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Fabbriche recuperate:
la territorializzazione di una nuova economia*1.
Il paper si propone di analizzare il fenomeno fabbriche recuperate in Europa a fronte della crisi economica e finanziaria
che l’ha investita. Si farà riferimento ai casi italiani di Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio (Mi) e delle Officine Zero di
Roma. La tesi che si vuole sostenere è che queste esperienze si stanno trasformando in spazi di progettualità partecipata
promotrici di una nuova economia che riconnette il territorio al sistema della produzione.
Parole chiave: fabbriche recuperate, crisi, economia, territorio.
Introduzione.
I processi nati nell’era della globalizzazione hanno radicalmente trasformato la struttura e
l’organizzazione della città. Sede ormai di una società liquida2, in cui le leggi del mercato hanno
preso il sopravvento sostituendosi, il più delle volte, alle tradizionali regole etiche, la città ha
travalicato i classici confini fisici seguendo un sistema di flussi economici e finanziari che si
allargano su scala globale e che costruiscono da sé un nuovo tipo di città: la cosmopoli.
Al suo interno il territorio con le sue specificità diventa uno spazio variabile che perde la sua
tradizionale identità e viene continuamente ridisegnato da flussi (economici e sociali) transitori. I
modelli che ne determinavano l’organizzazione sono cambiati: dalla fabbrica, attorno alla quale si è
organizzata e sviluppata la città industriale, si è arrivati alla rete che districandosi su scala globale
da forma alla nuova città “impalpabile” e globalizzata.
Il suo sviluppo è trainato da un sistema economico di per sé de- territorializzante3 , dove, non si
tratta più di distribuire a livello mondiale ciò che viene prodotto a livello nazionale4 ma dove lo
stesso sistema di produzione assume un carattere transnazionale slegandosi dalle specificità di
ciascun territorio ed operando secondo uno schema unico ed omologante.
Poiché tale approccio comporta effetti negativi sia sul piano urbano che su quello sociale come: de-
territorializzazione, ma anche decontestualizzazione , differenziazione e degrado ambientale e
territoriale5, appare sempre più chiara la necessità di trovare una strada alternativa. Sembra
* Antonella Carrano, Dottoranda in Tecnica Urbanistica, Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale (DICEA)- Università “La Sapienza” , Roma E-mail: antonella3carranomail.com 2 Cfr. Bauman (2005)
3 Cfr. Magnaghi (2006)
4 Come osserva Herscovici (1994)
5 Cfr. Magnaghi (2000)
necessario dare al territorio un nuovo significato che si svincoli da quello attribuitogli dalle
dinamiche consumistiche del mercato, secondo le quali esso appariva come uno spazio indistinto di
risorse materiale ed immateriali, e che contribuisca invece a considerarlo come un elemento
strategico “per la produzione della ricchezza e l’offerta di vantaggi competitivi sempre più
condizionanti all’interno della realtà economica post- industriale”6 .
All’interno di un discorso incentrato sulla necessità di ristabilire la dimensione territoriale nei
sistemi di produzione, questo paper si propone di analizzare la nascita di nuove realtà socio
economiche in Italia quali le fabbriche recuperate, in funzione della loro capacità di riconnettere la
produzione con i territori, con i bisogni espressi dalle comunità che li abitano tenendo conto
dell’elaborazione culturale e dei legami sociali che si esplicano su di essi7.
1. Dalla fabbrica alla rete globale: i modelli di organizzazione della città e
del suo sistema di produzione.
La globalizzazione ha dato vita ad una trasformazione del modello di organizzazione e di
produzione delle città. Nel XIX secolo la città moderna o industriale si organizza e si sviluppa
intorno ad un grande fulcro: la fabbrica8 e rappresenta l’espressione di una nascente economia
basata sull’uso del capitale. L’industria rappresenta la fonte di produzione di beni tangibili in cui il
capitale viene continuamente investito ed adoperato, insieme ad una manodopera continuamente
crescente e che si compone di soggetti provenienti dalla campagna.
