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DINAMICHE DELLO SVILUPPO IN ARGENTINA: RELATIVI PROBLEMI DI MISURAZIONE E PROPOSTE.
di
GIUDICE VALENTINA
Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
2004
2
1. LA CRISI ARGENTINA
In accordo alla Costituzione del 1853, l’Argentina è una Repubblica
Federale divisa in 23 province ed un distretto federale (Capital Federal).
Tutti i poteri non espressamente attribuiti al governo sono delegati alle
province, le quali sono responsabili della salute, educazione ed assistenza
sociale della popolazione.
Le decadi del XX secolo segnarono profondamente il Paese poiché furono
spettatrici di una lunga serie di Colpi di Stato1 alternati da brevi periodi
d’amministrazione civile. Dopo un lungo periodo di rivolte civili e di stati
d’assedio germinati dalla crescente crisi economica, una dittatura non
desiderata e culminato con una guerra “esterna” persa, quella delle
Falkland-Malvine (1982) con la Gran Bretagna, si arriva alla democrazia ed
alla Costituzione nel 1983 con le elezioni vinte dal radicale Raul Alfonsin,
il quale eredita un Paese eroso dall’iperinflazione ed un aumentato debito
estero.
Fu solo con l’arrivo di Carlos Memem nel 1989 che si ebbero le prime
radicali riforme per la stabilizzazione economica2: privatizzazione delle
1. La Costituzione del 1853 fu sospesa più volte e, di fatto, furono violati i principali diritti civili: rapimenti ed uccisioni d’esponenti politici, di “voci” di dissenso, oppositori e critici di governo che potessero minare il potere acquisito. Si calcola che la dittatura militare del periodo 1976-1983 sia stata responsabile della sparizione di 10.000-30.000 cittadini (desaparecidos) e la conseguente “insurrezione” delle Madres de La Plaza de Mayo, le donne che con coraggio manifestavano il proprio sdegno contro le sparizioni dei loro cari (Italo Moretti, In Sudamerica, Sperling & Kupfer Editori, 2000).
2. Piano molto articolato di riforma economica sulla base delle indicazioni delle autorità monetarie internazionali (FMI e World Bank), secondo l’approccio definito “Washington Consensus”.
3
imprese pubbliche3; liberalizzazione del commercio con l’abbattimento
delle tariffe doganali e le barriere protezionistiche per favorire l’afflusso di
capitali; riforma del mercato del lavoro con l’introduzione di maggiore
flessibilità4; un nuovo patto fiscale tra governo federale e province che
diede vita ad una maggiore decentralizzazione ed un “Piano di
convertibilità” (1991) preparato dal ministro dell’economia di allora,
Domingo Cavallo, che imponeva il cambio alla pari tra peso e dollaro (1
peso=1 dollaro).
Il pacchetto delle riforme diede presto i suoi frutti : l’abbassamento delle
tariffe doganali e l’ “ancoramento” della moneta locale al dollaro
statunitense diedero fiducia agli investitori determinando un forte afflusso
di capitali, che insieme allo sviluppo sostenuto dell’esportazione hanno
permesso di contenere l’inflazione e di far crescere il PIL , con
un’economia che si é espansa da una dimensione stimata di 141 miliardi di
dollari nel 1990 a 298 miliardi di dollari nel 1998 (World Bank Group,
2000).
3. Il 90% di tutte le imprese statali furono privatizzate nel 1994 (telecomunicazioni, banche, trasporti, servizi urbani, società petrolifere).
4. La Ley de Empleo del 1991 fu la prima di una serie di riforme intente a cambiare la legislazione del lavoro. Fu creata un’assicurazione di disoccupazione e s’introdussero moduli diversi di lavoro basati su contratti provvisori (minimo 4 o 6 mesi, massimo 2 anni), i quali erano esenti parzialmente o totalmente da contributi di previdenza sociale. Nel 1995 furono introdotti nuovi cambiamenti tramite la Ley de Promociòn de Empleo che introdusse maggiore flessibilità nell’assumere nuovi lavoratori, principalmente attraverso l’introduzione di contratti di prova (che passarono da 3 a 6 mesi), ed apprendistato. In base a questi tipi di contratti il datore di lavoro fu esentato da ogni tipo di contributo sociale così come da pagamenti per la terminazione del lavoro. Da parte loro, i lavoratori, dovevano aderire ad uno schema obbligatorio d’assicurazione, le Obras Sociales(assicurazione contro le malattie). Nel 1998 una nuova riforma ridusse il periodo di prova ad un mese ma con la possibilità di estenderlo a sei mesi se avvenuto attraverso il processo di contrattazione collettiva.
4
Un importante punto di riferimento per l’economia argentina é stato la
nascita del Mercosur5 (Mercado Comun del Sur), il patto d’integrazione
economica segnato da Argentina, Brasile, Paraguay ed Uruguay, che oltre a
favorire lo sviluppo delle singole regioni ha permesso anche la nascita di
una macroeconomia più “chiusa”6.
Pochi sembravano presagire ciò che di lì a poco sarebbe successo. La stessa
World Bank nel 2000 disegnava per l’Argentina un quadro favorevole
dichiarando che i risultati del programma di riforme del governo erano stati
notevolissimi, poiché avevano permesso di contenere l’inflazione,
abbassare la quota di debito e di far scendere il deficit del governo; tuttavia
faceva notare che la forte dipendenza dell’economia argentina dal mercato
dei capitali stranieri la rendeva vulnerabile agli “shock” esterni (World
Bank Group, 2000). Il primo shock destabilizzante avvenne nel 1995 con la
crisi messicana ed il conseguente “effetto tequila”7. Il secondo nel 1999 con
5. Gli obiettivi principali del Mercosur sono: la libera circolazione di beni e servizi tra gliStati membri; la fissazione di una tariffa esterna comune; coordinamento delle politiche macroeconomiche e settoriali per assicurare una libera e regolare competizione tra i sistemi economici degli Stati membri; modifica della legislazione interna in contrasto con il processo d’integrazione.
6. Per esempio un incremento della domanda dei consumatori di un Paese poteva essere soddisfatto da un altro Paese aderente al Patto usufruendo delle leggi che regolavano gli scambi commerciali.
7. La crisi del Messico esplosa nel 1994, con il crollo del pesos messicano nei confronti del dollaro,introdusse il concetto del cosiddetto “effetto tequila”, ossia della possibilità che la crisi coinvolgesse altri paesi che avevano seguito politiche di stabilizzazione monetaria simili, in primis l’Argentina. Da ciò emerge quali siano le conseguenze per un Paese che riceve per un lungo periodo una quantità di fondi esteri di natura volatile. E’ importante attuare politiche economiche che non abbiano come obiettivo esclusivo l’attirare risorse in misura indiscriminata, ma, relative alla capacità di risposta del Paese e che siano dirette verso investimenti di lungo termine piuttosto che ai consumi finali (Richardo Ffrench Davis, 1998).
5
la crisi del Brasile8, Paese membro del Mercosur che aveva adottato nel
1994 un piano di riforma simile a quello argentino, il “piano real” che tra le
altre cose fissava il cambio alla pari tra real brasiliano ed il dollaro (1
real=1 dollaro).
La crisi economica, culminata con la dichiarazione d’insolvenza del debito
estero (dicembre 2001) e la conseguente dichiarazione del fallimento
dell’economia argentina, ha risvegliato l’attenzione degli analisti del
mondo accademico suscitando diverse correnti di pensiero sulle cause della
crisi e sulla sua “prevedibilità”.
Coloro che hanno posto le basi dell’analisi analizzando lo sviluppo del
Paese da un punto di vista economico-territoriale ed istituzionale, hanno
rilevato come la crisi attuale sia dovuta principalmente a motivi di
vulnerabilità strutturale interna precedenti le riforme. Principale
responsabile il fatto che l’Argentina abbia subito una crescita senza
industrializzazione. L’economia basata sull’allevamento9, la produzione di
beni agricoli e la loro relativa esportazione ha favorito lo sviluppo di una
società oligarchica (in cui il potere economico e sociale è esercitato
attraverso la proprietà della terra) e la crescita di una borghesia terziaria
urbana (legata principalmente al commercio ed alla finanza) non
8. Il Brasile assorbiva il 30% delle esportazioni argentine. Questi mancati guadagni, in uno situazione già di per sé critica, costituirono un dramma.
9. I primi a sviluppare l’agricoltura nell’Argentina precolombiana, furono i gruppi di indigeni, mentre le tribù nomadi si dedicavano alla caccia. Buenos Aires prese forma come centro abitato intorno al 1580, ma per oltre 200 anni rimase in un letargo economico e culturale. L’allevamento del bestiame costituì una fortuna per pochi proprietari terrieri.
6
antagonista, ma complementare ad essa ; le attività industriali, svolte per lo
più da immigrati italiani e spagnoli hanno sempre avuto un ruolo marginale
sia dal punto di vista politico che sociale.
Anche la politica delle Import Substitution10 e la liberalizzazione
economica, con l’abbassamento delle tariffe doganali, non sono riuscite a
far decollare il settore industriale ed approfittare di una situazione
favorevole di mercato (P. Bianchi, 2002).
La mancata competitività, per un Paese ricco di risorse, in un mondo
sempre più globalizzato, sembra essere il fattore propulsore delle politiche
economiche nella storia argentina11. La World Bank, nel 2000,
sottolineando i progressi fatti in campo economico avvertiva come la
mancanza di credito interno e la forte dipendenza dai capitali stranieri
potesse costituire un “collo di bottiglia” per le piccole e medie imprese,
incapaci di essere concorrenziali nel mercato globale (World Bank Group,
10. Nel periodo 1945-1975 molti Paesi dell’America Latina,tra cui l’Argentina, adottarono la strategia della “sostituzione delle importazioni”. L’idea era di proteggere le industrie nascenti locali, per un tempo limitato, dalla competizione straniera fino a quando fossero diventate competitive nei mercati mondiali. Lo strumento utilizzato fu l’innalzamento delle barriere protezionistiche alle importazioni ed il sostenere le imprese nazionali che producevano i beni manufatti fino allora importati dall’Europa. Tale strategia fallì poiché condusse ad un eccesso di capacità in qualche settore e scarsità in altri. Inoltre le compagnie protette non raggiunsero mai i livelli che le avrebbero rese competitive nei mercati mondiali.
11. <<La globalizzazione é un processo i cui costi e benefici dipendono dalla forma particolare in cui ogni economia e società si lega ad essa, aggrava la tensione tra struttura locale e la richiesta globale dei mercati>>; inoltre essa offre molteplici opportunità che possono tradursi in benefici che dipendono solo dalla capacità di risposta del Paese, il quale deve adottare politiche economiche di lungo periodo e non prospettive <<frammentate e dogmatiche>> come si fece in Argentina. (Roberto Bouzas*, “Argentina despues de las reformas”, Revista brasileira de comercio exterior, vol.71, abril-junio, 2002).
* Ricercatore indipendente al Consejo Nacional de Investigaciones Cientificas y Tecnicas (CONICET) e principale ricercatore per la Facoltà Latinoamericana di Scienze Sociali (FLACSO/Argentina). Professore d’Economia Internazionale per la facoltà di Economia
7
2000). La mancata competitività fu attribuita alla mancanza di conoscenze
e tecnologie capaci di aggiungere valore alla produzione, ed all’
“ancoramento” al dollaro statunitense, che ha sì permesso di contenere
l’inflazione, ma ha reso l’economia vulnerabile alle crisi internazionali,
basando la propria crescita sulla fiducia degli investitori. Un ulteriore
studio nel 2002, quindi dopo la dichiarazione di insolvenza del debito,
mostrò empiricamente che, nonostante la retrocessione nello sviluppo dopo
il 1999 avesse colpito duramente tutta l’area latinoamericana, la maggior
parte dei Paesi del LAC cominciava a riprendersi, mentre l’Argentina
cadeva in un profondo baratro (World Bank, 2002). Indagando sul
comportamento differenziale di questi Stati, prendendo in esame
l’andamento dei principali indicatori economici, si cercò di stabilire se la
situazione argentina fosse dovuta al fatto di aver ricevuto maggiori “colpi”
dalle crisi internazionali rispetto agli altri Stati della regione, o fosse la
conseguenza di un fattore specifico tipico del Paese che lo ha reso più
vulnerabile ai colpi esterni rispetto alle altre economie latinoamericane. Gli
studi mostrarono come i repentini stop di afflussi di capitale agirono più
come amplificatori di problemi preesistenti che come causa primaria. Il
rallentamento dell’economia statunitense e mondiale in realtà colpì molto
meno l’Argentina che gli altri Paesi dell’area, poiché l’economia argentina
é sempre stata abbastanza “chiusa”: per esempio, la frazione delle
esportazioni dell’Argentina destinata al mercato statunitense e mondiale é
8
sempre stata molto più modesta di quella degli altri Paesi della regione, per
questo la decelerazione mondiale si tradusse in un modesto declino nei
livelli di commercio che comportarono, a loro volta, solo modesti
cambiamenti nei redditi reali rispetto a quelli avvenuti negli altri Paesi
dell’area latinoamericana (come per esempio in Venezuela ed in Ecuador,
principali esportatori di petrolio). Le crisi internazionali trovarono in
Argentina un terreno fertile per moltiplicare i loro effetti negativi. La
vulnerabilità specifica della posizione argentina fu attribuita ad una serie di
fattori tra cui: grande debito pubblico, posizione fiscale fragile,
caratteristiche deboli del sistema bancario che insieme all’adozione di
politiche sbagliate, tra cui i continui aggiustamenti fiscali e l’esitare sulla
scelta definitiva del regime di cambio12, agirono congiuntamente
rinforzandosi l’un l’altro e determinando il deterioramento dell’economia
(World Bank, 2002).
I punti di vista fin qui esposti partono dalla considerazione che presupposto
essenziale per lo sviluppo di un Paese è la crescita economica. In effetti,
abbiamo visto fino ad ora come siano state messe in discussione solo le
12. Politiche quali la continua rivalutazione del peso sul dollaro nello scenario della svalutazione continua degli altri Paesi coinvolti nella crisi in particolare quelli del Mercosur, e la scelta nel 1998 di mantenere la parità con il dollaro ed aspettare la fiducia degli investitori stranieri. Secondo la World Bank sarebbe stato meglio attuare una svalutazione in tempi non sospetti ossia quando l’economia argentina mostrava segni di ripresa. Ma questo è il senno del poi, poiché il governo argentino seguì le direttive menzionate nelle “lettere di intenti” proposte dalle istituzioni finanziarie internazionali: Fmi e World Bank..
9
politiche economiche, cercando le cause della crisi attraverso l’analisi
economica. Di tutt’altro avviso é la posizione dell’UNDP (United Nations
Development Programme) secondo cui premessa necessaria per lo sviluppo
di un Paese é considerare lo sviluppo umano come fine e la crescita
economica come mezzo, intendendo con sviluppo umano il processo di
ampliamento delle scelte della gente ossia la realizzazione di un ambiente
che consenta alla persone di condurre una vita lunga e sana, di acquisire
conoscenze e di accedere alle risorse necessarie per un tenore di vita
dignitoso. A tale scopo alla misura del PNL pro capite, utilizzato come
misura principale per i livelli di sviluppo fra Stati, è contrapposto l’Indice
di Sviluppo Umano (HDI)13 il quale é costruito sulla base di tre indicatori a
livello nazionale: la speranza di vita alla nascita (per misurare la
dimensione vita lunga e salutare), il grado di istruzione ossia
alfabetizzazione adulta e iscrizione alla scuola primaria-secondaria-terziaria
(per misurare la dimensione conoscenza), il PIL pro-capite espresso in
“dollari internazionali” cioè in termini di Parità di Potere d’Acquisto
PPA$14 (per misurare lo standard di vita). Il valore dell’HDI compreso tra 0
13. L’Indice di Sviluppo umano utilizzato dall’UNDP nei suoi Rapporti sullo sviluppo umano pubblicati ogni anno a partire dal 1990, sarà ampiamente discusso nella seconda parte di questa tesi.
14. <<L’uso dei tassi di cambio ufficiali per convertire i dati espressi in valuta nazionale. in dollari USA, non consente di confrontare il potere d’acquisto. L’International Comparision Project (ICP, Progetto Internazionale di Comparazione) ha elaborato delle stime del PNL reale su una scala confrontabile a livello internazionale, utilizzando come fattori di conversione, al posto dei tassi di cambio, le Parità di Potere d’Acquisto (PPA). Il metodo di misurazione dei redditi pro capite relativi, basato sulle PPA, consiste nel deflazionare i redditi, espressi in valuta comune con un indice dei prezzi in cui il paniere dei beni e servizi di ciascun Paese è posto uguale a quello del Paese (o gruppo di Paesi) di riferimento. Nel caso dell’ICP si costruisce in paniere convenzionale, identico per tutti i Paesi.>> (Aureli C. E., 1996, parte seconda pag.102)
10
e 1 indica quanto ciascun Paese ha percorso, di anno in anno, verso il
massimo valore possibile (uno) e permette di fare paragoni tra Stati.
Dalla prospettiva dello sviluppo umano, la crisi argentina é dovuta a
politiche e riforme “unidirezionali” che hanno subordinato la qualità e la
sostenibilità della crescita alla logica del profitto, poiché le priorità della
politica economica furono solo la stabilizzazione dei prezzi e
l’amministrazione del ciclo economico, senza prestare attenzione ad una
distribuzione delle entrate più equa che permettesse il pieno utilizzo delle
risorse locali ed assicurasse pieno impiego e sviluppo sostenibile (UNDP,
2002).
La crescita avvenuta nei primi anni novanta mostrò che era frutto di fattori
transitori e seminò i propri dubbi circa le strategie di crescita fondate
ponendo come obiettivo primario la creazione di ricchezza. Il successo del
Piano di convertibilità permise di nutrire la speranza che in seguito, con
l’adozione di adeguate riforme strutturali, potesse iniziare un processo di
espansione sostenuto. Non fu il caso dell’Argentina poiché le riforme
attuate enfatizzarono una società frammentata dal punto di vista sociale ed
economico, documentato dal diverso grado di sviluppo delle diverse
province ed all’interno delle stesse. Tali frizioni non solo non permisero di
usufruire dei vantaggi economici ottenuti, ma agirono da elemento
catalizzatore causando una forte retrocessione. L’esperienza argentina
dimostra che é errato sostenere che non appena le economie danno segnali
11
di ripresa le società raggiungono il livello sociale di cui godevano prima
della crisi. Era necessario alla luce di determinate riforme valutarne i costi
e prevedere un modello di crescita che includesse tutti i settori e le province
ossia era necessaria <<una messa a fuoco multidisciplinaria dello
sviluppo>> (UNDP, 2002). Nei successivi paragrafi vedremo come,
nonostante la ripresa economica, la ricchezza non si sia tradotta in un
ampliamento delle possibilità di scelta da parte della gente. Anzi,
dall’andamento dei principali indicatori socio-economici (paragrafi 2,3,4),
emerge il quadro di un Paese disarticolato con una frammentazione sociale
e territoriale senza precedenti. Tutto ciò in disaccordo all’indice di sviluppo
umano in Argentina (paragrafo 5), che registra un incremento costante per
tutta la decade.
12
2. I “NUOVI” POVERI
Le riforme di politica economica degli anni ‘90 hanno permesso di
contenere l’inflazione e ripristinare la crescita. L’evoluzione degli
indicatori economici presentati nella tabella 1 mostrano come gli effetti del
nuovo modello stabilito negli anni ’90, portarono ad una fase di espansione
tra il 1990 ed il 1994, ed una fase di contrazione che condusse il Paese ad
una profonda retrocessione, tra il 1995 ed il 2000.
Tabella 1 : Indicatori dell’economia Argentina, 1990-2000
Anno Pil
(Tasso di crescita annuale)
Pil
pro capite
(tasso di crescita annuale)
InflazioneEsportazioni
(Tasso di crescita annuale)
Debito estero
(% del Pil)
1990 -1.8 -3.2 1343.9 .. ..1991 10.6 9.2 84.0 -3.6 32.31992 9.6 8.2 17.5 -1.0 27.41993 5.9 4.5 7.4 4.7 28.01994 5.8 4.4 3.9 15.1 30.41995 -2.9 -4.1 1.6 22.6 35.21996 5.5 4.1 0.1 7.8 36.91997 8.0 6.6 0.3 12.0 42.61998 3.9 2.6 0.7 10.1 47.11999 -3.0 -4.2 -1.8 -1.1 51.22000 -0.5 -1.7 -0.7 1.8 51.8
Fonte: ECLAC (Comisiòn Econòmica para América Latina y el Caribe), Economic Survey of Latin American and the Carribean (vari anni).
13
Sebbene l’Argentina abbia già affrontato altre crisi (nel 1975 e dal 1981 al
1989), ciò a cui assistiamo oggi é una crisi economica, sociale e politica
senza precedenti.
Tutti gli attori sociali ne sono coinvolti in distinti gradi e come quasi
sempre accade, in questi casi, vittime principali sono coloro che non hanno
possibilità di scelta, ma sono costretti ad affrontare il “mestiere” di vivere.
Secondo stime ufficiali elaborate dall’INDEC (Instituto Nacional de
Estadistica y Censos) in base all’Indagine Permanente sulle famiglie
(EPH15), relativa al mese di ottobre 2002 (INDEC/b, Eph, 2002), si stima
che il 57,5% della popolazione dei centri urbani rilevati sta al di sotto della
linea di povertà; mentre il 27.5% si trova sotto la linea di indigenza il che
vuol dire che non può contare sull’entrata minima necessaria per soddisfare
i livelli proteici e calorici necessari per la sussistenza (Per il calcolo della
linea di povertà e di indigenza vedere l’Appendice A). La povertà di
reddito, in Argentina, é un fenomeno strutturale, permanente e crescente
dal 1993. I dati nel grafico 1, riferiti all’area di Gran Buenos Aires,
15. L’Encuesta Permanente de Hogares (EPH) nasce nel 1972 dalla necessità dopo il Censimento del 1970 di continuare con una rilevazione periodica che potesse dare informazione socioeconomica e demografica sulle case e sui suoi abitanti nei principali agglomerati urbani del Paese. Attualmente l’EPH si realizza due volte l’anno (maggio e ottobre) in 28 agglomerati urbani che rappresentano il 70% della popolazione urbana del Paese ed il 98% della popolazione residente nei centri con più di 100.000 abitanti (o meno solo se sono capitali di provincia). La rilevazione avviene mediante due questionari : uno riferito agli hogares ossia coloro che condividono la stessa abitazione e provvedono insieme a soddisfare le proprie necessità alimentari o di altra natura, indipendentemente dal fatto che abbiano o non rapporti di parentela (in tal senso possono essere costituite da una sola persona); ed uno individuale. Unità di rilevazione sono quindi gli edifici, le convivenze, le famiglie ed i singoli individui (INDEC, “Encuesta Permanente de Hogares-Base usuaria ampliada de total EPH”, maggio 2001).
14
mostrano l’evoluzione della indigenza e della povertà dal 1988 al 2002.
Grafico1: Evoluzione povertà ed indigenza.Gran Buenos Aires16,1988/2002
16. L’EPH é stata soggetta nel corso degli anni a continue riformulazioni a vantaggio di una maggiore copertura e rigorosità scientifica che fornisse più informazione. In particolare il modo di codificare le informazioni é cambiato tre volte nel corso della decade degli anni ’90. Tali cambiamenti hanno generato inconvenienti agli utenti al momento di confrontare dati provenienti da anni diversi, contrastare ipotesi e raggiungere delle conclusioni. Per questi motivi molti investigatori hanno optato per utilizzare l’inchiesta nella cornice del GBA, per la quale zona i dati ebbero lo stesso disegno di indagine, forti anche del fatto che in tale zona si concentra il 38.3% della popolazione urbana del Paese, la quale a sua volta rappresenta in base ai dati del Censimento 1991, l’87.1% della popolazione totale (INDEC,2002). Gran Buenos Aires (GBA) é la più importante zona metropolitana del Paese in termini di popolazione ed attività economica. In poco meno dello 0.2% del territorio nazionale si concentra più di 1/3 della popolazione nazionale e più di ½ del PIL. Si presenta come una zona fortemente eterogenea, che presenta contrasti significativi tra le condizioni di vita dei suoi abitanti. GBA comprende la città di Buenos Aires (Capital Federal) dove si concentra il 9.1% della popolazione nazionale; ed i Partidos del Conurbano che é costituito da 19 municipi che appartengono alla provincia di Buenos Aires ed abbraccia il 24.4% della popolazione argentina. Quest’ultimo a sua volta é suddiviso in 2 anelli concentrici: uno costituito dai municipi confinanti con la Capitale Federale (GBA1), l’altro dai rimanenti (GBA2). Nella zona di Gran Buenos Aires si concentra il 60% della produzione nazionale, é stata il principale centro di migrazione europea nel XIX sec., ed é tutt’oggi fonte di migrazione interna per i poveri del Nordest e Nordovest del Paese.
