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CLARA POLACCHI CLARA POLACCHI : l' Inno a Cristo Salvatore di Clemente Alessandrino in Motivi e forme della poesia cristiana antica tra scrittura e tradizione classica ( XXXVI Incontro di studiosi dellantichità cristiana, Roma, 3-5 maggio 2007), I, Roma 2008, pp. 243-256

Μισθός ό̉σιος: l' Inno a Cristo Salvatore di Clemente Alessandrino

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CLARA POLACCHI

CLARA POLACCHI

: l' Inno a Cristo Salvatore di Clemente Alessandrino

in Motivi e forme della poesia cristiana antica tra scrittura e tradizione classica (

XXXVI Incontro di studiosi dell’antichità cristiana, Roma, 3-5 maggio 2007), I,

Roma 2008, pp. 243-256

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Elementi essenziali del culto sia pagano che cristiano, gli inni accompagnarono fin dalla più lontana

antichità le cerimonie e le riunioni religiose: lo testimoniano ad esempio, in ambiente pagano

Omero di cui si ricordano gli Inni1, e in ambito cristiano san Paolo e Plinio il Giovane, il primo

quando richiama all’uso, seppure indistinto, di salmi, inni e cantici spirituali2 e il secondo quando

riferisce l’usanza cristiana di riunirsi per cantare a voci alterne un carmen a Cristo3.

Nella prima cristianità la materia degli inni derivava direttamente dalle Scritture: essi erano i salmi

e i cantici dell’Antico Testamento, oppure il Magnificat, il Gloria in excelsis, il Benedictus

contenuti nel Nuovo, o ancora l’Inno nuovo che i giusti cantano in cielo a lode dell’Agnello

nell’Apocalisse di s. Giovanni; non solo il contenuto però, ma anche la forma della prima innologia

cristiana è esemplificata nelle Scritture, infatti diversi inni brevi della stessa Apocalisse si

presentano come composizioni che non sono propriamente poesia, almeno secondo la definizione

che la cultura greca ne dà, che non rispettano le regole metriche e che, pur in presenza di uno stile

solenne, sono sostanzialmente ascrivibili alla produzione in prosa.

In un tempo relativamente breve però, a causa di necessità liturgiche ed anche – nella composizione

oggetto di questo studio, forse soprattutto - a causa di controversie dottrinali, la materia non fu più

desunta dalle Scritture; infatti numerose attestazioni confermano, all’interno della letteratura

cristiana del II secolo, un’ampia produzione di inni da parte degli gnostici i quali, come testimonia

Ireneo4, facevano uso di poesie e canti per diffondere le proprie idee, per divulgare la loro dottrina e

la loro spiritualità. Ed è proprio a partire da queste composizioni che si può parlare di inni in senso

proprio perché gli gnostici, che avevano dimestichezza con la letteratura ellenistica, scrissero

osservando la forma metrica e, a differenza di quanto era accaduto precedentemente, fecero

1 Attribuita ad Omero è giunta una raccolta di 34 inni (33, se si considerano un solo componimento i due dedicati ad

Apollo); composti probabilmente fra il VII e il VI sec. a. C. secondo la tecnica omerica, si differenziano da inni similari

dell’età ellenistica per un carattere di sincera e profonda religiosità. 2 Cfr. Col. 3, 16: << ammaestratevi ed ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi,

inni e cantici spirituali>>. Anche Eph. 5, 19: << intrattenendovi a vicenda con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e

inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore>>. Inoltre in Phil. 2, 5-11 si trova il primo inno cristologico,

considerato tale per andamento e tono, con cui Paolo esprime la sofferenza di Cristo fino alla Sua morte disonorevole, a

cui Egli, per amore, si è volontariamente sottomesso. Il contenuto e le espressioni, che non hanno riscontro altrove

presso Paolo, farebbero però risalire quest’inno a una tradizione più antica. 3 Cfr. Plinio Cecilio Secondo, Epistulae, X, 96; egli riferisce come i cristiani << essent soliti stato die ante lucem

convenire carmenque Cristo quasi deo dicere secum invicem >> 4 Cfr. Ireneo, Adversus Haereses, I 15, 6

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corrispondere all’elevazione contenutistica un analogo procedimento formale; molti di questi inni di

ispirazione gnostica sono contenuti negli Atti apocrifi degli apostoli5.

