139
-. ’ " #& / $0 1**2

Dinamiche dello sviluppo in Argentina: Relativi problemi di misurazione e proposte

Embed Size (px)

Citation preview

DINAMICHE DELLO SVILUPPO IN ARGENTINA: RELATIVI PROBLEMI DI MISURAZIONE E PROPOSTE.

di

GIUDICE VALENTINA

Università degli Studi di Roma

“La Sapienza”

2004

1

PARTE PRIMA:

ARGENTINA

4

2

1. LA CRISI ARGENTINA

In accordo alla Costituzione del 1853, l’Argentina è una Repubblica

Federale divisa in 23 province ed un distretto federale (Capital Federal).

Tutti i poteri non espressamente attribuiti al governo sono delegati alle

province, le quali sono responsabili della salute, educazione ed assistenza

sociale della popolazione.

Le decadi del XX secolo segnarono profondamente il Paese poiché furono

spettatrici di una lunga serie di Colpi di Stato1 alternati da brevi periodi

d’amministrazione civile. Dopo un lungo periodo di rivolte civili e di stati

d’assedio germinati dalla crescente crisi economica, una dittatura non

desiderata e culminato con una guerra “esterna” persa, quella delle

Falkland-Malvine (1982) con la Gran Bretagna, si arriva alla democrazia ed

alla Costituzione nel 1983 con le elezioni vinte dal radicale Raul Alfonsin,

il quale eredita un Paese eroso dall’iperinflazione ed un aumentato debito

estero.

Fu solo con l’arrivo di Carlos Memem nel 1989 che si ebbero le prime

radicali riforme per la stabilizzazione economica2: privatizzazione delle

1. La Costituzione del 1853 fu sospesa più volte e, di fatto, furono violati i principali diritti civili: rapimenti ed uccisioni d’esponenti politici, di “voci” di dissenso, oppositori e critici di governo che potessero minare il potere acquisito. Si calcola che la dittatura militare del periodo 1976-1983 sia stata responsabile della sparizione di 10.000-30.000 cittadini (desaparecidos) e la conseguente “insurrezione” delle Madres de La Plaza de Mayo, le donne che con coraggio manifestavano il proprio sdegno contro le sparizioni dei loro cari (Italo Moretti, In Sudamerica, Sperling & Kupfer Editori, 2000).

2. Piano molto articolato di riforma economica sulla base delle indicazioni delle autorità monetarie internazionali (FMI e World Bank), secondo l’approccio definito “Washington Consensus”.

3

imprese pubbliche3; liberalizzazione del commercio con l’abbattimento

delle tariffe doganali e le barriere protezionistiche per favorire l’afflusso di

capitali; riforma del mercato del lavoro con l’introduzione di maggiore

flessibilità4; un nuovo patto fiscale tra governo federale e province che

diede vita ad una maggiore decentralizzazione ed un “Piano di

convertibilità” (1991) preparato dal ministro dell’economia di allora,

Domingo Cavallo, che imponeva il cambio alla pari tra peso e dollaro (1

peso=1 dollaro).

Il pacchetto delle riforme diede presto i suoi frutti : l’abbassamento delle

tariffe doganali e l’ “ancoramento” della moneta locale al dollaro

statunitense diedero fiducia agli investitori determinando un forte afflusso

di capitali, che insieme allo sviluppo sostenuto dell’esportazione hanno

permesso di contenere l’inflazione e di far crescere il PIL , con

un’economia che si é espansa da una dimensione stimata di 141 miliardi di

dollari nel 1990 a 298 miliardi di dollari nel 1998 (World Bank Group,

2000).

3. Il 90% di tutte le imprese statali furono privatizzate nel 1994 (telecomunicazioni, banche, trasporti, servizi urbani, società petrolifere).

4. La Ley de Empleo del 1991 fu la prima di una serie di riforme intente a cambiare la legislazione del lavoro. Fu creata un’assicurazione di disoccupazione e s’introdussero moduli diversi di lavoro basati su contratti provvisori (minimo 4 o 6 mesi, massimo 2 anni), i quali erano esenti parzialmente o totalmente da contributi di previdenza sociale. Nel 1995 furono introdotti nuovi cambiamenti tramite la Ley de Promociòn de Empleo che introdusse maggiore flessibilità nell’assumere nuovi lavoratori, principalmente attraverso l’introduzione di contratti di prova (che passarono da 3 a 6 mesi), ed apprendistato. In base a questi tipi di contratti il datore di lavoro fu esentato da ogni tipo di contributo sociale così come da pagamenti per la terminazione del lavoro. Da parte loro, i lavoratori, dovevano aderire ad uno schema obbligatorio d’assicurazione, le Obras Sociales(assicurazione contro le malattie). Nel 1998 una nuova riforma ridusse il periodo di prova ad un mese ma con la possibilità di estenderlo a sei mesi se avvenuto attraverso il processo di contrattazione collettiva.

4

Un importante punto di riferimento per l’economia argentina é stato la

nascita del Mercosur5 (Mercado Comun del Sur), il patto d’integrazione

economica segnato da Argentina, Brasile, Paraguay ed Uruguay, che oltre a

favorire lo sviluppo delle singole regioni ha permesso anche la nascita di

una macroeconomia più “chiusa”6.

Pochi sembravano presagire ciò che di lì a poco sarebbe successo. La stessa

World Bank nel 2000 disegnava per l’Argentina un quadro favorevole

dichiarando che i risultati del programma di riforme del governo erano stati

notevolissimi, poiché avevano permesso di contenere l’inflazione,

abbassare la quota di debito e di far scendere il deficit del governo; tuttavia

faceva notare che la forte dipendenza dell’economia argentina dal mercato

dei capitali stranieri la rendeva vulnerabile agli “shock” esterni (World

Bank Group, 2000). Il primo shock destabilizzante avvenne nel 1995 con la

crisi messicana ed il conseguente “effetto tequila”7. Il secondo nel 1999 con

5. Gli obiettivi principali del Mercosur sono: la libera circolazione di beni e servizi tra gliStati membri; la fissazione di una tariffa esterna comune; coordinamento delle politiche macroeconomiche e settoriali per assicurare una libera e regolare competizione tra i sistemi economici degli Stati membri; modifica della legislazione interna in contrasto con il processo d’integrazione.

6. Per esempio un incremento della domanda dei consumatori di un Paese poteva essere soddisfatto da un altro Paese aderente al Patto usufruendo delle leggi che regolavano gli scambi commerciali.

7. La crisi del Messico esplosa nel 1994, con il crollo del pesos messicano nei confronti del dollaro,introdusse il concetto del cosiddetto “effetto tequila”, ossia della possibilità che la crisi coinvolgesse altri paesi che avevano seguito politiche di stabilizzazione monetaria simili, in primis l’Argentina. Da ciò emerge quali siano le conseguenze per un Paese che riceve per un lungo periodo una quantità di fondi esteri di natura volatile. E’ importante attuare politiche economiche che non abbiano come obiettivo esclusivo l’attirare risorse in misura indiscriminata, ma, relative alla capacità di risposta del Paese e che siano dirette verso investimenti di lungo termine piuttosto che ai consumi finali (Richardo Ffrench Davis, 1998).

5

la crisi del Brasile8, Paese membro del Mercosur che aveva adottato nel

1994 un piano di riforma simile a quello argentino, il “piano real” che tra le

altre cose fissava il cambio alla pari tra real brasiliano ed il dollaro (1

real=1 dollaro).

La crisi economica, culminata con la dichiarazione d’insolvenza del debito

estero (dicembre 2001) e la conseguente dichiarazione del fallimento

dell’economia argentina, ha risvegliato l’attenzione degli analisti del

mondo accademico suscitando diverse correnti di pensiero sulle cause della

crisi e sulla sua “prevedibilità”.

Coloro che hanno posto le basi dell’analisi analizzando lo sviluppo del

Paese da un punto di vista economico-territoriale ed istituzionale, hanno

rilevato come la crisi attuale sia dovuta principalmente a motivi di

vulnerabilità strutturale interna precedenti le riforme. Principale

responsabile il fatto che l’Argentina abbia subito una crescita senza

industrializzazione. L’economia basata sull’allevamento9, la produzione di

beni agricoli e la loro relativa esportazione ha favorito lo sviluppo di una

società oligarchica (in cui il potere economico e sociale è esercitato

attraverso la proprietà della terra) e la crescita di una borghesia terziaria

urbana (legata principalmente al commercio ed alla finanza) non

8. Il Brasile assorbiva il 30% delle esportazioni argentine. Questi mancati guadagni, in uno situazione già di per sé critica, costituirono un dramma.

9. I primi a sviluppare l’agricoltura nell’Argentina precolombiana, furono i gruppi di indigeni, mentre le tribù nomadi si dedicavano alla caccia. Buenos Aires prese forma come centro abitato intorno al 1580, ma per oltre 200 anni rimase in un letargo economico e culturale. L’allevamento del bestiame costituì una fortuna per pochi proprietari terrieri.

6

antagonista, ma complementare ad essa ; le attività industriali, svolte per lo

più da immigrati italiani e spagnoli hanno sempre avuto un ruolo marginale

sia dal punto di vista politico che sociale.

Anche la politica delle Import Substitution10 e la liberalizzazione

economica, con l’abbassamento delle tariffe doganali, non sono riuscite a

far decollare il settore industriale ed approfittare di una situazione

favorevole di mercato (P. Bianchi, 2002).

La mancata competitività, per un Paese ricco di risorse, in un mondo

sempre più globalizzato, sembra essere il fattore propulsore delle politiche

economiche nella storia argentina11. La World Bank, nel 2000,

sottolineando i progressi fatti in campo economico avvertiva come la

mancanza di credito interno e la forte dipendenza dai capitali stranieri

potesse costituire un “collo di bottiglia” per le piccole e medie imprese,

incapaci di essere concorrenziali nel mercato globale (World Bank Group,

10. Nel periodo 1945-1975 molti Paesi dell’America Latina,tra cui l’Argentina, adottarono la strategia della “sostituzione delle importazioni”. L’idea era di proteggere le industrie nascenti locali, per un tempo limitato, dalla competizione straniera fino a quando fossero diventate competitive nei mercati mondiali. Lo strumento utilizzato fu l’innalzamento delle barriere protezionistiche alle importazioni ed il sostenere le imprese nazionali che producevano i beni manufatti fino allora importati dall’Europa. Tale strategia fallì poiché condusse ad un eccesso di capacità in qualche settore e scarsità in altri. Inoltre le compagnie protette non raggiunsero mai i livelli che le avrebbero rese competitive nei mercati mondiali.

11. <<La globalizzazione é un processo i cui costi e benefici dipendono dalla forma particolare in cui ogni economia e società si lega ad essa, aggrava la tensione tra struttura locale e la richiesta globale dei mercati>>; inoltre essa offre molteplici opportunità che possono tradursi in benefici che dipendono solo dalla capacità di risposta del Paese, il quale deve adottare politiche economiche di lungo periodo e non prospettive <<frammentate e dogmatiche>> come si fece in Argentina. (Roberto Bouzas*, “Argentina despues de las reformas”, Revista brasileira de comercio exterior, vol.71, abril-junio, 2002).

* Ricercatore indipendente al Consejo Nacional de Investigaciones Cientificas y Tecnicas (CONICET) e principale ricercatore per la Facoltà Latinoamericana di Scienze Sociali (FLACSO/Argentina). Professore d’Economia Internazionale per la facoltà di Economia

7

2000). La mancata competitività fu attribuita alla mancanza di conoscenze

e tecnologie capaci di aggiungere valore alla produzione, ed all’

“ancoramento” al dollaro statunitense, che ha sì permesso di contenere

l’inflazione, ma ha reso l’economia vulnerabile alle crisi internazionali,

basando la propria crescita sulla fiducia degli investitori. Un ulteriore

studio nel 2002, quindi dopo la dichiarazione di insolvenza del debito,

mostrò empiricamente che, nonostante la retrocessione nello sviluppo dopo

il 1999 avesse colpito duramente tutta l’area latinoamericana, la maggior

parte dei Paesi del LAC cominciava a riprendersi, mentre l’Argentina

cadeva in un profondo baratro (World Bank, 2002). Indagando sul

comportamento differenziale di questi Stati, prendendo in esame

l’andamento dei principali indicatori economici, si cercò di stabilire se la

situazione argentina fosse dovuta al fatto di aver ricevuto maggiori “colpi”

dalle crisi internazionali rispetto agli altri Stati della regione, o fosse la

conseguenza di un fattore specifico tipico del Paese che lo ha reso più

vulnerabile ai colpi esterni rispetto alle altre economie latinoamericane. Gli

studi mostrarono come i repentini stop di afflussi di capitale agirono più

come amplificatori di problemi preesistenti che come causa primaria. Il

rallentamento dell’economia statunitense e mondiale in realtà colpì molto

meno l’Argentina che gli altri Paesi dell’area, poiché l’economia argentina

é sempre stata abbastanza “chiusa”: per esempio, la frazione delle

esportazioni dell’Argentina destinata al mercato statunitense e mondiale é

8

sempre stata molto più modesta di quella degli altri Paesi della regione, per

questo la decelerazione mondiale si tradusse in un modesto declino nei

livelli di commercio che comportarono, a loro volta, solo modesti

cambiamenti nei redditi reali rispetto a quelli avvenuti negli altri Paesi

dell’area latinoamericana (come per esempio in Venezuela ed in Ecuador,

principali esportatori di petrolio). Le crisi internazionali trovarono in

Argentina un terreno fertile per moltiplicare i loro effetti negativi. La

vulnerabilità specifica della posizione argentina fu attribuita ad una serie di

fattori tra cui: grande debito pubblico, posizione fiscale fragile,

caratteristiche deboli del sistema bancario che insieme all’adozione di

politiche sbagliate, tra cui i continui aggiustamenti fiscali e l’esitare sulla

scelta definitiva del regime di cambio12, agirono congiuntamente

rinforzandosi l’un l’altro e determinando il deterioramento dell’economia

(World Bank, 2002).

I punti di vista fin qui esposti partono dalla considerazione che presupposto

essenziale per lo sviluppo di un Paese è la crescita economica. In effetti,

abbiamo visto fino ad ora come siano state messe in discussione solo le

12. Politiche quali la continua rivalutazione del peso sul dollaro nello scenario della svalutazione continua degli altri Paesi coinvolti nella crisi in particolare quelli del Mercosur, e la scelta nel 1998 di mantenere la parità con il dollaro ed aspettare la fiducia degli investitori stranieri. Secondo la World Bank sarebbe stato meglio attuare una svalutazione in tempi non sospetti ossia quando l’economia argentina mostrava segni di ripresa. Ma questo è il senno del poi, poiché il governo argentino seguì le direttive menzionate nelle “lettere di intenti” proposte dalle istituzioni finanziarie internazionali: Fmi e World Bank..

9

politiche economiche, cercando le cause della crisi attraverso l’analisi

economica. Di tutt’altro avviso é la posizione dell’UNDP (United Nations

Development Programme) secondo cui premessa necessaria per lo sviluppo

di un Paese é considerare lo sviluppo umano come fine e la crescita

economica come mezzo, intendendo con sviluppo umano il processo di

ampliamento delle scelte della gente ossia la realizzazione di un ambiente

che consenta alla persone di condurre una vita lunga e sana, di acquisire

conoscenze e di accedere alle risorse necessarie per un tenore di vita

dignitoso. A tale scopo alla misura del PNL pro capite, utilizzato come

misura principale per i livelli di sviluppo fra Stati, è contrapposto l’Indice

di Sviluppo Umano (HDI)13 il quale é costruito sulla base di tre indicatori a

livello nazionale: la speranza di vita alla nascita (per misurare la

dimensione vita lunga e salutare), il grado di istruzione ossia

alfabetizzazione adulta e iscrizione alla scuola primaria-secondaria-terziaria

(per misurare la dimensione conoscenza), il PIL pro-capite espresso in

“dollari internazionali” cioè in termini di Parità di Potere d’Acquisto

PPA$14 (per misurare lo standard di vita). Il valore dell’HDI compreso tra 0

13. L’Indice di Sviluppo umano utilizzato dall’UNDP nei suoi Rapporti sullo sviluppo umano pubblicati ogni anno a partire dal 1990, sarà ampiamente discusso nella seconda parte di questa tesi.

14. <<L’uso dei tassi di cambio ufficiali per convertire i dati espressi in valuta nazionale. in dollari USA, non consente di confrontare il potere d’acquisto. L’International Comparision Project (ICP, Progetto Internazionale di Comparazione) ha elaborato delle stime del PNL reale su una scala confrontabile a livello internazionale, utilizzando come fattori di conversione, al posto dei tassi di cambio, le Parità di Potere d’Acquisto (PPA). Il metodo di misurazione dei redditi pro capite relativi, basato sulle PPA, consiste nel deflazionare i redditi, espressi in valuta comune con un indice dei prezzi in cui il paniere dei beni e servizi di ciascun Paese è posto uguale a quello del Paese (o gruppo di Paesi) di riferimento. Nel caso dell’ICP si costruisce in paniere convenzionale, identico per tutti i Paesi.>> (Aureli C. E., 1996, parte seconda pag.102)

10

e 1 indica quanto ciascun Paese ha percorso, di anno in anno, verso il

massimo valore possibile (uno) e permette di fare paragoni tra Stati.

Dalla prospettiva dello sviluppo umano, la crisi argentina é dovuta a

politiche e riforme “unidirezionali” che hanno subordinato la qualità e la

sostenibilità della crescita alla logica del profitto, poiché le priorità della

politica economica furono solo la stabilizzazione dei prezzi e

l’amministrazione del ciclo economico, senza prestare attenzione ad una

distribuzione delle entrate più equa che permettesse il pieno utilizzo delle

risorse locali ed assicurasse pieno impiego e sviluppo sostenibile (UNDP,

2002).

La crescita avvenuta nei primi anni novanta mostrò che era frutto di fattori

transitori e seminò i propri dubbi circa le strategie di crescita fondate

ponendo come obiettivo primario la creazione di ricchezza. Il successo del

Piano di convertibilità permise di nutrire la speranza che in seguito, con

l’adozione di adeguate riforme strutturali, potesse iniziare un processo di

espansione sostenuto. Non fu il caso dell’Argentina poiché le riforme

attuate enfatizzarono una società frammentata dal punto di vista sociale ed

economico, documentato dal diverso grado di sviluppo delle diverse

province ed all’interno delle stesse. Tali frizioni non solo non permisero di

usufruire dei vantaggi economici ottenuti, ma agirono da elemento

catalizzatore causando una forte retrocessione. L’esperienza argentina

dimostra che é errato sostenere che non appena le economie danno segnali

11

di ripresa le società raggiungono il livello sociale di cui godevano prima

della crisi. Era necessario alla luce di determinate riforme valutarne i costi

e prevedere un modello di crescita che includesse tutti i settori e le province

ossia era necessaria <<una messa a fuoco multidisciplinaria dello

sviluppo>> (UNDP, 2002). Nei successivi paragrafi vedremo come,

nonostante la ripresa economica, la ricchezza non si sia tradotta in un

ampliamento delle possibilità di scelta da parte della gente. Anzi,

dall’andamento dei principali indicatori socio-economici (paragrafi 2,3,4),

emerge il quadro di un Paese disarticolato con una frammentazione sociale

e territoriale senza precedenti. Tutto ciò in disaccordo all’indice di sviluppo

umano in Argentina (paragrafo 5), che registra un incremento costante per

tutta la decade.

12

2. I “NUOVI” POVERI

Le riforme di politica economica degli anni ‘90 hanno permesso di

contenere l’inflazione e ripristinare la crescita. L’evoluzione degli

indicatori economici presentati nella tabella 1 mostrano come gli effetti del

nuovo modello stabilito negli anni ’90, portarono ad una fase di espansione

tra il 1990 ed il 1994, ed una fase di contrazione che condusse il Paese ad

una profonda retrocessione, tra il 1995 ed il 2000.

Tabella 1 : Indicatori dell’economia Argentina, 1990-2000

Anno Pil

(Tasso di crescita annuale)

Pil

pro capite

(tasso di crescita annuale)

InflazioneEsportazioni

(Tasso di crescita annuale)

Debito estero

(% del Pil)

1990 -1.8 -3.2 1343.9 .. ..1991 10.6 9.2 84.0 -3.6 32.31992 9.6 8.2 17.5 -1.0 27.41993 5.9 4.5 7.4 4.7 28.01994 5.8 4.4 3.9 15.1 30.41995 -2.9 -4.1 1.6 22.6 35.21996 5.5 4.1 0.1 7.8 36.91997 8.0 6.6 0.3 12.0 42.61998 3.9 2.6 0.7 10.1 47.11999 -3.0 -4.2 -1.8 -1.1 51.22000 -0.5 -1.7 -0.7 1.8 51.8

Fonte: ECLAC (Comisiòn Econòmica para América Latina y el Caribe), Economic Survey of Latin American and the Carribean (vari anni).

13

Sebbene l’Argentina abbia già affrontato altre crisi (nel 1975 e dal 1981 al

1989), ciò a cui assistiamo oggi é una crisi economica, sociale e politica

senza precedenti.

Tutti gli attori sociali ne sono coinvolti in distinti gradi e come quasi

sempre accade, in questi casi, vittime principali sono coloro che non hanno

possibilità di scelta, ma sono costretti ad affrontare il “mestiere” di vivere.

Secondo stime ufficiali elaborate dall’INDEC (Instituto Nacional de

Estadistica y Censos) in base all’Indagine Permanente sulle famiglie

(EPH15), relativa al mese di ottobre 2002 (INDEC/b, Eph, 2002), si stima

che il 57,5% della popolazione dei centri urbani rilevati sta al di sotto della

linea di povertà; mentre il 27.5% si trova sotto la linea di indigenza il che

vuol dire che non può contare sull’entrata minima necessaria per soddisfare

i livelli proteici e calorici necessari per la sussistenza (Per il calcolo della

linea di povertà e di indigenza vedere l’Appendice A). La povertà di

reddito, in Argentina, é un fenomeno strutturale, permanente e crescente

dal 1993. I dati nel grafico 1, riferiti all’area di Gran Buenos Aires,

15. L’Encuesta Permanente de Hogares (EPH) nasce nel 1972 dalla necessità dopo il Censimento del 1970 di continuare con una rilevazione periodica che potesse dare informazione socioeconomica e demografica sulle case e sui suoi abitanti nei principali agglomerati urbani del Paese. Attualmente l’EPH si realizza due volte l’anno (maggio e ottobre) in 28 agglomerati urbani che rappresentano il 70% della popolazione urbana del Paese ed il 98% della popolazione residente nei centri con più di 100.000 abitanti (o meno solo se sono capitali di provincia). La rilevazione avviene mediante due questionari : uno riferito agli hogares ossia coloro che condividono la stessa abitazione e provvedono insieme a soddisfare le proprie necessità alimentari o di altra natura, indipendentemente dal fatto che abbiano o non rapporti di parentela (in tal senso possono essere costituite da una sola persona); ed uno individuale. Unità di rilevazione sono quindi gli edifici, le convivenze, le famiglie ed i singoli individui (INDEC, “Encuesta Permanente de Hogares-Base usuaria ampliada de total EPH”, maggio 2001).

14

mostrano l’evoluzione della indigenza e della povertà dal 1988 al 2002.

Grafico1: Evoluzione povertà ed indigenza.Gran Buenos Aires16,1988/2002

16. L’EPH é stata soggetta nel corso degli anni a continue riformulazioni a vantaggio di una maggiore copertura e rigorosità scientifica che fornisse più informazione. In particolare il modo di codificare le informazioni é cambiato tre volte nel corso della decade degli anni ’90. Tali cambiamenti hanno generato inconvenienti agli utenti al momento di confrontare dati provenienti da anni diversi, contrastare ipotesi e raggiungere delle conclusioni. Per questi motivi molti investigatori hanno optato per utilizzare l’inchiesta nella cornice del GBA, per la quale zona i dati ebbero lo stesso disegno di indagine, forti anche del fatto che in tale zona si concentra il 38.3% della popolazione urbana del Paese, la quale a sua volta rappresenta in base ai dati del Censimento 1991, l’87.1% della popolazione totale (INDEC,2002). Gran Buenos Aires (GBA) é la più importante zona metropolitana del Paese in termini di popolazione ed attività economica. In poco meno dello 0.2% del territorio nazionale si concentra più di 1/3 della popolazione nazionale e più di ½ del PIL. Si presenta come una zona fortemente eterogenea, che presenta contrasti significativi tra le condizioni di vita dei suoi abitanti. GBA comprende la città di Buenos Aires (Capital Federal) dove si concentra il 9.1% della popolazione nazionale; ed i Partidos del Conurbano che é costituito da 19 municipi che appartengono alla provincia di Buenos Aires ed abbraccia il 24.4% della popolazione argentina. Quest’ultimo a sua volta é suddiviso in 2 anelli concentrici: uno costituito dai municipi confinanti con la Capitale Federale (GBA1), l’altro dai rimanenti (GBA2). Nella zona di Gran Buenos Aires si concentra il 60% della produzione nazionale, é stata il principale centro di migrazione europea nel XIX sec., ed é tutt’oggi fonte di migrazione interna per i poveri del Nordest e Nordovest del Paese.