32,3
47,3
21,517,8 16,8
19,0
24,827,9 26,0 25,9 26,7
28,9
35,4
54,3
10,7
16,5
3,2 4,4 3,56,3 7,5 6,4 6,9 6,7 7,7
12,2
24,7
33,7
6,63,0
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
mag-88
ott-88
mag-89
ott-89
mag-90
ott-90
mag-91
ott-91
mag-92
ott-92
mag-93
ott-93
mag-94
ott-94
mag-95
ott-95
mag-96
ott-96
mag-97
ott-97
mag-98
ott-98
mag-99
ott-99
mag-00
ott-00
mag-01
ott-01
mag-02
ott-02
Fonte: INDEC/a, Encuesta Permanente de Hogares .
% persone povere % persone indigenti
15
Nell’ottobre del 2002, la percentuale di persone al di sotto della linea di
povertà nell’area del GBA era pari a 54.3%, mentre gli indigenti
raggiungevano il 24.7% (INDEC/a, Eph 2002).
Tali cifre superano abbondantemente il picco storico corrispondente al
mese di ottobre del 1989, quando a causa della iperinflazione, la povertà in
GBA raggiunse il 47.3% e l’indigenza il 16.5%.
E’ importante sottolineare che i dati fin qui esaminati tendono a
sottostimare la povertà, giacché non prendono in considerazione la povertà
rurale. Secondo dati provvisori del Censimento 2001, la popolazione rurale
(popolazione in località con meno di 2000 abitanti o in campo aperto)
rappresenta all’incirca il 10.7% della popolazione totale.
Un modo per misurare la povertà rurale é quello di ricorrere all’Indice delle
Necessità Basilari Insoddisfatte17(NBI) . Misurata mediante tale indice, la
povertà rurale é maggiore di quella delle aree urbane, ed é particolarmente
localizzata nelle zone del Nordest e del Nordovest del Paese (UNDP,
2002). Anche per quel che riguarda la povertà urbana, le condizioni di vita
17. L’Indice delle Necessità Basilari Insoddisfatte (NBI) è utilizzato per misurare quella che è definita povertà strutturale. Si calcola determinando la proporzione di individui le cui abitazioni presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: sovraffollamento (più di 3 persone per stanza); abitazione inadeguata (fatta di materiali irregolari che non proteggono dalle intemperie del tempo come per esempio un tetto di paglia); condizioni sanitarie deficienti (come la mancanza di un bagno coperto con relative tubature); presenza almeno di un minore di età dai 6 ai 12 anni che non va a scuola; incapacità di sussistenza (ossia vi sono 4 persone o più a carico di un solo occupato ed un capo famiglia con 2 anni o meno di istruzione primaria). Sebbene tale indice cerchi di cogliere aspetti diversi della povertà che non sia solo quella di reddito, é fortemente influenzato dalla qualità dell’abitazione (i primi tre indicatori), ha solamente un indicatore di istruzione e neanche uno sullo stato di salute. Nonostante ciò é ampiamente utilizzato per designare programmi sociali in particolari aree geografiche.
16
sono più critiche nel nord dell’Argentina. Secondo l’Encuesta Permanente
de Hogares di ottobre 2002, nel Nordest dell’Argentina il 71.5% della
popolazione dei centri urbani18 considerati nell’indagine, é povero ed il
41.9% indigente; nel Nordovest la povertà affligge il 69.4% degli abitanti e
l‘indigenza il 35.1% (INDEC/b, Eph 2002).
Una menzione a parte merita la popolazione indigena. Per molti anni
esclusa dalle Inchieste e dai Censimenti, furono censiti per la prima volta
nel 2001. Le riforme Costituzionali del 1994, riconobbero loro importanti
diritti a riguardo della terra, istruzione, preservazione culturale e furono
registrati per la prima volta nel Registro Nazionale delle Comunità
Indigene. Ma i pregiudizi che li hanno da sempre caratterizzati, hanno fatto
sì che molti dei loro discendenti non si riconoscessero come tali e per tale
motivo é stato difficile dare una stima esatta sul loro numero. Il Governo
stima che vi siano all’incirca 1.5 milioni di indigeni, ma in realtà sono
molti di più. Alcuni gruppi vivono nelle aree montane , nella zona di
confine con il Paraguay e la Bolivia e nelle montagne andine, trovando
sostentamento dall’allevamento degli animali e la vendita di prodotti
artigianali ai turisti. Altri vivono nella zona di Chaco, e trovano
sostentamento dalla pesca e dalla caccia. La povertà fra questi gruppi é
molto alta. Le comunità che hanno l’opportunità, per vicinanza, di
frequentare la scuola primaria, non ne usufruiscono pienamente per la
18. E’ solo dal 2002 che sono forniti dall’INDEC dati disaggregati sulla povertà a livello regionale.
17
mancanza di scuole bilingue. L’accesso alle scuole secondarie é limitato a
coloro che possono permettersi di affrontare un viaggio e vivere nei centri
urbani. Per questa popolazione, la denutrizione infantile costituisce il
problema principale. Inoltre l’alto tasso di fertilità (in media 7 figli per
donna), incide sulla mortalità materna ed infantile (World Bank, 2000).
L’Argentina é un Paese esteso ed eterogeneo che presenta forti contrasti
tra le province in relazione a risorse naturali, produzione, presenza di
servizi e livelli di benessere dei suoi abitanti.
Uno studio condotto nel 1996 dal Ministero della Salute e degli affari
sociali con la collaborazione della PAHO (Pan American Health
Organization), mise a punto una metodologia di analisi per individuare i
gruppi a rischio e le aree geografiche con maggiori problemi, al fine di
definire degli obiettivi mirati di politica interna.
A tal scopo si selezionarono diversi indicatori per misurare le condizioni
generali di vita, l’uso dei servizi sanitari da parte della popolazione e lo
stato di salute delle persone e ciascun indicatore fu considerato in ciascuno
dei 524 dipartimenti in cui venne suddiviso lo Stato.
Per misurare le condizioni di vita furono considerati:
� percentuale di abitazioni con bisogni primari insoddisfatti;
� tassi di alfabetizzazione;
� percentuale della popolazione al di sopra dei 60 anni di età;
18
� percentuale della popolazione senza una copertura assicurativa sulla
salute e sull’impiego.
� anni potenziali di vita persi19.
Furono identificate 5 categorie di condizioni di vita:
1) atipiche;
2) favorevoli;
3) medie;
4) non favorevoli e precarie.
La maggior parte dei dipartimenti (60.9%) si posizionò sulla posizione
media e riguardarono il 61.2% della popolazione totale; il 17.8% dei
dipartimenti furono considerati aree non favorevoli (5% della popolazione
totale). Questa analisi mostrò che i gruppi con le più precarie condizioni di
vita furono trovati nei dipartimenti meno popolati. Inoltre l’uso dei servizi
sanitari da parte della popolazione, stimato in base al numero di visite dai
dottori e le dimissioni ospedaliere, mostrarono come le aree meno popolate
ricorressero molto più frequentemente ai servizi sanitari piuttosto che i
dipartimenti con più alta densità di popolazione. In termini di situazione
19. Gli anni potenziali di vita persi (APVP) é un indicatore di morte prematura. Proporziona una stima degli anni persi dovuti ad una morte prematura basandosi su una speranza di vita predestinata. Si considera come limite di età di mortalità prematura i 70 anni di età per entrambi i sessi (media della popolazione occidentale).E’ data dalla formula :
( )∑∑==
∗−−==69
1
69
15.070
iiii
ididaAPVP .
dove d i sono le morti tra le età i e l’età i+1; ed a i sono gli anni di vita che rimangono da vivere fino a 70 anni quando la morte subentra tra l’età i e l’età i+1 che é a sua volta uguale a 70- (i-0.5), assumendo una distribuzione uniforme di morti tra i diversi gruppi di età dove i rappresenta l’età dell’ultimo.
19
generale di salute, uno studio sulla mortalità per cause riducibili, rivelò che
la mortalità del gruppo di età da 1 a 4 anni era più alta nella categoria delle
condizioni di vita meno favorevoli, stabilendo così un legame forte tra
mortalità infantile e condizioni di vita: la mortalità cresce quando le
condizioni di vita peggiorano (PAHO,1998).
L’importanza di questa analisi condotta nel 1996 risiede nel fatto di aver
stabilito una forte corrispondenza tra caratteristiche geodemografiche del
territorio argentino e condizioni di vita; le condizioni più favorevoli
coincidono con le zone più popolate e vicine alle vie stradali principali.
Allo stesso tempo evidenzia come i dati sulla povertà presentati nel grafico
1 nascondino in realtà una situazione ben peggiore di quella che i dati
suggeriscono, essendo le zone più popolate (urbane con favorevoli
condizioni di vita) oggetto di indagine da parte dell’INDEC e quindi quelle
che hanno maggiore peso nella stima della media nazionale.
La povertà, inoltre, é un problema complesso e multidimensionale, che non
riguarda solo la mancanza di entrate necessarie per il benessere materiale,
ma determina una esclusione sociale, la mancanza di piena partecipazione
nella società, negazione dell’opportunità di vivere un esistenza accettabile,
la vita che si vuole vivere. Nell’ottica dello sviluppo umano, povertà vuol
dire che le opportunità e le scelte più basilari allo sviluppo umano sono
negate. Nel Rapporto sullo sviluppo umano del 1997 (UNDP, 1997) venne
introdotto per la prima volta l’Indice di povertà umana (HPI) nel tentativo
20
di riunire in un indice composito i differenti aspetti della deprivazione nella
qualità della vita. A tal fine venne considerata la deprivazione di tre
elementi essenziali alla vita umana già presenti nell’indice di sviluppo
umano: longevità, conoscenze e standard di vita accettabile. La prima
deprivazione relativa alla sopravvivenza é misurata dalla percentuale di
individui la cui attesa di vita é inferiore ai 40 anni; la seconda, relativa alle
conoscenze, é misurata dalla percentuale di individui adulti analfabeta; il
terzo aspetto é relativo ad uno standard di vita accettabile ed é misurato
dall’unione di 3 variabili: la percentuale di persone con accesso ai servizi
sanitari, all’acqua potabile e la percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni
di età denutriti20.
L’HPI esposto nei Rapporti sullo sviluppo umano, dà una misura
dell’incidenza della povertà umana in un Paese, ma non é possibile
associarla con uno specifico gruppo di persone. Per tali motivi può essere
utilizzato per monitorare, nel corso degli anni, i progressi fatti
nell’eliminazione della povertà in generale (i valori espressi come
percentuale vanno da 0 a 100). I dati disponibili sull’Argentina non hanno
permesso per molto tempo il calcolo dell’HPI, soprattutto per la mancanza
di dati che riguardano la percentuale di bambini al di sotto dei 5 anni di età
con peso insufficiente.
20. Questo in realtà viene chiamato HPI-1 ed é l’indice di povertà umana per i paesi in via di sviluppo. L’indice di povertà umana per i paesi OCSE (HPI-2) aggiunge alle tre dimensioni citate prima, l’esclusione sociale misurata dal tasso di disoccupazione di lungo periodo (12 mesi o più ) della forza lavoro (UNDP, 2000).
21
Oggi più che mai, il problema più greve che si trovano ad affrontare i
responsabili di governo, in Argentina, é la denutrizione infantile. In
accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quando si parla di
“denutrizione” ci si riferisce allo squilibrio esistente tra l’apporto di
nutrienti (proteine,calcio,ecc..) e l’effettiva necessità per l’organismo per la
sua crescita e sviluppo. Un dato che permette di anticipare un aumento
della denutrizione infantile é l’incremento del numero di bambini che
vivono in case indigenti, ossia che non possono contare su entrate
sufficienti per coprire un paniere di alimenti di base. In accordo con gli
studi del Sistema de Informaciòn, Monitoreo y Evaluaciòn de Programas
Sociales de la Naciòn (Siempro, 2002), in maggio 2002 il 33.1% dei minori
di 18 anni era indigente, cifra allarmante se paragonata al 15.4% di ottobre
1998; le regioni del Paese più colpite sono il Nordest ed il Nordovest. La
persistenza dei livelli elevati di denutrizione non é solo il prodotto della
crisi economica, ma eredità di antichi difetti ed iniquità nelle politiche di
salute, che hanno trascurato la attività di prevenzione21 e la creazione di reti
in tutto il Paese, privilegiando di fatto i grandi centri ospedalieri (UNDP,
2002).
Inoltre, la denutrizione infantile non produce i suoi effetti solo nel breve
periodo, traducendosi in un aumento dei tassi di mortalità infantile, poiché,
21. La denutrizione infantile é fortemente correlata con il basso livello di istruzione della madre. Lì dove l’informazione é carente occorre creare delle reti che sensibilizzino le madri alla vaccinazione, ad una buona alimentazione del bambino ed intervenire attivamente quando le necessità lo richiedono.
22
nel periodo che intercorre tra la gestazione ed i primi anni di vita, il deficit
di nutrimento indispensabile lascia segni irreversibili, come perdita di peso,
maggiore esposizione alle malattie infettive, che più tardivamente possono
sfociare in un ritardo nello sviluppo intellettuale e quindi minare la capacità
di accedere un domani ad uno standard di vita accettabile.
La demografia della povertà in Argentina mostra che i poveri:
� Hanno famiglie più grandi (4.6 contro 3.1);
� Hanno famiglie più giovani con alti tassi di dipendenza;
� Hanno alti tassi di disoccupazione;
� Hanno meno anni di istruzione;
� Hanno alte probabilità di lavorare nel settore informale (World Bank,
2000).
23
3. LAVORO E POVERTA’
Tra i diversi fattori che hanno determinato l’incremento dei “nuovi poveri”
negli ultimi anni, vi sono l’aumento della disoccupazione e della
sottoccupazione, la riduzione delle entrate e l’incremento dei posti di
lavoro precari. Secondo stime dell’Indec (INDEC/d, Eph 2002) la
disoccupazione nei centri urbani22 del Paese in ottobre 2002 scese al 17.8%
rispetto a maggio 2002 quando, il valore di 21.5% rappresentò il record
storico del Paese (Grafico 2).
Grafico 2: Evoluzione tasso di disoccupazione nel totale dei centri urbani. 1990-2002
8,6
6,36,96,06,97,0
9,99,310,7
12,2
18,4
16,617,117,316,1
13,713,212,4
14,513,815,414,7
16,4
18,3
21,5
17,8
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
tasso di disoccupazione
mag-90
ott-90
mag-91
ott-91
mag-92
ott-92
mag-93
ott-93
mag-94
ott-94
mag-95
ott-95
mag-96
ott-96
mag-97
ott-97
mag-98
ott-98
mag-99
ott-99
mag-00
ott-00
mag-01
ott-01
mag-02
ott-02
periodo
tasso di disoccupazione
Fonte: INDEC/d, Encuesta Permanente de Hogares.
22. I dati provengono dall’Encuesta Permanente de Hogares di ottobre 2002. Tali dati coprono il totale dei centri urbani di 100.000 e più abitanti e tutte le capitali di provincia. Il rilevamento si effettua in 28 centri urbani.
24
In ottobre 2002 il tasso presentava valori più bassi rispetto alla precedente
rilevazione a causa dell’influenza del “Plan Jefes y Jefas de hogares”
attuato nel 2002 dal Ministero del lavoro per ridurre la povertà. Tale Piano
prevedeva una controprestazione lavorativa (lavori socialmente utili a
tempo parziale) da parte dei capofamiglia disoccupati indigenti, in cambio
di $150. I beneficiari (all’incirca 1.900.000 persone secondo stime del
Ministero del Lavoro di gennaio 2003) sono stati sottratti dalla
disoccupazione ma hanno notevolmente incrementato la precarietà
lavorativa ossia il numero delle persone che seppur lavorando hanno un
impiego instabile, di basso reddito e senza benefici sociali23 (Siempro,
febbraio 2003). In Gran Buenos Aires, una delle regioni più colpite del
Paese, il tasso di disoccupazione passò dal 6.0% nel 1990 al 15.0% nel
2000 (INDEC/c, Eph 2000).
Ma ciò che sembra essere un paradosso è che tra il 1990-1994 mentre il
PIL cresceva quasi del 35%, il tasso di disoccupazione passò da 8.6%
(maggio 1990) a 10.7% (maggio 1994), dimostrando quanto siano in realtà
complesse le interrelazioni tra crescita economica e mercato del lavoro.
La disoccupazione in Argentina é un problema strutturale dai primi anni
‘90, quando i tassi sono cresciuti notevolmente anche a causa di quelle
riforme che miravano a ripristinare la crescita economica : l’introduzione di
23. Senza tale Piano il tasso di disoccupazione urbano sarebbe stato del 23.6%, ossia 5.8 punti percentuali più alto di quello che è stato rilevato in ottobre 2002. Nella zona di GBA sarebbe stato del 23.9% anziché il 18.9% (Siempro, febbraio 2003).
25
nuove tecnologie per migliorare la produttività, in un clima di competitività
commerciale, ha reso alcune categorie della forza lavoro, ridondanti. Lo
stesso processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, fonte di lavoro
per i non specializzati, ha riversato sulle strade migliaia di lavoratori in un
periodo in cui la crescita nella produzione suggeriva investimenti tesi più
ad essere capitale che lavoro intensivo (World Bank, 2000). Oltre alla
difficoltà del nuovo modello economico di generare e mantenere i posti di
lavoro esistenti (causando variazioni nella domanda di lavoro), l’aumento
della popolazione economicamente attiva (PEA)24 ha contribuito a creare
pressione sul mercato del lavoro ed a produrre cambiamenti nell’offerta di
lavoro. Tra il 1990 ed il 2001, l’occupazione é cresciuta ad un tasso
annuale medio dell’1.4%, di certo molto inferiore al 2.5% che si richiedeva
per soddisfare l’espansione della PEA (Eph, 2001) (per sostenere il tasso di
impiego). Inoltre negli ultimi dieci anni, all’interno della categoria
occupati, il numero di coloro che lavorano meno di 35 ore settimanali
(sottoccupati) é più che raddoppiato ( il tasso di sottoccupazione é passato
dal 9.3% di ottobre 1993 al 19.9% di ottobre 2002) (Siempro, gennaio
2003).
Esiste un forte legame tra status di povertà e la posizione nel mercato del
24. La popolazione economicamente attiva é costituita dalle persone che hanno un lavoro o che lo stanno cercando attivamente. E’ composta quindi da popolazione occupata e popolazione disoccupata. (popolazione in età lavorativa 15-64 anni di età). Tra il 1990 ed il 2000, la PEA crebbe dal 40.3% al 45.1%. Questo incremento fu principalmente dovuto all’aumento della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro (dal 27.9% del 1990 al 35.4% del 2000) ed ai lavoratori adulti tra i 25 ed i 64 anni di età (da 67.8% a 74.9%).
26
lavoro (come il Grafico 3 suggerisce) che passa attraverso i salari, la
disoccupazione ed il tipo di impiego.
Grafico 3: Povertà e disoccupazione. Gran Buenos Aires. 1990/2002.
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0mag-90
mag-91
mag-92
mag-93
mag-94
mag-95
mag-96
mag-97
mag-98
mag-99
mag-00
mag-01
mag-02
povertà disoccupazione
Fonte: Encuesta Permanente de Hogares, INDEC.Nota: andamento simile. Sembrano influenzati dagli stessi fattori.
Inoltre la disoccupazione ha un’influenza diretta sul tasso di povertà
(povertà di reddito). I poveri presentano più alti tassi di disoccupazione
nell’intera decade (Eph, INDEC) rispetto ai non poveri e l’utilizzo
dell’analisi probit25 per stimare la probabilità di essere poveri, dato un certo
tipo di caratteristiche, suggerisce che la disoccupazione incrementa la
probabilità di cadere al di sotto della linea di povertà del 17% (World
25. Usando l’analisi probit furono analizzate le caratteristiche delle famiglie povere e non povere per stimare la probabilità di essere poveri dato un certo tipo di caratteristiche. In termini di importanza ha dominato la variabile educativa: l’aver completato la scuola secondaria riduce la probabilità di essere povero del 18% e possedere una laurea del 25%. L’analfabetismo del capofamiglia incrementa la probabilità di cadere in povertà del 22%.
27
Bank, 2000).
Il legame che intercorre tra disoccupazione e povertà è piuttosto complicato
e và al di là di una mera relazione di causa-effetto poiché è determinato da
fattori demografici ed economici di lungo periodo (domanda ed offerta del
mercato del lavoro, distribuzione del reddito, crescita della popolazione).
Il poter svolgere una attività lavorativa soddisfacente non implica solo la
possibilità di accedere alle risorse necessarie per la sussistenza, ma
equivale ad essere inseriti nel tessuto sociale ed economico del Paese,
partecipare attivamente ad un contesto, in cui non si è spettatori passivi ma
protagonisti ed artefici del proprio destino, aumentando la dignità e
l’autostima individuali. La “Dichiarazione Universale dei diritti umani”26,
inoltre, riconosce che: <<ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera
scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla
protezione contro la disoccupazione>> (articolo 23, comma 1).
Il grafico 4 mostra come nella decade sia aumentata notevolmente la
proporzione di coloro che non si ritengono soddisfatti della propria
26. Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che riconosceva i diritti umani, per la prima volta nella storia, quale responsabilità globale allo scopo di garantire la libertà, il benessere e la dignità a tutte le persone del mondo, assicurando loro: la libertà da ogni forma di discriminazione (di genere, razza, gruppo etnico, nazionalità o religione); la libertà dal bisogno (per uno standard di vita dignitoso); la libertà di realizzare e sviluppare il proprio potenziale umano; la libertà dalle ingiustizie; la libertà dalla paura, dalla tortura, da arresti arbitrari o da altri atti violenti; la libertà di esprimere opinioni, di partecipare ai processi decisionali; di lavorare dignitosamente, senza sfruttamento. Venne sancita inoltre l’inalienabilità dei diritti umani (non possono essere annullati da altri, né si può rinunciare ad essi volontariamente) e l’indivisibilità, ossia non vi è gerarchia tra diritti umani e nonpossono essere cancellati alcuni diritti allo scopo di promuoverne altri. Non possono essere cancellati i diritti civili e politici per promuovere i diritti sociali ed economici (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ONU).
28
condizione lavorativa ( misurati dal “tasso di disagio lavorativo” dato dalla
somma del tasso di disoccupazione e di sottoccupazione domandante27).
Grafico 4: Tasso di disoccupazione, sottoccupazione domandante e “disagio lavorativo”. Totale centri urbani. Periodo 1996*/ 2002.
17,2 17,3 16,113,7 13,2 12,4
14,5 13,815,4 14,7
16,418,3
21,5
17,8
8,1 8,5 8,4 8,1 8,2 8,4 8,9 9,1 9,5 9,3 9,6 10,712,7 13,8
25,3 25,8 24,521,8 21,4 20,8
23,4 22,924,9 24,0
26,029,0
34,231,6
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
40,0
mag-96
ott-96
mag-97
ott-97
mag-98
ott-98
mag-99
ott-99
mag-00
ott-00
mag-01
ott-01
mag-02
ott-02
tasso di disoccupazionetasso di sottoccupazione domandantetasso di disagio lavorativo
Fonte: Elaborazione personale in base ai dati dell’ Encuesta Permanente de Hogares, INDEC.*I dati sulla sottoccupazione sono rilevati dall’INDEC in maniera disaggregata (domandante e non domandante) dal 1996.
