittore, cheinsieme alla Vergine divennero i santi protettori della città59.

È molto probabile che, parallelamente a questa operazione diistituzionalizzazione comunale dei culti della Chiesa volterrana, ilvescovato mettesse in atto la costruzione dell’immagine di San Giu-

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sto come vescovo e non solo come eremita protettore della città.Come si è detto, infatti, risalgono proprio alla fine del secolo XIII eai primi del XIV le prime recensioni della vita dei SS. Giusto e Cle-mente, nelle quali il primo è presentato come episcopus. Ancora unavolta il vescovato tentava di affermare la propria superiorità cultura-le e politica sul Comune proponendo come modello agiografico epi-scopale il culto “conteso” di S. Giusto, ormai incorporato dalle isti-tuzioni comunali.

Come si è avuto modo di notare nell’introduzione al presente la-voro, al periodo compreso tra la seconda metà del secolo XIII e iprimi decenni del XIV potrebbe risalire anche la tradizione agiogra-fica che mette in relazione i santi Giusto e Clemente con Ottavianoe gli altri santi del Sud della Toscana, segnando così la volontà dicreare a posteriori una sorta di storia agiografica unitaria del Suddella Toscana. Ottaviano fu presentato, con i SS. Giusto e Clemen-te, come un eremita, che pur ponendo la sua sede fuori dalle muracittadine, vicino a quella dei due Santi di cui fu compagno, vegliavasulla città e sulla sua Chiesa.

Rimane, però, il problema di quale sia stato il polo di irradiazio-ne di questo rinnovamento e rielaborazione dei testi. Rimandandoad uno studio più specifico, come si è già avuto modo di dire, si puòperò ipotizzare che la nuova tradizione sia essenzialmente locale,come potrebbe mostrare il fatto che nelle nuove versioni agiografi-che, pur essendo più brevi, sono menzionati precisamente dal puntodi vista topografico luoghi delle pendici di Volterra.

Come si è potuto verificare, in attesa di più approfondite ricer-che sui testi agiografici volterrani e sulla loro tradizione, le istitu-zioni cittadine laiche ed ecclesiastiche, fin dall’alto medioevo, ave-vano individuato nei SS. Giusto e Clemente, in S. Ottaviano e nellaVergine Assunta i patroni della civitas. Attraverso le dedicazionidelle principali chiese cittadine, la rifondazione di alcune di essenel corso dei secoli centrali del medioevo e la ricerca di un muta-mento della loro funzione patrimoniale e politica, e attraverso il ri-ferimento ideologico ai principali culti altomedioevali, le istituzionicittadine laiche ed ecclesiastiche diedero vita ad una cultura agio-grafica e liturgica che si espresse in un’importante serie di testi.Questi ultimi, come gli stessi culti, furono strettamente legati alledinamiche politiche e istituzionali della chiesa episcopale e del co-mune cittadino.

Dalla fine del Duecento e nel Trecento questa situazione si modi-

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60 Costruzione del convento di S. Francesco: AMV, Fondo G nera 2 (1230), c. 54v.Su S. Lino cfr. A. ANORE, Lino, papa, santo, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1966, pp.56-57 e Acta Sanctorum Septembris, VI, Parigi 1867, pp. 539-545.

61 De Sancti Ugonis, cit, pp. 231-327.

ficò ulteriormente a causa del consolidamento del culto e dell’in-fluenza politica e patrimoniale del convento di S. Francesco, men-zionato già negli statuti cittadini del 1230. L’Opera S. Francisci, in-fatti, catalizzava l’attenzione delle istituzioni comunali ed era og-getto della destinazione di fondi comunali e di ingenti donazioni diprivati. Dai primi del Cinquecento, inoltre, prese corpo il culto diS. Lino, che divenne in breve tempo il santo patrono di Volterra60.

Appendice I

Il Calendario del codice XLVIII.2.3(inventario 5403) della Biblioteca Guarnacci di Volterra (sec. XII in.)