Questa città “ha seguito le sorti della fabbrica : prima si è delocalizzata, poi si è trasformata ed
infine è letteralmente scomparsa trasformandosi in un arcipelago mondiale di attività”9 . La città
moderna si rovescia nel suo esatto contrario: la città post industriale o città contemporanea10
, che
non rappresenta più una città di luoghi e confini, ma uno spazio urbano di flussi che sommergono la
struttura fisica della città stessa. Questo passaggio segna il primo passo verso la cosmopoli11
ovvero
un’unica, grande ed omologante metropoli mondiale , distruttrice di diversità e sede di un nuovo
sistema di produzione de-territorializzato e de-territorializzante. Questo sistema, basandosi su nuove
e progredite tecnologie opera a livello planetario generando un mercato ed un’economia che
prescindono dai confini materiali degli Stati, nonché dalle caratteristiche specifiche di ciascun
6 Cfr. Clementi (2010), dal sito http://www.treccani.it/enciclopedia/territorio-una-risorsa-per-lo-sviluppo_(XXI-
Secolo)/ 7 Cfr. Amoroso (1996)
8 Come osserva Scandurra (2007)
9 Cfr. Scandurra (2007): 91
10 Cfr. Scandurra (2007)
11 Cfr. Tomlison (2001)
territorio. Tutto ciò prende forma all’interno di un nuovo modello organizzativo sia per la città che
per il suo sistema di produzione: la rete.
L’economia connessa alla rete comporta forti implicazioni sociali: si sviluppa quella che viene
chiamata “verticalità sociale” e che trasforma la vecchia organizzazione sociale “a piramide” della
città industriale, in una a “due velocità”12
: da una parte i soggetti e i territori “agganciati” alla rete
che “sono capaci di sfruttare le possibilità che questa offre loro, sviluppandone altre in un secondo
momento”13
, dall’altra quelli che ne sono sganciati e “sono condannati a vivere sul posto, ed i soli
per i quali le sorti della città e della vita quotidiana abbiano realmente un senso” .14
Si vanno inoltre affermando nuove forme di dominanza: difronte alla perdita d’identità dello Stato-
Nazione si accompagna la nascita di nuovi soggetti che diventano simboli di potere nel mondo
globalizzato: “ristrette oligarchie transnazionali si arricchiscono sempre di più, determinando
povertà e sottosviluppo della stragrande maggioranza dei popoli del mondo, soprattutto se si pensa
all’incapacità pressoché totale di molti pvs15
di appropriarsi di quei vantaggi che la tecnologia
produce continuamente” 16
e di restare dunque fuori dalla rete globale.
Tutto ciò decreta il fallimento dell’imposizione del modello Occidentale della globalizzazione. La
globalizzazione concepisce il territorio al pari del suo mercato: unico. L’azione del mercato sul
territorio si traduce in un processo di deterritorializzazione.
Secondo Magnaghi (2000), nella città post-industriale sono state identificate diverse tipologie di
deterritorializzazione, anche molto diverse fra loro, ma molto simili per quanto riguarda le
conseguenze che esse producono:
Rottura dei cicli naturali
Perdita d’identità delle complessità locali
Senso di smarrimento dei luoghi17
Ciò che contraddistingue la deterritorializzazione odierna da quelle avvenute in passato è l’assenza
di transizione . Come sostiene ancora Magnaghi (2000): “Le diverse forme di deterritorializzazione
prodotte non si producono in nuove forme di territorializzazione (intesa come produzione di
territorio), rendono invece strutturale il fenomeno della distruzione territoriale” .
12
Cfr. Castells (2013) 13
Cfr. Ibidem 14
Cfr. Scandurra (2007): 104 15
Paesi in via di sviluppo 16
Cfr. Mele, Tesi di laurea : “Lo sviluppo locale autosostenibile nelle città della Regione Caraibica: l’esempio di Cuba”. 17
Cfr. Magnaghi (2000)
Il territorio diventa uno spazio di funzioni indifferenziato e con esso scompare l’intero sistema di
relazioni tra ambiente fisico, antropico e costruito18
. Al fine di aumentare l’efficienza la
globalizzazione spezza le connessioni fra sistemi produttivi, territorio, istituzioni e popolazioni, la
cui iterazione è fondamentale per radicare i sistemi di produzione sia ai territori che alle comunità
che li abitano19
.
2. La necessità del “ritorno” del territorio nel sistema di produzione post-
industriale.