Un’altro fattore che contribuì a peggiorare una congiuntura, già di per sé
critica, é stato il cambiamento nella distribuzione del reddito avvenuto nella
decade degli anni ’90. La proporzione di entrate percepite dal 10% più
27. La popolazione sottoccupata domandante si riferisce alla popolazione sottoccupata (che lavora meno di 35 ore settimanali per cause involontarie ed è disposta a lavorare più ore) che cerca attivamente un’altra occupazione. Nell’area di Gran Buenos Aires, la sottoccupazione domandante ha raggiunto nel 2002 il record storico, passando dal valore di 2.2% del 1991 al 13.9% (Eph, ottobre 2002).
29
povero della popolazione divenne sempre più bassa, mentre l’opposto
accadeva per il 10% più ricco, i quali di fatto beneficiarono della crescita
economica avvenuta nei primi anni novanta. I dati presenti nel grafico 5,
mostrano come negli ultimi 10 anni il rapporto tra il reddito 28pro capite
del 10% della popolazione più ricco ed il 10% più povero si è ampliato di
quasi il 70%.
Grafico 5: Evoluzione del rapporto tra il reddito familiare pro capite del decile 10 e del decile 1. Gran Buenos Aires. Periodo 1987-2001.
19,6 20,5 19,2 19,417,7
19,7 20,524,1 24,1
30,027,8 33,7
25,6
27,6
28,625,624,2
24,2
22,819,318,9
20,619,620,818,618,0
27,1
15,4
16,8
33,9
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
40,0
mag-87
ott-8
7mag-88
ott-8
8mag-89
ott-8
9mag-90
ott-9
0mag-91
ott-9
1mag-92
ott-9
2mag-93
ott-9
3mag-94
ott-9
4mag-95
ott-9
5mag-96
ott-9
6mag-97
ott-9
7mag-98
ott-9
8mag-99
ott-9
9mag-00
ott-0
0mag-01
ott-0
1
IPCF decile 10/ IPCF decile 1
Fonte: Sistema de Informaciòn, Monitoreo y Evaluaciòn de Programas Sociales in base ai dati dell’Eph condotta dall’INDEC (Siempro,aprile 2002).
28. Statistici ed economisti hanno elaborato numerosi metodi per misurare la disuguaglianza di reddito. Uno dei più semplici e sopra citato è quello che si basa sul confronto fra le quote di reddito delle diverse fasce della popolazione. Si ordina la popolazione in base a valori crescenti di reddito (dalla più povera alla più ricca), la si ripartisce in parti uguali (ogni parte rappresenta, ad esempio, il 10 o il 20 percento della popolazione totale) e siconfronta la quota di reddito che ciascuna di esse possiede. In termini statistici queste quote o gruppi in cui si ripartisce la distribuzione sono definiti con il termine di “quantili”. Si parla di quintili quando si hanno 5 gruppi ciascuno dei quali ha un peso pari al 20 percento, di decili quando si hanno 10 gruppi ciascuno dei quali corrisponde al 10 percento e così via. Se la torta è distribuita equamente, ad ogni x percento della popolazione deve spettare una quota proporzionalmente uguale del reddito nazionale: nel caso sopra citato ad ogni 10% della popolazione dovrebbe andare il 10% del reddito affinché tutte le fette siano uguali. Nella pratica questo non si verifica mai, si ha sempre disuguaglianza. La misura della rapporto tra i redditi dà un’informazione immediata sulla disuguaglianza: si confrontano le “code” della distribuzione, cioè le quote estreme di reddito che vanno,ad esempio, al 10% della popolazione più povera ed al 10% della popolazione più ricca. In presenza di eguale distribuzione tale rapporto é sempre uguale ad 1 (o a 100, se viene moltiplicato per cento) mentre sarà tanto più lontano da questo valore, quanto più c’è disuguaglianza nella distribuzione.
30
Un importante fattore che ha causato il peggioramento nella distribuzione
del reddito, è stato il cambiamento nella domanda di lavoro (World Bank,
2000). Il “nuovo” sistema produttivo introdotto con le riforme dei primi
anni ‘90 ha richiesto figure specializzate, ciò ha incrementato i salari di
quelli con istruzione secondaria ed universitaria. I redditi dei laureati sono
cresciuti del 52.5% durante il periodo 1990-1998, nello stesso periodo i
salari di quelli con istruzione secondaria sono cresciuti del 13.1% , mentre i
redditi di quelli con istruzione primaria declinarono del 3% (World
Bank,2000). Poiché le persone professionali e specializzate tendono ad
essere localizzate nei più alti livelli della distribuzione del reddito, un
incremento delle loro entrate relativamente ad altre tende a peggiorare la
distribuzione.
31
4. IL “CAPITALE”29 UMANO
Essere giovani30, oggi in Argentina, vuol dire trovarsi a fare i conti con
origine sociale ed aspettative future, opportunità e costrizioni. La
transizione alla maturità, che passa attraverso il conseguimento di un titolo
di studio, l’inserimento nel mondo del lavoro e l’indipendenza economica
dalla famiglia di origine, è strettamente vincolata al contesto socio-
economico in cui avviene. In particolar modo, l’istruzione formale
rappresenta una tappa importante nel processo di integrazione sociale: è un
canale di socializzazione che dovrebbe permettere a tutti gli individui che
vi accedono di acquisire le conoscenze necessarie ed i mezzi per
raggiungere, nelle società moderne, un certo livello di benessere o meglio
accedere ad uno standard di vita accettabile. Ma poiché non é ugualmente
distribuita fra la popolazione, sia per qualità che per quantità, in molti casi
rappresenta un meccanismo di produzione e riproduzione di ineguaglianza
sociale.
Il processo di sviluppo socio-economico e modernizzazione, avvenuto nei
primi anni ’90, in Argentina, assegnò un ruolo centrale all’istruzione come
strumento di integrazione sociale e crescita economica. Nel 1993 fu
introdotta la Ley Federal de Educaciòn: essa estendeva l’istruzione
29. Il termine, capitale umano, da me utilizzato in questa tesi non si rifà alle teorie delle risorse umane (vedere la seconda parte) ma voglio intendere con questo termine un ricchezza che và ben oltre l’aspetto puramente economico.
30. Avere tra i 15 ed i 24 anni.
32
obbligatoria da 8 a 10 anni, ridefiniva la struttura del sistema scolastico,
suddividendola in nuovi livelli ed ampliava il processo di
decentralizzazione del sistema scolastico iniziato negli anni ottanta (allo
Stato la funzione di controllare la qualità educativa e compensare le
differenze; alle province il compito di provvedere ai servizi scolastici). Il
sistema scolastico prevedeva, prima della riforma, quattro livelli base:
Prescolare (almeno 1 grado richiesto), Primaria (7 gradi), Secondaria (5
gradi) ed Università. La nuova struttura è: Istruzione Generale di base
obbligatoria (10 gradi), Istruzione Polivalente (3 gradi) ed Università. In
altre parole, i due gradi iniziali dell’istruzione secondaria furono inclusi nel
ciclo di base (schema 1).
Schema 1: Struttura dell’Istruzione Primaria e Secondaria in Argentina.
Lo stesso anno, il Governo adoperò due strumenti per ridurre le iniquità nel
sistema scolastico: il Pacto Federal Educativo, che prevedeva degli
stanziamenti (US$398 milioni) per aiutare le province, soprattutto quelle
Livello di istruzione
Gruppo di età Gradi Osservazioni
Pre-primaria 5 anni di età Istruzione Iniziale
Primaria: EGB1 e EGB2
6-11 anni gradi da 1 a 6
Secondaria più bassa: EGB3
12-14 anni gradi da 7 a 9
Istruzione Obbligatoria: 1
anno di pre-primaria più 9 anni di
educazione di base EGB1,EGB2,EGB3, ogni ciclo di 3 anni
Secondaria più alta: (Polimodale)
15-17 anni gradi da 10 a 12 non obbligatoria
33
più povere, a estendere l’istruzione obbligatoria da sette a dieci anni; ed il
Pian Social Educativo (PSE) (US$703 milioni finanziati dalla Inter-
American Development Bank) che prevedeva tre tipi di programmi:
sviluppare le infrastrutture scolastiche; migliorare la qualità dell’istruzione
attraverso programmi mirati a studenti indigeni, scuole rurali ed istruzione
adulta; ed un programma nazionale di borse di studio per mantenere i
ragazzi delle famiglie povere iscritti alla scuola secondaria.
Esiste una relazione stretta tra istruzione (soprattutto secondaria) e povertà,
condizionata dal mercato del lavoro: nel momento in cui una famiglia vede
ridotte le proprie entrate, spesso i giovani non completano la formazione
per entrare nel mercato del lavoro; d’altra parte avere un titolo di studio
non soddisfacente alle richieste del mercato o non possederne alcuno,
aumenta la probabilità di essere disoccupati e cadere sotto la soglia minima
di povertà. E’ obbligo da parte dello Stato attuare politiche appropriate per
garantire l’accesso all’istruzione a tutti, ossia creare i presupposti necessari
affinché i giovani abbiano tutti un ugual punto di partenza,
indipendentemente dallo stato sociale della famiglia d’origine, e far sì che
le risorse generate siano investite nella costruzione di uno Stato in cui
ognuno è libero di realizzare il proprio potenziale umano. Purtroppo, nella
maggioranza dei casi, ciò non si verifica. E’ il caso dei Paesi dell’America
Latina e dei paesi in via di sviluppo in genere, dove il conseguimento
scolastico dei giovani continua ad essere fortemente condizionato dai
34
redditi familiari e dal livello di istruzione dei genitori. In accordo ai dati
dell’ECLAC relativi alle aree urbane della regione latinoamericana, solo il
7% degli adolescenti quattordicenni, che appartengono al più alto quartile
di reddito, abbandona o ripete la scuola primaria, ma tale percentuale sale
al 26% se consideriamo i giovani appartenenti al quartile di reddito più
povero. Le differenze sono ancor più marcate se consideriamo la
percentuale di coloro che hanno terminato gli studi secondari impiegando
più anni di quelli previsti dal ciclo: il 30% dei giovani appartenenti alle
famiglie del più alto quartile di reddito non completano gli studi secondari
prima di aver compiuto vent’anni (sono ripetenti), ma nel più basso quartile
tale percentuale sale al 70% (ECLAC, 2000). Inoltre, il livello di istruzione
dei genitori ha effetto sul conseguimento scolastico dei figli: solo il 20%
dei ragazzi i cui genitori non hanno completato la scuola primaria, prende il
diploma di scuola secondaria; mentre il valore supera il 60% tra i ragazzi i
cui genitori hanno almeno dieci anni di scuola alle spalle.
L’analisi della situazione argentina tra il 1990-2000 mostra un quadro
complesso. Sebbene i tassi lordi di iscrizione31 a livello primario e
secondario siano aumentati, in generale, tra il 1990 ed il 200032, l’iniquità
istruttiva continua ed essere uno dei principali problemi per l’Argentina
31. Il tasso lordo di iscrizione in uno specifico livello di istruzione (primario, secondario e terziario) è dato dal rapporto tra il numero di alunni iscritti in un dato livello (indipendentemente dalla loro età), e la popolazione del gruppo di età che ufficialmente corrisponde a quel livello di istruzione (vedere schema 1), moltiplicato per cento.
32. Il tasso lordo di iscrizione nella scuola primaria è passato dal valore di 103.5% nel 1990 a 113.1% nel 2000; a livello secondario è cresciuto da 65.9% nel 1990 a 79.5% nel 2000(UNESCO, 2000)
35
(UNESCO, 2000). La tabella 2 confronta gli anni medi di scuola non
obbligatoria dei giovani (15-24 anni) con differenti background familiari
(reddito familiare pro capite e grado di istruzione conseguito dai genitori)
tra il 1990 ed il 2000.
Tabella 2: Anni medi di istruzione dei giovani in base alle condizionisocio-economiche. Gran Buenos Aires. (1990-2000).
AnnoCondizioni
socio-
economiche
1990 2000
Variazione
Reddito
familiare
1° quintile 8.58 8.89 1.04
2° quintile 9.54 9.84 1.03
3° quintile 9.58 10.33 1.08
4° quintile 10.40 11.35 1.09
5° quintile 11.24 11.98 1.07
Livello di istruzione dei genitori
Basso 8.53 8.93 1.05
Medio-basso 9.80 10.14 1.03
Medio 11.25 11.29 1.00
Medio-alto 11.44 11.95 1.04
Alto 12.34 12.35 1.00
Fonte: Encuesta Permanente de Hogares, INDEC.
Nota : I dati si riferiscono ai giovani di età compresa tra i 14 ed i 24 anni che vivono in casa dei genitori. Il reddito è quello familiare pro capite. Il livello di istruzione dei genitori è una combinazione del grado raggiunto da entrambi: basso (primario incompleto per entrambi oppure primario incompleto e primario completo); medio-basso (primario completo per entrambi oppure primario incompleto e secondario completo); medio (primario completo e secondario completo oppure primario completo e terziario completo oppure primario incompleto e terziario completo); medio-alto (secondario completo per entrambi oppure secondario completo e terziario completo); alto (terziario completo per entrambi).
36
Come evidenziano i dati, solo il gruppo dei giovani le cui famiglie
appartengono al quintile di reddito più alto e con entrambi i genitori in
possesso di un diploma di scuola secondaria, hanno in media 12 anni di
scuola. Durante la decade ci sono stati incrementi in tutti i gruppi, anche se
i giovani delle famiglie più povere hanno avuto i più piccoli progressi.
Un’altra considerazione che emerge dai dati, è che nel 2000 il grado di
istruzione raggiunto dai genitori ha avuto meno peso nel determinare gli
anni medi di scuola dei figli. Ma, considerando che, il rapporto tra gli anni
medi di scuola dei giovani provenienti da famiglie appartenenti al quinto ed
al primo quintile di reddito è cresciuto da 1.31 nel 1990 a 1.35 nel 2000,
permane ancora la “disuguaglianza istruttiva”: appartenere o no ad una
fascia di reddito condiziona le opportunità di partecipare pienamente alla
vita sociale ed economica del Paese avviando così, di fatto, quello che è
definito “circolo vizioso della povertà”. Ancora, differenziando tra livelli di
istruzione, un’analisi condotta nel 1997 (Siempro, 1997, “Encuesta de
Desarollo Social”) sulla presenza scolastica per appartenenza a classi di
reddito, evidenzia come non vi sia molta differenza fra classi di reddito per
quanto riguarda l’iscrizione primaria33, mentre per quel che riguarda la
scuola secondaria, solo il 71.1% dei giovani del più basso quintile di
reddito frequenta il livello secondario, contro il 96% dei giovani
33. Il 98.5% dei bambini le cui famiglie appartengono al quintile più povero, sono iscritti alla scuola primaria, mentre la percentuale sale al 100% per i bambini appartenenti al quintile più ricco(5°).
37
appartenenti al più alto quintile (Siempro,1997).
Inoltre nell’ultimo decennio, quello che è stato definito “Educational Gap”,
si è ampliato. Confrontando i dati presenti nella tabella 3 notiamo come tale
divario tra le iscrizioni scolastiche, a livello secondario e terziario, in base
al decile di reddito di appartenenza, si sia ampliato tra il 1992 ed il 1997.
Tabella 3: Tassi di Iscrizione per decile di reddito, livello secondario e terziario,1992-1997.
Secondaria Terziaria
Decile 1992 1997 1992 1997
1 70.5 62.1 22.7 8.7
2 74.9 68.9 20.5 10.7
3 80.3 83.7 17.7 13.3
4 80.0 85.4 22.3 16.1
5 82.5 103.6 20.8 22.5
6 76.1 95.9 21.9 28.0
7 92.2 105.3 27.4 37.8
8 96.4 102.4 38.0 53.8
9 95.2 117.1 54.4 75.5
10 106.2 115.9 80.8 82.0
Fonte: Maria Echart,”Educatiòn y Distribuciòn del Ingreso”, FIEL, 1999 (citata
da World Bank, 2000 e Inter-American Development Bank,2002)
38
Anche il tasso di abbandono è influenzato dalle entrate familiari. I dati nella
tabella 4 evidenziano che all’incirca il 70% dei ragazzi che abbandona la
scuola appartiene ai primi due quintili di reddito più basso, mentre la
percentuale scende quasi al 13% per gli studenti dei due quintili più alti.
Tabella 4: Tasso di abbandono scolastico tra igiovani (12-20 anni) per i differenti quintili di reddito.
Quintile% di tutti quelli
che abbandonano
la scuola
1° quintile 41.3%
2°quintile 28.5%
3°quintile 17.0%
4°quintile 9.5%
5° quintile 3.7%
Totale 100%
Fonte: EDS 1997, Siempro.
Questo perché nonostante il PSE fosse principalmente a favore dei poveri,
poiché il 60% dei beneficiari apparteneva al primo quintile di reddito ed il
40% a famiglie con NBI, la permanenza dei ragazzi nella scuola non
dipende solo da fattori socio-economici ma anche da caratteristiche del
39
settore dell’insegnamento (qualità, disponibilità, vicinanza, accessibilità
finanziaria).
Un’altra considerazione che emerge dai dati è che l’aumento del livello
educativo dei membri delle famiglie povere, non coincide con l’immagine
tradizionale della povertà (Siempro, aprile 2002; dati riferiti al 2001): solo
una quarta parte dei capi famiglia delle case povere non ha completato la
scuola primaria, mentre il 33% di essi ha frequentato (anche eventualmente
non finito) la scuola secondaria. Ciò in parte può essere dovuto alla
presenza dei cosiddetti “nuovi poveri”, ossia coloro che appartenevano alla
classe media e che hanno subito le conseguenze del processo di
modernizzazione avvenuto negli anni novanta (vedi paragrafi precedenti).
40
5. L’INDICE DI SVILUPPO UMANO IN ARGENTINA
I paragrafi precedenti disegnano uno scenario socio-economico disastroso
in cui la libertà di scegliere la vita che si vuole vivere cede il passo ad un
cammino forzato per la sopravvivenza. Il mercato del lavoro ha subito un
deterioramento impressionante con alti tassi di disoccupazione e precarietà
lavorativa. La povertà è divenuta un fenomeno più esteso e la
disuguaglianza di reddito è giunta a livelli senza precedenti. Inoltre,
durante la decade, la distribuzione di capitale umano fra la popolazione è
divenuta sempre più funzione delle condizioni socio-economiche familiari.
Da ciò deriva che parlare di sviluppo umano in Argentina, se intendiamo
con sviluppo umano il processo di ampliamento delle scelte della gente,
risulta inopportuno. Eppure se andiamo a considerare l’indice di sviluppo
umano, utilizzato dall’UNDP per monitorare i progressi di una Nazione nel
tempo, notiamo come esso rileva un incremento costante negli ultimi 25
anni, come se effettivamente vi fossero state evoluzioni positive in tal
senso (tabella 5)34. Utilizzando il valore ISU=0.800 per determinare i Paesi
ad alto sviluppo umano, secondo il criterio elaborato dalle Nazioni Unite,
l’Argentina entra a far parte di questa categoria nel 1985. Inoltre
utilizzando lo stesso indice per misurare lo sviluppo umano nelle diverse
34. La metodologia di calcolo dell’ Indice di Sviluppo Umano è cambiata nel corso degli anni. Ciò ha reso i dati non comparabili nel tempo. I dati nella tabella 5 sono stati già modificati dall’UNDP in base all’ultima metodologia di calcolo. Vedere parte seconda.
41
province del Paese scopriamo risultati inaspettati (grafico6).
Tabella 5. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano in Argentina. Vari anni.
Fonte : “Human Development Report 2002”. UNDP. New York: Oxford University Press.
Grafico 6 : Confronto dell’Indice di Sviluppo Umano35
tra le diverse province argentine, 1995-2000.
0,600
0,650
0,700
0,750
0,800
0,850
0,900
Città di Buenos Aires
Tierra del Fuego
Santa Cruz
Còrdoba
Neuquén
Chubut
Buenos Aires
La Pampa
Santa Fe
Mendoza
Rìo Negro
San Luis
Entre Rìos
Catamarca
La Rioja
San Juan
Santiago Del Estero
Tucumàn
Misiones
Salta
Corrientes
Chaco
Jujuy
Formosa
Valori ISU
1995 2000
Fonte: “Aportes para el Desarrollo Humano de la Argentina/2002”.UNDP, 2002.
ANNI ISU
1975 0.785
1980 0.799
1985 0.805
1990 0.808
1995 0.830
2000 0.844
35. Per misurare il livello di vita si utilizza il reddito familiare totale pro-capite per ciascuna giurisdizione, aggiustato per differenze di prezzi tra le regioni del Paese e per la parità di potere d’acquisto (PPA), dato che tale indicatore riflette meglio i redditi familiari reali piuttosto che il PIL pro-capite, utilizzato per l’intero Paese.
42
Osservando il grafico 6, notiamo che l’Indice di Sviluppo Umano, negli
anni considerati, presenta valori relativamente alti, da 0.700 in su, per tutte
le province e che alcune province, soprattutto quelle del Nordest e del
Nordovest del Paese (vedere la cartina alla fine di questa prima parte),
occupano in maniera persistente le posizioni meno favorevoli. I dati
trovano spiegazione nella natura degli indicatori utilizzati nella costruzione
dell’ISU36: riflettono caratteristiche strutturali di lungo periodo e sono
insensibili a cambiamenti avvenuti nel breve periodo. A tal proposito
l’UNDP, per poter meglio discriminare tra le diverse province e disporre di
un indice relativamente “dinamico” ha utilizzato l’Indice di Sviluppo
Umano Ampliato (ISUA),(UNDP, 2002). Partendo dall’obiettivo che era
quello di arrivare ad un indice che desse maggiore informazione, furono
selezionati indicatori aggiuntivi per misurare ogni dimensione espressa
dall’ISU: per la dimensione longevità fu considerato il Tasso di Mortalità
Infantile dovuto a cause riducibili; per la dimensione conoscenza: il Tasso
di “Età avanzata”37 per la scuola primaria e secondaria e la percentuale di
risposte corrette nei test di Matematica e di lingua; per la dimensione
decente standard di vita, il Tasso di Occupazione ed il Tasso di
Disoccupazione.
36. L’ISU è basato su tre indicatori: longevità, misurata dalla speranza di vita alla nascita; risultati scolastici, misurati combinando insieme alfabetizzazione adulta (peso di due terzi) ed il rapporto di iscrizioni congiunto ai livelli primario, secondario e terziario (peso di un terzo); e lo standard di vita misurato dal PIL reale pro capite (in dollari PPA).
37. Il Tasso di Età avanzata per i diversi livelli è dato dal rapporto tra la percentuale di studenti con età maggiore all’età teorica corrispondente al grado nel quale sono immatricolati e la percentuale di studenti iscritti in quel grado.
43
Rispetto al grafico 6, nel grafico 7 notiamo come l’Indice di Sviluppo
Umano Ampliato sia riuscito non solo a riflettere maggiormente le disparità
delle condizioni di vita tra le diverse province, ma, presentando valori
molto bassi per alcune giurisdizioni riflette la situazione reale del Paese
l’anno prima della dichiarazione di insolvenza del debito e la conseguente
dichiarazione del fallimento dell’economia argentina.
Grafico 7: Indice di Sviluppo Umano Ampliato , province argentine e Città di Buenos Aires, 2000.
Fonte: UNDP, 2002
0,8670,685
0,6530,6340,6320,6290,6130,603
0,5800,556
0,5270,5150,510
0,4570,444
0,4190,4020,400
0,3740,3390,339
0,3090,227
0,1870,156
0,000 0,100 0,200 0,300 0,400 0,500 0,600 0,700 0,800 0,900 1,000
Città di Buenos Aires
Còrdoba
Tierra del Fuego
Mendoza
La Pampa
Buenos Aires
Totale Paese
Santa Cruz
Santa Fe
Neuqùen
Entre Rìos
Chubut
San Luis
Rìo Negro
San Juan
Santiago Del Estero
La Rioja
Tucumàn
Catamarca
Salta
Misiones
Chaco
Corrientes
Jujuy
Formosa
44
L’Indice di Sviluppo Umano Ampliato(per una sua metodologia di calcolo
vedere l’Appendice B) risulta ancora di difficile utilizzo a causa della
indisponibilità di alcuni dati a livello nazionale. Ma ciò non può essere una
scusante per non arrivare a disporre di un Indice di Sviluppo Umano che
rifletta in maniera coerente la situazione reale di un Paese. La situazione
socio-economica argentina dell’ultimo decennio tende a screditare l’analisi
dell’UNDP. E’ difficile parlare di sviluppo umano e tanto meno di Paese ad
alto sviluppo umano se :
� Il 53% degli Argentini sta al di sotto della linea di povertà (EPH,
maggio 2002);
� Il 33,1% di coloro che hanno meno di 18 anni è indigente (Siempro,
maggio 2002) cifra più che raddoppiata rispetto ad ottobre 1998
(15,4%);
� Il 34,2% della popolazione non è soddisfatta della propria
condizione professionale ( disoccupati e sottoccupati domandanti)
(Eph, 2002) contro la stima del 25,3% di maggio 1996;
� Appartenere o meno ad una classe di reddito condiziona fortemente
le opportunità future dei giovani.