Il Calendario è collocato nel primo fascicolo, un ternione cui èaggiunta una carta di guardia, corrispondente alle cc. 1-6 del codiceXLVIII.2.3 (5403) della Biblioteca Guarnacci di Volterra, prodotto,come si cercherà di mostrare con un apposito studio, nell’Italia cen-trale all’inizio del secolo XII. In seguito fu portato in Toscana e uti-lizzato in area volterrana e pisana, per finire poi nelle proprietà del-la chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano di Fibbiano, non prima peròdel secolo XIV, come è dimostrato dalla nota di possesso sulla pri-ma carta di guardia. Sul codice e sul testo da esso riportato si sonoespressi alcuni studiosi, le cui opinioni verranno discusse più oltre.Inoltre il testo, compreso il calendario, è stato edito e commentatoda Mario Bocci nel 198161. Sia l’edizione che il commento, però,non sono soddisfacenti e presentano diversi errori valutativi e meto-dologici.

Il codice, membranaceo, generalmente definito Sacramentario, èin realtà un messale con notazioni neumatiche, preceduto da un ca-lendario e seguito da un rituale; è composto da 19 fascicoli, più duecarte di guardia (contenenti alcune parti degli statuti di Castelfio-rentino risalenti al tardo secolo XIII), rilegati con una legatura inpelle con borchie sul piatto, risalente al secolo scorso. Nella perga-mena sono ancora visibili i segni del punctorium sui margini, men-tre non sono più visibili quelli sul piede e sulla testa, probabilmente

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per via di una successiva rifilatura; le linee di scrittura sono 22. Lapagina ha una larghezza media di cm 12,5 e un’altezza di cm 20,5;lo specchio di scrittura è di cm. 7,5 X 15, e 8 X 16 nel fascicolo re-cante il calendario. Il messale e il calendario costituiscono un pro-dotto unitario, risalente, nel suo nucleo originario, al primo quartodel secolo XII.

Nel calendario operarono almeno 14 scribi differenti, di cui peròsolo tre sono riferibili al nucleo originario del codice e presentanoun’evidente omogeneità grafica spiegabile con l’appartenenza allostesso ambiente culturale e scrittorio:

– mano a: carta 1r e 3r da VI idus a III idus (Santi Gordiano eEpimaco e S. Cristina, Santi Nereo, Achilleo e Pancrazio, S. Mariaad Martires);

– mano b: scrive tutto il resto; mano c: c. 5r (Esaltazione dellaSanta Croce e forse da VI idus a III idus). Con tutta probabilità ilcopista principale del calendario (b) è colui che nel testo del messa-le copia la parti cantate.

Vi sono poi almeno altre 10 mani, di cui 5 riferibili al tardo XIIsecolo e al XIII. Per queste ultime è difficile un esame paleograficopreciso, perché alcune eseguono una scrittura imprecisa, dal tratteg-gio staccato e incerto, ondeggiante sul rigo, di modulo grande madisequilibrato.

Il testo del codice e le notazioni musicali con relative parti canta-te, invece, furono copiati su un’unica colonna da tre differenti scri-bi, anche se in diversa misura. Le scritture, appartenenti tutte al me-desimo ambiente grafico, sono minuscole caroline librarie di areagrafica romanesca, caratterizzate da modulo piuttosto piccolo: essesono riferibili, a mio parere, ad un’epoca compresa tra l’inizio e ilterzo decennio del secolo XII, discorso che può essere fatto ancheper le tre principali mani che redassero il calendario. L’area di pro-venienza è quella grosso modo dell’Italia centrale, forse della stessaRoma, nel cui ambiente lateranense, probabilmente, il codice fuprodotto. Il codice inizialmente forse diretto a Lucca, raggiunse poila Toscana già a metà del secolo XII, dove fu utilizzato sia a Volter-ra che a Pisa, per poi spostarsi in un area marginale del contado vol-terrano, probabilmente dalla fine del secolo XIII o dal XIV.