In risposta agli eretici, anche gli ortodossi fecero uso del genere innologico per diffondere la

dottrina6, anche se per quanto riguarda la produzione greca di tal genere fra il II e il IV secolo è

rimasto molto poco: due inni, entrambi dedicati al Pedagogo, sono tutto ciò che rimane

dell’innologia dogmatica ortodossa in lingua greca; di questi, il primo che, adottando le forme della

poesia antica, apre ad un nuovo stile nell’ambito della cristianità è l’Inno a Cristo salvatore con cui

Clemente d’Alessandria conclude l’opera Il Pedagogo.

Composta intorno al 190 essa, come è noto, è la seconda opera della trilogia che Clemente aveva

progettato; il suo titolo è legato alla tradizione classica greca e richiama la funzione che il pedagogo

aveva in età imperiale, cioè di educatore dei giovani, colui che si occupava della loro condotta

morale e pratica per poi, una volta concluso il suo compito, affidarli al maestro (e forse Il Maestro

avrebbe dovuto essere il titolo della terza composizione della trilogia clementina non compiuta)

deputato alla formazione filosofica e intellettuale.

Il Logos che nella prima opera della trilogia, il Protrettico, aveva esortato i pagani alla conversione

assume ora il ruolo di pedagogo e si rivolge ai nuovi cristiani che, nella loro infanzia spirituale,

necessitano di chi li indirizzi a un comportamento cristiano in ogni occasione personale e sociale, di

chi li educhi alla morale; la formazione in tal senso del neo – convertito è quanto Clemente si

propone di realizzare in questo suo scritto nel quale, dopo aver trattato dei metodi della pedagogia

divina e aver presentato Cristo, il Logos, come modello perfetto, medico e panacea dell’umanità,

affronta nei libri II e III gli aspetti più vari e concreti della morale cristiana perché è convinto che,

essendo il corpo intimamente connesso all’anima, non si può raggiungere la salvezza ( che è il fine

ultimo dell’uomo) senza sottoporre il corpo a una disciplina spirituale.

Clemente presenta un cristiano che, grazie alla sua vita spirituale nuova e rinnovata, si pone dinanzi

al Logos con la freschezza e la semplicità di un fanciullo. Il tema dell’infanzia spirituale, più volte

enunciato nell’opera7 si rivela indirettamente anche nella proposizione del Padre che si comporta

con questi uomini nuovi come un educatore amorevole si comporta con i fanciulli di cui ha cura,

facendo uso di tutti quei metodi ispirati dal Suo amore e dalla Sua bontà.

5 Gli unici due di cui si ha il testo completo e che dichiarano la loro derivazione gnostica sono negli Atti di Tommaso,

del III sec.: si tratta dell’ Ode a Sophia (6-7) e dell’Inno della perla ( 108-113); si può comunque anche citare negli Atti

di Giovanni ( 94-95) l’inno al Padre cantato da Gesù e dagli apostoli. 6 W. Christ – M. Parakinas, Antologia greca carminum christianorum, Hidelsheim 1963 (Lipsia 1871), p. XVI:

<< Praeter hunc quem edidimus ( l’Inno di Clemente, n.d.a.), psalmus multos Gnosticorum hymnos exstitisse Origenes

eodem loco refert, quorum errores dulci Musarum melle conditi ne in animos Hominum furtim sese insinuarent, cum

christiani orthodoxi vererentur, unius carminum faciendorum arti studuisse et sacrae scripturae psalmis odisque solis

favisse perhibentur >>. 7 Cfr. Ped. I ( 6.5; 12.1 – 21.2; 53.1-3; 33.1-35.3; 59.3 ) e passim.

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A conclusione di questo scritto che oltre ad essere, per così dire, un trattato di pedagogia divina è

altresì una chiara testimonianza dell’impegno dell’autore volto alla conciliazione del cristianesimo

con la cultura ellenistica e alla delineazione della vera gnosi, si trova quindi l’inno.

Esso manca nel manoscritto che tramanda l’opera, il Parisinus graecus 451 esemplato nel 914,

perché il distacco di numerosi suoi fogli ha causato la perdita e di questa parte del testo e di quella

iniziale fino al libro I, 96.1, così che per queste parti dipendiamo dalle copie del manoscritto, nelle

quali questa composizione poetica è preceduta dal titolo: Inno di san Clemente a Cristo Salvatore.

Strutturalmente, l’Inno, che si svolge con un ritmo uniforme, è composto da 65 versi anapestici in

un generale rispetto della quantità sillabica e nell’aderenza sostanziale alle leggi della metrica

classica; si trovano però anche alcuni anapesti di carattere libero che, maggiormente vicini a una

prosa ritmica, contribuiscono a caratterizzare in modo più popolare questa composizione che

comunque appare equilibrata nel suo insieme8. I suoi contenuti poi hanno fatto pensare ad alcuni

studiosi9 che l’Inno potesse essere stato usato nel servizio delle chiese di Alessandria durante il III

sec. e potesse essere divenuto la preghiera ufficiale di lode della scuola alessandrina, il

διδασκαλείον.

