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1
Trasparenza nella Pubblica Amministrazione e accesso civico:
analisi degli elementi di innovazione e di criticità della disciplina del FOIA italiano, di cui al
D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97
A cura di SALVATORE MILAZZO
SOMMARIO: 1. La trasparenza e il diritto di accesso agli atti della PA: introduzione, con
riferimento alla legge 241/1990. 2.Il cammino della trasparenza nella regolamentazione
dell’attività amministrativa. 2.1 Una prima evoluzione generale del rapporto tra accesso e
trasparenza: brevi riferimenti al Decreto Legislativo 150/2009. 2.2. La trasparenza e le
politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione: il Decreto Legislativo n.
33/2013. 3. Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): la trasparenza
come libertà di accesso a documenti e dati. 4. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs.
25 maggio 2016, n. 97): ambito soggettivo di applicazione e la ipotesi peculiare di
responsabilità dirigenziale. 5. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016,
n. 97): il diritto di accesso civico e gli oneri finanziari a carico delle amministrazioni e dei
privati, anche con riferimento ai contro interessati. 6. Considerazioni finali.
1. La trasparenza e il diritto di accesso agli atti della PA: introduzione, con riferimento alla
legge 241/1990
Ancora adesso, la ben nota metafora di Filippo Turati, che indicò la necessità di una Pubblica
Amministrazione come “casa di vetro”1, può essere considerata l’archetipo ideale per provare a dare
una definizione di trasparenza amministrativa. Essa, quindi, pur essendo, come si è fatto notare in
dottrina, una astrazione i cui contorni sono difficilmente individuabili2, è un elemento determinante
affinché all’interno di quella “casa”, che è la PA, tutto sia “sempre e costantemente visibile”3. In tal
senso, quindi, la trasparenza amministrativa può esser considerata come corollario del principio di
1 FILIPPO TURATI, in Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, p. 22962.
Sul concetto di casa di vetro P. DOMENICONI, F.S CARPIELLO, La legge n. 15/2009: fra trasparenza ed eccesso di
informazione, in Aziendaitalia - Il Personale, n. 5, 2009, pp. 227-233; 2 G. TERRACCIANO, La trasparenza amministrativa da valore funzionale alla democrazia partecipativa a mero (utile?)
strumento di contrasto della corruzione, in Amministrativ@mente, fascicolo n. 11-12-/2014 3 Queste le parole di M. CLARICH, Trasparenza e diritti della personalità nell’attività amministrativa, in
www.giustiziaamministrativa.it, sezione “studi e contributi”;
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buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, nonché come garanzia per i diritti
degli amministrati, individualmente o collettivamente considerati.
La visibilità dell’agire amministrativo, garantita dalla trasparenza, inoltre, non è finalizzata ad
assicurare una mera osservazione dell’attività delle amministrazioni pubbliche e ai dati della PA,
ma diviene vero e proprio strumento di democrazia partecipativa, in virtù del quale il cittadino
acquisisce consapevolezza e partecipa alla elaborazione delle politiche pubbliche.
Così si spiega il perche di come, nella versione originaria dell’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n.
241, il diritto di accesso agli atti amministrativi fosse configurato come mezzo finalizzato ad
assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa4.
Trasparenza che poteva esser considerata, quindi, insieme ai criteri di economicità, efficacia,
imparzialità, parametro regolatore dell’attività amministrativa.
Va sottolineato che, tuttavia, con la modifica normativa avutasi con la legge 11 febbraio 2005, n.
15, il riferimento espresso alla trasparenza, contenuto nell’originario articolo 22, comma 1 della
legge 241/1990 è stato eliminato e il diritto di accesso ivi delineato è stato configurato come una
forma di garanzia riconosciuta, restrittivamente, a taluni soggetti e non più “a chiunque vi abbia
interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”.5
Si è in presenza, in tal modo, di un riferimento poco ricollegabile con l’idea di trasparenza appena
delineata.
L’accesso ex lege 241/1990 trova, invero, la sua precipua finalità nel garantire a soggetti titolari di
una posizione giuridica qualificata l’esercizio di tutte le facoltà partecipative ed oppositive
all’interno del procedimento amministrativo.
Come ha ben rilevato parte della dottrina, il diritto di accesso così regolamentato si riduce in una
finalizzazione alla realizzazione di un interesse del privato, non consistente già nel ricercare piena
trasparenza sull’operato della propria amministrazione, ma nell’ottenere un bene capace di
soddisfare i propri bisogni. L’accesso alle informazioni statuito dalla 241/1990 e successive
modificazioni è visto, da questo orientamento ermeneutico, come meramente strumentale al
soddisfacimento di detti interessi privati.6
4 Questa la versione originaria del primo comma dell’art. 22 della legge 241/1990: “al fine di assicurare la trasparenza
dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale” 5 Adesso invece il diritto di accesso ex art. 22 legge 241/1990 riguarda “i soggetti privati, compresi quelli portatori di
interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. 6 Cfr. S. COGNETTI, <<Quantità>> e <<qualità>> della partecipazione, Milano, 2000
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3
Queste considerazioni, va detto, non possono però portare alla conclusione secondo la quale
all’interno dell’ordinamento non v’è stata traccia normativa vera alcuna, per lungo tempo e fino ad
oggi, che fosse rappresentativa di un rapporto tra accesso agli atti della PA e trasparenza
amministrativa.