La deterritorializzazione odierna prodotta dal modello organizzativo e produttivo globale, può
essere imputata ad una fiducia eccessivamente riposta nelle nuove tecnologie e all’adozione di un
sistema economico già di per se de-territorializzato20
.
In accordo con il pensiero di alcuni autori quali Amoroso (1996), Latouche (2008), Vigliarolo
(2011), Illich (2005), per ovviare a questo tipo di deterritorializzazione è necessario rivoluzionare il
sistema economico ripristinando in esso quella dimensione territoriale che per lungo tempo la
globalizzazione ha soffocato. Alla luce di quanto sta emergendo dal dibattito internazionale che
negli ultimi anni si è riacceso, soprattutto in Italia ed in Europa, a seguito dell’importanza sempre
crescente che il territorio sta assumendo nelle politiche dello sviluppo21
, appare chiaro come si stia
già intraprendendo questa nuova strada. A fronte di un capitale che si muove sempre di più a livello
globale, ultimamente, si può assistere ad un ritorno alla località ed alle specificità locali22
.
Alla base di tutto questo vi è sicuramente un cambiamento nella concezione stessa di territorio: esso
non viene più inteso come uno spazio indifferenziato e regolato esclusivamente dalle dinamiche
consumistiche del mercato, ma diventa una risorsa potenzialmente strategica per lo sviluppo in
grado di integrare in modo flessibile le specificità locali e “di offrire ambienti altamente competitivi
per le imprese ed al tempo stesso di elevata coesione con le comunità insediate”23
.
L’intento è quello di ripristinare il rapporto fra produzione e territorio che è stato per lungo tempo
trascurato dal “carattere rovinoso e socialmente irresponsabile”24
della globalizzazione.
18
Ibidem 19
Cfr. Amoroso (1996) 20
Cfr. Magnaghi (2000) 21
Cfr. Clementi (2010) 22
Cfr. Governa (2011) 23
Cfr. Clementi (2010) 24
Cfr. Ferrarotti (2009)
Attraverso l’interpretazione degli odierni fatti economici, Governa (2011) parla della: “necessità di
studiare non solo l’impresa, ma anche il riferimento spaziale, l’organizzazione socio-territoriale in
cui essa è inserita, riconoscendo la disomogeneità dello spazio economico, il ruolo delle differenze
locali, delle inerzie e dei retaggi socio-culturali. Il problema dello sviluppo economico diviene così
quello della relazione con le caratteristiche territoriali locali: l’analisi economica introduce al suo
interno la dimensione storica, geografica e sociologica”.
Affinché il territorio rientri in gioco, ripopolando con le proprie specificità lo spazio astratto della
produzione e del consumo, sarà necessario recuperare la coscienza del luogo definita come crescita
dei processi di auto riconoscimento, re identificazione e cura dei territori stessi. Per far questo, in
linea con il pensiero della scuola territorialista, sarà necessario “fare società locale”25
attraverso le
capacità auto organizzative degli abitanti che vivono e producono sul territorio. Questi ultimi sono i
soli attori capaci effettivamente di realizzare territorio attraverso programmi che “sviluppano
cooperazione, abitare e produzione”26
e che si convertono in pratiche capaci di ristrutturare lo spazio
fisico indistinto del mercato: “Appropriandosi concretamente o astrattamente (per esempio
attraverso la rappresentazione) dello spazio, l’attore territorializza lo spazio”27
.
In quest’ottica, l’economia territoriale può essere concepita come un insieme di “progetti locali
condivisi, in cui l’abitante-produttore diventa protagonista del progetto di sviluppo, della ricerca
della sua qualità, della sua identità specifica e dei suoi “statuti”, intervenendo sul cosa, sul dove, sul
quanto e sul come produrre per la trasformazione del patrimonio territoriale in forme durevoli”28
.
Ciò può essere realizzato attraverso strategie di automizzazione e risocializzazione del lavoro.
3. Le fabbriche recuperate come promotrici di un’economia territoriale.
L’obiettivo di questo paper non è semplicemente quello di descrivere l’esperienza delle fabbriche
recuperate, quanto di analizzare il modello di organizzazione da esse proposto come generatore di
un’ economia che ritrova la sua dimensione territoriale attraverso la cooperazione e l’auto
organizzazione di soggetti partecipanti ed altamente territorializzanti.