45
6. SVILUPPO UMANO E CRESCITA ECONOMICA
Esiste una relazione bi-direzionale tra crescita economica e sviluppo
umano. Da una parte la crescita economica fornisce le risorse necessarie
per migliorare lo sviluppo umano; dall’altra, i progressi del capitale umano
sono un importante contributo alla crescita economica. Sebbene l’esistenza
di tale legame sia largamente condivisa dal mondo accademico, i singoli
fattori che influiscono e determinano tale legame sono piuttosto complessi
ed empiricamente difficilmente dimostrabili. A tal proposito Gustav Ranis
(Yale University) e Frances Stewart (Oxford University) (Ranis e Stewart ,
2001) utilizzando tabelle di regressione per vari stati dell’America Latina
(per quelli i cui dati erano disponibili) relative agli anni 1960-92 hanno
individuato due catene causali (A e B) che legano la crescita economica
(EC), rappresentata dal PIL, e lo sviluppo umano38 (SU). Lo scopo era di
identificare le variabili, nella catena A, che producono miglioramenti nello
sviluppo umano, usando il shortfall (letteralmente la riduzione mancante)
della speranza di vita39 tra il 1970 ed il 1992 come indicatore di questi
progressi. Nelle pagine seguenti è rappresentato il diagramma riguardante il
ciclo sviluppo umano-crescita economica ed una sua concisa spiegazione.
38. Il termine sviluppo umano viene usato per definire il processo di ampliamento delle scelte delle persone. I due aspetti dello sviluppo umano sono: la formazione delle capacità umane, quali il miglioramento della salute delle conoscenze e capacità professionali; e l’uso che le persone fanno delle capacità acquisite, per il tempo libero o per il lavoro. (UNDP, 1990).
39. La riduzione mancante si riferisce agli anni che mancano per raggiungere il dato record di speranza di vita registrata nello Stato.
46
Diagramma 1. Ciclo Sviluppo Umano - PIL
C C
A A
T T
E E
N N
A A
B A
La catena A, che và dal PIL allo Sviluppo Umano, indica come le risorse del reddito nazionale sono allocate alle diverse attività che contribuiscono allo sviluppo umano; la catena B che và dallo sviluppo umano alla crescita economica, indica in che modo lo sviluppo umano aiuta ad incrementare il reddito nazionale.Rispetto
Capacità di Imprenditori,
Direttori, Operai e Agricoltori Spese
familiari per i beni primari e
loro allocazionetra i membri
Reddito familiare e Tasso di povertà
Distribuzione del reddito
PIL
Capitale sociale
Ambiente politico
Comunità ed organiz.
non governative Tassi di entrate
e spesa pubblica
Tassi di iscrizioni scolastiche,
Copertura dei servizi sanitari,
acqua ed igiene
SviluppoUmano
combinazione di produzione ed esportazione
Organizzazione della produzione,
importazione di tecnologie e loro
utilizzo
Tassi prioritari e sociali
Risparmi Nazionali
Capitale azionario esociale
Investimenti stranieri
47
alla Catena A, partendo da un determinato livello di reddito (PIL), generato da una crescita passata, noi possiamo tracciare la spesa delle famiglie, del governo e della società civile per quelle attività che contribuiscono a migliorare lo sviluppo umano. Allo stesso tempo la propensione delle famiglie a spendere il reddito netto per quei beni (acqua, cibo, istruzione, salute) che concorrono allo sviluppo umano, dipende non solo dal livello medio di reddito raggiunto e dai tassi di povertà, ma anche dalla distribuzione del reddito. Quando i tassi di povertà sono alti perché il reddito nazionale pro-capite è basso od è mal distribuito, la spesa delle famiglie per lo sviluppo umano è bassa. L’assegnazione delle risorse, da parte del governo, per migliorare lo sviluppo umano dipende dalla spesa nel settore pubblico, da quale proporzione di essa viene destinata ai settori dello sviluppo umano e da come tale spesa è ripartita tra i diversi settori. Tutto ciò espresso in tassi diventa: il rapporto di spesa pubblica, definito come la proporzione del PIL spesa a vari livelli di governo; il rapporto di ripartizione nello sviluppo umano, definito come la parte della spesa pubblica destinata ai vari settori dello sviluppo umano; il tasso prioritario di sviluppo umano, definito come la proporzione della spesa totale pubblica nei settori dello sviluppo umano, destinata ad aree “prioritarie”, per esempio destinata all’istruzione primaria piuttosto che alla terziaria. Un altro ruolo importante è svolto dalla società civile e dalle diverse organizzazioni non governative, le quali attraverso donazioni private e statali contribuiscono allo sviluppo umano. Il legame nella catena A tra sviluppo umano e crescita economica è forte e complesso poiché la sua forza dipende da un gran numero di fattori che includono la struttura dell’economia, la distribuzione del capitale e le scelte politiche fatte.La catena B, che và dallo sviluppo umano alla crescita economica, evidenzia come persone sane, ben nutrite ed istruite contribuiscono alla crescita economica, poiché essi hanno un’influenza diretta sulla produttività lavorativa, sulle capacità imprenditoriali e la creatività dei managers. Un’ alto livello di sviluppo umano porta a disporre di migliore capitale umano: capace di governare con migliori risultati, di utilizzare al meglio le risorse locali e di adattare più adeguatamente la tecnologia importata al contesto locale. Così come nella catena A, la forza del legame tra le diverse variabili nella catena B, varia considerevolmente. Inoltre non vi è una connessione automatica tra un aumentato livello di sviluppo umano ed un incremento del PIL pro-capite. In questo legame intervengono diverse determinanti quali il risparmio, i tassi di investimento, l’ambiente politico e la qualità del capitale sociale. Una variabile determinante sia nella catena A che nella B, è la distribuzione del reddito che determina la forza dei vari legami: una più equa distribuzione dei beni favorisce alti tassi di crescita economica allontanando insorgenze popolari e rischio di instabilità politica capaci di interrompere il progresso economico; inoltre implica migliore nutrizione, aumenta la spesa familiare per l’istruzione incrementando quindi la produttività lavorativa.
***
L’evidenza empirica ha accertato un concatenamento positivo tra crescita
economica e sviluppo umano. Tale legame, specialmente se forte in
entrambe le catene, può condurre un Paese ad un circolo virtuoso (una forte
crescita economica conduce a progressi nello sviluppo umano, ed, a sua
volta, un aumentato livello di sviluppo umano conduce ad una crescita
sostenuta) oppure ad un circolo vizioso, poiché è anche vero che una debole
crescita conduce ad un debole sviluppo umano il quale a sua volta porta ad
una debole crescita economica. Se invece si è in presenza di un legame non
48
solido (ossia le diverse variabili delle due catene non sono fortemente
connesse) ci si può trovare in una situazione in cui si incontra buona
crescita economica ed insufficiente sviluppo umano (CE-*) (per esempio,
perché il rapporto di spesa pubblica è basso), o buon sviluppo umano e
scarsa crescita economica (SU-*) (per esempio, perché il tasso di
investimento è basso). Questi ultimi due casi di mancata corrispondenza
possono durare per molto tempo ma prima o poi cadono od in un circolo
virtuoso od in uno vizioso. L’analisi ha dimostrato che: tutti gli Stati
considerati che si trovavano nella condizione iniziale CE-*, negli anni che
seguirono, caddero nel circolo vizioso dimostrando di fatto che la crescita
economica in se stessa non è sostenuta a meno che non è preceduta od
accompagnata dallo sviluppo umano; il modo migliore per passare da un
circolo vizioso ad uno virtuoso è tentare di muoversi nella direzione SU-*,
ossia rafforzare i legami nella catena A spingendo le risorse verso i settori
dello sviluppo umano, solo allora ci si potrà muovere dallo stato SU-*
verso un ulteriore crescita economica (consolidando le relazioni tra le
variabili nella catena B). Tale lavoro evidenzia empiricamente come sia
errato concentrarsi esclusivamente sulla crescita economica aspettandosi
che tale crescita si traduca automaticamente in sviluppo umano. Le
politiche per lo sviluppo umano devono precedere o almeno accompagnare
politiche basate esclusivamente sulla crescita economica, se si vuole che il
proprio Paese raggiunga un certo grado di sviluppo sostenuto.
49
In particolare tra i diversi Paesi dell’America Latina, l’Argentina dal 1960
al 1992 ha avuto un ambiguo primato di sviluppo (schema 2),
sperimentando bassa crescita economica e basso sviluppo umano prima di
muoversi nello stato SU-*.
Schema 2. Andamento dell’Argentina
Tale dato presuppone, alla luce di quanto finora detto, che l’Argentina agli
inizi del 1990 si trovava in uno stato di transizione positiva e che aveva alta
probabilità di cadere in un circolo virtuoso. Ciò, come i dati in nostro
possesso (vedere paragrafi precedenti) evidenziano, non è avvenuto. In
accordo con l’UNDP (UNDP, 2002) politiche sbagliate e fuorvianti
dall’obiettivo primario che è lo sviluppo umano possono esserne la causa
principale, anche se nello sviluppo di un Paese intervengono talmente tante
variabili che risulta impossibile determinarle e quantificarle tutte quante40.
Tutto ciò non scredita l’utilità dell’ analisi di Ranis e Stewart (Ranis e
Stewart, 2001), poiché sottolinea l’importanza dello sviluppo umano, alla
base di ogni programma di riforma, come condizione necessaria ma non
1960-1970 1970-1980 1980-1992
vizioso vizioso SU-*
50
sufficiente per far progredire un Paese. Semmai mette in evidenza quanto
sia importante disporre di un indice sensibile di sviluppo umano, capace di
monitorare i progressi di una Nazione in maniera più fedele.
40. Tra le diverse variabili non quantificabili vi è la capacità di reazione di un popolo ad una crisi economica e sociale. Tale capacità è funzione della struttura sociale del Paese e della riserva di capitale sociale capace di adattarsi al cambiamento. In Argentina la crescita della disoccupazione, della precarietà lavorativa e della povertà, a metà degli anni ’90, costituirono le basi sociali di movimenti quali: i Cartoneros (comprende persone che in gruppo od individualmente percorrono le strade alla ricerca di rifiuti: materiali come la carta, vetro, plastica e metalli che prima della crisi si potevano acquistare per pochi centesimi, aumentarono la loro quotazione); i Piqueteros (i diversi gruppi che integrano questi movimenti tendono a confluire in manifestazioni e proteste per chiedere alimenti, sussidi di disoccupazione, sussidi per attività destinate all’autosostentamento o risolvere necessità di quartiere ); il Movimento delle Imprese Recuperate ( iniziative operaie per recuperare fabbriche in disuso od abbandonate dagli imprenditori per trasformarle in cooperative o imprese autogestite). Un’altra strategia di sopravvivenza messa in atto per attenuare gli effetti nocivi della crisi è il baratto. Da sempre utilizzato nelle piccole comunità e nelle società tradizionali, con l’avvento della crisi, in Argentina, lo scambio di beni e servizi viene organizzato in reti e nodi all’interno della città. I partecipanti (320.000 membri nel 2001) devono comprare e vendere dentro lo stesso nodo, diventando di fatto produttori e consumatori allo stesso tempo.<< La gente và al baratto con lo stesso rigore e costanza con cui si và a lavoro, solo che si tratta di un lavoro indesiderato>> (UNDP,2002).
53
1. VERSO LO SVILUPPO UMANO
Il concetto di sviluppo è sempre stato oggetto di discussioni ed analisi
incentrate principalmente su quali fossero le condizioni che
caratterizzassero il processo di sviluppo e quali dovessero essere gli
obiettivi di una politica per promuoverlo. Prima degli anni ’50 il processo
di sviluppo era concepito solo in termini economici. In tal senso,
l’attenzione degli economisti e dei governi era focalizzata sul PIL (Prodotto
Interno Lordo)41considerato unico vero indicatore di sviluppo. Il processo
di sviluppo era visto, in maniera etnocentrica, come una sorta di sentiero
universale che prima o poi tutti i Paesi dovevano percorrere. Promuovere lo
sviluppo nei Paesi arretrati significava trasportare modelli di sviluppo
occidentali, sulla base della considerazione che il sottosviluppo era solo un
ritardo storico. Il confronto fra i diversi Paesi avveniva a seconda del loro
posizionamento sul sentiero universale ed inevitabile che i Paesi di prima
industrializzazione avevano tracciato42(A. Mutti, 1974). Inoltre era
convinzione comune che la crescita economica, testimoniata dall’aumento
41. Il PIL (prodotto interno lordo) è il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno dei confini del Paese in un certo periodo di tempo. Nel suo calcolo rientra sia il valore dei beni materiali (case, cibo…) sia il valore dei servizi. Il valore di ogni bene e servizio è dato dal suo prezzo di mercato e la somma di tutti i valori genera il Prodotto interno lordo. Il PIL ignora tutto ciò che avviene al di fuori degli scambi commerciali (costi sociali ed ambientali, economie non di mercato come il volontariato e l’economia sommersa).
42. Secondo Rostow (“The stages of economic growth”, 1961) i Paesi ricchi ed industrializzati sono passati attraverso 5 stadi di sviluppo che saranno ripercorsi dai Paesi “arretrati”: stadio delle società tradizionali o preindustriali; stadio delle condizioni preliminari per il decollo; stadio del decollo; il passaggio verso la maturità; l’età del grande consumo di massa.
54
del PIL, avrebbe fatto ricadere i suoi effetti positivi sull’intera popolazione
migliorando la loro qualità di vita e determinando un generale innalzando
delle loro condizioni di vita (trickle down mechanism) (nuovi posti di
lavoro, aumento dei redditi, riduzione delle disuguaglianze e della povertà).
Negli anni ‘70 tali convinzioni vengono messe in discussione: ci si
allontana dall’etnocentrismo riconoscendo che il processo di sviluppo è un’
esperienza unica e specifica del Paese e comincia a maturare una nuova
visione non più centrata sull’identità crescita=sviluppo. L’evidenza
statistica, sulla base dell’esperienza dei Paesi in Via di Sviluppo, aveva
dimostrato che una rapida crescita a livello nazionale non riduceva la
povertà e la disuguaglianza, né offriva sufficiente occupazione. Nasce, così,
una nuova idea di sviluppo inteso come un processo multidimensionale che
presenta diverse sfaccettature sia di tipo quantitativo che qualitativo e per
tal motivo la crescita economica deve essere considerata solo come una
delle tante dimensioni dello sviluppo. In particolare nel 1976 l’ILO
pubblicò il Rapporto “ Employment, Growth and Basic Needs: a one world
problem” in cui veniva per la prima volta definita la Teoria dei Basic Needs
(bisogni fondamentali), dove si riconosceva l’importanza di ricorrere ad
elementi di valutazione dello sviluppo diversi dal reddito pro capite. Questo
rimaneva un importante indicatore di sviluppo, ma solo nella misura in cui
permetteva l’acquisizione ed il consumo di un paniere di beni e servizi
necessari (basic needs) per il raggiungimento di uno standard di vita
55
accettabile. Premessa necessaria per poter parlare di sviluppo per un Paese
è garantire uno standard minimo ai gruppi più poveri della popolazione (nei
livelli di salute, nutrizione, istruzione, igiene e la possibilità di avere un
lavoro adeguatamente remunerato per chiunque lo voglia)43. Rispetto alle
teorie tradizionali della crescita economica, che ponevano l’accento sulla
soddisfazione dei bisogni primari come conseguenza del processo di
crescita, la Teoria dei Basic Needs cambia completamente
prospettiva, sottolineando che solo attraverso il soddisfacimento delle
necessità basilari si favorisce la crescita economica.
Tale teoria trova, negli stessi anni, un’applicazione pratica nelle linee
programmatiche della World Bank guidata da Robert McNamara. Si inizia
a studiare dal punto di vista analitico le implicazioni operazionali nel
contrastare la povertà e garantire un reddito minimo ai più disagiati. Un
ulteriore approfondimento concettuale di tale teoria si deve a due
economisti dello sviluppo Paul Streeten (1981) e Frances Stewart (1985)44,
i quali sottolineano che l’obiettivo principale, nelle politiche di sviluppo,
deve essere quello di garantire il raggiungimento di uno stato di vita “piena
e soddisfacente” per tutti e non soltanto una determinata soglia di reddito: i
43. In particolare l’ILO (International Labour Organization) sottolineava che l’accesso ai basic needs da parte dei gruppi più poveri della popolazione sarebbe stato agevolato dal conseguimento di uno status occupazionale adeguatamente remunerato. Quindi per lo sviluppo di un Paese occorre aumentare la redditività del lavoro dei poveri ed operare cambiamenti nella struttura organizzativa della produzione.
44. Paul Streeten e Frances Stewart fanno parte del gruppo di consulenza esterna per la stesura degli Human development Report insieme, tra gli altri, ad Amartya K.Sen e Gustav Ranis citati in questa tesi.
56
poveri hanno bisogno di certi beni e servizi basilari; il reddito è un mezzo
per accedere ad alcuni di questi beni ma non permette di avere accesso a
tutti (es. beni pubblici); le persone sono il vero obiettivo dello sviluppo e la
crescita economica è un mezzo per migliorare la qualità della vita di esse;
un decente standard di vita dipende dai consumi di cibo, dallo stato di
salute, dall’accesso ai servizi45.
Con la teoria dei Basic needs si sposta l’attenzione dal PIL, riferito
all’intera collettività, alla condizione individuale; inoltre si sostiene che
attraverso la soddisfazione dei bisogni fondamentali si favorisce la crescita
45. Paul Streeten (1981) suggerisce una serie di indicatori utili per stimare le necessità di base. L’obiettivo di base dello sviluppo è garantire una vita minimamente decente in termini di particolari livelli di salute, nutrizione, istruzione, igiene, approvvigionamento d’acqua ed abitazioni.
BASIC NEEDS INDICATORI
SALUTE • Speranza di vita alla nascita
ISTRUZIONE• Alfabetizzazione• Iscrizioni alla scuola
Primaria
APPROVIGIONAMENTO D’ACQUA
• Mortalità infantile per 1000 morti
• % della popolazione con accesso all’acqua potabile
NUTRIZIONE • Assunzione di calorie pro capite
IGIENE
• Mortalità infantile per 1000 nati vivi
• %della popolazione con accesso ad installazioni igieniche
57
economica diversamente da ciò che affermavano i sostenitori delle teorie
sulla crescita. Ma è solo con Amartya K. Sen che si ha un radicale punto di
svolta nel dibattito sul concetto di sviluppo. Sen critica la Teoria dei Basic
Needs in quanto presuppone una normativa universale di quali siano i
bisogni fondamentali per gli esseri umani senza considerare le variazioni
individuali, culturali, sociali e di genere (per esempio una persona malata
con dei parassiti intestinali può richiedere più cibo di una sana, così come
un abbigliamento adeguato può essere importante in una cultura ed
assolutamente insignificante in un'altra). Egli concorda con tale approccio
nel considerare le persone obiettivo finale dello sviluppo, ma l’enfasi posta
sui bisogni fondamentali, in termini di possesso di beni e servizi, e sulla
loro mancanza, come indicatore della necessità di concentrarsi sul loro
approvvigionamento, implicherebbe una base produttiva, non discostandosi
di molto dalle teorie precedenti sulla crescita. Egli sostiene che il benessere
e lo sviluppo vanno al di là del possesso di merci e che non tutte le merci
che contribuiscono al benessere possono essere comprate, ad esempio l’aria
fresca e l’assenza di crimine (Sen, 1985), inoltre <<….i bisogni primari
sotto forma di fabbisogno di merci sono strumentalmente importanti. Il
problema principale è la vita che si è in grado di condurre. Il bisogno di
merci per lo specifico conseguimento di un qualsiasi livello di vita può
variare grandemente a seconda della varietà contingente delle
caratteristiche fisiologiche, sociali, culturali e d’altro genere..>>( Sen,
58
1993). Per Sen sviluppo significa ampliamento delle capacità degli
individui. La sua struttura teorica trova fondamento nei concetti di capacità
(capabilities) e funzionamenti (functionings), elementi chiave di quello che
è stato da lui stesso definito <<approccio delle capacità>>. I funzionamenti
sono le varie cose che una persona è in grado di essere e di fare con i beni
in suo possesso, date le proprie caratteristiche personali, le caratteristiche
del bene e le influenze esterne (culturali, sociali); per tal motivo i
funzionamenti sono le diverse condizioni di vita che una persona è in grado
o meno di realizzare. Le capacità si riferiscono alle combinazioni
alternative di funzionamenti che la persona è in grado di realizzare, in
questo modo la capacità è un tipo di libertà sostanziale, la libertà di
realizzare combinazioni alternative di funzionamenti (Sen, 2000/a). La
definizione di sviluppo è centrata sulle persone; per tal motivo secondo
l’approccio di Sen quando ci si interroga sulle politiche per promuovere lo
sviluppo nei Paesi, occorre concentrarsi su ciò che le persone sono
effettivamente in grado di fare e di essere, non solo su quanta parte del PIL
è destinata alla spesa pubblica. Per Sen lo sviluppo di un Paese coincide
con il suo grado di libertà da impedimenti che permette alla gente di
condurre la vita che vuole condurre: libertà dalla povertà, dalla
malnutrizione infantile, dall’analfabetismo, dalle disuguaglianze di genere
e dalle ingiustizie politiche e sociali, libertà di partecipare come
componenti attivi ai processi politici ed economici che promuovono il
59
cambiamento e riguardano specificatamente la vita di ogni membro della
comunità.
Come abbiamo visto, il termine “sviluppo” si è arricchito nel tempo di
nuove accezioni, non più basate su elementi “esterni” in cui la gente è
spettatrice passiva di un processo determinato da altri, ma uno scenario in
cui le persone assumono il ruolo di attori principali di quell’ evoluzione che
coinvolge in prima persona le proprie vite e la cui finalità ultima è il
benessere di tutti……si è arrivati dunque allo sviluppo umano.
60
2. I RAPPORTI SULLO SVILUPPO UMANO
Una équipe di specialisti dell’UNDP46 (United Nations Development
programme, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) ed un gruppo
di studiosi e consulenti esterni sotto la guida di Mahbub ul Haq (ideatore
dei Rapporti) hanno pubblicato nel 1990, il primo “Rapporto sullo sviluppo
umano” (Human Development Report). In esso si si definiva il concetto
stesso di sviluppo umano e si introduceva un Indice, Human Development
Index (HDI) per la misura dello sviluppo. Il primo Rapporto UNDP si apre
con queste parole: <<Questo Rapporto si occupa della gente e del modo in
cui lo sviluppo ne amplia le scelte. Si occupa di questioni che vanno al di là
di concetti quali crescita del PNL, reddito e ricchezza, produzione di beni
ed accumulazione di capitale. La facoltà di una persona di avere accesso ad
un reddito rappresenta una di queste possibilità di scelta, ma non la somma
totale delle aspirazioni umane >>, continua nel primo capitolo: << La vera
ricchezza di una nazione è la sua gente. L’obiettivo fondamentale dello
sviluppo è la realizzazione di un ambiente che consenta alla gente di godere
una vita lunga, sana e creativa>>(UNDP, 1990). Da tali parole emergono
46. L’UNDP è stata istituita nel 1965 come organo sussidiario dell’ONU allo scopo di favorire lo sviluppo dei Paesi, soprattutto di quelli più poveri. Sostiene e promuove programmi nel campo della salute, dell’istruzione, della nutrizione e si occupa delle infrastrutture in campo agricolo ed industriale. Ha sede a New York ma ha delle agenzie dislocate in diversi Paesi, allo scopo di valutare e monitorare sul posto i vari programmi di sviluppo. La FAO, l’UNESCO, l’ILO, L’OMS, FMI e la World Bank già citate in questa tesi , sono invece organismi autonomi affiliati all’ONU in base a particolari accordi.