Questa personale composizione di Clemente10

è posta a conclusione della parte in prosa del

Pedagogo, nella quale prima viene elogiato il Logos creatore dell’uomo e del mondo e poi viene

innalzata una preghiera culminante in una dossologia cristologica che con una formulazione

semplice e lineare glorifica il << Padre e Figlio, Figlio e Padre, Figlio Pedagogo e Maestro insieme

con lo spirito Santo>>11

. Nel periodo che segue questa espressione dossologica e che segna il

passaggio dal testo in prosa alla poesia dell’inno, questo viene motivato da Clemente come prezzo

di un giusto ringraziamento e definito una lode conveniente a una cortese educazione12

.

Contemporaneamente canto e preghiera, la composizione riflette la formazione culturale di

Clemente, ripropone i temi fondanti del suo pensiero e ribadisce le idee già espresse nel Pedagogo e

nell’intera sua opera; pur dottrinale e dogmatico, l’Inno è però reso vivo da uno slancio poetico,

8 Per l’analisi metrica dell’Inno, cfr Clément d’ Alexandrie, Le Pédagogue, l. III, traduction de C. Mondésert –

C.Matray, notes de H. I. Marrou [ S. Ch. n. 158], Paris 1970, pp. 204-207 (Note additionnelle). 9 Cfr. A. Baumstark, Hymns ( Greek Christian), in J. Hasting, Encyclopedia of Religion and Ethics, VIII, Edinburg

1914, pp. 5-12 ed inoltre J. Quasten, Patrologia, I, Torino 1980, p.291. 10 G. Békès, Clemente d’Alessandria, in Enciclopedia Cattolica, III, Città del Vaticano 1949, col. 1844 non dubita

dell’autenticità dell’inno, in quanto le idee in esso espresse corrispondono perfettamente a quelle del Pedagogo, e la stessa affermazione è in J. Quasten, p. 291;vengono però riferite anche posizioni diverse: cfr. W. Christ – M. Parakinas,

Antologia greca carminum christianorum, Hidelsheim 1963 (Lipsia 1871), p. XVIII: << …quamvis non ignorarem

fuisse qui celeberrimum ecclesiae christianae doctorem huius hymni auctorem esse negarent>>. A. Baumstark dubita

dell’autenticità dei versi introduttivi, mentre lo ritiene opera di un lettore di Clemente M. Simonetti, Studi sull’innologia

popolare cristiana dei primi secoli, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, serie VII [Memorie- Classe di scienze

morali, storiche e filologiche, vol. IV], 1952 11

Cfr. Ped. III, 101.2. 12

>> (Ped. III, 101.3 ).

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espressione del sincero e personale sentimento religioso dell’Autore. Coerentemente al suo

cristocentrismo, egli indirizza l’Inno a Cristo Salvatore, al Buon Pastore, ed è questo il contenuto

immediato del canto; ma a buon diritto può essere considerata altresì materia del canto la

fanciullezza spirituale che si rivolge a Cristo e che dall’ incontro con Lui fa scaturire un fervoroso e

spontaneo canto di lode e insieme di supplica. E’ il canto limpido ed ingenuo di chi è approdato a

una nuova vita e ora, in relazione da essa, si trova in condizione infantile; è la lode e il

ringraziamento di chi, di fronte alla novità del dono della fanciullezza spirituale, prova riconoscenza

e contemporaneamente prega il Logos di essere per lui quel pedagogo di cui necessita.

Le ampie e disparate fonti a cui Clemente attinge e lo stretto legame con la cultura ellenistica sono

costantemente e coerentemente deducibili dalla lettura dell’Inno: come si serve di citazioni e di

allusioni bibliche (talvolta solo echi, altre volte vere e proprie citazioni letterali), così fa spesso uso

di fonti classiche; i riferimenti indicano come egli mutui espressioni, riecheggi concetti, si serva di

termini (salvo poi usarli in senso altro ) desunti dal pensiero greco. Ed è indicativo che nell’Inno si

trovino cinque citazioni omeriche, oltre a vari riferimenti a Eschilo, Sofocle, Menandro, Pindaro,

Euripide a fronte di pochissime citazioni testamentarie13

.

