15
Fabbriche recuperate: la territorializzazione di una nuova economia* 1 . Il paper si propone di analizzare il fenomeno fabbriche recuperate in Europa a fronte della crisi economica e finanziaria che l’ha investita. Si farà riferimento ai casi italiani di Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio (Mi) e delle Officine Zero di Roma. La tesi che si vuole sostenere è che queste esperienze si stanno trasformando in spazi di progettualità partecipata promotrici di una nuova economia che riconnette il territorio al sistema della produzione. Parole chiave: fabbriche recuperate, crisi, economia, territorio. Introduzione. I processi nati nell’era della globalizzazione hanno radicalmente trasformato la struttura e l’organizzazione della città. Sede ormai di una società liquida 2 , in cui le leggi del mercato hanno preso il sopravvento sostituendosi, il più delle volte, alle tradizionali regole etiche, la città ha travalicato i classici confini fisici seguendo un sistema di flussi economici e finanziari che si allargano su scala globale e che costruiscono da sé un nuovo tipo di città: la cosmopoli. Al suo interno il territorio con le sue specificità diventa uno spazio variabile che perde la sua tradizionale identità e viene continuamente ridisegnato da flussi (economici e sociali) transitori. I modelli che ne determinavano l’organizzazione sono cambiati: dalla fabbrica, attorno alla quale si è organizzata e sviluppata la città industriale, si è arrivati alla rete che districandosi su scala globale da forma alla nuova città impalpabilee globalizzata. Il suo sviluppo è trainato da un sistema economico di per sé de- territorializzante 3 , dove, non si tratta più di distribuire a livello mondiale ciò che viene prodotto a livello nazionale 4 ma dove lo stesso sistema di produzione assume un carattere transnazionale slegandosi dalle specificità di ciascun territorio ed operando secondo uno schema unico ed omologante. Poiché tale approccio comporta effetti negativi sia sul piano urbano che su quello sociale come: de- territorializzazione, ma anche decontestualizzazione , differenziazione e degrado ambientale e territoriale 5 , appare sempre più chiara la necessità di trovare una strada alternativa. Sembra * Antonella Carrano, Dottoranda in Tecnica Urbanistica, Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale (DICEA)- Università “La Sapienza” , Roma E-mail: antonella3carranomail.com 2 Cfr. Bauman (2005) 3 Cfr. Magnaghi (2006) 4 Come osserva Herscovici (1994) 5 Cfr. Magnaghi (2000)

Fabbriche recuperate: la territorializzazione di una nuova economia

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Fabbriche recuperate:

la territorializzazione di una nuova economia*1.

Il paper si propone di analizzare il fenomeno fabbriche recuperate in Europa a fronte della crisi economica e finanziaria

che l’ha investita. Si farà riferimento ai casi italiani di Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio (Mi) e delle Officine Zero di

Roma. La tesi che si vuole sostenere è che queste esperienze si stanno trasformando in spazi di progettualità partecipata

promotrici di una nuova economia che riconnette il territorio al sistema della produzione.

Parole chiave: fabbriche recuperate, crisi, economia, territorio.

Introduzione.

I processi nati nell’era della globalizzazione hanno radicalmente trasformato la struttura e

l’organizzazione della città. Sede ormai di una società liquida2, in cui le leggi del mercato hanno

preso il sopravvento sostituendosi, il più delle volte, alle tradizionali regole etiche, la città ha

travalicato i classici confini fisici seguendo un sistema di flussi economici e finanziari che si

allargano su scala globale e che costruiscono da sé un nuovo tipo di città: la cosmopoli.

Al suo interno il territorio con le sue specificità diventa uno spazio variabile che perde la sua

tradizionale identità e viene continuamente ridisegnato da flussi (economici e sociali) transitori. I

modelli che ne determinavano l’organizzazione sono cambiati: dalla fabbrica, attorno alla quale si è

organizzata e sviluppata la città industriale, si è arrivati alla rete che districandosi su scala globale

da forma alla nuova città “impalpabile” e globalizzata.

Il suo sviluppo è trainato da un sistema economico di per sé de- territorializzante3 , dove, non si

tratta più di distribuire a livello mondiale ciò che viene prodotto a livello nazionale4 ma dove lo

stesso sistema di produzione assume un carattere transnazionale slegandosi dalle specificità di

ciascun territorio ed operando secondo uno schema unico ed omologante.