Infatti, in ambiti particolari, tale stretta connessione tra questi due importanti istituti era già
garantita.
Il riferimento è da operarsi al Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della
Direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale.
In tale ambito, si è statuita la natura di diritto civico, a legittimazione universale, propria del diritto
d’accesso alle informazioni ambientali.
Esso riguarda chiunque ne faccia richiesta e non comporta la necessità di dichiarare o qualificare un
proprio specifico interesse. Da un punto di vista oggettivo, peraltro, in tale ambito si è assistito al
superamento del parametro che imponeva che l’informazione fosse contenuta in un documento, già
formato e nella disponibilità dell’Amministrazione, come invece necessario per l’esercizio delle
garanzie previste dall’art. 22 della legge 241/1990.
Più che il diritto d’accesso ex lege 241/1990, sarà questo unicum nella legislazione italiana a
costituire un valido modello di ispirazione per il nuovo accesso civico, delineato compiutamente
dalla normativa più recente.
2.Il cammino della trasparenza nella regolamentazione dell’attività amministrativa.
2.1 Una prima evoluzione generale del rapporto tra accesso e trasparenza: brevi riferimenti al
Decreto Legislativo 150/2009
E’ con il Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, attuativo della delega contenuta nella legge 4
marzo 2009, n. 15 che la trasparenza inizia ad assumere nuovo valore e viene indicata come
parametro per valutare e misurare le performances ed i risultati delle pubbliche amministrazioni.
La finalità precipua è quindi individuata nel garantire l’efficienza dell’azione amministrativa, da
aversi attraverso un sistema di accessibilità totale delle informazioni della PA, da pubblicarsi sui siti
istituzionali relativi.
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Si tratta, in sostanza, di una prima forma di controllo generalizzato sull’operato della Pubblica
Amministrazione, espressamente escluso in precedenza dalla legge 241/19907, con il quale,
peraltro, ci si propone di prevenire la corruzione, attraverso la pubblicità dei procedimenti e degli
assetti organizzativi.
Il legislatore, con il D.lgs 150/2009, vuole far emergere le informazioni relative all’organizzazione,
alla gestione e all’utilizzo delle risorse strumentali, umane e finanziarie. Per far ciò, invero, non si
fa ricorso al diritto d’accesso tout court, ma si prevedono obblighi stringenti di pubblicazione delle
predette informazioni sui siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni.
Ciò che rileva è che, in ogni caso, il “Decreto Brunetta” costituisce una prima forma generale di
esercizio di un controllo diffuso dell’operato dell’amministrazione pubblica.
2.2. La trasparenza e le politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione: il
Decreto Legislativo n. 33/2013
L’evoluzione dell’atteggiarsi della trasparenza nell’agire amministrativo trova poi una diversa
collocazione nel Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Imperniato sulla base dei principi direttivi contenuti nella legge delega n. 190 del 6 novembre 2012,
il D.lgs. 33/2013 ha come obiettivo principale quello di prevenire e reprimere i fenomeni di
illegalità e di corruttela nella PA, realizzando forme e metodologie diffuse di controllo dell’operato
amministrativo, con riferimento al perseguimento delle funzioni istituzionali e dell’utilizzo delle
risorse pubbliche.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. 33/2013 “tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto
di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici” e, ex art. 7, comma 1,
del medesimo decreto, “chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente e di utilizzarli e
riutilizzarli”.
Gli obblighi di trasparenza previsti dal D.lgs. 33/2013, riguardanti l’attività amministrativa dei
soggetti che compongono la Pubblica Amministrazione, sono assolti attraverso la pubblicazione dei
dati e delle informazioni relative nel sito istituzionale di ogni singola amministrazione, all’interno
dell’apposita nuova sezione denominata “Amministrazione trasparente”.
Si tratta, dunque, di un passo netto verso l’open government, come ha fatto rilevare parte della
dottrina più autorevole.8
7 Ex art. 23, comma 3, della L. 241/1990: “Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo
generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” 8 Cfr. A. PAJNO, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, in Giust. Civ., n. 2, 2015, 228 ss.