La fusione attuata tra la cultura classica e quella cristiana è già evidente nei primi 4 versi della

composizione poetica, che si articolano in un susseguirsi di epiteti riferiti al Logos, a cui nell’inno ci

si rivolge in 2° persona; il linguaggio è ricco di immagini e termini classici (

) che si coniugano con quelli biblici: il pastore di agnelli, ossia il Buon Pastore dei Vangeli

, pastore di agnelli regali, dove l’immagine scritturistica si incontra con

una regalità che ha matrice classica. Inoltre, la scelta degli aggettivi posti alla fine dei primi tre versi

- , ), mentre risponde a esigenze di

retorica classica è anche funzionale ad esprimere l’idea che la fanciullezza spirituale sia

manchevole, e quindi bisognosa di guida ma anche inesperta del peccato, innocente e vergine14

.

Dal verso 5 al verso 10 è rivolta una preghiera al Logos affinché raduni questi nuovi cristiani ad

inneggiare a Cristo e contemporaneamente è ripetuto e ribadito il concetto di purezza propria di

questa fanciullezza cristiana, di cui Cristo è il re: sono i fanciulli semplici, gli inni senza inganno, le

labbra innocenti ( κάκοις στόμασιν ) che si rivolgono a Cristo, il

re ora dei fanciulli, come prima era il pastore di agnelli regali. Il tema della regalità è più volte

espresso15

e nella sua ripetitività diventa uno degli elementi su cui l’Inno si sostiene; esso viene

quasi sempre espresso con termini afferenti l’area lessicale di βασιλεύς, tranne che nel verso 10, in

13 Sono chiaramente individuabili riferimenti a Io. 1, 3 e a 1 Ptr. 2, 2. 14 << on notera l’abondance de mots composés en - ( six en neuf vers ), servant à exprimer l’innocence, la virginité de

l’enfance.>>: Clément d’ Alexandrie, Le Pédagogue, l. III, traduction de C. Mondésert – C.Matray, notes de H. I.

Marrou [ S. Ch. n. 158], Paris 1970, p. 193, n. 5. 15 Cfr. v.4; v. 10; v. 11; v. 31; v. 55.

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cui il termine usato è γήτορ, termine classico con cui venivano indicati i condottieri, i capi dei

popoli: è questo il titolo con cui viene espressa la regalità di Cristo su questo giovane nuovo popolo

di credenti, ed è un evidente esempio di uso di termini traslati dalla cultura classica al linguaggio

cristiano con significazione, e soprattutto con funzione altra: quella di immagine poetica.

Il concetto di regalità viene ripreso nel verso 11 e dà inizio a una nuova serie di epiteti che, come

nella parte immediatamente precedente, terminano con una preghiera di richiesta conclusa al verso

31. Ci si trova qui in presenza di un climax di titoli con cui già è stato lodato il Verbo

) e in parte sono una

ripresa dei sostantivi presenti nei primi tre versi ( , στόμιον, πτερόν ) funzionali ad esprimere la

lode del Logos nei suoi due compiti, quello di Pedagogo e quello di Salvatore: il primo evidente

nell’espressione dei versi 12 -13 ( λό πανδαμάτωρ ), il secondo nell’esplicito verso 18

( σ τερ , che viene ripreso concettualmente e ripetuto nei versi 24 - 2516

, inneggianti al

pescatore di uomini che sono stati salvati.

E’ forse qui opportuno soffermarsi sull’aggettivo πανδαμάτωρ, generalmente tradotto

“onnipotente”; l’aggettivo deriva del verbo δαμάω, domare, e quindi “colui che tutto doma” è

correttamente traducibile con “onnipotente”, che tutto può; l’aggettivo però richiama alla mente la

radice di δαίμων, termine che nella cultura classica, in Omero, negli inni orfici indica la divinità, in

Sofocle e in Filottete il demone. Poiché Clemente aveva affermato che il Logos si è fatto uomo per

insegnare all’uomo a diventare Dio17

, una accezione dell’aggettivo indicante il Logos come totale

mediatore tra l’uomo e Dio sarebbe consona al pensiero di Clemente.

Altro esempio dell’incontro tra il mondo classico e quello cristiano è riscontrabile nel verso 14:

πρύτανις significa capo, padrone, duce ed è usato in riferimento a magistrature oppure, nell’uso che

ne fanno Pindaro, Eschilo, Simonide, in riferimento a divinità ed inoltre l’intera espressione del

verso 14 ( σοφίας πρύτανι ) è presente in un epitaffio di Periandro; questo termine classico però

viene spiegato nel suo significato in chiave cristiana da s. Paolo18

, perciò l’accezione d’uso di

Clemente è quella di sintesi tra le due realtà culturali. Inoltre la traslazione dalla valenza materiale e

mondana di questo sostantivo a quella spirituale è evidenziata nell’ ωνοχαρές, usato qui per la

prima e unica volta dall’Autore, un hapax, con il significato di “tu che ti compiaci dell’eternità”19

.