Poiché tale approccio comporta effetti negativi sia sul piano urbano che su quello sociale come: de-

territorializzazione, ma anche decontestualizzazione , differenziazione e degrado ambientale e

territoriale5, appare sempre più chiara la necessità di trovare una strada alternativa. Sembra

* Antonella Carrano, Dottoranda in Tecnica Urbanistica, Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale (DICEA)- Università “La Sapienza” , Roma E-mail: antonella3carranomail.com 2 Cfr. Bauman (2005)

3 Cfr. Magnaghi (2006)

4 Come osserva Herscovici (1994)

5 Cfr. Magnaghi (2000)

necessario dare al territorio un nuovo significato che si svincoli da quello attribuitogli dalle

dinamiche consumistiche del mercato, secondo le quali esso appariva come uno spazio indistinto di

risorse materiale ed immateriali, e che contribuisca invece a considerarlo come un elemento

strategico “per la produzione della ricchezza e l’offerta di vantaggi competitivi sempre più

condizionanti all’interno della realtà economica post- industriale”6 .

All’interno di un discorso incentrato sulla necessità di ristabilire la dimensione territoriale nei

sistemi di produzione, questo paper si propone di analizzare la nascita di nuove realtà socio

economiche in Italia quali le fabbriche recuperate, in funzione della loro capacità di riconnettere la

produzione con i territori, con i bisogni espressi dalle comunità che li abitano tenendo conto

dell’elaborazione culturale e dei legami sociali che si esplicano su di essi7.

1. Dalla fabbrica alla rete globale: i modelli di organizzazione della città e

del suo sistema di produzione.

La globalizzazione ha dato vita ad una trasformazione del modello di organizzazione e di

produzione delle città. Nel XIX secolo la città moderna o industriale si organizza e si sviluppa

intorno ad un grande fulcro: la fabbrica8 e rappresenta l’espressione di una nascente economia

basata sull’uso del capitale. L’industria rappresenta la fonte di produzione di beni tangibili in cui il

capitale viene continuamente investito ed adoperato, insieme ad una manodopera continuamente

crescente e che si compone di soggetti provenienti dalla campagna.

Questa città “ha seguito le sorti della fabbrica : prima si è delocalizzata, poi si è trasformata ed

infine è letteralmente scomparsa trasformandosi in un arcipelago mondiale di attività”9 . La città

moderna si rovescia nel suo esatto contrario: la città post industriale o città contemporanea10

, che

non rappresenta più una città di luoghi e confini, ma uno spazio urbano di flussi che sommergono la

struttura fisica della città stessa. Questo passaggio segna il primo passo verso la cosmopoli11

ovvero

un’unica, grande ed omologante metropoli mondiale , distruttrice di diversità e sede di un nuovo

sistema di produzione de-territorializzato e de-territorializzante. Questo sistema, basandosi su nuove

e progredite tecnologie opera a livello planetario generando un mercato ed un’economia che

prescindono dai confini materiali degli Stati, nonché dalle caratteristiche specifiche di ciascun

6 Cfr. Clementi (2010), dal sito http://www.treccani.it/enciclopedia/territorio-una-risorsa-per-lo-sviluppo_(XXI-

Secolo)/ 7 Cfr. Amoroso (1996)

8 Come osserva Scandurra (2007)

9 Cfr. Scandurra (2007): 91

10 Cfr. Scandurra (2007)

11 Cfr. Tomlison (2001)

territorio. Tutto ciò prende forma all’interno di un nuovo modello organizzativo sia per la città che

per il suo sistema di produzione: la rete.

L’economia connessa alla rete comporta forti implicazioni sociali: si sviluppa quella che viene

chiamata “verticalità sociale” e che trasforma la vecchia organizzazione sociale “a piramide” della

città industriale, in una a “due velocità”12

: da una parte i soggetti e i territori “agganciati” alla rete

che “sono capaci di sfruttare le possibilità che questa offre loro, sviluppandone altre in un secondo

momento”13

, dall’altra quelli che ne sono sganciati e “sono condannati a vivere sul posto, ed i soli

per i quali le sorti della città e della vita quotidiana abbiano realmente un senso” .14

Si vanno inoltre affermando nuove forme di dominanza: difronte alla perdita d’identità dello Stato-

Nazione si accompagna la nascita di nuovi soggetti che diventano simboli di potere nel mondo

globalizzato: “ristrette oligarchie transnazionali si arricchiscono sempre di più, determinando

povertà e sottosviluppo della stragrande maggioranza dei popoli del mondo, soprattutto se si pensa

all’incapacità pressoché totale di molti pvs15

di appropriarsi di quei vantaggi che la tecnologia

produce continuamente” 16

e di restare dunque fuori dalla rete globale.