32,3

47,3

21,517,8 16,8

19,0

24,827,9 26,0 25,9 26,7

28,9

35,4

54,3

10,7

16,5

3,2 4,4 3,56,3 7,5 6,4 6,9 6,7 7,7

12,2

24,7

33,7

6,63,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

mag-88

ott-88

mag-89

ott-89

mag-90

ott-90

mag-91

ott-91

mag-92

ott-92

mag-93

ott-93

mag-94

ott-94

mag-95

ott-95

mag-96

ott-96

mag-97

ott-97

mag-98

ott-98

mag-99

ott-99

mag-00

ott-00

mag-01

ott-01

mag-02

ott-02

Fonte: INDEC/a, Encuesta Permanente de Hogares .

% persone povere % persone indigenti

15

Nell’ottobre del 2002, la percentuale di persone al di sotto della linea di

povertà nell’area del GBA era pari a 54.3%, mentre gli indigenti

raggiungevano il 24.7% (INDEC/a, Eph 2002).

Tali cifre superano abbondantemente il picco storico corrispondente al

mese di ottobre del 1989, quando a causa della iperinflazione, la povertà in

GBA raggiunse il 47.3% e l’indigenza il 16.5%.

E’ importante sottolineare che i dati fin qui esaminati tendono a

sottostimare la povertà, giacché non prendono in considerazione la povertà

rurale. Secondo dati provvisori del Censimento 2001, la popolazione rurale

(popolazione in località con meno di 2000 abitanti o in campo aperto)

rappresenta all’incirca il 10.7% della popolazione totale.

Un modo per misurare la povertà rurale é quello di ricorrere all’Indice delle

Necessità Basilari Insoddisfatte17(NBI) . Misurata mediante tale indice, la

povertà rurale é maggiore di quella delle aree urbane, ed é particolarmente

localizzata nelle zone del Nordest e del Nordovest del Paese (UNDP,

2002). Anche per quel che riguarda la povertà urbana, le condizioni di vita

17. L’Indice delle Necessità Basilari Insoddisfatte (NBI) è utilizzato per misurare quella che è definita povertà strutturale. Si calcola determinando la proporzione di individui le cui abitazioni presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: sovraffollamento (più di 3 persone per stanza); abitazione inadeguata (fatta di materiali irregolari che non proteggono dalle intemperie del tempo come per esempio un tetto di paglia); condizioni sanitarie deficienti (come la mancanza di un bagno coperto con relative tubature); presenza almeno di un minore di età dai 6 ai 12 anni che non va a scuola; incapacità di sussistenza (ossia vi sono 4 persone o più a carico di un solo occupato ed un capo famiglia con 2 anni o meno di istruzione primaria). Sebbene tale indice cerchi di cogliere aspetti diversi della povertà che non sia solo quella di reddito, é fortemente influenzato dalla qualità dell’abitazione (i primi tre indicatori), ha solamente un indicatore di istruzione e neanche uno sullo stato di salute. Nonostante ciò é ampiamente utilizzato per designare programmi sociali in particolari aree geografiche.

16

sono più critiche nel nord dell’Argentina. Secondo l’Encuesta Permanente

de Hogares di ottobre 2002, nel Nordest dell’Argentina il 71.5% della

popolazione dei centri urbani18 considerati nell’indagine, é povero ed il

41.9% indigente; nel Nordovest la povertà affligge il 69.4% degli abitanti e

l‘indigenza il 35.1% (INDEC/b, Eph 2002).

Una menzione a parte merita la popolazione indigena. Per molti anni

esclusa dalle Inchieste e dai Censimenti, furono censiti per la prima volta

nel 2001. Le riforme Costituzionali del 1994, riconobbero loro importanti

diritti a riguardo della terra, istruzione, preservazione culturale e furono

registrati per la prima volta nel Registro Nazionale delle Comunità

Indigene. Ma i pregiudizi che li hanno da sempre caratterizzati, hanno fatto

sì che molti dei loro discendenti non si riconoscessero come tali e per tale

motivo é stato difficile dare una stima esatta sul loro numero. Il Governo

stima che vi siano all’incirca 1.5 milioni di indigeni, ma in realtà sono

molti di più. Alcuni gruppi vivono nelle aree montane , nella zona di

confine con il Paraguay e la Bolivia e nelle montagne andine, trovando

sostentamento dall’allevamento degli animali e la vendita di prodotti

artigianali ai turisti. Altri vivono nella zona di Chaco, e trovano

sostentamento dalla pesca e dalla caccia. La povertà fra questi gruppi é

molto alta. Le comunità che hanno l’opportunità, per vicinanza, di

frequentare la scuola primaria, non ne usufruiscono pienamente per la

18. E’ solo dal 2002 che sono forniti dall’INDEC dati disaggregati sulla povertà a livello regionale.

17

mancanza di scuole bilingue. L’accesso alle scuole secondarie é limitato a

coloro che possono permettersi di affrontare un viaggio e vivere nei centri

urbani. Per questa popolazione, la denutrizione infantile costituisce il

problema principale. Inoltre l’alto tasso di fertilità (in media 7 figli per

donna), incide sulla mortalità materna ed infantile (World Bank, 2000).

L’Argentina é un Paese esteso ed eterogeneo che presenta forti contrasti

tra le province in relazione a risorse naturali, produzione, presenza di

servizi e livelli di benessere dei suoi abitanti.

Uno studio condotto nel 1996 dal Ministero della Salute e degli affari

sociali con la collaborazione della PAHO (Pan American Health

Organization), mise a punto una metodologia di analisi per individuare i

gruppi a rischio e le aree geografiche con maggiori problemi, al fine di

definire degli obiettivi mirati di politica interna.

A tal scopo si selezionarono diversi indicatori per misurare le condizioni

generali di vita, l’uso dei servizi sanitari da parte della popolazione e lo

stato di salute delle persone e ciascun indicatore fu considerato in ciascuno

dei 524 dipartimenti in cui venne suddiviso lo Stato.

Per misurare le condizioni di vita furono considerati:

� percentuale di abitazioni con bisogni primari insoddisfatti;

� tassi di alfabetizzazione;

� percentuale della popolazione al di sopra dei 60 anni di età;

18

� percentuale della popolazione senza una copertura assicurativa sulla

salute e sull’impiego.

� anni potenziali di vita persi19.

Furono identificate 5 categorie di condizioni di vita:

1) atipiche;

2) favorevoli;

3) medie;

4) non favorevoli e precarie.

La maggior parte dei dipartimenti (60.9%) si posizionò sulla posizione

media e riguardarono il 61.2% della popolazione totale; il 17.8% dei

dipartimenti furono considerati aree non favorevoli (5% della popolazione

totale). Questa analisi mostrò che i gruppi con le più precarie condizioni di

vita furono trovati nei dipartimenti meno popolati. Inoltre l’uso dei servizi

sanitari da parte della popolazione, stimato in base al numero di visite dai

dottori e le dimissioni ospedaliere, mostrarono come le aree meno popolate

ricorressero molto più frequentemente ai servizi sanitari piuttosto che i

dipartimenti con più alta densità di popolazione. In termini di situazione

19. Gli anni potenziali di vita persi (APVP) é un indicatore di morte prematura. Proporziona una stima degli anni persi dovuti ad una morte prematura basandosi su una speranza di vita predestinata. Si considera come limite di età di mortalità prematura i 70 anni di età per entrambi i sessi (media della popolazione occidentale).E’ data dalla formula :

( )∑∑==

∗−−==69

1

69

15.070

iiii

ididaAPVP .

dove d i sono le morti tra le età i e l’età i+1; ed a i sono gli anni di vita che rimangono da vivere fino a 70 anni quando la morte subentra tra l’età i e l’età i+1 che é a sua volta uguale a 70- (i-0.5), assumendo una distribuzione uniforme di morti tra i diversi gruppi di età dove i rappresenta l’età dell’ultimo.

19

generale di salute, uno studio sulla mortalità per cause riducibili, rivelò che

la mortalità del gruppo di età da 1 a 4 anni era più alta nella categoria delle

condizioni di vita meno favorevoli, stabilendo così un legame forte tra

mortalità infantile e condizioni di vita: la mortalità cresce quando le

condizioni di vita peggiorano (PAHO,1998).

L’importanza di questa analisi condotta nel 1996 risiede nel fatto di aver

stabilito una forte corrispondenza tra caratteristiche geodemografiche del

territorio argentino e condizioni di vita; le condizioni più favorevoli

coincidono con le zone più popolate e vicine alle vie stradali principali.

Allo stesso tempo evidenzia come i dati sulla povertà presentati nel grafico

1 nascondino in realtà una situazione ben peggiore di quella che i dati

suggeriscono, essendo le zone più popolate (urbane con favorevoli

condizioni di vita) oggetto di indagine da parte dell’INDEC e quindi quelle

che hanno maggiore peso nella stima della media nazionale.

La povertà, inoltre, é un problema complesso e multidimensionale, che non

riguarda solo la mancanza di entrate necessarie per il benessere materiale,

ma determina una esclusione sociale, la mancanza di piena partecipazione

nella società, negazione dell’opportunità di vivere un esistenza accettabile,

la vita che si vuole vivere. Nell’ottica dello sviluppo umano, povertà vuol

dire che le opportunità e le scelte più basilari allo sviluppo umano sono

negate. Nel Rapporto sullo sviluppo umano del 1997 (UNDP, 1997) venne

introdotto per la prima volta l’Indice di povertà umana (HPI) nel tentativo

20

di riunire in un indice composito i differenti aspetti della deprivazione nella

qualità della vita. A tal fine venne considerata la deprivazione di tre

elementi essenziali alla vita umana già presenti nell’indice di sviluppo

umano: longevità, conoscenze e standard di vita accettabile. La prima

deprivazione relativa alla sopravvivenza é misurata dalla percentuale di

individui la cui attesa di vita é inferiore ai 40 anni; la seconda, relativa alle

conoscenze, é misurata dalla percentuale di individui adulti analfabeta; il

terzo aspetto é relativo ad uno standard di vita accettabile ed é misurato

dall’unione di 3 variabili: la percentuale di persone con accesso ai servizi

sanitari, all’acqua potabile e la percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni

di età denutriti20.

L’HPI esposto nei Rapporti sullo sviluppo umano, dà una misura

dell’incidenza della povertà umana in un Paese, ma non é possibile

associarla con uno specifico gruppo di persone. Per tali motivi può essere

utilizzato per monitorare, nel corso degli anni, i progressi fatti

nell’eliminazione della povertà in generale (i valori espressi come

percentuale vanno da 0 a 100). I dati disponibili sull’Argentina non hanno

permesso per molto tempo il calcolo dell’HPI, soprattutto per la mancanza

di dati che riguardano la percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni di età

con peso insufficiente.

20. Questo in realtà viene chiamato HPI-1 ed é l’indice di povertà umana per i paesi in via di sviluppo. L’indice di povertà umana per i paesi OCSE (HPI-2) aggiunge alle tre dimensioni citate prima, l’esclusione sociale misurata dal tasso di disoccupazione di lungo periodo (12 mesi o più ) della forza lavoro (UNDP, 2000).

21

Oggi più che mai, il problema più greve che si trovano ad affrontare i

responsabili di governo, in Argentina, é la denutrizione infantile. In

accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quando si parla di

“denutrizione” ci si riferisce allo squilibrio esistente tra l’apporto di

nutrienti (proteine,calcio,ecc..) e l’effettiva necessità per l’organismo per la

sua crescita e sviluppo. Un dato che permette di anticipare un aumento

della denutrizione infantile é l’incremento del numero di bambini che

vivono in case indigenti, ossia che non possono contare su entrate

sufficienti per coprire un paniere di alimenti di base. In accordo con gli

studi del Sistema de Informaciòn, Monitoreo y Evaluaciòn de Programas

Sociales de la Naciòn (Siempro, 2002), in maggio 2002 il 33.1% dei minori

di 18 anni era indigente, cifra allarmante se paragonata al 15.4% di ottobre

1998; le regioni del Paese più colpite sono il Nordest ed il Nordovest. La

persistenza dei livelli elevati di denutrizione non é solo il prodotto della

crisi economica, ma eredità di antichi difetti ed iniquità nelle politiche di

salute, che hanno trascurato la attività di prevenzione21 e la creazione di reti

in tutto il Paese, privilegiando di fatto i grandi centri ospedalieri (UNDP,

2002).

Inoltre, la denutrizione infantile non produce i suoi effetti solo nel breve

periodo, traducendosi in un aumento dei tassi di mortalità infantile, poiché,

21. La denutrizione infantile é fortemente correlata con il basso livello di istruzione della madre. Lì dove l’informazione é carente occorre creare delle reti che sensibilizzino le madri alla vaccinazione, ad una buona alimentazione del bambino ed intervenire attivamente quando le necessità lo richiedono.

22

nel periodo che intercorre tra la gestazione ed i primi anni di vita, il deficit

di nutrimento indispensabile lascia segni irreversibili, come perdita di peso,

maggiore esposizione alle malattie infettive, che più tardivamente possono

sfociare in un ritardo nello sviluppo intellettuale e quindi minare la capacità

di accedere un domani ad uno standard di vita accettabile.

La demografia della povertà in Argentina mostra che i poveri:

� Hanno famiglie più grandi (4.6 contro 3.1);

� Hanno famiglie più giovani con alti tassi di dipendenza;

� Hanno alti tassi di disoccupazione;

� Hanno meno anni di istruzione;

� Hanno alte probabilità di lavorare nel settore informale (World Bank,

2000).

23

3. LAVORO E POVERTA’

Tra i diversi fattori che hanno determinato l’incremento dei “nuovi poveri”

negli ultimi anni, vi sono l’aumento della disoccupazione e della

sottoccupazione, la riduzione delle entrate e l’incremento dei posti di

lavoro precari. Secondo stime dell’Indec (INDEC/d, Eph 2002) la

disoccupazione nei centri urbani22 del Paese in ottobre 2002 scese al 17.8%

rispetto a maggio 2002 quando, il valore di 21.5% rappresentò il record

storico del Paese (Grafico 2).

Grafico 2: Evoluzione tasso di disoccupazione nel totale dei centri urbani. 1990-2002

8,6

6,36,96,06,97,0

9,99,310,7

12,2

18,4

16,617,117,316,1

13,713,212,4

14,513,815,414,7

16,4

18,3

21,5

17,8

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

tasso di disoccupazione

mag-90

ott-90

mag-91

ott-91

mag-92

ott-92

mag-93

ott-93

mag-94

ott-94

mag-95

ott-95

mag-96

ott-96

mag-97

ott-97

mag-98

ott-98

mag-99

ott-99

mag-00

ott-00

mag-01

ott-01

mag-02

ott-02

periodo

tasso di disoccupazione

Fonte: INDEC/d, Encuesta Permanente de Hogares.

22. I dati provengono dall’Encuesta Permanente de Hogares di ottobre 2002. Tali dati coprono il totale dei centri urbani di 100.000 e più abitanti e tutte le capitali di provincia. Il rilevamento si effettua in 28 centri urbani.

24

In ottobre 2002 il tasso presentava valori più bassi rispetto alla precedente

rilevazione a causa dell’influenza del “Plan Jefes y Jefas de hogares”

attuato nel 2002 dal Ministero del lavoro per ridurre la povertà. Tale Piano

prevedeva una controprestazione lavorativa (lavori socialmente utili a

tempo parziale) da parte dei capofamiglia disoccupati indigenti, in cambio

di $150. I beneficiari (all’incirca 1.900.000 persone secondo stime del

Ministero del Lavoro di gennaio 2003) sono stati sottratti dalla

disoccupazione ma hanno notevolmente incrementato la precarietà

lavorativa ossia il numero delle persone che seppur lavorando hanno un

impiego instabile, di basso reddito e senza benefici sociali23 (Siempro,

febbraio 2003). In Gran Buenos Aires, una delle regioni più colpite del

Paese, il tasso di disoccupazione passò dal 6.0% nel 1990 al 15.0% nel

2000 (INDEC/c, Eph 2000).

Ma ciò che sembra essere un paradosso è che tra il 1990-1994 mentre il

PIL cresceva quasi del 35%, il tasso di disoccupazione passò da 8.6%

(maggio 1990) a 10.7% (maggio 1994), dimostrando quanto siano in realtà

complesse le interrelazioni tra crescita economica e mercato del lavoro.

La disoccupazione in Argentina é un problema strutturale dai primi anni

‘90, quando i tassi sono cresciuti notevolmente anche a causa di quelle

riforme che miravano a ripristinare la crescita economica : l’introduzione di

23. Senza tale Piano il tasso di disoccupazione urbano sarebbe stato del 23.6%, ossia 5.8 punti percentuali più alto di quello che è stato rilevato in ottobre 2002. Nella zona di GBA sarebbe stato del 23.9% anziché il 18.9% (Siempro, febbraio 2003).

25

nuove tecnologie per migliorare la produttività, in un clima di competitività

commerciale, ha reso alcune categorie della forza lavoro, ridondanti. Lo

stesso processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, fonte di lavoro

per i non specializzati, ha riversato sulle strade migliaia di lavoratori in un

periodo in cui la crescita nella produzione suggeriva investimenti tesi più

ad essere capitale che lavoro intensivo (World Bank, 2000). Oltre alla

difficoltà del nuovo modello economico di generare e mantenere i posti di

lavoro esistenti (causando variazioni nella domanda di lavoro), l’aumento

della popolazione economicamente attiva (PEA)24 ha contribuito a creare

pressione sul mercato del lavoro ed a produrre cambiamenti nell’offerta di

lavoro. Tra il 1990 ed il 2001, l’occupazione é cresciuta ad un tasso

annuale medio dell’1.4%, di certo molto inferiore al 2.5% che si richiedeva

per soddisfare l’espansione della PEA (Eph, 2001) (per sostenere il tasso di

impiego). Inoltre negli ultimi dieci anni, all’interno della categoria

occupati, il numero di coloro che lavorano meno di 35 ore settimanali

(sottoccupati) é più che raddoppiato ( il tasso di sottoccupazione é passato

dal 9.3% di ottobre 1993 al 19.9% di ottobre 2002) (Siempro, gennaio

2003).

Esiste un forte legame tra status di povertà e la posizione nel mercato del

24. La popolazione economicamente attiva é costituita dalle persone che hanno un lavoro o che lo stanno cercando attivamente. E’ composta quindi da popolazione occupata e popolazione disoccupata. (popolazione in età lavorativa 15-64 anni di età). Tra il 1990 ed il 2000, la PEA crebbe dal 40.3% al 45.1%. Questo incremento fu principalmente dovuto all’aumento della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro (dal 27.9% del 1990 al 35.4% del 2000) ed ai lavoratori adulti tra i 25 ed i 64 anni di età (da 67.8% a 74.9%).

26

lavoro (come il Grafico 3 suggerisce) che passa attraverso i salari, la

disoccupazione ed il tipo di impiego.

Grafico 3: Povertà e disoccupazione. Gran Buenos Aires. 1990/2002.

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0mag-90

mag-91

mag-92

mag-93

mag-94

mag-95

mag-96

mag-97

mag-98

mag-99

mag-00

mag-01

mag-02

povertà disoccupazione

Fonte: Encuesta Permanente de Hogares, INDEC.Nota: andamento simile. Sembrano influenzati dagli stessi fattori.

Inoltre la disoccupazione ha un’influenza diretta sul tasso di povertà

(povertà di reddito). I poveri presentano più alti tassi di disoccupazione

nell’intera decade (Eph, INDEC) rispetto ai non poveri e l’utilizzo

dell’analisi probit25 per stimare la probabilità di essere poveri, dato un certo

tipo di caratteristiche, suggerisce che la disoccupazione incrementa la

probabilità di cadere al di sotto della linea di povertà del 17% (World

25. Usando l’analisi probit furono analizzate le caratteristiche delle famiglie povere e non povere per stimare la probabilità di essere poveri dato un certo tipo di caratteristiche. In termini di importanza ha dominato la variabile educativa: l’aver completato la scuola secondaria riduce la probabilità di essere povero del 18% e possedere una laurea del 25%. L’analfabetismo del capofamiglia incrementa la probabilità di cadere in povertà del 22%.

27

Bank, 2000).

Il legame che intercorre tra disoccupazione e povertà è piuttosto complicato

e và al di là di una mera relazione di causa-effetto poiché è determinato da

fattori demografici ed economici di lungo periodo (domanda ed offerta del

mercato del lavoro, distribuzione del reddito, crescita della popolazione).

Il poter svolgere una attività lavorativa soddisfacente non implica solo la

possibilità di accedere alle risorse necessarie per la sussistenza, ma

equivale ad essere inseriti nel tessuto sociale ed economico del Paese,

partecipare attivamente ad un contesto, in cui non si è spettatori passivi ma

protagonisti ed artefici del proprio destino, aumentando la dignità e

l’autostima individuali. La “Dichiarazione Universale dei diritti umani”26,

inoltre, riconosce che: <<ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera

scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla

protezione contro la disoccupazione>> (articolo 23, comma 1).

Il grafico 4 mostra come nella decade sia aumentata notevolmente la

proporzione di coloro che non si ritengono soddisfatti della propria

26. Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che riconosceva i diritti umani, per la prima volta nella storia, quale responsabilità globale allo scopo di garantire la libertà, il benessere e la dignità a tutte le persone del mondo, assicurando loro: la libertà da ogni forma di discriminazione (di genere, razza, gruppo etnico, nazionalità o religione); la libertà dal bisogno (per uno standard di vita dignitoso); la libertà di realizzare e sviluppare il proprio potenziale umano; la libertà dalle ingiustizie; la libertà dalla paura, dalla tortura, da arresti arbitrari o da altri atti violenti; la libertà di esprimere opinioni, di partecipare ai processi decisionali; di lavorare dignitosamente, senza sfruttamento. Venne sancita inoltre l’inalienabilità dei diritti umani (non possono essere annullati da altri, né si può rinunciare ad essi volontariamente) e l’indivisibilità, ossia non vi è gerarchia tra diritti umani e nonpossono essere cancellati alcuni diritti allo scopo di promuoverne altri. Non possono essere cancellati i diritti civili e politici per promuovere i diritti sociali ed economici (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ONU).

28

condizione lavorativa ( misurati dal “tasso di disagio lavorativo” dato dalla

somma del tasso di disoccupazione e di sottoccupazione domandante27).

Grafico 4: Tasso di disoccupazione, sottoccupazione domandante e “disagio lavorativo”. Totale centri urbani. Periodo 1996*/ 2002.

17,2 17,3 16,113,7 13,2 12,4

14,5 13,815,4 14,7

16,418,3

21,5

17,8

8,1 8,5 8,4 8,1 8,2 8,4 8,9 9,1 9,5 9,3 9,6 10,712,7 13,8

25,3 25,8 24,521,8 21,4 20,8

23,4 22,924,9 24,0

26,029,0

34,231,6

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

mag-96

ott-96

mag-97

ott-97

mag-98

ott-98

mag-99

ott-99

mag-00

ott-00

mag-01

ott-01

mag-02

ott-02

tasso di disoccupazionetasso di sottoccupazione domandantetasso di disagio lavorativo

Fonte: Elaborazione personale in base ai dati dell’ Encuesta Permanente de Hogares, INDEC.*I dati sulla sottoccupazione sono rilevati dall’INDEC in maniera disaggregata (domandante e non domandante) dal 1996.

Un’altro fattore che contribuì a peggiorare una congiuntura, già di per sé

critica, é stato il cambiamento nella distribuzione del reddito avvenuto nella

decade degli anni ’90. La proporzione di entrate percepite dal 10% più

27. La popolazione sottoccupata domandante si riferisce alla popolazione sottoccupata (che lavora meno di 35 ore settimanali per cause involontarie ed è disposta a lavorare più ore) che cerca attivamente un’altra occupazione. Nell’area di Gran Buenos Aires, la sottoccupazione domandante ha raggiunto nel 2002 il record storico, passando dal valore di 2.2% del 1991 al 13.9% (Eph, ottobre 2002).

29

povero della popolazione divenne sempre più bassa, mentre l’opposto

accadeva per il 10% più ricco, i quali di fatto beneficiarono della crescita

economica avvenuta nei primi anni novanta. I dati presenti nel grafico 5,

mostrano come negli ultimi 10 anni il rapporto tra il reddito 28pro capite

del 10% della popolazione più ricco ed il 10% più povero si è ampliato di

quasi il 70%.

Grafico 5: Evoluzione del rapporto tra il reddito familiare pro capite del decile 10 e del decile 1. Gran Buenos Aires. Periodo 1987-2001.

19,6 20,5 19,2 19,417,7

19,7 20,524,1 24,1

30,027,8 33,7

25,6

27,6

28,625,624,2

24,2

22,819,318,9

20,619,620,818,618,0

27,1

15,4

16,8

33,9

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

mag-87

ott-8

7mag-88

ott-8

8mag-89

ott-8

9mag-90

ott-9

0mag-91

ott-9

1mag-92

ott-9

2mag-93

ott-9

3mag-94

ott-9

4mag-95

ott-9

5mag-96

ott-9

6mag-97

ott-9

7mag-98

ott-9

8mag-99

ott-9

9mag-00

ott-0

0mag-01

ott-0

1

IPCF decile 10/ IPCF decile 1

Fonte: Sistema de Informaciòn, Monitoreo y Evaluaciòn de Programas Sociales in base ai dati dell’Eph condotta dall’INDEC (Siempro,aprile 2002).