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5
Al fine di vigilare sugli adempimenti sopra indicati, il legislatore del 2013 ha istituito l’apposita
figura del Responsabile della trasparenza, il cui compito è quello di aggiornare il Programma
triennale per la trasparenza e l’integrità e di segnalare all’organo di indirizzo politico,
all’Organismo indipendente di valutazione(OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi
più gravi, all’ufficio di disciplina, le fattispecie di mancato o ritardato adempimento degli obblighi
di pubblicazione.
Nel D.lgs 33/2013 non v’è solo una forma di pubblicità obbligatoria. Ai sensi dell’art. 4 del
medesimo decreto, infatti, le amministrazioni possono disporre la pubblicazione di atti, documenti o
informazioni per i quali non vige un obbligo di pubblicazione.
Dalla lettura coordinata di questa disciplina emerge, comunque, che non può parlarsi di accesso
civico diffuso ai dati della PA al di là dell’ambito dell’obbligo di pubblicazione legislativamente
previsto, oltre il quale lo strumento utilizzabile resta quello del diritto d’accesso, per come costruito
dalle disposizioni della legge 241/1190.
Con riferimento precipuo al rapporto tra la su menzionata legge 241/1990 e il D.lgs. 33/2013 il
Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, di recente, che l’obbligo di pubblicazione degli atti di
cui al D.Lgs. 33/2013 vale “con riferimento agli atti amministrativi (oggetto di domanda di
accesso) formatisi successivamente alla sua entrata in vigore e pertanto per gli atti formatisi
anteriormente (come quelli oggetti della domanda) continua ad operare il principio del divieto di
controllo generalizzato del procedimento“.
Inoltre, l’introduzione dell’obbligo di pubblicazione dei provvedimenti determina il venir meno del
principio del divieto di controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione “in
quanto ai sensi del decreto legislativo n. 33/2013 ormai è l’amministrazione stessa obbligata alla
pubblicazione dei propri documenti”.9
Da sottolineare, poi, è la parte del decreto10
suddetto relativa alla vigilanza sull’attuazione delle
disposizioni e alle relative sanzioni. Queste ultime sono dirette a colpire gli inadempimenti sia del
Responsabile della trasparenza che dei dirigenti e degli organi politici che hanno l’obbligo di fornire
i dati per realizzare le pubblicazioni previste dalla normativa.
Sanzioni sono previste persino con riferimento al singolo atto, con la finalità di bloccarne
l’efficacia11
.
Una sanzione peculiare è quella rappresentata dall’articolo 5 del decreto in questione, modificato
nel 2016 nel modo in cui di seguito si dirà.
9 Cons. Stato, Sez. IV, sent. 02/02/2016 n. 385, rinvenibile in www.giustizia-amministrativa.it
10 E’ il capo VI del D.lgs. 33/2013.
11 Cfr. art. 15, comma 2; art. 26, comma 3; art. 39, comma 3, del D.lgs. 33/2013.
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6
La norma prevede che in caso di omessa pubblicazione, prevista dalla legge, dei documenti,
informazioni o dati delle pubbliche amministrazioni, è assicurato il diritto di chiunque di richiedere
i medesimi.
Quest’ultima previsione può essere considerata un embrione generale della disciplina dell’accesso
civico che, va segnalato, è stato qui limitato dal legislatore del 2013 ai soli documenti, informazioni
e dati oggetto di obblighi di pubblicazione imposti dalla legge ed è configurato come sanzione
rispetto al mancato adempimento di detti obblighi e non già come vera e propria situazione
giuridica autonoma, qualificata.
Con riferimento al bilanciamento tra trasparenza e privacy, non può non notarsi come alcune
criticità evidenti pervadano la struttura e le previsioni del D.lgs. 33/2013.
Come è stato fatto acutamente osservare,12
ad esempio, la previsione che sottopone i dati personali
pubblicati a indicizzazione e rintracciabilità mediante motori di ricerca esterni al sito di
provenienza, contenuta nell’art. 4, comma 1 del Decreto, non solo porta ad una de
contestualizzazione del dato, che diviene mera informazione sulla persona, messa in circolo sul
web, ma lede il diritto all’oblio degli interessati, comportando la riemersione di informazioni
passate durante e persino dopo la vita dei soggetti coinvolti.
Ancora, la vaga disciplina concernente la riutilizzabilità dei dati reperiti online(artt. 7 e 4 del D.
l.gs. 33/2013) consente a chiunque il riutilizzo dei dati pubblicati, con il mero limite di citarne fonte
e rispettarne la integrità.
La conseguenza, rilevata anche dal Garante della Privacy, è la palese violazione del principio di
finalità, in virtù del quale i dati personali, legittimamente raccolti, possono essere utilizzati in
altre operazioni del trattamento solo "in termini compatibili" con gli scopi per i quali sono
stati raccolti e registrati13
.