Tutto ciò decreta il fallimento dell’imposizione del modello Occidentale della globalizzazione. La

globalizzazione concepisce il territorio al pari del suo mercato: unico. L’azione del mercato sul

territorio si traduce in un processo di deterritorializzazione.

Secondo Magnaghi (2000), nella città post-industriale sono state identificate diverse tipologie di

deterritorializzazione, anche molto diverse fra loro, ma molto simili per quanto riguarda le

conseguenze che esse producono:

Rottura dei cicli naturali

Perdita d’identità delle complessità locali

Senso di smarrimento dei luoghi17

Ciò che contraddistingue la deterritorializzazione odierna da quelle avvenute in passato è l’assenza

di transizione . Come sostiene ancora Magnaghi (2000): “Le diverse forme di deterritorializzazione

prodotte non si producono in nuove forme di territorializzazione (intesa come produzione di

territorio), rendono invece strutturale il fenomeno della distruzione territoriale” .

12

Cfr. Castells (2013) 13

Cfr. Ibidem 14

Cfr. Scandurra (2007): 104 15

Paesi in via di sviluppo 16

Cfr. Mele, Tesi di laurea : “Lo sviluppo locale autosostenibile nelle città della Regione Caraibica: l’esempio di Cuba”. 17

Cfr. Magnaghi (2000)

Il territorio diventa uno spazio di funzioni indifferenziato e con esso scompare l’intero sistema di

relazioni tra ambiente fisico, antropico e costruito18

. Al fine di aumentare l’efficienza la

globalizzazione spezza le connessioni fra sistemi produttivi, territorio, istituzioni e popolazioni, la

cui iterazione è fondamentale per radicare i sistemi di produzione sia ai territori che alle comunità

che li abitano19

.

2. La necessità del “ritorno” del territorio nel sistema di produzione post-

industriale.

La deterritorializzazione odierna prodotta dal modello organizzativo e produttivo globale, può

essere imputata ad una fiducia eccessivamente riposta nelle nuove tecnologie e all’adozione di un

sistema economico già di per se de-territorializzato20

.

In accordo con il pensiero di alcuni autori quali Amoroso (1996), Latouche (2008), Vigliarolo

(2011), Illich (2005), per ovviare a questo tipo di deterritorializzazione è necessario rivoluzionare il

sistema economico ripristinando in esso quella dimensione territoriale che per lungo tempo la

globalizzazione ha soffocato. Alla luce di quanto sta emergendo dal dibattito internazionale che

negli ultimi anni si è riacceso, soprattutto in Italia ed in Europa, a seguito dell’importanza sempre

crescente che il territorio sta assumendo nelle politiche dello sviluppo21

, appare chiaro come si stia

già intraprendendo questa nuova strada. A fronte di un capitale che si muove sempre di più a livello

globale, ultimamente, si può assistere ad un ritorno alla località ed alle specificità locali22

.

Alla base di tutto questo vi è sicuramente un cambiamento nella concezione stessa di territorio: esso

non viene più inteso come uno spazio indifferenziato e regolato esclusivamente dalle dinamiche

consumistiche del mercato, ma diventa una risorsa potenzialmente strategica per lo sviluppo in

grado di integrare in modo flessibile le specificità locali e “di offrire ambienti altamente competitivi

per le imprese ed al tempo stesso di elevata coesione con le comunità insediate”23

.

L’intento è quello di ripristinare il rapporto fra produzione e territorio che è stato per lungo tempo

trascurato dal “carattere rovinoso e socialmente irresponsabile”24

della globalizzazione.

18

Ibidem 19

Cfr. Amoroso (1996) 20

Cfr. Magnaghi (2000) 21

Cfr. Clementi (2010) 22

Cfr. Governa (2011) 23

Cfr. Clementi (2010) 24

Cfr. Ferrarotti (2009)

Attraverso l’interpretazione degli odierni fatti economici, Governa (2011) parla della: “necessità di

studiare non solo l’impresa, ma anche il riferimento spaziale, l’organizzazione socio-territoriale in

cui essa è inserita, riconoscendo la disomogeneità dello spazio economico, il ruolo delle differenze

locali, delle inerzie e dei retaggi socio-culturali. Il problema dello sviluppo economico diviene così

quello della relazione con le caratteristiche territoriali locali: l’analisi economica introduce al suo

interno la dimensione storica, geografica e sociologica”.