Per prima cosa è importante chiarire cosa si intenda per fabbrica recuperata.
Non è facile darne una precisa definizione. Si può dire che una fabbrica recuperata nasce da una
specifica azione dei lavoratori che dopo il fallimento dell’impresa la occupano, ed a seguito di una
25
Cfr. Magnaghi (2000) 26
Ibidem 27
Cfr. Raffestin, 1981, p 150 citato in Governa (2011) 28
Cfr. Magnaghi (2000)
fase in cui cercano di resistere all’azione repressiva da parte della giustizia e degli ex proprietari,
cercano di recuperarne la produzione in forma auto gestita, ovvero sin patrones29
.
Le fabbriche recuperate nascono in Argentina durante la crisi del 2001 allo scopo di creare una
nuova forma economia che si ponesse come valida alternativa a quella proposta dalla politica
neoliberista responsabile della crisi che aveva messo in ginocchio l’intero Paese. Le imprese entrate
in fallimento, iniziarono ad essere prima occupate e poi recuperate dagli ex-lavoratori .
La grande crisi che aveva colpito l’Argentina, creò un clima politicamente favorevole in cui si
generarono e si rafforzarono nuovi movimenti che affiancarono e supportarono le esperienze delle
empresas recuperadas : dai piquetes30
a strategie di economia informale come i mercati del baratto,
fino alla riappropriazione di una cultura politica “dal basso” delle asembleas barriales31
(Cfr. Rizza,
Sermasi ,2008) .
Oggi, a distanza di 13 anni dalla grande crisi, secondo il rapporto della “Terza guida ai prodotti e
servizi delle imprese recuperate”, in tutta l’Argentina si contano circa 700 empresas recuperadas
por sus trabajadores32
(ERT) che oltre a garantire la creazione di nuovi posti di lavoro, hanno
spesso sovvenzionato servizi sociali e culturali pensati in funzione delle esigenze dei contesti
territoriali vicini.
E’ molto importante il rapporto che va a crearsi tra fabbriche recuperate e quartieri in cui esse si
inseriscono. Sia in segno di legittimazione che come ringraziamento per il sostegno ricevuto nelle
fasi di occupazione e resistenza33
, alcune fabbriche recuperate dopo un primo momento focalizzato
sulla dimensione aziendale e sul rimettere in moto il ciclo produttivo , spostano il baricentro della
propria azione verso l’interesse della comunità locale34
.
Spesso, accanto al recupero del processo produttivo, vengono pensati nuovi servizi come
educazione, formazione, ricreazione ed assistenza alle fasce più svantaggiate della popolazione35
.
Ne è un esempio, la Cooperativa UST36
di Buenos Aires che tra le principali iniziative promuove:
29
Trad. Senza padroni. 30
Trad. blocchi stradali 31
Trad. Assemblee di quartiere 32
Trad. Imprese recuperate dai lavoratori 33
Sono fasi che generalmente precedono quella del recupero dell’attività produttiva. 34
Cfr. Vigliarolo (2011) 35
Cfr. Vigliarolo (2011) 36
Union Solidaria de Trabajadores (trad. Unione Solidale dei Lavoratori).
una scuola di formazione secondaria37
, la gestione del centro polisportivo, servizi socio- ricreativi in
collaborazione con il Municipio locale e la gestione di case per i cittadini più poveri38
.
Molte volte le imprese recuperate stringono forti collaborazioni con le Università: negli spazi dell’
impresa recuperata Chilavert, la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires,
attraverso il programma “Facultad Abierta”, ha creato il primo centro di ricerca e raccolta dati delle
imprese recuperate presenti in Argentina ed in tutta l’ America Latina .
Facendo leva sull’impegno sociale, l’impresa diviene uno strumento di crescita locale e di
costruzione di una politica modellata sulle peculiarità territoriali.
3.1 Fabbriche recuperate: i casi in Italia.
Con l’arrivo della crisi queste esperienze iniziano a moltiplicarsi anche in Europa, in particolare nei
Paesi più colpiti dalla depressione: Spagna, Grecia ed Italia.