28. Statistici ed economisti hanno elaborato numerosi metodi per misurare la disuguaglianza di reddito. Uno dei più semplici e sopra citato è quello che si basa sul confronto fra le quote di reddito delle diverse fasce della popolazione. Si ordina la popolazione in base a valori crescenti di reddito (dalla più povera alla più ricca), la si ripartisce in parti uguali (ogni parte rappresenta, ad esempio, il 10 o il 20 percento della popolazione totale) e siconfronta la quota di reddito che ciascuna di esse possiede. In termini statistici queste quote o gruppi in cui si ripartisce la distribuzione sono definiti con il termine di “quantili”. Si parla di quintili quando si hanno 5 gruppi ciascuno dei quali ha un peso pari al 20 percento, di decili quando si hanno 10 gruppi ciascuno dei quali corrisponde al 10 percento e così via. Se la torta è distribuita equamente, ad ogni x percento della popolazione deve spettare una quota proporzionalmente uguale del reddito nazionale: nel caso sopra citato ad ogni 10% della popolazione dovrebbe andare il 10% del reddito affinché tutte le fette siano uguali. Nella pratica questo non si verifica mai, si ha sempre disuguaglianza. La misura della rapporto tra i redditi dà un’informazione immediata sulla disuguaglianza: si confrontano le “code” della distribuzione, cioè le quote estreme di reddito che vanno,ad esempio, al 10% della popolazione più povera ed al 10% della popolazione più ricca. In presenza di eguale distribuzione tale rapporto é sempre uguale ad 1 (o a 100, se viene moltiplicato per cento) mentre sarà tanto più lontano da questo valore, quanto più c’è disuguaglianza nella distribuzione.

30

Un importante fattore che ha causato il peggioramento nella distribuzione

del reddito, è stato il cambiamento nella domanda di lavoro (World Bank,

2000). Il “nuovo” sistema produttivo introdotto con le riforme dei primi

anni ‘90 ha richiesto figure specializzate, ciò ha incrementato i salari di

quelli con istruzione secondaria ed universitaria. I redditi dei laureati sono

cresciuti del 52.5% durante il periodo 1990-1998, nello stesso periodo i

salari di quelli con istruzione secondaria sono cresciuti del 13.1% , mentre i

redditi di quelli con istruzione primaria declinarono del 3% (World

Bank,2000). Poiché le persone professionali e specializzate tendono ad

essere localizzate nei più alti livelli della distribuzione del reddito, un

incremento delle loro entrate relativamente ad altre tende a peggiorare la

distribuzione.

31

4. IL “CAPITALE”29 UMANO

Essere giovani30, oggi in Argentina, vuol dire trovarsi a fare i conti con

origine sociale ed aspettative future, opportunità e costrizioni. La

transizione alla maturità, che passa attraverso il conseguimento di un titolo

di studio, l’inserimento nel mondo del lavoro e l’indipendenza economica

dalla famiglia di origine, è strettamente vincolata al contesto socio-

economico in cui avviene. In particolar modo, l’istruzione formale

rappresenta una tappa importante nel processo di integrazione sociale: è un

canale di socializzazione che dovrebbe permettere a tutti gli individui che

vi accedono di acquisire le conoscenze necessarie ed i mezzi per

raggiungere, nelle società moderne, un certo livello di benessere o meglio

accedere ad uno standard di vita accettabile. Ma poiché non é ugualmente

distribuita fra la popolazione, sia per qualità che per quantità, in molti casi

rappresenta un meccanismo di produzione e riproduzione di ineguaglianza

sociale.

Il processo di sviluppo socio-economico e modernizzazione, avvenuto nei

primi anni ’90, in Argentina, assegnò un ruolo centrale all’istruzione come

strumento di integrazione sociale e crescita economica. Nel 1993 fu

introdotta la Ley Federal de Educaciòn: essa estendeva l’istruzione

29. Il termine, capitale umano, da me utilizzato in questa tesi non si rifà alle teorie delle risorse umane (vedere la seconda parte) ma voglio intendere con questo termine un ricchezza che và ben oltre l’aspetto puramente economico.

30. Avere tra i 15 ed i 24 anni.

32

obbligatoria da 8 a 10 anni, ridefiniva la struttura del sistema scolastico,

suddividendola in nuovi livelli ed ampliava il processo di

decentralizzazione del sistema scolastico iniziato negli anni ottanta (allo

Stato la funzione di controllare la qualità educativa e compensare le

differenze; alle province il compito di provvedere ai servizi scolastici). Il

sistema scolastico prevedeva, prima della riforma, quattro livelli base:

Prescolare (almeno 1 grado richiesto), Primaria (7 gradi), Secondaria (5

gradi) ed Università. La nuova struttura è: Istruzione Generale di base

obbligatoria (10 gradi), Istruzione Polivalente (3 gradi) ed Università. In

altre parole, i due gradi iniziali dell’istruzione secondaria furono inclusi nel

ciclo di base (schema 1).

Schema 1: Struttura dell’Istruzione Primaria e Secondaria in Argentina.

Lo stesso anno, il Governo adoperò due strumenti per ridurre le iniquità nel

sistema scolastico: il Pacto Federal Educativo, che prevedeva degli

stanziamenti (US$398 milioni) per aiutare le province, soprattutto quelle

Livello di istruzione

Gruppo di età Gradi Osservazioni

Pre-primaria 5 anni di età Istruzione Iniziale

Primaria: EGB1 e EGB2

6-11 anni gradi da 1 a 6

Secondaria più bassa: EGB3

12-14 anni gradi da 7 a 9

Istruzione Obbligatoria: 1

anno di pre-primaria più 9 anni di

educazione di base EGB1,EGB2,EGB3, ogni ciclo di 3 anni

Secondaria più alta: (Polimodale)

15-17 anni gradi da 10 a 12 non obbligatoria

33

più povere, a estendere l’istruzione obbligatoria da sette a dieci anni; ed il

Pian Social Educativo (PSE) (US$703 milioni finanziati dalla Inter-

American Development Bank) che prevedeva tre tipi di programmi:

sviluppare le infrastrutture scolastiche; migliorare la qualità dell’istruzione

attraverso programmi mirati a studenti indigeni, scuole rurali ed istruzione

adulta; ed un programma nazionale di borse di studio per mantenere i

ragazzi delle famiglie povere iscritti alla scuola secondaria.

Esiste una relazione stretta tra istruzione (soprattutto secondaria) e povertà,

condizionata dal mercato del lavoro: nel momento in cui una famiglia vede

ridotte le proprie entrate, spesso i giovani non completano la formazione

per entrare nel mercato del lavoro; d’altra parte avere un titolo di studio

non soddisfacente alle richieste del mercato o non possederne alcuno,

aumenta la probabilità di essere disoccupati e cadere sotto la soglia minima

di povertà. E’ obbligo da parte dello Stato attuare politiche appropriate per

garantire l’accesso all’istruzione a tutti, ossia creare i presupposti necessari

affinché i giovani abbiano tutti un ugual punto di partenza,

indipendentemente dallo stato sociale della famiglia d’origine, e far sì che

le risorse generate siano investite nella costruzione di uno Stato in cui

ognuno è libero di realizzare il proprio potenziale umano. Purtroppo, nella

maggioranza dei casi, ciò non si verifica. E’ il caso dei Paesi dell’America

Latina e dei paesi in via di sviluppo in genere, dove il conseguimento

scolastico dei giovani continua ad essere fortemente condizionato dai

34

redditi familiari e dal livello di istruzione dei genitori. In accordo ai dati

dell’ECLAC relativi alle aree urbane della regione latinoamericana, solo il

7% degli adolescenti quattordicenni, che appartengono al più alto quartile

di reddito, abbandona o ripete la scuola primaria, ma tale percentuale sale

al 26% se consideriamo i giovani appartenenti al quartile di reddito più

povero. Le differenze sono ancor più marcate se consideriamo la

percentuale di coloro che hanno terminato gli studi secondari impiegando

più anni di quelli previsti dal ciclo: il 30% dei giovani appartenenti alle

famiglie del più alto quartile di reddito non completano gli studi secondari

prima di aver compiuto vent’anni (sono ripetenti), ma nel più basso quartile

tale percentuale sale al 70% (ECLAC, 2000). Inoltre, il livello di istruzione

dei genitori ha effetto sul conseguimento scolastico dei figli: solo il 20%

dei ragazzi i cui genitori non hanno completato la scuola primaria, prende il

diploma di scuola secondaria; mentre il valore supera il 60% tra i ragazzi i

cui genitori hanno almeno dieci anni di scuola alle spalle.

L’analisi della situazione argentina tra il 1990-2000 mostra un quadro

complesso. Sebbene i tassi lordi di iscrizione31 a livello primario e

secondario siano aumentati, in generale, tra il 1990 ed il 200032, l’iniquità

istruttiva continua ed essere uno dei principali problemi per l’Argentina

31. Il tasso lordo di iscrizione in uno specifico livello di istruzione (primario, secondario e terziario) è dato dal rapporto tra il numero di alunni iscritti in un dato livello (indipendentemente dalla loro età), e la popolazione del gruppo di età che ufficialmente corrisponde a quel livello di istruzione (vedere schema 1), moltiplicato per cento.

32. Il tasso lordo di iscrizione nella scuola primaria è passato dal valore di 103.5% nel 1990 a 113.1% nel 2000; a livello secondario è cresciuto da 65.9% nel 1990 a 79.5% nel 2000(UNESCO, 2000)

35

(UNESCO, 2000). La tabella 2 confronta gli anni medi di scuola non

obbligatoria dei giovani (15-24 anni) con differenti background familiari

(reddito familiare pro capite e grado di istruzione conseguito dai genitori)

tra il 1990 ed il 2000.

Tabella 2: Anni medi di istruzione dei giovani in base alle condizionisocio-economiche. Gran Buenos Aires. (1990-2000).

AnnoCondizioni

socio-

economiche

1990 2000

Variazione

Reddito

familiare

1° quintile 8.58 8.89 1.04

2° quintile 9.54 9.84 1.03

3° quintile 9.58 10.33 1.08

4° quintile 10.40 11.35 1.09

5° quintile 11.24 11.98 1.07

Livello di istruzione dei genitori

Basso 8.53 8.93 1.05

Medio-basso 9.80 10.14 1.03

Medio 11.25 11.29 1.00

Medio-alto 11.44 11.95 1.04

Alto 12.34 12.35 1.00

Fonte: Encuesta Permanente de Hogares, INDEC.

Nota : I dati si riferiscono ai giovani di età compresa tra i 14 ed i 24 anni che vivono in casa dei genitori. Il reddito è quello familiare pro capite. Il livello di istruzione dei genitori è una combinazione del grado raggiunto da entrambi: basso (primario incompleto per entrambi oppure primario incompleto e primario completo); medio-basso (primario completo per entrambi oppure primario incompleto e secondario completo); medio (primario completo e secondario completo oppure primario completo e terziario completo oppure primario incompleto e terziario completo); medio-alto (secondario completo per entrambi oppure secondario completo e terziario completo); alto (terziario completo per entrambi).

36

Come evidenziano i dati, solo il gruppo dei giovani le cui famiglie

appartengono al quintile di reddito più alto e con entrambi i genitori in

possesso di un diploma di scuola secondaria, hanno in media 12 anni di

scuola. Durante la decade ci sono stati incrementi in tutti i gruppi, anche se

i giovani delle famiglie più povere hanno avuto i più piccoli progressi.

Un’altra considerazione che emerge dai dati, è che nel 2000 il grado di

istruzione raggiunto dai genitori ha avuto meno peso nel determinare gli

anni medi di scuola dei figli. Ma, considerando che, il rapporto tra gli anni

medi di scuola dei giovani provenienti da famiglie appartenenti al quinto ed

al primo quintile di reddito è cresciuto da 1.31 nel 1990 a 1.35 nel 2000,

permane ancora la “disuguaglianza istruttiva”: appartenere o no ad una

fascia di reddito condiziona le opportunità di partecipare pienamente alla

vita sociale ed economica del Paese avviando così, di fatto, quello che è

definito “circolo vizioso della povertà”. Ancora, differenziando tra livelli di

istruzione, un’analisi condotta nel 1997 (Siempro, 1997, “Encuesta de

Desarollo Social”) sulla presenza scolastica per appartenenza a classi di

reddito, evidenzia come non vi sia molta differenza fra classi di reddito per

quanto riguarda l’iscrizione primaria33, mentre per quel che riguarda la

scuola secondaria, solo il 71.1% dei giovani del più basso quintile di

reddito frequenta il livello secondario, contro il 96% dei giovani

33. Il 98.5% dei bambini le cui famiglie appartengono al quintile più povero, sono iscritti alla scuola primaria, mentre la percentuale sale al 100% per i bambini appartenenti al quintile più ricco(5°).

37

appartenenti al più alto quintile (Siempro,1997).

Inoltre nell’ultimo decennio, quello che è stato definito “Educational Gap”,

si è ampliato. Confrontando i dati presenti nella tabella 3 notiamo come tale

divario tra le iscrizioni scolastiche, a livello secondario e terziario, in base

al decile di reddito di appartenenza, si sia ampliato tra il 1992 ed il 1997.

Tabella 3: Tassi di Iscrizione per decile di reddito, livello secondario e terziario,1992-1997.

Secondaria Terziaria

Decile 1992 1997 1992 1997

1 70.5 62.1 22.7 8.7

2 74.9 68.9 20.5 10.7

3 80.3 83.7 17.7 13.3

4 80.0 85.4 22.3 16.1

5 82.5 103.6 20.8 22.5

6 76.1 95.9 21.9 28.0

7 92.2 105.3 27.4 37.8

8 96.4 102.4 38.0 53.8

9 95.2 117.1 54.4 75.5

10 106.2 115.9 80.8 82.0

Fonte: Maria Echart,”Educatiòn y Distribuciòn del Ingreso”, FIEL, 1999 (citata

da World Bank, 2000 e Inter-American Development Bank,2002)

38

Anche il tasso di abbandono è influenzato dalle entrate familiari. I dati nella

tabella 4 evidenziano che all’incirca il 70% dei ragazzi che abbandona la

scuola appartiene ai primi due quintili di reddito più basso, mentre la

percentuale scende quasi al 13% per gli studenti dei due quintili più alti.

Tabella 4: Tasso di abbandono scolastico tra igiovani (12-20 anni) per i differenti quintili di reddito.

Quintile% di tutti quelli

che abbandonano

la scuola

1° quintile 41.3%

2°quintile 28.5%

3°quintile 17.0%

4°quintile 9.5%

5° quintile 3.7%

Totale 100%

Fonte: EDS 1997, Siempro.

Questo perché nonostante il PSE fosse principalmente a favore dei poveri,

poiché il 60% dei beneficiari apparteneva al primo quintile di reddito ed il

40% a famiglie con NBI, la permanenza dei ragazzi nella scuola non

dipende solo da fattori socio-economici ma anche da caratteristiche del

39

settore dell’insegnamento (qualità, disponibilità, vicinanza, accessibilità

finanziaria).

Un’altra considerazione che emerge dai dati è che l’aumento del livello

educativo dei membri delle famiglie povere, non coincide con l’immagine

tradizionale della povertà (Siempro, aprile 2002; dati riferiti al 2001): solo

una quarta parte dei capi famiglia delle case povere non ha completato la

scuola primaria, mentre il 33% di essi ha frequentato (anche eventualmente

non finito) la scuola secondaria. Ciò in parte può essere dovuto alla

presenza dei cosiddetti “nuovi poveri”, ossia coloro che appartenevano alla

classe media e che hanno subito le conseguenze del processo di

modernizzazione avvenuto negli anni novanta (vedi paragrafi precedenti).

40

5. L’INDICE DI SVILUPPO UMANO IN ARGENTINA

I paragrafi precedenti disegnano uno scenario socio-economico disastroso

in cui la libertà di scegliere la vita che si vuole vivere cede il passo ad un

cammino forzato per la sopravvivenza. Il mercato del lavoro ha subito un

deterioramento impressionante con alti tassi di disoccupazione e precarietà

lavorativa. La povertà è divenuta un fenomeno più esteso e la

disuguaglianza di reddito è giunta a livelli senza precedenti. Inoltre,

durante la decade, la distribuzione di capitale umano fra la popolazione è

divenuta sempre più funzione delle condizioni socio-economiche familiari.

Da ciò deriva che parlare di sviluppo umano in Argentina, se intendiamo

con sviluppo umano il processo di ampliamento delle scelte della gente,

risulta inopportuno. Eppure se andiamo a considerare l’indice di sviluppo

umano, utilizzato dall’UNDP per monitorare i progressi di una Nazione nel

tempo, notiamo come esso rileva un incremento costante negli ultimi 25

anni, come se effettivamente vi fossero state evoluzioni positive in tal

senso (tabella 5)34. Utilizzando il valore ISU=0.800 per determinare i Paesi

ad alto sviluppo umano, secondo il criterio elaborato dalle Nazioni Unite,

l’Argentina entra a far parte di questa categoria nel 1985. Inoltre

utilizzando lo stesso indice per misurare lo sviluppo umano nelle diverse

34. La metodologia di calcolo dell’ Indice di Sviluppo Umano è cambiata nel corso degli anni. Ciò ha reso i dati non comparabili nel tempo. I dati nella tabella 5 sono stati già modificati dall’UNDP in base all’ultima metodologia di calcolo. Vedere parte seconda.

41

province del Paese scopriamo risultati inaspettati (grafico6).

Tabella 5. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano in Argentina. Vari anni.

Fonte : “Human Development Report 2002”. UNDP. New York: Oxford University Press.

Grafico 6 : Confronto dell’Indice di Sviluppo Umano35

tra le diverse province argentine, 1995-2000.

0,600

0,650

0,700

0,750

0,800

0,850

0,900

Città di Buenos Aires

Tierra del Fuego

Santa Cruz

Còrdoba

Neuquén

Chubut

Buenos Aires

La Pampa

Santa Fe

Mendoza

Rìo Negro

San Luis

Entre Rìos

Catamarca

La Rioja

San Juan

Santiago Del Estero

Tucumàn

Misiones

Salta

Corrientes

Chaco

Jujuy

Formosa

Valori ISU

1995 2000

Fonte: “Aportes para el Desarrollo Humano de la Argentina/2002”.UNDP, 2002.

ANNI ISU

1975 0.785

1980 0.799

1985 0.805

1990 0.808

1995 0.830

2000 0.844

35. Per misurare il livello di vita si utilizza il reddito familiare totale pro-capite per ciascuna giurisdizione, aggiustato per differenze di prezzi tra le regioni del Paese e per la parità di potere d’acquisto (PPA), dato che tale indicatore riflette meglio i redditi familiari reali piuttosto che il PIL pro-capite, utilizzato per l’intero Paese.

42

Osservando il grafico 6, notiamo che l’Indice di Sviluppo Umano, negli

anni considerati, presenta valori relativamente alti, da 0.700 in su, per tutte

le province e che alcune province, soprattutto quelle del Nordest e del

Nordovest del Paese (vedere la cartina alla fine di questa prima parte),

occupano in maniera persistente le posizioni meno favorevoli. I dati

trovano spiegazione nella natura degli indicatori utilizzati nella costruzione

dell’ISU36: riflettono caratteristiche strutturali di lungo periodo e sono

insensibili a cambiamenti avvenuti nel breve periodo. A tal proposito

l’UNDP, per poter meglio discriminare tra le diverse province e disporre di

un indice relativamente “dinamico” ha utilizzato l’Indice di Sviluppo

Umano Ampliato (ISUA),(UNDP, 2002). Partendo dall’obiettivo che era

quello di arrivare ad un indice che desse maggiore informazione, furono

selezionati indicatori aggiuntivi per misurare ogni dimensione espressa

dall’ISU: per la dimensione longevità fu considerato il Tasso di Mortalità

Infantile dovuto a cause riducibili; per la dimensione conoscenza: il Tasso

di “Età avanzata”37 per la scuola primaria e secondaria e la percentuale di

risposte corrette nei test di Matematica e di lingua; per la dimensione

decente standard di vita, il Tasso di Occupazione ed il Tasso di

Disoccupazione.

36. L’ISU è basato su tre indicatori: longevità, misurata dalla speranza di vita alla nascita; risultati scolastici, misurati combinando insieme alfabetizzazione adulta (peso di due terzi) ed il rapporto di iscrizioni congiunto ai livelli primario, secondario e terziario (peso di un terzo); e lo standard di vita misurato dal PIL reale pro capite (in dollari PPA).

37. Il Tasso di Età avanzata per i diversi livelli è dato dal rapporto tra la percentuale di studenti con età maggiore all’età teorica corrispondente al grado nel quale sono immatricolati e la percentuale di studenti iscritti in quel grado.

43

Rispetto al grafico 6, nel grafico 7 notiamo come l’Indice di Sviluppo

Umano Ampliato sia riuscito non solo a riflettere maggiormente le disparità

delle condizioni di vita tra le diverse province, ma, presentando valori

molto bassi per alcune giurisdizioni riflette la situazione reale del Paese

l’anno prima della dichiarazione di insolvenza del debito e la conseguente

dichiarazione del fallimento dell’economia argentina.

Grafico 7: Indice di Sviluppo Umano Ampliato , province argentine e Città di Buenos Aires, 2000.

Fonte: UNDP, 2002

0,8670,685

0,6530,6340,6320,6290,6130,603

0,5800,556

0,5270,5150,510

0,4570,444

0,4190,4020,400

0,3740,3390,339

0,3090,227

0,1870,156

0,000 0,100 0,200 0,300 0,400 0,500 0,600 0,700 0,800 0,900 1,000

Città di Buenos Aires

Còrdoba

Tierra del Fuego

Mendoza

La Pampa

Buenos Aires

Totale Paese

Santa Cruz

Santa Fe

Neuqùen

Entre Rìos

Chubut

San Luis

Rìo Negro

San Juan

Santiago Del Estero

La Rioja

Tucumàn

Catamarca

Salta

Misiones

Chaco

Corrientes

Jujuy

Formosa

44

L’Indice di Sviluppo Umano Ampliato(per una sua metodologia di calcolo

vedere l’Appendice B) risulta ancora di difficile utilizzo a causa della

indisponibilità di alcuni dati a livello nazionale. Ma ciò non può essere una

scusante per non arrivare a disporre di un Indice di Sviluppo Umano che

rifletta in maniera coerente la situazione reale di un Paese. La situazione

socio-economica argentina dell’ultimo decennio tende a screditare l’analisi

dell’UNDP. E’ difficile parlare di sviluppo umano e tanto meno di Paese ad

alto sviluppo umano se :

� Il 53% degli Argentini sta al di sotto della linea di povertà (EPH,

maggio 2002);

� Il 33,1% di coloro che hanno meno di 18 anni è indigente (Siempro,

maggio 2002) cifra più che raddoppiata rispetto ad ottobre 1998

(15,4%);

� Il 34,2% della popolazione non è soddisfatta della propria

condizione professionale ( disoccupati e sottoccupati domandanti)

(Eph, 2002) contro la stima del 25,3% di maggio 1996;

� Appartenere o meno ad una classe di reddito condiziona fortemente

le opportunità future dei giovani.

45

6. SVILUPPO UMANO E CRESCITA ECONOMICA

Esiste una relazione bi-direzionale tra crescita economica e sviluppo

umano. Da una parte la crescita economica fornisce le risorse necessarie

per migliorare lo sviluppo umano; dall’altra, i progressi del capitale umano

sono un importante contributo alla crescita economica. Sebbene l’esistenza

di tale legame sia largamente condivisa dal mondo accademico, i singoli

fattori che influiscono e determinano tale legame sono piuttosto complessi

ed empiricamente difficilmente dimostrabili. A tal proposito Gustav Ranis

(Yale University) e Frances Stewart (Oxford University) (Ranis e Stewart ,

2001) utilizzando tabelle di regressione per vari stati dell’America Latina

(per quelli i cui dati erano disponibili) relative agli anni 1960-92 hanno

individuato due catene causali (A e B) che legano la crescita economica

(EC), rappresentata dal PIL, e lo sviluppo umano38 (SU). Lo scopo era di

identificare le variabili, nella catena A, che producono miglioramenti nello

sviluppo umano, usando il shortfall (letteralmente la riduzione mancante)

della speranza di vita39 tra il 1970 ed il 1992 come indicatore di questi

progressi. Nelle pagine seguenti è rappresentato il diagramma riguardante il

ciclo sviluppo umano-crescita economica ed una sua concisa spiegazione.

38. Il termine sviluppo umano viene usato per definire il processo di ampliamento delle scelte delle persone. I due aspetti dello sviluppo umano sono: la formazione delle capacità umane, quali il miglioramento della salute delle conoscenze e capacità professionali; e l’uso che le persone fanno delle capacità acquisite, per il tempo libero o per il lavoro. (UNDP, 1990).

39. La riduzione mancante si riferisce agli anni che mancano per raggiungere il dato record di speranza di vita registrata nello Stato.