Affinché il territorio rientri in gioco, ripopolando con le proprie specificità lo spazio astratto della

produzione e del consumo, sarà necessario recuperare la coscienza del luogo definita come crescita

dei processi di auto riconoscimento, re identificazione e cura dei territori stessi. Per far questo, in

linea con il pensiero della scuola territorialista, sarà necessario “fare società locale”25

attraverso le

capacità auto organizzative degli abitanti che vivono e producono sul territorio. Questi ultimi sono i

soli attori capaci effettivamente di realizzare territorio attraverso programmi che “sviluppano

cooperazione, abitare e produzione”26

e che si convertono in pratiche capaci di ristrutturare lo spazio

fisico indistinto del mercato: “Appropriandosi concretamente o astrattamente (per esempio

attraverso la rappresentazione) dello spazio, l’attore territorializza lo spazio”27

.

In quest’ottica, l’economia territoriale può essere concepita come un insieme di “progetti locali

condivisi, in cui l’abitante-produttore diventa protagonista del progetto di sviluppo, della ricerca

della sua qualità, della sua identità specifica e dei suoi “statuti”, intervenendo sul cosa, sul dove, sul

quanto e sul come produrre per la trasformazione del patrimonio territoriale in forme durevoli”28

.

Ciò può essere realizzato attraverso strategie di automizzazione e risocializzazione del lavoro.

3. Le fabbriche recuperate come promotrici di un’economia territoriale.

L’obiettivo di questo paper non è semplicemente quello di descrivere l’esperienza delle fabbriche

recuperate, quanto di analizzare il modello di organizzazione da esse proposto come generatore di

un’ economia che ritrova la sua dimensione territoriale attraverso la cooperazione e l’auto

organizzazione di soggetti partecipanti ed altamente territorializzanti.

Per prima cosa è importante chiarire cosa si intenda per fabbrica recuperata.

Non è facile darne una precisa definizione. Si può dire che una fabbrica recuperata nasce da una

specifica azione dei lavoratori che dopo il fallimento dell’impresa la occupano, ed a seguito di una

25

Cfr. Magnaghi (2000) 26

Ibidem 27

Cfr. Raffestin, 1981, p 150 citato in Governa (2011) 28

Cfr. Magnaghi (2000)

fase in cui cercano di resistere all’azione repressiva da parte della giustizia e degli ex proprietari,

cercano di recuperarne la produzione in forma auto gestita, ovvero sin patrones29

.

Le fabbriche recuperate nascono in Argentina durante la crisi del 2001 allo scopo di creare una

nuova forma economia che si ponesse come valida alternativa a quella proposta dalla politica

neoliberista responsabile della crisi che aveva messo in ginocchio l’intero Paese. Le imprese entrate

in fallimento, iniziarono ad essere prima occupate e poi recuperate dagli ex-lavoratori .

La grande crisi che aveva colpito l’Argentina, creò un clima politicamente favorevole in cui si

generarono e si rafforzarono nuovi movimenti che affiancarono e supportarono le esperienze delle

empresas recuperadas : dai piquetes30

a strategie di economia informale come i mercati del baratto,

fino alla riappropriazione di una cultura politica “dal basso” delle asembleas barriales31

(Cfr. Rizza,

Sermasi ,2008) .

Oggi, a distanza di 13 anni dalla grande crisi, secondo il rapporto della “Terza guida ai prodotti e

servizi delle imprese recuperate”, in tutta l’Argentina si contano circa 700 empresas recuperadas

por sus trabajadores32

(ERT) che oltre a garantire la creazione di nuovi posti di lavoro, hanno

spesso sovvenzionato servizi sociali e culturali pensati in funzione delle esigenze dei contesti

territoriali vicini.

E’ molto importante il rapporto che va a crearsi tra fabbriche recuperate e quartieri in cui esse si

inseriscono. Sia in segno di legittimazione che come ringraziamento per il sostegno ricevuto nelle

fasi di occupazione e resistenza33

, alcune fabbriche recuperate dopo un primo momento focalizzato

sulla dimensione aziendale e sul rimettere in moto il ciclo produttivo , spostano il baricentro della

propria azione verso l’interesse della comunità locale34

.

Spesso, accanto al recupero del processo produttivo, vengono pensati nuovi servizi come

educazione, formazione, ricreazione ed assistenza alle fasce più svantaggiate della popolazione35

.