Ciò posto, secondo parte della dottrina14
, nonostante i limiti e le criticità evidenziati, al Decreto
Legislativo n. 33/2013 va attribuito un riconoscimento consistente da un lato nella semplificazione
normativa degli obblighi di pubblicazione e, dall’altro, nell’aver insistito sull’accesso come
strumento di forcing per le amministrazioni al rispetto degli obblighi di trasparenza e di
pubblicazione.
12
Per un’analisi completa del D.lgs. 33/2013, sotto il profilo del bilanciamento con le garanzie a tutela della privacy,
cfr. L. CALIFANO, Il bilanciamento tra trasparenza e privacy nel d.lgs. 33/2013, in
http://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/Il+bilanciamento+tra+trasparenza+e+privacy+nel+dlgs+33+2013.
pdf 13
Art. 11, comma 1, lett. b), del Codice; Art. 6 direttiva 95/46/CE 14
A.M. PORPORATO, Il “nuovo” accesso civico introdotto dalla riforma Madia e i modelli di riferimento, in Il Piemonte
delle Autonomie, 2016.
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3. Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): la trasparenza come libertà
di accesso a documenti e dati.
Il percorso della trasparenza amministrativa, più che trovare indesiderate battute d’arresto, ha
acquistato nuovo slancio e prospettive innovative, con l’approvazione della legge 7 agosto 2015, n.
124(cd. Legge Madia).
Con l’art. 7 della Legge Madia15
, si è delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi
recanti disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, sulla base
di una serie di principi e criteri direttivi espressamente elencati.
Fra questi, di rilevanza ai fini del presente articolato esegetico vi è quello di cui alla lettera h)
dell’art. 7, comma 1, ai sensi del quale: “fermi restando gli obblighi di pubblicazione,
riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via
telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai
dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di
divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi
pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”.
In attuazione della delega appena evidenziata il Ministro per la semplificazione e la Pubblica
Amministrazione ha proposto uno schema di Decreto legislativo in materia di trasparenza, che reca
la data dell’11 febbraio 2016, poi confluito, con alcune correzioni apportate a seguito del prescritto
parere del Consiglio di Stato16
e delle Commissioni parlamentari, nel Decreto Legislativo 25
maggio 2016, n. 97.
Il nuovo “Decreto Trasparenza”, così come è stato subito ribattezzato, contiene degli elementi di
profonda innovazione con riferimento alla trasparenza amministrativa, agli obblighi di
pubblicazione e al diritto di accesso civico.
In primo luogo, occorre rilevare l’importanza dell’art. 2 del Decreto, che modifica l’art. 1, comma
1, del D.Lgs. n. 33/2013, che fa sì che lo scopo della trasparenza non si riduca al solo “favorire
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse
15
La cui rubrica riporta “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione,
pubblicità e trasparenza" 16
Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere del 24 febbraio 2016, n. 515/2016,
reperibile in www.giustizia-amministrativa.it
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pubbliche”, ma anche a garantire una forma di accessibilità totale, in funzione di tutela dei diritti
fondamentali che, come si intuisce dalla lettura del comma 2 dell’art. 1 del D.lgs. 33/2013, sono da
farsi riferire a “libertà individuali e collettive”, nonché ai “diritti civili, politici e sociali”, al diritto
ad una buona amministrazione e alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del
cittadino.
Come è facilmente intuibile, si tratta di una modifica non di poco conto. Il legislatore ha operato un
netto cambio di prospettiva, passando da mere forme di pubblicazione di documenti da parte della
PA, a garantire una vera e propria libertà di accesso a dati e documenti in possesso delle
amministrazioni.
L’accesso civico diventa lo strumento principe per conoscere la documentazione in possesso della
Pubblica amministrazione; solo in subordine lo scopo conoscitivo è realizzato tramite gli obblighi di
pubblicazione.
Emblematico, in tal senso, è il nuovo comma due dell’art. 5 del D.lgs. 33/2013, come sostituito
dall’art. 6 del D.lgs. 97/2016, ai sensi del quale: “2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo
sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere
la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti
detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai
sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente
rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.”
Se nella versione del 2013 l’articolo 5 configurava l’accesso civico come mera sanzione rispetto
all’obbligo di pubblicazione imposto alla PA, con l’articolato del D.lgs. 97/2016 si è assistiti al
passaggio ad un sistema nel quale si è innestato nell’ordinamento un nuovo diritto di accesso civico
ai dati e alle informazioni pubbliche, seppur nei limiti tassativamente previsti dalla legge, anche in
assenza di un esplicito obbligo di pubblicazione.
Si tratta di un modello già collaudato negli ordinamenti anglosassoni, che prende il nome di
FOIA(Freedom Of Information Act), il cui fine è rappresentato precipuamente dalla libertà di
accedere alle informazioni possedute dagli apparati pubblici.