61
aspetti importanti che caratterizzano l’approccio allo sviluppo umano.
Primo fra tutti il ruolo delle persone come artefici ed attori principali nello
scenario dello sviluppo e non semplici destinatari “d’uso”, come
specificato nel secondo Rapporto : << deve essere lo sviluppo delle
persone, promosso dalle persone, per le persone>> (“development is of the
people, for the people and by people”) (UNDP, 1991). Il secondo aspetto
riguarda la considerazione del reddito come un mezzo e non un fine, in
quanto le persone attribuiscono valore ad elementi che non compaiono
nelle statistiche sui redditi: alimentazione e servizi sanitari migliori,
accesso all’istruzione, migliori condizioni di lavoro, sicurezza contro il
crimine e la violenza, partecipazione alle attività economiche, culturali e
politiche che li riguardano. Terzo aspetto, il più importante, è che
l’obiettivo principale dello sviluppo è offrire vantaggi alle persone
ampliando le scelte a loro disposizione per la formazione ed il
potenziamento delle capacità umane. Si definisce così lo “sviluppo umano”
come il processo di ampliamento delle scelte della gente. Tali scelte
possono essere infinite e cambiare nel tempo ma, come affermato nel primo
rapporto (UNDP, 1990), a qualsiasi livello di sviluppo le tre opzioni
essenziali sono la possibilità di condurre una vita lunga e sana, di acquisire
conoscenze e di accedere alle risorse necessarie ad un tenore di vita
dignitoso. Se tali scelte non sono disponibili, molte altre rimangono
inaccessibili. Il concetto di sviluppo umano racchiude in sè due aspetti: la
62
formazione delle capacità umane, quali migliore salute, conoscenze e
capacità professionali, e l’uso che le persone fanno delle capacità acquisite
per il lavoro od il tempo libero. Tale approccio offre un nuovo modo di
vedere lo sviluppo prendendo in considerazione la condizione umana in
totis, allontanandosi in maniera più marcata dalle teorie che considerano le
persone come mezzi (teorie sulla crescita o approccio dello sviluppo delle
risorse umane47) o come beneficiarie del processo di sviluppo (teorie del
benessere e dei bisogni fondamentali). La teoria di Sen sulle capacità e sui
funzionamenti hanno costituito le fondamenta teoriche della definizione del
concetto di sviluppo umano: scopo dello sviluppo è migliorare le vite
umane, espandendo la serie di cose che una persona può essere o può fare
nel corso della propria esistenza (<<funzionamenti e capacità alle funzioni,
la serie di cose che una persona può fare ed essere nella sua vita.>> (Sen,
1989)). Come sottolineano Anand e Sen (1994), molte persone nel mondo
continuano a patire l’assenza di opportunità fondamentali per condurre vite
“decenti” e soddisfacenti. Un bambino appena nato può essere condannato
ad una vita dalla brevità estrema o di disagio intenso se a quel bambino
accade di nascere in un “Paese sbagliato”, in una “classe sbagliata” o essere
47. Tale approccio sostiene investimenti nel capitale umano, includendo salute, nutrizione ed istruzione, basandosi sul loro contributo alla generazione di reddito, come un investimento per migliorare il potenziale produttivo. I sostenitori dell’approccio dello sviluppo umano sostengono miglioramenti nelle condizioni di vita delle persone anche se il ritorno economico di tale investimento fosse zero (Anand e Sen, 1994). Inoltre gli esseri umani sono qualcosa di più che beni capitali per la produzione di merci, sono anche il fine ultimo ed i beneficiari di questo processo(UNDP, 1990).
63
del “sesso sbagliato”. Perciò sviluppo vuol dire rimuovere gli ostacoli alle
cose che una persona può fare nella vita; ostacoli come la malnutrizione,
l’analfabetismo, la mancanza di accesso alle risorse o la mancanza di
libertà civile e politica che riducono quella che da Sen è stata definita la
“libertà sostanziale”(Sen, 2000/a). Il trickle down mechanism, inoltre, è
smentito dall’esperienza dei diversi Paesi: molti Paesi sono cresciuti
(economicamente) in maniera veloce senza un impatto commisurato sulle
condizioni di vita delle persone ed altri invece hanno registrato un
incremento notevole nella qualità della vita nonostante la crescita moderata
del Pil pro capite. E’ certamente vero che se aumenta il reddito medio di un
Paese, aumenta la probabilità che esso tenda ad avere una durata presunta
della vita più alta, tassi di mortalità infantile più bassi ed alfabetismo più
alto, ossia un indice di sviluppo umano più alto (vedere il ciclo crescita
economica-sviluppo umano citato nel paragrafo 6 della prima parte di
questa tesi). Ma tale relazione è ben lontana da essere perfetta. Vi sono
Paesi come la Cina ed il Costa Rica che hanno registrato livelli di sviluppo
umano48enormemente più alti rispetto a quello che si sarebbe aspettato sulla
48. Sin dal primo rapporto sullo sviluppo umano, l’UNDP evidenziava come la classificazione dei Paesi in base all’Indice di Sviluppo Umano producesse risultati molto diversi dalla classificazione risultante dal PNL pro capite:in particolare, nel primo rapporto, relativamente alla loro classificazione sulla base del reddito, alcuni Paesi come l’Arabia Saudita, l’Algeria e Senegal, per citarne alcuni, si situavano in posizioni più basse della lista quando venivano classificati in base all’Indice di Sviluppo Umano, rivelando di dover ancora tradurre il proprio reddito nei livelli corrispondenti di sviluppo umano. Altri Paesi come Costa Rica e Sri Lanka occupavano posizioni decisamente migliori nella classifica dello sviluppo umano che in quella del reddito, dimostrando di aver orientato le loro risorse economiche verso alcuni aspetti dello sviluppo umano (UNDP, 1990). Anche se la metodologia nel calcolo dell’ISU è cambiata nel tempo, tali discrepanze nelle due classificazioni si sono riscontrate anche nei Rapporti successivi, relativamente a Paesi diversi.
64
base del loro PNL o Pil pro capite. In effetti, nei confronti tra Paesi, le
variazioni di reddito tendono a spiegare non più di 0.5 le differenze nella
speranza di vita alla nascita o nella mortalità infantile e spiegano una
piccola parte delle variazioni nelle percentuali di alfabetismo adulte (Anand
e Ravallion, 1993 citato da Anand e Sen, 1994)49. Ciò che fa la differenza è
l’uso che si fa delle risorse generate (impiegate per migliorare i servizi
sociali come l’assistenza sanitaria pubblica, l’istruzione di base,
approvvigionamento d’acqua, ecc..) ed in che modo i frutti della crescita
sono suddivisi tra la popolazione (per la riduzione della povertà)50. Per tale
motivo i fautori dello sviluppo umano sottolineano l’importanza della
crescita economica come un mezzo tenendo sempre ben presente
l’obiettivo finale che è quello di espandere le capacità delle persone
rendendole artefici del proprio destino (UNDP, 1996). Sin dalla prima
apparizione del Rapporto sullo Sviluppo Umano, Amartya Sen ha avuto un
49. Dove un valore di 2R = 0.45 è ottenuto nel regredire il logaritmo dell’ammanco di speranza di vita (da un massimo ipotizzato di 80 anni) con il logaritmodel PNL per persona. L’equazione è : ( ) ( ),log45.015.680log YL +−=−− con R 2 =0.45, (2.07) (4.00) , dove L = speranza di vita alla nascita in anni ed Y = PNL per persona ($PPA) (Anand e Ravallion, 1993).
50. Diversi sono gli studi empirici che dimostrano che la crescita economica non si traduce automaticamente in migliore qualità della vita. Uno dei lavori empiri più citato dagli analisti del settore è quello di Anand e Ravallion(1993). Basandosi sui dati di 22 Paesi (quelli per cui le statistiche attinenti erano disponibili), essi hanno trovato che quando le variazioni della durata presunta della vita sono collegate con la spesa per la salute pubblica pro capite ed un indice di povertà, l’aggiunta del PNL pro capite come un ulteriore variabile esplicativa produce un coefficiente che non è significativamente diverso da zero. Ciò dimostra che la crescita del PNL produce miglioramenti ma molto dipende da come i frutti della crescita economica sono suddivisi (in particolare ciò che spetta al povero) e come le risorse supplementari sono impiegate per sostenere i servizi pubblici (per esempio investimenti nel settore della salute pubblica che influenza fortemente la durata presunta della vita). (Anand e Sen, 1994)
65
ruolo decisivo nel plasmare il concetto di sviluppo umano, influenzandone
ed arrichendone il significato nel corso degli anni51, ed insieme a Sudhir
Anand ha fornito gli strumenti di misura dello sviluppo umano concependo,
su richiesta di Mahbub ul Haq52, un indice che misurasse il progresso delle
vite umane: l’Indice di Sviluppo Umano (Human Development Index).
I Rapporti53 sullo sviluppo umano vengono pubblicati annualmente dal
1990. Ad oggi ne sono stati pubblicati 14. Ogni Rapporto pone l’attenzione
su aspetti diversi che riguardono lo sviluppo umano, cercando di
approfondire attraverso una serie di indicatori tematiche che cercano di
migliorare la valutazione dello sviluppo umano nei diversi Paesi54.
L’utilizzo di ulteriori indicatori (sociali ed economici) sottolinea
l’intenzione da parte dell’UNDP di non racchiudere l’intero concetto di
51. Amartya Sen e Sudhir Anand sono gli artefici di molti capitoli concettuali e strumenti di misura dei Rapporti sullo sviluppo umano. Sono anche gli ideatori dell’Indice di povertà umana oltre che dell’ISU.
52. Ex ministro delle finanze pakistano ed ideatore del Rapporto. Dal 1995 il direttore dei Rapporti sullo Sviluppo Umano è Sakiko Fukuda Parr.
53. Ai Rapporti Globali (Global Report) pubblicati annualmente dall’UNDP che presentano l’Indice di Sviluppo Umano per i Paesi i cui dati sono reperibili ed affidabili, si sono aggiunti Rapporti Regionali (Regional Reports) e Rapporti Nazionali (National Reports).
54. Ogni Rapporto affronta un tema di approfondimento diverso: concetto e misura dello sviluppo umano (1990); finanziamento dello sviluppo umano, in particolar modo nei Paesi in Via di Sviluppo (1991); dimensioni globali dello sviluppo umano (1992); la partecipazione della gente (1993); la dimensione della sicurezza umana ossia la possibilità di non sentirsi minacciati nelle proprie case, nella vita professionale o dal degrado ambientale (1994); relazione tra ineguaglianza di genere e sviluppo umano (1995) con l’introduzione di due nuovi indici, l’Indice dello Sviluppo Umano di Genere (ISG) e la Misura dell’Empowerment di Genere (MSG); legame tra crescita economica e sviluppo umano (1996); il tema della povertà umana con l’introduzione di un nuovo indice di deprivazione, l’Indice di Povertà Umana (IPU) (1997); i consumi (1998); la globalizzazione (1999); i diritti umani (2000); le nuove tecnologie a servizio dello sviluppo umano (2001); la democrazia per lo sviluppo umano (2002) ed i Millenium Development Goals ossia gli obiettivi che si è prefissata l’ONU per il 2015 a che punto siamo e quali sono ancora i passi da compiere (2003).
66
sviluppo umano nel valore dell’ISU. Il concetto di sviluppo umano è un
concetto ampio che comprende nel proprio interno diverse dimensioni della
vita umana. I Rapporti redatti dall’UNDP hanno cercato di catturare alcune
di queste dimensioni quelle ritenute fondamentali, ma rappresentando essi
stessi dei works in progress, alla luce anche delle critiche ricevute, l’
approccio di base ha avuto maggior estensione ed approfondimento. Nel
settimo Rapporto (UNDP, 1996) il concetto di sviluppo umano includeva le
seguenti dimensioni:
• Equità: lo sviluppo umano deve essere un processo che coinvolge
tutti senza discriminazioni di genere, sociali, culturali ed
economiche. Tutti devono godere di pari opportunità e di capacità di
base ciò include la possibilità per tutti di condurre una vita lunga e
salutare e di conseguire un’istruzione.
• Sostenibilità: deve essere un processo che abbia la capacità di porre
le basi per perdurare nel tempo, in questo senso sostenibile. Per tale
motivo molto spesso l’UNDP al termine sviluppo umano sostituisce
quello di sviluppo umano sostenibile55 intendendo con questo quel
processo che permette a tutti oggi di condurre vite meritevoli senza
55. Nel 1987 la World Commission on Environment and Development, conosciuta come Commissione Bruntland, pubblicò il rapporto “Our Common Future”, il quale introduceva il concetto di sviluppo sostenibile definendolo come uno sviluppo che soddisfi i bisogni presenti senza compromettere l’abilità delle future generazioni di soddisfare i propri. Tale definizione comprende al suo interno due concetti chiave ossia soddisfi i bisogni primari di tutte le persone in particolare dei poveri (in tal senso è collegato al concetto di eguaglianza e che il ritmo di diminuzione delle risorse non rinnovabili precluda il meno possibile ogni opportunità futura.
67
compromettere le opportunità per le future generazioni. Un mezzo
per ottenere la sostenibilità è la redistribuzione alle persone povere,
migliorando la loro capacità di condurre vite soddisfacenti, poiché,
per esempio, un aumento generale nel livello di istruzione oggi
eleverà un domani la produttività e genererà redditi più alti; così
come l’istruzione materna ha un ruolo importante nel ridurre il tasso
di mortalità infantile ed il tasso di natalità56, preservando quindi la
qualità della vita delle future generazioni e la disponibilità delle
risorse non rinnovabili dell’ecosistema (Anand e Sen, 1994).
• Empowerment: le persone devono essere coinvolte in ogni
processo economico, sociale e culturale che coinvolge le proprie
vite e non beneficiari passivi del processo di sviluppo.
• Cooperazione: lo sviluppo umano si riferisce non solo alle
persone in quanto individui ma anche alla loro interazione e
cooperazione all’interno della società. La possibilità di interagire
e di associarsi utilizzando l’amplia rete di strutture sociali
(famiglia, stato, associazioni, gruppi culturali, ecc..) permette alle
persone di vivere bene insieme, di essere motivata e di ampliare
56. Con lo sviluppo economico e sociale il mondo industrializzato ha assistito ad un brusco calo del tasso di natalità. Ciò che sembra aver giocato un ruolo determinante è stata l’espansione dell’istruzione materna, insieme alla disponibilità delle installazioni mediche (compresa la possibilità d’uso di metodi contraccettivi per il controllo delle nascite) e la riduzione dei tassi di mortalità (non essendo più necessario partorire molti bambini per assicurarsi che alcuni sopravvivano). Per cui l’espansione delle libertà di scelta salvaguardano da sole l’ecosistema.
68
le loro scelte individuali.
• Sicurezza: ogni persona dovrebbe godere di un livello minimo di
sicurezza che non riguarda solo il rischio di essere sottoposti a
crimini e violenza, ma principalmente la sicurezza dei mezzi di
sussistenza che comprende la sicurezza di poter avere un lavoro
adeguatamente remunerato.
Sin dalla loro nascita i Rapporti sullo Sviluppo Umano si sono proposti
come uno strumento per i policy makers per monitorare e promuovere
politiche di sviluppo; ma la loro nascita è principalmente motivata dal
desiderio di spostare l’attenzione dallo sviluppo economico e dal reddito
nazionale a dimensioni non monetarie del benessere. L’ultima decade è
stata protagonista di numerosi eventi economici, sociali, politici e
tecnologici che hanno modificato profondamente non solo il mondo in cui
viviamo (l’era della globalizzazione e della democratizzazione dei popoli)
ma hanno determinato un cambiamento nelle aspirazioni umane. L’UNDP
ha riflettuto tali cambiamenti anche nella definizione stessa dello sviluppo
umano con un più forte ed esplicito riferimento alle libertà civili e
politiche: << Lo sviluppo umano è creare un ambiente nel quale le persone
possono sviluppare il proprio pieno potenziale e condurre vite produttive e
creative in accordo ai loro bisogni ed interessi […] Fondamentale per
ampliare le scelte è costruire le capacità umane, la serie di cose che una
persona fa od è nel corso della sua vita. Le principali capacità basilari per
69
lo sviluppo umano sono condurre una vita lunga e salutare, essere istruito,,
avere accesso alle risorse di cui si ha bisogno per un decente standard di
vita ed essere in grado di partecipare alla vita della comunità. Senza queste,
molte scelte sono semplicemente non disponibili e molte opportunità nella
vita rimangono inaccessibili>> (UNDP, 2001).
70
3. L’INDICE DI SVILUPPO UMANO
Nel primo Rapporto sullo sviluppo umano fa il suo ingresso per la prima
volta un Indice composito, l’Indice di Sviluppo Umano, atto a classificare i
Paesi in base al loro posizionamento ottenuto nella scala dello sviluppo
umano. I motivi che spinsero in tale direzione furono diversi: quello di
offrire un rivale del “sovrausato” e “sovravenduto” Prodotto Nazionale
Lordo (UNDP, 1999); attirare attenzione verso il concetto di sviluppo
umano ma non confondendo il concetto con la sua misurazione ( <<se la
contabilità dello sviluppo umano è una casa, allora l’ISU è la porta. Non
bisogna confondere la porta per la casa e ti prego di non fermarti alla porta,
entra in casa>> (Jahan57, 2001)); per favorire, attraverso la classificazione
dei Paesi sulla scala dell’ISU, una sana e produttiva competizione
(specialmente tra quelli vicini geograficamente, come per esempio India e
Pakistan). Nel costruire l’ISU, si individuarono cinque caratteristiche
principali che tale indice doveva possedere (Jahan, 2001):
o Semplicità: un indice di facile interpretazione e che non richiedesse
numerosi calcoli per la sua determinazione;
o Universalità: un indice che avesse rilevanza universale; ossia che
fosse applicabile sia ai Paesi sviluppati che a quelli in via di sviluppo
57. Selim Jahan è attualmente consulente anziano del Bureau for Development Policy e United Nations Development Programme (UNDP). E’ stato Direttore Deputato dell’Human Development Reports Office dell’UNDP dal 1996 al 2001 ed uno dei principali autori degli Human Development Reports dal 1992 al 2001.
71
o Sufficiente attrattiva: tale da catturare l’attenzione dei policy makers,
accademici ed analisti dello sviluppo;
o Pluralismo: l’indice composito doveva riflettere aspetti
multidimensionali delle vite umane, ossia doveva essere pluralista e
non monocentrico;
o Sintesi: sintetico rispetto alla complessità di informazioni date da
tutti gli indicatori e le tabelle presenti nei rapporti.
Il processo di sviluppo può essere visto in due modi: da una prospettiva
conglomerativa in termini di progressi fatti da ogni gruppo della
comunità, concentrandosi sui miglioramenti avuti dai ricchi come quelli
avuti dai poveri; e da una prospettiva deprivazionale in cui lo sviluppo è
giudicato in base agli avanzamenti in termini di qualità della vita da
parte dei poveri e dei più svantaggiati (Anand e Sen,1997). L’UNDP,
nel costruire un indice composito per la misura dello sviluppo umano ha
seguito una prospettiva conglomerativa in cui si considerano i progressi
di tutti, compresi coloro che già si trovano in una situazione
vantaggiosa, e dove i progressi fatti da ogni gruppo vengono riflessi
nella media nazionale (un incremento della speranza di vita di un
gruppo determina un innalzamento della speranza di vita della nazione e
di conseguenza un miglioramento dell’Indice di Sviluppo Umano). Lo
scopo dell’ISU è misurare i conseguimenti medi nello sviluppo umano
dei diversi Paesi. Ma essendo lo sviluppo umano una realtà complessa,
72
multidimensionale gli indicatori da inserire nel suo calcolo sarebbero
troppi. Inoltre la serie di capacità umane è infinita ed il valore che gli
individui assegnano ad ognuna di esse varia da una persona all’altra, da
una comunità all’altra e con il tempo. Per tali motivi l’UNDP adottò due
criteri nel decidere quali capacità fossero più importanti: il criterio della
universalità ossia universalmente stimate da tutti i popoli del mondo, e
che fossero basilari ossia considerate essenziali per il conseguimento di
altri aspetti del benessere umano e senza le quali molte altre opportunità
rimarrebbero precluse (Fukuda Parr, 2002). La scelta ricadde su tre
dimensioni della vita umana: la longevità che riproduce la facoltà di
vivere a lungo ed in buona salute; i risultati scolastici che rispecchiano
la capacità di acquisire conoscenze, comunicare, capire e partecipare
alla realtà sociale a cui si appartiene; e l’accesso alle risorse per un
tenore di vita dignitoso (UNDP, 1994).
Tali capacità basilari rispecchiavano in pieno i criteri menzionati sopra
ed allo stesso tempo aprivano la strada ad altre dimensioni della vita
umana ugualmente importanti come la partecipazione, la sicurezza, la
cooperazione. Anche se nel tempo l’ISU ha subito numerose
trasformazioni allo scopo di raffinamento, tra cui la modalità di calcolo,
limitando la possibilità di confronto fra indici riferiti ad anni diversi, le
tre dimensioni incluse in esso sono rimaste le stesse; semmai sono
cambiati gli indicatori utilizzati per la loro misurazione. Per misurare le
73
dimensioni del benessere umano incluse nell’ISU sono attualmente
(UNDP, 2003) utilizzati i seguenti indicatori:
� La speranza di vita alla nascita58 per misurare la longevità;
� Il tasso di alfabetizzazione adulta59 (con un peso pari a due terzi) ed
il rapporto lordo di iscrizioni congiunte ai livelli di istruzione
primario, secondario e terziario60 (con un peso di un terzo) che
vengono combinati insieme (sommati) per misurare i risultati
scolastici;
� Il PIL reale pro capite61 (in dollari USA PPA) per misurare lo
standard di vita (viene considerato il logaritmo) .
Ognuna di queste variabili è normalizzata attraverso un processo di scaling
ossia per ogni variabile sono selezionati un valore minimo ed un massimo e
la differenza tra il massimo ed il minimo valore definisce la scala. La
normalizzazione viene fatta perché le variabili presentano unità di misura
diverse (anni , percentuali e dollari) e per poter essere combinate insieme in
58. La speranza di vita è data dal numero di anni che un neonato potrebbe vivere se i tassi prevalenti di mortalità al momento della sua nascita si mantenessero costanti nel corso della sua vita. Tale indicatore riflette altri aspetti essenziali della vita umana, poiché la longevità è correlata alla qualità della vita: un’adeguata nutrizione, godere di buona salute, la qualità del sistema sanitario sono tutti fattori che influenzano la speranza di vita alla nascita.
59. Il tasso di alfabetizzazione degli adulti è dato dalla percentuale di persone di età uguale o superiore a 15 anni in grado di leggere e scrivere brevi e semplici frasi sulla loro vita quotidiana.
60. Il rapporto lordo di iscrizione è dato dal rapporto fra il numero di iscritti alla scuola primaria, secondaria e terziaria e la popolazione delle corrispondenti fasce d’età(per esempio quanti bambini in età compresa fra 6 e 10 anni frequentano la scuola primaria rispetto al numero complessivo di bambini che appartengono a questa fascia d’età.
61. Vedere la nota n°14 per la Parità di Potere d’Acquisto e la nota n°41 per il Pil.
74
un indice composto devono essere espresse in una unità di misura comune;
lo scaling, invece, ci dà informazione su quanta strada hanno percorso i
Paesi relativamente ad ogni dimensione ed allo stesso tempo definisce quali
sono gli obiettivi da raggiungere. Così gli indici elementari relativi ad ogni
dimensione vengono calcolati in questo modo:
ijij
ijijij xminimovalorexmassimovalore
xminimovalorexosservato(valoreI
−=
− )
dove la lettera i indica l’indicatore di riferimento e j il Paese (con i=1,2,3,4
e j=1,…,174 i Paesi per i quali viene calcolato l’ISU attualmente). Il
numero così ottenuto ci indica qual’e la posizione del Paese riguardo ad
una dimensione della vita umana (longevità, conoscenza e standard di vita)
all’interno di una scala che và da zero ad uno. Il valore dell’ISU62 relativo
al paese j, è ottenuto mediante una semplice media aritmetica dei tre indici
62. Quando apparve per la prima volta nel primo Rapporto sullo Sviluppo Umano, l’ISU era costruito da una prospettiva deprivazionale. L’Indice di privazione medio era ottenuto mediante la definizione di una misura della privazione sofferta da un Paese in ciascuna delle tre variabili di base, ossia:
ijij
ijijij minXmaxX
XmaxXI
−
−=
dove I ij è l’indicatore di privazione del Paese j-esimo rispetto alla variabile i-esima (per l’individuazione dei valori di max e min vedere le pagine successive di questa tesi). Successivamente veniva definito l’Indice di privazione medio del Paese j come:
3
II
3
1ij
j
∑== i
L’ISU del Paese j-esimo era dato da ISU j =1- I j . Questa metodologia di calcolo dell’ISU venne definitivamente abbandonata a partire dal quinto Rapporto sullo sviluppo umano.