Ne è un esempio, la Cooperativa UST36

di Buenos Aires che tra le principali iniziative promuove:

29

Trad. Senza padroni. 30

Trad. blocchi stradali 31

Trad. Assemblee di quartiere 32

Trad. Imprese recuperate dai lavoratori 33

Sono fasi che generalmente precedono quella del recupero dell’attività produttiva. 34

Cfr. Vigliarolo (2011) 35

Cfr. Vigliarolo (2011) 36

Union Solidaria de Trabajadores (trad. Unione Solidale dei Lavoratori).

una scuola di formazione secondaria37

, la gestione del centro polisportivo, servizi socio- ricreativi in

collaborazione con il Municipio locale e la gestione di case per i cittadini più poveri38

.

Molte volte le imprese recuperate stringono forti collaborazioni con le Università: negli spazi dell’

impresa recuperata Chilavert, la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires,

attraverso il programma “Facultad Abierta”, ha creato il primo centro di ricerca e raccolta dati delle

imprese recuperate presenti in Argentina ed in tutta l’ America Latina .

Facendo leva sull’impegno sociale, l’impresa diviene uno strumento di crescita locale e di

costruzione di una politica modellata sulle peculiarità territoriali.

3.1 Fabbriche recuperate: i casi in Italia.

Con l’arrivo della crisi queste esperienze iniziano a moltiplicarsi anche in Europa, in particolare nei

Paesi più colpiti dalla depressione: Spagna, Grecia ed Italia.

Attraverso una ricerca focalizzata sul territorio italiano, si è potuto

constatare come il fenomeno delle fabbriche recuperate in realtà non

fosse affatto nuovo in Italia. La nascita delle imprese recuperate italiane

può essere fatta risalire intorno agli anni ‘60, anche se in questi casi le

modalità di recupero risultano molto diverse da quelle delle esperienze

argentine.

In questi casi il recupero da parte dei lavoratori delle imprese fallite

avveniva prevalentemente attraverso due meccanismi:

1. Acquisizione immediata dell’impresa da parte dei lavoratori attraverso il pagamento di una

quota pro capite (spesso questa consisteva nell’anticipo della propria Cassa Integrazione);

2. Acquisizione successiva dell’impresa da parte dei lavoratori con gli introiti provenienti dalla

produzione avvenuta durante un primo periodo di affitto della fabbrica da parte degli stessi

operai, in accordo con il curatore fallimentare.

Negli ultimi anni anche le fabbriche italiane hanno poi assunto le stesse caratteristiche

“rivoluzionarie” delle empresas recuperadas argentine.

37

In spagnolo: bachilleratos 38

Per ulteriori approfondimenti si legga il libro di F. Vigliarolo: “ Le imprese recuperate. Argentina: dal crac finanziario alla socializzazione dell’economia”.

Figura 1- Tentativo di mappatura delle Fabbriche Recuperate italiane.

L’avvento della forte crisi economica e finanziaria ha comportato una serie di spiacevoli

conseguenze come: licenziamenti di massa, mancato pagamento della Cassa Integrazione che hanno

inasprito i rapporti tra operai ed ex-proprietari, rendendo difficile qualsiasi tipo di trattativa fra le

parti. Una mancanza di comunicazione ha portato all’occupazione da parte degli ex-lavoratori degli

spazi dell’impresa.

Questa è la situazione riscontrata all’interno dei due casi studio analizzati nella mia ricerca di

dottorato: la fabbrica Ri-Maflow a Trezzano sul Naviglio (Mi) e le Officine Zero nel cuore di

Roma.

Di seguito un breve resoconto di queste esperienze.

3.1.1 Ri-Maflow: ri-partire da zero.

L’impresa recuperata Ri-Maflow nasce a Trezzano sul Naviglio, a circa 25 km dalla città di Milano,

dalle ceneri della Maflow, una multinazionale produttrice di impianti per autovetture con 23

stabilimenti in tutto il mondo (Europa, Americhe, Asia) e 320 dipendenti impiegati solo a Trezzano.

L’11 maggio del 2009 il Tribunale di Milano dichiara Maflow in stato di insolvenza e la pone sotto

commissariamento con l’apertura il 30 Luglio 2009 della procedura di Amministrazione

Straordinaria. Dopo un anno e mezzo, in cui Malow perde circa l’80% delle commissioni,

l’imprenditore polacco Boryszew compra l’azienda con solo 80 dipendenti , licenziando tutti gli

altri, che rimangono in Cassa Integrazione Speciale ed iniziano la lotta per restituire all’azienda le

vecchie commissioni perse, nella speranza che, riportando in tal modo il bilancio dell’impresa di

nuovo in positivo, questa possa riassumerli. All'inizio dell'Estate del 2012, dopo mesi di lotte per il

rilancio di MAFLOW Boryszew e di ricerche senza successo di un nuovo lavoro, si insinua fra i

cassintegrati MAFLOW S.p.A. l'idea di costituire una Cooperativa, una Società di Mutuo Soccorso,

in cui il lavoro invece che cercato all'esterno, dove non c'è, venga creato dall'interno, e permetta a

tutti di sostenersi.