16 << μερόπων / ν σωζομένων >>. 17 Protrettico, I, 8.4: << Il Verbo di Dio è diventato uomo affinché anche tu, da uomo, apprendi in quale maniera un

uomo diventi Dio>>. Cfr. anche Stromati. IV, 14 95.2. 18 Cfr. Col. 2, 3 << (Cristo) nel quale sono nascosti tutti i tesori della scienza e della sapienza >>. 19 Il termine è stato anche recepito nel significato di << caro al mondo>>; cfr. Clément d’ Alexandrie, Le Pédagogue, l.

III, traduction de. C. Mondésert – C.Matray, notes de H. I. Marrou [ S. Ch. n. 158], Paris 1970, p. 195, n. 22: << ils

signifient tantôt “qui se plaît à” tantôt “qui plaît à”…>>

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Nella preghiera che segue questo tributo di ammirazione e di riconoscenza espresso nelle lodi si

rinnova il concetto di purezza insita nella fanciullezza spirituale; essa si esplicita nei termini del

campo semantico dei titoli via via riferiti a Cristo: in quanto ” pescatore di uomini “

μερόπων ) la preghiera di sottrarre dall’onda infesta i pesci puri, salvati dal mare del vizio20

, mentre

il titolo di “ santo pastore” apre alla richiesta di indicare la via alle greggi dotate di ragione21

e il

titolo di “re” alla preghiera di governare i fanciulli intatti22

. Tutte e tre le espressioni metaforiche

della preghiera sono scandite dal tema della purezza, insito nella concezione di vita nuova: due

volte essa è richiamata direttamente nella sua centralità tematica dagli aggettivi

nel suo significato di “appartenenti al Logos”, e quindi

fanciulli spirituali.

E’ opportuno soffermarsi su quest’ultimo aggettivo, la cui lettura interpretativa è sicuramente

polisemica e complessa ma fondamentale per la comprensione degli scritti clementini, movendo la

riflessione da due presupposti: il significato che Logos assume in Clemente e la sua teologia

dell’infanzia in Cristo, e ciò alla luce da una parte della sua formazione filosofica e dell’importanza

che egli attribuisce alla ragione umana da cui discende la libertà di scelta, dall’altra alla luce del suo

cristocentrismo. Riguardo al primo dei due presupposti, per Clemente nell’espressione Logos

convergono tutti i suoi diversi significati: il significato filosofico di ragione, di intelletto, il

significato cosmologico di anima dell’universo, il significato di Verbo di Dio, come dal Vangelo di

Giovanni in poi. La teologia dell’infanzia in Cristo, poi, si trova formulata nell’opera stessa23

e si

esprime come conseguenza della vita nuova che ci è stata donata, come sinonimo di purezza, di fede

e di abbandono in Cristo; è questo l’abbandono da cui deriva alla fine la conoscenza mistica di Dio,

fino all’assimilazione con Lui, insomma fino alla vera gnosi, e ciò contro la concezione

intellettualistica degli gnostici che ritenevano preclusa ai semplici, ai bambini la perfezione della

fede. Discende da tutto ciò che si può interpretare sia come “razionali, dotati di ragione”,

sia come “appartenenti al Logos”, e quindi fanciulli spirituali, senza che una delle due

interpretazioni escluda l’altra; infatti indicare con la stessa espressione l’appartenenza al Logos con

tutte le sue implicazioni di purezza, assimilazione a Dio ed anche, allo stesso tempo, significare e

esaltare la razionalità umana non denota porre un’alternativa ma esprimere una complementarietà,

perché Dio è il creatore della ragione umana, che è finalizzata a conoscere Lui attraverso il Verbo:

perciò appartenere al Logos è in qualche modo sinonimo dell’essere dotati di razionalità.

20 Cfr. vv 25-28: << πελάγους κακίας / ς ς / κύματος / ˛ ˛ δελεάζων >>. 21

Cfr. vv. 29-30: << προβάτων / ν ποιμήν, γι’, >>. 22 >>. 23 Cfr. Ped. I, 24.1; 25.1; 53.1; 60.1.