75
elementari:
∑==
3
1i
ijJ 3
IISU
L’Indice di Sviluppo Umano così ottenuto varia da zero (nessun prodotto
in termini di sviluppo umano in tutte e tre le dimensioni) ad uno (massimo
valore auspicabile) ed indica quanta strada ha percorso il Paese considerato
e quanta ne rimane da percorrere.
Nel computo dell’ISU le tre variabili hanno un ugual peso perché esse sono
considerate capacità basilari in ugual misura importanti per poter parlare di
sviluppo umano e necessarie per costruire le altre capacità. Inoltre non c’è
alcuna assunzione di sostituzione fra esse: uguale importanza, uguale ruolo,
uguale peso (Jahan, 2001).
A seconda del valore dell’ISU ottenuto, i Paesi vengono classificati in tre
categorie: ad alto sviluppo umano, a medio sviluppo umano ed a basso
sviluppo umano (vedere tabella 1).
Tabella 1.Classificazione dei Paesi in base al valore dell’ISU.
Categorie Valore ISU
ALTO SVILUPPO UMANO 0.800ISU ≥
MEDIO SVILUPPO UMANO 0.800ISU0.500 <≤
BASSO SVILUPPO UMANO 0.500ISU <
76
Fino al 1994 i valori massimi e minimi di riferimento erano dati dalla
performance migliore e peggiore relativamente ad ogni indicatore registrata
dai Paesi considerati : per esempio, nel primo Rapporto i valori minimi
erano stati individuati prendendo per ogni indicatore i più bassi valori
nazionali del 1987, ed essi erano, per la speranza di vita alla nascita, 42
anni (in Etiopia, Afghanistan e Sierra Leone), per l’alfabetizzazione degli
adulti il 12% della Somalia e per il Pil reale pro capite il valore minimo era
di 220$ (PPA $) registrato nello Zaire (UNDP, 1990); criteri analoghi
erano impiegati per determinare i valori massimi. Tale metodo però non
permetteva di confrontare i valori dell’ISU con riferimento ad anni diversi
poiché la posizione del Paese all’interno della graduatoria poteva
peggiorare o migliorare anche se i valori delle tre variabili rimanevano
costanti, solo per effetto del cambiamento dei valori estremi.
Per tale motivo nel 1994 vengono fissati per ogni variabile dei valori
massimi e minimi individuati basandosi sui trends delle variabili ed il loro
possibile valore nei prossimi 25 anni (UNDP, 1994). Cosicché per la
speranza di vita il minimo valore è dato da 25 anni mentre il massimo
(quello auspicabile) è dato da 85 anni; l’alfabetizzazione adulta ed il
rapporto lordo di iscrizioni congiunte hanno soglie pari a 0% e 100% ed il
Pil reale pro capite ha come valori estremi 100 dollari USA PPA e 40.000
dollari USA PPA (tabella 2).
77
Tabella 2. Valori di riferimento per il calcolo dell’ISU.
INDICATORE VALORE MINIMO
VALORE MASSIMO
Speranza di vita alla nascita (anni)
25 85
Tasso di alfabetizzazione adulta
(%)
0 100
Rapporto lordo di iscrizioni congiunte (%)
0 100
Pil pro capite (PPA $) 100 40.000
Esempio di calcolo dell’ISU per l’Argentina (fonte dei dati: UNDP,
2003, dati riferiti al 2001):
L’Argentina presenta i seguenti valori relativi alle quattro variabili
considerate nell’ISU :
INDICATORI VALORI
Speranza di vita alla nascita
73,9
Tasso di alfabetizzazione
adulta
96,9
Rapporto congiunto delle iscrizioni
scolastiche a livello primario secondario
e terziario
89
Pil reale pro capite (dollari PPA)
11.320
78
� L’Indice della speranza di vita è: 815,02585259.73IS =
−−
=
� L’Indice dell’alfabetizzazione adulta è: 969,0010009.96Ia =
−−
=
� L’Indice del rapporto lordo di iscrizioni congiunte a livello
primario,secondario e terziario è: 890,00100089Ir =−−
=
� L’Indice dei risultati scolastici è dato dalla combinazione dell’Indice
dell’alfabetizzazione (peso 2/3) e l’indice del rapporto lordo
congiunto di iscrizione a livello primario-secondario-terziario (peso
1/3): 943,03
)890,0(1)969,0(23
I12II ra
ra =+
=+
=
� L’Indice del Pil reale pro capite (dollari PPA) aggiustato è:
789.0)100log()000.40log()100log()320.11log(IPIL =
−−
=
� L’Indice di Sviluppo Umano è una semplice media aritmetica
dell’indice relativo della speranza di vita, dell’indice dei risultati
scolastici e di quello relativo al Pil reale pro capite (in dollari PPA) :
849,03
789,0943,0815,03
IIIISU pilras =
++=
++=
79
4. LIMITI DELL’ISU
Sin dalla sua apparizione nel primo Rapporto sullo Sviluppo Umano, l’ISU
è stato oggetto di numerose critiche favorendo un vivace e costruttivo
dibattito tra gli analisti dello sviluppo. In esso sono stati riscontrati sia
limiti di natura concettuale che limiti di carattere operativo.
Utilizzare un indice per misurare la complessità multidimensionale dello
sviluppo umano, racchiudendo un concetto che per sua natura vuole
abbracciare ogni aspetto delle vite umane, in un indice sintetico, era visto
dagli studiosi dello sviluppo come stabilire una normativa universale di
quali fossero i valori umani più importanti, e per tale motivo non si
discostava di molto dalle teorie precedenti del benessere o della crescita.
Ma lo stesso Sen, costruttore dell’ISU, sottolinea (Sen, 2000/b) che lo
sviluppo umano và ben oltre l’ISU, per tale motivo la lettura del valore
assunto dall’Indice di Sviluppo Umano và fatta tenendo presente la serie di
indicatori che, a seconda del tema di approfondimento, vengono esposti in
ogni Rapporto. Una delle maggiori critiche che ha ricevuto l’ISU riguarda
il non includere la dimensione della libertà e dei diritti umani (Dasgupta,
1990). Il Rapporto n.2 (UNDP, 1991) ha cercato di rimediare a questa
omissione costruendo un Indice della Libertà Umana (ILU) e
successivamente (UNDP, 1992) un Indice della Libertà Politica (ILP),
basandosi su valutazioni qualitative e non su dati quantificabili. L’ILU
misurava la libertà derivato da 40 criteri classificati nella World Human
80
Rights Guide del professore Charles Humana ricollegabili ai diritti umani
riconosciuti a livello internazionale: dalla libertà di espressione alla
uguaglianza etnica e sessuale e così via. L’ILP era costruito utilizzando 21
indicatori che misuravano la libertà di espressione, la partecipazione
politica, la sicurezza personale, lo stato di diritto, l’uguaglianza di
opportunità. Tali Indici non vennero mai inseriti nel calcolo dell’ISU,
l’UNDP si giustificò sostenendo la difficoltà di reperire dati statistici
affidabili e per la difficoltà di trovare indicatori e sistemi di ponderazione
adeguati non potendo stabilire oggettivamente quali libertà avessero
maggior peso. In particolare sostenne che l’Indice di Libertà Politica non
poteva essere inserito nel computo dell’ISU per la sua forte instabilità
potendo la libertà politica apparire o svanire bruscamente (come in caso di
colpi di stato o guerre). Più recentemente l’UNDP ha dedicato un intero
Rapporto ai diritti umani (UNDP, 2000) ed al ruolo delle istituzioni
politiche democratiche (UNDP, 2002), senza mai aggiungere ulteriori
dimensioni rispetto a quelle originarie nel calcolo dell’ISU.
Le critiche di carattere operativo si sono concentrate principalmente sulla
scelta degli indicatori, i pesi utilizzati e la metodologia di calcolo. Per quel
che riguarda la scelta dei tre indicatori, è stato suggerito, per misurare la
longevità, di accompagnare o sostituire la speranza di vita al tasso di
mortalità infantile. A tale proposta l’UNDP ha risposto che sebbene le
misure della mortalità nei primissimi anni siano dei buoni indicatori della
81
qualità dell’assistenza sanitaria nei Paesi in via di sviluppo, esse non
riescono a differenziare tra loro i Paesi industrializzati ed essendo l’ISU un
indice universale ha bisogno di variabili in grado di differenziare i vari
Paesi (UNDP,1994). Ma la variabile che ha suscitato più critiche, dando
vita ad un vivace dibattito, e subito maggiori revisioni nel corso degli anni,
è quella utilizzata per misurare lo standard di vita : il Pil reale pro capite
($PPA). E’ stato fatto notare dagli analisti dello sviluppo economico che
empiricamente esiste nei confronti fra Stati una forte correlazione positiva
tra il reddito e le altre due variabili relative alla longevità ed alla
conoscenza, per cui il reddito da solo potrebbe essere utilizzato come un
indicatore totale di sviluppo in quanto include e cattura le altre due
dimensioni. A tale critica viene risposto da Anand e Sen (2000) che la
connessione tra Pil pro capite e speranza di vita dipende molto da come il
reddito viene usato per migliorare il sistema della salute pubblica e per
ridurre la povertà poiché l’evidenza empirica ha anche messo in luce che vi
sono Paesi come lo Sri Lanka che hanno una speranza di vita alla nascita
molto più alta rispetto a quello che il loro Pil pro capite ci suggerisce63. Ma
così come il Pil pro capite non può essere considerato un indicatore totale
di sviluppo, la speranza di vita alla nascita da sola non può riflettere ogni
aspetto della qualità della vita in quanto cattura il ruolo svolto dal Pil pro
capite principalmente nella misura in cui è correlata alla spesa per la salute
63. Questo argomento è già stato trattato nel precedente paragrafo dove è stato citato uno studio empirico nella nota n.49
82
pubblica ed alla rimozione della povertà. L’inserimento del reddito nel
computo dell’ISU, è giustificato dalla sua importanza strumentale come
proxy per tutte le capacità non riflesse nella misura della longevità e
dell’istruzione (Anand e Sen, 2000).
Secondo l’approccio dello sviluppo umano il reddito di per sé non
costituisce una misura del tenore di vita (Anand e Sen, 1993 e Sen, 1993)
in quanto esso non rivela le capacità delle persone: se si è in buona salute,
se ci si può spostare liberamente o se si ha una alimentazione adeguata (per
esempio: la velocità del metabolismo varia da persona a persona, a parità di
reddito una persona che risiede in una località montuosa può richiedere più
energia in forma di cibo a causa della temperatura più rigida). Come
abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’importanza strumentale del
reddito risiede nell’uso che di esso viene fatto per acquisire capacità di fare
e di essere. Ciò presuppone che non si ha bisogno di reddito illimitato per
migliorare lo sviluppo umano. Per tener conto di ciò, sin dal primo
Rapporto, si è cercato di “aggiustare” il reddito prima di incorporarlo nella
formula dell’ISU. Dopo successivi raffinamenti64 a partire dal 1999
(UNDP, 1999) viene usato il logaritmo del reddito di modo che <<…un
dollaro extra quando il reddito è di 10,000$ non è ugualmente importante
come un input allo sviluppo umano come un dollaro extra quando il reddito
è di 100$>> (Jahan, 2001 pag 6). Per cui il reddito è stato scontato nel
64. Per approfondimenti riguardanti la revisione della variabile reddito nei rapporti precedenti vedere (Anand e Sen,2000).
83
calcolo dell’ISU usando la seguente formula:
minmax
min
logylogylog-ylog
W(y)y−
=
Dove abbiamo visto che ymax e ymin sono i valori massimi e minimi di
riferimento del Pil reale pro capite ($PPA).
Un’altra obiezione fatta all’ISU, riguarda il fatto che considerando le medie
nazionali delle variabili in gioco si ha una mancanza di informazione,
poiché non si tiene conto della distribuzione che potrebbe nascondere al
suo interno profonde disuguaglianze65. In effetti già nel primo Rapporto
l’UNDP metteva in guardia su cosa in realtà celassero le medie nazionali
(UNDP, 1990, riq. 1.3 ). Anand e Sen (1993) fanno notare che mentre una
misura sensibile alla distribuzione potrebbe dirci qualcosa sul valore medio
e sulla dispersione intorno ad esso, non è in grado di distinguere tra quanto
di una variazione è dovuta a cambiamenti nel valore medio o quanto è
dovuta ad un cambiamento nel modello di distribuzione, cosicché tale
misura potrebbe rimanere stazionaria se entrambi questi fattori
cambiassero. Inoltre, il problema di utilizzare una misura sensibile alla
distribuzione si pone principalmente per il reddito, in quanto la speranza di
vita è già per sua natura un valore medio ossia il valore atteso di anni di
vita di un gruppo, così che parlare di speranza di vita individuale non è
importante quanto parlare di reddito individuale. Lo stesso dicasi per il
65. Le situazioni in cui tre persone hanno livelli di reddito (1,9,11) ed altre tre,invece, hanno livelli (7,7,7) a livello medio sono identiche (7), ma nascondono profonde disuguaglianze (Anand e Sen, 1993).
84
tasso di alfabetizzazione in quanto, essendo binario (nel senso che può
assumere due soli valori zero=non alfabetizzato, uno=alfabetizzato), non dà
vita a forti fluttuazioni all’interno della popolazione. Il non utilizzo di una
misura sensibile alla distribuzione è giustificato, da parte dell’UNDP, dalla
carenza dei dati a livello di reddito individuale in molti Paesi.
Nei Paesi avanzati dove l’informazione distribuzionale è migliore, l’UNDP
propone che << se si ritiene che la disuguaglianza riduca il valore del
risultato medio espresso da una media aritmetica non ponderata, questo
valore medio può essere corretto impiegando delle misure di
disuguaglianza>> (UNDP, 1990). La più usata misura di disuguaglianza è
l’Indice di Gini66. Utilizzando tale indice, Anand e Sen (1993) hanno
proposto una misura corretta del reddito nazionale medio per considerare il
livello di benessere degli individui non solo in termini assoluti (quanto
reddito hanno), ma anche in termini relativi (quanto essi hanno rispetto a
quanto hanno gli altri). La correzione da fare per tener conto della
66. L’Indice di Gini misura l’estensione per cui la distribuzione di reddito (o consumi) tra individui e famiglie devia da una distribuzione perfettamente egualitaria. Il suo significato può essere ben compreso facendo ricorso alla curva di Lorenz, la quale rappresenta su un grafico la quota del reddito totale posseduta da quote cumulate di popolazione. Sull’asse delle ascisse si rappresentano in maniera ordinata in base al reddito (dal più povero al più ricco), gli individui o le famiglie che appartengono ad una data popolazione; mentre sull’asse delle ordinate è riportata la parte del reddito totale detenuta da ciascuna quota della popolazione. L’ipotesi di una equa distribuzione sarebbe una linea di 45°:dove in ogni punto della linea, lo stesso ammontare di reddito corrisponderebbe allo stesso ammontare della popolazione (al primo 20% della popolazione và una fetta pari esattamente al 20% del reddito nazionale, e così via). Quanto più il reddito è distribuito in modo diseguale tanto più la curva determinata dalla distribuzione reale del reddito è lontana dalla retta. L’Indice di Gini riflette la disuguaglianza in accordo al grado di separazione tra la Curva di Lorenz ed i dati attuali. I valori variano da zero ad uno: quanto più si avvicinano ad uno tanto più vi è disuguaglianza nella distribuzione del reddito.
85
distribuzione del reddito è:
)1(W Gm −=
dove m è il reddito medio , G è l’indice di Gini che varia da zero (tutti gli
individui hanno lo stesso reddito pro capite) ad uno (disuguaglianza
perfetta ossia una persona ha tutto il reddito e gli altri non hanno alcun
reddito) e W è il reddito nazionale corretto mediante l’indice di Gini o
come è sta definita la funzione del benessere sociale. Mentre una misura di
disuguaglianza valuta la relativa dispersione di una distribuzione,
indipendente dal reddito totale, una misura di benessere offre qualcosa in
più, ossia una vista della distribuzione del reddito che è sensibile alla
disuguaglianza ma si incrementa quando i redditi si incrementano (anche se
solo un reddito si incrementa e gli altri rimangono invariati, il livello di
benessere si incrementa).
Con questa correzione, considerando due Paesi con lo stesso reddito pro
capite , il Paese con la distribuzione più egualitaria (G è più basso) è anche
quello in cui il benessere sociale è maggiore. Non solo, una società con un
reddito medio pro capite di 800$ ed un coefficiente di Gini pari a 0.40
avrebbe un livello di benessere sociale (equivalente a 480$) maggiore di
quello di una società con un reddito medio pro capite di 1000$ (quindi più
alto) ed un coefficiente di Gini di 0.60 (dove il livello di benessere sociale è
di 400$). Anand e Sen (1993) e Hicks (1997) hanno proposto di “pesare”
ogni dimensione contenuta nell’Isu, tramite l’Indice di Gini della
86
distribuzione di ogni variabile. L’Indice di Sviluppo Umano modificato
proposto da Hicks è:
S31ISU
3
1iHICKS ∑
=
=i
dove Si=mi(1-Gi) sono i livelli della funzione di benessere di Sen nelle
dimensioni del reddito, dell’istruzione e della salute o in altre parole sono
gli indici relativi alle tre dimensioni modificati poiché sensibili alla propria
distribuzione; Gi sono i coefficienti di Gini delle tre distribuzioni e mi sono
i valori medi a livello nazionale delle tre variabili. L’indice di sviluppo
umano di Hicks non è altro che il livello medio dei livelli di benessere di
Sen nelle tre dimensioni di reddito, istruzione e salute. Tale Indice non ha
trovato molta applicabilità principalmente per il ricorso all’Indice di Gini
che, nonostante sia la più usata misura di disuguaglianza, presenta
l’inconveniente di non essere additivo (l’indice di Gini totale di una società
non è uguale alla somma degli indici di Gini dei suoi sottogruppi) e di
variare quando la distribuzione varia senza render conto di dove è avvenuto
il cambiamento (per esempio ogni trasferimento di reddito tra due individui
ha effetto sull’indice, senza tener conto dove ciò è avvenuto: se tra i decili
più ricchi, se tra quelli più poveri o se è avvenuto tra essi, ossia tra i decili
più ricchi e quelli più poveri); inoltre la sua scarsa applicabilita si deve alla
mancanza di dati in alcuni Paesi, basti pensare che anche le informazioni
sulla speranza di vita non sono sempre disponibili, per cui molti Stati
utlizzano tassi di mortalità infantile come proxy per la speranza di vita. Il
87
problema della mancanza nell’ISU della dimensione della disuguaglianza
è stato affrontato anche da Foster, Lopez-Calva e Székely (2003). Essi
sottolineano che uno dei principali limiti dell’ISU è che la non inclusione
di una dimensione distribuzionale fa sì che si possa verificare che un Paese
abbia un più alto valore dell’ISU rispetto ad un altro situato più in basso
nella classifica, nonostante in esso la povertà sia molto estesa e larghi
gruppi della popolazione siano tagliati fuori dal processo di sviluppo; così
come è possibile registrare miglioramenti nel valore dell’ISU, anche se vi è
stagnazione o peggioramento nello sviluppo per vasti settori della
popolazione. Per superare questo importante limite la proposta dei tre
economisti prevede una famiglia67 di indici di sviluppo umano sensibili alla
67. Il modello assume di avere dati per le tre dimensioni dello sviluppo (reddito, istruzione e salute) per una popolazione composta da n unità. Considerando i dati normalizzati, le distribuzioni relative alle tre variabili saranno indicate con
),..zz,(zze)y,..,y,(yy),x,..,x,(xx n21n21n21 === . La media aritmetica relativa alle tre variabili sarà denotata con µ(z)eµ(y)µ(x), . Il tradizionale Indice di Sviluppo Umano sarà allora uguale a ISU= [ ]µ(Z)µ(Y),µ(X), . La variante proposta dai tre economisti prevede il ricorso alla classe delle misure di disuguaglianza di Atkinson e la classe delle medie generali. Vengono indicate con (z)e(y)(x), -111 −− ,( 0> ) le classi delle medie generali scontate del livello di disuguaglianza dato dalla misura di Atkinson che sarà indicata con εI ; cosicché se x indica il reddito abbiamo
(x)]Iµ(x)[1(x)1 −=− che abbassa il valore originale della media in accordo al grado di disuguaglianza che è presente nella distribuzione del reddito; in tal modo è considerata la diseguaglianza all’interno della distribuzione. L’ulteriore passo consiste nel tener conto della disuguaglianza tra i gruppi della popolazione, per tal motivo la loro proposta prevede di considerare un ISU modificato pari a:
0per (z))(y),(x),(ISU 1111 ≥= −−−−
[ è un parametro che può essere interpretato come avversione alla ineguaglianza, nel senso che quando esso è uguale a zero, l’ineguaglianza risulta irrilevante (si considera la media aritmetica) e ,ISUISU0 = invece con valori sempre più alti si riflette una maggiore sensibilità alla disuguaglianza nelle parti situate più in basso della distribuzione (nel caso del reddito, il reddito individuale dei più poveri diventa più rilevante)](Foster, Lopez-Calva e Székely, 2003).
88
distribuzione, che prende in considerazione non solo la diseguaglianza
entro ogni dimensione dello sviluppo umano, ma anche la diseguaglianza
tra i gruppi della popolazione. Questa classe di indici fa uso della media
generale per sintetizzare miglioramenti entro ogni dimensione dello
sviluppo, ed utilizza la stessa media per aggregare tra le dimensioni. Il loro
modello concettuale si discosta da quello di Hicks per il ricorso all’Indice
di Atkinson, per misurare la disuguaglianza, anziché all’Indice di Gini. Gli
studi empirici da loro effettuati, applicando questa metodologia su un
campione della popolazione messicana rilevata nel censimento del 2000, ha
evidenziato che, quando viene introdotta la dimensione della
disuguaglianza nell’indice di sviluppo umano, le diverse regioni del
territorio messicano si classificano in modo diverso, ed è stimata una
perdita di sviluppo umano del 26% a livello nazionale.
Il problema della disuguaglianza tra i sottogruppi della popolazione,
diventa centrale quando si considera il genere. C’è evidenza statistica che
nonostante maschi e femmine ricevono la stessa assistenza sanitaria, le
stesse opportunità nutrizionali, e così via, le donne tendono ad avere tassi
di mortalità più bassi e conseguentemente a vivere più a lungo. Inoltre, la
distinzione di genere diventa molto importante nei risultati scolastici: il
rapporto lordo di iscrizione per sesso non solo è influenzato dalla
situazione sociale, politica e culturale del Paese, ma ci dice anche come
probabilmente tale situazione potrebbe evolversi poiché l’istruzione
89
femminile ha un forte impatto sul benessere sociale sia degli uomini che
delle donne. Per questi motivi a partire dal Rapporto sullo sviluppo umano
del 1995 l’UNDP pubblica l’indice di sviluppo umano relativo al genere
(ISG) e la misura di attribuzione di potere (empowerment) correlata al
genere (MEG). L’ISG utilizza le stesse variabili utilizzate dall’ISU, ma ne
corregge i valori medi e le procedure di calcolo per tenere conto della
diversità tra situazione femminile e maschile; il secondo indice, la Misura
dell’Empowerment di Genere (MEG) utilizza variabili costruite
esplicitamente per misurare il potere che gli uomini e le donne esercitano
nelle sfere dell’attività politica ed economica (UNDP, 1995). Il problema di
una procedura di calcolo diversa per quel che riguarda l’ISG, si pone
perché l’ISU non è disaggregabile né a livello di sotto gruppi della
popolazione (in base alla residenza urbana e rurale, alle etnie, alle regioni,
ecc.) né a livello di genere. Basti notare che a livello di sottogruppo, il
valore medio della speranza di vita alla nascita ed il valor medio del tasso
di alfabetizzazione della popolazione non sono a rigor di termini le medie
ponderate della speranza di vita della popolazione e della alfabetizzazione a
livello di sottogruppo, così come il logaritmo del reddito medio pro capite a
livello nazionale non è la media ponderata dei logaritmi del reddito pro
capite per ogni sottogruppo della popolazione (Anand e Sen, 1993).