Secondo Edward Garrison, il codice, databile alla fine del primoquarto del secolo XII o, più probabilmente, al secondo quarto dellostesso secolo, sarebbe originario della zona di Massa Marittima,poiché nel calendario e nelle litanie è presente il nome di San Cer-

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62 E. B. GARRISON, A random Notes on early medieval italian Manuscripts, in «LaBibliofilia», LXXXI, I (1979), pp. 1-22, in part. 1-4. Le argomentazioni dello studiosoinglese sulla datazione sono basate sull’esame delle uniche due miniature presenti nelcodice.

63 De Sancti Hugonis, cit., pp. 13-16.

bone, il cui culto, sarebbe certamente riferibile alla diocesi di Marit-tima62. A questa argomentazione si oppose Mario Bocci, afferman-do giustamente che il culto di S. Cerbone non è esclusivo della Ma-rittima, ma si trova anche in altre parti della Toscana (e d’Italia ag-giungerei); lo studioso volterrano escluse però anche la provenienzapisana, che era stata avanzata dal ricercatore norvegese Berg sullabase dei numerosi riferimenti a ecclesiastici pisani nell’obituario,della menzione della dedicazione di S. Maria, cattedrale pisana con-sacrata il 26 settembre del 1120, e dalla presenza nel messale dellamissa pro navigantibus: infatti per Bocci il codice è sicuramentevolterrano. Gli argomenti a favore della volterranità del codicesarebbero almeno tre: la menzione della dedicazione della chiesa diS. Margherita, riferimento certo, per l’editore, alla chiesa di Casaza-no dedicata a quella santa, dipendente dalla cappellania e dalla par-rocchia di Fibbiano, cui sarebbe appartenuto il codice come si desu-me da una nota di possesso effettivamente leggibile nella carta diguardia; la menzione della consacrazione della chiesa di Berignonenel 1196, presente in una nota marginale del calendario al 7 maggio;la menzione nell’obituario di numerosi personaggi legati al vescovodi Volterra Ugo63.

Tutti e tre gli argomenti dello studioso volterrano sono, però,molto deboli: infatti la dedica a Santa Margherita è un aggiunta del-la seconda metà del secolo XII al nucleo originario del calendario, ela nota che riferisce il possesso del codice alla chiesa di Fibbiano ètrecentesca. Inoltre il culto della santa non è peculiare del territorioe l’oratio per Santa Margherita presente alla fine di c. 146 è un in-serto del secolo XIII; il secondo argomento di Bocci è basato sul-l’errata lettura della nota obituaria del 7 maggio: infatti in luogo diBerignone MCXCVI, si legge invece Obitum Ugonis presbiteriMCXCVI; l’ultimo argomento, relativo all’appartenenza all’entou-rage del vescovo Ugo dei nomi dei morti (a parte quelli pisani), ètotalmente infondato, poiché non vi è alcun riferimento a Volterra.

Anche Mino Marchetti ritiene il manoscritto prodotto in ambientebenedettino, collegabile con i sacramentari del secolo XI di FonteAvellana e appartenuto (ma non prodotto, anche se l’autore non si

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64 MARCHETTI, Sacramentario, cit., pp. 85-87.

esprime sull’argomento) al monastero di S. Giusto di Volterra. Seb-bene le affermazioni di Marchetti siano un po’ troppo rigide e non sipossa accettare l’argomentazione riguardante la connessione tra san-torale benedettino e santorale del codice oggetto di analisi, alcuneosservazioni dello studioso senese devono essere approfondite, inparticolare la probabile provenienza del codice dall’Italia centrale64.Infatti, come ho già in parte affermato, il messale e il calendario, nelloro nucleo originario, sono riferibili al primo quarto del secolo XIIe non riportano alcun elemento riferibile con certezza al territoriovolterrano, e nemmeno per la verità a Pisa e alla Marittima. Inoltre,qualsiasi considerazione sulle note non originarie, tutte ascrivibilialla fine del secolo XII e ai secoli XIII e XIV, non può certificare laprovenienza del codice; certo è che i riferimenti pisani e l’aggiuntadi santi tipici della zona toscana meridionale dimostrano che il codi-ce arrivò e fu utilizzato in queste zone fin dal XII secolo. In via ingran parte ipotetica, in attesa di analisi più approfondite sui codici li-turgici presenti a Volterra, si può affermare che il codice provengadall’Italia centrale, probabilmente dall’ambiente lateranense, e fuportato in Toscana alla metà del secolo XII e, dopo essere stato uti-lizzato nel territorio pisano, giunse a Volterra, dove forse fu utilizza-to per la riforma della liturgia ecclesiastica locale nel 1161.