Viene individuato il settore in cui la Cooperativa debba lavorare: quello del riciclo dei rifiuti,

soprattutto tecnologici e viene individuata una possibile collocazione presso il sito di Trezzano (di

proprietà di Unicredit) dove è ormai chiaro che la "nuova" MAFLOW Boryszew sta morendo e

dove non si prevede l'arrivo di altre aziende.

Intanto, a Dicembre 2012, Boryszew chiude anche l'ultimo residuo di MAFLOW a Trezzano39

.

39

La storia della Ri-Maflow è tratta dal sito dell’impresa: www.rimaflow.it/lanostrastoria

Il 1° marzo del 2013, i lavoratori si istituiscono ufficialmente nella Cooperativa Ri-Maflow ed

occupano gli spazi ormai abbandonati e completamente vuoti40

della vecchia Maflow. Nel giro di

un anno questi diventano il teatro di innumerevoli iniziative, organizzate in collaborazione con

l’Associazione “Occupy Maflow”: spettacoli di cabaret, teatro, concerti oltre che un mercatino

dell’usato organizzato ogni fine settimana e la rivendita di prodotti alimentari a km 0 in

collaborazione con gli agricoltori del Parco Agricolo Sud di Milano. A queste attività si affianca

quella principale della Ri-Maflow: il programma di riciclo/riuso di materiali, soprattutto

tecnologici, che arrivano all’impresa direttamente dagli abitanti dei paesi vicini.

Nonostante l’iniziale totale mancanza di macchine e la sua posizione non proprio centrale rispetto

alla città, Ri-Maflow sta tentando , e in parte sta riuscendo, a creare una rete di soggetti locali.

Questa non fa altro che rafforzare l’identità territoriale della fabbrica, mettendola al centro di un

processo di sviluppo di nuove pratiche dell’abitare e del produrre.

3.1.2 Officine Zero di Roma: uno strike contro la disoccupazione.

A Roma, nel quartiere di Portonaccio a pochissimi metri dalla Stazione Tiburtina, il 1° giugno del

2013 nasce il progetto Officine Zero (OZ). Esso prende vita negli spazi delle ex Officine RSI grazie

alla partecipazione dei ragazzi del vicino Centro Sociale Strike e di un piccolo gruppo di ex-

lavoratori.

Le Officine RSI (Rail Service International Spa) con sede a Roma ed a Lecco, si occupavano della

manutenzione dei vagoni notte. L’impresa, inizialmente proprietà della Wagon Lits iniziò il suo

periodo di perdita quando Trenitalia decise di investire sull’Alta Velocità. Tali investimenti

portarono ad una diminuzione dei servizi più economici e meno lucrativi come i treni regionali ed i

treni notte. Parallelamente si radicalizzò in Italia la tendenza alla terziarizzazione dei servizi per

ridurre i costi. L’attività ferroviaria non fu da meno: Trenitalia cedette la gestione dei servizi ad

aziende esterne. Ciò portò a licenziamenti e precarietà delle condizioni lavorative.

Nel 2006 la crisi indusse la vendita delle strutture e dell’unica commessa alla Tonard Finance,

finanziaria del gruppo Barletta, che fino ad allora si era occupata solo di costruzioni edili.

Da quel momento gli stipendi iniziarono ad essere pagati con ritardo, non venivano comprati nuovi

materiali per portare a termine i lavori già commissionati. Si arrivò, infine, ai licenziamenti ed allo

40

L’ex proprietario è riuscito a portare via tutti i macchinari dalla fabbrica. Oggi i capannoni dell’impresa sono completamente vuoti.

stop della produzione. Nel 2010 l’impresa decise di chiudere la fabbrica e di mettere i lavoratori in

Cassa Integrazione guadagni (CIG)41

.

Dopo 2 anni di ammortizzatori sociali, il 20 febbraio 2012, 33 operai occupano la fabbrica.