46

Diagramma 1. Ciclo Sviluppo Umano - PIL

C C

A A

T T

E E

N N

A A

B A

La catena A, che và dal PIL allo Sviluppo Umano, indica come le risorse del reddito nazionale sono allocate alle diverse attività che contribuiscono allo sviluppo umano; la catena B che và dallo sviluppo umano alla crescita economica, indica in che modo lo sviluppo umano aiuta ad incrementare il reddito nazionale.Rispetto

Capacità di Imprenditori,

Direttori, Operai e Agricoltori Spese

familiari per i beni primari e

loro allocazionetra i membri

Reddito familiare e Tasso di povertà

Distribuzione del reddito

PIL

Capitale sociale

Ambiente politico

Comunità ed organiz.

non governative Tassi di entrate

e spesa pubblica

Tassi di iscrizioni scolastiche,

Copertura dei servizi sanitari,

acqua ed igiene

SviluppoUmano

combinazione di produzione ed esportazione

Organizzazione della produzione,

importazione di tecnologie e loro

utilizzo

Tassi prioritari e sociali

Risparmi Nazionali

Capitale azionario esociale

Investimenti stranieri

47

alla Catena A, partendo da un determinato livello di reddito (PIL), generato da una crescita passata, noi possiamo tracciare la spesa delle famiglie, del governo e della società civile per quelle attività che contribuiscono a migliorare lo sviluppo umano. Allo stesso tempo la propensione delle famiglie a spendere il reddito netto per quei beni (acqua, cibo, istruzione, salute) che concorrono allo sviluppo umano, dipende non solo dal livello medio di reddito raggiunto e dai tassi di povertà, ma anche dalla distribuzione del reddito. Quando i tassi di povertà sono alti perché il reddito nazionale pro-capite è basso od è mal distribuito, la spesa delle famiglie per lo sviluppo umano è bassa. L’assegnazione delle risorse, da parte del governo, per migliorare lo sviluppo umano dipende dalla spesa nel settore pubblico, da quale proporzione di essa viene destinata ai settori dello sviluppo umano e da come tale spesa è ripartita tra i diversi settori. Tutto ciò espresso in tassi diventa: il rapporto di spesa pubblica, definito come la proporzione del PIL spesa a vari livelli di governo; il rapporto di ripartizione nello sviluppo umano, definito come la parte della spesa pubblica destinata ai vari settori dello sviluppo umano; il tasso prioritario di sviluppo umano, definito come la proporzione della spesa totale pubblica nei settori dello sviluppo umano, destinata ad aree “prioritarie”, per esempio destinata all’istruzione primaria piuttosto che alla terziaria. Un altro ruolo importante è svolto dalla società civile e dalle diverse organizzazioni non governative, le quali attraverso donazioni private e statali contribuiscono allo sviluppo umano. Il legame nella catena A tra sviluppo umano e crescita economica è forte e complesso poiché la sua forza dipende da un gran numero di fattori che includono la struttura dell’economia, la distribuzione del capitale e le scelte politiche fatte.La catena B, che và dallo sviluppo umano alla crescita economica, evidenzia come persone sane, ben nutrite ed istruite contribuiscono alla crescita economica, poiché essi hanno un’influenza diretta sulla produttività lavorativa, sulle capacità imprenditoriali e la creatività dei managers. Un’ alto livello di sviluppo umano porta a disporre di migliore capitale umano: capace di governare con migliori risultati, di utilizzare al meglio le risorse locali e di adattare più adeguatamente la tecnologia importata al contesto locale. Così come nella catena A, la forza del legame tra le diverse variabili nella catena B, varia considerevolmente. Inoltre non vi è una connessione automatica tra un aumentato livello di sviluppo umano ed un incremento del PIL pro-capite. In questo legame intervengono diverse determinanti quali il risparmio, i tassi di investimento, l’ambiente politico e la qualità del capitale sociale. Una variabile determinante sia nella catena A che nella B, è la distribuzione del reddito che determina la forza dei vari legami: una più equa distribuzione dei beni favorisce alti tassi di crescita economica allontanando insorgenze popolari e rischio di instabilità politica capaci di interrompere il progresso economico; inoltre implica migliore nutrizione, aumenta la spesa familiare per l’istruzione incrementando quindi la produttività lavorativa.

***

L’evidenza empirica ha accertato un concatenamento positivo tra crescita

economica e sviluppo umano. Tale legame, specialmente se forte in

entrambe le catene, può condurre un Paese ad un circolo virtuoso (una forte

crescita economica conduce a progressi nello sviluppo umano, ed, a sua

volta, un aumentato livello di sviluppo umano conduce ad una crescita

sostenuta) oppure ad un circolo vizioso, poiché è anche vero che una debole

crescita conduce ad un debole sviluppo umano il quale a sua volta porta ad

una debole crescita economica. Se invece si è in presenza di un legame non

48

solido (ossia le diverse variabili delle due catene non sono fortemente

connesse) ci si può trovare in una situazione in cui si incontra buona

crescita economica ed insufficiente sviluppo umano (CE-*) (per esempio,

perché il rapporto di spesa pubblica è basso), o buon sviluppo umano e

scarsa crescita economica (SU-*) (per esempio, perché il tasso di

investimento è basso). Questi ultimi due casi di mancata corrispondenza

possono durare per molto tempo ma prima o poi cadono od in un circolo

virtuoso od in uno vizioso. L’analisi ha dimostrato che: tutti gli Stati

considerati che si trovavano nella condizione iniziale CE-*, negli anni che

seguirono, caddero nel circolo vizioso dimostrando di fatto che la crescita

economica in se stessa non è sostenuta a meno che non è preceduta od

accompagnata dallo sviluppo umano; il modo migliore per passare da un

circolo vizioso ad uno virtuoso è tentare di muoversi nella direzione SU-*,

ossia rafforzare i legami nella catena A spingendo le risorse verso i settori

dello sviluppo umano, solo allora ci si potrà muovere dallo stato SU-*

verso un ulteriore crescita economica (consolidando le relazioni tra le

variabili nella catena B). Tale lavoro evidenzia empiricamente come sia

errato concentrarsi esclusivamente sulla crescita economica aspettandosi

che tale crescita si traduca automaticamente in sviluppo umano. Le

politiche per lo sviluppo umano devono precedere o almeno accompagnare

politiche basate esclusivamente sulla crescita economica, se si vuole che il

proprio Paese raggiunga un certo grado di sviluppo sostenuto.

49

In particolare tra i diversi Paesi dell’America Latina, l’Argentina dal 1960

al 1992 ha avuto un ambiguo primato di sviluppo (schema 2),

sperimentando bassa crescita economica e basso sviluppo umano prima di

muoversi nello stato SU-*.

Schema 2. Andamento dell’Argentina

Tale dato presuppone, alla luce di quanto finora detto, che l’Argentina agli

inizi del 1990 si trovava in uno stato di transizione positiva e che aveva alta

probabilità di cadere in un circolo virtuoso. Ciò, come i dati in nostro

possesso (vedere paragrafi precedenti) evidenziano, non è avvenuto. In

accordo con l’UNDP (UNDP, 2002) politiche sbagliate e fuorvianti

dall’obiettivo primario che è lo sviluppo umano possono esserne la causa

principale, anche se nello sviluppo di un Paese intervengono talmente tante

variabili che risulta impossibile determinarle e quantificarle tutte quante40.

Tutto ciò non scredita l’utilità dell’ analisi di Ranis e Stewart (Ranis e

Stewart, 2001), poiché sottolinea l’importanza dello sviluppo umano, alla

base di ogni programma di riforma, come condizione necessaria ma non

1960-1970 1970-1980 1980-1992

vizioso vizioso SU-*

50

sufficiente per far progredire un Paese. Semmai mette in evidenza quanto

sia importante disporre di un indice sensibile di sviluppo umano, capace di

monitorare i progressi di una Nazione in maniera più fedele.

40. Tra le diverse variabili non quantificabili vi è la capacità di reazione di un popolo ad una crisi economica e sociale. Tale capacità è funzione della struttura sociale del Paese e della riserva di capitale sociale capace di adattarsi al cambiamento. In Argentina la crescita della disoccupazione, della precarietà lavorativa e della povertà, a metà degli anni ’90, costituirono le basi sociali di movimenti quali: i Cartoneros (comprende persone che in gruppo od individualmente percorrono le strade alla ricerca di rifiuti: materiali come la carta, vetro, plastica e metalli che prima della crisi si potevano acquistare per pochi centesimi, aumentarono la loro quotazione); i Piqueteros (i diversi gruppi che integrano questi movimenti tendono a confluire in manifestazioni e proteste per chiedere alimenti, sussidi di disoccupazione, sussidi per attività destinate all’autosostentamento o risolvere necessità di quartiere ); il Movimento delle Imprese Recuperate ( iniziative operaie per recuperare fabbriche in disuso od abbandonate dagli imprenditori per trasformarle in cooperative o imprese autogestite). Un’altra strategia di sopravvivenza messa in atto per attenuare gli effetti nocivi della crisi è il baratto. Da sempre utilizzato nelle piccole comunità e nelle società tradizionali, con l’avvento della crisi, in Argentina, lo scambio di beni e servizi viene organizzato in reti e nodi all’interno della città. I partecipanti (320.000 membri nel 2001) devono comprare e vendere dentro lo stesso nodo, diventando di fatto produttori e consumatori allo stesso tempo.<< La gente và al baratto con lo stesso rigore e costanza con cui si và a lavoro, solo che si tratta di un lavoro indesiderato>> (UNDP,2002).

51

ARGENTINA

52

PARTE SECONDA:

L’ INDICE DI SVILUPPOUMANO

53

1. VERSO LO SVILUPPO UMANO

Il concetto di sviluppo è sempre stato oggetto di discussioni ed analisi

incentrate principalmente su quali fossero le condizioni che

caratterizzassero il processo di sviluppo e quali dovessero essere gli

obiettivi di una politica per promuoverlo. Prima degli anni ’50 il processo

di sviluppo era concepito solo in termini economici. In tal senso,

l’attenzione degli economisti e dei governi era focalizzata sul PIL (Prodotto

Interno Lordo)41considerato unico vero indicatore di sviluppo. Il processo

di sviluppo era visto, in maniera etnocentrica, come una sorta di sentiero

universale che prima o poi tutti i Paesi dovevano percorrere. Promuovere lo

sviluppo nei Paesi arretrati significava trasportare modelli di sviluppo

occidentali, sulla base della considerazione che il sottosviluppo era solo un

ritardo storico. Il confronto fra i diversi Paesi avveniva a seconda del loro

posizionamento sul sentiero universale ed inevitabile che i Paesi di prima

industrializzazione avevano tracciato42(A. Mutti, 1974). Inoltre era

convinzione comune che la crescita economica, testimoniata dall’aumento

41. Il PIL (prodotto interno lordo) è il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno dei confini del Paese in un certo periodo di tempo. Nel suo calcolo rientra sia il valore dei beni materiali (case, cibo…) sia il valore dei servizi. Il valore di ogni bene e servizio è dato dal suo prezzo di mercato e la somma di tutti i valori genera il Prodotto interno lordo. Il PIL ignora tutto ciò che avviene al di fuori degli scambi commerciali (costi sociali ed ambientali, economie non di mercato come il volontariato e l’economia sommersa).

42. Secondo Rostow (“The stages of economic growth”, 1961) i Paesi ricchi ed industrializzati sono passati attraverso 5 stadi di sviluppo che saranno ripercorsi dai Paesi “arretrati”: stadio delle società tradizionali o preindustriali; stadio delle condizioni preliminari per il decollo; stadio del decollo; il passaggio verso la maturità; l’età del grande consumo di massa.

54

del PIL, avrebbe fatto ricadere i suoi effetti positivi sull’intera popolazione

migliorando la loro qualità di vita e determinando un generale innalzando

delle loro condizioni di vita (trickle down mechanism) (nuovi posti di

lavoro, aumento dei redditi, riduzione delle disuguaglianze e della povertà).

Negli anni ‘70 tali convinzioni vengono messe in discussione: ci si

allontana dall’etnocentrismo riconoscendo che il processo di sviluppo è un’

esperienza unica e specifica del Paese e comincia a maturare una nuova

visione non più centrata sull’identità crescita=sviluppo. L’evidenza

statistica, sulla base dell’esperienza dei Paesi in Via di Sviluppo, aveva

dimostrato che una rapida crescita a livello nazionale non riduceva la

povertà e la disuguaglianza, né offriva sufficiente occupazione. Nasce, così,

una nuova idea di sviluppo inteso come un processo multidimensionale che

presenta diverse sfaccettature sia di tipo quantitativo che qualitativo e per

tal motivo la crescita economica deve essere considerata solo come una

delle tante dimensioni dello sviluppo. In particolare nel 1976 l’ILO

pubblicò il Rapporto “ Employment, Growth and Basic Needs: a one world

problem” in cui veniva per la prima volta definita la Teoria dei Basic Needs

(bisogni fondamentali), dove si riconosceva l’importanza di ricorrere ad

elementi di valutazione dello sviluppo diversi dal reddito pro capite. Questo

rimaneva un importante indicatore di sviluppo, ma solo nella misura in cui

permetteva l’acquisizione ed il consumo di un paniere di beni e servizi

necessari (basic needs) per il raggiungimento di uno standard di vita

55

accettabile. Premessa necessaria per poter parlare di sviluppo per un Paese

è garantire uno standard minimo ai gruppi più poveri della popolazione (nei

livelli di salute, nutrizione, istruzione, igiene e la possibilità di avere un

lavoro adeguatamente remunerato per chiunque lo voglia)43. Rispetto alle

teorie tradizionali della crescita economica, che ponevano l’accento sulla

soddisfazione dei bisogni primari come conseguenza del processo di

crescita, la Teoria dei Basic Needs cambia completamente

prospettiva, sottolineando che solo attraverso il soddisfacimento delle

necessità basilari si favorisce la crescita economica.

Tale teoria trova, negli stessi anni, un’applicazione pratica nelle linee

programmatiche della World Bank guidata da Robert McNamara. Si inizia

a studiare dal punto di vista analitico le implicazioni operazionali nel

contrastare la povertà e garantire un reddito minimo ai più disagiati. Un

ulteriore approfondimento concettuale di tale teoria si deve a due

economisti dello sviluppo Paul Streeten (1981) e Frances Stewart (1985)44,

i quali sottolineano che l’obiettivo principale, nelle politiche di sviluppo,

deve essere quello di garantire il raggiungimento di uno stato di vita “piena

e soddisfacente” per tutti e non soltanto una determinata soglia di reddito: i

43. In particolare l’ILO (International Labour Organization) sottolineava che l’accesso ai basic needs da parte dei gruppi più poveri della popolazione sarebbe stato agevolato dal conseguimento di uno status occupazionale adeguatamente remunerato. Quindi per lo sviluppo di un Paese occorre aumentare la redditività del lavoro dei poveri ed operare cambiamenti nella struttura organizzativa della produzione.

44. Paul Streeten e Frances Stewart fanno parte del gruppo di consulenza esterna per la stesura degli Human development Report insieme, tra gli altri, ad Amartya K.Sen e Gustav Ranis citati in questa tesi.

56

poveri hanno bisogno di certi beni e servizi basilari; il reddito è un mezzo

per accedere ad alcuni di questi beni ma non permette di avere accesso a

tutti (es. beni pubblici); le persone sono il vero obiettivo dello sviluppo e la

crescita economica è un mezzo per migliorare la qualità della vita di esse;

un decente standard di vita dipende dai consumi di cibo, dallo stato di

salute, dall’accesso ai servizi45.

Con la teoria dei Basic needs si sposta l’attenzione dal PIL, riferito

all’intera collettività, alla condizione individuale; inoltre si sostiene che

attraverso la soddisfazione dei bisogni fondamentali si favorisce la crescita

45. Paul Streeten (1981) suggerisce una serie di indicatori utili per stimare le necessità di base. L’obiettivo di base dello sviluppo è garantire una vita minimamente decente in termini di particolari livelli di salute, nutrizione, istruzione, igiene, approvvigionamento d’acqua ed abitazioni.

BASIC NEEDS INDICATORI

SALUTE • Speranza di vita alla nascita

ISTRUZIONE• Alfabetizzazione• Iscrizioni alla scuola

Primaria

APPROVIGIONAMENTO D’ACQUA

• Mortalità infantile per 1000 morti

• % della popolazione con accesso all’acqua potabile

NUTRIZIONE • Assunzione di calorie pro capite

IGIENE

• Mortalità infantile per 1000 nati vivi

• %della popolazione con accesso ad installazioni igieniche

57

economica diversamente da ciò che affermavano i sostenitori delle teorie

sulla crescita. Ma è solo con Amartya K. Sen che si ha un radicale punto di

svolta nel dibattito sul concetto di sviluppo. Sen critica la Teoria dei Basic

Needs in quanto presuppone una normativa universale di quali siano i

bisogni fondamentali per gli esseri umani senza considerare le variazioni

individuali, culturali, sociali e di genere (per esempio una persona malata

con dei parassiti intestinali può richiedere più cibo di una sana, così come

un abbigliamento adeguato può essere importante in una cultura ed

assolutamente insignificante in un'altra). Egli concorda con tale approccio

nel considerare le persone obiettivo finale dello sviluppo, ma l’enfasi posta

sui bisogni fondamentali, in termini di possesso di beni e servizi, e sulla

loro mancanza, come indicatore della necessità di concentrarsi sul loro

approvvigionamento, implicherebbe una base produttiva, non discostandosi

di molto dalle teorie precedenti sulla crescita. Egli sostiene che il benessere

e lo sviluppo vanno al di là del possesso di merci e che non tutte le merci

che contribuiscono al benessere possono essere comprate, ad esempio l’aria

fresca e l’assenza di crimine (Sen, 1985), inoltre <<….i bisogni primari

sotto forma di fabbisogno di merci sono strumentalmente importanti. Il

problema principale è la vita che si è in grado di condurre. Il bisogno di

merci per lo specifico conseguimento di un qualsiasi livello di vita può

variare grandemente a seconda della varietà contingente delle

caratteristiche fisiologiche, sociali, culturali e d’altro genere..>>( Sen,

58

1993). Per Sen sviluppo significa ampliamento delle capacità degli

individui. La sua struttura teorica trova fondamento nei concetti di capacità

(capabilities) e funzionamenti (functionings), elementi chiave di quello che

è stato da lui stesso definito <<approccio delle capacità>>. I funzionamenti

sono le varie cose che una persona è in grado di essere e di fare con i beni

in suo possesso, date le proprie caratteristiche personali, le caratteristiche

del bene e le influenze esterne (culturali, sociali); per tal motivo i

funzionamenti sono le diverse condizioni di vita che una persona è in grado

o meno di realizzare. Le capacità si riferiscono alle combinazioni

alternative di funzionamenti che la persona è in grado di realizzare, in

questo modo la capacità è un tipo di libertà sostanziale, la libertà di

realizzare combinazioni alternative di funzionamenti (Sen, 2000/a). La

definizione di sviluppo è centrata sulle persone; per tal motivo secondo

l’approccio di Sen quando ci si interroga sulle politiche per promuovere lo

sviluppo nei Paesi, occorre concentrarsi su ciò che le persone sono

effettivamente in grado di fare e di essere, non solo su quanta parte del PIL

è destinata alla spesa pubblica. Per Sen lo sviluppo di un Paese coincide

con il suo grado di libertà da impedimenti che permette alla gente di

condurre la vita che vuole condurre: libertà dalla povertà, dalla

malnutrizione infantile, dall’analfabetismo, dalle disuguaglianze di genere

e dalle ingiustizie politiche e sociali, libertà di partecipare come

componenti attivi ai processi politici ed economici che promuovono il

59

cambiamento e riguardano specificatamente la vita di ogni membro della

comunità.

Come abbiamo visto, il termine “sviluppo” si è arricchito nel tempo di

nuove accezioni, non più basate su elementi “esterni” in cui la gente è

spettatrice passiva di un processo determinato da altri, ma uno scenario in

cui le persone assumono il ruolo di attori principali di quell’ evoluzione che

coinvolge in prima persona le proprie vite e la cui finalità ultima è il

benessere di tutti……si è arrivati dunque allo sviluppo umano.

60

2. I RAPPORTI SULLO SVILUPPO UMANO

Una équipe di specialisti dell’UNDP46 (United Nations Development

programme, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) ed un gruppo

di studiosi e consulenti esterni sotto la guida di Mahbub ul Haq (ideatore

dei Rapporti) hanno pubblicato nel 1990, il primo “Rapporto sullo sviluppo

umano” (Human Development Report). In esso si si definiva il concetto

stesso di sviluppo umano e si introduceva un Indice, Human Development

Index (HDI) per la misura dello sviluppo. Il primo Rapporto UNDP si apre

con queste parole: <<Questo Rapporto si occupa della gente e del modo in

cui lo sviluppo ne amplia le scelte. Si occupa di questioni che vanno al di là

di concetti quali crescita del PNL, reddito e ricchezza, produzione di beni

ed accumulazione di capitale. La facoltà di una persona di avere accesso ad

un reddito rappresenta una di queste possibilità di scelta, ma non la somma

totale delle aspirazioni umane >>, continua nel primo capitolo: << La vera

ricchezza di una nazione è la sua gente. L’obiettivo fondamentale dello

sviluppo è la realizzazione di un ambiente che consenta alla gente di godere

una vita lunga, sana e creativa>>(UNDP, 1990). Da tali parole emergono

46. L’UNDP è stata istituita nel 1965 come organo sussidiario dell’ONU allo scopo di favorire lo sviluppo dei Paesi, soprattutto di quelli più poveri. Sostiene e promuove programmi nel campo della salute, dell’istruzione, della nutrizione e si occupa delle infrastrutture in campo agricolo ed industriale. Ha sede a New York ma ha delle agenzie dislocate in diversi Paesi, allo scopo di valutare e monitorare sul posto i vari programmi di sviluppo. La FAO, l’UNESCO, l’ILO, L’OMS, FMI e la World Bank già citate in questa tesi , sono invece organismi autonomi affiliati all’ONU in base a particolari accordi.

61

aspetti importanti che caratterizzano l’approccio allo sviluppo umano.

Primo fra tutti il ruolo delle persone come artefici ed attori principali nello

scenario dello sviluppo e non semplici destinatari “d’uso”, come

specificato nel secondo Rapporto : << deve essere lo sviluppo delle

persone, promosso dalle persone, per le persone>> (“development is of the

people, for the people and by people”) (UNDP, 1991). Il secondo aspetto

riguarda la considerazione del reddito come un mezzo e non un fine, in

quanto le persone attribuiscono valore ad elementi che non compaiono

nelle statistiche sui redditi: alimentazione e servizi sanitari migliori,

accesso all’istruzione, migliori condizioni di lavoro, sicurezza contro il

crimine e la violenza, partecipazione alle attività economiche, culturali e

politiche che li riguardano. Terzo aspetto, il più importante, è che

l’obiettivo principale dello sviluppo è offrire vantaggi alle persone

ampliando le scelte a loro disposizione per la formazione ed il

potenziamento delle capacità umane. Si definisce così lo “sviluppo umano”

come il processo di ampliamento delle scelte della gente. Tali scelte

possono essere infinite e cambiare nel tempo ma, come affermato nel primo

rapporto (UNDP, 1990), a qualsiasi livello di sviluppo le tre opzioni

essenziali sono la possibilità di condurre una vita lunga e sana, di acquisire

conoscenze e di accedere alle risorse necessarie ad un tenore di vita

dignitoso. Se tali scelte non sono disponibili, molte altre rimangono

inaccessibili. Il concetto di sviluppo umano racchiude in sè due aspetti: la

62

formazione delle capacità umane, quali migliore salute, conoscenze e

capacità professionali, e l’uso che le persone fanno delle capacità acquisite

per il lavoro od il tempo libero. Tale approccio offre un nuovo modo di

vedere lo sviluppo prendendo in considerazione la condizione umana in

totis, allontanandosi in maniera più marcata dalle teorie che considerano le

persone come mezzi (teorie sulla crescita o approccio dello sviluppo delle

risorse umane47) o come beneficiarie del processo di sviluppo (teorie del

benessere e dei bisogni fondamentali). La teoria di Sen sulle capacità e sui

funzionamenti hanno costituito le fondamenta teoriche della definizione del

concetto di sviluppo umano: scopo dello sviluppo è migliorare le vite

umane, espandendo la serie di cose che una persona può essere o può fare

nel corso della propria esistenza (<<funzionamenti e capacità alle funzioni,

la serie di cose che una persona può fare ed essere nella sua vita.>> (Sen,

1989)). Come sottolineano Anand e Sen (1994), molte persone nel mondo

continuano a patire l’assenza di opportunità fondamentali per condurre vite

“decenti” e soddisfacenti. Un bambino appena nato può essere condannato

ad una vita dalla brevità estrema o di disagio intenso se a quel bambino

accade di nascere in un “Paese sbagliato”, in una “classe sbagliata” o essere

47. Tale approccio sostiene investimenti nel capitale umano, includendo salute, nutrizione ed istruzione, basandosi sul loro contributo alla generazione di reddito, come un investimento per migliorare il potenziale produttivo. I sostenitori dell’approccio dello sviluppo umano sostengono miglioramenti nelle condizioni di vita delle persone anche se il ritorno economico di tale investimento fosse zero (Anand e Sen, 1994). Inoltre gli esseri umani sono qualcosa di più che beni capitali per la produzione di merci, sono anche il fine ultimo ed i beneficiari di questo processo(UNDP, 1990).