Attraverso una ricerca focalizzata sul territorio italiano, si è potuto
constatare come il fenomeno delle fabbriche recuperate in realtà non
fosse affatto nuovo in Italia. La nascita delle imprese recuperate italiane
può essere fatta risalire intorno agli anni ‘60, anche se in questi casi le
modalità di recupero risultano molto diverse da quelle delle esperienze
argentine.
In questi casi il recupero da parte dei lavoratori delle imprese fallite
avveniva prevalentemente attraverso due meccanismi:
1. Acquisizione immediata dell’impresa da parte dei lavoratori attraverso il pagamento di una
quota pro capite (spesso questa consisteva nell’anticipo della propria Cassa Integrazione);
2. Acquisizione successiva dell’impresa da parte dei lavoratori con gli introiti provenienti dalla
produzione avvenuta durante un primo periodo di affitto della fabbrica da parte degli stessi
operai, in accordo con il curatore fallimentare.
Negli ultimi anni anche le fabbriche italiane hanno poi assunto le stesse caratteristiche
“rivoluzionarie” delle empresas recuperadas argentine.
37
In spagnolo: bachilleratos 38
Per ulteriori approfondimenti si legga il libro di F. Vigliarolo: “ Le imprese recuperate. Argentina: dal crac finanziario alla socializzazione dell’economia”.
Figura 1- Tentativo di mappatura delle Fabbriche Recuperate italiane.
L’avvento della forte crisi economica e finanziaria ha comportato una serie di spiacevoli
conseguenze come: licenziamenti di massa, mancato pagamento della Cassa Integrazione che hanno
inasprito i rapporti tra operai ed ex-proprietari, rendendo difficile qualsiasi tipo di trattativa fra le
parti. Una mancanza di comunicazione ha portato all’occupazione da parte degli ex-lavoratori degli
spazi dell’impresa.
Questa è la situazione riscontrata all’interno dei due casi studio analizzati nella mia ricerca di
dottorato: la fabbrica Ri-Maflow a Trezzano sul Naviglio (Mi) e le Officine Zero nel cuore di
Roma.
Di seguito un breve resoconto di queste esperienze.
3.1.1 Ri-Maflow: ri-partire da zero.
L’impresa recuperata Ri-Maflow nasce a Trezzano sul Naviglio, a circa 25 km dalla città di Milano,
dalle ceneri della Maflow, una multinazionale produttrice di impianti per autovetture con 23
stabilimenti in tutto il mondo (Europa, Americhe, Asia) e 320 dipendenti impiegati solo a Trezzano.
L’11 maggio del 2009 il Tribunale di Milano dichiara Maflow in stato di insolvenza e la pone sotto
commissariamento con l’apertura il 30 Luglio 2009 della procedura di Amministrazione
Straordinaria. Dopo un anno e mezzo, in cui Malow perde circa l’80% delle commissioni,
l’imprenditore polacco Boryszew compra l’azienda con solo 80 dipendenti , licenziando tutti gli
altri, che rimangono in Cassa Integrazione Speciale ed iniziano la lotta per restituire all’azienda le
vecchie commissioni perse, nella speranza che, riportando in tal modo il bilancio dell’impresa di
nuovo in positivo, questa possa riassumerli. All'inizio dell'Estate del 2012, dopo mesi di lotte per il
rilancio di MAFLOW Boryszew e di ricerche senza successo di un nuovo lavoro, si insinua fra i
cassintegrati MAFLOW S.p.A. l'idea di costituire una Cooperativa, una Società di Mutuo Soccorso,
in cui il lavoro invece che cercato all'esterno, dove non c'è, venga creato dall'interno, e permetta a
tutti di sostenersi.
Viene individuato il settore in cui la Cooperativa debba lavorare: quello del riciclo dei rifiuti,
soprattutto tecnologici e viene individuata una possibile collocazione presso il sito di Trezzano (di
proprietà di Unicredit) dove è ormai chiaro che la "nuova" MAFLOW Boryszew sta morendo e
dove non si prevede l'arrivo di altre aziende.
Intanto, a Dicembre 2012, Boryszew chiude anche l'ultimo residuo di MAFLOW a Trezzano39
.