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9
Come ha avuto modo di chiarire la dottrina più autorevole17
, i modelli delle democrazie liberali,
impiantati sul sistema del FOIA, rappresentano un paradigma che persegue tre scopi:
accountability, partecipation e legitimancy.
Il diritto di conoscere è dunque preposto a consentire un controllo diffuso dell’operato
amministrativo, al fine di prevenire fenomeni di corruttela, a garantire una consapevole
partecipazione dei cittadini alle scelte di politica pubblica, a rinsaldare la legittimazione della PA18
.
Ciò chiarito, una prima critica può essere avanzata con riferimento alle improprietà terminologiche
e di significato normativo contenute nel novellato articolo 5 del D.lgs. 33/2013. Se da un lato
l’accesso civico è opportunamente riferito solo a dati e documenti(al comma 2), rimane in diversi
altri commi il riferimento alle informazioni, che parte della dottrina ha definito poco coerente19
.
Infatti, si è sottolineato che i termini “dato” ed “informazione” esprimono concetti connotati da
profonde diversità e che la distinzione tra i due termini, sorta nell’ambito del linguaggio
dell’informatica, andava mantenuta in modo coerente. In tal senso, si evidenzia come il dato è
sempre un elemento conosciuto, mentre l’informazione è il risultato dell’aggregazione di dati che
l’utente può ricavare consultando un database.
Come detto, il nuovo accesso civico non ha carattere illimitato.
L’articolo 6, comma 2, del D.lgs. 97/2016, introducendo l’art. 5-bis20
nel D.lgs. 33/2013, prevede,
per l’appunto, tutta una serie di ipotesi in cui l’accesso civico può essere escluso.
17
M. SAVINO, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., n. 8-9, 2013; M. BOVENS,
Information Rights: Citizenship in the Information Society, in The Journal of Political Philosophy, 2002, vol. 10, 317 e
ss. 18
Una ricostruzione puntuale è offerta da A.M. PORPORATO, Il “nuovo” accesso civico introdotto dalla riforma Madia
e i modelli di riferimento, cit., secondo cui “Dal punto di vista storico, l’area scandinava è stata considerata «la culla
del diritto di accesso» alle informazioni: discipline in materia di accesso sono state adottate dapprima in Finlandia nel
1951, poi in Danimarca e Norvegia nel 1970. Nel 1966 negli Stati Uniti è stato adottato il Freedom of Information Act
che è divenuto il prototipo per altri paesi di cultura anglosassone (Australia, Canada, Nuova Zelanda). Nell’Europa
continentale i primi paesi a disciplinare l’istituto dell’accesso mediante approvazione di nuove leggi sono state la
Francia nel 1978, la Grecia nel 1986, l’Austria nel 1987 ed, infine, l’Italia nel 1990. Leggi modellate sul FOIA sono
state adottate in Olanda, dapprima nel 1980 e poi nel 2005, in Spagna nel 1992, in Portogallo nel 1993, in Belgio nel
1994, in Irlanda nel 1997, nel Regno Unito nel 2000, in Svizzera nel 2004, in Germania nel 2005, in Russia nel 2009 e
in molti paesi dell’Europa orientale. Nell’Unione europea il diritto d’accesso ai documenti delle istituzioni europee è
disciplinato dalle disposizioni dei Trattati (art. 255 del Trattato CE e ora art. 15 del TUE) e dalla Carta dei diritti
fondamentali (art. 42) e le modalità e le condizioni di esercizio sono definite dal Regolamento n. 1049 del 2001. Il 18
giugno 2009 è stata aperta alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri e a qualsiasi
organizzazione internazionale la Convenzione sull’accesso ai documenti ufficiali” 19
Cfr. D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche
alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, in www.federalismi.it, 9 20
Questo il testo: “«Art. 5-bis (Esclusioni e limiti all'accesso civico). - 1. L'accesso civico di cui all'articolo 5, comma
2, e' rifiutato se il diniego e' necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici
inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d)
le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilita' finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini
sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attivita' ispettive.
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10
Il rifiuto della richiesta di accesso è sancito, anzitutto, allo scopo di salvaguardare interessi pubblici
riguardanti la sicurezza pubblica, la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni
internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato, la conduzione di
indagini sui reati e il relativo perseguimento, lo svolgimento di attività di indagine.
Il rifiuto, peraltro, è posto a tutela anche di eventuali pregiudizi a rilevanti interessi privati, quali la
protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, gli interessi economici
e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprieta' intellettuale, il diritto
d'autore e i segreti commerciali.
Chiude la long list una previsione specifica, riferibile ai casi di esclusione dell’accesso legati al
segreto di Stato e alle ipotesi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge, “ivi compresi
i casi in cui l'accesso e' subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni,
modalita' o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.
Qualche obiezione è stata posta sia in dottrina, che dal Consiglio di Stato nel parere sulla bozza di
febbraio 201621
, sulla configurazione normativa ideata per la tutela dei predetti interessi pubblici e
privati.