63

del “sesso sbagliato”. Perciò sviluppo vuol dire rimuovere gli ostacoli alle

cose che una persona può fare nella vita; ostacoli come la malnutrizione,

l’analfabetismo, la mancanza di accesso alle risorse o la mancanza di

libertà civile e politica che riducono quella che da Sen è stata definita la

“libertà sostanziale”(Sen, 2000/a). Il trickle down mechanism, inoltre, è

smentito dall’esperienza dei diversi Paesi: molti Paesi sono cresciuti

(economicamente) in maniera veloce senza un impatto commisurato sulle

condizioni di vita delle persone ed altri invece hanno registrato un

incremento notevole nella qualità della vita nonostante la crescita moderata

del Pil pro capite. E’ certamente vero che se aumenta il reddito medio di un

Paese, aumenta la probabilità che esso tenda ad avere una durata presunta

della vita più alta, tassi di mortalità infantile più bassi ed alfabetismo più

alto, ossia un indice di sviluppo umano più alto (vedere il ciclo crescita

economica-sviluppo umano citato nel paragrafo 6 della prima parte di

questa tesi). Ma tale relazione è ben lontana da essere perfetta. Vi sono

Paesi come la Cina ed il Costa Rica che hanno registrato livelli di sviluppo

umano48enormemente più alti rispetto a quello che si sarebbe aspettato sulla

48. Sin dal primo rapporto sullo sviluppo umano, l’UNDP evidenziava come la classificazione dei Paesi in base all’Indice di Sviluppo Umano producesse risultati molto diversi dalla classificazione risultante dal PNL pro capite:in particolare, nel primo rapporto, relativamente alla loro classificazione sulla base del reddito, alcuni Paesi come l’Arabia Saudita, l’Algeria e Senegal, per citarne alcuni, si situavano in posizioni più basse della lista quando venivano classificati in base all’Indice di Sviluppo Umano, rivelando di dover ancora tradurre il proprio reddito nei livelli corrispondenti di sviluppo umano. Altri Paesi come Costa Rica e Sri Lanka occupavano posizioni decisamente migliori nella classifica dello sviluppo umano che in quella del reddito, dimostrando di aver orientato le loro risorse economiche verso alcuni aspetti dello sviluppo umano (UNDP, 1990). Anche se la metodologia nel calcolo dell’ISU è cambiata nel tempo, tali discrepanze nelle due classificazioni si sono riscontrate anche nei Rapporti successivi, relativamente a Paesi diversi.

64

base del loro PNL o Pil pro capite. In effetti, nei confronti tra Paesi, le

variazioni di reddito tendono a spiegare non più di 0.5 le differenze nella

speranza di vita alla nascita o nella mortalità infantile e spiegano una

piccola parte delle variazioni nelle percentuali di alfabetismo adulte (Anand

e Ravallion, 1993 citato da Anand e Sen, 1994)49. Ciò che fa la differenza è

l’uso che si fa delle risorse generate (impiegate per migliorare i servizi

sociali come l’assistenza sanitaria pubblica, l’istruzione di base,

approvvigionamento d’acqua, ecc..) ed in che modo i frutti della crescita

sono suddivisi tra la popolazione (per la riduzione della povertà)50. Per tale

motivo i fautori dello sviluppo umano sottolineano l’importanza della

crescita economica come un mezzo tenendo sempre ben presente

l’obiettivo finale che è quello di espandere le capacità delle persone

rendendole artefici del proprio destino (UNDP, 1996). Sin dalla prima

apparizione del Rapporto sullo Sviluppo Umano, Amartya Sen ha avuto un

49. Dove un valore di 2R = 0.45 è ottenuto nel regredire il logaritmo dell’ammanco di speranza di vita (da un massimo ipotizzato di 80 anni) con il logaritmodel PNL per persona. L’equazione è : ( ) ( ),log45.015.680log YL +−=−− con R 2 =0.45, (2.07) (4.00) , dove L = speranza di vita alla nascita in anni ed Y = PNL per persona ($PPA) (Anand e Ravallion, 1993).

50. Diversi sono gli studi empirici che dimostrano che la crescita economica non si traduce automaticamente in migliore qualità della vita. Uno dei lavori empiri più citato dagli analisti del settore è quello di Anand e Ravallion(1993). Basandosi sui dati di 22 Paesi (quelli per cui le statistiche attinenti erano disponibili), essi hanno trovato che quando le variazioni della durata presunta della vita sono collegate con la spesa per la salute pubblica pro capite ed un indice di povertà, l’aggiunta del PNL pro capite come un ulteriore variabile esplicativa produce un coefficiente che non è significativamente diverso da zero. Ciò dimostra che la crescita del PNL produce miglioramenti ma molto dipende da come i frutti della crescita economica sono suddivisi (in particolare ciò che spetta al povero) e come le risorse supplementari sono impiegate per sostenere i servizi pubblici (per esempio investimenti nel settore della salute pubblica che influenza fortemente la durata presunta della vita). (Anand e Sen, 1994)

65

ruolo decisivo nel plasmare il concetto di sviluppo umano, influenzandone

ed arrichendone il significato nel corso degli anni51, ed insieme a Sudhir

Anand ha fornito gli strumenti di misura dello sviluppo umano concependo,

su richiesta di Mahbub ul Haq52, un indice che misurasse il progresso delle

vite umane: l’Indice di Sviluppo Umano (Human Development Index).

I Rapporti53 sullo sviluppo umano vengono pubblicati annualmente dal

1990. Ad oggi ne sono stati pubblicati 14. Ogni Rapporto pone l’attenzione

su aspetti diversi che riguardono lo sviluppo umano, cercando di

approfondire attraverso una serie di indicatori tematiche che cercano di

migliorare la valutazione dello sviluppo umano nei diversi Paesi54.

L’utilizzo di ulteriori indicatori (sociali ed economici) sottolinea

l’intenzione da parte dell’UNDP di non racchiudere l’intero concetto di

51. Amartya Sen e Sudhir Anand sono gli artefici di molti capitoli concettuali e strumenti di misura dei Rapporti sullo sviluppo umano. Sono anche gli ideatori dell’Indice di povertà umana oltre che dell’ISU.

52. Ex ministro delle finanze pakistano ed ideatore del Rapporto. Dal 1995 il direttore dei Rapporti sullo Sviluppo Umano è Sakiko Fukuda Parr.

53. Ai Rapporti Globali (Global Report) pubblicati annualmente dall’UNDP che presentano l’Indice di Sviluppo Umano per i Paesi i cui dati sono reperibili ed affidabili, si sono aggiunti Rapporti Regionali (Regional Reports) e Rapporti Nazionali (National Reports).

54. Ogni Rapporto affronta un tema di approfondimento diverso: concetto e misura dello sviluppo umano (1990); finanziamento dello sviluppo umano, in particolar modo nei Paesi in Via di Sviluppo (1991); dimensioni globali dello sviluppo umano (1992); la partecipazione della gente (1993); la dimensione della sicurezza umana ossia la possibilità di non sentirsi minacciati nelle proprie case, nella vita professionale o dal degrado ambientale (1994); relazione tra ineguaglianza di genere e sviluppo umano (1995) con l’introduzione di due nuovi indici, l’Indice dello Sviluppo Umano di Genere (ISG) e la Misura dell’Empowerment di Genere (MSG); legame tra crescita economica e sviluppo umano (1996); il tema della povertà umana con l’introduzione di un nuovo indice di deprivazione, l’Indice di Povertà Umana (IPU) (1997); i consumi (1998); la globalizzazione (1999); i diritti umani (2000); le nuove tecnologie a servizio dello sviluppo umano (2001); la democrazia per lo sviluppo umano (2002) ed i Millenium Development Goals ossia gli obiettivi che si è prefissata l’ONU per il 2015 a che punto siamo e quali sono ancora i passi da compiere (2003).

66

sviluppo umano nel valore dell’ISU. Il concetto di sviluppo umano è un

concetto ampio che comprende nel proprio interno diverse dimensioni della

vita umana. I Rapporti redatti dall’UNDP hanno cercato di catturare alcune

di queste dimensioni quelle ritenute fondamentali, ma rappresentando essi

stessi dei works in progress, alla luce anche delle critiche ricevute, l’

approccio di base ha avuto maggior estensione ed approfondimento. Nel

settimo Rapporto (UNDP, 1996) il concetto di sviluppo umano includeva le

seguenti dimensioni:

• Equità: lo sviluppo umano deve essere un processo che coinvolge

tutti senza discriminazioni di genere, sociali, culturali ed

economiche. Tutti devono godere di pari opportunità e di capacità di

base ciò include la possibilità per tutti di condurre una vita lunga e

salutare e di conseguire un’istruzione.

• Sostenibilità: deve essere un processo che abbia la capacità di porre

le basi per perdurare nel tempo, in questo senso sostenibile. Per tale

motivo molto spesso l’UNDP al termine sviluppo umano sostituisce

quello di sviluppo umano sostenibile55 intendendo con questo quel

processo che permette a tutti oggi di condurre vite meritevoli senza

55. Nel 1987 la World Commission on Environment and Development, conosciuta come Commissione Bruntland, pubblicò il rapporto “Our Common Future”, il quale introduceva il concetto di sviluppo sostenibile definendolo come uno sviluppo che soddisfi i bisogni presenti senza compromettere l’abilità delle future generazioni di soddisfare i propri. Tale definizione comprende al suo interno due concetti chiave ossia soddisfi i bisogni primari di tutte le persone in particolare dei poveri (in tal senso è collegato al concetto di eguaglianza e che il ritmo di diminuzione delle risorse non rinnovabili precluda il meno possibile ogni opportunità futura.

67

compromettere le opportunità per le future generazioni. Un mezzo

per ottenere la sostenibilità è la redistribuzione alle persone povere,

migliorando la loro capacità di condurre vite soddisfacenti, poiché,

per esempio, un aumento generale nel livello di istruzione oggi

eleverà un domani la produttività e genererà redditi più alti; così

come l’istruzione materna ha un ruolo importante nel ridurre il tasso

di mortalità infantile ed il tasso di natalità56, preservando quindi la

qualità della vita delle future generazioni e la disponibilità delle

risorse non rinnovabili dell’ecosistema (Anand e Sen, 1994).

• Empowerment: le persone devono essere coinvolte in ogni

processo economico, sociale e culturale che coinvolge le proprie

vite e non beneficiari passivi del processo di sviluppo.

• Cooperazione: lo sviluppo umano si riferisce non solo alle

persone in quanto individui ma anche alla loro interazione e

cooperazione all’interno della società. La possibilità di interagire

e di associarsi utilizzando l’amplia rete di strutture sociali

(famiglia, stato, associazioni, gruppi culturali, ecc..) permette alle

persone di vivere bene insieme, di essere motivata e di ampliare

56. Con lo sviluppo economico e sociale il mondo industrializzato ha assistito ad un brusco calo del tasso di natalità. Ciò che sembra aver giocato un ruolo determinante è stata l’espansione dell’istruzione materna, insieme alla disponibilità delle installazioni mediche (compresa la possibilità d’uso di metodi contraccettivi per il controllo delle nascite) e la riduzione dei tassi di mortalità (non essendo più necessario partorire molti bambini per assicurarsi che alcuni sopravvivano). Per cui l’espansione delle libertà di scelta salvaguardano da sole l’ecosistema.

68

le loro scelte individuali.

• Sicurezza: ogni persona dovrebbe godere di un livello minimo di

sicurezza che non riguarda solo il rischio di essere sottoposti a

crimini e violenza, ma principalmente la sicurezza dei mezzi di

sussistenza che comprende la sicurezza di poter avere un lavoro

adeguatamente remunerato.

Sin dalla loro nascita i Rapporti sullo Sviluppo Umano si sono proposti

come uno strumento per i policy makers per monitorare e promuovere

politiche di sviluppo; ma la loro nascita è principalmente motivata dal

desiderio di spostare l’attenzione dallo sviluppo economico e dal reddito

nazionale a dimensioni non monetarie del benessere. L’ultima decade è

stata protagonista di numerosi eventi economici, sociali, politici e

tecnologici che hanno modificato profondamente non solo il mondo in cui

viviamo (l’era della globalizzazione e della democratizzazione dei popoli)

ma hanno determinato un cambiamento nelle aspirazioni umane. L’UNDP

ha riflettuto tali cambiamenti anche nella definizione stessa dello sviluppo

umano con un più forte ed esplicito riferimento alle libertà civili e

politiche: << Lo sviluppo umano è creare un ambiente nel quale le persone

possono sviluppare il proprio pieno potenziale e condurre vite produttive e

creative in accordo ai loro bisogni ed interessi […] Fondamentale per

ampliare le scelte è costruire le capacità umane, la serie di cose che una

persona fa od è nel corso della sua vita. Le principali capacità basilari per

69

lo sviluppo umano sono condurre una vita lunga e salutare, essere istruito,,

avere accesso alle risorse di cui si ha bisogno per un decente standard di

vita ed essere in grado di partecipare alla vita della comunità. Senza queste,

molte scelte sono semplicemente non disponibili e molte opportunità nella

vita rimangono inaccessibili>> (UNDP, 2001).

70

3. L’INDICE DI SVILUPPO UMANO

Nel primo Rapporto sullo sviluppo umano fa il suo ingresso per la prima

volta un Indice composito, l’Indice di Sviluppo Umano, atto a classificare i

Paesi in base al loro posizionamento ottenuto nella scala dello sviluppo

umano. I motivi che spinsero in tale direzione furono diversi: quello di

offrire un rivale del “sovrausato” e “sovravenduto” Prodotto Nazionale

Lordo (UNDP, 1999); attirare attenzione verso il concetto di sviluppo

umano ma non confondendo il concetto con la sua misurazione ( <<se la

contabilità dello sviluppo umano è una casa, allora l’ISU è la porta. Non

bisogna confondere la porta per la casa e ti prego di non fermarti alla porta,

entra in casa>> (Jahan57, 2001)); per favorire, attraverso la classificazione

dei Paesi sulla scala dell’ISU, una sana e produttiva competizione

(specialmente tra quelli vicini geograficamente, come per esempio India e

Pakistan). Nel costruire l’ISU, si individuarono cinque caratteristiche

principali che tale indice doveva possedere (Jahan, 2001):

o Semplicità: un indice di facile interpretazione e che non richiedesse

numerosi calcoli per la sua determinazione;

o Universalità: un indice che avesse rilevanza universale; ossia che

fosse applicabile sia ai Paesi sviluppati che a quelli in via di sviluppo

57. Selim Jahan è attualmente consulente anziano del Bureau for Development Policy e United Nations Development Programme (UNDP). E’ stato Direttore Deputato dell’Human Development Reports Office dell’UNDP dal 1996 al 2001 ed uno dei principali autori degli Human Development Reports dal 1992 al 2001.

71

o Sufficiente attrattiva: tale da catturare l’attenzione dei policy makers,

accademici ed analisti dello sviluppo;

o Pluralismo: l’indice composito doveva riflettere aspetti

multidimensionali delle vite umane, ossia doveva essere pluralista e

non monocentrico;

o Sintesi: sintetico rispetto alla complessità di informazioni date da

tutti gli indicatori e le tabelle presenti nei rapporti.

Il processo di sviluppo può essere visto in due modi: da una prospettiva

conglomerativa in termini di progressi fatti da ogni gruppo della

comunità, concentrandosi sui miglioramenti avuti dai ricchi come quelli

avuti dai poveri; e da una prospettiva deprivazionale in cui lo sviluppo è

giudicato in base agli avanzamenti in termini di qualità della vita da

parte dei poveri e dei più svantaggiati (Anand e Sen,1997). L’UNDP,

nel costruire un indice composito per la misura dello sviluppo umano ha

seguito una prospettiva conglomerativa in cui si considerano i progressi

di tutti, compresi coloro che già si trovano in una situazione

vantaggiosa, e dove i progressi fatti da ogni gruppo vengono riflessi

nella media nazionale (un incremento della speranza di vita di un

gruppo determina un innalzamento della speranza di vita della nazione e

di conseguenza un miglioramento dell’Indice di Sviluppo Umano). Lo

scopo dell’ISU è misurare i conseguimenti medi nello sviluppo umano

dei diversi Paesi. Ma essendo lo sviluppo umano una realtà complessa,

72

multidimensionale gli indicatori da inserire nel suo calcolo sarebbero

troppi. Inoltre la serie di capacità umane è infinita ed il valore che gli

individui assegnano ad ognuna di esse varia da una persona all’altra, da

una comunità all’altra e con il tempo. Per tali motivi l’UNDP adottò due

criteri nel decidere quali capacità fossero più importanti: il criterio della

universalità ossia universalmente stimate da tutti i popoli del mondo, e

che fossero basilari ossia considerate essenziali per il conseguimento di

altri aspetti del benessere umano e senza le quali molte altre opportunità

rimarrebbero precluse (Fukuda Parr, 2002). La scelta ricadde su tre

dimensioni della vita umana: la longevità che riproduce la facoltà di

vivere a lungo ed in buona salute; i risultati scolastici che rispecchiano

la capacità di acquisire conoscenze, comunicare, capire e partecipare

alla realtà sociale a cui si appartiene; e l’accesso alle risorse per un

tenore di vita dignitoso (UNDP, 1994).

Tali capacità basilari rispecchiavano in pieno i criteri menzionati sopra

ed allo stesso tempo aprivano la strada ad altre dimensioni della vita

umana ugualmente importanti come la partecipazione, la sicurezza, la

cooperazione. Anche se nel tempo l’ISU ha subito numerose

trasformazioni allo scopo di raffinamento, tra cui la modalità di calcolo,

limitando la possibilità di confronto fra indici riferiti ad anni diversi, le

tre dimensioni incluse in esso sono rimaste le stesse; semmai sono

cambiati gli indicatori utilizzati per la loro misurazione. Per misurare le

73

dimensioni del benessere umano incluse nell’ISU sono attualmente

(UNDP, 2003) utilizzati i seguenti indicatori:

� La speranza di vita alla nascita58 per misurare la longevità;

� Il tasso di alfabetizzazione adulta59 (con un peso pari a due terzi) ed

il rapporto lordo di iscrizioni congiunte ai livelli di istruzione

primario, secondario e terziario60 (con un peso di un terzo) che

vengono combinati insieme (sommati) per misurare i risultati

scolastici;

� Il PIL reale pro capite61 (in dollari USA PPA) per misurare lo

standard di vita (viene considerato il logaritmo) .

Ognuna di queste variabili è normalizzata attraverso un processo di scaling

ossia per ogni variabile sono selezionati un valore minimo ed un massimo e

la differenza tra il massimo ed il minimo valore definisce la scala. La

normalizzazione viene fatta perché le variabili presentano unità di misura

diverse (anni , percentuali e dollari) e per poter essere combinate insieme in

58. La speranza di vita è data dal numero di anni che un neonato potrebbe vivere se i tassi prevalenti di mortalità al momento della sua nascita si mantenessero costanti nel corso della sua vita. Tale indicatore riflette altri aspetti essenziali della vita umana, poiché la longevità è correlata alla qualità della vita: un’adeguata nutrizione, godere di buona salute, la qualità del sistema sanitario sono tutti fattori che influenzano la speranza di vita alla nascita.

59. Il tasso di alfabetizzazione degli adulti è dato dalla percentuale di persone di età uguale o superiore a 15 anni in grado di leggere e scrivere brevi e semplici frasi sulla loro vita quotidiana.

60. Il rapporto lordo di iscrizione è dato dal rapporto fra il numero di iscritti alla scuola primaria, secondaria e terziaria e la popolazione delle corrispondenti fasce d’età(per esempio quanti bambini in età compresa fra 6 e 10 anni frequentano la scuola primaria rispetto al numero complessivo di bambini che appartengono a questa fascia d’età.

61. Vedere la nota n°14 per la Parità di Potere d’Acquisto e la nota n°41 per il Pil.

74

un indice composto devono essere espresse in una unità di misura comune;

lo scaling, invece, ci dà informazione su quanta strada hanno percorso i

Paesi relativamente ad ogni dimensione ed allo stesso tempo definisce quali

sono gli obiettivi da raggiungere. Così gli indici elementari relativi ad ogni

dimensione vengono calcolati in questo modo:

ijij

ijijij xminimovalorexmassimovalore

xminimovalorexosservato(valoreI

−=

− )

dove la lettera i indica l’indicatore di riferimento e j il Paese (con i=1,2,3,4

e j=1,…,174 i Paesi per i quali viene calcolato l’ISU attualmente). Il

numero così ottenuto ci indica qual’e la posizione del Paese riguardo ad

una dimensione della vita umana (longevità, conoscenza e standard di vita)

all’interno di una scala che và da zero ad uno. Il valore dell’ISU62 relativo

al paese j, è ottenuto mediante una semplice media aritmetica dei tre indici

62. Quando apparve per la prima volta nel primo Rapporto sullo Sviluppo Umano, l’ISU era costruito da una prospettiva deprivazionale. L’Indice di privazione medio era ottenuto mediante la definizione di una misura della privazione sofferta da un Paese in ciascuna delle tre variabili di base, ossia:

ijij

ijijij minXmaxX

XmaxXI

−=

dove I ij è l’indicatore di privazione del Paese j-esimo rispetto alla variabile i-esima (per l’individuazione dei valori di max e min vedere le pagine successive di questa tesi). Successivamente veniva definito l’Indice di privazione medio del Paese j come:

3

II

3

1ij

j

∑== i

L’ISU del Paese j-esimo era dato da ISU j =1- I j . Questa metodologia di calcolo dell’ISU venne definitivamente abbandonata a partire dal quinto Rapporto sullo sviluppo umano.

75

elementari:

∑==

3

1i

ijJ 3

IISU

L’Indice di Sviluppo Umano così ottenuto varia da zero (nessun prodotto

in termini di sviluppo umano in tutte e tre le dimensioni) ad uno (massimo

valore auspicabile) ed indica quanta strada ha percorso il Paese considerato

e quanta ne rimane da percorrere.

Nel computo dell’ISU le tre variabili hanno un ugual peso perché esse sono

considerate capacità basilari in ugual misura importanti per poter parlare di

sviluppo umano e necessarie per costruire le altre capacità. Inoltre non c’è

alcuna assunzione di sostituzione fra esse: uguale importanza, uguale ruolo,

uguale peso (Jahan, 2001).

A seconda del valore dell’ISU ottenuto, i Paesi vengono classificati in tre

categorie: ad alto sviluppo umano, a medio sviluppo umano ed a basso

sviluppo umano (vedere tabella 1).

Tabella 1.Classificazione dei Paesi in base al valore dell’ISU.

Categorie Valore ISU

ALTO SVILUPPO UMANO 0.800ISU ≥

MEDIO SVILUPPO UMANO 0.800ISU0.500 <≤

BASSO SVILUPPO UMANO 0.500ISU <

76

Fino al 1994 i valori massimi e minimi di riferimento erano dati dalla

performance migliore e peggiore relativamente ad ogni indicatore registrata

dai Paesi considerati : per esempio, nel primo Rapporto i valori minimi

erano stati individuati prendendo per ogni indicatore i più bassi valori

nazionali del 1987, ed essi erano, per la speranza di vita alla nascita, 42

anni (in Etiopia, Afghanistan e Sierra Leone), per l’alfabetizzazione degli

adulti il 12% della Somalia e per il Pil reale pro capite il valore minimo era

di 220$ (PPA $) registrato nello Zaire (UNDP, 1990); criteri analoghi

erano impiegati per determinare i valori massimi. Tale metodo però non

permetteva di confrontare i valori dell’ISU con riferimento ad anni diversi

poiché la posizione del Paese all’interno della graduatoria poteva

peggiorare o migliorare anche se i valori delle tre variabili rimanevano

costanti, solo per effetto del cambiamento dei valori estremi.

Per tale motivo nel 1994 vengono fissati per ogni variabile dei valori

massimi e minimi individuati basandosi sui trends delle variabili ed il loro

possibile valore nei prossimi 25 anni (UNDP, 1994). Cosicché per la

speranza di vita il minimo valore è dato da 25 anni mentre il massimo

(quello auspicabile) è dato da 85 anni; l’alfabetizzazione adulta ed il

rapporto lordo di iscrizioni congiunte hanno soglie pari a 0% e 100% ed il

Pil reale pro capite ha come valori estremi 100 dollari USA PPA e 40.000

dollari USA PPA (tabella 2).

77

Tabella 2. Valori di riferimento per il calcolo dell’ISU.