Un anno più tardi, grazie all’aiuto del Centro Sociale Strike, viene presentato alla cittadinanza il

progetto Officine Zero. Esso prevede il recupero di una nuova produzione auto gestita attraverso un

programma dettagliato di riuso e riciclo di materiali provenienti da svariati settori (tessile, elettrico,

falegnameria, ecc..). A differenza della Ri-Maflow, le Oz hanno un vantaggio: conservano ancora

tutti i macchinari della vecchia attività produttiva. Oggi, grazie all’uso di alcuni di essi (in

particolari quelli del reparto vetreria e falegnameria) stanno collaborando con alcuni rappresentanti

dell’artigianato locale.

Nel caso delle OZ, appare senz’altro evidente la particolarità dei soggetti che danno vita al

fenomeno: più che dei lavoratori, si tratta del centro Sociale “Strike”. La sua presenza e soprattutto

la sua azione, sembra essere stata quanto mai vitale per la realizzazione stessa del progetto delle

Officine. Appare interessante poter studiare il gioco di alleanze che potrebbe crearsi con questo

tipo di soggettività, alquanto nuovo nei casi delle fabbriche recuperate42

.

Da una prima analisi si è potuto notare come gli schemi di azione di queste due esperienze siano

molto diversi. Si potrebbe parlare di:

1. un’azione verso l’interno o attrattiva. In questo caso l’impresa costruisce una rete di soggetti

che, in un secondo momento, tende a proiettare e a contenere all’interno dei suoi spazi.

2. Un’azione verso l’esterno o espulsiva, attraverso la quale viene costruita una rete di soggetti

esterni che pur entrando in contatto con la fabbrica, mantengono la posizione nello spazio

circostante.

Volendo ragionare in termini di “costruzione territorio” si può dire che mentre in quest’ultimo caso

la fabbrica recuperata può essere letta come elemento che costruisce territorio attorno a sé attraverso

la cooperazione di differenti soggetti sul territorio stesso, nel primo caso è, invece, la fabbrica stessa

che “si fa” e che diventa territorio.

41 Durante il secondo anno, i lavoratori sono stati per ben 8 mesi senza la cassa integrazione poiché l’impresa Barletta

non presentava il documento SR41 indispensabile all’INPS per assegnare la Cassa Integrazione.

42 In Argentina non esistono equivalenti dei nostri Centri Sociali.

3.2 L’Economia territorializzata delle fabbriche recuperate.

L’adozione di questi progetti “eco-sostenibili”43

e la partecipazione di soggetti legati al territorio44

,

fanno delle fabbriche recuperate le promotrici di un nuovo tipo di economia che si relaziona con il

territorio in funzione delle sue specificità e delle esigenze di chi lo abita.

Tale relazionalità si esprime attraverso lo strumento principale delle imprese recuperate:

l’assemblea. Come afferma Vigliarolo (2011): “ Il sistema di significatività culturale ed il tentativo

di trasposizione di un’identità territoriale nella vita di un’impresa, trovano la loro piena

realizzazione nel ruolo che l’assemblea ha assunto negli ultimi anni”. Essa diventa il luogo in cui i

soggetti, al di fuori di ogni schema gerarchico, decidono sulla produzione e sul tipo di attività

culturali che l’impresa può organizzare ed offrire al quartiere.

Le modalità di azione dell’assemblea favoriscono la creazione di una vera e propria “comunità di

fabbrica”. Quest’ultima è composta da operai, attivisti, studenti, giornalisti e cittadini che

“caricano” l’impresa di una forte significatività. La fabbrica diventa il simbolo della lotta e della

ribellione alle Istituzioni che non riescono più a rispondere alle esigenze dei cittadini/lavoratori.

La comunità vive e produce attraverso l’autogestione che “si fonda su una nuova maniera di vivere

l’economico”45

attraverso il territorio. Riprendendo ancora una volta la teoria di Vigliarolo,

l’economia delle fabbriche recuperate che egli definisce “socializzata con il territorio”, trova la sua

ragion d’essere grazie alla rete che le imprese costruiscono con soggetti territorializzanti e che sono

coscienti delle problematicità locali.

3.2.1 Fabbriche recuperate: la ricostruzione di un contesto favorevole al loro sviluppo.

Se è pur vero che le fabbriche recuperate sono delle potenziali creatrici di un’economia

territorializzata che può essere riconosciuta come una valida alternativa a quella de territorializzante

imposta dalla globalizzazione, queste esperienze potrebbero trovare enormi difficoltà

nell’inserimento all’interno del mercato , dove vige una forte competizione fra aziende che

producono secondo criteri capitalistici schiaccianti.