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Questa seconda parte dell’Inno, che dal verso 11 si conclude

presente nel primo e

nell’ultimo verso della parte in esame; inoltre come già nel verso 10 e poi nel verso 60, che

concludono rispettivamente la prima e la terza parte della composizione poetica, anche nel verso 31

che ne conclude la seconda parte compare significativamente, quasi si trattasse di un procedimento

in senso lato anaforico e insieme poliptotico,

nel verso 60). All’interno di questa parte sono presenti ripetizioni concettuali e

lessicali che hanno valore contenutistico: ci sono in questi versi epiteti derivanti dalla tradizione

scritturistica, quali pastore, agricoltore, pescatore, ma vengono ripresi anche quelli della tradizione

classica quali timone, freno, ala per altro già usati nei primi tre versi della composizione, e

posizionati come elementi di un climax concettuale che culmina nella lode del Logos nella Sua

funzione di Pedagogo, Salvatore, Buon Pastore; ancora viene richiamata la regalità di Cristo, la

fanciullezza spirituale, la purezza, l’innocenza di chi, sollecitato dal Protrettico ed educato dal

Pedagogo, è ora giunto al dono della novità di vita e per questo, con labbra che non conoscono

malizia, canta l’inno di ringraziamento.

La terza parte, la più lunga di questa preghiera di lode e supplica che si conclude con la

sollecitazione degli stessi fanciulli a cantare insieme un inno a Cristo, inizia con la trasposizione

poetica della stessa parola di Gesù: << Io sono la via, la verità, la vita >>24

. Molto si è discusso

sulla traduzione di questi versi 32 -33: l’interpretazione frequentemente adottata “ le orme di Cristo

sono la via celeste” o l’analoga “via celeste son l’orme di Cristo” sembrano ad alcuni studiosi

spezzare il ritmo lirico che nella composizione non mai viene meno e non tradisce, a causa di

riflessioni o sentenze, la sua caratteristica di lode continua; al contrario, così tradotti questi due

versi rimarrebbero isolati e creerebbero una chiara frattura nel contesto, interrompendo la serie di

epiteti che subito dopo viene ripresa25

.

L’incertezza nella traduzione nasce dalla diversa punteggiatura del testo presente nella varie

edizioni del Pedagogo, ma al di là delle questioni filologiche che non ci si propone di indagare, la

traduzione che recita “ orme di Cristo, via celeste” sembra non solo più integrata nella dimensione

lirica della composizione e consona alla formazione culturale di Clemente, scrittore non certo

sprovveduto, ma anche coerente con il pensiero da lui espresso non solo nel Pedagogo: infatti il

Signore sia nel Quis Dives , in cui Lo si dice strada per i puri di cuore26

, sia nel

Protrettico, dove insiste sull’immagine del Signore come di una via che viene dal cielo e al cielo

24 Cfr. Io. 14, 6. 25 Cfr. M. Pellegrino, Sul testo dell’inno del Pedagogo di Clemente Alessandrino, v.32 ( III, XIII; 101,3) in Studia

patristica, III, Berlino 1961, pp. 267 – 272, che riporta numerose interpretazioni di questi due versi; ma cfr. anche la

traduzione di R. Cantarella, Poeti bizantini, II, Milano 1992, p.49. 26 Cfr. Quis dives salvetur, XVI, 2.

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riconduce27

. Per questo motivo è preferibile interpretare i due versi esaminati nella maniera appena

menzionata, come i primi due membri quindi della litania che qui ha inizio, piuttosto che intendere,

come si è visto è stato fatto, un’unica espressione costituita da un soggetto e una parte nominale. A

questo proposito è stato opportunamente notato che << l’insistenza con cui si parla di Cristo “via”,

che viene dal cielo e conduce al cielo, suggerisce di intendere non delle “orme”, cioè

degli esempi, di Cristo ma Cristo stesso >>28

.

Diventa poi ancor più chiaro il senso nel contesto di tutto l’Inno: le orme di Cristo, in quanto

pastore dei greggi dotati di ragione e re dei fanciulli intatti, sono Lui stesso, come Egli stesso è la

via celeste, la parola perenne, la luce eterna e tutti gli altri titoli che seguono tramite i quali si

dipana questa litania , composta da aggiunzione ed allineamento di epiteti per asindeto.

Gli aggettivi riferiti a Cristo dei versi 34, 35 e 36 presentano tutti un prefisso:

( ( - (mai

riempito, infinito); essi richiamano, almeno a livello fonico, gli aggettivi dei versi iniziali 1, 2 e 3, in

una simmetria strutturale. L’espediente della scelta lessicale fonicamente analoga propone però un

significato opposto nelle due terzine dei versi in esame: mentre all’inizio dell’inno la formulazione

di tutti gli aggettivi suggerisce chiaramente ciò di cui la fanciullezza spirituale è priva e quindi il

limite dell’uomo che, nuovo cristiano, dovrà essere guidato dal Pedagogo, negli ultimi versi di

questa parte, al contrario, è richiamata con altrettanta chiarezza la mancanza di limite del Logos, il

Suo esser privo di temporalità, la Sua infinitezza.