INDICATORE VALORE MINIMO

VALORE MASSIMO

Speranza di vita alla nascita (anni)

25 85

Tasso di alfabetizzazione adulta

(%)

0 100

Rapporto lordo di iscrizioni congiunte (%)

0 100

Pil pro capite (PPA $) 100 40.000

Esempio di calcolo dell’ISU per l’Argentina (fonte dei dati: UNDP,

2003, dati riferiti al 2001):

L’Argentina presenta i seguenti valori relativi alle quattro variabili

considerate nell’ISU :

INDICATORI VALORI

Speranza di vita alla nascita

73,9

Tasso di alfabetizzazione

adulta

96,9

Rapporto congiunto delle iscrizioni

scolastiche a livello primario secondario

e terziario

89

Pil reale pro capite (dollari PPA)

11.320

78

� L’Indice della speranza di vita è: 815,02585259.73IS =

−−

=

� L’Indice dell’alfabetizzazione adulta è: 969,0010009.96Ia =

−−

=

� L’Indice del rapporto lordo di iscrizioni congiunte a livello

primario,secondario e terziario è: 890,00100089Ir =−−

=

� L’Indice dei risultati scolastici è dato dalla combinazione dell’Indice

dell’alfabetizzazione (peso 2/3) e l’indice del rapporto lordo

congiunto di iscrizione a livello primario-secondario-terziario (peso

1/3): 943,03

)890,0(1)969,0(23

I12II ra

ra =+

=+

=

� L’Indice del Pil reale pro capite (dollari PPA) aggiustato è:

789.0)100log()000.40log()100log()320.11log(IPIL =

−−

=

� L’Indice di Sviluppo Umano è una semplice media aritmetica

dell’indice relativo della speranza di vita, dell’indice dei risultati

scolastici e di quello relativo al Pil reale pro capite (in dollari PPA) :

849,03

789,0943,0815,03

IIIISU pilras =

++=

++=

79

4. LIMITI DELL’ISU

Sin dalla sua apparizione nel primo Rapporto sullo Sviluppo Umano, l’ISU

è stato oggetto di numerose critiche favorendo un vivace e costruttivo

dibattito tra gli analisti dello sviluppo. In esso sono stati riscontrati sia

limiti di natura concettuale che limiti di carattere operativo.

Utilizzare un indice per misurare la complessità multidimensionale dello

sviluppo umano, racchiudendo un concetto che per sua natura vuole

abbracciare ogni aspetto delle vite umane, in un indice sintetico, era visto

dagli studiosi dello sviluppo come stabilire una normativa universale di

quali fossero i valori umani più importanti, e per tale motivo non si

discostava di molto dalle teorie precedenti del benessere o della crescita.

Ma lo stesso Sen, costruttore dell’ISU, sottolinea (Sen, 2000/b) che lo

sviluppo umano và ben oltre l’ISU, per tale motivo la lettura del valore

assunto dall’Indice di Sviluppo Umano và fatta tenendo presente la serie di

indicatori che, a seconda del tema di approfondimento, vengono esposti in

ogni Rapporto. Una delle maggiori critiche che ha ricevuto l’ISU riguarda

il non includere la dimensione della libertà e dei diritti umani (Dasgupta,

1990). Il Rapporto n.2 (UNDP, 1991) ha cercato di rimediare a questa

omissione costruendo un Indice della Libertà Umana (ILU) e

successivamente (UNDP, 1992) un Indice della Libertà Politica (ILP),

basandosi su valutazioni qualitative e non su dati quantificabili. L’ILU

misurava la libertà derivato da 40 criteri classificati nella World Human

80

Rights Guide del professore Charles Humana ricollegabili ai diritti umani

riconosciuti a livello internazionale: dalla libertà di espressione alla

uguaglianza etnica e sessuale e così via. L’ILP era costruito utilizzando 21

indicatori che misuravano la libertà di espressione, la partecipazione

politica, la sicurezza personale, lo stato di diritto, l’uguaglianza di

opportunità. Tali Indici non vennero mai inseriti nel calcolo dell’ISU,

l’UNDP si giustificò sostenendo la difficoltà di reperire dati statistici

affidabili e per la difficoltà di trovare indicatori e sistemi di ponderazione

adeguati non potendo stabilire oggettivamente quali libertà avessero

maggior peso. In particolare sostenne che l’Indice di Libertà Politica non

poteva essere inserito nel computo dell’ISU per la sua forte instabilità

potendo la libertà politica apparire o svanire bruscamente (come in caso di

colpi di stato o guerre). Più recentemente l’UNDP ha dedicato un intero

Rapporto ai diritti umani (UNDP, 2000) ed al ruolo delle istituzioni

politiche democratiche (UNDP, 2002), senza mai aggiungere ulteriori

dimensioni rispetto a quelle originarie nel calcolo dell’ISU.

Le critiche di carattere operativo si sono concentrate principalmente sulla

scelta degli indicatori, i pesi utilizzati e la metodologia di calcolo. Per quel

che riguarda la scelta dei tre indicatori, è stato suggerito, per misurare la

longevità, di accompagnare o sostituire la speranza di vita al tasso di

mortalità infantile. A tale proposta l’UNDP ha risposto che sebbene le

misure della mortalità nei primissimi anni siano dei buoni indicatori della

81

qualità dell’assistenza sanitaria nei Paesi in via di sviluppo, esse non

riescono a differenziare tra loro i Paesi industrializzati ed essendo l’ISU un

indice universale ha bisogno di variabili in grado di differenziare i vari

Paesi (UNDP,1994). Ma la variabile che ha suscitato più critiche, dando

vita ad un vivace dibattito, e subito maggiori revisioni nel corso degli anni,

è quella utilizzata per misurare lo standard di vita : il Pil reale pro capite

($PPA). E’ stato fatto notare dagli analisti dello sviluppo economico che

empiricamente esiste nei confronti fra Stati una forte correlazione positiva

tra il reddito e le altre due variabili relative alla longevità ed alla

conoscenza, per cui il reddito da solo potrebbe essere utilizzato come un

indicatore totale di sviluppo in quanto include e cattura le altre due

dimensioni. A tale critica viene risposto da Anand e Sen (2000) che la

connessione tra Pil pro capite e speranza di vita dipende molto da come il

reddito viene usato per migliorare il sistema della salute pubblica e per

ridurre la povertà poiché l’evidenza empirica ha anche messo in luce che vi

sono Paesi come lo Sri Lanka che hanno una speranza di vita alla nascita

molto più alta rispetto a quello che il loro Pil pro capite ci suggerisce63. Ma

così come il Pil pro capite non può essere considerato un indicatore totale

di sviluppo, la speranza di vita alla nascita da sola non può riflettere ogni

aspetto della qualità della vita in quanto cattura il ruolo svolto dal Pil pro

capite principalmente nella misura in cui è correlata alla spesa per la salute

63. Questo argomento è già stato trattato nel precedente paragrafo dove è stato citato uno studio empirico nella nota n.49

82

pubblica ed alla rimozione della povertà. L’inserimento del reddito nel

computo dell’ISU, è giustificato dalla sua importanza strumentale come

proxy per tutte le capacità non riflesse nella misura della longevità e

dell’istruzione (Anand e Sen, 2000).

Secondo l’approccio dello sviluppo umano il reddito di per sé non

costituisce una misura del tenore di vita (Anand e Sen, 1993 e Sen, 1993)

in quanto esso non rivela le capacità delle persone: se si è in buona salute,

se ci si può spostare liberamente o se si ha una alimentazione adeguata (per

esempio: la velocità del metabolismo varia da persona a persona, a parità di

reddito una persona che risiede in una località montuosa può richiedere più

energia in forma di cibo a causa della temperatura più rigida). Come

abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’importanza strumentale del

reddito risiede nell’uso che di esso viene fatto per acquisire capacità di fare

e di essere. Ciò presuppone che non si ha bisogno di reddito illimitato per

migliorare lo sviluppo umano. Per tener conto di ciò, sin dal primo

Rapporto, si è cercato di “aggiustare” il reddito prima di incorporarlo nella

formula dell’ISU. Dopo successivi raffinamenti64 a partire dal 1999

(UNDP, 1999) viene usato il logaritmo del reddito di modo che <<…un

dollaro extra quando il reddito è di 10,000$ non è ugualmente importante

come un input allo sviluppo umano come un dollaro extra quando il reddito

è di 100$>> (Jahan, 2001 pag 6). Per cui il reddito è stato scontato nel

64. Per approfondimenti riguardanti la revisione della variabile reddito nei rapporti precedenti vedere (Anand e Sen,2000).

83

calcolo dell’ISU usando la seguente formula:

minmax

min

logylogylog-ylog

W(y)y−

=

Dove abbiamo visto che ymax e ymin sono i valori massimi e minimi di

riferimento del Pil reale pro capite ($PPA).

Un’altra obiezione fatta all’ISU, riguarda il fatto che considerando le medie

nazionali delle variabili in gioco si ha una mancanza di informazione,

poiché non si tiene conto della distribuzione che potrebbe nascondere al

suo interno profonde disuguaglianze65. In effetti già nel primo Rapporto

l’UNDP metteva in guardia su cosa in realtà celassero le medie nazionali

(UNDP, 1990, riq. 1.3 ). Anand e Sen (1993) fanno notare che mentre una

misura sensibile alla distribuzione potrebbe dirci qualcosa sul valore medio

e sulla dispersione intorno ad esso, non è in grado di distinguere tra quanto

di una variazione è dovuta a cambiamenti nel valore medio o quanto è

dovuta ad un cambiamento nel modello di distribuzione, cosicché tale

misura potrebbe rimanere stazionaria se entrambi questi fattori

cambiassero. Inoltre, il problema di utilizzare una misura sensibile alla

distribuzione si pone principalmente per il reddito, in quanto la speranza di

vita è già per sua natura un valore medio ossia il valore atteso di anni di

vita di un gruppo, così che parlare di speranza di vita individuale non è

importante quanto parlare di reddito individuale. Lo stesso dicasi per il

65. Le situazioni in cui tre persone hanno livelli di reddito (1,9,11) ed altre tre,invece, hanno livelli (7,7,7) a livello medio sono identiche (7), ma nascondono profonde disuguaglianze (Anand e Sen, 1993).

84

tasso di alfabetizzazione in quanto, essendo binario (nel senso che può

assumere due soli valori zero=non alfabetizzato, uno=alfabetizzato), non dà

vita a forti fluttuazioni all’interno della popolazione. Il non utilizzo di una

misura sensibile alla distribuzione è giustificato, da parte dell’UNDP, dalla

carenza dei dati a livello di reddito individuale in molti Paesi.

Nei Paesi avanzati dove l’informazione distribuzionale è migliore, l’UNDP

propone che << se si ritiene che la disuguaglianza riduca il valore del

risultato medio espresso da una media aritmetica non ponderata, questo

valore medio può essere corretto impiegando delle misure di

disuguaglianza>> (UNDP, 1990). La più usata misura di disuguaglianza è

l’Indice di Gini66. Utilizzando tale indice, Anand e Sen (1993) hanno

proposto una misura corretta del reddito nazionale medio per considerare il

livello di benessere degli individui non solo in termini assoluti (quanto

reddito hanno), ma anche in termini relativi (quanto essi hanno rispetto a

quanto hanno gli altri). La correzione da fare per tener conto della

66. L’Indice di Gini misura l’estensione per cui la distribuzione di reddito (o consumi) tra individui e famiglie devia da una distribuzione perfettamente egualitaria. Il suo significato può essere ben compreso facendo ricorso alla curva di Lorenz, la quale rappresenta su un grafico la quota del reddito totale posseduta da quote cumulate di popolazione. Sull’asse delle ascisse si rappresentano in maniera ordinata in base al reddito (dal più povero al più ricco), gli individui o le famiglie che appartengono ad una data popolazione; mentre sull’asse delle ordinate è riportata la parte del reddito totale detenuta da ciascuna quota della popolazione. L’ipotesi di una equa distribuzione sarebbe una linea di 45°:dove in ogni punto della linea, lo stesso ammontare di reddito corrisponderebbe allo stesso ammontare della popolazione (al primo 20% della popolazione và una fetta pari esattamente al 20% del reddito nazionale, e così via). Quanto più il reddito è distribuito in modo diseguale tanto più la curva determinata dalla distribuzione reale del reddito è lontana dalla retta. L’Indice di Gini riflette la disuguaglianza in accordo al grado di separazione tra la Curva di Lorenz ed i dati attuali. I valori variano da zero ad uno: quanto più si avvicinano ad uno tanto più vi è disuguaglianza nella distribuzione del reddito.

85

distribuzione del reddito è:

)1(W Gm −=

dove m è il reddito medio , G è l’indice di Gini che varia da zero (tutti gli

individui hanno lo stesso reddito pro capite) ad uno (disuguaglianza

perfetta ossia una persona ha tutto il reddito e gli altri non hanno alcun

reddito) e W è il reddito nazionale corretto mediante l’indice di Gini o

come è sta definita la funzione del benessere sociale. Mentre una misura di

disuguaglianza valuta la relativa dispersione di una distribuzione,

indipendente dal reddito totale, una misura di benessere offre qualcosa in

più, ossia una vista della distribuzione del reddito che è sensibile alla

disuguaglianza ma si incrementa quando i redditi si incrementano (anche se

solo un reddito si incrementa e gli altri rimangono invariati, il livello di

benessere si incrementa).

Con questa correzione, considerando due Paesi con lo stesso reddito pro

capite , il Paese con la distribuzione più egualitaria (G è più basso) è anche

quello in cui il benessere sociale è maggiore. Non solo, una società con un

reddito medio pro capite di 800$ ed un coefficiente di Gini pari a 0.40

avrebbe un livello di benessere sociale (equivalente a 480$) maggiore di

quello di una società con un reddito medio pro capite di 1000$ (quindi più

alto) ed un coefficiente di Gini di 0.60 (dove il livello di benessere sociale è

di 400$). Anand e Sen (1993) e Hicks (1997) hanno proposto di “pesare”

ogni dimensione contenuta nell’Isu, tramite l’Indice di Gini della

86

distribuzione di ogni variabile. L’Indice di Sviluppo Umano modificato

proposto da Hicks è:

S31ISU

3

1iHICKS ∑

=

=i

dove Si=mi(1-Gi) sono i livelli della funzione di benessere di Sen nelle

dimensioni del reddito, dell’istruzione e della salute o in altre parole sono

gli indici relativi alle tre dimensioni modificati poiché sensibili alla propria

distribuzione; Gi sono i coefficienti di Gini delle tre distribuzioni e mi sono

i valori medi a livello nazionale delle tre variabili. L’indice di sviluppo

umano di Hicks non è altro che il livello medio dei livelli di benessere di

Sen nelle tre dimensioni di reddito, istruzione e salute. Tale Indice non ha

trovato molta applicabilità principalmente per il ricorso all’Indice di Gini

che, nonostante sia la più usata misura di disuguaglianza, presenta

l’inconveniente di non essere additivo (l’indice di Gini totale di una società

non è uguale alla somma degli indici di Gini dei suoi sottogruppi) e di

variare quando la distribuzione varia senza render conto di dove è avvenuto

il cambiamento (per esempio ogni trasferimento di reddito tra due individui

ha effetto sull’indice, senza tener conto dove ciò è avvenuto: se tra i decili

più ricchi, se tra quelli più poveri o se è avvenuto tra essi, ossia tra i decili

più ricchi e quelli più poveri); inoltre la sua scarsa applicabilita si deve alla

mancanza di dati in alcuni Paesi, basti pensare che anche le informazioni

sulla speranza di vita non sono sempre disponibili, per cui molti Stati

utlizzano tassi di mortalità infantile come proxy per la speranza di vita. Il

87

problema della mancanza nell’ISU della dimensione della disuguaglianza

è stato affrontato anche da Foster, Lopez-Calva e Székely (2003). Essi

sottolineano che uno dei principali limiti dell’ISU è che la non inclusione

di una dimensione distribuzionale fa sì che si possa verificare che un Paese

abbia un più alto valore dell’ISU rispetto ad un altro situato più in basso

nella classifica, nonostante in esso la povertà sia molto estesa e larghi

gruppi della popolazione siano tagliati fuori dal processo di sviluppo; così

come è possibile registrare miglioramenti nel valore dell’ISU, anche se vi è

stagnazione o peggioramento nello sviluppo per vasti settori della

popolazione. Per superare questo importante limite la proposta dei tre

economisti prevede una famiglia67 di indici di sviluppo umano sensibili alla

67. Il modello assume di avere dati per le tre dimensioni dello sviluppo (reddito, istruzione e salute) per una popolazione composta da n unità. Considerando i dati normalizzati, le distribuzioni relative alle tre variabili saranno indicate con

),..zz,(zze)y,..,y,(yy),x,..,x,(xx n21n21n21 === . La media aritmetica relativa alle tre variabili sarà denotata con µ(z)eµ(y)µ(x), . Il tradizionale Indice di Sviluppo Umano sarà allora uguale a ISU= [ ]µ(Z)µ(Y),µ(X), . La variante proposta dai tre economisti prevede il ricorso alla classe delle misure di disuguaglianza di Atkinson e la classe delle medie generali. Vengono indicate con (z)e(y)(x), -111 −− ,( 0> ) le classi delle medie generali scontate del livello di disuguaglianza dato dalla misura di Atkinson che sarà indicata con εI ; cosicché se x indica il reddito abbiamo

(x)]Iµ(x)[1(x)1 −=− che abbassa il valore originale della media in accordo al grado di disuguaglianza che è presente nella distribuzione del reddito; in tal modo è considerata la diseguaglianza all’interno della distribuzione. L’ulteriore passo consiste nel tener conto della disuguaglianza tra i gruppi della popolazione, per tal motivo la loro proposta prevede di considerare un ISU modificato pari a:

0per (z))(y),(x),(ISU 1111 ≥= −−−−

[ è un parametro che può essere interpretato come avversione alla ineguaglianza, nel senso che quando esso è uguale a zero, l’ineguaglianza risulta irrilevante (si considera la media aritmetica) e ,ISUISU0 = invece con valori sempre più alti si riflette una maggiore sensibilità alla disuguaglianza nelle parti situate più in basso della distribuzione (nel caso del reddito, il reddito individuale dei più poveri diventa più rilevante)](Foster, Lopez-Calva e Székely, 2003).

88

distribuzione, che prende in considerazione non solo la diseguaglianza

entro ogni dimensione dello sviluppo umano, ma anche la diseguaglianza

tra i gruppi della popolazione. Questa classe di indici fa uso della media

generale per sintetizzare miglioramenti entro ogni dimensione dello

sviluppo, ed utilizza la stessa media per aggregare tra le dimensioni. Il loro

modello concettuale si discosta da quello di Hicks per il ricorso all’Indice

di Atkinson, per misurare la disuguaglianza, anziché all’Indice di Gini. Gli

studi empirici da loro effettuati, applicando questa metodologia su un

campione della popolazione messicana rilevata nel censimento del 2000, ha

evidenziato che, quando viene introdotta la dimensione della

disuguaglianza nell’indice di sviluppo umano, le diverse regioni del

territorio messicano si classificano in modo diverso, ed è stimata una

perdita di sviluppo umano del 26% a livello nazionale.

Il problema della disuguaglianza tra i sottogruppi della popolazione,

diventa centrale quando si considera il genere. C’è evidenza statistica che

nonostante maschi e femmine ricevono la stessa assistenza sanitaria, le

stesse opportunità nutrizionali, e così via, le donne tendono ad avere tassi

di mortalità più bassi e conseguentemente a vivere più a lungo. Inoltre, la

distinzione di genere diventa molto importante nei risultati scolastici: il

rapporto lordo di iscrizione per sesso non solo è influenzato dalla

situazione sociale, politica e culturale del Paese, ma ci dice anche come

probabilmente tale situazione potrebbe evolversi poiché l’istruzione

89

femminile ha un forte impatto sul benessere sociale sia degli uomini che

delle donne. Per questi motivi a partire dal Rapporto sullo sviluppo umano

del 1995 l’UNDP pubblica l’indice di sviluppo umano relativo al genere

(ISG) e la misura di attribuzione di potere (empowerment) correlata al

genere (MEG). L’ISG utilizza le stesse variabili utilizzate dall’ISU, ma ne

corregge i valori medi e le procedure di calcolo per tenere conto della

diversità tra situazione femminile e maschile; il secondo indice, la Misura

dell’Empowerment di Genere (MEG) utilizza variabili costruite

esplicitamente per misurare il potere che gli uomini e le donne esercitano

nelle sfere dell’attività politica ed economica (UNDP, 1995). Il problema di

una procedura di calcolo diversa per quel che riguarda l’ISG, si pone

perché l’ISU non è disaggregabile né a livello di sotto gruppi della

popolazione (in base alla residenza urbana e rurale, alle etnie, alle regioni,

ecc.) né a livello di genere. Basti notare che a livello di sottogruppo, il

valore medio della speranza di vita alla nascita ed il valor medio del tasso

di alfabetizzazione della popolazione non sono a rigor di termini le medie

ponderate della speranza di vita della popolazione e della alfabetizzazione a

livello di sottogruppo, così come il logaritmo del reddito medio pro capite a

livello nazionale non è la media ponderata dei logaritmi del reddito pro

capite per ogni sottogruppo della popolazione (Anand e Sen, 1993).

Nell’Indice di sviluppo umano relativo al genere, invece, non solo

cambiano i valori massimi e minimi di riferimento per tener conto della più

90

alta speranza di vita delle donne rispetto agli uomini ma, poiché è difficile

disporre di dati sul Pil pro capite che distinguano quanto è prodotto dagli

uomini e quanto dalle donne, si utilizzano delle stime che tengono conto

del salario medio femminile e di quello maschile e si ricorre ad una formula

di ponderazione che fa sì che l’ISG diminuisca non solo quando peggiorano

i risultati di entrambi i sessi, ma anche quando la disuguaglianza tra loro

aumenta68.

Un’altra critica mossa all’Indice di sviluppo umano riguarda l’aver

attribuito pesi uguali alle tre variabili. A livello concettuale ciò

implicherebbe che un miglioramento nella salute abbia lo stesso valore e

peso di un miglioramento del reddito. Srinivasan (1994) sottolinea che

differenti individui, culture o Stati possono attribuire valore diverso

all’istruzione, alla salute ed al reddito, ciò implicherà differenti modi di

percepire lo sviluppo e quindi un diverso peso alle variabili utilizzate per la

sua misurazione. Kelley (1991) sostiene che il problema principale è l’aver

attribuito un peso relativamente basso al Pil reale pro capite nei Paesi a

reddito alto o medio, in quanto esso può essere utilizzato per acquisire e/o

produrre una qualunque delle altre due capacità (migliore salute o migliore

istruzione). Tadlil (1992) utilizzando l’analisi in componenti principali,

trova una giustificazione all’ugual peso assegnato alle tre variabili, in

68. Per approfondimenti Anand, Sudhir e Amartya Sen (1995) “Gender inequality in human development: theories e measurement”, Human Development Reports Office, Occasional Paper 12, UNDP, New York.

91

quanto l’autovettore corrispondente alla radice latente principale (che

spiega l’88% della varianza totale dei dati) assegna un peso quasi identico

alle tre variabili : speranza di vita (0.969), reddito corretto (0.916) e

risultati scolastici (0.925).

Palazzi e Lauri (1998) sottolineano che i due limiti principali dell’ISU sono

quello della sostituibilità delle sue tre componenti e l’aver attribuito ad esse

peso uguale. L’assunzione di sostituibilità deriva dal considerare accettabili

tutti i valori dell’ISU senza tener conto delle differenze nella distribuzione

delle tre variabili; ciò fa sì che, se si confrontano due Paesi od un singolo

Paese nel tempo, un cambiamento nel valore di una componente può essere

compensato o sostituito dai cambiamenti nelle altre due componenti69. La

soluzione proposta prevede il ricorso al concetto di sviluppo umano

bilanciato e sostenibile:<<…uno stato di sviluppo in cui nonostante il

livello assoluto, le tre variabili hanno lo stesso valore: una specie di

sgabello a tre gambe nel quale il bilanciamento e la sostenibilità dipendono

dalla lunghezza uguale dei piedi dello sgabello.>>(Palzzi e Lauri, 1998).

Sostenendo che ogni dato valore medio delle tre variabili corrisponde a

differenti livelli di sviluppo umano, i due studiosi, propongono

l’individuazione di un’area di sviluppo sostenibile e bilanciato in cui è

69. per esempio può accadere che due Paesi presentino lo stesso valore dell’ISU, nonostante uno abbia alto valore del Pil e basso valore delle altre due variabili, mentre l’altro presenta una situazione opposta con alto valore della speranza di vita e dei risultati scolastici ed un basso valore del Pil; così come si può avere un valore dell’ISU più alto dopo un certo periodo di anni per un Paese, perché la crescita di un fattore ha compensato la diminuzione degli altri due.

92

accettabile la piena sostituibilità tra reddito, speranza di vita e

alfabetizzazzione. Quest’approccio può essere rappresentato graficamente

come una nuvola di punti (Paesi) nello spazio tri-dimensionale, le cui

coordinate sono i tre indicatori considerati dall’UNDP. Il cono, il cui

vertice è all’origine e che ruota intorno alla retta Re (linea che inizia

dall’origine ed è equidistante dai tre assi) individua i punti (Paesi) con

sviluppo umano bilanciato e sostenibile (in rosso). I punti esterni dal cono

(in nero) rappresentano i Paesi con sbilanciato ed insostenibile sviluppo

umano. Palazzi e Lauri, per definire lo spazio di sostenibilità, prevedono

l’individuazione di un meccanismo di correzione dei valori di sviluppo

umano per i Paesi situati fuori dal cono, penalizzando i Paesi fuori dall’area

in proporzione alla loro relativa distanza dalla superficie del cono.