In linea con le osservazioni di Vigliarolo (2011), per “stimolare” la crescita e per tutelare le

fabbriche recuperate, potrebbero essere applicate particolari strategie, quali:

43

Tra l’altro l’eco-sostenibilità intesa come eco-conversione della produzione, è una novità nel campo delle imprese recuperate portata dai casi italiani. 44

Alla luce dei casi studio visti, potremmo vedere tali soggetti negli agricoltori del Parco Agricolo Milanese, nei ragazzi del centro sociale, negli abitanti dei quartieri vicini e in tutte quelle soggettività che sono portatrici di bisogni e specificità locali 45

Cfr. Vigliarolo (2011)

L’ideazione di un partenariato con le imprese che caratterizzano la tipologia di produzione

del settore territoriale ed economico di riferimento, in modo tale da instaurare un rapporto di

aiuto e sostegno alle fabbriche recuperate da parte delle imprese tradizionali (e magari

“insegnare” a queste ultime un approccio produttivo più territoriale);

La creazione di un fondo destinato alle imprese recuperate46

, utile per il finanziamento di

tecnologie innovative per una riconversione ecologica della produzione ;

La creazione di marchi che promuovano i prodotti delle imprese recuperate attraverso l’

inserimento di questi ultimi all’interno del commercio equo e solidale come beni di

costruzione dell’identità territoriale47

;

La creazione di accordi con istituzioni sia pubbliche e private per la gestione dei servizi

socio-culturali offerti dall’impresa48

.

Si potrebbe infine pensare alla creazione di un’associazione che oltre a rappresentare l’insieme delle

imprese recuperate italiane, fungerebbe da figura mediatrice con le Istituzioni.

Ovviamente quanto detto potrebbe apparire fortemente utopico. Eppure se si trasla questo

ragionamento in uno più generale che riguardi una ristrutturazione ed una “rivitalizzazione” delle

città e delle sue forme governative, esso potrebbe assumere un carattere di maggiore reale fattibilità.

L’economia territoriale proposta dal modello delle fabbriche recuperate e basata sui processi di

cooperazione potrebbe essere inquadrata all’interno di uno sviluppo policentrico più conforme al

riconoscimento delle specificità del territorio stesso.49

Affinché tale sistema di sviluppo si realizzi, è necessario prima di tutto “radicare i sistemi produttivi

al territorio e alle popolazioni che lo abitano” 50

mediante un processo di trasformazione della città e

delle sue forme di governo, che potrebbe basarsi su:

una riorganizzazione nella gestione del territorio attraverso strategie di sviluppo sostenibili

a livello locale e nazionale;

una riformulazione delle infrastrutture in modo tale da aumentare l’accessibilità e la

fruizione dei nuovi servizi;

46

Cfr . Vigliarolo (2011) : 150 47

Ibidem. 48

Ibidem. 49

In riferimento al concetto di sviluppo policentrico, si faccia riferimento alle teorie di B. Amoroso esposte nel libro :” Della Globalizzazione” Ed. La Meridiana, Molfetta (Ba). 50

Cfr. Amoroso (1996)

una ristrutturazione del sistema Istituzionale che porti ad un nuovo approccio che, come

auspica Amoroso, sia: realizzato “dal basso”, ovvero capace di intrecciarsi con la

complessità dei problemi e con il pluralismo dei soggetti, concentrato sul territorio

nell’ambito delle sue specificità.

All’interno di questo processo di ristrutturazione generale della città e del suo sistema governativo

ed economico, che finalmente riconosce e si sviluppa secondo le specificità del territorio, appare

chiaro come i protagonisti non siano esclusivamente le collettività sociali. Sarebbe infatti

auspicabile che esse venissero affiancate e sostenute dall’azione di soggetti privati (imprese e loro

associati, organismi di sviluppo economico, ecc..), attraverso il coinvolgimento diretto degli Enti

della Ricerca , della Formazione e dell’Istruzione e di “tutte le autorità responsabili della gestione e

dello sviluppo di tali aree”51

.

Gli elementi di incertezza riguardo lo sviluppo delle fabbriche recuperate in Italia sono notevoli.

Nonostante ciò queste esperienze potrebbero essere rilette come il tentativo di creare un tipo di

economia che si ponga come valida alternativa a quella deterritorializzante imposta dalla

globalizzazione. Questa nuova economia dovrà essere in grado non solo di offrire nuovi posti di

lavoro ma anche di ripristinare la dimensione territoriale all’interno del sistema produttivo,

conformandolo così alle specificità del territorio e ai bisogni delle comunità che lo abitano.

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51

Ibidem

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