Le immagini che prendono via via forma in questa terza parte dell’Inno sono presenti nello stesso

Pedagogo e contemporaneamente richiamano le Scritture29

sia con citazione diretta sia in modo

allusivo, come si può notare nell’uso del participio κθλιβόμενον che significa propriamente

“spremuto con forza” e che viene generalmente usato a proposito dei frutti, dell’uva in particolare,

spremuti affinché tutto il succo ne venga fatto uscire: in questo participio è stato letto un riferimento

alla passione di Gesù30

e non senza motivo, se inoltre il sostantivo che )

significa “oppressione”. L’ accenno implicito al tema della sofferenza non trova però altro spazio in

questo gioioso e riconoscente canto di lode, cosicché manca qualsiasi richiamo alla consapevolezza

che la nascita a vita nuova di cui questi uomini radunati dal Pedagogo sono ormai partecipi sia

conseguenza della passione di Cristo.

27 Cfr. Protrettico, X, 100.1. Inoltre, parlando dello gnostico, afferma negli Stromati che egli segue il Signore

<<dietro le orme come di un Dio, divenuto santo tra i santi>>: cfr.Clemente Alessandrino, Stromati, ( trad., introd. e

note a c. d. G. Pini), Milano 1985, II, 20 104.3 28 M. Pellegrino, p. 270. 29 ον, v. 42 ) è ad esempio presente tanto in 1 Cor 3, 2: << vi ho dato da

bere latte, non nutrimento solido …>> e in 1 Ptr. 2, 2: << come bambini appena nati bramate il puro latte

spirituale…>> quanto in Ped. I, 35.1; 44.2; 50.3; 52.1 passim. 30 Cfr. Clemente Alessandrino, Il Protrettico. Il Pedagogo, ( a c. di M. G. Bianco), [ Classici delle Religioni sez. IV],

Torino 1971, p. 461.

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A partire dal verso 47 muta il soggetto della composizione: prima era Cristo, a cui tutto il canto si

rivolge o in 2° persona o al vocativo, ora è “noi fa ) i quali non parlano più a

Lui ma si esortano vicendevolmente; nei versi che da qui giungono al verso 60 Clemente ripete

alcuni concetti e ne esprime di nuovi, relativamente all’inno. E’ fin troppo palese come venga

ripetuta l’idea della fanciullezza, dell’infanzia spirituale, del titolo di fanciullo che << è per gli

uomini la primavera di tutta la vita >>31

, la cui importanza è sottolineata non solo in questo scritto,

ma anche, ad esempio, nel Quis dives, quando l’Autore afferma che coloro che il Signore accoglie li

chiama anche “figli, bambini, infanti, amici, piccoli”32

; ed infatti nuovamente viene rievocata la

purezza, l’ingenuità la semplicità dall’es ( verso 48 )

può essere valutato sin , e lo stesso motivo è

proposto anche nei versi 53 – 54 che richiamano simmetricamente i versi 7- 833

, cosicché questi

ultimi possono trovare il loro fondamento e la loro testimonianza proprio all’interno della stessa

composizione lirica. Inoltre, a sottolineare questo andamento circolare dell’Inno e la sua simmetria

strutturale contribuisce anche l’individuazione di motivi più propriamente dossologici così nei versi

5-8 come nei versi 53 – 60 di questa composizione, che si presenta come inno precipuamente

dogmatico.

Talvolta però le espressioni già proposte si caricano di valenze significative nuove: è il caso della

regalità di Cristo,proclamata in quest’ultima parte al verso 55 e precedentemente nei versi 10, 11 e

31; ora però, e questa è una connotazione nuova, essa si coniuga con la Sua fanciullezza: Egli,

fanciullo forte e vigoroso, è lodato dagli stessi fanciulli che ha guidato e che Lo hanno seguito, Egli

è Fanciullo per i fanciulli che ha così reso simili a Lui. Se alcuni motivi si complicano, o si

completano, con altri significati, altri motivi si presentano invece come mai sperimentati nell’Inno.

A questo proposito possono essere ricordati il già menzionato cenno alla passione, comunque non

sviluppato, oppure l’allusione alla paternità e maternità di Dio, a cui si fa riferimento con sapienza

retorica ( θη ) al verso 50 e che non trova poi altra argomentazione, mentre nella parte

prosastica dell’opera invece ora viene enunciato il tema della paternità di Dio34

e ora viene

affermata la maternità della Chiesa, madre fedele35

.