Criteri di trascrizione:

Si è cercato di rispettare le caratteristiche grafiche dell’impagina-zione del testo originale. Si è però diviso il foglio in due parti: nellaprima vi sono le notazioni riguardanti i giorni, le date e i santi che siritiene appartenenti al nucleo originario del codice, nella secondaparte sono stati collocati i santi aggiunti posteriormente e le nota-zioni obituarie e astrologiche. Su quest’ultimo gruppo si sono se-gnalate in nota le caratteristiche di ogni lezione.

Nella trascrizione del testo, di cui non sono state proposte emen-dazioni di parti che risultano scorrette, sono state fatte alcune pro-poste congetturali, segnalate in nota e, nell’edizione, dalle parentesiquadre (utilizzate anche con i punti interni per segnalare un testonon leggibile). Le abbreviazioni nelle parti riguardanti i Santi e leannotazioni obituarie sono state sciolte, ma segnalate attraverso leparentesi tonde.

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a Tutte le parti iniziali dei mesi sono in rosso.b Le K iniziali di kalendis di tutti i mesi sono maiuscole e di modulo grande.c Mano del secolo XII ex. Do con tratto abbreviativo sovrascritto alla o, seguito da

segno abbreviativo a 7 (et).d Così A.e Così A.

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f Aggiunta posteriore.g Nel margine sinistro.h Depennato.i Di mano più tarda, modulo più grande, tratto fine di incerto tratteggio.

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j Ripetuto anche nella riga sottostante, di difficile lettura.k Apparitio sovrascritto.l Di mano duecentesca.

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m In rosso. Scrittura di modulo grande, probabilmente del secolo XIII.

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n Di mano duecentesca.

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o Aggiunta posteriore, esecuzione incerta.p Stessa mano della nota precedente.q Stessa mano note precedenti.r Aggiunta posteriore; scrittura di modulo grande, esile e ordinata.s Margine sinistro.

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t Aggiunta di mano del secolo XIII.u Aggiunta posteriore (secolo XII?).

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v Quasi illeggibile.w Accanto a Sancti Sismundi, della stessa mano di Sancti Ruxorii (c. 4v), Sancti

Gorgonii e S(an)c(t)e Iustine (c. 5r).x Inchiostro chiaro, molto sbiadito; mano sicuramente riferibile al secolo XII. Si

tratta evidentemente del riferimento alla consacrazione della chiesa cattedrale di S. Mariadi Pisa.

y Di mano duecentesca.

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z Aggiunta posteriore, forse del secolo XII ex.aa Di mano duecentesca.bb Aggiunta posteriore, scrittura di modulo grande, incerta e ritoccata.

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cc Aggiunta posteriore, scrittura di modulo grande, imprecisa, ondeggiante sul rigo.dd Cfr. nota precedente.ee Cfr. note precedenti.

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ff Di mano del secolo XIII.gg V corretta su X.hh Sul margine sinistro.

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ii Aggiunta di mano del secolo XII.jj Stessa mano menzionata alla nota precedente.kk Scrittura di modulo grande, con inchiostro scuro, probabilmente del secolo XIII.ll Seguono altre due righe illeggibili.