39
La storia della Ri-Maflow è tratta dal sito dell’impresa: www.rimaflow.it/lanostrastoria
Il 1° marzo del 2013, i lavoratori si istituiscono ufficialmente nella Cooperativa Ri-Maflow ed
occupano gli spazi ormai abbandonati e completamente vuoti40
della vecchia Maflow. Nel giro di
un anno questi diventano il teatro di innumerevoli iniziative, organizzate in collaborazione con
l’Associazione “Occupy Maflow”: spettacoli di cabaret, teatro, concerti oltre che un mercatino
dell’usato organizzato ogni fine settimana e la rivendita di prodotti alimentari a km 0 in
collaborazione con gli agricoltori del Parco Agricolo Sud di Milano. A queste attività si affianca
quella principale della Ri-Maflow: il programma di riciclo/riuso di materiali, soprattutto
tecnologici, che arrivano all’impresa direttamente dagli abitanti dei paesi vicini.
Nonostante l’iniziale totale mancanza di macchine e la sua posizione non proprio centrale rispetto
alla città, Ri-Maflow sta tentando , e in parte sta riuscendo, a creare una rete di soggetti locali.
Questa non fa altro che rafforzare l’identità territoriale della fabbrica, mettendola al centro di un
processo di sviluppo di nuove pratiche dell’abitare e del produrre.
3.1.2 Officine Zero di Roma: uno strike contro la disoccupazione.
A Roma, nel quartiere di Portonaccio a pochissimi metri dalla Stazione Tiburtina, il 1° giugno del
2013 nasce il progetto Officine Zero (OZ). Esso prende vita negli spazi delle ex Officine RSI grazie
alla partecipazione dei ragazzi del vicino Centro Sociale Strike e di un piccolo gruppo di ex-
lavoratori.
Le Officine RSI (Rail Service International Spa) con sede a Roma ed a Lecco, si occupavano della
manutenzione dei vagoni notte. L’impresa, inizialmente proprietà della Wagon Lits iniziò il suo
periodo di perdita quando Trenitalia decise di investire sull’Alta Velocità. Tali investimenti
portarono ad una diminuzione dei servizi più economici e meno lucrativi come i treni regionali ed i
treni notte. Parallelamente si radicalizzò in Italia la tendenza alla terziarizzazione dei servizi per
ridurre i costi. L’attività ferroviaria non fu da meno: Trenitalia cedette la gestione dei servizi ad
aziende esterne. Ciò portò a licenziamenti e precarietà delle condizioni lavorative.
Nel 2006 la crisi indusse la vendita delle strutture e dell’unica commessa alla Tonard Finance,
finanziaria del gruppo Barletta, che fino ad allora si era occupata solo di costruzioni edili.
Da quel momento gli stipendi iniziarono ad essere pagati con ritardo, non venivano comprati nuovi
materiali per portare a termine i lavori già commissionati. Si arrivò, infine, ai licenziamenti ed allo
40
L’ex proprietario è riuscito a portare via tutti i macchinari dalla fabbrica. Oggi i capannoni dell’impresa sono completamente vuoti.
stop della produzione. Nel 2010 l’impresa decise di chiudere la fabbrica e di mettere i lavoratori in
Cassa Integrazione guadagni (CIG)41
.
Dopo 2 anni di ammortizzatori sociali, il 20 febbraio 2012, 33 operai occupano la fabbrica.
Un anno più tardi, grazie all’aiuto del Centro Sociale Strike, viene presentato alla cittadinanza il
progetto Officine Zero. Esso prevede il recupero di una nuova produzione auto gestita attraverso un
programma dettagliato di riuso e riciclo di materiali provenienti da svariati settori (tessile, elettrico,
falegnameria, ecc..). A differenza della Ri-Maflow, le Oz hanno un vantaggio: conservano ancora
tutti i macchinari della vecchia attività produttiva. Oggi, grazie all’uso di alcuni di essi (in
particolari quelli del reparto vetreria e falegnameria) stanno collaborando con alcuni rappresentanti
dell’artigianato locale.