Inoltre si possono in questa parte enucleare, per la prima volta nell’Inno, sia il motivo che la finalità

della composizione lirica: essa è stata scritta perché sia una mercede santa, una giusta ricompensa36

31 Clément d’Aléxandrie, Le Pédagogue, l. I, introduction et notes par H. I. Marrou, traduction de M. Harl, [S.Ch. n.

70] , Paris 1960 p.27. 32 << Τούτους τέκνα παιδία νήπια φίλους νομάζει μικρούς…>>: Quis Dives Salvetur, 31,1. 33 - - , mentre

. 34

Cfr. Ped.I, 17.1; 21.2. 35 Cfr. Ped. I, 21.1. 36 >> ( v. 57 ).

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al Logos pedagogo che guida i Suoi fanciulli fino a Sé, ed è destinata ad essere cantata insieme37

, ad

avere un intendimento comunitario, e da ciò si desume anche la sua appartenenza al genere

innologico. Anche se non tutti concordano nel definire “inno popolare” la composizione di

Clemente conclusiva del Pedagogo, se non nel considerarla tale in quanto espressione del popolo

cristiano38

, viene tuttavia palesemente dichiarato l’intendimento popolare della sua finalità

nell’apostrofe conclusiva39

( versi 61 -65 ) che introduce il tema ultimo della pace. Se già nel

Pedagogo Clemente aveva caratterizzato diffusamente il cristiano come uomo della pace40

, ora qui

presenta questa come conseguenza necessaria dell’infanzia spirituale, della purezza degli uomini

nuovi guidati dal Logos, come condizione propria della fanciullezza che si abbandona al Logos

è il concetto che accomuna il popolo casto e Dio e non a caso è posto in

posizione preminente, in apertura e chiusura di strofa: al Dio della pace cantano un coro di pace i

χριστόγονοι a cui è rivolta l’apostrofe, neologismo questo introdotto da Clemente che letteralmente

può essere inteso “ nati da Cristo”, anche se il percorso concettuale che si è progressivamente

delineato, fino a giungere alla comunione del popolo casto con Dio mediata proprio dalla

condivisione della pace, legittima l’interpretazione “divenuti Cristo”41

più della precedente. Per

avvalorare questa lettura, inoltre, non va trascurato il significato di γόνος secondo Omero, il poeta

più citato e meglio conosciuto dall’Autore: per il poeta greco il sostantivo esprime sì il concetto di

origine ma anche quello di natura, e quindi intendendo il termine con questo significato viene ad

esser riproposto nel neologismo l’idea, coerente con quanto diffusamente è espresso in tutte le opere

di Clemente, di assimilazione a Dio, realizzata da quegli infanti spirituali semplici e puri che

condividono la natura di Cristo.

Questo tema, caro a Clemente, mentre rivela nel suo svolgersi una matrice platonica e

contestualmente la formazione filosofica dell’Autore, permette di leggere, ancora una volta, una

polemica contro gli gnostici sull’argomento della fede semplice, da loro considerata imperfetta e

tale non permettere l’assimilazione a Dio; assimilazione che invece assume in Clemente un valore

assolutamente proprio42

, di perfetta realizzazione del cristiano, di vera gnosi, la quale consiste

appunto nel farsi χριστόγονοι sotto la guida del Logos pedagogo.

.

37 >> ( v. 59 ). 38 Così J. Fontaine, Inno, in Dizionario Patristico e Antichità Cristiane ( a c. di A. Di Berardino), vol. II, Casale

Monferrato 1983, col.1783. M.Simonetti,, pp.344-345, pur riscontrando come in questo inno siano presenti

procedimenti tipici dell’innologia classica e aulica, ormai patrimonio comune dell’intera innologia, ritiene che l’Autore

si sia valso di una forma popolare ormai divulgata, e questo per combattere gli eretici. 39 >>. 40

Nel Pedagogo viene affermato chiaramente che << noi invece siamo il popolo della pace >>: Ped. II, 32.1. 41 H. I. Marrou ( notes de ), Le Pédagogue, l. III, p.203, n.71. 42 ” ( cfr. Stromati, IV, 14 95.2 ).

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Si fornisce in appendice il testo greco dell’Inno nell’edizione critica delle Sources Chretiennes

(Clément d’ Alexandrie, Le Pédagogue, l. III, traduction de. C. Mondésert – C.Matray, notes de H.

I. Marrou [S. Ch. n. 158], Paris 1970, pp. 192 – 203 ) con la traduzione propria in lingua italiana.

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