Grafico 8. Cono di sviluppo umano bilanciato e sostenibile

ReZ

°°

° ° °°

° °° Y

° °

O

X

93

L’indice di disequilibrio ei che misura la distanza di un Paese (punto) i dal

punto oggettivo sulla linea di equilibrio Re è dato dal rapporto:

h

ii h

de =

dove di è la distanza tra il punto-Paese dalla linea di perfetto equilibrio Re

ed hi è la distanza tra l’origine ed il punto lungo la linea di perfetto

equilibrio (il valore dell’ISU del Paese).Dal punto di vista geometrico e è

equivalente alla tangente dell’angolo tra la perfetta linea di equilibrio Re e

la linea che unisce l’origine al punto Pi del Paese. La dimensione di un

cono di sviluppo umano bilanciato e sostenibile è definito trovando un

valore di e che rappresenta il più basso livello accettabile di bilanciamento

e sostenibilità, esso viene indicato con e*70. Il coefficiente di correzione ki

relativo all’i-esimo Paese in base al quale penalizzare i Paesi situati fuori

dal cono, è dato da:

**

*

ˆ)ˆmax(

ˆ)ˆmax(EEEEk

i

iii −

−=

Dove )(ˆii earctgE = è l’angolo tra Ri (la linea che unisce l’origine a Pi) e Re;

)(ˆ **iearctgE = è l’angolo di rotazione del cono e )ˆmax( *E è l’angolo tra Re ed

ognuna delle coordinate degli assi. La correzione al valore dell’ISU sarà

applicata a quei Paesi che presentano indici di disequilibrio più alti del

valore e*.

70. Geometricamente il valore di e* coincide con la tangente dell’angolo del cono di rotazione.

94

In tal caso si avrà ISUmodificato(i) = ki*ISUi .

Se *eei ≤ allora ki=1 e ISUmi=ISUi;

Se *eei > allora 10 <≤ ik e ISUmi<ISUi;

Se una delle variabili è negativa allora ki=0 e ISUmi=0.

Con la correzione proposta da Palazzi e Lauri un Paese viene classificato

non solo in base alla media delle tre variabili ma anche in base al valore

dell’indice di disequilibrio. Il problema principale è la determinazione

dell’angolo di rotazione che definisce il cono di equilibrio e sostenibilità.

Un altro limite dell’ISU è l’aver attribuito pesi uguali alle tre componenti

dell’indice. La soluzione proposta da Palazzi e Lauri prevede il ricorso alla

statistica multivariata per scoprire se esiste una stabile relazione nel tempo

tra le tre variabili. Mediante l’analisi in componenti principali viene

definita la linea, che interpola i punti-Paesi, generata dalla prima

componente principale. Dopo aver effettuato una rototranslazione questa

linea viene utilizzata come linea di riferimento per calcolare i nuovi valori

dell’ISU con o senza correzione. Nel caso in cui la linea interpolante

coincide con la linea che è equidistante dagli assi ed inizia con l’origine,

allora l’ugual peso alle variabili potrà essere confermato.

95

CONSIDERAZIONI

Nella prima parte di questa tesi ho evidenziato la crisi economica e sociale

attraversata dall’Argentina durante la decade degli anni novanta. Ciò che

emerge è il quadro di un Paese frammentato ricco di contraddizioni interne

con un profondo divario nella qualità della vita della popolazione. Le

diverse tabelle presentate hanno evidenziato come la crescita del Pil

sperimentata nei primi anni novanta non si sia tradotta fino ad oggi in

migliori opportunità per le persone, smentendo in parte il trickle down

mechanism, anche se molti sostengono che i frutti della crescita ricadono

sulla popolazione nel lungo periodo. Nella seconda Parte ho tracciato il

percorso storico che ha portato alla definizione dello sviluppo umano e

dell’indice utilizzato dall’UNDP per la sua misura. Per quel che riguarda

l’Argentina l’ISU sottolinea una crescita costante negli ultimi vent’anni,

ma l’analisi storico-territoriale presentata nella prima parte, sottolinea come

in realtà le “capacità” delle persone siano diminuite essendo aumentato il

numero di coloro che non avendo possibilità di scelta sono costretti ad

esercitare il “mestiere di vivere”. Non ritendo valido il quadro disegnato

dall’ISU, nella terza parte di questa tesi cercherò mediante le tecniche di

statistica multivariata, in particolare l’analisi in componenti principali, di

determinare un Indice di Sviluppo Umano che prenda in considerazione

due aspetti:

1) L’aspetto multidimensionale dello sviluppo;

96

2) Il diverso contributo di ogni variabile nella definizione dello

sviluppo umano.

97

PARTE TERZA

ANALISI IN COMPONENTI PRINCIPALI PER UN

INDICE DI SVILUPPO UMANO MODIFICATO

98

Per costruire un indice di benessere sociale ed economico i passaggi

metodologici da seguire sono essenzialmente:

1. La scelta delle variabili.

2. La forma funzionale di ogni variabile.

3. La standardizzazione delle variabili.

4. La scelta dell’operazione di aggregazione.

5. Determinazione dei pesi delle variabili.

Nella scelta delle variabili che riflettono le dimensioni dello sviluppo

umano, l’UNDP si sofferma su 4 indicatori: la speranza

di vita alla nascita per misurare la dimensione vita lunga e salutare; il tasso

di alfabetizzazione adulta (con un peso pari a due terzi) ed il rapporto lordo

di iscrizioni congiunte ai livelli di istruzione primario, secondario e

terziario (con un peso di un terzo) che vengono combinati insieme

(sommati) per misurare i risultati scolastici; ed il PIL reale pro capite (in

dollari USA PPA) per misurare lo standard di vita. La forma funzionale

della variabile rappresenta il modo in cui i cambiamenti di una variabile

sono valutati a differenti livelli, ossia se i cambiamenti sono valutati nello

stesso modo a differenti livelli (per esempio un incremento del tasso di

alfabetizzazione dal 80% al 82% ha lo stesso valore dello stesso assoluto

incremento a livello più alto, da 96% al 98%), allora la forma funzionale

sarà lineare; se i cambiamenti sono più significativi ai più bassi livelli della

99

variabile, si utilizzerà il logaritmo o la radice quadrata della variabile,

invece se i cambiamenti sono più significativi ai più alti livelli della

variabile, la scelta ricadrà su un esponenziale od una potenza. Nel calcolo

dell’ISU, l’UNDP sceglie le variabili con una forma funzionale lineare,

eccetto che per il Pil reale pro capite (PPA $), dove l’utilizzo del logaritmo

del Pil presuppone che un cambiamento di 1000$ da un reddito a livello

basso (da 3000$ a 4000$) ha valore maggiore che lo stesso incremento

avvenuto ai livelli più alti della variabile (da17000$ a 18000$). Dopo aver

standardizzato le variabili, l’ISU viene determinato mediante una semplice

media aritmetica dei tre indici risultanti, il che presuppone che ogni

variabile contribuisce in ugual misura allo sviluppo umano: è come dire che

l’istruzione è esattamente importante nel determinare lo sviluppo umano

come il Pil o la speranza di vita.

L’Analisi in Componenti Principali

In questa terza parte effettuerò un’analisi in componenti principali

su una matrice dei dati relativa al valore assunto da 10 variabili in

Argentina nel periodo che và dal 1990 al 2000. Scopo principale

di tale analisi è arrivare alla determinazione di un indice sintetico

di sviluppo in cui le variabili vengono considerate relativamente

100

al peso da esse assunto negli anni considerati. La scelta dell’arco

temporale non è casuale ma è indicatore di un periodo

particolarmente caratterizzante per l’Argentina sia dal punto di

vista sociale che economico, così come è stato testimoniato nella

prima parte di questa tesi. Anche se l’inclusione di ulteriori anni

nell’indagine avrebbe potuto giovare la ricerca, la mancanza di

dati e stime puntuali ha causato l’utilizzo solo di dati relativi alla

decade degli anni novanta. L’utilizzo della tecnica di analisi

statistica multivariata, denominata Analisi in Componenti

Principali ben si presta alla riduzione dei dati nel caso in cui le

variabili originali siano ben correlate: assegnate n variabili

correlate fra loro, l’analisi in componenti principali è una tecnica

che consente di ottenere p<n nuove variabili latenti incorrelate fra

loro, denominate componenti principali, che possono fornire le

informazioni essenziali contenute nelle n variabili originali, per

cui è un metodo utile per indagare in quei settori in cui sono

molto numerose le variabili interdipendenti necessarie per

descrivere un certo fenomeno. In altre parole le componenti

principali sono quelle combinazioni lineari delle variabili

101

originali che sono incorrelate fra loro e che spiegano in

proporzioni sempre più piccole la varianza totale (una volta

estratta la prima componente con varianza massima, la seconda

componente principale và determinata in modo che spieghi il

massimo della varianza residua, cioè quella che rimane dopo che

è stata estratta la prima componente, e così via….). Se le variabili

originali sono altamente correlate, le prime componenti (poche)

daranno conto di un’alta proporzione della variabilità totale.

L’utilizzo dell’Analisi in componenti principali ci permette non

solo di rappresentare il fenomeno con un numero piccolo di

variabili ottenute a partire da quelle originarie osservate,

conservando tuttavia quanta più informazione possibile sul

fenomeno stesso, ma ci aiuta a determinare anche i pesi relativi

delle variabili nella definizione del fenomeno oggetto di studio. Il

fenomeno che si vuole studiare è lo sviluppo umano (così come

inteso da Sen Amartya ed ampiamente discusso nella seconda

parte di questa tesi) negli anni novanta in Argentina, prendendo in

considerazione due caratteristiche:

102

1) L’aspetto multidimensionale dello sviluppo non limitandoci

ai soli tre indicatori delle capacità basilari incluse

dall’UNDP nel calcolo dell’ISU;

2) Il diverso contributo (peso) di ogni variabile nella

definizione dello sviluppo umano.

La scelta delle variabili da includere nel modello è stata

determinata in base al fenomeno oggetto di studio, ma anche

limitata dalla disponibilità dei dati. Le variabili incluse nel

modello inizialmente erano quindici, ma l’analisi della matrice dei

plots condotta con SPSS per Windows ed una analisi in

componenti principali condotta a scopo esplorativo ha portato

all’eliminazione di cinque di esse. Le variabili considerate sono:

speranza di vita alla nascita, tasso di mortalità infantile (0-1

anno), tasso di mortalità sotto i cinque anni di età; % delle

persone sotto la linea di povertà; tasso di analfabetismo adulto;

iscrizioni a livello di scuola primaria come % delle iscrizioni

lorde totali; iscrizioni a livello di scuola secondaria come % delle

iscrizioni lorde totali; iscrizioni a livello di scuola terziaria come

% delle iscrizioni lorde totali; spesa sociale totale come % del Pil;

103

Pil pro capite a prezzi costanti del 1995 che è stato indicizzato

considerando il 1990 come base annua. Le fonti dei dati sono la

Worldbank (dati sulla speranza di vita, sull’istruzione ed il Pil),

Inter American Development Bank (spesa sociale totale),

l’INDEC (povertà)71 ed il Siempro (tassi di mortalità). I tassi di

mortalità considerati, rispetto alla speranza di vita, riflettono

l’esperienza attuale della comunità, e sono maggiormente

influenzabili nel breve periodo, inoltre catturano dimensioni della

vita umana cruciali nella definizione dello sviluppo, come il

livello di istruzione delle madri, il ricorso alle vaccinazioni72, la

nutrizione, l’accesso all’acqua potabile, l’efficienza dei servizi

sanitari, quindi possono essere considerati proxy importanti in

mancanza di dati puntuali. Sebbene le iscrizioni lorde nascondino

al loro interno importanti dati come il tasso di ripetenza e di

abbandono, poiché le iscrizioni lorde ad ogni livello

comprendono i bambini in età inferiore o avanzata rispetto al

71. Il dato sulla povertà è fornito dall’inchiesta permanente sulle famiglie condotta semestralmente(maggio ed ottobre) dall’INDEC. Ai fini di questa analisi utilizzo le stime relative al mese di ottobre.

72. LUNICEF considera il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età come uno dei più importanti indicatori dello stato di salute dei bambini di una Nazione, soprattutto in mancanza di dati sulla denutrizione infantile o le vaccinazioni obbligatorie come quella difterico-tetanico-pertossica (DTP). (UNICEF, 1989)

104

grado nel quale sono iscritti e non tutti i ragazzi iscritti possono

arrivare alla classe successiva poiché possono abbandonare prima

la scuola, la disponibilità della serie dei dati a livello annuale, li

rende uno dei più importanti ed utilizzati proxy per verificare il

grado di miglioramento istruttivo della popolazione giovanile. La

spesa sociale totale è uno dei più importanti fattori che influenza

lo stato sociale di una Nazione soprattutto nei Paesi in via di

sviluppo, poiché tale dato, che include al suo interno la spesa per

la salute, per l’istruzione, per la sicurezza sociale e per le

abitazioni, se alto e ben ripartito tra i diversi settori, soprattutto

verso aree di necessità prioritaria, rappresenta un input allo

sviluppo umano (vedere parte prima, paragrafo 6 di questa tesi). Il

Pil resta un importante proxy per tutte le dimensioni non incluse

in questa analisi ed uno dei più importanti indicatori dello

sviluppo economico del Paese.

L’Analisi in componenti principali ha portato all’estrazione di due

componenti. La prima componente spiega il 76,409% della

varianza (tabella 3, Appendice C) con una perdita di informazione

del 13,6% circa, ed essendo fortemente correlata con tutte le

105

variabili in esame può essere a ragione considerata il nostro

ISUmodificato. Nella tabella a pagina seguente sono indicati i

factor loadings (pesi fattoriali) (in SPSS indicati come matrice dei

componenti), la comunalità ed i pesi delle variabili (scores) (in

SPSS indicati come matrice dei coefficienti di punteggio dei

componenti, vedere Appendice C) relativi alla prima componente

dopo aver effettuato una rotazione con il metodo Quartimax (che

produce una rotazione ortogonale) allo scopo di minimizzare il

numero dei componenti necessari a spiegare una variabile. La

rotazione non ha effetto sulla bontà del modello, non cambia né la

comunalità, né la percentuale di varianza spiegata. La rotazione

ridistribuisce la varianza spiegata, individualmente, da ogni

componente. Con il metodo Quartimax la quota di varianza

spiegata dalla prima componente rimane pressoché identica a

quella ottenuta prima della rotazione (75,737%), per cui alta ed

utile al nostro scopo. Nella tabella seguente, i factor loadings

indicano la correlazione tra le variabili originali e la prima

componente; in essa si osserva che tutte le variabili considerate

hanno alta correlazione con la prima componente eccetto che la

106

variabile % delle persone povere, la quale risulta fortemente

correlata (0,873) con la seconda componente principale

(Appendice C, tabelle 4 e 5).

TABELLA 6. FACTOR LOADINGS, COMUNALITÀ E PUNTEGGI FATTORIALI RELATIVI ALLA PRIMA COMPONENTE

Comunalità Factor Loadings

FactorScores (pesi)

Speranza di vita alla nascita 0,928 0,962 0,135

Tasso di mortalità infantile (0-1 anno) 0,976 -0,985 -0,130

Tasso di mortalità dei bambini di età inferiore ai 5

anni0,978 -0,987 -0,131

% delle persone sotto la linea di povertà 0,806 0,210 -0,021

Tasso di analfabetismo adulto 0,989 -0,994 -0,134

Iscrizioni a livello di scuola primaria come % delle iscrizioni lorde totali

0,895 0,934 0,119

Iscrizioni a livello di scuola secondaria come % delle iscrizioni lorde totali

0,949 0,865 0,093

Iscrizioni a livello di scuola terziaria come % delle iscrizioni lorde totali

0,871 0,777 0,077

Pil pro capite a prezzi costanti del 1995 su base

annua 19900,796 0,894 0,142

Spesa sociale totale come % del Pil 0,911 0,806 0,132

107

La comunalità indica la quota di varianza in una variabile

spiegata dalle componenti. Tutte le variabili hanno un’alta

comunalità (valori superiori al 0,700), ciò significa che una

grande quota della varianza delle variabili originali è stata

catturata dal modello di analisi utilizzato. I punteggi fattoriali

sono i pesi dati ad ogni variabili per la costruzione dell’Indice.

Tutti i punteggi fattoriali hanno segno positivo eccetto il tasso di

mortalità infantile, il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età, il

tasso di analfabetismo adulto e la % delle persone povere, che

hanno peso negativo, tali coefficienti negativi possono essere

considerati come avversi allo sviluppo umano, ossia indicano

correlazione negativa con i livelli di sviluppo umano. Per il

periodo considerato il Pil , la spesa sociale totale e la speranza di

vita hanno maggior peso nella definizione dell’Indice costruito

mediante l’analisi in componenti principali rispetto alle variabili

dell’istruzione; e che il maggior peso negativo è dato dai tassi di

mortalità ed analfabetismo, cosa abbastanza intuibile data la bassa

correlazione della variabile relativa alla percentuale di persone

povere, con la prima componente. Per la standardizzazione delle

108

variabili utilizzo lo stesso metodo utilizzato dall’UNDP, ossia la

Linear Scaling Technique che è una tecnica utilizzata per

standardizzare il range di una variabile (vedere paragrafo 3,

seconda parte di questa tesi). Come valori di riferimento prendo il

più alto ed il più basso valore assunto dalla variabile nel periodo

considerato (1990-2000). Le variabili “favorevoli” allo sviluppo

umano, ossia quelle per cui un incremento nel valore corrisponde

ad un incremento nel benessere totale, saranno standardizzate

secondo la formula:

MinMaxMinosservatoVal

−−.

Le variabili avverse allo sviluppo umano, ossia quelle per cui un

incremento nei valori corrisponde ad un decremento nel benessere

totale, saranno standardizzate secondo la formula:

MinMaxosservatoValMax−

− .

Il range del valore è 0-1, dove 0 corrisponde al più basso livello

ed 1 al più alto. Le diverse variabili così scalate vengono

combinate insieme mediante una semplice somma ponderata, ove

i pesi delle variabili sono quelli determinati mediante l’Analisi in

Componenti Principali (Factor Scores). L’Indice di Sviluppo

109

Umano Modificato è perciò uguale a ( per l’etichetta delle

variabili vedere Appendice C):

1990..1995...*142.0*021.0..*132.0.*077.0.*093.0.*119.0

..*134.05.0..*131.0..*130.0..*135.0mod

BPZPILZPOVSOCTOTZSPETERZISCRSECZISCRPRIZISCR

ADANZTMZTIMZTNVZSISU

+++++++

++++=

dove la lettera Z prima dell’etichetta delle variabili sta ad indicare

la variabile standardizzata. Il grafico seguente mostra

l’andamento dell’Indice dello Sviluppo Umano Modificato

ottenuto con l’ausilio dell’Analisi in Componenti Principali

relativo alla decade considerata.

Grafico 8. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano Modificato ottenuto con l’ausilio dell’Analisi in Componenti Principali.

0,000

0,109

0,213

0,358

0,495 0,5120,576

0,686

0,828

0,9381,000

0,000

0,200

0,400

0,600

0,800

1,000

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

ISUmodificato

Nota: I valori sono stati riscalati per variare tra 0 e 1.

110

Come evidenziato dal grafico l’Indice rileva un andamento

crescente per tutta la decade con una forte decelerazione tra gli

anni 1994 e 1995. L’incremento costante dell’Indice è dovuto al

peso maggiore attribuito al Pil , ai tassi di mortalità, alla speranza

di vita ed al tasso di analfabetismo nella definizione dell’Indice ed

al loro andamento “favorevole” allo sviluppo umano per tutta la

decade. Nello specifico, tra il 1994 ed il 1995 il tasso di mortalità

infantile ed il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età

registrano un incremento, seppur lieve, poiché passano da un

valore di 22,0% ad un 22,2% per il tasso di mortalità infantile e

da un 25,3% ad un 25,5% per il tasso di mortalità sotto i cinque

anni di età (la speranza di vita alla nascita passa da 73,98 a 73,82

anni). Negli stessi anni il Pil pro capite (a prezzi costanti del 1995

$US) calcolato su base anno 1990, subisce un calo passando da un

valore di 134,04 a 128,49. Ciò determina una decelerazione nello

sviluppo tra gli anni in questione, ma che non si è tradotta in calo

a causa dell’andamento favorevole delle altre variabili con

maggior peso (è sceso il tasso di analfabetismo adulto, è

aumentata la spesa sociale totale e le iscrizioni primarie).

111

Osservando il grafico 8, si nota che dal 1996 al 1998 l’Indice si

incrementa costantemente. Eppure se andiamo ad osservare

l’andamento delle singole variabili per gli anni in questione

notiamo: un ulteriore incremento nei tassi di mortalità tra il 1997

ed il 1998 (da un 18,8 a 19,1 per il tasso di mortalità infantile e da

22,0% a 22,5% per il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età)

ed un decremento nella speranza di vita da 74,56 a 74,34 anni; un

decremento nelle iscrizioni scolastiche a livello primario tra il

1996 ed il 1997 (da 113,31 a 110,70); ed una diminuzione nella

spesa sociale totale tra il 1996 ed 1998 (da 20,0 a 19,8). La

crescita costante dell’Indice è dovuta all’incremento subito dal

Pil pro capite tra il 1996 ed il 1998 (133,86 nel 1996 e 146,52 nel

1998) che ha compensato l’andamento negativo delle altre

variabili, implicando di fatto la sostituibilità fra esse, ossia che un

incremento nei tassi di mortalità possono essere compensati dalla

crescita del Pil. Tra il 1999 ed il 2000 il Pil pro capite decresce da

139,80 a 137,00 mentre le altre variabili rivelano un andamento

favorevole allo sviluppo umano. Anche in questo caso vi è stata

una compensazione tra le variabili, implicando la sostituibilità fra

112

esse, ma il peso maggiore dato al Pil ha determinato una crescita

dell’Indice moderata. Un’ altro importante dato da sottolineare è

che gli anni in cui si ha una decelerazione dell’Indice, 1994-1995,

coincide con gli anni dell’effetto tequila ossia con la crisi del

Messico iniziata nel 1994 con il crollo del pesos messicano nei

confronti del dollaro. Già allora si preannunciava la possibilità

che la crisi coinvolgesse altri Paesi dell’area latinoamericana che

avevano seguito politiche di stabilizzazione monetaria simili, in

primis l’Argentina. E’ ciò che accadde in realtà (vedere parte

prima). Ma ciò che sembra interessante è che la crisi del Messico

sembra aver sortito il suo effetto anche su l’Indice di Sviluppo

Umano (ISUmodificato) in Argentina. Per cui quando si pensa

allo sviluppo non lo si può vedere in maniera indipendente come

se tale fenomeno vivesse e si animasse esclusivamente di fattori e

variabili che riguardano la realtà locale, ma soprattutto oggi con la

globalizzazione, bisogna tener conto delle interrelazioni esistenti

tra le diverse economie e società, e del modo in cui ogni Paese si

lega ad esse. Un’altra considerazione che emerge dal grafico 8 è

che se osserviamo l’andamento dell’Indice relativamente all’anno

113

2000, notiamo un incremento di sviluppo umano, rispetto

all’anno precedente, anche se siamo alla vigilia della

dichiarazione dell’insolvenza del debito estero e del fallimento

dell’economia argentina. Ciò dipende dalla scelta delle variabili

che possono pesantemente modificare il quadro dato di un Paese.

CONCLUSIONI

L’esperienza argentina dimostra quanto siano complesse le dinamiche dello

sviluppo. L’aver orientato gli sforzi in un'unica direzione subordinando la

qualità e la sostenibilità della crescita economica avvenuta nei primi anni

novanta a politiche che miravano esclusivamente all’innalzamento del Pil,

dimostra ancora più chiaramente, quanto sia necessario uno sguardo

multidimensionale dello sviluppo. Lo stesso trickle down mechanism risulta

smentito dall’andamento delle variabili socio-economiche relativamente

alla decade presa in esame. Inoltre nonostante siano tutti concordi che

nessun indice riesca a catturare pienamente il concetto che vuol misurare,

un indice di benessere sociale ed economico come vuole essere l’indice di

sviluppo umano proposto dall’UNDP, è un chiaro esempio di tale

fallimento. Il grafico 9 presentato a pagina seguente mostra un quadro

favorevole per l’Argentina essendo considerata tra l’altro un Paese ad alto

sviluppo umano dal 1985 . E’ difficile, basandosi sul grafico 9, pensare allo

114

scenario socio-economico disastroso che ha attraversato l’Argentina e che

ho presentato nella prima parte di questa tesi.

Grafico 9. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano in Argentina. Vari anni.

ISU

0.8000.8050.8100.8150.8200.8250.8300.8350.8400.8450.850

1985 1990 1995 2000

ISU

L’analisi in componenti principali eseguita nella terza parte, ha evidenziato

quanto sia forte il problema, nell’Indice di Sviluppo Umano, della

sostituibilità tra le variabili e dell’ugual peso dato ad esse. Una soluzione

al problema prevede da una parte l’inclusione di molte variabili per

prendere in considerazione l’aspetto multidimensionale dello sviluppo, ma

per fare ciò è necessario rafforzare i sistemi statistici nazionali di ogni

Paese; e dall’altro determinare non soggettivamente, ma mediante l’analisi

empirica il peso che ciascuna variabile debba avere nel calcolo dell’Indice.