Nel caso delle OZ, appare senz’altro evidente la particolarità dei soggetti che danno vita al
fenomeno: più che dei lavoratori, si tratta del centro Sociale “Strike”. La sua presenza e soprattutto
la sua azione, sembra essere stata quanto mai vitale per la realizzazione stessa del progetto delle
Officine. Appare interessante poter studiare il gioco di alleanze che potrebbe crearsi con questo
tipo di soggettività, alquanto nuovo nei casi delle fabbriche recuperate42
.
Da una prima analisi si è potuto notare come gli schemi di azione di queste due esperienze siano
molto diversi. Si potrebbe parlare di:
1. un’azione verso l’interno o attrattiva. In questo caso l’impresa costruisce una rete di soggetti
che, in un secondo momento, tende a proiettare e a contenere all’interno dei suoi spazi.
2. Un’azione verso l’esterno o espulsiva, attraverso la quale viene costruita una rete di soggetti
esterni che pur entrando in contatto con la fabbrica, mantengono la posizione nello spazio
circostante.
Volendo ragionare in termini di “costruzione territorio” si può dire che mentre in quest’ultimo caso
la fabbrica recuperata può essere letta come elemento che costruisce territorio attorno a sé attraverso
la cooperazione di differenti soggetti sul territorio stesso, nel primo caso è, invece, la fabbrica stessa
che “si fa” e che diventa territorio.
41 Durante il secondo anno, i lavoratori sono stati per ben 8 mesi senza la cassa integrazione poiché l’impresa Barletta
non presentava il documento SR41 indispensabile all’INPS per assegnare la Cassa Integrazione.
42 In Argentina non esistono equivalenti dei nostri Centri Sociali.
3.2 L’Economia territorializzata delle fabbriche recuperate.
L’adozione di questi progetti “eco-sostenibili”43
e la partecipazione di soggetti legati al territorio44
,
fanno delle fabbriche recuperate le promotrici di un nuovo tipo di economia che si relaziona con il
territorio in funzione delle sue specificità e delle esigenze di chi lo abita.
Tale relazionalità si esprime attraverso lo strumento principale delle imprese recuperate:
l’assemblea. Come afferma Vigliarolo (2011): “ Il sistema di significatività culturale ed il tentativo
di trasposizione di un’identità territoriale nella vita di un’impresa, trovano la loro piena
realizzazione nel ruolo che l’assemblea ha assunto negli ultimi anni”. Essa diventa il luogo in cui i
soggetti, al di fuori di ogni schema gerarchico, decidono sulla produzione e sul tipo di attività
culturali che l’impresa può organizzare ed offrire al quartiere.
Le modalità di azione dell’assemblea favoriscono la creazione di una vera e propria “comunità di
fabbrica”. Quest’ultima è composta da operai, attivisti, studenti, giornalisti e cittadini che
“caricano” l’impresa di una forte significatività. La fabbrica diventa il simbolo della lotta e della
ribellione alle Istituzioni che non riescono più a rispondere alle esigenze dei cittadini/lavoratori.
La comunità vive e produce attraverso l’autogestione che “si fonda su una nuova maniera di vivere
l’economico”45
attraverso il territorio. Riprendendo ancora una volta la teoria di Vigliarolo,
l’economia delle fabbriche recuperate che egli definisce “socializzata con il territorio”, trova la sua
ragion d’essere grazie alla rete che le imprese costruiscono con soggetti territorializzanti e che sono
coscienti delle problematicità locali.
3.2.1 Fabbriche recuperate: la ricostruzione di un contesto favorevole al loro sviluppo.
Se è pur vero che le fabbriche recuperate sono delle potenziali creatrici di un’economia
territorializzata che può essere riconosciuta come una valida alternativa a quella de territorializzante
imposta dalla globalizzazione, queste esperienze potrebbero trovare enormi difficoltà
nell’inserimento all’interno del mercato , dove vige una forte competizione fra aziende che
producono secondo criteri capitalistici schiaccianti.