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Appendice II

Santorale del Liber de ordine officiorum(Biblioteca Guarnacci di Volterra, L. 4.17 cc. 94va-96va)

Gennaio:

Epifania S. IlarioS. Felice preteS. MarcelloS. PriscaSS. Mario, Marta Audifax e AbacoS. Fabiano e SebastianoS. AgneseS. VincenzoConversione di S.PaoloS. Agnese seconda

Febbraio

S. BrigidaS. SeveroPurificatio di Santa MariaS. BiagioS. AgataS. SotheraS. VincenzoS. ScolasticaS. ValentinoSS. Faustino, Iovitia e IulianaCathedra di S. PietroS. Mattia

Marzo

S. GregorioS. BenedettoAnnunciazione di S. Maria

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65 Nello stesso giorno la chiesa volterrana celebra S. Vittore martire.66 Tertiodecimo Kalendas iunii.

Aprile

SS. Tiburzio e ValerianoS. GiorgioS. MarcoS. Vitale

Maggio

Apostoli Filippo e GiacomoInventio della Santa CroceSS. Alessandro, Eventio e TeodoroS. Giovanni ante portam latinamVictoria di S. MicheleSS. Gordiano, Epimaco e CristinaSS. Nereo, Achilleo e PancratioS. Maria ad martires65 qui iacet in ecclesia Sancte Marie.S. PotenzianaDedicatio ecclesie S. Marie66

S. UrbanoS. Petronilla

Giugno

SS. Proculo e NicomedeSS. Marcellino e PietroSS. Primo e FelicianoS. BarnabaSS. Basilide, Cirino, Nabore, NazarioSS. Vito e ModestoSS. Marcellino e MarcoSS. Gervasio e ProtasioSS. Albino e PaulinoS. Giovanni BattistaSS. Giovanni e PaoloS. Paolo

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Luglio

SS. Processo e MartinianoS. MargheritaOttava degli apostoli Pietro e PaoloS. RomoloSette santi fratelliSS. Nabore e FeliceSS. Quirico e GiulittaSS. vergini Giulia e PrassedeS. Maria MaddalenaS. PrassedeS. ApollinareS. Giacomo apostoloS. CristoforoSS. Nazaro e CelsoSS. Felice, Simplicio e FaustinoSS. Abdon e Senen

Agosto

S. Pietro in VincoliS. Felicita e i suoi figliS. Stefano papa e martireInventio del corpo di S. Stefano protomartireSS. Sisto, Felicissimo e AgapitoTrasfigurazione del SignoreS. Donato vescovo e martireSS. Ciriaco, Largo e SmaragdoS. LorenzoS. TiburtioSS. Ippolito e CassianoS. EusebioS. MariaS. AgapitoSS. Timoteo e SimphorianoS. BartoomeoS. GenesioS. Alessandro martireS. Agostino

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S. HermeteInventio capitis di S. Giovanni BattistaS. SabinaSS. Felice e Audacto

Settembre

SS. Prisco, Felice e RegoloS. Ottaviano (cuius corpus in Vulterrana requiescit ecclesia)Natività di S. MariaS. GorgonioSS. Proto e IacintoExaltatio della Santa Croce e SS. Cornelio e CiprianoS. NicomedeSS. vergini Eufemia e Lucia, e GeminianoS. Matteo apostoloS. MaurizioSS. Cosma e DamianoS. MicheleS. Gerolamo

Ottobre

S. RemigioS. MarcoS. ReparataS. DionisioS. CerboneS. Callisto papa e martireS. FortunataS. GalloS. LucaUndicimila sante verginiS. Miniato cum sociis suisS. VeranoSS. apostoli Simone e Giuda

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Novembre

Tutti i SantiSS. Vitale e AgricolaS. LeonardoSS. Appiano e ComitillaSS. Quattro CoronatiS. SalvatoreS. MartinoS. MenneS. BritioS. Frediano confessoreS. CeciliaS. ClementeS. ColombanoS. CrisogonoS. ProsperoS. GaudenzioS. GiacomoS. Andrea

Dicembre

S. BarbaraS. DalmazioS. NicolaoS. AmbrogioS. ZenoneS. SiroS. Damaso papaS. LuciaS. Tommaso apostoloNatale DominiS. GiovanniSS. InnocentiS. Silvestro

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