Inoltre, un indice composito per misurare il processo di sviluppo deve

partire da una prospettiva complementare che racchiuda al suo interno un

115

approccio conglomerativo, in cui vengono considerati i progressi fatti da

ogni gruppo della comunità, compresi coloro che già si trovano in una

situazione vantaggiosa con utilizzando la media nazionale che meglio

sintetizza i conseguimenti medi della popolazione, ma anche da una

prospettiva deprivazionale in cui lo sviluppo è giudicato in base agli

avanzamenti in termini di qualità della vita da parte dei poveri e dei più

svantaggiati in genere. In tal senso l’inclusione di variabili che prendano in

considerazione aspetti quali l’andamento della povertà di reddito (così

come nell’ISUmodificato) la povertà strutturale o ancor meglio, la

distribuzione del reddito, possono ovviare a tale problema. In ultima analisi

c’è da dire che il problema del confronto dei livelli di sviluppo tra i diversi

Paesi risulta di minore importanza se paragonato alla necessità di

determinare un Indice che catturi realmente le diverse dimensioni dello

sviluppo di un Paese, che tenda ad essere il più vicino possibile alla

definizione delle reale condizioni di vita nel Paese e che non dia un quadro

distorto della situazione esistente così come è accaduto per l’Argentina

relativamente agli anni presi in esame.

116

Appendice A.

METODO UTILIZZATO PER STABILIRE LA LINEA DI

POVERTA’ ASSOLUTA IN ARGENTINA.

La linea di povertà è il limite di demarcazione monetaria tra i poveri ed i

non poveri. In accordo alla sua definizione generale, le linee di povertà

sono i livelli di risorse materiali di cui ha bisogno un individuo per poter

comprare un paniere di beni di base. Il valore di questo paniere è

determinato, in caso di linee di povertà assoluta, su quello che devono poter

consumare le famiglie affinché non manchi loro il minimo necessario (nel

caso di linee di povertà relative, si fissa arbitrariamente un livello in

relazione con le spese o le entrate medie di un Paese).

Nella prima parte di questa tesi ho presentato le stime dell’INDEC riguardo

alla povertà di reddito in Argentina ed in GBA. Tali stime vengono

determinate stabilendo una linea di povertà assoluta. Seguendo la

metodologia utilizzata dall’INDEC, la “linea di indigenza”(LI), stabilisce

se le famiglie hanno entrate sufficienti per coprire un paniere di alimenti

capace di soddisfare una soglia minima di necessità energetiche e

proteiche. In tal modo, le famiglie che non superano tale soglia sono

considerate indigenti. Il paniere basilare di alimenti di costo minimo

(canasta basica total, CBA) viene determinato in funzione delle abitudini

di consumo della popolazione definita come popolazione di riferimento in

base ai risultati dell’Inchiesta Nazionale sui Consumi delle famiglie del

117

1996/1997. Una volta stabilito i componenti del paniere basilare di alimenti

necessari per avere un apporto calorico e proteico sufficiente, vengono

valorizzati in base all’Indice dei Prezzi al Consumo. Dato che gli apporti

nutrizionali necessari sono differenti a secondo dell’età, del sesso e

dell’attività delle persone, il procedimento utilizzato dall’INDEC, utilizza

come unità di riferimento un maschio adulto, di età compresa tra i 30 ed i

59 anni, che svolge un’attività fisica moderata e per esso viene stabilita una

necessità energetica di 2.700 Kilocalorie. Questa unità di riferimento viene

definito “adulto equivalente” e si assegna un valore pari ad uno.Viene

determinata una tabella di equivalenza delle necessità energetiche per

persone di età differente e sesso in termini di adulto equivalente: per

esempio un bambino di età compresa fra i 16 ed i 17 anni rappresenta un

0,79 adulto equivalente (2.140 Kilocalorie); una donna di età compresa tra i

18 ed i 29 anni, rappresenta uno 0,74 adulto equivalente (2.000

Kilocalorie). Così, per esempio una famiglia di tre membri, composta da un

uomo di 28 anni (che è equivale ad 1,06 di adulto equivalente), sua moglie

di 26 anni (0,74 di adulto equivalente) ed un figlio di 3 anni (0,56 di adulto

equivalente), corrisponde a 2,36 unità di riferimento o adulti equivalenti.

La composizione di ciascuna famiglia in adulti equivalenti determina un

valore della CBA specifico per quella famiglia. Per esempio, in aprile

2002, il valore del CBA per adulto equivalente era pari a $81,76, pertanto il

valore del CBA nella famiglia presa ad esempio è pari a

118

$81,76*2,36=$192,95. Per ultimo si confronta il valore specifico di

ciascuna CBA con il reddito totale familiare, se il reddito è inferiore al

valore del paniere, la famiglia ed i membri che la compongono si

considerano indigenti (in quanto si situano sotto la linea di indigenza).

La linea di povertà viene determinata stabilendo se le famiglie con i redditi

di cui dispongono possono “coprire” non solo un paniere basilare di

alimenti (CBA), come nel caso della linea di indigenza, ma anche altre

necessità non alimentari che si considerano essenziali come i vestiti,

l’istruzione, i trasporti, ecc.. Il valore del paniere basilare totale (canasta

basica total, CBT) viene calcolato facendo ricorso al coefficiente di Engel

che viene definito come la relazione tra i consumi alimentari ed i consumi

totali osservati nella popolazione di riferimento.

Coefficiente di Engel = Consumi alimentari/Consumi toltali

Il valore del paniere basilare totale (CBT) è uguale al paniere basilare

alimentare(CBA) moltiplicato per l’inverso del Coefficiente di Engel,

ossia:

CBT=CBA*inverso del Coefficiente di Engel

Infine si confronta il valore del CBT di ciascuna famiglia con il suo reddito

totale familiare, se quest’ultimo è inferire al valore del CBT, la famiglia si

considera povera.

119

Appendice B .

COSTRUZIONE DELL’INDICE DI SVILUPPO UMANO

AMPLIATO PER L’ARGENTINA.

L’Indice di Sviluppo Umano Ampliato per l’Argentina è stato costruito in

questo modo:

1) Sono stati selezionati dei nuovi indicatori per ogni dimensione

dell’ISU originale proposto dall’UNDP. Nella selezione si è cercato

di considerare indicatori che aiutassero a differenziare le diverse

giurisdizioni del territorio argentino, ossia indicatori sensibili alle

disuguaglianze regionali; ed indicatori più “dinamici” rispetto alle

variabili originali incluse nell’ ISU, affinché si avesse più

informazione anche nel breve periodo.

2) Le nuove variabili incluse nell’ISU, oltre a quelle originali furono :

3) Per misurare la dimensione lunga e salutare vita: tasso di mortalità

infantile per cause riducibili;

A. Per la dimensione della conoscenza: tasso di età avanzata per

la scuola primaria e secondaria (è la percentuale di alunni con

età maggiore a quella teorica corrispondente al grado nel quale

sono iscritti); Percentuale di risposte esatte nei tests di

matemetica e percentuale di risposte esatte nei tests di

letteratura.

120

B. Per la dimensione decente standard di vita: tasso di

occupazione e tasso di disoccupazione.

4) Una volta scelte le variabili, i valori sono normalizzati, usando come

valori massimi e minimi di riferimento valori fissati utilizzando la

stessa metodologia utilizzata per l’indice di sviluppo umano

originale.

5) Gli indici elementari così ottenuti vengono raggrupPati in accordo

alle tre dimensioni prese in considerazione nell’ISU originale, al fine

di ottenere l’Indice della salute, l’Indice dei risultati scolastici e

l’Indice dello standard di vita.

6) Infine gli Indici risultati sono aggregati (ciascuno con un peso di 1/3)

e l’Indice di Sviluppo Umano Ampliato è calcolato per ogni

giurisdizione del territorio argentino.

Per rendere l’indicatore del reddito sensibile alle disparità nel costo della

vita nelle differenti regioni, ossia del differente potere di acquisto in ogni

luogo, è stato utilizzato il reddito familiare totale pro capite per ciascuna

giurisdizione aggiustato per la differenza dei prezzi tra le regioni del Paese

e per la parità del potere d’acquisto.

Nella tabella a pagina seguente vengono illustrati i pesi (il numero sotto

ogni indicatore ed indice) dati a ciascun indicatore.

121

Dove IPRp/c è l’Indice del Pil reale pro capite aggiustato secondo il potere

d’acquisto di ogni giurisdizione per rendere l’indicatore di reddito sensibile

alle differenze nel costo della vita tra le diverse regioni; ITO è l’indice del

tasso di occupazione; ITD è l’indice del tasso di disoccupazione.

INDICE DI SVILUPPO UMANO AMPLIATO

Dimensione 1Vita lunga e

salutare1/2

Dimensione 2:Conoscenza

1/2

Dimensione 3:Decente standard di vita

1/2

Indice della

speranza di vita 1/2

Indice del tasso

di mortalità infantile

1/2

Indice dell’istruzione1/3

Indice del tasso di età avanzata

1/3

Indice della qualità educativa

1/3

IPRp/c

1/3

ITO

1/3

ITD

1/3

Speranza di vita1/2

Tasso di mortalità infantile

1/2

Tasso di alfabetizzazione

2/3

Rapporto lordo

congiunto di

iscrizione pr-sec-ter

1/3

Tasso di età

avanzataper la primaria2/3

Tasso di età

avanzataper la

secondaria1/3

Risposte esatte ai tests di

matematica1/2

Risposte esatte ai tests diLingua1/2

Pil reale pro capite1/3

Tasso di

occup.1/3

Tasso di

disocc.1/3

122

Appendice C.

OUTPUT DELL’ANALISI IN COMPONENTI PRINCIPALI

Etichette delle variabili:

S.V.N Speranza di vita alla nascita

T.M.I Tasso di mortalità infantile (0-1 anno)

T.M.0.5 Tasso di mortalità dei bambini di età inferiore ai 5 anni

POV % delle persone sotto la linea di povertà

T.AN.AD Tasso di analfabetismo adulto

ISCR.PRIIscrizioni a livello di scuola primaria come % delle iscrizioni lorde totali

ISCR.SECIscrizioni a livello di scuola secondaria come % delle iscrizioni lorde totali

ISCR.TER

Iscrizioni a livello di scuola

terziaria come % delle iscrizioni

lorde totali

SPE.TOT.SOCSpesa sociale totale come % del Pil

PIL.P.1995.B.1990 Pil pro capite a prezzi costanti del 1995 su base annua del 1990

123

TABELLA 1. MATRICE DI CORRELAZIONE

TEST KMO E DI BARTLETT

S.V.N T.M.I T.M.0.5 PO V T.AN.

ADISCR.PRI

ISCR.SE

ISCR.TE

SPE.TO T.SOC

PIL.P.1995.B.1990

S.V.N 1,000 -,952 -,957 ,245 -,969 ,839 ,763 ,632 ,801 ,904

T.M.I -,952 1,000 ,999 -,267 ,984 -,891 -,905 -,802 -,728 -,857

T.M.0.5 -,957 ,999 1,000 -,262 ,986 -,891 -,894 -,789 -,755 -,855

PO V ,245 -,267 -,262 1,000 -,265 ,295 ,480 ,469 -,057 -,103

T.AN.AD -,969 ,984 ,986 -,265 1,000 -,920 -,869 -,768 -,783 -,884

ISCR.PRI ,839 -,891 -,891 ,295 -,920 1,000 ,874 ,858 ,737 ,760

ISCR.SEC ,763 -,905 -,894 ,480 -,869 ,874 1,000 ,966 ,470 ,619

ISCR.TER ,632 -,802 -,789 ,469 -,768 ,858 ,966 1,000 ,378 ,517

SPE.TO T.SO C

,801 -,728 -,755 -,057 -,783 ,737 ,470 ,378 1,000 ,749

PIL.P.1995.B.1990

,904 -,857 -,855 -,103 -,884 ,760 ,619 ,517 ,749 1,000

Misura di adeguatezza campionaria KMO (Keiser Meyer Olkin).

,650

Chi-quadrato appross. 195,356df 45

Test di sfericità di Bartlett

Sig. ,000

124

TABELLA 2. COMUNALITÀIniziale Estrazione

S.V.N 1,000 ,928T.M.I 1,000 ,976T.M.0.5 1,000 ,978PO V 1,000 ,806T.AN.AD 1,000 ,989ISCR.PRI 1,000 ,895ISCR.SEC 1,000 ,949ISCR.TER 1,000 ,871SPE.TO T.SO C 1,000 ,796PIL.P.1995.B.1990 1,000 ,911

TABELLA 3. VARIANZA TOTALE SPIEGATA

Componente Autovalori iniziali Pesi dei fattori non ruotati Pesi dei fattori ruotati

Totale% di

varianza%

cumulata Totale% di

varianza%

cumulata Totale% di

varianza%

cumulata1

7,641 76,409 76,409 7,641 76,409 76,409 7,574 75,737 75,737

21,461 14,608 91,017 1,461 14,608 91,017 1,528 15,280 91,017

3,473 4,726 95,743

4,284 2,835 98,578

5,109 1,089 99,666

6,019 ,190 99,856

7,010 ,102 99,958

8,004 ,037 99,995

9,000 ,005 99,999

10,000 ,001 100,000

125

SCREE PLOT. GRAFICO DECRESCENTE DEGLI AUTOVALORI.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Numero componente

0

2

4

6

8

Autovalore

Grafico decrescente degli autovalori

TABELLA 4. MATRICE DEI COMPONENTI

Componente1 2

T.AN.AD -,993 ,065T.M.0.5 -,988 ,037T.M.I -,988 ,019S.V.N ,950 -,158ISCR.PRI ,945 ,055ISCR.SEC ,907 ,356PIL.P.1995.B.1990 ,855 -,425ISCR.TER ,827 ,433SPE.TO T.SO C ,762 -,464PO V ,299 ,846Metodo estrazione: analisi componenti principali ( 2 componenti estratti).

126

TABELLA 5. MATRICE DEI COMPONENTI RUOTATA (INDICA LA CORRELAZIONE TRA I COMPONENTI E LA DIVERSE VARIABILI, DOPO AVER EFFETTUATO LA ROTAZIONE).

Componente

1 2

T.AN.AD -,994 -,039

T.M.0.5 -,987 -,066

T.M.I -,985 -,085

S.V.N ,962 -,058

ISCR.PRI ,934 ,153

PIL.P.1995.B.1990 ,894 -,334

ISCR.SEC ,865 ,449

SPE.TO T.SO C ,806 -,382

ISCR.TER ,777 ,517

PO V ,210 ,873

Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Quartimax con normalizzazione di Kaiser.La rotazione ha raggiunto i criteri di convergenza in 3 iterazioni.

Matrice di trasformazione dei componenti

Componente 1 2

1 ,995 ,104

2 -,104 ,995

Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Quartimax con normalizzazione di Kaiser.

127

TABELLA 6. MATRICE DEI COEFFICIENTI DI PUNTEGGIO DEI COMPONENTI (FACTOR SCORES)

Componente

1 2

S.V.N ,135 -,094

T.M.I -,130 -,001

T.M.0.5 -,131 ,012

T.AN.AD -,134 ,031

ISCR.PRI ,119 ,050

ISCR.SEC ,093 ,255

ISCR.TER ,077 ,306

SPE.TO T.SO C ,132 -,306

PO V -,021 ,580

PIL.P.1995.B.1990 ,142 -,278

Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Quartimax con normalizzazione di Kaiser.

128

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1. Indicatori dell’economia Argentina, 1990-2000.Tabella 2. Anni medi di istruzione dei giovani in base alle condizioni socio-

economiche. Gran Buenos Aires, 1990-2000.

Tabella 3. Tassi di iscrizione per decile di reddito, livello secondario e terziario, 1992-1997.

Tabella 4. Tasso di abbandono tra i giovani (12-20) per i differenti quintili di reddito, 1997.

Tabella 5.Andamento dell’Indice di sviluppo umano in Argentina. Vari anni.

Tabella 6. Factor Loadings, Comunalità e Factor Scores relativi alla prima componente estratta mediante l’Analisi in Componenti Principali.

INDICE DEI GRAFICI

Grafico 1. Evoluzione povertà ed indigenza. Gran Buenos Aires, 1988-

2002.

Grafico 2. Evoluzione tassi di disoccupazione nel totale dei centri urbani.

1990-2002.

Grafico 3. Povertà e disoccupazione. Gran Buenos Aires. 1990-2002.

Grafico 4. Tasso di disoccupazione, sottocupazione domandante e “disagio

lavorativo”. Totale centri urbani, 1996-2002.

Grafico 5. Evoluzione del rapporto tra i redditi familiari pro capite del

decile 10 e del decile 1. Gran Buenos Aires, 1987-2001.

Grafico 6.Confronto dell’Indice di Sviluppo Umano tra le diverse province

argentine, 1995-2000.

Grafico 7. Indice di Sviluppo Umano Ampliato, province argentine e Città

di Buenos Aires, 2000.

Grafico 8. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano(1990-2000) ottenuto mediante l’Analisi in Componenti Principali.

129

INDICE DEI PARAGRAFI

Prima parte: L’ARGENTINA.

1. La crisi Argentina.

2. I“nuovi”poveri.

3. Lavoro e povertà.

4. Il “capitale” umano.

5. L’ Indice di Sviluppo Umano in Argentina.

6. Sviluppo Umano e Crescita Economica.

Seconda Parte: L’INDICE DI SVILUPPO UMANO.

1. Verso lo sviluppo umano.

2. I Rapporti sullo sviluppo Umano.

3. L’Indice di sviluppo Umano.

4. Limiti dell’ISU.

5. Considerazioni.

Terza Parte: ANALISI IN COMPONENTI PRINCIPALI PER UN

INDICE DI SVILUPPO UMANO MODIFICATO.

Appendice A: Metodo utilizzato per stabilire la linea di povertà assoluta in

Argentina.

Appendice B: Costruzione dell’Indice di sviluppo umano ampliato per

l’Argentina.

Appendice C: Output dell’Analisi in Componenti Principali.

130

Bibliografia :

• Anand, Sudhir e Sen, Amartya (1993): “ Human Development

Index: Methodology and Measurement”, Human Development

Report Office, Occasiona Paper n.12. UNDP. New York.

• Anand, Sudhir e Sen, Amartya (1994): “Sustainable Human

Development: Concepts and Priorities”, Background Papers for

the Human Development Report 1994. Human Development

Report Office. UNDP. New York.

• Anand, Sudhir e Sen, Amartya (1997): “Concepts of Human

Development and Poverty: a Multidimensional Perspective” in

Human Development Papers 1997, Human Development Report

Office. UNDP. New York.

• Anand, Sudhir e Sen, Amartya (2000): “The Income Component

of Human Development Index”, Journal of Human Development,

Vol.1, No.1, pp. 83-106.

• Anand, Sudhir e Ravallion, Martin (1993): “Human

Development in Poor Countries: On the Role of Private Incomes

and Public Services”, Journal of Economic Perspective, citato da

Anand e Sen (1994).

• Aureli, E.C. (1993), “Lezioni di Statistica Sociale. Parte Prima”.

CISU.

131

• Aureli, E.C. (1996): “Lezioni di Statistica Sociale. Parte

Seconda”. CISU.

• Bianchi Patrizio (2002): “Che cosa impariamo dalla crisi

Argentina?”, Quaderno del dipartimento di Economia,

Istituzioni, Territorio n.3/2002, Università degli studi di Ferrara.

• Dasgupta, P. (1990): “Well-Being in Poor Countries”. Economic

and Political Weekly, agosto, 1713-1720.

• ECLAC (2000): “Social Panorama for Latin America and

Carribean 1999-2000”. Santiago de Chile.ECLAC. United

Nations.

• Ffrench-Davis, Ricardo (1998). “Policy implications of the

tequila effect” Challenge, marzo/aprile vol.41 n.2 pp.15-43.

• Foster E.J. , Lopez-Calva L.F., Székely, M. (2003): “Measuring

the Distribution of Human Development: Methodology and

Application to Mexico”. Background Paper for the First Human

Development Report of Mexico.

• Fukuda-Parr, Sakiko (2002): “Operationalising Amartya Sen’s

ideas on capabilities, Development, Freedom and Human Rights

- the shifting policy focus of the human development approach”

in Feminist Economics 9 (2-3), 2003, pp. 301-317. Routledge

Taylor & Francis Group.

132

• Hicks, D. A. (1997), “The Inequality-Adjusted Human

Development Index: A Constructive Proposal”, World

Development, 25, pp. 1283-1298

• INDEC (ottobre 2002/a): “Evolucion de la indigencia e de la

pobreza en GBA”, Eph, Informaciòn de Prensa, INDEC, Buenos

Aires.

• INDEC (ottobre 2002/b): “Incidencia de la pobreza y de la

indigencia en los aglomerados urbano”, Eph, Informaciòn de

Prensa, INDEC, Buenos Aires.

• INDEC (ottobre 2002/c): “Mercado de trabajo: principales

indicadores del aglomerado Gran Buenos Aires”, Eph,

Informaciòn de Prensa, INDEC, Buenos Aires.

• INDEC (ottobre 2002/d): “Mercado de trabajo: principales

indicadores de los aglomerados urbanos”, Eph, Informaciòn de

Prensa, INDEC, Buenos Aires.

• INDEC-EPH (maggio, 2001): “Encuesta Permanente de

Hogares-Base usuaria ampliada de total Eph”. INDEC, Buenos

Aires.

• INTER-AMERICAN DEVELOPMENT BANK (aprile, 2002):

“Why do youngsters drop out of school in Argentina and what

can be done against it?”. Working Paper Regional Policy

Dialogue.

133

• Kelley, Allen (1991), “The Human Development Index: Handle

with Care”, Population and Development Review, Vol.17,

pp.315-324.

• Jahan, Selim (2001): “Measuring Human Development:

Evolution of the human development Index”. UNDP, mimeo.

• Mutti, A. (1974): “Sociologia dello Sviluppo e Paesi

Sottosviluppati”. Loescher Torino, 1974.

• PAHO (1998). “Health in the Americas”,1998 edition, Volume

2.

• Palazzi, Paolo e Lauri, Alessia (1998). “The Human

Development Index: Suggested Corrections”. BNL, Quarterly

Review, n.205, giugno 1998.

• Ranis, G. e Stewart, F. (2001): “Growth and Human

Development: Comparative Latin American Experience”. Center

Discussion Paper N.826, Economic Growth Center, Yale

Universiry.

• Sen, Amartya (1985): “Commodities and

Capabilities”.Amsterdam: North Holland Press 1985.

• Sen, Amartya (1989): “Development as Capability Expansion”,

Journal of Development Planning, 19. New York

134

• Sen, Amartya (1993): “Il Tenore di Vita: tra Benessere e

Libertà”, Marsilio Editori.

• Sen, Amartya (2000/a): “Sviluppo è Libertà”. Mondadori,

Milano.

• Sen, Amartya (2000/b): “A Decade of Human Development”.

Journal of Human Development, Vol. 1, N°1, 2000.

• SIEMPRO (1997): “Encuesta de Desarollo Social y Condiciones

de Vita” (EDS), SIEMPRO. Buenos Aires.

• SIEMPRO (aprile, 2002): “Informe de la Situaciòn Social”.

Informe N.6, Serie Informe de Situaciòn Social y Pobreza,

SIEMPRO. Buenos Aires.

• SIEMPRO (ottobre, 2002): “La Condiciòn de indigencia en las

crisis de 1989 y 2002”, Elsa Cimillo. Serie Informe de Situaciòn

Social y Pobreza, SIEMPRO. Buenos Aires.

• SIEMPRO (gennaio, 2003): “Informe de Situaciòn Laboral”.

Serie Informe de Situaciòn Social y Pobreza, SIEMPRO. Buenos

Aires.

• SIEMPRO (febbraio, 2003): “Plan Jefas y Jefes de Hogar

Desocupados:impacto y caracteristicas de los beneficiarios”. Serie

Informe de Situaciòn Social y Pobreza, SIEMPRO. Buenos Aires.

135

• Stewart, Frances (1985): “Planning to Meets Basic Needs”. The

Macmillan Press Ltd., London and Basingstoke.

• Streeten Paul (1981): “First Things First: Meeting Basic Human

Needs in Developing Countries”. World Bank Publication:

Oxford University Press.

• Srinivasan, T. N. (1994): “Human Development: A New

Paradigm or Reinvention of the Wheel?”, American Economic

Review, Papers and Proceedings, Vol. 84, Is. 2, May, pp.238-

243.

• Tadlil, H. (1992): “A New Approach for Human Development:

Human Development Scores”, IDS, Sussex, citato da UNDP

(1993).

• UNDP Argentina (2002): “Aportes para el Desarrollo Humano

de la Argentina / 2002”. Buenos Aires, Argentina.

• UNDP (1990-2003): “Rapporto sullo Sviluppo Umano”, rapporti

annuali. UNDP. Rosenberg & Sellier.Torino.

• UNESCO (2000). “The state of education in Latin America and

The Caribbean. 1980-2000”. Regional Office for Education in

Latin America and The Carribean (Santiago).

• UNICEF (1989).”The State of the World’s Children”, Oxford

University Press.

136

• World Bank (2000). “Poor people in a rich country: a poverty

report for Argentina”. Report No.: 19992 AR. Poverty

Reduction and Economic Management, Latin America and

Caribbean Region, The World Bank.

• World Bank (2002). “The Anatomy of a multiple crisis: Why was

Argentina special and what can we learn from it”, Guillermo

Perry e Luis Servén, responsabili ufficio di economia del LAC,

The World Bank.

• World Bank Group (2002), Country Brief, “A World Free of

Poverty”, Regions and Country, (online).

Siti di riferimento:

• www.undp.org

• www.worldbank.org

• www.indec.mecon.ar

• www.siempro.gov.ar

• www.paho.org

• www.unesco.org

• www.un.org

• www.ilo.org

• www.eclac.org

137