La critica più rilevante, da ritenersi condivisibile, attiene alla eccessiva ampiezza di dette
limitazioni che, seppur opportune, possono sfociare in prassi di rifiuto frutto di un esercizio della
discrezionalità amministrativa, nella maniera più ampia, fino a vanificare la reale efficacia del
provvedimento.22
2. L'accesso di cui all'articolo 5, comma 2, e' altresi' rifiutato se il diniego e' necessario per evitare un pregiudizio
concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformita' con la disciplina legislativa in materia;
b) la liberta' e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprieta' intellettuale, il
diritto d'autore e i segreti commerciali.
3. Il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, e' escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o
divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso e' subordinato dalla disciplina vigente al rispetto
di specifiche condizioni, modalita' o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
4. Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Se i limiti di cui ai commi 1 e 2
riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l'accesso agli altri dati o
alle altre parti.
5. I limiti di cui ai commi 1 e 2 si applicano unicamente per il periodo nel quale la protezione e' giustificata in
relazione alla natura del dato. L'accesso civico non puo' essere negato ove, per la tutela degli interessi di cui ai commi
1 e 2, sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.
6. Ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui al presente articolo, l'Autorita' nazionale
anticorruzione, d'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni
operative.anticorruzione, d'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata
di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni operative.>>” 21
Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere del 24 febbraio 2016, n. 515/2016,
reperibile in www.giustizia-amministrativa.it 22
Cfr. D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche
alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 10;
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Né tale discrezionalità è limitata dalle ipotesi di differimento o di accesso parziale, da utilizzarsi in
luogo del radicale diniego.
Una ulteriore criticità, presente nella bozza di febbraio, era rappresentata dalla previsione della
mancanza di motivazione del provvedimento di diniego dell’accesso civico e della sua
identificazione come ipotesi tipica di silenzio-rigetto.
La levata di scudi del Consiglio di Stato e della dottrina ha portato il legislatore delegato a
correggere il tiro, specificando, nel nuovo comma 6 dell’art. 5 del d.lgs 33/2013, che “6. Il
procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel
termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza con la comunicazione al richiedente e agli
eventuali controinteressati.”
Si è così evitato il paradosso di un provvedimento, il cui fondamento è la trasparenza, caratterizzato
da assoluta distanza dal principio generale di motivazione degli atti amministrativi, già scolpito
dalla legge n. 241/1990.
Altra correzione opportuna è quella effettuata, poi, con riferimento alla tutela concessa al soggetto
nelle ipotesi di diniego. Nella bozza del decreto legislativo si prevedeva la possibilità, per questi, di
ricorrere solo all’autorità giudiziaria, con la conseguenza di far sorgere in capo al privato notevoli
oneri e costi.
Il nuovo comma 7 dell’art. 5 del d.lgs 33/2013 ha previsto, differentemente, un’ipotesi di riesame
amministrativo, su richiesta di parte, prima del ricorso al tribunale amministrativo regionale23
.
4. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): ambito soggettivo di
applicazione e la ipotesi peculiare di responsabilità dirigenziale
Evidenziati i caratteri fondamentali dell’istituto, qualche considerazione va svolta con riferimento
all’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni e alla nuova fattispecie di responsabilità
dirigenziale ivi delineata.
23
Questo il testo del comma 7: “7. Nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta entro il
termine indicato al comma 6, il richiedente puo' presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza, di cui all'articolo 43, che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti
giorni. Se l'accesso e' stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il
suddetto responsabile provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il
termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per l'adozione del
provvedimento da parte del responsabile e' sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un
periodo non superiore ai predetti dieci giorni. Avverso la decisione dell'amministrazione competente o, in caso di
richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il
richiedente puo' proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell'articolo 116 del Codice del
processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”
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Per ciò che concerne il primo aspetto, va sottolineato che l’articolo 3, comma 2, del D.lgs. 97/2016,
introduce un articolo 2-bis nel D.lgs. 33/2013, con la conseguente abrogazione dell’art. 11 del d.lgs.
33 del 2013.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 2-bis si precisa che ai fini del decreto si intendono per pubbliche
amministrazioni tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n.
165, comprese le Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione.
Al comma 2 dell’art. 2-bis si stabilisce che la disciplina di cui al comma 1 deve essere applicata, in
quanto compatibile24
, anche ad enti pubblici economici, autorità portuali e ordini professionali; alle
società in controllo pubblico(come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione
dell'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Sono escluse le societa' quotate come definite
dallo stesso decreto legislativo emanato in attuazione dell'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n.
124); alle associazioni, fondazioni, enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di
personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario da pubbliche
amministrazioni o in cui la totalità o la maggioranza dei titolari dell’organo d’amministrazione o di
indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.