Nell’Indice di sviluppo umano relativo al genere, invece, non solo
cambiano i valori massimi e minimi di riferimento per tener conto della più
90
alta speranza di vita delle donne rispetto agli uomini ma, poiché è difficile
disporre di dati sul Pil pro capite che distinguano quanto è prodotto dagli
uomini e quanto dalle donne, si utilizzano delle stime che tengono conto
del salario medio femminile e di quello maschile e si ricorre ad una formula
di ponderazione che fa sì che l’ISG diminuisca non solo quando peggiorano
i risultati di entrambi i sessi, ma anche quando la disuguaglianza tra loro
aumenta68.
Un’altra critica mossa all’Indice di sviluppo umano riguarda l’aver
attribuito pesi uguali alle tre variabili. A livello concettuale ciò
implicherebbe che un miglioramento nella salute abbia lo stesso valore e
peso di un miglioramento del reddito. Srinivasan (1994) sottolinea che
differenti individui, culture o Stati possono attribuire valore diverso
all’istruzione, alla salute ed al reddito, ciò implicherà differenti modi di
percepire lo sviluppo e quindi un diverso peso alle variabili utilizzate per la
sua misurazione. Kelley (1991) sostiene che il problema principale è l’aver
attribuito un peso relativamente basso al Pil reale pro capite nei Paesi a
reddito alto o medio, in quanto esso può essere utilizzato per acquisire e/o
produrre una qualunque delle altre due capacità (migliore salute o migliore
istruzione). Tadlil (1992) utilizzando l’analisi in componenti principali,
trova una giustificazione all’ugual peso assegnato alle tre variabili, in
68. Per approfondimenti Anand, Sudhir e Amartya Sen (1995) “Gender inequality in human development: theories e measurement”, Human Development Reports Office, Occasional Paper 12, UNDP, New York.
91
quanto l’autovettore corrispondente alla radice latente principale (che
spiega l’88% della varianza totale dei dati) assegna un peso quasi identico
alle tre variabili : speranza di vita (0.969), reddito corretto (0.916) e
risultati scolastici (0.925).
Palazzi e Lauri (1998) sottolineano che i due limiti principali dell’ISU sono
quello della sostituibilità delle sue tre componenti e l’aver attribuito ad esse
peso uguale. L’assunzione di sostituibilità deriva dal considerare accettabili
tutti i valori dell’ISU senza tener conto delle differenze nella distribuzione
delle tre variabili; ciò fa sì che, se si confrontano due Paesi od un singolo
Paese nel tempo, un cambiamento nel valore di una componente può essere
compensato o sostituito dai cambiamenti nelle altre due componenti69. La
soluzione proposta prevede il ricorso al concetto di sviluppo umano
bilanciato e sostenibile:<<…uno stato di sviluppo in cui nonostante il
livello assoluto, le tre variabili hanno lo stesso valore: una specie di
sgabello a tre gambe nel quale il bilanciamento e la sostenibilità dipendono
dalla lunghezza uguale dei piedi dello sgabello.>>(Palzzi e Lauri, 1998).
Sostenendo che ogni dato valore medio delle tre variabili corrisponde a
differenti livelli di sviluppo umano, i due studiosi, propongono
l’individuazione di un’area di sviluppo sostenibile e bilanciato in cui è
69. per esempio può accadere che due Paesi presentino lo stesso valore dell’ISU, nonostante uno abbia alto valore del Pil e basso valore delle altre due variabili, mentre l’altro presenta una situazione opposta con alto valore della speranza di vita e dei risultati scolastici ed un basso valore del Pil; così come si può avere un valore dell’ISU più alto dopo un certo periodo di anni per un Paese, perché la crescita di un fattore ha compensato la diminuzione degli altri due.
92
accettabile la piena sostituibilità tra reddito, speranza di vita e
alfabetizzazzione. Quest’approccio può essere rappresentato graficamente
come una nuvola di punti (Paesi) nello spazio tri-dimensionale, le cui
coordinate sono i tre indicatori considerati dall’UNDP. Il cono, il cui
vertice è all’origine e che ruota intorno alla retta Re (linea che inizia
dall’origine ed è equidistante dai tre assi) individua i punti (Paesi) con
sviluppo umano bilanciato e sostenibile (in rosso). I punti esterni dal cono
(in nero) rappresentano i Paesi con sbilanciato ed insostenibile sviluppo
umano. Palazzi e Lauri, per definire lo spazio di sostenibilità, prevedono
l’individuazione di un meccanismo di correzione dei valori di sviluppo
umano per i Paesi situati fuori dal cono, penalizzando i Paesi fuori dall’area
in proporzione alla loro relativa distanza dalla superficie del cono.
Grafico 8. Cono di sviluppo umano bilanciato e sostenibile
ReZ
°°
° ° °°
° °° Y
° °
O
X
93
L’indice di disequilibrio ei che misura la distanza di un Paese (punto) i dal
punto oggettivo sulla linea di equilibrio Re è dato dal rapporto:
h
ii h
de =
dove di è la distanza tra il punto-Paese dalla linea di perfetto equilibrio Re
ed hi è la distanza tra l’origine ed il punto lungo la linea di perfetto
equilibrio (il valore dell’ISU del Paese).Dal punto di vista geometrico e è
equivalente alla tangente dell’angolo tra la perfetta linea di equilibrio Re e
la linea che unisce l’origine al punto Pi del Paese. La dimensione di un
cono di sviluppo umano bilanciato e sostenibile è definito trovando un
valore di e che rappresenta il più basso livello accettabile di bilanciamento
e sostenibilità, esso viene indicato con e*70. Il coefficiente di correzione ki
relativo all’i-esimo Paese in base al quale penalizzare i Paesi situati fuori
dal cono, è dato da:
**
*
ˆ)ˆmax(
ˆ)ˆmax(EEEEk
i
iii −
−=
Dove )(ˆii earctgE = è l’angolo tra Ri (la linea che unisce l’origine a Pi) e Re;
)(ˆ **iearctgE = è l’angolo di rotazione del cono e )ˆmax( *E è l’angolo tra Re ed
ognuna delle coordinate degli assi. La correzione al valore dell’ISU sarà
applicata a quei Paesi che presentano indici di disequilibrio più alti del
valore e*.
70. Geometricamente il valore di e* coincide con la tangente dell’angolo del cono di rotazione.
94
In tal caso si avrà ISUmodificato(i) = ki*ISUi .
Se *eei ≤ allora ki=1 e ISUmi=ISUi;
Se *eei > allora 10 <≤ ik e ISUmi<ISUi;
Se una delle variabili è negativa allora ki=0 e ISUmi=0.
Con la correzione proposta da Palazzi e Lauri un Paese viene classificato
non solo in base alla media delle tre variabili ma anche in base al valore
dell’indice di disequilibrio. Il problema principale è la determinazione
dell’angolo di rotazione che definisce il cono di equilibrio e sostenibilità.
Un altro limite dell’ISU è l’aver attribuito pesi uguali alle tre componenti
dell’indice. La soluzione proposta da Palazzi e Lauri prevede il ricorso alla
statistica multivariata per scoprire se esiste una stabile relazione nel tempo
tra le tre variabili. Mediante l’analisi in componenti principali viene
definita la linea, che interpola i punti-Paesi, generata dalla prima
componente principale. Dopo aver effettuato una rototranslazione questa
linea viene utilizzata come linea di riferimento per calcolare i nuovi valori
dell’ISU con o senza correzione. Nel caso in cui la linea interpolante
coincide con la linea che è equidistante dagli assi ed inizia con l’origine,
allora l’ugual peso alle variabili potrà essere confermato.
95
CONSIDERAZIONI
Nella prima parte di questa tesi ho evidenziato la crisi economica e sociale
attraversata dall’Argentina durante la decade degli anni novanta. Ciò che
emerge è il quadro di un Paese frammentato ricco di contraddizioni interne
con un profondo divario nella qualità della vita della popolazione. Le
diverse tabelle presentate hanno evidenziato come la crescita del Pil
sperimentata nei primi anni novanta non si sia tradotta fino ad oggi in
migliori opportunità per le persone, smentendo in parte il trickle down
mechanism, anche se molti sostengono che i frutti della crescita ricadono
sulla popolazione nel lungo periodo. Nella seconda Parte ho tracciato il
percorso storico che ha portato alla definizione dello sviluppo umano e
dell’indice utilizzato dall’UNDP per la sua misura. Per quel che riguarda
l’Argentina l’ISU sottolinea una crescita costante negli ultimi vent’anni,
ma l’analisi storico-territoriale presentata nella prima parte, sottolinea come
in realtà le “capacità” delle persone siano diminuite essendo aumentato il
numero di coloro che non avendo possibilità di scelta sono costretti ad
esercitare il “mestiere di vivere”. Non ritendo valido il quadro disegnato
dall’ISU, nella terza parte di questa tesi cercherò mediante le tecniche di
statistica multivariata, in particolare l’analisi in componenti principali, di
determinare un Indice di Sviluppo Umano che prenda in considerazione
due aspetti:
1) L’aspetto multidimensionale dello sviluppo;
98
Per costruire un indice di benessere sociale ed economico i passaggi
metodologici da seguire sono essenzialmente:
1. La scelta delle variabili.
2. La forma funzionale di ogni variabile.
3. La standardizzazione delle variabili.
4. La scelta dell’operazione di aggregazione.
5. Determinazione dei pesi delle variabili.
Nella scelta delle variabili che riflettono le dimensioni dello sviluppo
umano, l’UNDP si sofferma su 4 indicatori: la speranza
di vita alla nascita per misurare la dimensione vita lunga e salutare; il tasso
di alfabetizzazione adulta (con un peso pari a due terzi) ed il rapporto lordo
di iscrizioni congiunte ai livelli di istruzione primario, secondario e
terziario (con un peso di un terzo) che vengono combinati insieme
(sommati) per misurare i risultati scolastici; ed il PIL reale pro capite (in
dollari USA PPA) per misurare lo standard di vita. La forma funzionale
della variabile rappresenta il modo in cui i cambiamenti di una variabile
sono valutati a differenti livelli, ossia se i cambiamenti sono valutati nello
stesso modo a differenti livelli (per esempio un incremento del tasso di
alfabetizzazione dal 80% al 82% ha lo stesso valore dello stesso assoluto
incremento a livello più alto, da 96% al 98%), allora la forma funzionale
sarà lineare; se i cambiamenti sono più significativi ai più bassi livelli della
99
variabile, si utilizzerà il logaritmo o la radice quadrata della variabile,
invece se i cambiamenti sono più significativi ai più alti livelli della
variabile, la scelta ricadrà su un esponenziale od una potenza. Nel calcolo
dell’ISU, l’UNDP sceglie le variabili con una forma funzionale lineare,
eccetto che per il Pil reale pro capite (PPA $), dove l’utilizzo del logaritmo
del Pil presuppone che un cambiamento di 1000$ da un reddito a livello
basso (da 3000$ a 4000$) ha valore maggiore che lo stesso incremento
avvenuto ai livelli più alti della variabile (da17000$ a 18000$). Dopo aver
standardizzato le variabili, l’ISU viene determinato mediante una semplice
media aritmetica dei tre indici risultanti, il che presuppone che ogni
variabile contribuisce in ugual misura allo sviluppo umano: è come dire che
l’istruzione è esattamente importante nel determinare lo sviluppo umano
come il Pil o la speranza di vita.
L’Analisi in Componenti Principali
In questa terza parte effettuerò un’analisi in componenti principali
su una matrice dei dati relativa al valore assunto da 10 variabili in
Argentina nel periodo che và dal 1990 al 2000. Scopo principale
di tale analisi è arrivare alla determinazione di un indice sintetico
di sviluppo in cui le variabili vengono considerate relativamente
100
al peso da esse assunto negli anni considerati. La scelta dell’arco
temporale non è casuale ma è indicatore di un periodo
particolarmente caratterizzante per l’Argentina sia dal punto di
vista sociale che economico, così come è stato testimoniato nella
prima parte di questa tesi. Anche se l’inclusione di ulteriori anni
nell’indagine avrebbe potuto giovare la ricerca, la mancanza di
dati e stime puntuali ha causato l’utilizzo solo di dati relativi alla
decade degli anni novanta. L’utilizzo della tecnica di analisi
statistica multivariata, denominata Analisi in Componenti
Principali ben si presta alla riduzione dei dati nel caso in cui le
variabili originali siano ben correlate: assegnate n variabili
correlate fra loro, l’analisi in componenti principali è una tecnica
che consente di ottenere p<n nuove variabili latenti incorrelate fra
loro, denominate componenti principali, che possono fornire le
informazioni essenziali contenute nelle n variabili originali, per
cui è un metodo utile per indagare in quei settori in cui sono
molto numerose le variabili interdipendenti necessarie per
descrivere un certo fenomeno. In altre parole le componenti
principali sono quelle combinazioni lineari delle variabili
101
originali che sono incorrelate fra loro e che spiegano in
proporzioni sempre più piccole la varianza totale (una volta
estratta la prima componente con varianza massima, la seconda
componente principale và determinata in modo che spieghi il
massimo della varianza residua, cioè quella che rimane dopo che
è stata estratta la prima componente, e così via….). Se le variabili
originali sono altamente correlate, le prime componenti (poche)
daranno conto di un’alta proporzione della variabilità totale.
L’utilizzo dell’Analisi in componenti principali ci permette non
solo di rappresentare il fenomeno con un numero piccolo di
variabili ottenute a partire da quelle originarie osservate,
conservando tuttavia quanta più informazione possibile sul
fenomeno stesso, ma ci aiuta a determinare anche i pesi relativi
delle variabili nella definizione del fenomeno oggetto di studio. Il
fenomeno che si vuole studiare è lo sviluppo umano (così come
inteso da Sen Amartya ed ampiamente discusso nella seconda
parte di questa tesi) negli anni novanta in Argentina, prendendo in
considerazione due caratteristiche:
102
1) L’aspetto multidimensionale dello sviluppo non limitandoci
ai soli tre indicatori delle capacità basilari incluse
dall’UNDP nel calcolo dell’ISU;
2) Il diverso contributo (peso) di ogni variabile nella
definizione dello sviluppo umano.
La scelta delle variabili da includere nel modello è stata
determinata in base al fenomeno oggetto di studio, ma anche
limitata dalla disponibilità dei dati. Le variabili incluse nel
modello inizialmente erano quindici, ma l’analisi della matrice dei
plots condotta con SPSS per Windows ed una analisi in
componenti principali condotta a scopo esplorativo ha portato
all’eliminazione di cinque di esse. Le variabili considerate sono:
speranza di vita alla nascita, tasso di mortalità infantile (0-1
anno), tasso di mortalità sotto i cinque anni di età; % delle
persone sotto la linea di povertà; tasso di analfabetismo adulto;
iscrizioni a livello di scuola primaria come % delle iscrizioni
lorde totali; iscrizioni a livello di scuola secondaria come % delle
iscrizioni lorde totali; iscrizioni a livello di scuola terziaria come
% delle iscrizioni lorde totali; spesa sociale totale come % del Pil;
103
Pil pro capite a prezzi costanti del 1995 che è stato indicizzato
considerando il 1990 come base annua. Le fonti dei dati sono la
Worldbank (dati sulla speranza di vita, sull’istruzione ed il Pil),
Inter American Development Bank (spesa sociale totale),
l’INDEC (povertà)71 ed il Siempro (tassi di mortalità). I tassi di
mortalità considerati, rispetto alla speranza di vita, riflettono
l’esperienza attuale della comunità, e sono maggiormente
influenzabili nel breve periodo, inoltre catturano dimensioni della
vita umana cruciali nella definizione dello sviluppo, come il
livello di istruzione delle madri, il ricorso alle vaccinazioni72, la
nutrizione, l’accesso all’acqua potabile, l’efficienza dei servizi
sanitari, quindi possono essere considerati proxy importanti in
mancanza di dati puntuali. Sebbene le iscrizioni lorde nascondino
al loro interno importanti dati come il tasso di ripetenza e di
abbandono, poiché le iscrizioni lorde ad ogni livello
comprendono i bambini in età inferiore o avanzata rispetto al
71. Il dato sulla povertà è fornito dall’inchiesta permanente sulle famiglie condotta semestralmente(maggio ed ottobre) dall’INDEC. Ai fini di questa analisi utilizzo le stime relative al mese di ottobre.
72. LUNICEF considera il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età come uno dei più importanti indicatori dello stato di salute dei bambini di una Nazione, soprattutto in mancanza di dati sulla denutrizione infantile o le vaccinazioni obbligatorie come quella difterico-tetanico-pertossica (DTP). (UNICEF, 1989)
104
grado nel quale sono iscritti e non tutti i ragazzi iscritti possono
arrivare alla classe successiva poiché possono abbandonare prima
la scuola, la disponibilità della serie dei dati a livello annuale, li
rende uno dei più importanti ed utilizzati proxy per verificare il
grado di miglioramento istruttivo della popolazione giovanile. La
spesa sociale totale è uno dei più importanti fattori che influenza
lo stato sociale di una Nazione soprattutto nei Paesi in via di
sviluppo, poiché tale dato, che include al suo interno la spesa per
la salute, per l’istruzione, per la sicurezza sociale e per le
abitazioni, se alto e ben ripartito tra i diversi settori, soprattutto
verso aree di necessità prioritaria, rappresenta un input allo
sviluppo umano (vedere parte prima, paragrafo 6 di questa tesi). Il
Pil resta un importante proxy per tutte le dimensioni non incluse
in questa analisi ed uno dei più importanti indicatori dello
sviluppo economico del Paese.
L’Analisi in componenti principali ha portato all’estrazione di due
componenti. La prima componente spiega il 76,409% della
varianza (tabella 3, Appendice C) con una perdita di informazione
del 13,6% circa, ed essendo fortemente correlata con tutte le
105
variabili in esame può essere a ragione considerata il nostro
ISUmodificato. Nella tabella a pagina seguente sono indicati i
factor loadings (pesi fattoriali) (in SPSS indicati come matrice dei
componenti), la comunalità ed i pesi delle variabili (scores) (in
SPSS indicati come matrice dei coefficienti di punteggio dei
componenti, vedere Appendice C) relativi alla prima componente
dopo aver effettuato una rotazione con il metodo Quartimax (che
produce una rotazione ortogonale) allo scopo di minimizzare il
numero dei componenti necessari a spiegare una variabile. La
rotazione non ha effetto sulla bontà del modello, non cambia né la
comunalità, né la percentuale di varianza spiegata. La rotazione
ridistribuisce la varianza spiegata, individualmente, da ogni
componente. Con il metodo Quartimax la quota di varianza
spiegata dalla prima componente rimane pressoché identica a
quella ottenuta prima della rotazione (75,737%), per cui alta ed
utile al nostro scopo. Nella tabella seguente, i factor loadings
indicano la correlazione tra le variabili originali e la prima
componente; in essa si osserva che tutte le variabili considerate
hanno alta correlazione con la prima componente eccetto che la
106
variabile % delle persone povere, la quale risulta fortemente
correlata (0,873) con la seconda componente principale
(Appendice C, tabelle 4 e 5).
TABELLA 6. FACTOR LOADINGS, COMUNALITÀ E PUNTEGGI FATTORIALI RELATIVI ALLA PRIMA COMPONENTE
Comunalità Factor Loadings
FactorScores (pesi)
Speranza di vita alla nascita 0,928 0,962 0,135
Tasso di mortalità infantile (0-1 anno) 0,976 -0,985 -0,130
Tasso di mortalità dei bambini di età inferiore ai 5
anni0,978 -0,987 -0,131
% delle persone sotto la linea di povertà 0,806 0,210 -0,021
Tasso di analfabetismo adulto 0,989 -0,994 -0,134
Iscrizioni a livello di scuola primaria come % delle iscrizioni lorde totali
0,895 0,934 0,119
Iscrizioni a livello di scuola secondaria come % delle iscrizioni lorde totali
0,949 0,865 0,093
Iscrizioni a livello di scuola terziaria come % delle iscrizioni lorde totali
0,871 0,777 0,077
Pil pro capite a prezzi costanti del 1995 su base
annua 19900,796 0,894 0,142
Spesa sociale totale come % del Pil 0,911 0,806 0,132
107
La comunalità indica la quota di varianza in una variabile
spiegata dalle componenti. Tutte le variabili hanno un’alta
comunalità (valori superiori al 0,700), ciò significa che una
grande quota della varianza delle variabili originali è stata
catturata dal modello di analisi utilizzato. I punteggi fattoriali
sono i pesi dati ad ogni variabili per la costruzione dell’Indice.
Tutti i punteggi fattoriali hanno segno positivo eccetto il tasso di
mortalità infantile, il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età, il
tasso di analfabetismo adulto e la % delle persone povere, che
hanno peso negativo, tali coefficienti negativi possono essere
considerati come avversi allo sviluppo umano, ossia indicano
correlazione negativa con i livelli di sviluppo umano. Per il
periodo considerato il Pil , la spesa sociale totale e la speranza di
vita hanno maggior peso nella definizione dell’Indice costruito
mediante l’analisi in componenti principali rispetto alle variabili
dell’istruzione; e che il maggior peso negativo è dato dai tassi di
mortalità ed analfabetismo, cosa abbastanza intuibile data la bassa
correlazione della variabile relativa alla percentuale di persone
povere, con la prima componente. Per la standardizzazione delle
108
variabili utilizzo lo stesso metodo utilizzato dall’UNDP, ossia la
Linear Scaling Technique che è una tecnica utilizzata per
standardizzare il range di una variabile (vedere paragrafo 3,
seconda parte di questa tesi). Come valori di riferimento prendo il
più alto ed il più basso valore assunto dalla variabile nel periodo
considerato (1990-2000). Le variabili “favorevoli” allo sviluppo
umano, ossia quelle per cui un incremento nel valore corrisponde
ad un incremento nel benessere totale, saranno standardizzate
secondo la formula:
MinMaxMinosservatoVal
−−.
Le variabili avverse allo sviluppo umano, ossia quelle per cui un
incremento nei valori corrisponde ad un decremento nel benessere
totale, saranno standardizzate secondo la formula:
MinMaxosservatoValMax−
− .
Il range del valore è 0-1, dove 0 corrisponde al più basso livello
ed 1 al più alto. Le diverse variabili così scalate vengono
combinate insieme mediante una semplice somma ponderata, ove
i pesi delle variabili sono quelli determinati mediante l’Analisi in
Componenti Principali (Factor Scores). L’Indice di Sviluppo
109
Umano Modificato è perciò uguale a ( per l’etichetta delle
variabili vedere Appendice C):
1990..1995...*142.0*021.0..*132.0.*077.0.*093.0.*119.0
..*134.05.0..*131.0..*130.0..*135.0mod
BPZPILZPOVSOCTOTZSPETERZISCRSECZISCRPRIZISCR
ADANZTMZTIMZTNVZSISU
+++++++
++++=
dove la lettera Z prima dell’etichetta delle variabili sta ad indicare
la variabile standardizzata. Il grafico seguente mostra
l’andamento dell’Indice dello Sviluppo Umano Modificato
ottenuto con l’ausilio dell’Analisi in Componenti Principali
relativo alla decade considerata.
Grafico 8. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano Modificato ottenuto con l’ausilio dell’Analisi in Componenti Principali.
0,000
0,109
0,213
0,358
0,495 0,5120,576
0,686
0,828
0,9381,000
0,000
0,200
0,400
0,600
0,800
1,000
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
ISUmodificato
Nota: I valori sono stati riscalati per variare tra 0 e 1.