In linea con le osservazioni di Vigliarolo (2011), per “stimolare” la crescita e per tutelare le
fabbriche recuperate, potrebbero essere applicate particolari strategie, quali:
43
Tra l’altro l’eco-sostenibilità intesa come eco-conversione della produzione, è una novità nel campo delle imprese recuperate portata dai casi italiani. 44
Alla luce dei casi studio visti, potremmo vedere tali soggetti negli agricoltori del Parco Agricolo Milanese, nei ragazzi del centro sociale, negli abitanti dei quartieri vicini e in tutte quelle soggettività che sono portatrici di bisogni e specificità locali 45
Cfr. Vigliarolo (2011)
L’ideazione di un partenariato con le imprese che caratterizzano la tipologia di produzione
del settore territoriale ed economico di riferimento, in modo tale da instaurare un rapporto di
aiuto e sostegno alle fabbriche recuperate da parte delle imprese tradizionali (e magari
“insegnare” a queste ultime un approccio produttivo più territoriale);
La creazione di un fondo destinato alle imprese recuperate46
, utile per il finanziamento di
tecnologie innovative per una riconversione ecologica della produzione ;
La creazione di marchi che promuovano i prodotti delle imprese recuperate attraverso l’
inserimento di questi ultimi all’interno del commercio equo e solidale come beni di
costruzione dell’identità territoriale47
;
La creazione di accordi con istituzioni sia pubbliche e private per la gestione dei servizi
socio-culturali offerti dall’impresa48
.
Si potrebbe infine pensare alla creazione di un’associazione che oltre a rappresentare l’insieme delle
imprese recuperate italiane, fungerebbe da figura mediatrice con le Istituzioni.
Ovviamente quanto detto potrebbe apparire fortemente utopico. Eppure se si trasla questo
ragionamento in uno più generale che riguardi una ristrutturazione ed una “rivitalizzazione” delle
città e delle sue forme governative, esso potrebbe assumere un carattere di maggiore reale fattibilità.
L’economia territoriale proposta dal modello delle fabbriche recuperate e basata sui processi di
cooperazione potrebbe essere inquadrata all’interno di uno sviluppo policentrico più conforme al
riconoscimento delle specificità del territorio stesso.49
Affinché tale sistema di sviluppo si realizzi, è necessario prima di tutto “radicare i sistemi produttivi
al territorio e alle popolazioni che lo abitano” 50
mediante un processo di trasformazione della città e
delle sue forme di governo, che potrebbe basarsi su:
una riorganizzazione nella gestione del territorio attraverso strategie di sviluppo sostenibili
a livello locale e nazionale;
una riformulazione delle infrastrutture in modo tale da aumentare l’accessibilità e la
fruizione dei nuovi servizi;
46
Cfr . Vigliarolo (2011) : 150 47
Ibidem. 48
Ibidem. 49
In riferimento al concetto di sviluppo policentrico, si faccia riferimento alle teorie di B. Amoroso esposte nel libro :” Della Globalizzazione” Ed. La Meridiana, Molfetta (Ba). 50
Cfr. Amoroso (1996)
una ristrutturazione del sistema Istituzionale che porti ad un nuovo approccio che, come
auspica Amoroso, sia: realizzato “dal basso”, ovvero capace di intrecciarsi con la
complessità dei problemi e con il pluralismo dei soggetti, concentrato sul territorio
nell’ambito delle sue specificità.
All’interno di questo processo di ristrutturazione generale della città e del suo sistema governativo
ed economico, che finalmente riconosce e si sviluppa secondo le specificità del territorio, appare
chiaro come i protagonisti non siano esclusivamente le collettività sociali. Sarebbe infatti
auspicabile che esse venissero affiancate e sostenute dall’azione di soggetti privati (imprese e loro
associati, organismi di sviluppo economico, ecc..), attraverso il coinvolgimento diretto degli Enti
della Ricerca , della Formazione e dell’Istruzione e di “tutte le autorità responsabili della gestione e
dello sviluppo di tali aree”51
.
Gli elementi di incertezza riguardo lo sviluppo delle fabbriche recuperate in Italia sono notevoli.
Nonostante ciò queste esperienze potrebbero essere rilette come il tentativo di creare un tipo di
economia che si ponga come valida alternativa a quella deterritorializzante imposta dalla
globalizzazione. Questa nuova economia dovrà essere in grado non solo di offrire nuovi posti di
lavoro ma anche di ripristinare la dimensione territoriale all’interno del sistema produttivo,
conformandolo così alle specificità del territorio e ai bisogni delle comunità che lo abitano.
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