Infine, la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 si
applica, in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all'attivita' di pubblico
interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, alle societa' in partecipazione
pubblica come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell'articolo 18 della legge 7
agosto 2015, n. 124, e alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di
personalita' giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni
amministrative, attivita' di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o
di gestione di servizi pubblici.
All’interno delle pubbliche amministrazioni predette, con riferimento ai soggetti coinvolti, il D.lgs.
97/2016 ridisegna l’apparato sanzionatorio posto a guardia dei diritti e degli obblighi correlati al
nuovo accesso civico.
In tal senso, va evidenziato il nuovo articolo 46 del D.lgs. 33/2013, per come modificato dall’art. 37
del D.lgs. 97/2016, che muta completamente la propria rubrica, che diviene “Responsabilita'
derivante dalla violazione delle disposizioni in materia di obblighi di pubblicazione e di accesso
civico”25
e prevede che “1. L'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla
24
La clausola di compatibilità è stata introdotta dal decreto attuativo. 25
Nel testo originario era “Violazione degli obblighi di trasparenza – Sanzioni”.
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normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico, al di fuori delle
ipotesi previste dall'articolo 5-bis26
, costituiscono elemento di valutazione della responsabilita'
dirigenziale, eventuale causa di responsabilita' per danno all'immagine dell'amministrazione e
sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento
accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili....”.
Dalla lettura della norma è possibile ricavare che:
a)l’inadempimento degli obblighi normativi di pubblicazione e il rifiuto, il differimento e la
limitazione ingiustificati dell’accesso costituiscono elemento di valutazione per la responsabilità
dirigenziale ed eventuale causa di responsabilità di danno all’immagine dell’amministrazione;
b) l’inadempimento degli obblighi normativi di pubblicazione e il rifiuto, il differimento e la
limitazione ingiustificati dell’accesso sono comunque valutati in sede di attribuzione della
retribuzione di risultato e del trattamento accessorio del dirigente.
Con riguardo al primo degli aspetti evidenziati, la dottrina27
, già in sede di commento della bozza di
febbraio scorso, aveva sottolineato come il richiamo all’eventuale danno all’immagine non può che
circoscriversi a ipotesi precise e determinate, consistenti nei reati contro la Pubblica
Amministrazione, ex artt. 314-335 c.p., o in altre tassative fattispecie di rilievo penale, quale, ad
esempio, quella di “false attestazioni o certificazioni” di cui all’all’art. 55-quinquies del D.lgs.
165/2001, sulla scia di quanto affermato anche dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti.28
Più criticabile, certamente, è la previsione di una sanzione accessoria, quale può considerarsi,
rispetto a questa nuova fattispecie di responsabilità dirigenziale, quella derivante dal collegamento
tra inadempimento degli obblighi di pubblicazione e l’utilizzo distorto della discrezionalità in tema
di diniego dell’accesso, e il trattamento retributivo del dirigente.
Peraltro, all’uopo il legislatore non ha indicato alcun criterio di parametrazione, né rimandato la
disciplina ad apposita, e opportuna, sequenza di contrattazione collettiva.
Il rischio è quello che la predetta “sanzione retributiva” assuma caratteri non prevedibili, entità non
regolamentate ex ante e, dunque, sia destinata a perdere rapidamente efficacia.
26
Il testo sottolineato riguarda proprio la modifica apportata alla norma. 27
Cfr. D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche
alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 14-15 28
Cfr. Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza 19 marzo 2015, n. 8, reperibile in www.respamm.it.
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5. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): il diritto di accesso
civico e gli oneri finanziari a carico delle amministrazioni e dei privati, anche con riferimento
ai contro interessati.
A questo punto della trattazione, imprescindibile è la valutazione dei costi, a carico dei cittadini
della Pubblica Amministrazione, derivanti dal nuovo accesso civico.
Per quanto riguarda i primi, va sottolineato come dalla lettura coordinata degli artt. 3 e 5 del D.lgs.
33/2013, come modificati dalle disposizioni del D.lgs. 97/2016 emerge chiaramente che la completa
gratuità dell’accesso, per i cittadini, è da limitarsi alla sola ipotesi di fruizione del documento, da
intendersi come mero esame dello stesso, senza estrazione di copia.
Diversamente, l’accesso tramite estrazione di copia, non potrà esser fornito in maniera gratuita, ma
sarà subordinato al rimborso del costo di produzione, salve le disposizioni tributarie in materia di
bollo et similia.
La ragione è presto intuibile, vista la enorme potenziale platea di soggetti pronti a richiedere
l’accesso, comportando un costo eccessivo per le pubbliche amministrazioni.
La Pubblica Amministrazione, peraltro, per espressa previsione normativa, deve far fronte
all’esercizio del diritto di accesso da parte dei consociati, nell’ambito delle risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Si tratta, invero, della classica clausola di invarianza finanziaria, il cui uso ha assunto caratteri
sproporzionati e quasi grotteschi all’interno della legislazione italiana.