110
Come evidenziato dal grafico l’Indice rileva un andamento
crescente per tutta la decade con una forte decelerazione tra gli
anni 1994 e 1995. L’incremento costante dell’Indice è dovuto al
peso maggiore attribuito al Pil , ai tassi di mortalità, alla speranza
di vita ed al tasso di analfabetismo nella definizione dell’Indice ed
al loro andamento “favorevole” allo sviluppo umano per tutta la
decade. Nello specifico, tra il 1994 ed il 1995 il tasso di mortalità
infantile ed il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età
registrano un incremento, seppur lieve, poiché passano da un
valore di 22,0% ad un 22,2% per il tasso di mortalità infantile e
da un 25,3% ad un 25,5% per il tasso di mortalità sotto i cinque
anni di età (la speranza di vita alla nascita passa da 73,98 a 73,82
anni). Negli stessi anni il Pil pro capite (a prezzi costanti del 1995
$US) calcolato su base anno 1990, subisce un calo passando da un
valore di 134,04 a 128,49. Ciò determina una decelerazione nello
sviluppo tra gli anni in questione, ma che non si è tradotta in calo
a causa dell’andamento favorevole delle altre variabili con
maggior peso (è sceso il tasso di analfabetismo adulto, è
aumentata la spesa sociale totale e le iscrizioni primarie).
111
Osservando il grafico 8, si nota che dal 1996 al 1998 l’Indice si
incrementa costantemente. Eppure se andiamo ad osservare
l’andamento delle singole variabili per gli anni in questione
notiamo: un ulteriore incremento nei tassi di mortalità tra il 1997
ed il 1998 (da un 18,8 a 19,1 per il tasso di mortalità infantile e da
22,0% a 22,5% per il tasso di mortalità sotto i cinque anni di età)
ed un decremento nella speranza di vita da 74,56 a 74,34 anni; un
decremento nelle iscrizioni scolastiche a livello primario tra il
1996 ed il 1997 (da 113,31 a 110,70); ed una diminuzione nella
spesa sociale totale tra il 1996 ed 1998 (da 20,0 a 19,8). La
crescita costante dell’Indice è dovuta all’incremento subito dal
Pil pro capite tra il 1996 ed il 1998 (133,86 nel 1996 e 146,52 nel
1998) che ha compensato l’andamento negativo delle altre
variabili, implicando di fatto la sostituibilità fra esse, ossia che un
incremento nei tassi di mortalità possono essere compensati dalla
crescita del Pil. Tra il 1999 ed il 2000 il Pil pro capite decresce da
139,80 a 137,00 mentre le altre variabili rivelano un andamento
favorevole allo sviluppo umano. Anche in questo caso vi è stata
una compensazione tra le variabili, implicando la sostituibilità fra
112
esse, ma il peso maggiore dato al Pil ha determinato una crescita
dell’Indice moderata. Un’ altro importante dato da sottolineare è
che gli anni in cui si ha una decelerazione dell’Indice, 1994-1995,
coincide con gli anni dell’effetto tequila ossia con la crisi del
Messico iniziata nel 1994 con il crollo del pesos messicano nei
confronti del dollaro. Già allora si preannunciava la possibilità
che la crisi coinvolgesse altri Paesi dell’area latinoamericana che
avevano seguito politiche di stabilizzazione monetaria simili, in
primis l’Argentina. E’ ciò che accadde in realtà (vedere parte
prima). Ma ciò che sembra interessante è che la crisi del Messico
sembra aver sortito il suo effetto anche su l’Indice di Sviluppo
Umano (ISUmodificato) in Argentina. Per cui quando si pensa
allo sviluppo non lo si può vedere in maniera indipendente come
se tale fenomeno vivesse e si animasse esclusivamente di fattori e
variabili che riguardano la realtà locale, ma soprattutto oggi con la
globalizzazione, bisogna tener conto delle interrelazioni esistenti
tra le diverse economie e società, e del modo in cui ogni Paese si
lega ad esse. Un’altra considerazione che emerge dal grafico 8 è
che se osserviamo l’andamento dell’Indice relativamente all’anno
113
2000, notiamo un incremento di sviluppo umano, rispetto
all’anno precedente, anche se siamo alla vigilia della
dichiarazione dell’insolvenza del debito estero e del fallimento
dell’economia argentina. Ciò dipende dalla scelta delle variabili
che possono pesantemente modificare il quadro dato di un Paese.
CONCLUSIONI
L’esperienza argentina dimostra quanto siano complesse le dinamiche dello
sviluppo. L’aver orientato gli sforzi in un'unica direzione subordinando la
qualità e la sostenibilità della crescita economica avvenuta nei primi anni
novanta a politiche che miravano esclusivamente all’innalzamento del Pil,
dimostra ancora più chiaramente, quanto sia necessario uno sguardo
multidimensionale dello sviluppo. Lo stesso trickle down mechanism risulta
smentito dall’andamento delle variabili socio-economiche relativamente
alla decade presa in esame. Inoltre nonostante siano tutti concordi che
nessun indice riesca a catturare pienamente il concetto che vuol misurare,
un indice di benessere sociale ed economico come vuole essere l’indice di
sviluppo umano proposto dall’UNDP, è un chiaro esempio di tale
fallimento. Il grafico 9 presentato a pagina seguente mostra un quadro
favorevole per l’Argentina essendo considerata tra l’altro un Paese ad alto
sviluppo umano dal 1985 . E’ difficile, basandosi sul grafico 9, pensare allo
114
scenario socio-economico disastroso che ha attraversato l’Argentina e che
ho presentato nella prima parte di questa tesi.
Grafico 9. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano in Argentina. Vari anni.
ISU
0.8000.8050.8100.8150.8200.8250.8300.8350.8400.8450.850
1985 1990 1995 2000
ISU
L’analisi in componenti principali eseguita nella terza parte, ha evidenziato
quanto sia forte il problema, nell’Indice di Sviluppo Umano, della
sostituibilità tra le variabili e dell’ugual peso dato ad esse. Una soluzione
al problema prevede da una parte l’inclusione di molte variabili per
prendere in considerazione l’aspetto multidimensionale dello sviluppo, ma
per fare ciò è necessario rafforzare i sistemi statistici nazionali di ogni
Paese; e dall’altro determinare non soggettivamente, ma mediante l’analisi
empirica il peso che ciascuna variabile debba avere nel calcolo dell’Indice.
Inoltre, un indice composito per misurare il processo di sviluppo deve
partire da una prospettiva complementare che racchiuda al suo interno un
115
approccio conglomerativo, in cui vengono considerati i progressi fatti da
ogni gruppo della comunità, compresi coloro che già si trovano in una
situazione vantaggiosa con utilizzando la media nazionale che meglio
sintetizza i conseguimenti medi della popolazione, ma anche da una
prospettiva deprivazionale in cui lo sviluppo è giudicato in base agli
avanzamenti in termini di qualità della vita da parte dei poveri e dei più
svantaggiati in genere. In tal senso l’inclusione di variabili che prendano in
considerazione aspetti quali l’andamento della povertà di reddito (così
come nell’ISUmodificato) la povertà strutturale o ancor meglio, la
distribuzione del reddito, possono ovviare a tale problema. In ultima analisi
c’è da dire che il problema del confronto dei livelli di sviluppo tra i diversi
Paesi risulta di minore importanza se paragonato alla necessità di
determinare un Indice che catturi realmente le diverse dimensioni dello
sviluppo di un Paese, che tenda ad essere il più vicino possibile alla
definizione delle reale condizioni di vita nel Paese e che non dia un quadro
distorto della situazione esistente così come è accaduto per l’Argentina
relativamente agli anni presi in esame.
116
Appendice A.
METODO UTILIZZATO PER STABILIRE LA LINEA DI
POVERTA’ ASSOLUTA IN ARGENTINA.
La linea di povertà è il limite di demarcazione monetaria tra i poveri ed i
non poveri. In accordo alla sua definizione generale, le linee di povertà
sono i livelli di risorse materiali di cui ha bisogno un individuo per poter
comprare un paniere di beni di base. Il valore di questo paniere è
determinato, in caso di linee di povertà assoluta, su quello che devono poter
consumare le famiglie affinché non manchi loro il minimo necessario (nel
caso di linee di povertà relative, si fissa arbitrariamente un livello in
relazione con le spese o le entrate medie di un Paese).
Nella prima parte di questa tesi ho presentato le stime dell’INDEC riguardo
alla povertà di reddito in Argentina ed in GBA. Tali stime vengono
determinate stabilendo una linea di povertà assoluta. Seguendo la
metodologia utilizzata dall’INDEC, la “linea di indigenza”(LI), stabilisce
se le famiglie hanno entrate sufficienti per coprire un paniere di alimenti
capace di soddisfare una soglia minima di necessità energetiche e
proteiche. In tal modo, le famiglie che non superano tale soglia sono
considerate indigenti. Il paniere basilare di alimenti di costo minimo
(canasta basica total, CBA) viene determinato in funzione delle abitudini
di consumo della popolazione definita come popolazione di riferimento in
base ai risultati dell’Inchiesta Nazionale sui Consumi delle famiglie del
117
1996/1997. Una volta stabilito i componenti del paniere basilare di alimenti
necessari per avere un apporto calorico e proteico sufficiente, vengono
valorizzati in base all’Indice dei Prezzi al Consumo. Dato che gli apporti
nutrizionali necessari sono differenti a secondo dell’età, del sesso e
dell’attività delle persone, il procedimento utilizzato dall’INDEC, utilizza
come unità di riferimento un maschio adulto, di età compresa tra i 30 ed i
59 anni, che svolge un’attività fisica moderata e per esso viene stabilita una
necessità energetica di 2.700 Kilocalorie. Questa unità di riferimento viene
definito “adulto equivalente” e si assegna un valore pari ad uno.Viene
determinata una tabella di equivalenza delle necessità energetiche per
persone di età differente e sesso in termini di adulto equivalente: per
esempio un bambino di età compresa fra i 16 ed i 17 anni rappresenta un
0,79 adulto equivalente (2.140 Kilocalorie); una donna di età compresa tra i
18 ed i 29 anni, rappresenta uno 0,74 adulto equivalente (2.000
Kilocalorie). Così, per esempio una famiglia di tre membri, composta da un
uomo di 28 anni (che è equivale ad 1,06 di adulto equivalente), sua moglie
di 26 anni (0,74 di adulto equivalente) ed un figlio di 3 anni (0,56 di adulto
equivalente), corrisponde a 2,36 unità di riferimento o adulti equivalenti.
La composizione di ciascuna famiglia in adulti equivalenti determina un
valore della CBA specifico per quella famiglia. Per esempio, in aprile
2002, il valore del CBA per adulto equivalente era pari a $81,76, pertanto il
valore del CBA nella famiglia presa ad esempio è pari a
118
$81,76*2,36=$192,95. Per ultimo si confronta il valore specifico di
ciascuna CBA con il reddito totale familiare, se il reddito è inferiore al
valore del paniere, la famiglia ed i membri che la compongono si
considerano indigenti (in quanto si situano sotto la linea di indigenza).
La linea di povertà viene determinata stabilendo se le famiglie con i redditi
di cui dispongono possono “coprire” non solo un paniere basilare di
alimenti (CBA), come nel caso della linea di indigenza, ma anche altre
necessità non alimentari che si considerano essenziali come i vestiti,
l’istruzione, i trasporti, ecc.. Il valore del paniere basilare totale (canasta
basica total, CBT) viene calcolato facendo ricorso al coefficiente di Engel
che viene definito come la relazione tra i consumi alimentari ed i consumi
totali osservati nella popolazione di riferimento.
Coefficiente di Engel = Consumi alimentari/Consumi toltali
Il valore del paniere basilare totale (CBT) è uguale al paniere basilare
alimentare(CBA) moltiplicato per l’inverso del Coefficiente di Engel,
ossia:
CBT=CBA*inverso del Coefficiente di Engel
Infine si confronta il valore del CBT di ciascuna famiglia con il suo reddito
totale familiare, se quest’ultimo è inferire al valore del CBT, la famiglia si
considera povera.
119
Appendice B .
COSTRUZIONE DELL’INDICE DI SVILUPPO UMANO
AMPLIATO PER L’ARGENTINA.
L’Indice di Sviluppo Umano Ampliato per l’Argentina è stato costruito in
questo modo:
1) Sono stati selezionati dei nuovi indicatori per ogni dimensione
dell’ISU originale proposto dall’UNDP. Nella selezione si è cercato
di considerare indicatori che aiutassero a differenziare le diverse
giurisdizioni del territorio argentino, ossia indicatori sensibili alle
disuguaglianze regionali; ed indicatori più “dinamici” rispetto alle
variabili originali incluse nell’ ISU, affinché si avesse più
informazione anche nel breve periodo.
2) Le nuove variabili incluse nell’ISU, oltre a quelle originali furono :
3) Per misurare la dimensione lunga e salutare vita: tasso di mortalità
infantile per cause riducibili;
A. Per la dimensione della conoscenza: tasso di età avanzata per
la scuola primaria e secondaria (è la percentuale di alunni con
età maggiore a quella teorica corrispondente al grado nel quale
sono iscritti); Percentuale di risposte esatte nei tests di
matemetica e percentuale di risposte esatte nei tests di
letteratura.
120
B. Per la dimensione decente standard di vita: tasso di
occupazione e tasso di disoccupazione.
4) Una volta scelte le variabili, i valori sono normalizzati, usando come
valori massimi e minimi di riferimento valori fissati utilizzando la
stessa metodologia utilizzata per l’indice di sviluppo umano
originale.
5) Gli indici elementari così ottenuti vengono raggrupPati in accordo
alle tre dimensioni prese in considerazione nell’ISU originale, al fine
di ottenere l’Indice della salute, l’Indice dei risultati scolastici e
l’Indice dello standard di vita.
6) Infine gli Indici risultati sono aggregati (ciascuno con un peso di 1/3)
e l’Indice di Sviluppo Umano Ampliato è calcolato per ogni
giurisdizione del territorio argentino.
Per rendere l’indicatore del reddito sensibile alle disparità nel costo della
vita nelle differenti regioni, ossia del differente potere di acquisto in ogni
luogo, è stato utilizzato il reddito familiare totale pro capite per ciascuna
giurisdizione aggiustato per la differenza dei prezzi tra le regioni del Paese
e per la parità del potere d’acquisto.
Nella tabella a pagina seguente vengono illustrati i pesi (il numero sotto
ogni indicatore ed indice) dati a ciascun indicatore.
121
Dove IPRp/c è l’Indice del Pil reale pro capite aggiustato secondo il potere
d’acquisto di ogni giurisdizione per rendere l’indicatore di reddito sensibile
alle differenze nel costo della vita tra le diverse regioni; ITO è l’indice del
tasso di occupazione; ITD è l’indice del tasso di disoccupazione.
INDICE DI SVILUPPO UMANO AMPLIATO
Dimensione 1Vita lunga e
salutare1/2
Dimensione 2:Conoscenza
1/2
Dimensione 3:Decente standard di vita
1/2
Indice della
speranza di vita 1/2
Indice del tasso
di mortalità infantile
1/2
Indice dell’istruzione1/3
Indice del tasso di età avanzata
1/3
Indice della qualità educativa
1/3
IPRp/c
1/3
ITO
1/3
ITD
1/3
Speranza di vita1/2
Tasso di mortalità infantile
1/2
Tasso di alfabetizzazione
2/3
Rapporto lordo
congiunto di
iscrizione pr-sec-ter
1/3
Tasso di età
avanzataper la primaria2/3
Tasso di età
avanzataper la
secondaria1/3
Risposte esatte ai tests di
matematica1/2
Risposte esatte ai tests diLingua1/2
Pil reale pro capite1/3
Tasso di
occup.1/3
Tasso di
disocc.1/3
122
Appendice C.
OUTPUT DELL’ANALISI IN COMPONENTI PRINCIPALI
Etichette delle variabili:
S.V.N Speranza di vita alla nascita
T.M.I Tasso di mortalità infantile (0-1 anno)
T.M.0.5 Tasso di mortalità dei bambini di età inferiore ai 5 anni
POV % delle persone sotto la linea di povertà
T.AN.AD Tasso di analfabetismo adulto
ISCR.PRIIscrizioni a livello di scuola primaria come % delle iscrizioni lorde totali
ISCR.SECIscrizioni a livello di scuola secondaria come % delle iscrizioni lorde totali
ISCR.TER
Iscrizioni a livello di scuola
terziaria come % delle iscrizioni
lorde totali
SPE.TOT.SOCSpesa sociale totale come % del Pil
PIL.P.1995.B.1990 Pil pro capite a prezzi costanti del 1995 su base annua del 1990
123
TABELLA 1. MATRICE DI CORRELAZIONE
TEST KMO E DI BARTLETT
S.V.N T.M.I T.M.0.5 PO V T.AN.
ADISCR.PRI
ISCR.SE
ISCR.TE
SPE.TO T.SOC
PIL.P.1995.B.1990
S.V.N 1,000 -,952 -,957 ,245 -,969 ,839 ,763 ,632 ,801 ,904
T.M.I -,952 1,000 ,999 -,267 ,984 -,891 -,905 -,802 -,728 -,857
T.M.0.5 -,957 ,999 1,000 -,262 ,986 -,891 -,894 -,789 -,755 -,855
PO V ,245 -,267 -,262 1,000 -,265 ,295 ,480 ,469 -,057 -,103
T.AN.AD -,969 ,984 ,986 -,265 1,000 -,920 -,869 -,768 -,783 -,884
ISCR.PRI ,839 -,891 -,891 ,295 -,920 1,000 ,874 ,858 ,737 ,760
ISCR.SEC ,763 -,905 -,894 ,480 -,869 ,874 1,000 ,966 ,470 ,619
ISCR.TER ,632 -,802 -,789 ,469 -,768 ,858 ,966 1,000 ,378 ,517
SPE.TO T.SO C
,801 -,728 -,755 -,057 -,783 ,737 ,470 ,378 1,000 ,749
PIL.P.1995.B.1990
,904 -,857 -,855 -,103 -,884 ,760 ,619 ,517 ,749 1,000
Misura di adeguatezza campionaria KMO (Keiser Meyer Olkin).
,650
Chi-quadrato appross. 195,356df 45
Test di sfericità di Bartlett
Sig. ,000
124
TABELLA 2. COMUNALITÀIniziale Estrazione
S.V.N 1,000 ,928T.M.I 1,000 ,976T.M.0.5 1,000 ,978PO V 1,000 ,806T.AN.AD 1,000 ,989ISCR.PRI 1,000 ,895ISCR.SEC 1,000 ,949ISCR.TER 1,000 ,871SPE.TO T.SO C 1,000 ,796PIL.P.1995.B.1990 1,000 ,911
TABELLA 3. VARIANZA TOTALE SPIEGATA
Componente Autovalori iniziali Pesi dei fattori non ruotati Pesi dei fattori ruotati
Totale% di
varianza%
cumulata Totale% di
varianza%
cumulata Totale% di
varianza%
cumulata1
7,641 76,409 76,409 7,641 76,409 76,409 7,574 75,737 75,737
21,461 14,608 91,017 1,461 14,608 91,017 1,528 15,280 91,017
3,473 4,726 95,743
4,284 2,835 98,578
5,109 1,089 99,666
6,019 ,190 99,856
7,010 ,102 99,958
8,004 ,037 99,995
9,000 ,005 99,999
10,000 ,001 100,000
125
SCREE PLOT. GRAFICO DECRESCENTE DEGLI AUTOVALORI.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Numero componente
0
2
4
6
8
Autovalore
Grafico decrescente degli autovalori
TABELLA 4. MATRICE DEI COMPONENTI
Componente1 2
T.AN.AD -,993 ,065T.M.0.5 -,988 ,037T.M.I -,988 ,019S.V.N ,950 -,158ISCR.PRI ,945 ,055ISCR.SEC ,907 ,356PIL.P.1995.B.1990 ,855 -,425ISCR.TER ,827 ,433SPE.TO T.SO C ,762 -,464PO V ,299 ,846Metodo estrazione: analisi componenti principali ( 2 componenti estratti).
126
TABELLA 5. MATRICE DEI COMPONENTI RUOTATA (INDICA LA CORRELAZIONE TRA I COMPONENTI E LA DIVERSE VARIABILI, DOPO AVER EFFETTUATO LA ROTAZIONE).
Componente
1 2
T.AN.AD -,994 -,039
T.M.0.5 -,987 -,066
T.M.I -,985 -,085
S.V.N ,962 -,058
ISCR.PRI ,934 ,153
PIL.P.1995.B.1990 ,894 -,334
ISCR.SEC ,865 ,449
SPE.TO T.SO C ,806 -,382
ISCR.TER ,777 ,517
PO V ,210 ,873
Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Quartimax con normalizzazione di Kaiser.La rotazione ha raggiunto i criteri di convergenza in 3 iterazioni.
Matrice di trasformazione dei componenti
Componente 1 2
1 ,995 ,104
2 -,104 ,995
Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Quartimax con normalizzazione di Kaiser.
127
TABELLA 6. MATRICE DEI COEFFICIENTI DI PUNTEGGIO DEI COMPONENTI (FACTOR SCORES)
Componente
1 2
S.V.N ,135 -,094
T.M.I -,130 -,001
T.M.0.5 -,131 ,012
T.AN.AD -,134 ,031
ISCR.PRI ,119 ,050
ISCR.SEC ,093 ,255
ISCR.TER ,077 ,306
SPE.TO T.SO C ,132 -,306
PO V -,021 ,580
PIL.P.1995.B.1990 ,142 -,278
Metodo estrazione: analisi componenti principali. Metodo rotazione: Quartimax con normalizzazione di Kaiser.
128
INDICE DELLE TABELLE
Tabella 1. Indicatori dell’economia Argentina, 1990-2000.Tabella 2. Anni medi di istruzione dei giovani in base alle condizioni socio-
economiche. Gran Buenos Aires, 1990-2000.
Tabella 3. Tassi di iscrizione per decile di reddito, livello secondario e terziario, 1992-1997.
Tabella 4. Tasso di abbandono tra i giovani (12-20) per i differenti quintili di reddito, 1997.
Tabella 5.Andamento dell’Indice di sviluppo umano in Argentina. Vari anni.
Tabella 6. Factor Loadings, Comunalità e Factor Scores relativi alla prima componente estratta mediante l’Analisi in Componenti Principali.
INDICE DEI GRAFICI
Grafico 1. Evoluzione povertà ed indigenza. Gran Buenos Aires, 1988-
2002.
Grafico 2. Evoluzione tassi di disoccupazione nel totale dei centri urbani.
1990-2002.
Grafico 3. Povertà e disoccupazione. Gran Buenos Aires. 1990-2002.
Grafico 4. Tasso di disoccupazione, sottocupazione domandante e “disagio
lavorativo”. Totale centri urbani, 1996-2002.
Grafico 5. Evoluzione del rapporto tra i redditi familiari pro capite del
decile 10 e del decile 1. Gran Buenos Aires, 1987-2001.
Grafico 6.Confronto dell’Indice di Sviluppo Umano tra le diverse province
argentine, 1995-2000.
Grafico 7. Indice di Sviluppo Umano Ampliato, province argentine e Città
di Buenos Aires, 2000.
Grafico 8. Andamento dell’Indice di Sviluppo Umano(1990-2000) ottenuto mediante l’Analisi in Componenti Principali.
129
INDICE DEI PARAGRAFI
Prima parte: L’ARGENTINA.
1. La crisi Argentina.
2. I“nuovi”poveri.
3. Lavoro e povertà.
4. Il “capitale” umano.
5. L’ Indice di Sviluppo Umano in Argentina.
6. Sviluppo Umano e Crescita Economica.
Seconda Parte: L’INDICE DI SVILUPPO UMANO.
1. Verso lo sviluppo umano.
2. I Rapporti sullo sviluppo Umano.
3. L’Indice di sviluppo Umano.
4. Limiti dell’ISU.
5. Considerazioni.
Terza Parte: ANALISI IN COMPONENTI PRINCIPALI PER UN
INDICE DI SVILUPPO UMANO MODIFICATO.
Appendice A: Metodo utilizzato per stabilire la linea di povertà assoluta in
Argentina.
Appendice B: Costruzione dell’Indice di sviluppo umano ampliato per
l’Argentina.
Appendice C: Output dell’Analisi in Componenti Principali.
130
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