Gli obblighi di invarianza finanziaria appena predetti e il contenimento dei costi che essa richiede si
scontrano palesemente, tuttavia, con la previsione del novellato comma 5 dell’art. 5 del D.lgs.
33/2013, ai sensi del quale: “5. Fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione
cui e' indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi
dell'articolo 5-bis, comma 2, e' tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con
raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito
tale forma di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i
controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla
richiesta di accesso. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di cui al
comma 6 e' sospeso fino all'eventuale opposizione dei controinteressati. Decorso tale termine, la
pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione.”
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Per controinteressati devono senz’altro intendersi tutti quei soggetti che possano avere interesse a
veder tutelati i propri dati personali, in conformita' con la disciplina legislativa in materia, la liberta'
e la segretezza della propria corrispondenza, gli interessi economici e commerciali, ivi compresi la
proprieta' intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
Ad esser problematica non è la finalità della norma, che tutela la riservatezza di eventuali contro
interessati, ma le modalità concrete con le quali detta garanzia è esplicitata(raccomandata con
avviso di ricevimento o per via telematica per i soli soggetti che abbiano consentito a tale forma di
comunicazione).
Facilmente rilevabile, già ictu oculi, è il rischio che i costi derivanti da dette modalità possano
diventare insostenibili per l’Amministrazione e si auspica che il legislatore ne tenga conto in sede di
regolamentazione dell’uso e della diffusione del domicilio elettronico e della posta elettronica
certificata.
6. Considerazioni finali.
In conclusione, la riforma appena descritta presenta alcuni spunti di assoluto pregio e qualche
elemento che suscita perplessità.
Come si è già avuto modo di evidenziare, grande merito va alla scelta del Governo di virare verso
un modello di accesso civico più ampio, non rigidamente connesso ad una idea di trasparenza da
intendersi solo sotto l’aspetto del collegamento con gli obblighi di pubblicazione posti in capo alla
Pubblica Amministrazione.
La trasparenza, invece, diventa il criterio direttivo e non è un mero strumento per prevenire e punire
forme di corruzione nell’agire amministrativo.
Altro punto a favore della novella normativa è quello, indubbiamente, di aver disboscato e
razionalizzato una folta selva di obblighi normativi di pubblicazione, eliminando altresì alcuni
gravosi oneri posti in capo alle pubbliche amministrazioni.
Tra questi, come sottolineato acutamente da parte della dottrina29
, sicuramente di rilievo è
l’abrogazione del comma terzo dell’articolo venti del D.lgs. 33/2013, che pone fine all’obbligo per
la PA di pubblicare i dati relativi ai “livelli di benessere organizzativo”.
Nondimeno, permangono alcune perplessità, di varia natura.
29
Cfr. D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche
alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 17
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L’aver imposto la pubblicazione, in tema di bandi di concorso per il reclutamento di personale,
anche dei “criteri di valutazione della commissione e delle tracce delle prove scritte” finisce per
entrare a gamba tesa sulla discrezionalità delle commissioni di concorso, ingerendo pesantemente
sul potere di ciascuna di esse, di stabilire, di volta in volta, quali possano essere detti criteri,
trasformando quasi la valutazione in un’articolazione astratta e non già in un severo giudizio in
concreto, per la selezione dei “migliori” imposta dallo strumento costituzionalmente previsto del
pubblico concorso30
.
Un’ultimissima notazione va poi fatta su quanto detto in materia di costo economico della riforma.
La novella normativa si innesta perfettamente nel trend legislativo degli ultimi anni, che pretende di
caricare sulle poche e inadeguate risorse umane, strumentali e finanziarie della Pubblica
Amministrazione il costo economico di imponenti e innovative riforme.
Questa concezione, invero, si incarica di mettere a rischio le finalità di pubblicità e trasparenza e la
portata della tutela degli interessi pubblici coinvolti e richiederà, in futuro, sulla base di un doveroso
monitoraggio dell’attuazione delle nuove disposizioni, una rivisitazione operosa del nuovo modello
di accesso civico.
30
Interessante in tal senso è la critica proposta dal Consiglio di Stato a questa soluzione, nel già richiamato parere
515/2016, p. 93: “la Sezione ritiene di non poter condividere l’estensione dell’obbligo di pubblicazione ai criteri di
valutazione adottati dalle commissioni esaminatrici nella correzione delle tracce delle prove scritte. Tale prescrizione,
infatti, rischia di essere fuorviante, creando un precedente in grado di incidere sul potere di ogni commissione di esame
di decidere, di volta in volta, quali debbano essere i criteri, con il rischio, altresì, di creare ulteriori motivi di
contenzioso in un settore già molto esposto“